TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 88 di Lunedì 17 aprile 2023

 
.

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A CONTRASTARE
IL FENOMENO DELLA SICCITÀ

   La Camera,

   premesso che:

    il 2023 è appena iniziato ma già sono evidenti i segnali che inducono a pensare che i livelli di siccità, già preoccupanti ora, si evidenzieranno ancora di più in termini di emergenza;

    i corsi d'acqua che hanno già raggiunto uno stato di severità idrica «media» riguardano tre delle sette autorità di distretto secondo gli ultimi bollettini emanati dalle stesse negli ultimi mesi. E stiamo parlando del distretto idrografico del Fiume Po, di quello dell'Appennino settentrionale e di quello dell'Appennino centrale;

    la neve rappresenta la riserva d'acqua più importante per diverse attività, dalla produzione di energia all'agricoltura, nei mesi primaverili ed estivi. E dalla neve arrivano altri segnali preoccupanti. Ad oggi, fonte Global Drought Observatory (GDO) del JRC in collaborazione con la Fondazione Cima, si registra il 40-50 per cento di neve in meno rispetto alla media dei dodici anni precedenti; il deficit è particolarmente marcato nelle Alpi nord-occidentali. L'aumento della temperatura determinerà nei prossimi mesi la fusione della neve che, in forma di acqua, può essere impegnata per l'irrigazione e altre attività e sarà di conseguenza direttamente proporzionale al decremento registrato con conseguenze gravi per molti settori produttivi;

    ormai da diversi anni, una serie di eventi naturali avversi ha contribuito nel corso del tempo ad indebolire il settore agricolo, ed in special modo le aziende ortofrutticole. Nel corso dell'estate oltre ai danni provocati dalla siccità si sono aggiunti quelli arrecati dal prolungarsi di temperature eccezionali che hanno colpito duramente ed in maniera omogenea tutto il Paese;

    in virtù di questa situazione verranno coltivati quest'anno in Italia quasi 8 mila ettari di riso in meno per un totale di appena 211 mila ettari, ai minimi da trenta anni, sulla base delle previsioni di semina. Stessa situazione per le semine di mais necessario per garantire l'alimentazione del bestiame per la produzione del latte dal quale nascono i grandi formaggi, dopo gli sconvolgimenti che ci sono stati sul commercio internazionale a seguito della guerra in Ucraina;

    tutte le produzioni ortofrutticole, in particolare le drupacee e le pomacee, a causa delle alte temperature registrate hanno subìto danni irreversibili, a partire dal rallentamento nella crescita dei frutti determinato come conseguenza calibri ridotti. In molti casi, addirittura, il raccolto non è commerciabile pertanto le rese produttive sono risultate nettamente più basse e in diversi casi gravemente compromesse. Tra le colture più colpite, oltre a drupacee e pomacee, danni a pomodoro, cipolla, patate zucche, mais, barbabietola da zucchero, soia e riso. Pertanto la produzione lorda vendibile del 2022 rispetto alla media ordinaria delle annate precedenti è risultata ampiamente inferiore al 30 per cento, con gravi ripercussioni sui bilanci delle imprese agricole;

    relativamente ai fiumi in secca, nel bacino del Po si registra oltre il 60 per cento di acqua in meno; i 22 gradi nel mese di febbraio di alcuni territori alpini causati dal riscaldamento globale hanno determinato ulteriore scioglimento dei ghiacciai alpini che sono ad ora pressoché dimezzati. Le temperature in Italia sono salite di almeno 1 grado rispetto ai livelli preindustriali, in alcune città del Nord di quasi 1,5. Lo zero termico oggi è a 3.000 metri, un valore che in media si aveva a maggio;

    la temperatura è più alta fino a due gradi sopra la media; la produzione di energia elettrica è in stallo; le colture, nonostante l'avvio tardivo di 15 giorni della pratica dell'irrigazione, sono tutt'ora in sofferenza; così come si accentua, con inevitabili danni ambientali a biodiversità e habitat, la risalita del cuneo salino a oltre 10 chilometri dalla costa adriatica e con un utilizzo all'80 per cento a 15 chilometri dal mare;

    in particolare, la risalita del cuneo salino causato dall'erosione costiera e accentuato dalla siccità, con conseguente riduzione dell'apporto idrico, o da errate opere di drenaggio che riducono l'apporto di materia naturale dei fiumi, entrando nell'entroterra mette a rischio migliaia di ettari e le aziende agricole che operano sul territorio verso la costa (soprattutto sul delta del Po), a causa della presenza di maggiori valori di salinità sia nelle acque necessarie per l'irrigazione, sia in quelle di falda altrettanto importanti;

    per una gestione resiliente di questa crisi idrica straordinaria, già nel 2022 si è scelto che il comparto idroelettrico, indipendentemente dalle concessioni legislative, dia la disponibilità a sostenere il settore primario dell'agricoltura in caso di manifesta necessità produttiva; i grandi laghi confermano la possibilità di scendere sotto i livelli minimi di invaso per contribuire ad alimentare con continuità e per quanto possibile i corsi d'acqua di valle sia per finalità irrigue che per il mantenimento habitat e della biodiversità e, nell'ottica della massima trasparenza e per una condivisione unitaria delle scelte strategiche di adattamento al clima e alla situazione idrologica contingente;

    alcune regioni, hanno adottato nel 2022 provvedimenti, in particolare, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, applicando anticipatamente, in talune aree, il cosiddetto Deflusso minimo vitale (Dmv) estivo che consentirà di prelevare e accumulare più acqua in caso di precipitazioni;

    secondo gli ultimi dati pubblicati nel rapporto statistico Gse 2020 «Energia da fonti rinnovabili in Italia», nel nostro Paese ci sono 4.503 impianti idroelettrici per una potenza di 19.106 megawatt, pari al 34 per cento del totale di energia prodotta da fonti rinnovabili. La mancanza di acqua influisce direttamente anche sulla produzione di energia di queste centrali: alcune sono ferme, altre hanno limitato la produzione rispetto alla potenza totale. Gli operatori che sono riusciti a mantenere almeno in parte la produzione temono l'aggravarsi degli effetti della siccità nei mesi estivi;

    il quinto rapporto sullo stato del capitale naturale d'Italia presenta i primi dati della Red List degli ecosistemi terrestri d'Italia, rilevando che tra gli ecosistemi più a rischio nel nostro Paese vi sono proprio quelli delle acque dolci (fiumi e laghi). Le «arterie» ambientali della nostra penisola devono essere attentamente curate con una forte azione di tutela e ripristino, mentre ancora oggi continuano a essere oggetto di numerosi interventi dannosi che devastano ambienti fondamentali anche per il ciclo idrico;

    l'Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l'Oms, poiché utilizza il 30-35 per cento delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6 per cento ogni 10 anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l'approvvigionamento idrico della Penisola. Secondo i dati diffusi dallo Giec (Gruppo intergovernativo degli esperti sul cambiamento climatico), all'aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20 per cento della disponibilità delle risorse idriche;

    la siccità rappresenta una delle sfide più pressanti del nostro tempo, e richiede politiche pubbliche efficaci di prevenzione e adattamento ai cambiamenti climatici, per la gestione delle perdite di acqua e per gli investimenti nelle infrastrutture idriche. Inoltre, le azioni volte alla riduzione delle emissioni di gas serra e alla promozione della mobilità elettrica e alternativa sono essenziali per la lotta contro la crisi climatica;

    per far fronte alla siccità sono però necessari nuovi investimenti nelle reti idriche e la realizzazione di nuove infrastrutture. Questi investimenti devono includere la costruzione di nuovi bacini e serbatoi per raccogliere la poca acqua che cade, convogliare le acque per le abitazioni civili ed edifici pubblici, la riparazione e l'ampliamento delle reti idriche esistenti, la realizzazione di sistemi di irrigazione innovativi e la promozione e il sostegno dell'agricoltura di precisione. Tali investimenti possono garantire una maggiore disponibilità di acqua per le attività agricole, industriali e domestiche;

    inoltre, è fondamentale ridurre le emissioni di gas serra per far fronte alla crisi climatica. Le politiche pubbliche dovrebbero incentivare lo sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio, come l'energia solare ed eolica, e la promozione dell'efficienza energetica. Inoltre, la transizione verso fonti energetiche rinnovabili e la promozione della mobilità elettrica o alternativa possono ridurre le emissioni di gas serra e migliorare la qualità dell'aria nelle città;

