XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULLA POLITICA ESTERA PER L'INDO-PACIFICO

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Mercoledì 14 febbraio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DEI PAESI EUROPEI NELL'INDO-PACIFICO

Audizione di Giulio Pugliese, docente di politica giapponese presso l'Università di Oxford e Direttore studi Europa-Asia presso lo Schuman Centre dell'Istituto universitario europeo.
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Pugliese Giulio , docente di politica giapponese presso l'Università di Oxford e Direttore studi Europa-Asia presso lo ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 7 
Billi Simone (LEGA)  ... 7 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Pugliese Giulio , docente di politica giapponese presso l'Università di Oxford e Direttore studi Europa-Asia presso lo ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 15.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Giulio Pugliese, docente di politica giapponese presso l'Università di Oxford e Direttore studi Europa-Asia presso lo Schuman Centre dell'Istituto universitario europeo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico, l'audizione di Giulio Pugliese, docente di politica giapponese presso l'Università di Oxford e Direttore studi Europa-Asia presso lo Schuman Centre dell'Istituto universitario europeo.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Pugliese, esperto di politica estera delle grandi potenze nell'Asia-Pacifico, con particolare riguardo al Giappone, alla Cina e agli Stati Uniti.
  Considerando i tempi stretti dell'audizione, do subito la parola al dottor Pugliese perché svolga il proprio intervento. Grazie.

  GIULIO PUGLIESE, docente di politica giapponese presso l'Università di Oxford e Direttore studi Europa-Asia presso lo Schuman Centre dell'Istituto universitario europeo. Grazie presidente, grazie, onorevoli per l'invito. Spero di poter contribuire al dibattito in corso e lanciare nuovi spunti di riflessione sulla proiezione politica e strategica, italiana ed europea, nella regione. Mi concentrerò prevalentemente sugli aspetti politici e strategici.
  L'Unione europea e gli Stati membri principali, qual è l'Italia, stanno cercando di aumentare la presenza politica, economica e militare nel cosiddetto «Indo-Pacifico», definito qui come mega-regione che si estende dalla costa orientale dell'Africa alle isole del Pacifico. I motivi – come sapete ormai presso il Comitato – sono molteplici: appeal economico e rischio politico; e viceversa, appeal politico, riguardo all'approfondimento di relazioni con attori globali emergenti, e rischi economici. In qualità di nipponista, cioè esperto di Giappone contemporaneo e anche di relazioni internazionali dell'Asia orientale, mi concentrerò sulle relazioni Italia-Giappone e sull'Asia orientale – quindi Asia estremo-orientale e Asia del sud-est – ma anche, alla luce della recente visita di Stato della Presidente Meloni a Tokyo e del vertice con Kishida, Primo Ministro giapponese, del salto di livello nelle relazioni grazie al partenariato strategico di inizio 2023 e del passaggio di testimone in quanto presidenza del G7, nonché del fatto che i nostri Paesi siano democrazie parlamentari con un forte impegno per il multilateralismo e il mantenimento del cosiddetto «ordine basato sulle regole»; ordine del quale siamo tutti parti interessate: da lì, il comune interesse a difendere lo Stato di diritto, soprattutto a livello di diritto internazionale, Pag. 4la libertà di navigazione e di sorvolo, lo sviluppo infrastrutturale sostenibile, nonché il libero commercio, anche attraverso la salvaguardia e la messa in sicurezza dei cosiddetti «colli di bottiglia» del trasporto marittimo, qui intesi non solo come gli Stretti a rischio politico, ma anche le catene di approvvigionamento globale che adesso vedono un proliferare di rischi politici ed economici.
  Partirei però da un'osservazione riguardo alla terminologia di «Indo-Pacifico», perché è sempre bene chiamare le cose con il loro nome. La genesi stessa del concetto va fatta risalire al Giappone, Paese di cui mi sono occupato per lungo corso. L'Indo-Pacifico è una ricostruzione geopolitica dell'ordine regionale di origine variegata. Nonostante gli apporti indiani ed australiani, ad inizio del 2005-2006 e poi verso l'inizio degli anni 2010 viene sostanzialmente lanciato e promosso dal Governo del Giappone come narrazione strategica di Indo-Pacifico libero e aperto, e viene lanciato come contrappeso alla Nuova Via della seta cinese. Quindi, da principio fu pensato, dopo alcuni ballon d'essai alternativi – questo anche va fatto notare, che questo è un costrutto politico – che non fecero presa, quali l'arco della libertà e della prosperità del 2006 o addirittura il corridoio di crescita Asia-Africa lanciato da India e Giappone in concomitanza con il ballon d'essai dell'Indo-Pacifico nel 2017; questi ballon d'essai vennero lanciati, di fatto, per diluire la centralità regionale della Cina e costruire partnership con altri attori. Insomma, il termine è un segnale politico che suggerisce la volontà di diversificare, se non bilanciare o addirittura contenere, la Cina in agende tecnologiche, economiche, politiche e/o strategiche.
