PDL 1645

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1645

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
GRIBAUDO, ASCANI, BAKKALI, BOLDRINI, BRAGA, DE MICHELI, DI BIASE, FERRARI, FORATTINI, GHIO, GUERRA, IACONO, MADIA, MALAVASI, MANZI, MARINO, QUARTAPELLE PROCOPIO, ROGGIANI, SARRACINO, SCARPA, SCOTTO, SERRACCHIANI

Disposizioni per favorire l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere

Presentata l'11 gennaio 2024

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Onorevoli Colleghi! – La violenza di genere non è un fatto privato ma collettivo, perché si tratta di un fenomeno ampio, diffuso e strutturale. Per questa ragione è compito delle istituzioni dare una risposta alla necessità di riscatto di ciascuna donna che ogni giorno trova il coraggio di denunciare il partner attuale o l'ex partner, garantendo la massima tutela della sua incolumità e la possibilità di ricostruirsi nel minor tempo possibile una propria quotidianità distante dal suo aggressore. Il lavoro è certamente uno dei pilastri di questa opera di ricostruzione. È infatti fondamentale assicurare un'indipendenza economica alle donne che denunciano, anche se vanno adottate, proprio per la particolare specificità di queste situazioni, una serie di tutele.
Quasi la metà delle donne che hanno avviato un percorso di uscita da una violenza subita non è economicamente autonoma. Infatti, tra le 15.559 donne che nel 2020 hanno iniziato un percorso personalizzato di uscita dalla violenza, solo il 35,5 per cento era occupato stabilmente, mentre il 48,7 per cento risultava non autonomo. I dati raccolti dai consulenti del lavoro evidenziano quanto il lavoro e l'occupazione femminile siano un valido argine contro la violenza perché l'indipendenza economica può consentire alle donne di sottrarsi a vincoli sgraditi e libertà di scelta e di movimento.
In Italia, le politiche per l'inserimento lavorativo o il mantenimento dell'occupazione rivolte alle donne vittime di violenza sono poche e frammentarie. Nello specifico, per favorire l'inserimento lavorativo sono stati finanziati in maniera disorganica, generalmente a livello regionale, percorsi di formazione professionale, tirocini, attività di avvio all'autoimprenditorialità, a cui si sommano gli sgravi contributivi per le imprese – introdotti sperimentalmente a livello nazionale – per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato di donne che hanno subìto violenza.
Inizialmente l'onere di accompagnare le donne e orientarle nel mercato del lavoro è stato delegato ai centri antiviolenza (CAV) ai sensi dell'intesa del 17 novembre 2014, in sede di Conferenza unificata, stabilendo che i CAV stessi avrebbero dovuto garantire l'orientamento al lavoro «attraverso informazioni e contatti con i servizi sociali e con i centri per l'impiego per individuare un percorso di inclusione lavorativa verso l'autonomia economica». Tale indicazione è stata successivamente integrata dal Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere 2015-2017, che si proponeva di favorire l'inserimento e il reinserimento lavorativo delle donne attraverso la promozione di un «modello integrato di intervento» basato sul coinvolgimento di tutti gli attori della rete dei servizi territoriali.
Le prime risorse del Piano nazionale antiviolenza destinate ad attività per l'inserimento lavorativo sono state ripartite tra le regioni nel novembre 2016, permettendo ai territori di finanziare interventi per un totale di 3,6 milioni di euro.
Ulteriori 4,4 milioni di euro sono stati messi a bando nel luglio 2017, mentre a partire dal 2019 la Ministra per le pari opportunità e la famiglia ha deciso di delegare definitivamente alle regioni la programmazione dei fondi per supportare l'indipendenza socioeconomica delle donne. Nello specifico, si è stabilito di trasferire circa 10 milioni di euro annui alle amministrazioni regionali. È però oggi evidente che l'assenza di una normativa nazionale con chiare indicazioni sugli interventi minimi che ciascuna regione deve garantire per promuovere l'inserimento o il reinserimento lavorativo determina forti squilibri territoriali in termini di opportunità per le donne.
Per garantire il mantenimento dell'occupazione il Governo italiano ha poi approvato il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, grazie al quale le donne vittime di violenza di genere, inserite nei percorsi di protezione certificati dai servizi sociali del comune di residenza, dai centri antiviolenza o dalle case-rifugio, possono richiedere un'astensione dal lavoro di tre mesi. L'istanza può essere presentata dalle lavoratrici dipendenti e titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sia del settore privato sia del settore pubblico (articolo 24). Si tratta di uno strumento di natura strutturale, ovvero istituito per legge e introdotto all'interno dell'ordinamento nazionale che disciplina le politiche per il lavoro.
La principale normativa nazionale in materia di prevenzione e contrasto della violenza maschile contro le donne, ossia il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, non prevede però alcuna disposizione riguardante la necessità di investire e realizzare azioni per promuovere l'inserimento o il reinserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere. Nel corso della XVIII legislatura, il tema è stato affrontato in un ordine del giorno presentato dall'onorevole Fragomeli e accolto dal Governo (9/01455-A/002), a conclusione dell'esame parlamentare del disegno di legge recante «Modifiche al codice di procedura penale: disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere» (atto Camera n. 1455). In seguito, nel mese di aprile 2022 la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati è giunta all'approvazione del testo unificato recante «Disposizioni per l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere» (C. 1458 Frassinetti, C. 1791 Fragomeli, C. 1891 Spadoni, C. 2816 Bruno Bossio, C. 3404 De Lorenzo e C. 3483 Polidori). Nel mese di maggio 2022 la Commissione ha votato gli emendamenti al provvedimento, ma l'iter parlamentare non si è potuto concludere a causa della fine anticipata della legislatura. È dunque assolutamente necessario portare a termine in tempi brevi un nuovo intervento legislativo nazionale che promuova l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere come strumento importante nei percorsi di recupero, a tutela dei loro diritti costituzionali in materia di emancipazione economica, autorealizzazione di sé e socialità.