    è anche importante promuovere azioni per preservare l'ambiente, come la conservazione delle risorse naturali e delle foreste. Le foreste sono essenziali per la regolazione del clima e la conservazione della biodiversità. Inoltre, possono contribuire alla conservazione dei corsi d'acqua, riducendo l'erosione del suolo e il rischio di inondazioni;

    l'irrigazione innovativa per l'agricoltura è fondamentale per utilizzare l'acqua in modo efficiente e ridurre gli sprechi. Le tecnologie di irrigazione a goccia e di agricoltura di precisione possono aiutare gli agricoltori a utilizzare l'acqua in modo più efficiente e a ridurre l'impatto ambiente le dell'agricoltura. Inoltre, l'irrigazione a nebbia può rappresentare una soluzione innovativa per ridurre il consumo di acqua e promuovere la sostenibilità ambientale;

    i consorzi di bonifica e di irrigazione svolgono un fondamentale ruolo di sostegno dell'agricoltura nazionale, gestendo gli impianti pubblici di irrigazione su oltre 3,3 milioni di ettari e, al contempo, partecipano alla gestione del territorio e alla difesa del suolo, curando l'esercizio e la manutenzione delle opere di bonifica idraulica;

    come per le opere pubbliche, anche il territorio necessita di manutenzione per mantenere la sua efficienza, ed è questa la funzione svolta dai consorzi di bonifica, la cui presenza e gli interventi sono volti ad evitare che il territorio stesso si degradi e sia minacciato da instabilità del suolo, alluvioni, siccità, effetti negativi della pressione antropica e inquinamento, curando l'irreggimentazione dei corsi d'acqua e il deflusso o l'accumulo delle acque in eccesso, il consolidamento delle pendici in dissesto, il terrazzamento delle superfici declivi, garantendo così la conservazione e la sicurezza del territorio, dell'ambiente e del paesaggio. L'attività manutentiva svolta dai consorzi non interessa, quindi, esclusivamente il settore agricolo, ma l'intera collettività, cui viene assicurato un ambiente idrogeologicamente più sicuro;

    va considerato che l'attività di manutenzione delle opere di bonifica idraulica e di irrigazione realizzate e gestite dai consorzi viene eseguita in larga parte grazie ai contributi versati da parte di 8,8 milioni di consorziati, in gran parte agricoltori. Pertanto la manutenzione ordinaria è in gran parte a carico dei privati consorziati, mentre occorrono risorse pubbliche per la manutenzione straordinaria necessaria ad adeguare gli impianti in relazione alla diffusa situazione di vulnerabilità del territorio;

    nella Strategia italiana di lungo termine sulla riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra vengono indicate, fra le azioni di adattamento l'incremento della connettività delle infrastrutture idriche; l'aumento della capacità di ritenzione ed accumulo attraverso la realizzazione di laghetti, piccoli invasi e vasche, al fine di ridurre la pressione sulle falde sotterranee; il risanamento del sistema fluviale, assicurando la funzionalità idraulica, capace di espletare le necessarie caratteristiche funzioni e quelle ecosistemiche; il miglioramento della capacità previsionale per anticipare la disponibilità naturale della risorsa e ottimizzare il volume immagazzinato; i piani di gestione della siccità; la costruzione del bilancio idrico alla scala del Paese;

    la situazione va quindi affrontata non soltanto con aiuti immediati per contrastare l'emergenza, ma con misure strutturali per migliorare l'efficacia della gestione, conservazione e distribuzione le delle risorse idriche;

    strettamente connesso con gli eventi climatici estremi è il tema del dissesto idrogeologico, a causa del quale complessivamente il 93,9 per cento dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera e le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria;

    nella XVIII legislatura l'articolo 36-ter del decreto-legge n. 77 del 2021 ha introdotto importanti novità in materia di dissesto idrogeologico. La norma prevede, tra l'altro, l'introduzione della denominazione di «commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico» per i commissari aventi competenze in materia di contrasto al dissesto idrogeologico, disciplinati da diverse normative, attribuendo ad essi la competenza degli interventi in tale ambito, indipendentemente dalla fonte di finanziamento. Viene inoltre previsto che gli interventi di prevenzione, mitigazione e contrasto al dissesto idrogeologico – ivi compresi quelli finanziabili tra le linee di azione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – siano qualificati come opere di preminente interesse nazionale, aventi carattere prioritario;

    resta però ancora indispensabile potenziare e rendere più efficienti gli enti preposti alla prevenzione del rischio idrogeologico, aumentarne la capacità tecnica e progettuale, favorire una capacità di spesa superiore alla attuale media annua;

    è inoltre urgente e necessario programmare un importante piano di investimenti per ridurre i rischi legati al continuo manifestarsi di fenomeni climatici estremi ed in particolare a carattere siccitoso, puntando anche all'efficientamento e alla messa in sicurezza delle reti idriche e alla realizzazione di nuovi invasi;

    in tal senso il Piano nazionale di ripresa e resilienza può rappresentare un'importante opportunità per affrontare in maniera strutturale il problema delle emergenze climatiche connesse ai cambiamenti climatici, contribuendo contestualmente al rilancio dell'economia del Paese, grazie all'apertura di numerosi cantieri sull'intero territorio nazionale;

    occorre pertanto adottare iniziative urgenti, sia di breve, sia di lungo periodo, per far fronte, in collaborazione con le regioni più coinvolte, alla grave siccità che sta colpendo il nostro Paese, con gravi ripercussioni sulla produzione di energia idroelettrica, sul comparto agricolo, e che sta provocando finanche un'emergenza idropotabile in alcuni aree,

impegna il Governo:

1) ad istituire un'apposita cabina di regia, con il coinvolgimento della Protezione civile e delle regioni, al fine di garantire un efficiente e rapido monitoraggio dei bacini idrografici e coordinare i provvedimenti da adottare;

2) ad adottare iniziative di competenza per scongiurare un potenziale conflitto fra la richiesta idrica per il raffreddamento delle centrali termoelettriche e per il funzionamento delle centrali idroelettriche, l'agricoltura colpita da una durissima siccità e gli approvvigionamenti per uso domestico;

3) ad adottare le opportune iniziative, in aggiunta alle previsioni incluse nel Pnrr, per la realizzazione di infrastrutture di accumulo idrico durante gli eventi meteorologici estremi e per il recupero di acque piovane a fini di usi industriali, irrigui e domestici prevedendo l'obbligo di recupero delle acque piovane e l'installazione di sistemi di risparmio idrico;

4) ad adottare urgenti iniziative dirette alla realizzazione di nuovi invasi nonché di piccoli invasi interaziendali a servizio delle imprese agricole, semplificando le relative procedure;

5) a predisporre interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione;

6) ad adottare iniziative volte ad evitare gli sprechi sia dal punto di vista delle dispersioni della rete, sia in relazione all'uso della risorsa idrica, anche attraverso investimenti diretti a promuovere, con specifico riguardo al settore agricolo, l'impiego di moderne e più avanzate tecnologie, come l'irrigazione di precisione;

7) a promuovere e sostenere la ricerca nel settore agricolo, allo scopo di individuare varietà di colture maggiormente resistenti ai cambiamenti climatici;

8) a promuovere e sostenere l'adozione di una normativa efficace per il contenimento del consumo di suolo che consenta di raggiungere l'obiettivo di «consumo di suolo zero al 2050», riduca l'impermeabilizzazione dei suoli nelle aree urbane e quindi ripristini le capacità di drenaggio delle acque, evitando che vengano disperse nella fognatura;

9) a adottare iniziative volte a implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso le modifiche normative necessarie;

10) ad adottare iniziative idonee, anche nel contesto del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per favorire la rinaturalizzazione dei corsi d'acqua e ripristinarne le capacità di contenimento in caso di eventi meteorologici estremi (forti precipitazioni e alluvioni);