  Ci tengo a sottolineare questo concetto: le definizioni di Indo-Pacifico variano, quindi si dovrebbe parlare più propriamente di «Indo-Pacifici», al plurale. L'appropriazione della definizione del termine da parte di diversi attori, sia statali che regionali, quali l'ASEAN e la stessa Unione europea, suggeriscono che il concetto di Indo-Pacifico sia da adattare ai diversi contesti politici internazionali e nazionali del momento; quindi, una definizione che, se vogliamo, è propria dello spazio-tempo e del contesto politico vigente, anche a livello di politica interna.
  Vi sono, quindi, differenze significative, ad esempio, tra la strategia intergovernativa del Consiglio dell'Unione europea sull'Indo-Pacifico dell'aprile del 2021 e – di contro – la comunicazione congiunta della Commissione europea – un organo più specificamente sovranazionale e geopolitico sotto la guida della Presidente Ursula von der Leyen – del settembre 2021.
  Ancora: la guerra in Ucraina e la Bussola strategica dell'Unione europea del 2022 hanno spostato ulteriormente le definizioni verso una posizione più dura nei confronti della Cina e più aperta all'alleato transatlantico, tant'è che gli Stati Uniti sono descritti come il più leale e il più importante partner strategico dell'Unione europea, oltre ad essere una potenza globale che contribuisce alla pace, alla sicurezza, alla stabilità e alla democrazia nel nostro continente. Di contro, i sopra menzionati documenti strategici sull'Indo-Pacifico – soprattutto il primo, dell'aprile del 2021 – elencavano gli USA, a volte con circospezione, come uno dei potenziali partner di cooperazione dell'Unione europea.
  Sintomatico di questa varietà di «Indo-Pacifici» è il fatto che il Giappone, il promotore del concetto stesso, non ha ancora espresso in un documento ufficiale quale sia la propria strategia o visione di Indo-Pacifico libero e aperto. Di fatto, il concetto rientra appieno come strategia di diplomazia pubblica a seconda dei destinatari. Per esempio, verso i Paesi del sud-est asiatico e la Cina stessa, i diplomatici nipponici sottolineano l'inclusività della Cina per rassicurarli sulle logiche a somma zero; verso le controparti statunitensi, di contro, l'esclusività viene enfatizzata dai diplomatici giapponesi, di fatto, per beneficiare degli spazi lasciati aperti da una politica di potenza degli Stati Uniti nei confronti della Cina. Questa logica è interessante, perché di fatto lascia spazio a molte definizioni.
  Avvalendosi anche della sponda statunitense – il più importante alleato nipponico –, il concetto è stato esportato in Corea del Pag. 5Sud e sempre più in Europa. L'Indo-Pacifico è quindi, a tutti gli effetti, un test di Rorschach, se vogliamo metterla in termini quasi psicologici, perché il test di Rorschach è un test psicologico proiettivo che lascia intendere le posizioni, inconsapevoli o meno, della persona o del governo che fanno uso di tale linguaggio, non diversamente dalla Belt and Road, Nuova Via della seta. Con il crescere delle tensioni tra Cina e alcuni Paesi occidentali – molti – avvenuto a seguito della pandemia e della repressione interna a Hong Kong, come in Xinjiang, della coercizione economica nei confronti della Lituania e a seguito della posizione, di fatto, di neutralità – o neutralità interessata, se vogliamo – nel conflitto russo-ucraino, e con la crescente importanza dell'Oceano Indiano tutto – dai Paesi del Golfo all'India – per gli equilibri globali, l'artificio retorico Indo-Pacifico è diventato di uso comune.
