ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00353

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 864 del 04/10/2017
Abbinamenti
Atto 6/00349 abbinato in data 04/10/2017
Atto 6/00350 abbinato in data 04/10/2017
Atto 6/00351 abbinato in data 04/10/2017
Atto 6/00352 abbinato in data 04/10/2017
Atto 6/00354 abbinato in data 04/10/2017
Firmatari
Primo firmatario: MARCON GIULIO
Gruppo: SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Data firma: 04/10/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PASTORINO LUCA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
FRATOIANNI NICOLA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
PAGLIA GIOVANNI SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
BRIGNONE BEATRICE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
CIVATI GIUSEPPE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
COSTANTINO CELESTE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
FARINA DANIELE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
GIORDANO GIANCARLO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
GREGORI MONICA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
MAESTRI ANDREA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 04/10/2017


Stato iter:
04/10/2017
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 04/10/2017
Resoconto MORANDO ENRICO ERRORE:TROVATE+CARICHE - (ERRORE:TROVATI+MINISTERI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 04/10/2017

DISCUSSIONE IL 04/10/2017

DICHIARATO PRECLUSO IL 04/10/2017

CONCLUSO IL 04/10/2017

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00353
presentato da
MARCON Giulio
testo di
Mercoledì 4 ottobre 2017, seduta n. 864

   La Camera,
   premesso che:
    il Governo sottolinea la maggior crescita attuale (1,5 per cento contro l'1,1 per cento), la leggera diminuzione del debito pubblico (131,6 per cento) e del deficit che scende dal 2,1 per cento all'1,6 per cento del Pil (ma non all'1,2 per cento come previsto). La revisione al rialzo della crescita non corrisponde ad un aumento della produttività, dei salari, del mercato interno, ed è dovuta sostanzialmente alla favorevole congiuntura internazionale che facilità le nostre esportazioni, ai bassi tassi di interesse sul nostro debito pubblico (l'attuale debolezza dei tassi di interesse ha garantito all'Italia, dal 2012 a oggi, risparmi per oltre 15 miliardi, quasi l'1 per cento del Pil), al cambio favorevole dell'euro ed al quantitative easing messo in campo dalla BCE;
    la revisione al rialzo della previsione di crescita del Pil reale per il 2017 (+0,4 per cento) si accompagna ad una revisione al ribasso della crescita del Pil nominale (il dato che è determinante per la finanza pubblica) al 2,1 per cento (-0,2 per cento), a fronte di una crescita del deflatore al di sotto delle attese (0,6 per cento a fronte dell'1,2 per cento previsto nel DEF); tanto più appaiono irrealistiche le previsioni per gli anni 2018, 2019 e 2020 di un deflatore del PIL pari rispettivamente a 1,8 per cento per il prossimo biennio e 1,7 per cento per il 2020;
    ma questi sono i dati di una ripresa ciclica non consolidata nelle componenti della domanda, e mediocre, sia in assoluto sia nel confronto internazionale. Soprattutto, mediocre rispetto a un crollo che dai picchi ciclici trimestrali di dieci anni fa che si commisura negli scarti negativi seguenti: -6,8 per cento il Pil; -4,2 per cento i consumi privati; -27 per cento gli investimenti; -21,4 per cento la produzione industriale; -2 per cento l'occupazione; +7,1 per cento le esportazioni (ma al di sotto della crescita del commercio mondiale trainata da USA e Cina);
    non si può affermare che la crisi sia stata superata, tutt'altro. In Italia, nonostante la ripresa dell'ultimo biennio, il livello del Pil in volume è ancora inferiore di oltre il 7 per cento rispetto al picco di inizio 2008; in Spagna il recupero è quasi completo mentre Francia e Germania, che nel 2011 avevano già recuperato i livelli di attività pre-crisi, segnano progressi pari rispettivamente a oltre il 4 e quasi l'8 per cento;
    gli investimenti hanno seguito una dinamica simile e ora sono attestati intorno al 19 per cento del Pil, con un livello che è pari al 75 per cento di quello pre-crisi e nettamente inferiore alla media europea. Di converso, i tassi di profitto (come quota sul valore aggiunto) delle imprese non finanziarie in Italia risultano superiori alle media europea e dopo il calo registrato nel triennio 2009-2012 ora si trovano in ripresa (dal 41 per cento al 42 per cento);
    la domanda interna è troppo depressa per mancanza di reddito per essere appetibile per un miglioramento delle aspettative interne. E di fatto gli investimenti languono (+ 0,1 per cento). Non è un caso che se l’export cresce, le vendite al dettaglio vedono una contrazione dello 0,2 per cento su base mensile (luglio 2017) e dello 0,4 per cento su base annua. Questi dati sono dovuti al basso costo del lavoro che consente una maggiore competitività a bassi prezzi ma di qualità peggiore verso l'estero;
   da questo incremento dell'export sono esclusi i settori a più alto valore aggiunto. In Italia, biotecnologie, nanotecnologie, industrie del corpo umano, telecomunicazioni, digitale, neuroscienze, trasporto avanzato, informatica 4.0, sono settori che non esistono e se esistono svolgono solo un ruolo subordinato, da subfornitura etero-diretta, a vantaggio di imprese e profitti;
    ancor meno può usarsi la parola «crescita». Farlo è puro analfabetismo economico. Si ha crescita quando la progressione del prodotto, oltre a essere tendenziale (non ciclica), più che da un maggiore impiego del lavoro e delle altre risorse già disponibili ma sotto-utilizzate, scaturisce principalmente da intensificata accumulazione di capitale (al netto del deterioramento fisico e della obsolescenza tecnica dello stock), unita a ricerca, innovazione, progresso tecnico. Non è purtroppo questo il caso dell'economia italiana oggi, nonostante la ripresina in atto, la produttività langue su bassi livelli. Lo stock netto di capitale flette. Il prodotto orario del lavoro è diminuito sia nel 2015 che nel 2016;
    non stupisce quindi che, sebbene l'ultima rilevazione dell'Istat abbia messo in evidenza che gli occupati a luglio di quest'anno, pari a poco più di 23 milioni di unità, sono tornati allo stesso livello del 2008, il monte ore lavorate, invece, è diminuito di oltre 1,1 miliardi (-5 per cento). Se a parità di occupati sono diminuite le ore lavorate, rispetto al 2008, significa che i lavoratori a tempo pieno sono scesi e, viceversa, sono aumentati quelli a tempo parziale (contratti a termine, part-time involontario, lavoro intermittente, somministrazione, e altro);
   rilevato come:
    il Jobs Act non ha avuto effetti occupazionali reali e stabili dichiarati, mentre esso ha avuto l'effetto di aumentare la precarietà e la ricattabilità del lavoro. Anche l'aumento della domanda di lavoro, spesso sottolineata, è stata, in realtà, illusoria. Infatti, il mercato si è espanso, ma la domanda di lavoro è transitata principalmente verso i contratti a termine, effetto della cancellazione – contenuta proprio nel Jobs Act – delle clausole di sussistenza delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo a giustificare il ricorso al tempo determinato. Nella valutazione dell'effettivo numero dei disoccupati devono essere compresi anche gli scoraggiati. Tale categoria contabilmente incide in negativo sulle forze lavoro effettive con l'effetto di diminuire il tasso di disoccupazione. Se si considerano le forze lavoro potenziali, i dati descrivono un quadro assai differente. L'Italia è il paese europeo dove il numero di lavoratori autonomi è fra i più alti d'Europa (più del 22,6 per cento), i giovani fra 15 e 24 anni che non hanno e non cercano lavoro (i cosiddetti Neet) toccano il record Ue del 19,9 per cento (la media europea è 11,5 per cento), la differenza fra uomini e donne che lavorano è al 20,1 per cento, e il numero di persone che vivono in condizioni di povertà estrema (11,9 per cento) è aumentato fra 2015 e 2016, unico caso in Ue con Estonia e Romania;