Il testo base approvato nella precedente legislatura prevedeva di attribuire una quota di riserva sul numero di dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati in favore delle donne vittime di violenza di genere, in analogia a quanto già previsto in favore degli orfani delle vittime di femminicidio dalla legge 11 gennaio 2018, n. 4, estendendo loro l'applicazione dell'articolo 18 della legge 12 marzo 1999, n. 68.
Tuttavia, come è emerso nelle recenti audizioni, questo approccio appare in parte problematico poiché finisce per equiparare le donne che hanno subìto violenza a chi presenta ridotte capacità lavorative. Pur trattandosi di soggetti fragili, vissuti anche per lunghi periodi di tempo in situazioni difficili che hanno minato la loro autostima e autonomia, sarebbe un errore per questo identificarle con ciò che hanno vissuto. Al contrario, la loro condizione di impossibilità a svolgere il proprio lavoro dovrebbe essere considerata temporanea.
Occorre inoltre ricordare che il citato articolo 18 della legge n. 68 del 1999 attende sin dalla sua introduzione di essere riformato tramite una «disciplina organica» di cui ancora non si ha traccia. In base a tale orientamento, sarebbe del tutto preferibile intervenire per normare compiutamente il diritto al lavoro delle «categorie protette», in modo distinto rispetto a quello delle persone con disabilità, con procedure diverse e specifiche per quanto concerne gli strumenti di supporto e di accompagnamento al lavoro.
La presente proposta di legge parte quindi dalla convinzione che sia un errore l'equiparazione delle vittime di violenza di genere ai soggetti con disabilità poiché occorre in ogni modo evitare assolutamente il rischio di medicalizzazione della loro condizione e di vittimizzazione secondaria. Servono piuttosto percorsi individuali flessibili e tutelati costruiti da professionalità competenti.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, in particolare attraverso il programma nazionale giovani, donne e lavoro inserito nella missione 5, prevede proprio la costruzione di un sistema di presa in carico dei disoccupati e delle persone in transizione occupazionale che per almeno il 75 per cento dovrà essere rivolto ai soggetti vulnerabili, tra cui le donne. È previsto inoltre l'avvio di progetti sperimentali dedicati alle forme di occupazione cosiddetta «protetta», come percorsi di accompagnamento dedicato anche per i disoccupati più fragili che può quindi garantire un'idonea rispondenza alle esigenze delle donne vittime di violenza. Nello specifico il Programma nazionale per la garanzia occupabilità dei lavoratori (GOL) prevede la collaborazione con la rete di servizi sul territorio (educativi, sociali, socio-sanitari, di conciliazione eccetera) nei casi di bisogni complessi, cioè in presenza di ostacoli e barriere che vanno oltre la dimensione lavorativa così come per le persone che sono più lontane dal mondo del lavoro, definite con bassa occupabilità, proprio per favorirne l'inclusione lavorativa e sociale. Attuando correttamente il piano e finanziando, con le adeguate risorse, i centri antiviolenza e quelli per l'impiego potranno attivare una specifica presa in carico delle donne partendo dalla profilazione della persona attraverso la costruzione di percorsi personalizzati di riqualificazione delle competenze e di accompagnamento al lavoro.
I tragici fatti di cronaca del 2023 hanno visto una giusta e condivisibile proliferazione dell'attività legislativa per colmare le lacune degli strumenti di tutela delle vittime. Tuttavia, l'approccio al tema deve essere complessivo e non parziale, come previsto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul l'11 maggio 2011, e ogni intervento deve essere adottato in coerenza con la cornice delineata dal piano nazionale antiviolenza, che già prevede l'adozione di protocolli tra istituzioni, imprenditoria e centri antiviolenza per il reinserimento lavorativo delle vittime nonché l'attivazione di percorsi di formazione di eccellenza. La presente proposta di legge, dunque, punta al rafforzamento degli strumenti e degli incentivi per garantire una stabile occupazione ma non può ignorare la necessità di rafforzare lo strumento del reddito di libertà, l'unico che oggi assicura alle donne vittime di violenza un'autonomia economica nell'immediato e che quindi può consentire di non perdere il lavoro o di ritrovarlo una volta stabilizzata la propria condizione. Con la legge 30 dicembre 2023, n. 213, le opposizioni hanno impiegato le risorse parlamentari previste dalla legge di bilancio per rendere strutturale il finanziamento del reddito di libertà nella somma di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024-2026 e di 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2027 (articolo 1, comma 187). Tuttavia, questa somma, allo stato attuale, permetterebbe solo al 10 per cento della platea di beneficiarie di accedere alla misura ed è per questo che l'articolo 2 prevede un incremento delle risorse annue da stanziare. Solo l'insieme di queste misure può davvero rappresentare la messa in campo di un sistema adeguato ed esaustivo di tutele.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità e ambito di applicazione)