11) ad utilizzare i criteri minimi ambientali nel campo dell'edilizia per ridurre gli sprechi;

12) a favorire il riutilizzo dell'acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti;

13) ad adottare iniziative volte a introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in tema idrico, come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti;

14) ad adottare le iniziative di competenza per potenziare e rendere più efficienti gli enti preposti alla prevenzione del rischio idrogeologico, aumentarne la capacità tecnica e progettuale e favorire una capacità di spesa superiore all'attuale media annua, a partire dal ruolo fondamentale dei consorzi di bonifica e di irrigazione;

15) ad adottare iniziative volte a dare pronta e piena attuazione, per quanto di competenza, alle misure di semplificazione e accelerazione per il contrasto del dissesto idrogeologico introdotte dall'articolo 36-ter del decreto-legge n. 77 del 2021;

16) a promuovere interventi, non soltanto nei momenti di emergenza dovuti alla siccità, ma mirati sul medio e lungo periodo, che migliorino l'approvvigionamento idrico con particolare riferimento all'incremento della connettività delle infrastrutture idriche, al risanamento del sistema fluviale, assicurando la funzionalità idraulica, in modo che sia capace di espletare le necessarie caratteristiche funzioni e quelle ecosistemiche, e al miglioramento della capacità previsionale per anticipare la disponibilità naturale della risorsa e ottimizzare il volume immagazzinato.
(1-00073) «Serracchiani, Simiani, Vaccari, Braga, Curti, Di Sanzo, Ferrari, Forattini, Marino, Andrea Rossi».

(22 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    secondo il rapporto della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (Unccd), «Drought in Numbers 2022», in mancanza di una efficace strategia e di un impegno condiviso a livello globale, entro il 2050 la siccità potrebbe colpire oltre i tre quarti della popolazione mondiale;

    il degrado dei terreni nelle aree più esposte alla desertificazione è causato principalmente dallo sfruttamento eccessivo e dall'uso inappropriato del suolo e delle acque, oltre che dalle variazioni climatiche;

    la siccità è una delle principali cause della desertificazione che, a sua volta comporta, il declino della sua fertilità, della biodiversità che ospita, con evidenti danni complessivi anche alla salute umana, azioni i cui impatti sono fortemente inaspriti dai cambiamenti climatici;

    come rilevato dalle categorie di settore e dalle istituzioni competenti in materia, tali fattori hanno un pesante impatto sulla disponibilità di risorse idriche anche nel nostro Paese;

    negli ultimi due anni il fenomeno della siccità sta investendo soprattutto le regioni del Nord Italia dove i laghi alpini presentano livelli di riempimento ai minimi storici, con altrettanta minima quantità dei flussi di risorsa idrica rilasciata. La situazione è particolarmente critica in Lombardia dove i cinque laghi prealpini più importanti, che secondo i dati Arpa potrebbero consentire lo stoccaggio di 1,3 miliardi di metri cubi di acqua, a causa della scarsità degli immissari, hanno raggiunto solo 350 milioni di metri cubi, 200 milioni in meno rispetto al 2022;

    anche la portata del Po continua a diminuire e risulta più che dimezzata rispetto allo scorso anno. Secondo l'ultimo report dell'Anbi, l'associazione che rappresenta i consorzi di bonifica e irrigazione, in alcuni punti del fiume si registra perfino una riduzione dell'80 per cento, e si preannuncia una situazione particolarmente critica per diversi bacini idrici dal Nord al Sud Italia;

    tutti gli indici presi in considerazione dall'Osservatorio siccità dell'Istituto di bioeconomia del Cnr nei mesi primaverili del 2022, a cominciare dall'indice Spi (Standard precipitation index), indicatori di surplus o deficit pluviometrico, sono univoci nell'indicare un deficit abbastanza diffuso nelle regioni settentrionali e su Lazio, Abruzzo, Puglia e Calabria, soprattutto sul medio e lungo periodo, con buona parte del Nord e diverse aree del Centro-sud in siccità da moderata a estrema. Anomalie negative, indicative di un forte disseccamento del suolo, sono evidenziate anche dall'indice Esi (Evaporative stress index), che quantifica anomalie temporali standardizzate del rapporto fra evapotraspirazione reale e potenziale, e dall'indice Tci (Temperature condition index) che mostra, anche per le temperature, valori superiori rispetto alla serie storica di riferimento concentrate fra Piemonte e Lombardia occidentale, Lazio e regioni meridionali, eccetto Molise, e buona parte della Campania. Da quanto riportato emerge che la popolazione esposta al rischio siccità severa/estrema risulta oscillare fra il 2,3 per cento sul breve periodo fino ad arrivare al 30,6 per cento sul medio periodo;

    i rilievi elaborati dall'Osservatorio del Cnr compongono una grave situazione di siccità di tipo idrologico, tale cioè da intaccare le riserve idriche superficiali. Dai dati Arpa relativi al bacino padano emerge che, fra manto nevoso, invasi e laghi, nel febbraio 2015 si stimavano 4 miliardi di metri cubi di acqua e 2,6 miliardi nel 2018, a fronte di 1,5 miliardi nel febbraio 2022. Che nel bacino padano sia in atto una progressiva desertificazione è inoltre comprovato dalle immagini satellitari messe a confronto nell'arco dei decenni (change detection) dalle quali emerge con evidenza l'aumento della superficie non coperta da vegetazione nelle aree della pianura del Po;

    la Società meteorologica italiana (Nimbus web) ha rilevato che il 2022 è entrato nella storia della climatologia italiana ed europea come un anno tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni, e in particolare in Italia si è rivelato il più caldo e siccitoso nella serie climatica nazionale, iniziata nel 1800 e gestita dal CNR-ISAC di Bologna, con pesanti ripercussioni sulle portate fluviali, sull'agricoltura e la produzione idroelettrica;

    le prospettive non sembrano incoraggianti anche per il 2023. Il 10 gennaio 2023 il programma di osservazione satellitare della Terra EU-Copernicus (servizi sui cambiamenti climatici e il monitoraggio dell'atmosfera, C3S e CAMS) ha diramato l'analisi delle anomalie climatiche del 2022 in Europa e nel mondo ed evidenziato che un nuovo episodio di mitezza eccezionale ha interessato gran parte d'Europa anche tra fine dicembre 2022 e inizio gennaio 2023. Inoltre il medesimo programma segnala che la concentrazione media planetaria di CO2 atmosferica nel 2022 ha toccato un nuovo record, +2,1 ppm, rispetto al 2021;

    si rileva inoltre che il già precario equilibrio del territorio è sempre più spesso aggravato da fenomeni pluviometrici estremi di segno diametralmente opposto, come violenti nubifragi che comportano erosione del suolo, rischio di frane, mareggiate intense, trombe d'aria e sbalzi termici, provocando frequenti e ingenti danni al territorio e al sistema produttivo;

    oltre all'aspetto quantitativo legato all'approvvigionamento, va considerato che il fenomeno della siccità comporta anche un decadimento della qualità della risorsa idrica, con gravi ripercussioni soprattutto per il settore agricolo. Si tratta del cosiddetto fenomeno dell'intrusione del cuneo salino, per il quale la progressiva intrusione di acqua marina a un elevato grado di salinità, determina una salinizzazione dei pozzi con cui vengono irrigate le colture, che risultano così irrimediabilmente danneggiate ed un conseguente degrado dei suoli (salinizzati);

    va inoltre considerato che le infrazioni per la presenza di nitrati in falda permangono in molte zone d'Italia e gli indici di eutrofizzazione peggiorano lo stato di molti corpi idrici, con la conseguenza che la diminuzione dell'acqua in falda non può che aggravare la concentrazione dei nitrati e di altri inquinanti chimici nelle acque;

    secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 152 del 2006) tutte le derivazioni superficiali di acqua pubblica nei corsi d'acqua naturali sono soggette all'obbligo del mantenimento in alveo di una portata minima d'acqua, definita «deflusso minimo vitale». Tale concetto è stato poi integrato da quello di «deflusso ecologico» che ne rappresenta un'evoluzione: con esso si passa dal garantire una portata istantanea minima al garantire un regime idrologico per il raggiungimento degli obiettivi ambientali indicati dalla direttiva comunitaria quadro in materia di acque 2000/60/CE, volta a prevenire il deterioramento qualitativo e quantitativo della risorsa, a favorire il mantenimento delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali e assicurarne un utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili, ma anche a contribuire a mitigare gli effetti delle inondazioni e della siccità;