    se si considerano gli scoraggiati e i sottoccupati, il tasso di disoccupazione italiano risulta il più alto d'Europa, superiore a quello della Grecia e della Spagna. Abbiamo 3 milioni di disoccupati che salgono a 5 se consideriamo gli inattivi scoraggiati nella ricerca di un'occupazione;
    gli occupati si concentrano nella fascia di età dai 50 ai 64 anni in seguito all'elevamento dell'età pensionabile. Rispetto a giugno 2016 gli occupati over 50 sono cresciuti del 4,3 per cento mentre calano quelli in tutte le altre fasce di età. I più penalizzati sono le donne ed i giovani. Nel giugno 2007 il tasso di occupazione del segmento del lavoro giovanile dai 25 ai 34 anni era pari al 70,4 per cento. Oggi siamo al 60 per cento. La disoccupazione giovanile (per la fascia 15-24 anni) è del 35,4 per cento, mentre è pari al 16,7 per cento nell'eurozona;
    peggiora anche la già scarsa qualità dell'occupazione. Non solo per la precarietà dei lavori. Rispetto all'Unione europea a 15, l'Italia presenta un tasso di occupazione inferiore di quasi 10 punti percentuali, ma oltre 8 punti sono dovuti alla fascia di lavori ad alta qualificazione. Le ridotte dimensioni delle imprese e scarsi investimenti in ricerca e sviluppo sono i motivi dal lato della domanda di lavoro cui si ricorre per spiegare questo deficit. Da quello dell'offerta va aggiunto il basso livello di istruzione della forza lavoro;
    la scarsa capacità di creare occupazione altamente qualificata si deve anche alla scarsa domanda di lavoro da parte di tre settori connotati da una forte presenza di professioni intellettuali e tecniche. Sono settori dove in Italia, come negli altri paesi europei, è forte la presenza pubblica, poiché si tratta della pubblica amministrazione, dell'istruzione e della sanità;
    in una fase in cui la potenziale violenza dei fenomeni di compromissione o distruzione dell'ambiente naturale ha prodotto situazioni incredibilmente drammatiche nel nostro territorio, ci si sarebbe dovuti aspettare dai Governi in carica una propensione del tutto diversa alla tutela dell'ambiente. La crisi avrebbe potuto aprire, infatti, ad un radicale ripensamento del modello di sviluppo, una riconversione ecologica in grado di prospettare la questione ambientale quale elemento chiave per il futuro del nostro Paese e di tutto il pianeta. Invece si è agito in tutt'altra direzione;
    i provvedimenti da citare in tal senso sono moltissimi: il vergognoso Sblocca Italia con cui sono stati rafforzati modelli di sviluppo che dovrebbero essere superati da decenni, affiancato dall'eterna demagogia che contrappone il diritto al lavoro con il diritto all'ambiente e alla salute con cui è stata condotta la campagna contro il Referendum sulle trivellazioni; gli infiniti decreti sull'ILVA; il ritardo nell'approvare l'accordo della COP21 che già da sé presentava molti limiti e debolezze e che, proprio per questo, necessitava di impegni ambiziosi da parte dei singoli Stati; una Strategia Energetica Nazionale che galleggia da anni nelle aule ministeriali senza essere in grado di costituire la spinta ai necessari processi di decarbonizzazione; lo svuotamento degli incentivi alle rinnovabili; il ritorno degli inceneritori quale strumento determinante della politica dei rifiuti; la pessima riforma della Direttiva sulla Via cui il Governo ha contribuito; l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato, principalmente, nell'Arma dei Carabinieri, un processo che ha prodotto la militarizzazione di un presidio fondamentale per il nostro territorio con conseguenze evidenti, già quest'estate, nella gestione degli incendi; il continuo attacco alla tutela della natura, manifestato attraverso la pessima proposta di riforma delle Legge sulle aree protette che sembra voler convertire i parchi in strumenti della politica locale – snaturando il senso della Legge – (le nomine di presidenti e direttori, legate a logiche politiche e interessi locali, potranno aprire a inquietanti prospettive sull'ingresso di cacciatori nei parchi; per non parlare delle royalties una tantum per cui se paghi, puoi inquinare) e dal Piano di conservazione per il Lupo. L'unica nota positiva è risultata l'introduzione degli eco-reati nel codice penale, frutto dell'impegno decennale di associazioni e cittadini;
    anche sul consumo di suolo l'impegno dei Governi è stato pressoché nullo, nonostante il nostro Paese sia tra i più urbanizzati d'Europa, con un suolo con copertura artificiale pari al 7,4 per cento contro una media UE del 4,1 per cento. Da novembre 2015 a maggio 2016, nonostante la crisi economica ne abbia rallentato la velocità, l'Italia ha consumato quasi 30 ettari di suolo al giorno, per un totale di 5 mila ettari di territorio. L'Ispra, in base agli scenari di trasformazione del territorio italiano al 2050 che ha ipotizzato, prevede che «Nel migliore dei casi (interventi normativi significativi e azioni conseguenti che possano portare a una progressiva e lineare riduzione della velocità di cambiamento dell'uso del suolo), di una perdita di ulteriori 1.635 km2, di 3.270 km2 in caso si mantenesse la bassa velocità di consumo dettata dalla crisi economica e di 8.326 km2 nel caso in cui la ripresa economica riportasse la velocità al valore di 8 m2 al secondo registrato negli ultimi decenni»;
   considerato che:
    a fine legislatura occorre anche fare un bilancio critico, oltre che delle misure di contrasto della disoccupazione e di mancata tutela dell'ambiente, anche dell'insieme della politica economico-finanziaria dei Governi Renzi e Gentiloni. Alcuni altri dati sulla situazione del nostro Paese sono anch'essi indicativi. In questi anni si sono prodotti:
     un forte aumento della povertà assoluta (1.619.000 famiglie pari a 4.742.000 persone) e della povertà relativa (2.734.000 famiglie, pari a 8.465.000 persone) (dati Istat 2016);
     una decisa compressione del diritto alla salute, con 12 milioni di persone che hanno dovuto rinunciare alle cure e 13 milioni di persone che hanno avuto forti difficoltà a potersi pagare le spese sanitarie (7o Rapporto Censis 2017);
     un aumento dell'abbandono scolastico precoce (15 per cento, dati Commissione Europea 2016);
    questi dati, oltre a quelli sull'occupazione e sull'ambiente, non sorprendono se si considera che:
     il rapporto tra spesa sanitaria e Pil che diminuirà dal 6,6 per cento del 2017 (era del 6,7 per cento nel DEF di aprile) al 6,5 per cento nel 2018, al 6,4 nel 2019, per poi precipitare al 6,3 per cento nel 2019. Si scende ben oltre la soglia del 6,5 per cento fissata dall'Organizzazione mondiale della sanità, sotto la quale, oltre la qualità dell'assistenza e delle cure, si riduce anche l'aspettativa di vita delle persone;
     quello delle spese militari è l'unico settore che non subisce tagli, neanche in tempo di crisi. La spesa militare 2017 è prevista in 23,3 miliardi (1,4 per cento del PIL), in aumento rispetto al 2016 e soprattutto rispetto al 2006 (+21 per cento);
     non è stata considerata neppure l'ipotesi di prorogare – a fronte di un'età pensionabile che è la più alta d'Europa – la possibilità, almeno per le donne, di andare anticipatamente in pensione a condizione di accettare il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo (come previsto dalla legge 243/2004, cosiddetto regime «Opzione Donna») In questo modo si intenderebbe infatti riconoscere il valore del lavoro di cura, casalingo e della maternità, certamente interamente a carico delle donne che si trovano attualmente in età pensionabile, ai fini dell'accesso anticipato al trattamento pensionistico;