  Di fatto, insieme ad altre democrazie navali like-minded – principalmente Stati Uniti, Australia e India, membri del QUAD – e altri Stati costieri che nutrono preoccupazioni marittime per l'avanzata della Cina nei vicini mari, il Governo giapponese mira quindi a raggiungere una serie di obiettivi: aumentare la deterrenza marittima e potenzialmente la coercizione nei confronti della proiezione navale cinese, mitigando le asimmetrie economiche tra Cina e Paesi emergenti terzi, in quanto queste si potrebbero evolvere in influenza politica o addirittura in una sfera di influenza regionale.
  L'Indo-Pacifico libero e aperto, quindi, viene venduto, nella primavera del 2017, al policy planning staff del Dipartimento di Stato dell'Amministrazione Trump, e questa è la prima volta che un Governo americano si avvale di un'iniziativa di politica estera o, se vogliamo, un bumper sticker, uno slogan di politica estera, da parte di un alleato. È la prima volta nella storia degli Stati Uniti d'America. Va fatto notare che la dichiarazione congiunta di Xi Jinping e Vladimir Putin del febbraio del 2022 insiste, di contro, sul bisogno di rimanere altamente vigili sull'impatto negativo della strategia indo-pacifica degli Stati Uniti. Quindi, c'è un riconoscimento effettivo, anche in Cina e in Russia, che ci siano più «Indo-Pacifici» e che la versione statunitense sia più nettamente a somma zero. Dico questo per rimarcarne la pluralità.
  Da ultimo – come dicevamo –, l'Unione europea e i Paesi membri hanno aderito, seppure dopo iniziali titubanze, ad importare la terminologia, anche in funzione dell'accresciuto interesse statunitense. Così le sopramenzionate strategie dell'Unione europea di cooperazione, insieme alla Bussola strategica, sostengono un'espansione dell'impegno europeo per la sicurezza nella regione, con alcuni Stati membri – quali l'Italia – in prima linea, ma nel corso delle mie ricerche ho dimostrato che, se vi è una coesione di intenti, l'interesse ed il messaggio nazionale viene spesso enfatizzato. Quindi, anche in seno all'Unione europea, l'Italia si fa portatrice soprattutto di interessi nazionali, come è giusto che sia, e questo viene anche enfatizzato durante il dispaccio di asset militari volti alla presenza marittima.
  L'Italia ha presentato, nel gennaio del 2022, come saprete, un documento che evidenzia il contributo alla strategia europea; un documento che è in fase di aggiornamento e che verrà verosimilmente presentato quest'anno durante la presidenza G7. Dato il potenziale economico della regione, il documento del 2022 ha sottolineato che l'impegno anche nell'arena politica e di sicurezza può favorire le opportunità commerciali, dall'Asia meridionale fino al Giappone. Questo lascia intendere anche le priorità dell'Italia.
  Cercando ora di essere sintetico – come normalmente non sono –, proverò a focalizzarmi sui punti salienti. C'è stata chiaramente una coesione di potenze like-minded alla luce dell'aggressione imperialista russa nei confronti dell'Ucraina e questo si è avvalso anche di una crescente sinergia non solo con l'alleato transatlantico, ma anche chiaramente con un contributo finanziario e securitario maggiore di potenze like-minded regionali come il Giappone, la Corea del Sud, l'Australia, nel teatro euroatlantico, con supporti alla potenziale ricostruzione dell'Ucraina, ma anchePag. 6 con triangolazioni che potrebbero, attraverso Washington o attori europei, rifornire l'Ucraina di materiale bellico dual use.
  Questa coesione si registra soprattutto da parte dei membri del G7, con Australia e Corea del Sud in più. Di contro, quindi, c'è una logica di reciprocità che fa sì che gli attori europei vogliano essere non fruitori passivi di sicurezza, ma anche contributori attivi di sicurezza, e farlo con una maggiore visibilità nell'area. È significativo – questo già da prima della guerra in Ucraina – il monitoraggio delle sanzioni ONU sulla Corea del Nord – monitoraggio a guida statunitense che spesso si conduce nelle acque a nord di Taiwan – e più recentemente con un'accresciuta presenza militare a sostegno della libertà di navigazione e di sorvolo del Mar Cinese meridionale e, in misura diversificata a seconda dei calcoli politici, anche attraverso lo Stretto di Taiwan.