    il piano di gestione del distretto idrografico è lo strumento operativo previsto dalla citata direttiva, per attuare una politica coerente e sostenibile della tutela delle acque attraverso un approccio integrato dei diversi aspetti gestionali ed ecologici rapportati alla scala di distretto idrografico. Nell'ambito degli strumenti del piano di gestione sopra citato è stata introdotta l'istituzione degli osservatori per la gestione delle risorse idriche. Gli osservatori rappresentano uno strumento permanente di condivisione delle conoscenze e di dialogo tra enti istituzionali e portatori di interesse ed hanno tra le loro finalità principali quelle di: favorire la raccolta sistematica ed unitaria delle informazioni relative agli scenari climatici ed idrologici e al monitoraggio in tempo reale delle disponibilità e dei consumi idrici, proporre linee strategiche di impiego stagionale delle risorse idriche del distretto, definire gli strumenti tecnici di supporto alla pianificazione del bilancio idrico a scala di bacino e di modalità di reporting idrologico, ambientale ed economico da effettuarsi al termine di ogni anno idrologico;

    l'introduzione degli osservatori permanenti sugli utilizzi idrici costituisce una misura fondamentale nell'ambito del programma di misure del piano di gestione acque e ha mostrato la sua efficacia nella governance della risorsa idrica sin dalla crisi idrica del 2017, contribuendo a risolvere o mitigare in maniera significativa criticità che avrebbero avuto impatti sicuramente molto più pesanti sul tessuto socio-economico;

    il risparmio della risorsa idrica e la riduzione degli sprechi richiede la transizione da un modello di gestione delle acque reflue di tipo lineare ad uno, maggiormente virtuoso, basato sui principi dell'economia circolare, nel pieno rispetto delle vigenti disposizioni di tutela dell'ambiente e della salute. Nel settore agricolo il riutilizzo delle acque reflue depurate ha un potenziale rilevante, quantificabile in 9 miliardi di metri cubi all'anno, sfruttato solo per il 5 per cento ossia 475 milioni di metri cubi;

    occorre inoltre promuovere tecnologie innovative che consentono di conservare la risorsa idrica mediante lo stoccaggio delle acque piovane in cisterne e/o nel sottosuolo, rendendole meno soggette a fenomeni evaporativi resi più intensi dall'aumento delle temperature, ed incrementare il contenuto della sostanza organica nei suoli al fine di aumentare la capacità di campo, che definisce il contenuto d'acqua nel terreno, in termini di umidità percentuale (un incremento dell'1 per cento nel contenuto di sostanza organica può garantire fino a 300 mc/ha di accumulo idrico nel suolo, disponibile per la vegetazione e le colture agricole);

    tra le milestone del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono state inserite misure importanti per affrontare gli effetti di cambiamenti climatici sulle risorse idriche. Si fa riferimento alla missione M2C4 che prevede «Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell'approvvigionamento idrico» e, in particolare, all'investimento 1.1 «volto ad azioni di monitoraggio e prevenzione dei rischi naturali e indotti sul territorio italiano, sfruttando le conoscenze e le tecnologie esistenti e all'avanguardia, al fine di garantire l'elaborazione e l'attuazione di piani di prevenzione e resilienza adeguati al territorio e alle infrastrutture, a difesa e protezione delle risorse nazionali esistenti e future»,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per disciplinare, con apposite disposizioni normative, gli «osservatori permanenti sugli utilizzi idrici» nei distretti idrografici presso le autorità di bacino distrettuali, ad oggi affidati a protocolli d'intesa e pertanto costituiti solo come strutture operative volontarie e di tipo sussidiario, a supporto della gestione delle risorse idriche nel distretto idrografico;

2) ad adottare adeguate iniziative volte ad aumentare il grado di resilienza dei sistemi di approvvigionamento dei diversi comparti di utilizzo della risorsa idrica rispetto ai fenomeni di siccità, con particolare riferimento alla realizzazione degli interventi inerenti le infrastrutture, anche a carattere emergenziale, all'attuazione dei programmi di recupero delle perdite idriche, e all'aggiornamento e all'attuazione del Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico (Pnissi) di cui all'articolo 1, comma 516, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, mediante il finanziamento della progettazione di interventi considerati strategici nel medesimo Piano, in coerenza con l'obiettivo della Missione 2, Componente 4 del Pnrr;

3) a promuovere politiche intersettoriali sulla gestione della quantità e della qualità dell'acqua per accrescere la resilienza dei sistemi di approvvigionamento idrico, di trattamento, di stoccaggio e di trasporto nonché dei sistemi di igiene, assicurando adeguate conoscenze ai fini decisionali e della corretta comunicazione ambientale;

4) ad adottare iniziative per prevedere la creazione di un catasto a scala distrettuale, interoperabile con i catasti regionali, delle concessioni delle utilizzazioni delle acque pubbliche, comprensivo dell'indicazione dei punti di prelievo dell'acqua dai corpi idrici, dei punti di restituzione dell'acqua a valle dell'utilizzo, dei valori di portata concessi, del periodo di prelievo, delle tipologia di uso, della scadenza dei titoli, oltre a provvedere all'acquisizione, anche in tempo reale, e all'archiviazione delle misurazioni dei prelievi e delle restituzioni, affinché sia consentito di conoscere la ripartizione idrica tra i diversi usi e di assumere le decisioni per la gestione dell'eventuale emergenza da parte degli organi della Protezione civile e delle altre autorità competenti coinvolte;

5) ad adottare iniziative volte a prevedere una ricognizione puntuale degli scopi delle principali captazioni idriche, anche in vista di piani di riduzione differenziata delle captazioni in caso di emergenza idrica quantitativa e qualitativa in funzione dell'utilizzo primario;

6) a predisporre idonee iniziative normative, in raccordo con gli enti territoriali competenti, finalizzate alla gestione della crisi idrica da parte delle regioni in una fase precedente la dichiarazione dello stato di emergenza, mediante ordinanze che abbiano la finalità di ridurre o sospendere i prelievi idrici e di ottimizzare l'invasamento di acqua;

7) a monitorare il completamento delle sperimentazioni sul deflusso ecologico, consentendo l'aggiornamento dei deflussi ecologici a valle delle derivazioni nel rispetto degli obiettivi ambientali fissati dal piano di gestione e di quanto disposto dagli strumenti normativi e attuativi vigenti a livello europeo, nazionale e regionale;

8) ad adottare iniziative volte a rendere pubblici i dati relativi alla concentrazione dei nitrati e di altri elementi/inquinanti nelle acque potabili erogate, al fine di consentire un'adeguata informazione ai cittadini ed il costante monitoraggio della qualità delle acque;

9) ad assumere iniziative finalizzate ad aumentare gli investimenti nella ricerca sulle tecnologie volte a migliorare lo stoccaggio e il risparmio idrico e su sistemi e tecniche di irrigazione di precisione che consentano di regolare le portate e di ridurre l'inutile spreco della risorsa idrica;

10) a promuovere l'attivazione di misure e progetti che consentano di ampliare la capacità di depurazione ai fini del riutilizzo delle acque reflue, nel rispetto delle vigenti disposizioni di tutela dell'ambiente e della salute;

11) ad avviare ogni iniziativa utile volta a promuovere lo stoccaggio delle acque piovane in cisterne e/o nel sottosuolo, rendendole meno soggette ai fenomeni evaporativi, resi più intensi dall'aumento delle temperature, e ad aumentare la capacità idrica di campo incrementando il contenuto della sostanza organica nei suoli;

12) a fornire elementi in merito allo stato delle attività di rinaturazione dei corsi d'acqua previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;

13) ad adottare iniziative per potenziare, nell'ambito dei piani di bacino dei distretti idrografici, gli strumenti e le regole di esercizio volte ad assicurare l'equilibrio del bilancio idrico, garantendo un'equa ripartizione della risorsa tra territori regionali contigui, con particolare attenzione per le deficienze idriche connesse ai periodi di siccità e scarsità della risorsa;