     la Presidenza italiana dell'Unione europea poteva essere l'occasione per porre formalmente in discussione la politica di austerità, ma si è preferito ottenere per il nostro Paese una maggiore flessibilità di bilancio per finanziare la politica dei bonus a fini elettorali;
     per l'economia, i Governi Renzi e Gentiloni si sono ispirati a una politica dell'offerta: riforme strutturali (ad iniziare da quella del mercato del lavoro), riduzione delle imposte, tagli alla spesa pubblica, maggiore libertà all'azione privata e riduzione dei vincoli amministrativi. Il risultato inevitabile è stato quello di sprecare ingenti risorse (decine di miliardi) con l'obiettivo di rilanciare il consumo delle famiglie che invece è rimasto stagnante e di aumentare i profitti delle imprese nella speranza che esse avrebbero aumentato gli investimenti, cosa che in carenza di domanda non poteva accadere;
     gli investimenti pubblici sono crollati in termini nominali del 30 per cento dall'inizio della crisi, al 2,2 per cento del Pil, il tasso più basso degli ultimi 25 anni. Le stime per il 2016 confermano un ulteriore calo delle spese in conto capitale delle PA, del 6,6 per cento a prezzi costanti, rispetto all'anno precedente: nonostante fosse attivo l'accordo sulla «flessibilità degli investimenti» concordato con la Commissione europea. Mentre per i Comuni la spesa per investimenti è calata nel 2016 di oltre il 13 per cento, e dal 2008 ad oggi ha accumulato un – 47 per cento;
     al Sud sono venute a mancare negli ultimi anni, tanto la spesa ordinaria in conto capitale (dimezzata rispetto ai livelli pre-crisi), quanto la spesa della politica nazionale di coesione territoriale. La spesa per interventi nazionali finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno è progressivamente scesa dallo 0,85 per cento degli anni ’70 fino allo 0,15 per cento del 2011-2015;
     il programma di investimenti annunciato dal Governo prevede risorse per un ammontare pari a 100 miliardi da qui al 2032 (6,6 miliardi in media l'anno), ma con la maggior parte degli stanziamenti collocati a fine periodo;
     anche la gestione delle crisi bancarie è stata pessima con l'utilizzo di notevoli risorse pubbliche e danni per i piccoli risparmiatori;
     la politica industriale si è basata soprattutto su un consistente insieme di misure di detassazione e incentivazione fiscale a pioggia, sicuramente molto gradito alle imprese, ma non in grado di indirizzare il Paese verso un nuovo assetto industriale. Con Industria 4.0, il Governo ha sostenuto gli investimenti in tecnologia ma ha trascurato i fattori di contesto, le infrastrutture necessarie, la riforma dei sistemi scolastici e universitari, i sistemi regolatori del lavoro, l'adeguamento del welfare nonché le istituzioni che presidiano il mercato del lavoro, la riqualificazione professionale, le connesse transizioni occupazionali, nonché il ruolo del pubblico per lo sviluppo nel nostro Paese della quarta rivoluzione industriale. Inoltre, la digitalizzazione della PA stenta a decollare e non si vede un disegno unitario;
     rimane il problema di un'evasione fiscale di massa, mentre le sanzioni, già modeste, sono state ulteriormente ridotte. Sono state varate diverse misure di condono fiscale, l'amministrazione finanziaria è stata delegittimata e indebolita, si è rinunciato alla revisione del catasto dei fabbricati, si è eliminato l'imposizione patrimoniale sulle case d'abitazione anche di lusso. Molte sono state le norme a favore delle imprese, mentre si è svuotata l'autonomia impositiva di regioni ed enti locali;
     riguardo alle migrazioni, il Governo, dopo la vergognosa campagna contro le Ong e con le misure messe in opera dal Ministro Minniti, ha fatto prevalere l'aspetto repressivo sulle politiche dell'accoglienza e dell'integrazione;
    si tratta dunque di una politica che ha sprecato 5 anni mentre una altra politica era possibile anche nei limiti delle norme capestro del Trattato di Maastricht e del Fiscal compact. Ad esempio, il NENS nel 2015 aveva simulato gli effetti di una diversa strategia di politica economica basata sul riassorbimento progressivo delle clausole di salvaguardia, su una efficace politica di contrasto all'evasione con il contestuale utilizzo dei proventi per misure di riduzione dell'Irpef e dei contributi sociali e di sostegno delle situazioni di povertà, e utilizzando tutte le altre risorse disponibili, incluse quelle derivanti dalla flessibilità europea, per spese di investimento ad elevato moltiplicatore. Le direzioni cui avrebbe portato una strategia alternativa sono inequivocabili e di rilievo: nel periodo 2015-18 il PIL sarebbe cresciuto di (almeno) il 6% invece che del 3,8% implicito nelle manovre governative considerando i risultati acquisiti nel 2015 e quelli previsti nei documenti governativi per i tre anni successivi (e probabilmente sovrastimati); l'indebitamento pubblico per il 2017 si sarebbe collocato sull'1,6 per cento invece del 2,3-2,4 per cento oggi previsto; il debito pubblico sarebbe sceso al 130,2 per cento del PIL, 2,5 punti in meno della stima del Governo. Inoltre ci sarebbero stati effetti positivi sull'occupazione, le aspettative e il clima di fiducia generale nei confronti della nostra economia sia in Italia che all'estero;
   osservato che:
    la Nota di aggiornamento, fissa allo 0,3 per cento del Pil il taglio del deficit strutturale previsto per il 2018, contro lo 0,6 per cento chiesto da Bruxelles e lo 0,8 per cento indicato dal DEF dello scorso aprile. Il Governo con la presentazione di una Relazione al Parlamento, ai sensi dell'articolo 6, comma 54 della legge n. 243 del 2012, chiede la deroga dal percorso di avvicinamento verso l’«obiettivo di medio periodo» (il pareggio di bilancio), una richiesta peraltro non motivata da scelte di spesa convincenti. Si tratta della quinta volta che ciò accade dal 2013;
    l'ennesima richiesta di deroga ha un che di surreale, avendo il Parlamento praticamente all'unanimità nella scorsa legislatura approvato una modifica dell'articolo 81 della nostra costituzione che costituzionalizzava per l'appunto il pareggio di bilancio;
    non condivide l'utilizzo proposto per le risorse rese disponibili da questa maggiore flessibilità di bilancio (la moltiplicazione di inutili bonus e decontribuzioni a favore delle imprese). Serve una politica di investimenti pubblici dedicata alla conversione ecologica del nostro sistema produttivo, a rimediare al dissesto idro-geologico del nostro Paese, alla messa in sicurezza anti-sismica, dando lavoro qualificato a centinaia di migliaia di giovani;
    a fine 2017, il Fiscal Compact, potrebbe essere inserito a pieno titolo nell'ordinamento europeo, divenendo giuridicamente superiore alla legislazione nazionale e rendendo irreversibili le politiche d'austerità. Questo pericolo può essere fermato: il nostro Paese deve gettare tutto il suo peso nella riforma del Fiscal Compact e farsi promotore di una ulteriore fase di condivisione di politiche nell'ambito dell'Unione, laddove gli egoismi nazionali, rappresentanti dai governi nel Consiglio, trovino un adeguato contrappeso nelle esigenze dell'Unione e dei cittadini tutti, rappresentati dal Parlamento;
   ritenuto che:
    la Nota di aggiornamento del DEF 2017 risulta sostanzialmente vacua e indeterminata su molti punti, tanto che i Servizi del bilancio di Camera e Senato hanno dovuto chiedere ulteriori chiarimenti al Tesoro sulle ricadute finanziarie nel prossimo triennio delle misure fissate, seppure solo per grandi linee, dal Governo in merito all'occupazione giovanile, alla lotta alla povertà ed al sostegno agli investimenti. La manovra illustrata prevedendo comunque una correzione dello 0,3 per cento del deficit tendenziale in termini strutturali delinea una manovra di bilancio recessiva per il 2018;
