XIX Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 20 marzo 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tremonti Giulio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE DINAMICHE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE E INTERESSE NAZIONALE

Audizione di rappresentanti di Confcommercio.
Tremonti Giulio , Presidente ... 3 
Garosci Riccardo , Vicepresidente di Confcommercio ... 3 
Tremonti Giulio , Presidente ... 7 
Di Giuseppe Andrea (FDI)  ... 7 
Quartapelle Procopio Lia (PD-IDP)  ... 8 
Calovini Giangiacomo (FDI)  ... 8 
Tremonti Giulio , Presidente ... 8 
Garosci Riccardo , Vicepresidente di Confcommercio ... 8 
Tremonti Giulio , Presidente ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIULIO TREMONTI

  La seduta comincia alle 8.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confcommercio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di Confcommercio. Saluto e ringrazio il dottor Riccardo Garosci e il dottor Fabio Fulvio.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Do la parola al dottor Garosci.

  RICCARDO GAROSCI, Vicepresidente di Confcommercio. Signor presidente, ringrazio tutti i componenti della Commissione, gli onorevoli deputati.
  Per noi ovviamente questa è un'opportunità unica, che coincide con momenti di grandi scelte del sistema-Paese nel contesto del resto del mondo. Per noi il mondo è un mercato, dal punto di vista strettamente economico ed imprenditoriale, dove ci sono, purtroppo, in questo momento, grandi rischi, aree che turbano il buon funzionamento del sistema commerciale mondiale. L'Italia, che notoriamente è un Paese trasformatore, esporta tantissimo, ma, come mi hanno insegnato, per esportare bene bisogna importare meglio. Pertanto, anche tutto ciò che blocca il sistema, il circuito, la filiera di fornitura di materie prime, energia eccetera, è per il sistema economico-imprenditoriale un freno e un limite.
  Oggi vi disturberò anche con qualche numero necessario, ma tutto sommato, come vedrete, anche positivo. L'Italia è tra i primi dieci esportatori mondiali. Giusto pochi giorni fa, i due Ministri competenti per le attività economiche, l'internazionalizzazione e il made in Italy – Tajani ed Urso – nella cabina di regia dell'internazionalizzazione – della quale Confcommercio fa parte fin dall'inizio – ricordavano che il PIL nazionale sfiora, per la parte di competenza dell'export, quasi il 40 per cento. Capite bene che stiamo parlando di una percentuale che è in crescita, una crescita enorme negli ultimi anni, quasi raddoppiata in dieci anni, e che ormai è diventata quasi due gambe del tavolo. Se funziona l'export, funziona il Paese; se funziona il PIL, funziona tutta la filiera, il circuito sul quale noi dobbiamo lavorare per impostare l'attività delle nostre imprese.
  Come dicevo, non è solo ovviamente un aspetto numerico, legato al PIL, ma è una vocazione estera che è da primato. Come ho detto, l'Italia è fra i primi dieci Paesi del mondo. Relativamente ai soli beni, escludendo quindi i servizi e tutto il resto, il rapporto export-PIL è del 23 per cento. L'Italia è addirittura sul podio, tra i primi tre grandi Paesi industrializzati, dietro solo a Germania e Corea del Sud, se si escludono poi i Paesi più piccoli, hub logistici, settori di riesportazione come Paesi Bassi, Svizzera eccetera.
  Gli Stati Uniti – giusto per fare un riferimento – pur essendo il secondo esportatore mondiale in assoluto, hanno un rapporto PIL-export del 7 per cento, indice di Pag. 4un'economia chiusa, esattamente il contrario di quella italiana.
  Il 75 per cento dell'export nazionale è composto da macchinari, metallurgia, ovviamente alimentari, moda, autoveicoli, agroalimentari, chimico-farmaceutico. Ma, ancora una volta, la lettura più interessante è in termini di competitività: secondo ICE ed ISTAT – quindi dati recentissimi – i comparti del made in Italy che hanno la maggiore quota di mercato mondiale sono vini e bevande, che sono intorno al 10 per cento; il tessile e l'abbigliamento, oltre il 6 per cento; i mobili, ugualmente il 6 per cento; macchinari e gioielli, oltre il 5 per cento. Noi abbiamo, nel mercato mondiale, queste percentuali in queste merceologie.