14) a monitorare lo stato quantitativo dei corpi idrici e pianificare, di concerto con le autorità di bacino regionali, le azioni volte a contrastare gli effetti negativi delle scarse precipitazioni mediante l'acquisizione mensile dei volumi degli invasi da parte di tutti i gestori, quale condizione preventiva e necessaria per pianificare le risorse finanziarie e mitigare gli effetti della siccità su tutta la penisola;

15) ad accrescere le conoscenze sull'effettiva disponibilità e la gestione attenta delle risorse idriche sotterranee, caratterizzate da una più elevata qualità e da un importante potenziale in un contesto di crescente scarsità idrica;

16) ad adottare iniziative per prevedere una riduzione di prelievi e captazioni da parte dei concessionari delle acque minerali nelle aree in cui la crisi idrica si presenti critica;

17) a promuovere campagne di sensibilizzazione volte a condividere in modo solidaristico e secondo principi di proporzionalità la necessità di riduzione dei prelievi da aste fluviali e bacini da parte di tutti i soggetti derivatori.
(1-00064) «Ilaria Fontana, L'Abbate, Sergio Costa, Morfino, Santillo, Pavanelli, Sportiello, Torto».

(13 febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    da diversi anni l'Italia è chiamata ad affrontare situazioni di siccità che condizionano pesantemente le risorse idriche del Paese, come testimoniato in modo emblematico sia dal fiume Po che dal Lago di Garda, entrambi ormai vicini, se non già oltre, al loro livello minimo storico;

    l'agricoltura delle grandi regioni del Nord Italia e della Pianura Padana è storicamente legata al fiume Po, ai grandi laghi e ai laghi alpini; la portata del fiume Po si è ridotta in modo talmente drammatico che il suo cuneo salino è ormai risalito di diversi chilometri, con effetti negativi sulle falde e, dunque, sull'intero comparto; questa situazione ormai non più episodica rischia di mettere in ginocchio un intero sistema economico. Il bollettino dell'Autorità distrettuale del fiume Po aggiornato al 13 aprile 2023 ha peraltro certificato che i dati risultano peggiorati rispetto allo stesso periodo di appena un anno fa;

    nel 2022 si è registrato un calo di circa il 45 per cento della pioggia e di circa il 70 per cento della neve rispetto alle medie degli anni precedenti, e alla luce del fatto che la carenza di piogge è stata particolarmente rilevante anche in questi primi due mesi del 2023, è purtroppo ragionevole aspettarsi che ci sarà una progressiva riduzione delle precipitazioni anche nei prossimi anni, o quantomeno una loro concentrazione temporale, alternata a bombe d'acqua e episodi piovosi di particolare intensità, spesso causa di dissesto idrogeologico;

    in base ai dati dell'Ispra, la disponibilità di risorsa idrica media annua in Italia, calcolata nel periodo 1951-2020, ammonta a 469,8 millimetri (corrispondente a un volume di circa 142 miliardi di metri cubi), cioè il 19 per cento in meno rispetto al valore medio annuo del trentennio 1921-1950, con un trend negativo che vede stimata una perdita di un ulteriore 40 per cento (con punte del 90 per cento in certe zone del Sud Italia) nei prossimi trent'anni;

    la quantità d'acqua utilizzata in Italia ogni anno equivale a circa 26,6 miliardi di metri cubi, distribuiti per il 51 per cento nel settore agricolo, per il 21 per cento nel settore industriale, per quasi il 20 per cento nel civile, e per un restante 8 per cento circa tra settore energetico e zootecnia; l'attuale crisi di siccità ha quindi ripercussioni dirette e gravi per le aziende del settore agricolo; un periodo di siccità prolungata, infatti, crea naturalmente problemi per l'insieme delle tipologie di colture – in particolare quelle a forte consumo idrico come il riso, e per gli allevamenti, ivi incluse le acquacolture, per il buon esito dei prossimi raccolti e per la produttività del mare, perché se non c'è acqua non arrivano nutrienti e il fitoplancton necessari allo sviluppo della molluschicoltura;

    secondo le stime di Cia-Agricoltori Italiani, Coldiretti e Confagricoltura dell'estate 2022, i danni sono stimabili in diversi miliardi di euro, con le rese di grano e del latte da mucche che hanno visto un calo di ben oltre il 10 per cento. È chiaro che più la situazione si prolungherà, maggiori saranno le quantificazioni dei danni per il tessuto agroalimentare del Paese;

    ad essere intaccata, però, è anche la produzione idroelettrica, che ha registrato nel 2022 un calo di circa il 38 per cento della potenza prodotta, e con l'attuale inverno estremamente mite la situazione è ancor più grave dell'anno scorso, il quale era già stato l'anno peggiore degli ultimi sette decenni;

    pur con la crescita di produzione dal fotovoltaico e dall'eolico, infatti, nel 2022 il dato dell'idroelettrico ha fatto registrare un calo dal 40 per cento al 35 per cento della componente rinnovabile sul totale della produzione nazionale;

    per quanto riguarda gli usi prettamente civili delle risorse idriche, nelle ultime settimane l'Associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue (Anbi) ha dichiarato che per almeno per 3,5 milioni di abitanti non si possa più dare per scontata l'acqua dal rubinetto, con il 15 per cento della popolazione che ormai vive in territori esposti ad una siccità severa, quando non estrema;

    non sorprende, quindi, come anche l'Organizzazione mondiale della sanità già nel 2018 abbia classificato l'Italia come Paese con stress idrico medio-alto, in quanto utilizza fino al 35 per cento delle proprie risorse idriche rinnovabili, dato peraltro in aumento costante rispetto al periodo di riferimento 1971-2001;

    in aggiunta, l'attuale grave situazione di siccità sta contribuendo ad acuire la già problematica presenza di fauna selvatica nelle aree urbane, essendo gli animali costretti a spostarsi in ricerca di maggiori fonti di acqua;

    la perdurante scarsità di precipitazioni pluviometriche e nevose degli ultimi anni ha infatti cagionato una riduzione dei deflussi superficiali e delle conseguenti riserve idriche, condizionando la capacità di ricarica delle falde superficiali, i cui effetti risultano amplificati anche a causa delle diffuse criticità strutturali che caratterizzano gli impianti e la rete di distribuzione idrica nazionale, con perdite che superano addirittura il 40 per cento; quest'ultimo dato è particolarmente allarmante a sé stante e, a maggior ragione, se paragonato ad altri Paesi europei: in Francia la dispersione nella rete idrica ammonta a circa il 20 per cento, mentre in Germania all'8 per cento;

    la rete idrica italiana necessita di importanti interventi di modernizzazione e manutenzione: dei 550 mila chilometri di rete idrica, oltre il 60 per cento risale a più di 30 anni fa, e il 25 per cento ha addirittura superato i 50 anni di attività. Il tasso di rinnovo della rete idrica italiana è tra i più bassi d'Europa: in media solamente 3,8 metri per ogni chilometro di condotte a fine vita viene sostituito ogni anno e quasi tutti gli interventi sono concentrati al Centro-nord. Con questo tasso di rinnovo, Utilitalia stima che non sarà possibile ammodernare l'intera infrastruttura, e raggiungere così l'obiettivo di dispersione inferiore al 10 per cento prima di almeno 250 anni;

    in Italia solamente l'11,3 per cento dell'acqua piovana (circa 34,2 miliardi di metri cubi) viene immagazzinata, con un conseguente spreco di un enorme potenziale: secondo l'Anbi, infatti, servirebbero oltre 2.000 nuovi invasi, incentivando peraltro la pulizia di quelli già esistenti. A tal proposito, sarebbe poi auspicabile una semplificazione normativa riguardante la gestione dei detriti che attualmente devono essere trattati come rifiuti speciali;

