Doc. XXII, n. 53




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - La crisi economica e finanziaria nazionale si è manifestata, com'è noto, in modo ancora più drammatico nelle regioni meridionali, creando una condizione di grave prostrazione che non può essere lenita dall'intervento pubblico a causa della carenza di risorse e dei limiti derivanti dagli obblighi europei. Di tale gravissima condizione si registrano ciclicamente allarmi che il circuito mediatico diffonde attingendo le informazioni da centri di rilevazione statistica come la Svimez che, com'è avvenuto con il suo ultimo rapporto diffuso alla fine di luglio 2015, ha certificato la difficile condizione in cui versa il sud del Paese, che ha un tasso di crescita pari addirittura alla metà di quello della Grecia, considerata il «malato» più grave dell'Europa. L'interesse dei media si concentra, com'è comprensibile, sull'ultimo dato statistico disponibile e tende ad allentarsi e a disperdere l'attenzione non appena si dilegua il clamore iniziale intorno ai rapporti dell'Istituto nazionale di statistica o della Svimez sulla povertà, nella disoccupazione a suo crescente divario tra nord e sud. La questione meridionale, pertanto, soffre due drammatici limiti: la sua scomparsa dal dibattito pubblico, da un lato, e la mancanza di coordinamento e di raccordo dei flussi informativi, dall'altro.
La storia della scomparsa del Mezzogiorno dal lessico della politica è anche quella di una sottrazione semantica, oltre che concettuale. Costruita nell'illusione che, se non ne avessimo parlato più, il Mezzogiorno come problema non sarebbe più esistito, continuando a sottrarre e a tacere il sud si sarebbe allineato al resto del Paese, comunque anch'esso in caduta libera. Non è andata così: come ricordavamo, la Svimez ha gettato uno sguardo nel burrone. E il burrone, all'improvviso, ha guardato tutti noi. Il Mezzogiorno esiste, e la sua drammatica difficoltà, per chi non lo avesse ancora capito, è la vera «palla al piede» dell'Italia. Certo, ha fatto sensazione tra i media nazionali prendere atto della circostanza che il sud sta peggio della Grecia di Tsipras, icona universale della disfatta economica e sociale. Solo che il sud conta 22 milioni e quattrocentomila abitanti: il doppio di quelli che vivono in Grecia. Il retropensiero che la crisi economica italiana avrebbe coperto la drammatica condizione meridionale non ha retto di fronte alla velocità del precipizio in cui siamo finiti. Allora cominciamo con il restituire il senso alle parole. Il problema del Mezzogiorno, pur nella sua oggettiva disomogeneità, non è un'invenzione dei meridionali. È una dimensione sociale, economica, culturale e antropologica con precisi profili e peculiari problematiche: il Mezzogiorno esiste è non ha voce nel Governo, dove siede un solo Ministro nato a sud di Roma. D'altro canto, l'unico flusso di risorse attingibile per il sud resta quello dei fondi strutturali europei che prevedono l'intervento a sostegno dei progetti delle regioni meno sviluppate. Accade che nel settennato 2007-2013 solo il 75 per cento delle risorse è stato attribuito, mentre non è ancora partito il nuovo ciclo 2014-2020. I nuovi fondi si aggirano intorno a 44 miliardi di euro: una cifra importante che potrebbe concorrere a realizzare interventi concreti nel Mezzogiorno. Il punto è che persino quella presenza che sul piano governativo veniva garantita dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel settore dei fondi strutturali europei ancora oggi non c'è più. Né è riuscita mai a partire l'Agenzia per la coesione territoriale prevista tre anni fa dal Ministro Barca. Come affronteremo, al netto dell'allarme dei dati della Svimez la cui eco sulla stampa nazionale si smorza dopo ventiquattro ore, quest'ultima imperdibile chance che ci viene dall'Europa? Probabilmente sarebbe importante istituire un dicastero per il Mezzogiorno, come centro di imputazione unico per le politiche di riequilibrio e per il raccordo di tutti gli interventi, dall'economia alla cultura, all'ordine pubblico, all'Europa e all'emigrazione, che riguardano le regioni meridionali. Siamo in una situazione di emergenza e dobbiamo sperimentare nuovi strumenti operativi, riprendendo a chiamare le cose con il loro nome: un Ministro per il Mezzogiorno.
È necessario, però, che anche il Parlamento recuperi una dimensione di impegno continuativo sulla questione meridionale, facendosi centro di raccolta delle informazioni, statistiche, studi e orientamenti che, sul piano economico, sociale e culturale, vengono prodotti dai molti ricercatori, studiosi, istituti, pubblici e privati, che svolgono la loro attività nel settore di ricerca sul Mezzogiorno. Questo al fine di offrire al Parlamento e al Governo un materiale coerente e attendibile per poter compiere scelte ormai ineludibili in tema di politica meridionale.
In questa direzione, dunque, si muove la presente proposta di inchiesta parlamentare sulle condizioni del Mezzogiorno, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 82 della Costituzione.
L'articolo 1 reca l'istituzione e i compiti della Commissione parlamentare di inchiesta.
La Commissione, composta da quaranta deputati, riferirà semestralmente alla Camera dei deputati e predisporrà una relazione conclusiva al termine dei diciotto mesi di lavoro (articolo 2).
Le attribuzioni e le modalità operative della Commissione riproducono quelle di analoghe Commissioni parlamentari di inchiesta (articoli da 3 a 6).


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