1. La presente legge reca disposizioni per favorire l'inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere, beneficiarie di interventi di protezione, debitamente certificati dai servizi sociali, dai centri antiviolenza o dalle case-rifugio di cui all'articolo 5-bis del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119.

Art. 2.
(Incremento del fondo per il reddito di libertà)

1. Al fine di favorire, attraverso l'indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza, il fondo di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è incrementato di 15 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024. Le risorse stanziate ai sensi del primo periodo sono impiegate al fine di ampliare la platea dei beneficiari del reddito di libertà istituito dall'articolo 105-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e conseguentemente ripartite alle regioni in base ai dati relativi al numero di donne accolte presso le strutture antiviolenza nell'anno precedente presenti nel territorio, su proposta del Ministro delegato per le pari opportunità e la famiglia, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. Agli oneri derivanti dal comma 1, pari a 15 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

Art. 3.
(Sgravio contributivo per l'assunzione di donne vittime di violenza di genere)

1. A decorrere dal 1° luglio 2024, lo sgravio contributivo previsto dall'articolo 1, comma 220, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, si applica, nel limite di spesa di 5 milioni di euro annui, a tutti i datori di lavoro privati che assumono, con contratto di lavoro a tempo determinato di durata superiore a un anno o indeterminato, donne vittime di violenza di genere di cui all'articolo 1 della presente legge.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'interno, sono stabilite le modalità di attuazione del comma 1 anche al fine di favorire, per le aziende che beneficiano dello sgravio contributivo, la formazione e la sensibilizzazione del personale sul tema della violenza maschile contro le donne, da strutturare in collaborazione con centri antiviolenza e case rifugio e con il supporto delle associazioni di categoria, come previsto dalla Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro n. 190 sull'eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 e ratificata ai sensi della legge 15 gennaio 2021, n. 4.
3. Agli oneri derivanti dall'attuazione del comma 1, pari a 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione delle risorse del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