  Segmentando poi ulteriormente, ci sono altre sotto-categorie specifiche che si identificano con alcune nicchie di eccellenza della nostra economia, che non sono poche, come ben sappiamo. In aggiunta, infatti, ai comparti che ho già citato, giocano un ruolo importante le auto di lusso, tutto il settore pelletteria, calzature, medicinale e farmaceutico, piastrelle, accessori per la moda, yacht, pasta, olio d'oliva. Insomma, è l'Italia che fa innamorare il mondo.
  Analizzando da chi importano i Paesi di destinazione dell'export italiano scopriamo che i nostri competitor, con i quali dobbiamo confrontarci nei vari mercati, sono, da una parte, i Paesi del sud-est asiatico, in particolare Cina, India, Vietnam, per questioni ovviamente di costo; e, dall'altra, all'interno del mercato europeo sono Germania, Francia, Spagna e l'ex membro dell'Unione europea, il Regno Unito, perché hanno prodotti sostanzialmente simili ai nostri.
  I fattori distintivi che caratterizzano le nostre esportazioni sono il brand, l'estetica, il design, l'unicità, l'eccellenza e il lusso. Tutti settori, come purtroppo ben sapete, colpiti dal terribile – ma sembra quasi incontrollabile – fenomeno del fake, dell'italiano falso, che va dall'alimentare, alla moda, ai gioielli eccetera. E su questi ci sarà da lavorare.
  Noi veniamo purtroppo, come è ben noto, da quattro, cinque anni – ma è ancora in corso – di crisi. La pandemia e i conflitti in Ucraina, nella Striscia di Gaza e in generale tutte le tensioni nelle diverse aree del mondo – una per tutte, quella recente dello Yemen e del Mar Rosso – che creano forti ripercussioni per i trasporti (poi magari spendiamo qualche parola), hanno avuto un effetto diretto sulla movimentazione di beni e servizi, provocando fenomeni di accorciamento delle catene globali del valore.
  Confcommercio, numericamente, è la più grande confederazione di imprese d'Italia. Sono 800 mila imprese nei settori del commercio, del turismo, dei servizi, dei trasporti, della logistica, delle professioni. Quindi, togliendo tutti i settori dell'agricoltura, degli amici di Confindustria nel settore manifatturiero, è il commercio che muove i loro prodotti nel mondo e, come dicevo, l'equilibrio import-export è indispensabile al risultato delle aziende e dei loro prodotti.
  Le linee di evoluzione del commercio mondiale sono la regionalizzazione degli scambi, la diversificazione dei mercati di sbocco e di approvvigionamento. Oggi, come sapete, sono tornati fortunatamente al centro dell'attenzione i cosiddetti «reshoring» o «nearshoring», cioè il rientro – se non in territorio nazionale, nei Paesi vicini – di produzioni che avevamo portato fuori a seconda delle merceologie. A questo si aggiunge – direi con buona considerazione, effetto anche di impegni del Governo e dei Governi precedenti – il friendshoring, cioè il rientro verso Paesi amici, che dialogano già con l'Italia o che possono aumentare ovviamente il loro livello di collaborazione. In un contesto, quindi, di grandi tensioni geopolitiche, andrebbe valorizzato, a livello di strategie globali, il ruolo dell'Europa, soprattutto dell'Unione europea, come approdo sicuro per le produzioni e per le forniture, appunto, di Paesi amici.
  In questo senso, sapete bene che l'attuale Governo, la Premier, ha indicato negli ultimi sei-dieci mesi, tre aree principali di interesse dell'internazionalizzazione. La prima è logica, perché è una conseguenza geopolitica, ed è l'area dei Balcani: si entra dalla Slovenia, Paese ovviamente dell'Unione europea, e si apre un mercato che è Pag. 5perennemente innamorato del made in Italy, prodotti e servizi. L'area ha alcuni Stati che sono in lista d'attesa per entrare nell'Unione europea e che noi vedremmo con estrema utilità, per una collaborazione. Si pensi che ci sono un paio di Stati dei Balcani dove l'italiano è lingua ufficiale; l'italiano è seconda o terza lingua ufficiale in Albania, in Slovenia eccetera, quindi vuol dire che c'è già un mercato aperto. È un prolungamento dell'Adriatico, che non è per nulla un mare chiuso, ma un luogo di collegamento.