    la manovra che il Governo proporrà al Parlamento sarà una legge di bilancio complessiva intorno ai 20 miliardi, di cui 15,6 destinati a cancellare gli aumenti Iva (la manovra correttiva di primavera ha limato di circa 4 miliardi il costo delle clausole), e gli altri divisi più o meno a metà tra rifinanziamento dei contratti per il pubblico impiego e misure per la crescita. L'impianto poggia su 9 miliardi circa di deficit aggiuntivo, e interventi orientati per il 30 per cento a tagli di spesa e per il resto ad aumenti di entrata. Gli altri miliardi necessari (5-6,6 miliardi) per completare tale sterilizzazione arriveranno dalle risorse che dovrà recuperare il Governo (contrasto all'evasione; spending review);
    compiuta la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia rimangono pochissime risorse (4-4,5 miliardi) per interventi di tipo espansivo, che saranno spese per i rinnovi dei contratti nel pubblico impiego (e per un «pacchetto forze dell'ordine»), la copertura delle spese cosiddette indifferibili ed a beneficio delle imprese per la decontribuzione delle assunzioni dei giovani fino ai 29 anni. Imprese le quali hanno beneficiato, nei tre anni precedenti, di una somma pari a 18 miliardi di euro con il l'unico risultato di incrementare l'occupazione precaria;
    alla manovra viene assegnato il compito di accompagnare l'espansione dell'economia, con un effetto che il Governo calcola in tre decimali di crescita aggiuntiva rispetto all'1,2 per cento a politiche invariate; obiettivo da raggiungere, appunto, anche grazie alla cancellazione degli aumenti Iva da 15,7 miliardi delle clausole di salvaguardia. Questa crescita ipotizzata (ma non si tiene in debito conto gli aspetti recessivi della manovra stessa) dovrebbe, secondo il Governo, aiutare anche a contenere l'indebitamento netto; nei programmi 2018 il deficit si attesta all'1,6 per cento, e quindi uno-due decimali più basso delle attese, confermando comunque la correzione «europea», cioè quella strutturale al netto delle una tantum e degli effetti del ciclo economico, da 0,3 per cento del Pil contro lo 0,8 per cento previsto ad aprile;
    il percorso verso il pareggio di bilancio si fa più lungo: l'appuntamento slitta di un altro anno, al 2020, quando un mini-deficit programmato a due decimali di Pil permetterebbe all'Italia di mostrare un pareggio sostanziale (le regole Ue permettono uno scostamento da 0,25 per cento). Anche il saldo primario, cioè la differenza fra entrate e uscite al netto degli interessi, resta caratterizzato da una dinamica più morbida: quest'anno è all'1,7 per cento del Pil, e nel 2018 punta al 2,5 per cento;
    si conferma un piccolo arretramento del peso del debito sul Pil nel 2017 (131,6 per cento, contro il 132 per cento del 2016 secondo i calcoli aggiornati dall'Istat). L'incrocio fra crescita e deficit mette in calendario una discesa più pronunciata nel 2018 (130 per cento) e nel 2019 (127,1 per cento). Anche questo cambio di marcia strutturale del rapporto fra debito e Pil, è alimentato prima di tutto dalla crescita, accompagnata da previsioni di entrata dalle privatizzazioni (0,2 per cento del Pil quest'anno, 0,3 per cento nei prossimi tre);
    gli scenari macroeconomici descritti dalla Nota di aggiornamento del DEF prevedono una crescita del +1,5 per cento non solo per il 2017 (che gode di un'inattesa ripresa del commercio mondiale), ma anche per il 2018 e 2019. Ma l'aumento del commercio internazionale del biennio rimane inchiodato sotto il 4 per cento (dunque in calo rispetto al 2017), il prezzo del petrolio è dato in leggera crescita e il cambio euro-dollaro è dato in salita. Se l'estero non trascinerà le esportazioni, per il 2018-19 bisogna sperare in una ripartenza più decisa della domanda interna. Ma qui l'unica voce trainante è quella degli investimenti. E infatti – secondo il Governo – dovrebbero accelerare sia le spese in macchinari che beneficerebbero degli incentivi del piano Industria 4.0 (da rinnovare), sia gli acquisti di case che dovrebbero crescere con maggiore lena. Aspettarsi una crescita del Pil permanentemente all'1,5 per cento (come anche il ritorno della crescita del Pil nominale al +3 per cento) appare dunque per ora un auspicio più che un'aspettativa razionale. Dello stesso avviso è anche l'Ufficio parlamentare del Bilancio il quale segnala la presenza di significativi fattori di rischio per gli anni 2019 e 2020;
   valutato che:
    all'interno della Vo sezione della Nota, il Miur passa in rassegna le misure, anche normative, adottate negli ultimi sei mesi nell'ambito delle azioni strategiche del PNR 2017 intraprese nel settore dell'istruzione e della formazione, dando particolare risalto agli otto decreti legislativi attuativi delle deleghe previste dalla c.d. Buona scuola ed ad un decreto ministeriale che amplia la sperimentazione (peraltro già in atto) di una riduzione del percorso della scuola secondaria superiore a soli quattro anni (cosiddetto liceo breve) ed intesa a favorire il passaggio dal mondo della scuola e della formazione a quello del lavoro;
    con gli otto decreti legislativi si è intervenuto in un contesto già fortemente caotico ed incerto nel quale, ormai da decenni, si sono stratificati una serie di provvedimenti privi di una visione sistemica in grado di mettere ordine nell'intreccio di norme, graduatorie e percorsi di specializzazione sviluppatisi nel tempo, senza però risolvere la condizione di coloro che da anni, oramai, ed a costo di pesantissimi sacrifici, hanno consentito il corretto funzionamento della scuola pubblica, ma non hanno ancora visto riconosciuta, con l'abilitazione o l'immissione a ruolo, la professionalità acquisita sul campo;
    con il decreto sul cosiddetto liceo breve il Governo ha invece disvelato la sua concezione poverissima dell'istruzione pubblica e della sua missione, introducendo un'innovazione ordinamentale senza una visione della scuola alta, attenta ai bisogni reali degli studenti e alle priorità dell'inclusione e del superamento delle disuguaglianze, obiettivi fondamentali del sistema di istruzione. L'intervento sulla durata dei cicli che il Governo ha dato prova di voler sperimentare, senza un progetto nazionale di riferimento che ne individui le finalità educativo-didattiche, e senza alcun confronto con la comunità scientifica e le organizzazioni sindacali, rivela piuttosto la volontà, malcelata da un presunto ingresso anticipato nel mondo del lavoro e smentita dai dati sull'occupazione, di realizzare una significativa riduzione della spesa pubblica capace solo di impoverire drasticamente la qualità dell'offerta formativa del sistema scolastico pubblico, e danneggiare le fasce più deboli della popolazione scolastica. L'idea sarebbe, infatti, quella di convogliare nel percorso sperimentale un’élite di circa duemila alunni che non potranno mai rappresentare il livello standard degli studenti italiani e forniranno dati in uscita sicuramente eccellenti, ma significativamente non rapportabili, anche statisticamente, al resto della popolazione scolastica italiana. Inoltre la rinuncia a un più alto livello di sapere e di acculturazione non sarebbe bilanciata dal vantaggio di trovarsi in posizione competitiva rispetto alle possibilità d'impiego;