Art. 4.
(Modifiche al Programma nazionale per la garanzia occupabilità dei lavoratori)

1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla data di approvazione della presente legge, apporta le opportune modifiche al Programma nazionale per la garanzia occupabilità dei lavoratori, di cui al decreto del medesimo Ministro 5 novembre 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 306 del 27 dicembre 2021, inserendo esplicitamente le donne vittime di violenza tra i beneficiari del Programma, favorendo la costruzione di percorsi dedicati in grado di realizzare un bilancio di competenze della vittima, di garantire la sua riqualificazione e l'accompagnamento al reinserimento nel mondo del lavoro e prevedendo l'introduzione di moduli di formazione obbligatoria, da strutturare in collaborazione con i centri antiviolenza, sul tema della violenza contro le donne da rivolgere al personale dei centri per l'impiego pubblici e privati, di servizi e agenzie per la formazione e il lavoro.
2. I centri per l'impiego adottano le opportune misure di protezione al fine di garantire la riservatezza dei dati dei soggetti di cui al comma 1.

Art. 5.
(Estensione del congedo indennizzato)

1. All'articolo 24 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole: «periodo massimo di tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «periodo massimo di sei mesi»;

b) al comma 2, le parole: «superiore a tre mesi» sono sostituite dalle seguenti: «superiore a sei mesi»;

c) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. Le lavoratrici autonome inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio di cui all'articolo 5-bis del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, hanno diritto a recedere da tutti i contratti in atto senza penale e alla sospensione dei pagamenti delle imposte e dei contributi previdenziali per motivi connessi al suddetto percorso di protezione per un periodo massimo di sei mesi».

Art. 6.
(Linee guida nazionali in materia di inserimento lavorativo)

1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro delegato per le pari opportunità e la famiglia, adotta le linee guida nazionali in materia di inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere garantendo accesso alle stesse opportunità di formazione e di reinserimento lavorativo indipendentemente dal luogo di domicilio o residenza e finanziamenti adeguati al fabbisogno delle singole regioni, al fine di:

a) favorire la costruzione di percorsi integrati che, accanto all'accesso agevolato o a fondo perduto al credito, prevedano altresì corsi di alfabetizzazione finanziaria, formazione specialistica, servizi di tutoraggio e assistenza tecnica personalizzata e continuativa;

b) fornire opportunità formative diversificate e personalizzate, gratuite o economicamente accessibili, che rispondano alle esigenze lavorative di imprese e società cooperative nonché della pubblica amministrazione;

c) prevedere una capillare diffusione delle informazioni riguardanti gli incentivi per promuovere l'occupazione di donne vittime di violenza di genere sia per le imprese e le società cooperative, soprattutto di piccole dimensioni, sia per la popolazione generale;

d) introdurre criteri prioritari di accesso ai servizi pubblici per la gestione dei carichi di cura e per promuovere la mobilità geografica delle donne vittime di violenza;

e) introdurre l'obbligo di formazione per il personale dirigenziale tra i criteri previsti per l'ottenimento della certificazione per la parità di genere, istituita dalla legge 5 novembre 2021, n. 162, in collaborazione con le strutture antiviolenza e con il supporto delle associazioni di categoria, ai sensi della legge 15 gennaio 2021, n. 4;

f) monitorare l'utilizzo dello strumento della ricollocazione delle dipendenti della pubblica amministrazione, previsto dal comma 6 dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e valutare, anche attraverso il finanziamento di sperimentazioni, l'eventuale replicabilità a favore delle lavoratrici di aziende e imprese private con due o più sedi di lavoro dislocate in diverse regioni del territorio nazionale;

g) elaborare una mappatura delle pratiche già esistenti, effettuando una valutazione approfondita e integrando la richiesta dei dati che provengono dai centri per l'impiego, al fine di monitorare l'efficacia delle disposizioni introdotte dalla presente legge.

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