  La seconda area è quella dei Paesi dell'est, nella quale dobbiamo includere – anche perché prossima all'ingresso nell'Unione europea – l'Ucraina. Sull'Ucraina, come sapete, esiste da tempo un tavolo di ricostruzione creato anche qui dai due Ministeri competenti – Ministri Tajani e Urso – una cabina di regia della quale Confcommercio fa parte fin dall'inizio, che vede, prima di tutto, un dovere morale e sociale di aiutare un Paese con un'opera di ricostruzione. Si parla di ricostruzione mentre è ancora in fase di distruzione, direte, ma in realtà noi speriamo e lavoriamo con voi e con tutte le istituzioni ovviamente perché questo arrivi il prima possibile a diverse impostazioni. Però le risorse già messe a disposizione dalla Banca mondiale e dalle banche europee dicono che dobbiamo e vogliamo aiutare l'Ucraina a ripartire.
  Noi, come terziario – commercio e turismo – abbiamo una carta fondamentale, che è la stessa che vi riproporrò fra pochi secondi affrontando la terza area geopolitica, che è la formazione. Non promettiamo, come settore del terziario di mercato, di fare cose che richiedono tempi lunghi, ma di riconvertire una popolazione martoriata dalla guerra, dalle distruzioni delle loro case, delle fabbriche, dei 50 mila chilometri quadrati di agricoltura minati e tolti all'agricoltura in un Paese che è sostanzialmente agricolo, e che quindi dovrà riconvertire migliaia di contadini, ma anche migliaia di soldati che torneranno, prima possibile, alle loro case, forse non le ritroveranno neanche intere, e dovranno cercare mestieri. Ecco, è facile pensare all'Italia del dopoguerra, in cui se non ci fosse stato il terziario e un sistema di trasmissione e di riconversione di mestieri, non sarebbero potute nascere le piccole imprese, della ristorazione, gli ambulanti, il commercio al dettaglio, i trasporti. Tutti settori che fanno capo a noi. Quindi, il collegamento tra Ucraina – a grandi linee, diventando uno scenario ben più importante dal punto di vista geopolitico – e l'Africa.
  Come sapete, proprio pochi giorni fa la Premier, davanti a sei Ministri e due Viceministri, ha presentato il «Piano Mattei», che condividiamo totalmente. L'Africa è dall'altra parte del Mediterraneo. Credo poche ore fa la Premier è rientrata dall'Egitto, che è un Paese fondamentale per l'equilibrio del Mediterraneo, ma lo è anche nei rapporti con l'Italia. Verso l'Africa noi abbiamo dei doveri sociali. Dobbiamo regolamentare l'immigrazione, ben sapendo che – parlo del nostro settore – mancano 200 mila risorse umane ai settori della ristorazione, dell'hotellerie, del commercio al dettaglio eccetera. Se entrano, evidentemente, in modo legale, corretto e soprattutto – ecco che Confcommercio entra in campo – formati, cioè imparano un mestiere, quale esso sia, in base alle loro attitudini, studi, esperienze, vengono a ricoprire da noi alcuni lavori, ma anche da loro, nelle loro terre di origine, noi ci impegniamo a formare i formatori. Questa formazione può avvenire fisicamente, in loco, ma anche in e-learning, a distanza.
  Noi abbiamo due grandi strutture formative che riguardano l'istruzione e la didattica del commercio, che sono a Milano il cosiddetto «Politecnico del commercio» e a Torino Former Piemonte, che hanno tutte diramazione regionali e territoriali. Con tutte le associazioni di commercianti di Confcommercio noi siamo in grado – e già lo facciamo – di mettere sul mercato delle forze preparate, ripeto, a tutti i livelli, dal cuoco, al pizzaiolo, all'ambulante, fino ai grandi manager dell'internazionalizzazione. Chi vi parla è non solo Vicepresidente nazionale di Confcommercio, con la delega all'internazionalizzazione, ma anche Presidente di AICE, che è l'Associazione del commercio estero, che comprende tutte le Pag. 6aziende, di tutte le dimensioni e di tutti i settori, che fanno commercio estero e che contribuiscono, come dicevo all'inizio, a quel quasi 40 per cento di PIL nazionale.
  Questi i tre grandi scenari geopolitici: Balcani, Est con l'Ucraina – anche perché le trattative partiranno dalla vicina Polonia, Paese tranquillo, NATO, Unione europea, che è attaccato all'Ucraina – e Africa con il «Piano Mattei». In questo scenario mondiale, caratterizzato da estrema incertezza, è essenziale tutelare l'interesse nazionale con un'azione decisa da parte delle Istituzioni, che si muova su due direttrici: politiche nazionali per rafforzare le relazioni con Paesi terzi che sono strategici per il sistema economico italiano e una maggiore incisività in ambito europeo, al fine di trarre maggiore vantaggio dalla politica commerciale europea.