  Molta meno pubblicità è stata garantita alla cooperazione su nuovi dossier, quali ad esempio quelli sulla sicurezza non tradizionale – la lotta alla disinformazione, la cooperazione e la sicurezza informatica –, sia in seno all'Unione europea, sia in seno alla NATO, sia in ottica bilaterale, tra Paesi europei e Paesi asiatici quali il Giappone. L'Italia si inserisce appieno su questo solco: il recente invio nella regione della nave Francesco Morosini, a cui fa seguito l'invio della nave ammiraglia Cavour e il gruppo portaerei fino in Giappone, dimostrano la volontà di intraprendere esercitazioni militari congiunte sul versante Pacifico e rimarcare che l'Italia è apportatrice attiva di sicurezza.
  Tale diplomazia navale, che su scala globale coinvolgerà anche il Vespucci, non andrebbe inquadrata propriamente in termini di deterrenza, ma costituisce prevalentemente un segnale politico volto a rimarcare i sopramenzionati concetti di libero commercio, libertà di navigazione e sorvolo con attori like-minded. Ciò favorirebbe, quindi, commesse e sinergie sul comparto di sicurezza e non, utilizzando tali asset anche come vetrina per il sistema Paese e, nel caso del Vespucci, di proiezione del soft power italiano. Ciò, di contro, spianerebbe la strada politica allo sviluppo di nuove piattaforme, tecnologie e sistemi nel contesto del Global Combat Air Programme, che come sapete è dedito alla creazione di un caccia di nuova generazione, con ricadute potenziali sull'economia tutta. Tant'è che, in prospettiva, la cooperazione in investimenti e ricerca&sviluppo tra Italia e Giappone nel settore dell'aerospazio sarà probabilmente la più fruttuosa, con ricadute sul comparto difesa, osservazione del territorio, lotta al cambiamento climatico e, potenzialmente, anche contrasto alle calamità naturali, caratteristica che accomuna l'Italia con il Giappone.
  Torno, come vedete, anche sul discorso commerciale: in funzione dell'Expo 2025 di Osaka, ulteriore vetrina per l'Italia in Giappone e in Asia – perché la maggior parte dei fruitori saranno giapponesi e asiatici – l'Italia ha avuto il merito di essere il primo Paese ad aver avviato i lavori per il proprio padiglione, merito che di recente è stato riconosciuto anche dal Primo Ministro Kishida in occasione della visita della Presidente Meloni a Tokyo.
  Di fatto, si sta partecipando a un concerto di medie potenze regionali, quali il Giappone e l'Italia, ed extra-regionali – quindi con attori europei, quali l'Italia, Francia e Regno Unito – anche con un push, un caloroso benvenuto da parte dell'Amministrazione Biden, perché poi ci sia una maggiore presenza militare attraverso accordi di accesso reciproco e, soprattutto, di acquisizione e servizio incrociato. Questi, di fatto, favorirebbero il supporto logistico tra le forze armate dei diversi Paesi, inclusi Giappone e Italia, e favorirebbero, ad esempio, la possibilità che gli F-35B - che verosimilmente verranno trasportati sul ponte della nave Cavour - si esercitino in operazioni di cross-deck con le controparti giapponesi.
  Ancora: a marzo dovrebbero finalmente inaugurarsi e regolarizzarsi le consultazioni dei nostri Ministri di esteri e difesa con le controparti giapponesi per rimarcare un ruolo più visibile all'interno del G7, nonché esplorare delle sinergie anche nell'altro dossier strategico, quello della connettività e dello sviluppo infrastrutturale sostenibile. Questo potrebbe giocare anche Pag. 7molto bene all'interno dell'agenda G7, orientata allo sviluppo infrastrutturale sostenibile nei confronti del cosiddetto «Sud del mondo», e anche del piano del Governo – in corso di definizione –, il «Piano Mattei» per lo sviluppo dell'Africa del nord e del Medio Oriente.
  Il Giappone si è dimostrato a tutti gli effetti una potenza aggregativa, capace di unire ed ispirare altri attori. L'importanza assegnata alla Cina e la convergenza degli approcci statunitense e – in misura minore, ma comunque ragguardevole – europeo con il Giappone, in diversi settori, è stata ampiamente dimostrata dall'anno della Presidenza G7 a guida giapponese, culminata nel Summit di Hiroshima del 2023. Quindi, il Giappone ha fatto da pioniere. E in sede di discussione potrei anche darvi molti esempi di come il Giappone abbia fatto anche da pioniere e da esempio rispetto ad operazioni infrastrutturali strategiche anche a guida statunitense, quale la Blue Dot Network, rispetto a cui il Governo Meloni sta considerando l'accesso.