    nel nostro Paese non esiste poi un piano nazionale per il riuso delle acque di depurazione nonostante il grande potenziale di questa risorsa: quasi il 30 per cento dell'acqua restituita dai sistemi di depurazione è di buona qualità, ma invece di venire riutilizzata in agricoltura ritorna nei fiumi o in mare. È necessario predisporre il prima possibile tale piano, sia in considerazione del Regolamento (UE) 2020/741 in materia di riutilizzo dell'acqua, il quale si applicherà a partire dal 26 giugno 2023, che alla luce delle numerose procedure di infrazione attive nei confronti dell'Italia in tema di collettamento, fognatura e depurazione;

    una gestione asistematica e scoordinata delle già esigue risorse idriche – destinate a diventare sempre più carenti – si traduce in un vero e proprio danno per tutti i settori e servizi, da quello agricolo e industriale, a quello elettrico e turistico, senza dimenticare, appunto, l'approvvigionamento di acqua potabile alla popolazione;

    la situazione è talmente drammatica che lo stesso Governo il 1° marzo 2023 ha tenuto un tavolo sulla crisi idrica dai cui lavori è scaturita l'istituzione di una cabina di regia e la previsione di nominare un commissario straordinario nazionale con poteri esecutivi;

    la cabina di regia dovrà effettuare una ricognizione delle opere e degli interventi di urgente realizzazione – per il tramite dello stesso commissario straordinario nazionale – per fare fronte alla crisi idrica nel breve termine;

    ad inizio aprile 2023 il Consiglio dei ministri ha varato un decreto-legge sulla prevenzione e il contrasto della siccità e per il potenziamento e l'adeguamento delle infrastrutture idriche;

    appare infatti urgente, adottare misure volte a mitigare i rischi derivanti dalle carenze idriche, destinate ad aggravarsi in considerazione delle elevate temperature e dell'incremento dei prelievi d'acqua a uso idropotabile e irriguo ed è necessario ed urgente provvedere ad una manutenzione costante dei letti dei corsi d'acqua e degli invasi, insieme ad un continuo monitoraggio di corsi d'acqua, fiumi, laghi, ghiacciai e di tutte le acque interne, compito che era affidato all'unità di missione «Italia sicura», che è stata sciolta e che dovrebbe essere ripristinata;

    le iniziative di breve periodo, infatti, come lo sono le dichiarazioni di stati di emergenza che si sono succedute di volta in volta negli anni, esauriscono in fretta le loro finalità e necessitano di essere affiancate da obiettivi di medio-lungo periodo a cui si può tendere unicamente attraverso misure portanti in termini di ammodernamento infrastrutturale contro la dispersione, di un piano sugli invasi, degli usi tecnologici nell'irrigazione, del recupero dell'acqua piovana nonché di tutte le azioni previste dalla Missione 2, Componente 4 del Pnrr (Tutela del territorio e della risorsa idrica), per la quale sono contemplati investimenti per un totale di circa 3,9 miliardi di euro, di cui 2,9 miliardi finanziati dal Piano stesso;

    va altresì ricordato come il Contratto istituzionale di sviluppo «Acqua bene comune», avviato dal precedente Governo, preveda un piano di investimenti da oltre un miliardo di euro e abbia ricevuto numerose proposte progettuali in materia di captazione e accumulo, potabilizzazione, trasporto e distribuzione, fognature, depurazione, riutilizzo e restituzione all'ambiente della risorsa idrica nonché monitoraggio dei corpi idrici entro il termine del 10 ottobre 2022. L'iniziale tabella di marcia prevedeva l'inizio dei lavori ad aprile 2023, ma ad oggi non si hanno novità e l'ultima comunicazione da parte dell'Agenzia per la coesione territoriale risale al 6 dicembre 2022;

    gli investimenti sulla rete idrica vanno, evidentemente, aumentati: secondo la Federazione Utilities, il costo di tutti gli interventi necessari per contrastare i fenomeni di siccità è di circa 5 miliardi l'anno, in parte già finanziabili attraverso il Pnrr. Secondo uno studio di Cassa depositi e prestiti, inoltre, aumentare gli investimenti annui dagli attuali 2 miliardi di euro a 5 miliardi di euro consentirebbe all'Italia di allinearsi alle quote di investimento degli altri Paesi europei di simili dimensioni, i quali, come detto, presentano tassi di dispersione nettamente migliori;

    in Italia gli investimenti nel settore idrico, infatti, equivalgono a circa 49 euro pro capite, meno della metà della media europea di 100 euro pro capite;

    al fine di favorire l'aumento degli investimenti sulla rete, sarebbe inoltre necessaria una riduzione del numero degli operatori del servizio idrico in Italia, che attualmente si attesta a circa 2.500, di cui l'83 per cento sono gestori cosiddetti «in economia» – ovvero gestione diretta da parte del comune – e solamente il 17 per cento sono gestori industriali privati. Questi ultimi investono, in media, sei volte più dei loro competitor pubblici ma nettamente meno rispetto ai loro omologhi europei. In aggiunta, si riscontrano notevoli differenze territoriali, con investimenti pro capite di circa 62 euro al Centro e di appena 26 euro nelle regioni del Mezzogiorno;

    l'insufficiente livello di investimento si verifica anche perché il 53 per cento degli operatori sono di ridotte dimensioni, con conseguenti limitate capacità di spesa, e il 40 per cento non copre tutto il processo di gestione della risorsa idrica ma solamente alcune fasi, portando ad evidenti difficoltà nella pianificazione degli investimenti stessi. È fondamentale, perciò, anche attraverso un maggior coordinamento regionale, arrivare a ridurre il numero degli operatori, sia di natura privata che pubblica, per aumentarne sia l'efficienza, grazie ai vantaggi delle economie di scala, che la capacità di attrarre capitali privati, ormai molto attenti ai temi degli investimenti sostenibili;

    gli investimenti sull'infrastruttura idrica vanno, però, abbinati allo sviluppo tecnologico e alla formazione nell'utilizzo quotidiano della risorsa idrica, con particolare riferimento agli usi civili, imprenditoriali e del settore agricolo che possono avvalersi degli strumenti di irrigazione di precisione. Quest'ultima permette non solo di ridurre enormemente gli sprechi, ma anche di avere migliori rendimenti attraverso un monitoraggio delle fasi delle colture che evita alle piante gli stress da carenza, o sovrabbondanza, d'acqua, la diffusione di fitopatie, permette un minore impiego di fitofarmaci, e nell'allevamento garantisce un migliore benessere animale. Si dovrebbero prevedere misure di incentivazione fiscale e di iper-ammortamento per questo tipo di investimenti, ivi inclusi quelli per i processi di monitoraggio e di controllo digitale, per i sistemi di sensistica e, infine, per ricerca e sviluppo sulla diffusione di varietà di coltivazioni più resistenti agli stress idrici, con l'obiettivo di accompagnare l'intero comparto agroalimentare nell'adattamento ai cambiamenti climatici,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a provvedere, in via assolutamente prioritaria, alla realizzazione degli investimenti necessari per l'ammodernamento dell'infrastruttura idrica, per il monitoraggio dei bacini idrografici e per una maggiore resilienza dell'intera rete alle sfide causate dai cambiamenti climatici e dai sempre più frequenti fenomeni di siccità, anche attraverso i fondi messi a disposizione del Pnrr;

2) ad adottare iniziative per ripristinare una unità di missione da porre in capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri che si occupi di dissesto idrogeologico e di sviluppo e coordinamento della manutenzione delle strutture idriche, anche nell'ottica di ammodernamento ed efficientamento del sistema acquedottistico nazionale, limitando le attuali cospicue perdite idriche lungo il percorso di distribuzione e della realizzazione e messa in esercizio di un sistema di collettori e depuratori di fanghi reflui, anche al fine di accogliere le raccomandazioni che giungono dall'Unione europea e scongiurare ulteriori procedure di infrazione;

3) ad adottare iniziative volte ad accelerare l'approvazione dei progetti riferiti al CIS «Acqua bene comune», presentati nell'ottobre 2022 con l'obiettivo di migliorare la gestione della risorsa idrica e la resilienza dell'intero settore;