  L'Unione europea ha infatti competenza esclusiva sulla politica commerciale verso i Paesi terzi. È un mercato interno – e qui lancio un piccolo grido di dolore – al quale, come chi costruì questo palazzo, so che non resterete insensibili. Siamo stati con il presidente Sangalli – che saluta questa Commissione e la ringrazia naturalmente del lavoro, non da ieri, utile alle nostre categorie – ad incontrare la presidente del Parlamento Metsola, un paio di settimane fa, e l'Ambasciatore italiano presso l'Unione europea. Ci sono sul tavolo alcune difficoltà che frenano l'impegno, la volontà delle nostre imprese di realizzare e completare il mercato interno. Una su tutte: come sapete, l'Austria, Paese membro dell'Unione europea, amico, collega in tante attività, limita la circolazione dei mezzi di trasporto italiani verso quei Paesi. È una cosa che non esiste. Tra l'altro, con l'aggravante che se vai nel Tirolo austriaco non paghi; se vai nella parte italiana – sempre Tirolo per loro – paghi.
  L'Unione europea è nata – non lo devo certo ricordare a voi – sulla libera circolazione di merci e persone, e questa è una cosa sulla quale bisogna porre prima possibile un intervento, che è già peraltro avviato dalla nostra diplomazia internazionale. Così come il sistema di collegamento avrà già dei problemi legati dalla parte della Valle d'Aosta, con il traforo del Bianco, il Fréjus eccetera. Se non c'è mobilità si rallenta tutto il sistema. Siccome siamo commercianti e il tempo è denaro, ogni giorno in più – che sia non passare il Monte Bianco, non passare dal Mar Rosso – per poter importare ed esportare, importare materie prime ed esportare i nostri prodotti, è un aumento di costi che non può e non deve ricadere sul mercato e sul consumatore finale.
  Mi avvio alla conclusione ricordando ancora che è da monitorare con attenzione il processo di allargamento monetario e sociale del raggruppamento delle economie emergenti. Mi riferisco al BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – in cui come sappiamo, teoricamente, nel 2024 entreranno Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto eccetera. Sono evidenti i rischi di un possibile ordine economico parallelo a quello basato sull'asse occidentale, con la Cina che mira ad imporre la propria moneta come unità di transazione alternativa ad euro e dollaro. Monitorare queste tendenze e rafforzare le relazioni bilaterali con questi Paesi – con cui già esistono relazioni, naturalmente – è strategico per l'Europa, e dunque per l'Italia.
  In questo contesto vanno considerate le azioni – che si auspica possano essere implementate, come dicevo all'inizio, dal «Piano Mattei» – verso il continente africano. L'Africa rimane un continente difficile, con grandi opportunità, come sempre, e grandi vulnerabilità; opportunità e rischi, e i rischi portano opportunità.
  Tunisia, Egitto, Marocco, Algeria, soprattutto la parte mediterranea, rappresentano partners di rilievo per l'Italia e per l'Unione europea. Ho incontrato poche settimane fa il Ministro del turismo e del commercio della Tunisia che mi ricordava – ma io lo sapevo già – che per la Tunisia l'Italia è diventato il primo partner, superando storicamente la Francia, che per ovvi motivi era sempre stata l'interfaccia economica e non solo. Questo vuol dire che il Mediterraneo guarda all'Italia, guarda ai suoi prodotti, guarda alle offerte di servizi, guarda ad un dialogo che deve essere al tempo stesso economico e sociale.Pag. 7
  In ultimo, quindi, l'Africa rappresenta un continente dove i progetti di investimento possono essere strategicamente importanti, sia da un punto di vista economico, sia nella stabilità geopolitica. È potenzialmente un'area dove sviluppare progetti che aiutino l'Africa a crescere, così che l'Italia, insieme all'Europa, possa partecipare a questa crescita e a questo cambiamento, andando oltre l'approvvigionamento di fonti energetiche alternative, ma con una regolamentazione dell'immigrazione legata, come dicevo, alla formazione.