  Per concludere, io rimarcherei la necessità di fare un'osservazione di carattere più ampio, che si rivolga al quadro dell'Asia orientale tutta. Al netto della necessità di fare squadra con le medie potenze regionali, quali il Giappone e gli alleati e i partner like-minded, l'Italia non dovrebbe essere da meno nell'enfatizzare una definizione particolare dell'Indo-Pacifico, a mio modo di vedere, vale a dire quello della cosiddetta «terza via»; una terza via che riconosca che non siamo equidistanti dal nostro tradizionale alleato transatlantico nella competizione strategica nei confronti della Cina, ma che esalti l'importanza di mantenere un ordine multilaterale basato su beni pubblici internazionali.
  Alla luce della balcanizzazione della governance globale, l'Italia e l'Unione europea - che, seppur imperfettamente, è anche membro del G7 - hanno bisogno di un certo grado di realismo politico per promuovere forum plurilaterali e minilaterali, con simmetrie e scopi diversi, compresi anche quelli specifici, ad hoc, per la cooperazione in materia di sicurezza. Ma va tenuto conto che un approccio eminentemente minilaterale comporterebbe, di contro, tensioni sulla priorità accordata dall'Italia stessa a forum tradizionalmente multilaterali e regionali, come l'ASEAN e lo IORA, che sono indicati come prioritari per l'Italia, e comporterebbe potenziali tensioni con i Paesi cosiddetti «del Sud del mondo» se non fossimo pienamente dialoganti e inclusivi. Questo perché andrebbe fatto il possibile per contrastare le pressioni unilaterali delle grandi potenze, che potrebbero contribuire ad una cristallizzazione di una logica di blocchi. Tale approccio dialogante, di cui l'Italia dovrebbe farsi promotrice, preserverebbe la stabilità con la Cina, con cui abbiamo comunque una partnership strategica risalente al 2004 e un interscambio commerciale importante, e aprirebbe la possibilità di approfondire e tessere relazioni, anche commerciali, con partner che vanno dalla Corea del Sud ai Paesi ASEAN e all'India stessa. Tale approccio è evidente nell'enfasi posta sull'inclusività e sugli aspetti multilaterali della strategia di cooperazione dell'Unione europea.
  Questo non è un approccio puramente retorico, perché è volto, di fatto, a rassicurare gli attori locali – quali ad esempio gli attori del sud-est asiatico – che vogliono, sì, resistere all'aggressione cinese ma, allo stesso tempo, evitare di provocarla e di diventare terreno di scontro tra grandi potenze; perché i segnali sono effettivamente contrastanti e sono abbastanza sfumati. Questi segnali da Paesi che sono impegnati in dispute territoriali e marittime con la Cina sono molto spesso sfumati rispetto alle logiche dicotomiche che rischierebbero, di contro, di accelerare il disfacimento dell'ordine internazionale stesso, di cui le medie potenze in primis, quindi anche l'Italia, sono fruitori attivi.
  Penso di aver parlato anche troppo, quindi mi fermo qui e vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questi o formulare osservazioni.

  SIMONE BILLI. Signor presidente, anch'io ringrazio il nostro relatore per la Pag. 8disponibilità e per la disamina che ci ha fatto, che porta diversi spunti di riflessione al nostro interno, su cui potremo anche lavorare in seguito.
  Chiaramente le questioni sarebbero tantissime, tuttavia mi limito a soffermarmi su due aspetti, rispetto a cui vorrei avere il suo commento e il suo parere. Innanzitutto, le elezioni americane si avvicinano e, ad oggi, Biden e Trump sono i due candidati in lizza possibili per la futura presidenza o, comunque, democratici e repubblicani. Il piano d'azione presentato da Biden – l'Asia marittima allargata – ricalca sostanzialmente le azioni anche del precedente Presidente Trump nell'area. Se non mi sbaglio, è il terzo piano d'azione. Comunque, i rapporti nell'Indo-Pacifico sono fondamentali, anche perché potrebbero cambiare i rapporti con la stessa Cina. Quindi, mi chiedo: considerata questa strategia, che sembra avere un forte filo conduttore nelle varie Amministrazioni americane – basti pensare al «Pivot to Asia» del Presidente Obama, quindi si parte da allora –, quali possono essere i diversi impatti che potrebbero avere i due Presidenti qualora uno venga eletto? Per esempio, quale potrebbe essere l'impatto di Biden e quale, invece, quello di un'Amministrazione repubblicana guidata da Trump? Quali potrebbero essere le differenze nella politica americana nell'Indo-Pacifico?