    sulla stessa lunghezza d'onda sembra muoversi anche il tanto «sbandierato» Piano Nazionale Scuola Digitale che intende rilanciare e sviluppare ulteriormente una didattica, di carattere sostanzialmente ingegneristico, impostata in modo esclusivo sulla tecnologia digitale, quale strumento non solo più congeniale per la comunicazione del sapere, bensì paradigma cognitivo che deve piegare alla sua logica la trasmissione di qualsiasi contenuto disciplinare. Secondo una nuova narrativa che sembra voler fortemente legare la scuola al mercato e l'educazione all'impresa, superflue sembrano risultare al Governo le conoscenze di carattere culturale che fino a poco tempo fa erano considerate fondamentali per integrare positivamente la personalità del discente nel contesto della società civile, in quanto non immediatamente applicabili alla realtà produttiva;
    da oltre un decennio gli interventi normativi relativi all'istruzione ed all'università hanno avuto come unico fattore denominatore la logica della riduzione dei costi e del pareggio di bilancio, attuata con tagli indiscriminati alle risorse, sia umane che economiche, e con una quota di finanziamenti complessivi erogati pari all'1,1 per cento del PIL, contro il 2 per cento destinato in media dagli altri Paesi europei: un dato che ci colloca agli ultimi posti della classifica OCSE e capace di evocare lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
    la scelta trasversale degli ultimi Governi di trascurare l'investimento in formazione superiore ha fatto sì che i fondi destinati dallo Stato al riconoscimento delle borse di studio siano sempre insufficienti a garantire la copertura totale degli idonei e che il diritto allo studio pesi ormai per oltre il 42 per cento sulle spalle degli studenti stessi che vi provvedono tramite la tassa regionale per il diritto allo studio, diventandone così essi stessi i principali finanziatori. Se si guarda, infatti, al decennio che va dal 2002 al 2012 si scopre che, a fronte di un numero quasi costante di studenti dichiarati idonei alla borsa di studio, una larga parte di essi, oltre 25.000, a causa della carenza di fondi è stata confinata nel limbo degli idonei che non l'hanno percepita, andando così ad allargare la platea dei cosiddetti «idonei non beneficiari», ossia di coloro che, pur soddisfacendo i requisiti di accesso sanciti dal bando dell'ufficio regionale competente, non ricevono alcuna borsa a causa dell'insufficienza delle risorse;
    la Nota di aggiornamento al Def 2017 non sembra invertire la suddetta rotta, quanto piuttosto promuovere un modello sociale che rischia di esacerbare le disuguaglianze e di annullare ogni opportunità di autodeterminazione dei soggetti impegnati in percorsi di alta formazione;
    in ambito universitario, per l'effetto combinato della riduzione dei finanziamenti, dei blocchi del turnover e dei concorsi, e dell'abbassamento dell'età di pensionamento, negli ultimi sette anni si è verificato un crollo verticale del numero di docenti in servizio, pari a meno 30 per cento per gli ordinari, e meno 17 per cento per gli associati, superiore alla contemporanea modesta riduzione del numero degli studenti. A questo si aggiungano gli effetti derivanti dal graduale esaurimento della cosiddetta terza fascia prevista dalla normativa vigente;
    numerose analisi dimostrano che in assenza di interventi normativi che sblocchino l'attuale limite al turn-over previsto dall'attuale regime per le assunzioni delle università statali, si assisterà da un'ulteriore pesante contrazione del corpo docente che comporterà nel 2018 il dimezzamento del numero dei professori ordinari in servizio, rispetto a quello del 2008. Effetti analoghi si avranno sempre nel 2018, nell'ipotesi in cui nel frattempo non si proceda ad alcuna nuova assunzione o promozione dei professori associati, con una sensibile riduzione degli stessi pari al 27 per cento rispetto a quelli in servizio nel 2008. L'attuale normativa, infatti, prevede che nel 2016 risulti spendibile per il reclutamento il 60 per cento del turnover, per poi passare all'80 per cento nel 2017 e solo a partire dal 2018 a stabilizzarsi al 100 per cento;
   tenuto conto che:
    una circolare del Ministro dell'interno del 1o settembre 2017 prevede l'istituzione di una Cabina di regia in materia di occupazioni arbitrarie di immobili, e che in tale sede si provvederà anche ad una ricognizione dei beni immobili privati e delle Pubbliche Amministrazioni inutilizzati, compresi quelli sequestrati e confiscati. Sulla base di tale mappatura verrà proposto un piano per l'effettivo utilizzo e riuso a fini abitativi;
   alla luce delle premesse,

impegna il Governo:

   ad attuare, per far cambiare rotta al nostro Paese, una politica della domanda – a partire da un significativo programma di investimenti pubblici – per uscire dalla recessione, una spesa pubblica e una tassazione riqualificata, un'ampia redistribuzione del reddito a favore delle classi meno abbienti, una riconversione ecologica del che cosa e come si produce, mettendo il lavoro al primo posto;
   per quanto riguarda il rilancio degli investimenti pubblici in un'ottica di riconversione ecologica dell'economia:
    a cambiare rotta e utilizzare un punto di Pil rispetto al programmatico definito nella Nota di aggiornamento presentata dal Governo, per fare politiche pubbliche di investimento finanziando un programma pluriennale di sicurezza anti-sismica e la promozione di un'economia a basse emissioni in linea con gli obiettivi di COP21, di cui 8 miliardi di euro da investire per un programma straordinario di mille piccole opere per la messa in sicurezza del territorio, delle zone sismiche, delle scuole, per la rigenerazione urbana in collaborazione con il sistema delle autonomie locali: 5 mila cantieri per interventi sul territorio per l'ambiente, le scuole da mettere in sicurezza – a partire da quelle nelle zone sismiche e dall'eliminazione dell'amianto stimolando le sostituzioni delle coperture con tetti fotovoltaici – le energie rinnovabili, le infrastrutture sociali (1.500 nuovi asili nido); ad avviare un Programma per la mobilità sostenibile con una dotazione annuale adeguata, nel triennio, 2018-2020 per il rinnovo e l'aumento della dotazione dei treni destinati alle tratte dei pendolari nonché di autobus urbani e extraurbani, utilizzati in particolare da lavoratori e studenti pendolari;
    a riservare il 45 per cento degli investimenti pubblici al Mezzogiorno (ripristino della «Clausola Ciampi»);
    ad adottare un piano per il contenimento e il successivo azzeramento del consumo di suolo, incentivando la riqualificazione e il riutilizzo di edifici abbandonati, la rigenerazione urbana, che sia in grado di superare il blocco in cui galleggia la relativa legge, ormai svuotata del suo principale obiettivo;
    ad utilizzare le risorse derivanti dalla riallocazione dei sussidi dannosi di cui al «Catalogo dei sussidi dannosi e dei sussidi favorevoli» del Ministero dell'Ambiente ai fini dell'operatività effettiva dell'accordo COP 21 di Parigi e per l'attuazione dell'Agenda 2030 dell'ONU per uno sviluppo sostenibile, anche definendo, con un apposito provvedimento normativo, le modalità per la riallocazione sostenibile dei sussidi dannosi all'ambiente, ai fini della fase di transizione;
    a valorizzare l'industria della trasformazione agricola per la riunificazione e l'accorciamento delle filiere, nonché il riutilizzo e/o la riconversione di intere aree industriali dismesse, l'insediamento di produzioni ad alto contenuto innovativo, la riconversione ecologica delle produzioni industriali a forte impatto ambientale come l'Ilva di Taranto, valutando al contempo di definire in tempi brevi un piano triennale per il lavoro per il Mezzogiorno nell'ambito di un programma di interventi urgenti ai fini ecologici e sociali finalizzata all'assunzione di lavoratori da parte di amministrazioni pubbliche e aziende private;