4) ad incentivare, attraverso iniziative normative di natura fiscale, ovvero agevolazioni quali l'iper-ammortamento, gli investimenti in irrigazione di precisione, agricoltura 2.0, impianti di irrigazione di ultima generazione e interventi agronomici e infrastrutturali volti al miglioramento dell'efficienza nell'uso delle risorse idriche in campo agricolo, che tengano conto delle effettive esigenze colturali e delle caratteristiche del suolo, con particolare riferimento a specifiche misure di sostegno per le imprese agricole, della acquacoltura e della filiera agroalimentare della trasformazione, da impegnare in investimenti tecnologici e digitali, e nella formazione degli operatori;

5) a predisporre, quanto prima, anche attraverso la nascente task-force, un piano per la realizzazione delle migliaia di nuovi invasi, ivi inclusi piccoli invasi «interaziendali» a servizio delle imprese agricole, necessari a una maggiore e più capillare capacità di immagazzinamento dell'acqua piovana, oltre che una semplificazione normativa per la gestione dei detriti nella pulizia degli invasi già esistenti;

6) a promuovere un piano per il riuso delle acque di depurazione, sia in considerazione del Regolamento (UE) 2020/741 in materia di riutilizzo dell'acqua, il quale si applicherà a partire dal 26 giugno 2023, che alla luce delle numerose procedure di infrazione attive nei confronti dell'Italia;

7) a promuovere, anche in linea con le indicazioni della Commissione europea e la spinta dei diversi Governi europei, la ricerca riguardo la coltivazione idroponica e le nuove tecniche genomiche (NGT – New Genomic Techniques), finalizzate ad identificare coltivazioni più resistenti e che necessitino di minori quantità di acqua, in modo da accompagnare il nostro intero settore agroalimentare nell'adattamento ai cambiamenti climatici e al conseguente fenomeno della siccità;

8) ad adottare iniziative, se necessario anche attraverso norme primarie e d'intesa con le regioni e gli enti locali, al fine di un riassetto complessivo degli enti gestori del servizio idrico integrato, prevedendo una razionalizzazione e riduzione dei soggetti coinvolti nonché una riduzione degli attuali ostacoli burocratici, al fine di garantire una maggiore efficienza e una migliore capacità di programmare ed attrarre investimenti;

9) a promuovere campagne di comunicazione e sensibilizzazione che incentivino, da un lato, i cittadini ad un uso più attento e responsabile della risorsa idrica e, dall'altro, le aziende e le industrie ad introdurre nei loro processi produttivi e nei loro cicli industriali sistemi di riutilizzo, ovvero di irrigazione per il comparto agricolo, più efficienti e tecnologici;

10) a promuovere un piano complessivo ed omogeneo a livello nazionale che consenta la costruzione e la messa in esercizio di dissalatori, al fine di ottenere consistenti quantità di acqua dolce dalla dissalazione e depurazione delle acque marine;

11) a prevedere l'implementazione di un sistema di coordinamento nazionale che tenga in considerazione le specificità degli utilizzi agricoli, industriali, civili e turistici dell'acqua, con il fine di evitare conflittualità tra questi usi e di ottenere una più oculata gestione delle risorse idriche.
(1-00081)(Nuova formulazione) «Ruffino, Richetti, Gadda, Castiglione, Enrico Costa, Del Barba, Grippo, Marattin, Sottanelli».

(2 marzo 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    la siccità in Italia sta diventando sempre più comune negli ultimi decenni, con conseguenze devastanti per l'agricoltura, l'ambiente e la popolazione. Le cause principali della siccità sono legate al cambiamento climatico, che sta aumentando la temperatura globale e alterando i modelli di precipitazione, ma anche a un uso insostenibile della risorsa idrica;

    il grido di allarme lanciato dagli scienziati dell'Ipcc (il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) con l'ultimo rapporto pubblicato a fine marzo 2023, indica chiaramente come non ci sia più tempo da perdere per fronteggiare l'emergenza climatica. Il surriscaldamento del pianeta, con un aumento della temperatura media globale di 1.1 °C rispetto all'era preindustriale (1850-1900), sta già avendo impatti diffusi e disastrosi che colpiscono la vita di milioni di persone in tutto il mondo, con l'aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni che stanno già superando il livello di guardia;

    in questo scenario si inserisce l'estate 2022, forse quella dove si è registrata la peggiore siccità in Europa da 500 anni a questa parte e il 2023 che si preannuncia ancora più drammatico. L'Italia ha chiuso il 2022 con un pesante deficit idrico, aggravato dalla siccità che ha colpito duramente tutto il Nord e parte del Centro per oltre un anno. A subire le conseguenze maggiori sono stati soprattutto i terreni irrigui e i prati-pascoli, che sono stati colpiti da un intenso deficit di pioggia di lungo periodo, ma la siccità ha influito pesantemente anche sull'agricoltura e sull'energia idroelettrica prodotta, che ha subito una forte riduzione di circa il 40 per cento. Secondo i dati della piattaforma Entso-E, il calo è visibile già dalla metà del 2021, ma il 2022 è stato un anno eccezionale rispetto ai sei precedenti e anche i valori dei primi mesi del 2023, sono molto inferiori aggravando ulteriormente la situazione;

    appare molto preoccupante la situazione della siccità nel Nord-Ovest del Paese, come evidenziato da diverse fonti, in particolare, l'Ordine dei geologi, che ha riferito come le riserve di acqua in Lombardia sono di circa il 45 per cento in meno rispetto alla media tra il 2006 e il 2020, con il livello dei laghi inferiore di poco più del 50 per cento e il manto nevoso sulle montagne solo al 46,2 per cento della media. Questa grave siccità ha causato il ridotto livello dei fiumi e dei laghi della regione, che rappresenta un problema per l'ecosistema e per le attività umane che ne dipendono. Rispetto al massimo valore d'invaso il Lago di Garda, ad esempio, ha un riempimento del 35 per cento, che lo porta a soli 13 centimetri dal record minimo del periodo risalente al 1989, mentre il Lago di Como ha una percentuale di riempimento pari al 20 per cento e un livello di -5,8 cm, circa 20 cm al di sotto dei livelli normali. Il Lago Maggiore ha un riempimento del 38 per cento, inferiore alla norma, mentre il Fiume Po a Ponte della Becca (Pavia) si trova a -3,2 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate;

    l'altra causa della siccità in Italia è l'uso insostenibile dell'acqua, di cui non conosciamo appieno i consumi annui. Se per gli usi civili, periodicamente rilevati dall'Istat, sappiamo che si erogano ai cittadini circa 4,7 miliardi di metri cubi l'anno, ai quali va aggiunto un terzo dovuto alle perdite delle reti di distribuzione, le stime sugli usi industriali non sono mai state aggiornate da oltre 20 anni, mentre l'incertezza maggiore riguarda gli usi irrigui. Il Censimento dell'agricoltura 2010 stima che per irrigare i 2,42 milioni di ettari di superficie irrigua nazionale si impiegano circa 11,1 miliardi di metri cubi all'anno, che tenuto conto delle elevate perdite di distribuzione delle reti irrigue implicherebbe un prelievo di circa 25 miliardi di metri cubi;

    al netto delle perdite l'Italia è il Paese dell'EU con i consumi domestici più elevati (220 litri/abitante/giorno contro i 150 della Grecia e i 132 della Spagna – fonte: Blue Book 2022) e ciò per la totale mancanza di incentivi per favorire la diffusione di soluzioni che nel resto d'Europa si stanno diffondendo, come la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie depurate;

    la fatiscenza degli acquedotti porta ad una perdita di acqua pari al 42 per cento, potremmo dare da bere ad una popolazione di 40 milioni di abitanti: nonostante questa emergenza infrastrutturale il PNRR prevede solo 900 milioni di euro di investimento per affrontare la dispersione dell'acqua dalle condutture;

    l'azione condotta fin qui dai Governi è stata per lo più improntata ad un uso reiterato dei commissariamenti, da quelli per il dissesto idrogeologico a quelli per accelerare la predisposizione e attuazione del Piano nazionale di interventi nel settore idrico, dal commissario unico nazionale per la depurazione, ai commissari delegati per gli interventi urgenti per la gestione della risorsa idrica con un approccio dettato dall'emergenza e dall'estemporaneità degli interventi, per lo più di carattere infrastrutturale e di ulteriore artificializzazione del reticolo idrico, senza affrontare in modo ordinario e pianificato la gestione delle acque;