  L'Indo-Pacifico è fondamentale e molto importante dal punto di vista commerciale, per ovvi motivi, che adesso non intendo enunciare, però non solo commerciale, perché nell'Indo-Pacifico abbiamo Taiwan, come anche Lei ha accennato. Considerando che il PIL cinese sta scendendo, – prima era un PIL che andava a doppia cifra (double-digit), adesso è a circa il 5 per cento, le previsioni dicono che sarà al 2,5 per cento nel prossimo decennio – è chiaro che la Cina, se ha delle ambizioni su Taiwan, immagino che debba prendere una decisione molto veloce, perché più il PIL scende e più, a mio avviso, è difficile per la Cina poter agire in qualche modo su Taiwan.
  È vero che una potenza globale economica e commerciale non può essere solo questa, ma deve essere anche una potenza militare, quindi la Cina potrebbe voler dimostrare al resto del mondo la sua forza anche da questo punto di vista. Poi, c'è anche un altro aspetto su Taiwan, come io immagino: le ambizioni personali del Presidente Xi Jinping. È chiaro che i suoi predecessori hanno portato la Cina ad essere un Paese con il PIL double-digit, mentre il Presidente Xi Jinping non lo può più fare, quindi, come ambizione personale per essere ricordato nella storia cinese, potrebbe avere quella dell'unificazione dell'«impero cinese», come lo chiamano loro.
  Tutte queste cose vanno in una direzione non positiva e non assolutamente auspicabile di un'azione cinese su Taiwan nel prossimo futuro. Quindi, volevo sapere, secondo la sua esperienza, come vede la situazione su Taiwan e cosa ci può dire al riguardo. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, do la parola al professor Pugliese per la replica.

  GIULIO PUGLIESE, docente di politica giapponese presso l'Università di Oxford e Direttore studi Europa-Asia presso lo Schuman Centre dell'Istituto universitario europeo. Grazie, presidente. Grazie, onorevole, per due domande non esattamente facilissime, quindi parlerò per altri venti minuti...Scherzi a parte, cercherò di essere sul punto e il più possibile schematico.
  Senza dilungarmi sulla genealogia dell'Indo-Pacifico, addirittura il «Pivot to Asia» obamiano nei confronti del Pacifico va fatto risalire all'Amministrazione di George W. Bush, con una strategia del 2005 formulata in seno al Consiglio nazionale per la sicurezza, ed è a quella strategia che si deve l'apertura, per esempio, nei confronti dell'India, permettendo all'India di beneficiare addirittura di infrastrutture nell'ambito del nucleare civile, nonostante sia un Paese, di fatto, non firmatario del Trattato di non proliferazione nucleare e detentore di armi nucleari. Già da lì c'era la logica statunitense – come ripeto nel mio intervento – del creare network tra alleanze che già a livello bilaterale esistevano – quindi tra Stati Uniti e Australia, tra Stati Uniti e Pag. 9Corea del Sud, tra Stati Uniti e Giappone – e fare in modo che questi cooperassero tra di loro e che il Giappone cooperasse e aprisse all'India.
