PDL 853

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 853

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato SPERANZA

Modifica all'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, concernente misure per contrastare la delocalizzazione delle attività produttive

Presentata il 3 luglio 2018

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Onorevoli Colleghi! — Sempre più spesso gli organi d'informazione tornano a parlare di uno dei fenomeni correlati al diffondersi del libero mercato.
Si tratta della delocalizzazione, processo che consiste nella dislocazione dei processi produttivi in aree geografiche diverse rispetto a quelle in cui un'azienda ha sempre operato. È così che un ipotetico fiore all'occhiello industriale di una data nazione, storicamente noto per il contributo sociale elargito mediante l'offerta di lavoro messa a disposizione della collettività, decide di «abbassare le saracinesche» per rialzarle altrove. In nome del profitto, dunque, l'azienda tradisce la propria funzione sociale. E là dove un tempo c'erano produttività e lavoro, d'un tratto si crea un vuoto dovuto a inoperosità e disoccupazione.
Con riferimento al fenomeno della delocalizzazione, nel 2013 il legislatore è intervenuto nell'ambito della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) attraverso alcune disposizioni – e segnatamente i commi 60 e 61 dell'articolo 1 – ove si dispone sulla decadenza dai benefìci ricevuti per le imprese che delocalizzano la propria produzione.
Più in particolare, tali disposizioni prevedono che le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato in un Paese non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento, decadono dal beneficio stesso e hanno l'obbligo di restituire i contributi in conto capitale ricevuti. La disposizione è efficace per i contributi erogati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge. Infine si prevede che i soggetti erogatori dei contributi disciplinino le modalità e i tempi di restituzione dei contributi.
Appare evidente come l'effetto applicativo della normativa sia fortemente limitato da due presupposti precisi: il primo, che l'impresa abbia delocalizzato la propria produzione dal sito incentivato a un Paese non appartenente all'Unione europea; il secondo, che la delocalizzazione abbia comportato una riduzione del personale pari almeno al 50 per cento.
Per quanto riguarda il primo punto bisogna osservare che la crisi italiana ha rafforzato la delocalizzazione soprattutto nell'Europa orientale.
Esaurita la spinta propulsiva di quel «capitalismo molecolare» fatto di piccole e medie imprese legate al proprio territorio, le nostre aziende si rivolgono all'estero.
La destinazione preferita non sono i Paesi extraeuropei ma l'oriente europeo, entrato nelle cronache economiche dagli anni novanta e che oggi conferma una centralità difficile da scalzare.
Il plumbeo quadriennio 2008-2012 ha soltanto rafforzato la spinta a est delle nostre aziende, tra recessione, crisi economica, spread in ascesa costante e instabilità di governo, con buona pace dei recenti dibattiti sulla deglobalizzazione. Su questo fronte un dato di partenza è inequivocabile. Il capitalismo export led delle piccole e medie imprese è antropologicamente cambiato dopo essere stato la base dell'apertura dei mercati globali dagli anni settanta, garantendo al tempo stesso la sopravvivenza del mercato interno. Un capitalismo trasformato, che per resistere è obbligato a puntare sui flussi internazionali della competenza, dell'innovazione e della conoscenza.
I fattori che rendono appetibile e sicuro il trasferimento delle produzioni in Europa orientale sono la diffusione di percorsi formativi specialistici, l'aumento del numero di lavoratori in formazione continua, i mercati interni in crescita e il rafforzamento delle istituzioni.
L'est europeo del 2012 ha decretato la morte di un mito: quello della specializzazione polarizzata tra produzione ad alta competenza controllata dai Paesi avanzati e produzione di bassa qualità destinata ai Paesi di delocalizzazione.
Per quanto il fenomeno sia di difficile mappatura – complice la penuria di analisi sistematiche di lungo periodo – alcuni indicatori utili esistono. Tra le aziende insediatesi oltre Adriatico, quelle con un fatturato superiore a 2,5 milioni di euro sono 4.000, sono di provenienza prevalentemente settentrionale e rappresentano un quinto della presenza imprenditoriale italiana nel mondo. A cambiare rotta scegliendo l'est sono le imprese che un tempo erano l'ossatura dello sviluppo industriale italiano basato sui distretti e sulle «tre C»: comunità, campanile e capannone.
Queste aziende sono obbligate oggi a riconfigurare aspettative nazionali e progettualità globali.
A venti anni dall'apertura dei mercati dell'est Europa, la geografia dei flussi produttivi e distributivi italiani va drasticamente cambiando.
Le imprese nostrane radicate tra Balcani e spazio post-sovietico confermano che sta emergendo un capitalismo caratterizzato da nuove relazioni con i territori locali. Il punto critico è proprio questo. Qual è la proiezione strategica delle élite imprenditoriali che scelgono di delocalizzare? La questione dell'attitudine al rientro delle élite d'impresa internazionalizzate resta innegabilmente aperta. I dati parlano chiaro: quasi nessuno fa ritorno. La grande maggioranza delle aziende italiane che scelgono di spostare a est i propri impianti produttivi porta via anche il capitale materiale e immateriale di competenze che hanno fatto grande il made in Italy.
Cosa è accaduto? In un primo tempo la politica economica dei Paesi ex sovietici ha cercato di attirare investimenti utilizzando il dumping fiscale, tassi di cambio vantaggiosi, scarsi oneri sociali e deroghe nell'applicazione delle normative ecologiche. Negli anni più recenti, invece, ad attrarre i capitali italiani è stata anche l'emersione di un bacino di lavoratori sempre più professionalizzato e a basso costo. La crescita esponenziale delle competenze ad alta specializzazione ha trasformato l'Europa orientale da piattaforma di riesportazione in luogo di produzione e di consumo interni.
Questi elementi suggeriscono di porre più attenzione al rapporto tra delocalizzazione e impatto sul tessuto produttivo italiano.
Il secondo punto riguarda, invece, la circostanza che tale delocalizzazione debba comportare una riduzione del personale pari almeno al 50 per cento, il che ovviamente non assicura quell'esigenza di salvaguardia e di protezione sociali dei livelli di occupazione dell'impresa che abbia avviato procedure di delocalizzazione della propria attività produttiva.
La presente proposta di legge, costituita da un solo articolo, prevede la sostituzione dei citati commi 60 e 61 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, disponendo che per i contributi erogati a decorrere dalla data di entrata in vigore della disposizione le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale ed entro tre anni dalla concessione degli stessi delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato presso uno Stato non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione o messa in mobilità del personale, decadono dal beneficio stesso e hanno l'obbligo di restituire i contributi in conto capitale ricevuti, con applicazione degli interessi legali, anche laddove la delocalizzazione avvenga tramite cessione di ramo d'azienda o di attività produttive appaltati a terzi, con riduzione o messa in mobilità del personale dell'impresa.
Inoltre, si propone, alla stregua delle linee tracciate dalla cosiddetta «legge Florange» approvata in Francia nel 2014, che le imprese italiane ed estere con almeno 1.000 dipendenti non possano delocalizzare la propria produzione dal sito incentivato presso uno Stato anche appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione o messa in mobilità del personale, prima di aver trovato un nuovo acquirente che garantisca la continuità aziendale e produttiva, nonché il mantenimento dei livelli occupazionali dell'impresa stessa.
Nel caso di mancato rispetto di tale obbligo, le imprese interessate dovranno restituire al soggetto erogatore i contributi in conto capitale ricevuti negli ultimi cinque anni, con applicazione degli interessi legali e di una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 2 per cento del fatturato conseguito negli ultimi cinque anni.
Si propone, infine, che le somme derivanti dall'applicazione della sanzione amministrativa affluiscano in un apposito fondo, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, finalizzato a sostenere le imprese che assumono lavoratori posti in mobilità da imprese che hanno delocalizzato la propria produzione attraverso il riconoscimento di appositi incentivi.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Il comma 60 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è sostituito dai seguenti:

«60. Per i contributi erogati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale, qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione o messa in mobilità del personale, decadono dal beneficio stesso e hanno l'obbligo di restituire i contributi in conto capitale ricevuti, con applicazione degli interessi legali, anche laddove la delocalizzazione avvenga tramite cessione di ramo d'azienda o di attività produttive appaltati a terzi, con riduzione o messa in mobilità del personale dell'impresa.
60-bis. Le imprese italiane ed estere di cui al comma 60 con almeno 1.000 dipendenti non possono delocalizzare la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato anche appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione o messa in mobilità del personale, prima di aver trovato un nuovo acquirente che garantisca la continuità aziendale e produttiva nonché il mantenimento dei livelli occupazionali dell'impresa stessa. Nel caso di mancato rispetto dell'obbligo di cui al presente comma, l'impresa interessata deve restituire al soggetto erogatore i contributi in conto capitale ricevuti negli ultimi cinque anni, con applicazione degli interessi legali e di una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 2 per cento del fatturato conseguito negli ultimi cinque anni».

2. Il comma 61 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è sostituito dai seguenti:

«61. I soggetti erogatori dei contributi di cui ai commi 60 e 60-bis disciplinano le modalità e i tempi di restituzione dei contributi stessi.
61-bis. Le somme derivanti dall'applicazione della sanzione amministrativa di cui al comma 60-bis sono versate ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate a un fondo, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, finalizzato a sostenere, attraverso il riconoscimento di appositi incentivi, le imprese che assumono lavoratori posti in mobilità da imprese che hanno delocalizzato la propria produzione presso uno Stato non appartenente all'Unione europea. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono disciplinate le modalità di funzionamento del fondo. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio».

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