    a dotare l'Italia di precisi obiettivi scadenzati per escludere definitivamente le fonti fossili dal modello di sviluppo, raggiungendo la neutralità emissiva al massimo nel 2050, ed elaborando in tal senso una fiscalità ambientale volta alla riduzione e alla successiva eliminazione dei succitati sussidi alle fonti fossili;
    ad approvare la Strategia energetica nazionale (SEN), ancora in fase di consultazione, mettendola in linea con i necessari percorsi di decarbonizzazione e prevedendo misure di sostegno all'espansione delle fonti rinnovabili a un ritmo almeno triplo rispetto a quello degli ultimi anni, provvedendo altresì all'abrogazione delle disposizioni normative che configurano procedure ambientalmente inadeguate, come grossa parte delle disposizioni del pluricitato decreto Sblocca Italia;
    ad adottare definitivamente il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, anch'esso ancora in fase di consultazione, impegnando le necessarie risorse per una reale riconversione ecologica dell'economia, in particolare per ciò che concerne la lotta al cambiamento climatico e alle sue catastrofiche conseguenze in materia di dissesto idrogeologico, siccità e incendi; ad assicurare una maggiore partecipazione di cittadini e ONG in tutte le fasi dei processi decisionali in materia di ambiente, dalla fase progettuale a quella di realizzazione;
    a finanziare adeguatamente il sistema delle aree protette, principale serbatoio di biodiversità del nostro Paese e fondamentale contributo alla mitigazione dell'inquinamento e del clima;
    a procedere alla costituzione di un vero corpo Polizia ambientale in grado di recepire il patrimonio di competenze ed esperienza che era del Corpo Forestale dello Stato, il cui scioglimento sta già creando enormi problematiche nel presidio dei territori;
    a elaborare un efficace Piano nazionale degli invasi in grado di produrre una migliore gestione delle acque, riducendo inoltre le dispersioni e gli sprechi che tanto danneggiano il bene più prezioso del pianeta;
    a predisporre un'adeguata strategia fiscale con l'obiettivo di contrastare l'abbandono dell'agricoltura nelle aree interne e svantaggiate, incentivando i cittadini a prendersi cura del proprio territorio anche attraverso attività economiche come l'agricoltura;
    ad utilizzare per attuare una efficace politica di investimenti pubblici, la Cassa Depositi e Prestiti – l'ultima banca controllata dallo Stato – che gestisce in Italia i fondi EFSI del Piano Juncker per nuove infrastrutture. Tali investimenti potrebbero essere estesi finanziando per diversi miliardi di euro un programma di «piccole opere» e di investimenti pubblici per gli enti locali e i servizi sociali, restando fuori dal bilancio dello Stato. Sarebbe necessario tornare a una Cassa senza le banche private come azionisti e profondamente cambiata nei suoi meccanismi di gestione rispetto a oggi, facendone una holding delle partecipazioni pubbliche nelle imprese del paese, protagonista della politica industriale e degli investimenti;
   per cambiare le regole europee:
    a chiedere una modifica del Fiscal compact che vada nella direzione di una golden rule relativa a spese di investimento anche nazionali e le spese per Ricerca & Sviluppo e innovazione escludendo le spese militari;
    a evitare l'istituzione di un Ministro del Tesoro europeo che non sia adeguatamente responsabile di fronte al Parlamento, in una logica di pieno rispetto e valorizzazione del circuito democratico;
    a promuovere l'adozione di nuove direttive per il raccordo delle normative fiscali nazionali, soprattutto per quanto riguarda l'IVA, al fine di recuperare il Gap di evasione attuale, altissimo per l'Italia, pari a 35 miliardi e per scongiurare i meccanismi di elusione;
   a proporre:
    che l'Eurozona si doti di un piano di investimenti pubblici destinato a interventi medio-piccoli, attivabili rapidamente e modulabili in modo coerente con le esigenze del ciclo economico, come progetti di riqualificazione e ripristino del territorio, delle periferie urbane, della sostituzione di edifici sismicamente insicuri ed energivori con edifici sicuri e «verdi»;
    di congelare gli accordi di libero scambio Ceta (con il Canada), Ttip (con gli Usa), Epa (con il Giappone), per tutelare la base produttiva europea e lo spazio per l'intervento pubblico e le politiche economiche;
    di introdurre: una Tobin tax incisiva che assicuri un gettito rilevante e limiti in modo drastico le speculazioni finanziarie, la Web tax, ed un'imposta unica a livello europeo sul reddito delle imprese, in modo da evitare che alcuni paesi si comportino come paradisi fiscali interni alla Unione europea;
    un'integrazione in campo militare solo in una prospettiva di disarmo nucleare e convenzionale e di riduzione delle spese militari in tutti i Paesi europei;
    a ridurre per quanto concerne il nostro Paese la spesa complessiva per la difesa almeno del 10 per cento pari a 2, 3 miliardi di euro; ad un graduale ma concreto disimpegno negli impegni nella Nato al fine di ridurre drasticamente le spese militari dirette ed indirette; all'uscita reale dagli impegni sin qui assunti sugli F35 e sulle fregate FREMM;
    ad assumere le opportune iniziative normative al fine di cancellare le modifiche agli articoli 81,97 e 119 della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, al fine di eliminare il principio dell’«equilibrio di bilancio» e di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali, come richiesto dalla nostra Corte costituzionale;
    a prevedere che le stime del BES – sui dati ISTAT – siano elaborate da un istituto indipendente, sul modello e la natura dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio, che non sia influenzabile dall'esecutivo di turno al fine di evitare omissioni, manipolazioni e strumentalizzazioni;
   per quanto concerne Industria 4.0:
    ad assicurare nuovi investimenti pubblici a sostegno della riuscita del progetto, innanzitutto infrastrutture strategiche, e in particolare le dotazioni immateriali (software e competenza), risorse per la ricerca e lo sviluppo, innovazione nella P.A. e incentivi «selettivi» che perseguano primariamente la realizzazione contestuale di uno sviluppo industriale secondo i paradigmi della Green Economy e l'investimento nell'agricoltura di precisione;
    ad assicurare che Industria 4.0 sia affiancato a Lavoro 4.0, come chiedono unanimemente i sindacati italiani. Non solo gli aspetti di innovazione tecnologica devono divenire centrali ma i temi della formazione e delle competenze, quello degli orari, della loro gestione, di una diversa redistribuzione e di nuove possibilità di riduzione, anche per fronteggiare efficacemente i rischi di disoccupazione tecnologica;
   per quanto concerne le privatizzazioni:
    ad evitare ulteriori privatizzazioni dirette o indirette (via Cassa Depositi e Prestiti) di asset pubblici per fare cassa, comunque irrilevanti ai fini della sostenibilità del nostro debito pubblico, ed a finalizzare, in ogni caso, i relativi proventi agli investimenti pubblici piuttosto che alla riduzione del debito;
   per quanto riguarda i diritti di cittadinanza:
    a valutare la possibilità nella sua autonomia, di porre la fiducia sulla proposta di legge in materia di Ius soli per farla approvare entro la fine di questa legislatura;
   per quanto riguarda il lavoro:
    a finanziare un piano straordinario del lavoro per centinaia di migliaia nuovi posti di lavoro per un Green New Deal collegato alla realizzazione di 5 mila cantieri pubblici per le piccole opere e alla riconversione ecologica (quali la rigenerazione delle periferie, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, pranzi bio nelle scuole e negli ospedali, ecc...) ed anche attraverso una serie di misure specifiche come: lo sblocco delle assunzioni delle pubbliche amministrazioni a partire dei settori della ricerca, dell'università, del sistema formativo, dei vigili del fuoco, partendo dalla stabilizzazione di 1.000 unità facenti capo alla categoria dei Vigili del Fuoco precari, con «l'imponibile di manodopera» sugli appalti pubblici, un piano speciale per il lavoro di cittadinanza di 50 mila giovani nei servizi sociali del welfare locale, il sostegno ai contratti di solidarietà espansiva per ridurre l'orario di lavoro ed aumentare l'occupazione;
    invertire la rotta imboccata con il Jobs Act favorendo l'occupazione stabile con misure che agiscano come leve per la creazione di nuovi posti di lavoro, come proposto da Sinistra Italiana-Possibile con il programma Green New Deal, e ripristinando la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori, approvando un Nuovo Statuto dei Lavoratori anche tenendo conto delle proposte contenute nella proposta di legge d'iniziativa popolare promossa dalla Cgil;
    a contrastare la precarietà bloccando tutte quelle forme di stage, tirocini, che di fatto sono coperture per lavori non pagati o sottopagati, regolando i lavori della gig economy attraverso l'introduzione di tutele per i lavoratori, rivedendo la disciplina dei contratti a termine per frenare il loro dilagare e sanzionare le imprese che alla fine degli incentivi licenziano il lavoratore; stabilendo un salario orario minimo a sostegno della contrattazione collettiva e determinato in maniera congrua in modo da non permettere che nessuno sia pagato meno della metà del salario orario medio risultato tale dalle osservazioni periodiche dell'ISTAT;
    a perseguire, quali fattori di sviluppo economico e sociale, strutturali scelte politiche e industriali che permettano ai giovani laureati e ai ricercatori di restare a lavorare in Italia e che siano in grado di attrarre giovani con queste caratteristiche dall'estero, almeno in numero sufficiente a compensare gli italiani che vanno via;
    nel settore degli ammortizzatori sociali, ad intervenire con provvedimenti mirati in quanto il perdurare della crisi economica, fa avvertire l'insufficienza di un unico strumento, quale la NASpI, che non appare in grado di coprire tutte le situazioni di criticità cui, nel passato, facevano fronte anche gli ammortizzatori sociali in deroga e l'istituto della mobilità, ed a prendere le opportune misure al fine di consentire a quei disoccupati che hanno beneficiato degli ammortizzatori sociali nel 2016 di poter percepire altre misure di sostegno a partire dal 2017;
    a rivedere le disposizioni che hanno reso oneroso e difficoltoso l'accesso alla giustizia nelle procedure giudiziarie concernenti il diritto del lavoro;
    a potenziare gli organici di INPS, Inail ed ex Direzioni Territoriali del Lavoro per quanto concerne le ispezioni sui luoghi di lavoro, ovvero dotando l'organico dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro del numero necessario di personale dedicato all'attività ispettiva ma contemporaneamente risolvendo l'ambiguità dell'INL medesimo, sinora mera contorsione burocratica che non ha semplificato e ha mantenuto distinte le tre strutture, senza una reale unificazione informativa e senza una effettiva direzione unitaria;
   per quanto concerne l'istruzione, la formazione e la ricerca:
    a ritirare il decreto ministeriale sulla sperimentazione dei percorsi quadriennali di istruzione secondaria di secondo grado varato nell'agosto del 2017, abbandonando esigenze di puro «allineamento» ad altri Paesi europei che potrebbero solo produrre una pericolosa frattura con bisogni e tradizioni della cultura italiana, sia scientifica sia umanistica;
    a proseguire il percorso già intrapreso del programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e ad assumere iniziative per elevare, in prospettiva, l'attuale spesa per investimenti in ricerca e sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo, anche al fine di accrescere i livelli di occupazione e benessere sociale del nostro Paese, e per adeguare nell'immediato i finanziamenti al sistema pubblico di formazione e ricerca alla media dei Paesi OCSE, del 2,2 per cento, ripristinando i fondi PRIN (progetti di rilevante interesse nazionale) e FIRB (fondo per gli investimenti della ricerca di base);
    a prevedere un piano straordinario triennale di assunzioni negli Enti Pubblici di Ricerca di ricercatori e tecnologi a tempo indeterminato valutando l'opportunità di dare priorità a chi ha prestato servizio con qualsiasi tipo di contratto per più di 36 mesi anche non continuativi e relativi stanziamenti;
    ad introdurre una riforma del sistema universitario che preveda il superamento del test di ammissione, in quanto l'accesso agli studi universitari deve essere pienamente libero, ed a prevedere l'assunzione dei docenti necessari a coprire i nuovi fabbisogni derivanti dalle immatricolazioni conseguenti all'abolizione del numero chiuso, in modo da ridare prospettiva al sistema universitario e alla formazione dei cittadini nel suo complesso;
    ad assumere iniziative per sospendere dal 2017, in ambito universitario, il meccanismo di contingentamento delle assunzioni, eliminando dalla normativa ogni limitazione del turnover, al fine di assicurare il ricambio generazionale per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica;
    ad assumere iniziative per definire un percorso post-dottorato, che recepisca quanto stabilito dalla Carta europea dei ricercatori ed a individuare, nell'ambito di un percorso di valorizzazione delle risorse umane nel settore dell'Università e Ricerca, strategie per l'assunzione in ruolo di ricercatori a tempo determinato sia di tipo A che di tipo B in possesso di abilitazione scientifica nazionale, in coerenza con il dettato costituzionale, dare priorità a chi ha prestato servizio per più di 36 mesi anche non continuativi;
    ad avviare nella scuola un piano pluriennale di assunzioni a tempo indeterminato di docenti e ATA a partire da un piano straordinario di stabilizzazioni capace di contrastare il fenomeno del precariato storico e di evitarne la sua ricostituzione, che garantisca un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento. È necessario, oltre che procedere con urgenza all'assunzione a tempo indeterminato del personale Docente ed Ata, sia sui posti vacanti che per il turn over, superare il blocco delle supplenze in sostituzione del personale amministrativo tecnico e ausiliario assente e provvedere ai distinti bandi di concorso per DSGA ordinario e riservato, dato che ci sono ad oggi 1.476 posti vacanti;
    a definire un sistema di welfare studentesco nazionale che garantisca l'effettiva rimozione degli ostacoli di natura economica per gli studenti capaci e meritevoli, consentendo loro di accedere e completare i corsi di studio universitario e ad avviare un regime sperimentale che riconosca il reddito di formazione a tutti quegli studenti che vivono in condizioni economiche particolarmente disagiate;
    a prevedere un adeguato incremento delle risorse a disposizione del Fondo per il diritto allo studio pari almeno a 200 milioni di euro a decorrere dal 2018, al fine di rendere effettivo su tutto il territorio nazionale il diritto allo studio universitario;
    ad adottare un piano straordinario di finanziamenti strutturali per il diritto allo studio al fine di raggiungere la copertura totale dei fondi destinati alle borse di studio da erogare a tutti gli idonei e risolvere definitivamente il diffuso ed inaccettabile fenomeno degli idonei non vincitori di borsa;
   per quanto riguarda la politica fiscale:
    a continuare nel processo di razionalizzazione della spesa pubblica a fini di risparmio, riducendo in particolare le spese militari e per i sistemi d'arma, per le grandi opere, le agevolazioni perverse alle imprese, ma riprendendo le assunzioni (soprattutto qualificate) nel settore pubblico;