  Di contro, però – qui entro nel merito della sua domanda –, l'Amministrazione Trump, seppur ha dimostrato di aver voluto riorientare la bussola strategica statunitense dando priorità alla competizione tra grandi potenze, in primis con la Cina, lo ha fatto su basi sostanzialmente bilaterali, se non unilaterali. L'Amministrazione Trump si è mossa, ad esempio, su logiche mercenarie nei confronti di alcuni dei suoi alleati, in primis la Corea del Sud, su cui ha fatto valere anche richieste di un maggiore contributo finanziario, se non in commesse per armi come merce di scambio per le garanzie di sicurezza americane nei confronti della Corea del Sud; stessa dinamica che si è avverata in parte anche in Giappone, e da lì il procurement militare giapponese che ha preferito di gran lunga acquisizioni di componentistica e di asset statunitense anche in funzione delle preferenze dell'Amministrazione Trump, in primis il Presidente. È questa logica che si è preoccupata di imporre balzi e balzelli – una logica protezionistica, ad uso e consumo anche della protezione dell'industria americana – che ha fatto sì che venisse meno un entente tra le alleanze asiatiche e del fare squadra tra medie potenze insieme agli Stati Uniti d'America. C'è stata, di contro, una logica molto più bilaterale. Questo è chiarissimo, ad esempio, con l'atteggiamento dell'Amministrazione Trump nei confronti dell'Unione europea, degli Stati dell'Unione europea, che sono, di fatto, venuti meno ad una sorta di coalizione di medie potenze. Da lì venivano anche le frustrazioni europee al volersi affacciare più pienamente, a livello securitario, nel teatro dell'Indo-Pacifico, proprio perché c'erano comunque moltissime spinte in senso opposto nel proprio vicinato. È questa, in parte, la risposta alla sua domanda.
  Se – come ha fatto intendere il candidato Trump nelle recenti dichiarazioni – ci dovremo preoccupare con molta più attenzione della nostra sicurezza in Ucraina, nel Mediterraneo allargato, questo necessariamente impone un ragionamento che lascia intendere che gli Stati Uniti con Trump saranno meno indirizzati ad una fusione politica dei due teatri, quello euroatlantico con quello Indo-Pacifico, e saranno più interessati, invece, ad una divisione del lavoro, che poggerà su una maggiore responsabilità europea per la propria sicurezza e, di contro, una proiezione statunitense più marcata nei confronti della Cina. Questo, però, potrebbe creare delle tensioni con gli alleati europei: se è vero – come sembra – che Peter Navarro o Robert Lighthizer avranno un ruolo preminente nell'Amministrazione Trump, ci sarà un ritorno in auge di balzi, balzelli e dazi che verranno imposti a rivali strategici e ad alleati, che purtroppo faranno mancare il fronte comune che, invece, l'Amministrazione Biden – in primis lo zar dell'Indo-Pacifico Kurt Campbell, che adesso è al Dipartimento di Stato – si sono preoccupati di creare. Kurt Campbell, come sa, fu il fautore, con l'Amministrazione Obama e nel policy planning staff dell'Amministrazione Clinton, del «Pivot to Asia». Quindi, vedo più assonanze – se vogliamo – tra l'Amministrazione Obama – soprattutto il secondo mandato – con quella di Biden, e quella di Trump, se vogliamo, seppur l'enfasi era sulla competizione con la Cina, c'è stato un momento di rottura con gli alleati europei e anche con alcuni alleati asiatici.
  Per passare alla sua seconda domanda – anzi, per chiudere sulla prima –, la Cina potrebbe essere, quindi, paradossalmente più contenta di un'Amministrazione Trump, proprio per questa rottura che porterebbe l'Amministrazione Trump, lasciando da parte l'incognita su una ripresa della guerra commerciale Stati Uniti-Cina, che sicuramente non ha fatto piacere – e qui entro nel merito della sua seconda domanda – ad un'economia in fase di calo di crescita. Questa economia in fase di calo di crescita lascia intendere che la Cina, comunque, è verosimilmente destinata a crescere per lungo corso, anche se solo del 3-4 per cento, perché le potenzialità di crescita sono ancora molto alte. Non si dovrebbe accostare la Cina degli anni Venti al Giappone di fine anni Ottanta; il Giappone di Pag. 10fine anni Ottanta era già un'economia matura, la Cina ha ancora molte potenzialità, soprattutto nell'hinterland, per scavalcare le catene di valore aggiunto all'interno della propria economia ed essere molto più competitiva sui mercati internazionali.