  Io ho concluso. Direi semplicemente che su questi temi siamo naturalmente disponibili a rafforzare ogni impegno ed aiutarvi ad aiutarci. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA DI GIUSEPPE. Grazie. È un refreshing sentirla parlare e affrontare temi che sono veramente strategici, ma affrontarli in maniera tecnica e consapevole.
  Lei – ho scritto dei punti che sono un po' delle chiavi di volta – parla di regionalizzazione. Sono molto d'accordo, ci si sta orientando sempre di più e in maniera sempre più veloce verso una regionalizzazione dei mercati. Questo, però, ci deve far riflettere sull'altro punto che Lei ha citato, il reshoring: il reshoring è un effetto di aziende che sono andate fuori, per il 90 per cento, per ragioni di costo, non per ragioni di mercato. Quindi, è bene il reshoring, ma dobbiamo pensare a come internazionalizzare le nostre imprese. Ora, Lei parlava anche di Italian sounding, parlava di fake: è un discorso molto delicato e per affrontarlo in maniera pragmatica dobbiamo capire che cos'è questo Italian sounding, perché oggi è un calderone, neanche mappato, perché, al netto della Coldiretti che ci dice che sono 120 miliardi – ma sono molto focalizzati su temi prettamente alimentari – ricordo a tutti che l'Italia è fatta non solo di carote, cipolle e insalata, ma è fatta anche di aziende che producono impianti industriali, che producono pavimenti, rivestimenti...Insomma, vari settori merceologici.
  Noi dobbiamo accompagnare l'internazionalizzazione delle aziende, ma guardate che le aziende, se vogliono crescere dopo un certo livello, non possono più esportare. C'è un tema logistico enorme, fondamentale, glielo dico per mia esperienza personale. Una volta per tutte, secondo me, bisognerà regolamentare cos'è questo Italian sounding, perché senza una regolamentazione noi parleremo sempre della lotta contro l'Italian sounding non sapendo chi è il nemico che abbiamo davanti.
  Le faccio un esempio, quello di un'azienda che vuole internazionalizzarsi in un altro Paese, un'azienda manifatturiera eccetera: se creiamo insieme una regolamentazione per cui si dice che, per esempio, tutti gli impianti di produzione devono essere fatti in Italia, che «x» percentuale di materia prima deve essere acquistata in Italia, che ci devono essere certe caratteristiche che creano ovviamente una spirale positiva nell'economia italiana, noi che cosa stiamo facendo? Stiamo facendo un made out of Italy, che non è un Italian sounding, è una cosa molto più seria e molto più importante, e aiutiamo veramente le aziende italiane nell'internazionalizzarsi, non nel delocalizzarsi, che è cosa ben diversa.
  Ricordo a tutti che fino a qualche anno fa – oggi no, fortunatamente – la SIMEST forniva, nei processi internazionalizzazione, dei capitali ad aziende italiane che semplicemente chiudevano le loro aziende in Italia e ne aprivano fuori. Quindi, andavamo a creare un problema interno noi stessi.
  Questo va semplicemente regolamentato, perché non c'è una mappatura. Le aziende italiane o di generazione italiana che sono fuori sono una potenza di fuoco che può essere invece inserita in un tessuto industriale e commerciale italiano, perché le radici sono quelle, a certi parametri.
  BRICS: Lei faceva riferimento ad un gruppo di Paesi, ma oggi BRICS è ben altro. Tra l'altro, Lei diceva che stanno cercando di creare una loro moneta di scambio commerciale, e questo è veramente molto pericoloso. Guardando la lista dei Paesi che ci sono, non è proprio una cosa banale. Quando è nato, il BRICS era un manipolo Pag. 8di Paesi importanti, ma non è banale. Quindi, oggi bisogna capire a che velocità dobbiamo andare, perché se l'Europa non aumenta la velocità, con una serie di proposte tecniche come una di quelle che Le dicevo, loro hanno una velocità che è molto più spedita. Grazie.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (intervento in videoconferenza). Signor presidente, trovo questa audizione di estremo interesse. Ho una domanda molto puntuale. Credo che sia estremamente interessante che anche Confcommercio partecipi e abbia intrapreso una propria strategia sulla proiezione italiana verso l'Africa e verso il Mediterraneo. Quali sono gli strumenti che funzionano e quali sono gli strumenti che mancano? Questo è un dibattito che è aperto da tanto tempo. Abbiamo visto negli ultimi anni molte variazioni normative e degli strumenti governativi, ad esempio la competenza del commercio estero sotto la Farnesina poi è tornata al Ministero del Ministro Urso.