    a ridurre le tasse alle famiglie e alle imprese che oggi le pagano correttamente, e non ridurre la pressione fiscale complessiva, dati i vincoli di bilancio esistenti, il che implica la necessità di recuperare evasione da destinare alla riduzione delle imposte con le proposte avanzate dal NENS (come la fatturazione elettronica), di cui il Governo ha accolte le meno incisive, reintroducendo anche il reato di falso in bilancio e l'elenco clienti-fornitori;
    ad abbandonare una politica fiscale che tra bonus vari, incentivi, detassazioni settoriali o mirate, ecc. insegue le pressioni delle lobby e distrugge ogni logica di coerenza del sistema fiscale;
    a modificare la propria politica fiscale, facendo emergere le diverse capacità economiche dei contribuenti, per sostenere lo sviluppo e redistribuire il reddito, contrastando l'evasione fiscale ed il lavoro sommerso, attraverso:
     l'introduzione di un'imposta sui grandi patrimoni e la rimodulazione delle aliquote dell'imposta sulle successioni e donazioni;
     l'allargamento della base imponibile dell'imposta sulle transazioni finanziarie (cosiddetta Tobin tax), estendendola alle azioni, alle obbligazioni (tra cui i Titoli di Stato scambiati sul mercato secondario) ed a tutti gli strumenti derivati;
     l'introduzione nell'ordinamento giuridico della cosiddetta web-tax;
     l'accentuazione della progressività fiscale dell'IRPEF con la previsione di un'ulteriore aliquota per lo scaglione di redditi oltre i 100.000 euro;
     l'assoggettamento alla TASI degli immobili di pregio adibiti ad abitazione principale;
     l'abolizione del regime fiscale di favore per attrarre capitali stranieri (cosiddetta flat tax);
     l'inasprimento delle pene attualmente previste per il reato di falso in bilancio;
     la conclusione dell’iter di revisione delle rendite catastali;
     a stabilire il limite dei pagamenti in contanti a 500 euro e stimolare i pagamenti cashless riducendo le commissioni per le carte di debito e le carte di credito rispettivamente a 0,10 per cento e 0,15 per cento, ex articoli 3 e 4 del Regolamento UE n. 751/2015;
   per quanto concerne il contrasto alla povertà:
    a prevedere uno stanziamento complessivo a regime non inferiore ai 7 miliardi di euro per finanziare in maniera adeguata il reddito di inclusione come unico strumento vigente a carattere strutturale, efficace di contrasto alla povertà sia assoluta che relativa e di reinserimento nella società, allo scopo di affrontare strategicamente la povertà e la disoccupazione, auspicando una ricalibrazione delle politiche attive, volte a valorizzare la professionalità del lavoratore, dando così luogo a un vero e proprio reddito minimo garantito;
   per quanto concerne il settore previdenziale:
    prevedere interventi per ristabilire la solidarietà interna al sistema pensionistico, mediante il principio della flessibilità di accesso alla pensione di vecchiaia, riportando l'anzianità contributiva richiesta a 40 anni, tenendo conto che la spesa pensionistica per ogni singolo soggetto non muta all'interno del regime contributivo; introdurre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi, al fine di eliminare le diseguaglianze derivanti dal rapporto intercorrente tra l'età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività; eliminare le diseguaglianze e le conseguenze negative delle riforme pensionistiche degli ultimi anni sulle donne tenendo conto del lavoro di cura, casalingo e della maternità; introdurre meccanismi di rafforzamento dei percorsi contributivi dei lavoratori discontinui; aumentare la concorrenza nel settore della previdenza integrativa, istituendo una forma di previdenza complementare pubblica presso INPS;
   per quanto concerne il diritto alla salute:
    ad assumere le necessarie misure per garantire l'effettiva universalità del Servizio sanitario nazionale al fine di raggiungere l'obiettivo di una spesa sanitaria al 7 per cento di incidenza sul PIL in particolare attraverso il finanziamento dei Livelli Essenziali di Assistenza del Fondo per la non autosufficienza, l'eliminazione del super-ticket, la riduzione delle liste di attesa, avviando il superamento del blocco del turn over nel comparto sanitario; individuando risorse adeguate a garantire il rinnovo dei contratti e per la stabilizzazione dei precari;
    attuare un contrasto efficace alla corruzione e agli sprechi nel comparto sanitario destinando le maggiori risorse: ai farmaci innovativi, alla cura delle malattie croniche, all'aumento delle risorse per la non autosufficienza, alla garanzia dell'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale della legge n. 194 in materia di interruzione volontaria di gravidanza;
   per quanto concerne le politiche abitative:
    ad assumere misure finanziarie efficaci in materia di politiche abitative per l'incremento dell'offerta di alloggi di edilizia residenziale pubblica anche prevedendo l'istituzione di un apposito fondo presso la Cassa depositi e prestiti per il sostegno di programmi da parte dei Comuni al recupero di immobili pubblici inutilizzati del demanio civile e militare ai fini di edilizia residenziale pubblica da destinare alle famiglie collocate nelle graduatorie comunali per l'accesso ad alloggi a canone sociale e per famiglie con sfratto eseguito o da eseguire per morosità incolpevole;
    a rifinanziare il fondo contributo affitto di cui all'articolo 11 della legge 9 dicembre 1998 n. 431, e ad incrementare il fondo per la morosità incolpevole;
    a implementare la cabina di regia istituita dalla Circolare 1o settembre 2017 del Ministro dell'interno, prevedendo la partecipazione dei rappresentanti dei Ministeri delle infrastrutture trasporti e dell'economia e delle finanze, nonché dell'Agenzia del demanio, dell'associazione degli enti gestori di edilizia residenziale pubblica «Federcasa» e dei sindacati inquilini, affinché il piano, ivi previsto, per l'effettivo utilizzo e riuso a fini abitativi, che dovrà tener conto anche delle necessarie risorse finanziarie, possa essere attivato con la partecipazione di tutti i soggetti interessati;
    ad adottare un piano di smaltimento dei non performing loans degli istituti di credito che si basi sull'acquisizione da parte di un fondo pubblico dei crediti deteriorati con garanzia reale, al fine di destinare ad uso sociale gli immobili sottostanti;
   per quanto concerne le politiche migratorie:
    a sostenere, in sede europea, la riforma del Regolamento di Dublino;
    a reintrodurre per i richiedenti asilo il diritto ad un ricorso effettivo, ed a abbandonare nei fatti l'approccio repressivo al fenomeno ed a chiudere i centri hotspot ove si consuma una sistematica violazione dei diritti umani delle persone migranti;
    a procedere ad una ampia e organica revisione delle strategie dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del testo unico sull'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti ed a prevedere vie legali alla migrazione anche di origine economica o climatica;
    ad instaurare, parallelamente, una cooperazione mirata e rafforzata con i Paesi di origine e transito dei flussi, che preveda un piano di investimenti non finalizzati a rafforzare le milizie e le Forze di polizia e militari locali per fronteggiare, invece, le cause di fondo del fenomeno, la ricerca di condizioni di vita dignitose, della sicurezza, di uno sviluppo sostenibile.
(6-00353) «Marcon, Pastorino, Fratoianni, Pellegrino, Paglia, Fassina, Airaudo, Brignone, Civati, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Placido».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

finanziamento pubblico

investimento pubblico