  Di contro, però, questo tasso di crescita del solo 3 per cento – o 3 punto qualcosa per cento – ha delle implicazioni sulla stabilità politica interna della Cina. Questo è un punto fondamentale: al netto delle minacce, delle aggressioni e della retorica da wolf warrior cinese, soprattutto del 2020-2021 – retorica che, infatti, è venuta meno in anni più recenti – Xi Jinping e tutto il Partito comunista cinese tutto sono sostanzialmente preoccupati della stabilità politica interna. Il tasso di disoccupazione tra i giovani, ad esempio, è altissimo: questo potrebbe comportare potenziali proteste, movimenti di protesta, potenziali mancanze di stabilità politica per lo stesso Xi Jinping. Io sono molto più cinico sulle capacità pervasive della sorveglianza del «meccanismo leninista digitale» – se vogliamo – cinese, del poter contenere queste proteste. Però queste preoccupazioni esistono, ed esistono non solo nei confronti della popolazione tutta, soprattutto quella giovane, ma anche degli apparati militari o di potere. Abbiamo visto di recente che anche persone che si ritenevano vicine a Xi Jinping, quali il Ministro degli esteri o il Ministro della difesa, sono state improvvisamente spodestate dai loro mandati, o i vertici dell'Esercito di liberazione nazionale, soprattutto quelli responsabili, per esempio, per le forze missilistiche, che quindi sarebbero impegnati in prima linea in una contingenza su Taiwan.
  C'è una mancanza di fiducia all'interno della Cina. È un gigante dai piedi d'argilla, per molti versi, però – e qui rispondo proprio sul merito della sua questione – si dovrebbe fare il punto sulla crescita relativa agli altri Paesi: se è vero che la Cina potrebbe crescere del solo 3 per cento relativamente ai suoi vicini, al Giappone, un Paese che soffre di un restringimento della popolazione e dell'invecchiamento della stessa, di Taiwan e di Corea del Sud, con simili problematiche, o anche potenzialmente – ma questo è tutto da vedere – degli Stati Uniti d'America, in termini, quindi, di proiezione di medio-lungo periodo, relativamente a questi altri attori la Cina potrebbe dominare ancora, comunque, la regione. È per questo, quindi, che noi siamo importanti.
  Per questo è importante un contributo proattivo anche alla sicurezza di Taiwan, in settori che, per esempio, possono essere sufficientemente facili da portare avanti, quali la lotta alla disinformazione, lo scambio di intelligence, non necessariamente a livello bilaterale, ma anche con triangolazioni attraverso gli Stati Uniti d'America – il Giappone già lo fa –, la lotta alla sicurezza informatica, lo scambio di best practices su come gestire la Cina...Taiwan, la Repubblica di Cina ha gestito il continente molto a lungo, dal 1949.
  Chiudo su quello che mi preme enfatizzare, che è anche la conclusione del mio discorso: per quanto riguarda il mantenimento della pace e della stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan, andrebbe rimarcato che non siamo soltanto a favore dello status quo contro potenziali colpi di coda coercitivi, ma siamo a favore dello status quo tutto, perché lo status quo si conserva mantenendo la cosiddetta politica «una sola Cina» che riguarda promesse, di fatto, perché Taiwan non dichiari indipendenza, perché Stati Uniti e controparti, quali il Giappone, mantengano la politica «una sola Cina» che di fatto, diplomaticamente, tenga il piede in due scarpe e che rassicuri, quindi, anche la Cina che non ci sia un cambiamento dello status quo, che di contro affretterebbe un'aggressività cinese. Stiamo assistendo ad una deterrenza, sì, volta a contenere l'aggressività cinese, ma una deterrenza che a volte manca di rassicurazioni sulla volontà nostra – e soprattutto di alcuni attori – che non è interessata a cambiare lo status quo. Quindi, assistiamo a cicli di azione e reazione che fanno in modo che ci siano addirittura dei Congressmen americani che auspicano che ci sia un sostegno chiaro e non ambiguo a Taiwan. Questo darebbe carta bianca ad una potenziale dichiarazione di indipendenzaPag. 11 da un Presidente futuro dell'isola che si autogoverna.
  Dobbiamo stare molto attenti a mantenere questa ambiguità strategica, di contro, perché questa ambiguità strategica ci facilita nel mantenimento di una stabilità e di una pace che, per i passati settant'anni, quasi, hanno tenuto in piedi l'infrastruttura, se vogliamo, di mantenimento attraverso lo Stretto di Taiwan. Più che settant'anni, dovrei dire dal 1979 a oggi.
  Purtroppo, sono abituato a relazionare, ad intervenire e a fare lezioni in inglese; mi sono un po' impelagato, soprattutto perché si parla di tecnicismi. Perdonate il mio italiano poco fluente, ma spero che il mio punto sia chiaro.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16.