  Insomma, vorrei ascoltare da chi è sul campo un ragionamento su che cosa possiamo fare noi per migliorare, dal punto di vista legislativo e dal punto di vista attuativo, gli strumenti per supportare chi attuerà una parte della strategia italiana verso l'Africa e verso il Medio Oriente. Grazie.

  GIANGIACOMO CALOVINI. Signor presidente, mi lego alla domanda fatta dalla collega Quartapelle sugli strumenti che la politica può utilizzare per aiutare le imprese nell'export. Io Le chiederei, inoltre, visto che Lei ci ha parlato di tre macro-regioni interessanti – Balcani, Paesi dell'Est e, ovviamente, il tema africano – se dal suo punto di vista ci sono in queste macro-regioni uno o due Paesi su cui Confcommercio ritiene si possa particolarmente scommettere. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola all'audito per la replica.

  RICCARDO GAROSCI, Vicepresidente di Confcommercio. Grazie, perché ogni domanda per noi è una possibilità di raccontarci di più, ma contemporaneamente di crescere ed eventualmente correggere le impostazioni che stiamo dando allo scenario internazionale del commercio.
  La prima, onorevole, era una somma di domande che ci facciamo noi stessi e forse anche i colleghi e i rappresentanti delle istituzioni. Posso solo confermare che, è vero, il reshoring nasce da situazioni allora impostate male, perché si basavano sul mercato del lavoro, sul risparmio (sappiamo tutti i motivi); oggi è un ritorno, sapendo che stanno migliorando le condizioni dei lavoratori – retributive eccetera –, ma anche che ci avviciniamo, con il reshoring e particolarmente con il friendshoring, cioè verso i Paesi amici, verso mercati che nel frattempo sono diventati tali perché l'innamoramento verso i prodotti e i servizi italiani è soprattutto dei Paesi che ci sono più vicini. Non a caso, ho citato le aree del Maghreb, del Mediterraneo, dei Balcani, che sono giustamente le aree prioritarie del Governo Meloni nell'ambito dell'internazionalizzazione.
  L'Italian sounding è già difficile da monitorare, figuriamoci definirlo. L'unica cosa certa, che unisce le nostre forze, è combatterlo, ma per combatterlo bisognerebbe conoscerlo meglio. Diciamo che dal punto di vista del food & beverage è relativamente più facile. Gli amici di Coldiretti, Confagricoltura eccetera lo fanno perché se io trovo un finto parmigiano o un finto prosek, lo identifico, lo denuncio all'Unione europea, lo denuncio all'Organizzazione mondiale del commercio e ne blocchiamo la produzione.
  Diverso è il discorso di quei Paesi che – diciamo la verità – per questioni di mercato si accontentano di finti prodotti italiani e quindi dobbiamo lavorare – ma questo è uno degli obiettivi della cabina di regia dell'internazionalizzazione – per spiegare la qualità, spiegare il lavoro italiano che c'è dietro ai prodotti di qualunque settore economico. Diversamente non riusciamo a fare la differenza.
  Il turista viene in Italia perché sa che qui c'è un solo Colosseo; poi ce ne sono altri finti, in giro per il mondo, a Las Vegas, o finti Canal Grande di Venezia. Viene qui Pag. 9perché sa che contemporaneamente, insieme ai monumenti che sono un patrimonio culturale italiano, che peraltro richiederebbe qualche ulteriore intervento – in Confcommercio seguiamo anche l'area cultura – c'è altro. Dobbiamo però lavorare sui servizi. Ecco perché i servizi sono un'impostazione fondamentale per noi. Servizi vuol dire partire, prima di tutto, da formazione e informazione, poi passare attraverso tutti i settori che sono correlati agli altri più importanti.
  Ringrazio la vicepresidente Quartapelle perché la domanda è veramente coerente e attualissima: ripeto, il Presidente del Consiglio è appena rientrato dal viaggio in Egitto, identificando quel Paese – e quindi il discorso a cui si riferiva l'onorevole Quartapelle dell'Africa – quale partner economico, quale conseguenza di un miglioramento dei rapporti sociali, della regolamentazione dell'immigrazione. Loro cercano i Paesi europei apparentemente ricchi, che possono offrire possibilità di vita, a volte anche solo di sopravvivenza.
  Noi siamo un Paese che inevitabilmente una mano superiore ha disegnato come una penisola, proiettata all'interno del mare culla della civiltà da migliaia di anni, e abbiamo il diritto-dovere di accoglierli, regolamentandoli. Il nostro impegno è quello della formazione: se vieni da noi e sai fare qualcosa serve; se vieni da noi per delinquere non serve; se vieni da noi e non sai fare un mestiere siamo disponibili ad insegnartelo, perché abbiamo bisogno di risorse umane, a tutti i livelli. Questa è la logica che mi pare di aver ascoltato dal Primo Ministro nella presentazione del «Piano Mattei».
  Onorevole Calovini, grazie della domanda, perché i tre Paesi delle tre aree coincidono con gli impegni che Confcommercio e AICE – l'Associazione del commercio estero – stanno prendendo proprio in queste settimane. Partiamo dai Balcani, che forse è il più semplice: direi che in termini temporali – conosco abbastanza bene le Istituzioni comunitarie – come sapete gli ingressi richiedono tempi lunghi per entrare nell'Unione europea, perché c'è un capitolato di richieste, di controlli. Per esempio la Turchia, che ha fatto domanda già trentacinque anni fa, non ha ancora soddisfatto le esigenze dei parlamentari europei, della Commissione, delle Istituzioni – anche nazionali – che vogliono essere sicuri di chi entra. Al contrario, l'Albania è un Paese molto vicino all'Italia per mille motivi, non solo geografici, e potrebbe essere il primo che entra nell'Unione europea. Non a caso, proprio a Tirana si è tenuto circa un anno fa il Forum dei Primi Ministri europei per valutare il ruolo dei Balcani e pochi mesi dopo il Governo italiano ha deciso di creare un «Piano Balcani» sul quale concentrare le risorse e gli interessi.
  Procediamo geograficamente: per i Balcani, quindi, l'Albania. Per l'area dei Paesi dell'est direi la Polonia, sicuramente. La Polonia già di per sé è un grande mercato, un mercato che per motivi fisici ha già dovuto accogliere 5 milioni di ucraini che fuggivano. È un mercato dove abbiamo da sempre un'ottima diplomazia economica, dei bravi Ambasciatori che dialogano con la Polonia come «Paese ponte». Vi anticipo in questa sede che fra quindici giorni AICE e Confcommercio apriranno a Varsavia un ufficio di rappresentanza indirizzato al fatto che la Polonia è un Paese interessante per tutta l'area, ma soprattutto ponte verso il discorso dell'Ucraina. Non si possono rischiare missioni, sedi nelle città potenzialmente bombardate o bombardabili e la Polonia è un mercato ed una sede ideale.
  Infine, l'Africa: ci sono Paesi e realtà differenti, c'è quella del Maghreb, mediterranea; c'è quella subsahariana, dove ci sono altri Paesi significativi. La Premier ha indicato nove-dieci Paesi prioritari per la prima fase del «Piano Mattei». All'interno dell'Africa subsahariana – l'ex Africa francese, per capirci, perché poi metà Africa parla francese – c'è la Costa d'Avorio; dall'altra parte, nell'Africa dell'est, ex inglese, c'è il Kenya, dove si terrà tra l'altro un forum internazionale fra poche settimane. Sostanzialmente, l'Africa sulla quale – mi pare di capire – il Governo ha concentrato l'interesse e l'operatività è questa, non andando per il momento oltre. Però Paesi significativi, che hanno partecipato al Pag. 10forum Italia-Africa e con i quali sono stati avviati, un mese fa circa, degli accordi e sono state sottoscritte delle potenziali attività congiunte, sono anche il Congo e il Mozambico.
  Non dimentichiamo, per chiudere, che l'Africa aumenterà per forza il proprio ruolo, in ragione dell'obbligo del discorso dei trasporti, che devono circumnavigare quel continente. È un'occasione per noi – che seguiamo anche il settore dei trasporti, della logistica, così completo anche la domanda sulla logistica – di avviare, rafforzare e migliorare rapporti con i Paesi e con i porti africani, perché ogni fermata delle navi merci è un'opportunità di collegamento e di miglioramento dei rapporti commerciali con l'Italia.

  PRESIDENTE. Grazie davvero. Non Le sarà permesso di uscire se prima non ci consegna il testo scritto del suo intervento.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9.30.