    nel nostro Paese attualmente vi sono 532 grandi dighe, di cui solo 374 in pieno esercizio, mentre 7 risultano ancora in costruzione, 76 in attesa di collaudo, 41 a invaso limitato e 33 fuori esercizio temporaneo (Annuario dei dati ambientali 2020, Ispra, 2021), mentre per le piccole dighe sono state raccolte informazioni su 26288 invasi, molti dei quali recentemente costruiti. Da rilevare poi che, sulla spinta degli incentivi, gli impianti di produzione di energia idroelettrica e la conseguenza frammentazione del reticolo idrico soprattutto montano, sono aumentati enormemente nell'arco di un decennio, passando da 2249 nel 2009 a 4337 nel 2018 (Terna, 2018). Impianti piccoli, con un contributo energetico strategico trascurabile (+0,7 per cento di potenza installata in 10 anni) ma con elevati impatti ambientali;

    in Italia, come in altri Paesi mediterranei, le politiche di approvvigionamento idrico hanno puntato ad accrescere la «capacità di regolazione» dei deflussi superficiali, creando invasi in cui accumulare le acque nel periodo piovoso per utilizzarle durante quello arido. Questa strategia ha tuttavia ben pochi margini per essere ulteriormente attuata, considerando che le sezioni dei corsi d'acqua dove era più facile ed efficace realizzare invasi sono ormai già abbondantemente sfruttate e che il riempimento dei volumi di accumulo esistenti sta diventando sempre più difficile a causa del mutato regime delle precipitazioni, a partire da quelle nevose, visto che con i grandi laghi alpini e gli invasi artificiali semivuoti sembra molto ottimistico pensare che realizzarne di nuovi possa risolvere il deficit idrico;

    negli ultimi decenni, sono risultati sempre più evidenti i notevolissimi impatti ambientali e socio-economici degli sbarramenti dei fiumi. Secondo l'analisi delle pressioni sulle acque svolta in attuazione della direttiva quadro 2000/60, dighe e altri ostacoli sono, infatti, il fattore di pressione più significativo in almeno il 30 per cento dei corpi idrici europei e causa del mancato raggiungimento del buono stato ecologico in almeno il 20 per cento di essi;

    le dighe, oltre ad impattare drammaticamente la popolazione ittica, hanno determinato (insieme alle escavazioni in alveo) un cronico deficit di sedimenti su estese porzioni del reticolo idrografico italiano, con incisione degli alvei ed erosione costiera e conseguenti danni a ponti e opere di difesa, rendendo necessario un ingente esborso di risorse per ricostruire o stabilizzare tali infrastrutture e per realizzare opere di difesa dei litorali. Incisione degli alvei ed erosione delle coste sono fattori primari di depauperamento delle falde freatiche e di intrusione del cuneo salino, ovvero proprio quei fenomeni che vengono spesso imputati esclusivamente alla siccità e che si pretende di combattere con nuove dighe;

    all'accumulo negli invasi si collegano poi altri problemi significativi, come la perdita di molta acqua per evaporazione, l'aumento elevato di temperature negli invasi più piccoli, con formazione di condizioni anossiche, fioriture algali e sviluppo di cianotossine (uno dei problemi di qualità dell'acqua emergenti di maggior rilievo a livello mondiale), fattori che compromettono il successivo utilizzo di queste acque e la necessità di sfangamento degli invasi, che spesso comportano interventi costosi e complessi sul piano tecnico, impatti ambientali rilevanti e la difficoltà di reperire siti idonei, nel caso in cui i fanghi vadano smaltiti ai di fuori del corso d'acqua;

    risulta pertanto evidente come gli invasi lungo i corsi d'acqua non rispettino assolutamente il principio Dnsh (Do no significant harm), che prevede che gli interventi previsti dai PNRR non arrechino danno significativo all'ambiente e vanno nella direzione diametralmente opposta rispetto alla Strategia europea per la biodiversità 2030 e alla proposta di Regolamento europeo per la «Nature Restoration», che chiedono invece di ripristinare la connettività dei corsi d'acqua, rimuovendo sbarramenti che creano più danni che benefici e non di costruirne di nuovi;

    anche la realizzazione di impianti di desalinizzazione per aumentare la disponibilità idrica non è sostenibile come soluzione strutturale di approvvigionamento idrico per il Paese e può essere presa in considerazione solo in casi di necessità, in determinati periodi dell'anno e solo per realtà particolari, ad esempio le piccole isole. Sono, infatti, molto elevati tanto i costi economici quanto quelli energetici e ambientali associati a questa tecnologia, considerando che i residui del trattamento, ad esempio, sono costituiti da una «melma» ipersalina (la salamoia) ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri, il cui smaltimento determina notevoli impatti dove viene scaricata, tendendo a stratificarsi in prossimità del fondale marino e alterando gravemente habitat e specie;

    per sopperire all'eccesso di domanda irrigua rispetto alla disponibilità idrica, troppo spesso inoltre si fa ricorso al meccanismo della deroga al deflusso ecologico, che dovrebbe restare una misura di assoluta emergenza. Ora la deroga, applicata anche nella misura del 70 per cento e per l'intera stagione irrigua, sta diventando, di fatto, un istituto ordinario in diverse regioni, vanificando così gli sforzi in corso per passare da un ormai obsoleto deflusso minimo vitale a un vero e proprio deflusso ecologico, che tenga in considerazione i diversi aspetti rilevanti del regime idrologico e le funzioni e servizi ecosistemici a essi associati. La realizzazione di nuovi invasi rischia, non solo di alterare ulteriormente il regime idrologico di corsi d'acqua già fortemente impattati, ma di determinare un'ulteriore spinta per altre deroghe;

    secondo stime Anbi in Italia all'agricoltura sono imputabili 14,5 miliardi di metri cubi di acqua l'anno, pari al 54 per cento dei consumi totali e in tale contesto appare quanto mai necessario, a fronte non solo delle crisi idriche ma di quelle sistemiche che rendendo sempre più difficile e costoso l'accesso ai fattori su cui si è basata la produttività agricola, promuovere un sistema agroalimentare che richieda un minor uso idrico, anche attraverso una riconversione del sistema dell'industria zootecnica e ridefinire l'organizzazione dei paesaggi agrari e delle pratiche agronomiche, con l'adozione di misure mirate all'incremento della funzionalità ecologica dei territori agrari e della loro capacità di trattenere e far infiltrare le acque meteoriche e prevenire il degrado dei suoli, con l'adozione generalizzata di pratiche colturali che implementino il contenuto di sostanza organica nei suoli e la loro capacità di assorbire le piogge e trattenere umidità;

    l'agricoltura intensiva ha poi determinato un estremo impoverimento dei suoli agricoli. Secondo Ispra il 28 per cento del territorio italiano presenta segni di desertificazione, che non è solo un problema di mancanza d'acqua. Secondo i dati Crea (2017) in Italia il contenuto di carbonio organico nei suoli è in media pari all'1 per cento: questo indica suoli disfunzionali, inclini alla desertificazione, meno capaci di trattenere acqua e nutrienti, dalla minore capacità produttiva. Si stima che aumentando di solo l'1 per cento il contenuto di sostanza organica nel suolo, la capacità di trattenere acqua aumenti di quasi 300 metri cubi per ettaro. La superficie agricola italiana è di circa 17 milioni di ettari, si tratta quindi di un accumulo di oltre 5 miliardi di metri cubi, quasi la metà di quella che si può attualmente accumulare negli invasi delle grandi dighe italiane (11,8 sono i miliardi di metri cubi invasabili attualmente stimati);

    il luogo migliore dove stoccare l'acqua rimane la falda e la ricarica controllata della falda determina un ventaglio ampio di benefici oltre quello dello stoccaggio: falde più alte sono di sostegno a numerosi habitat umidi, lentici e lotici si previene la subsidenza indotta dall'abbassamento della falda; falde più elevate rilasciano lentamente acqua nel reticolo idrografico sostenendo le portate di magra; livelli di falda alti contrastano l'intrusione del cuneo salino. I sistemi di ricarica controllata della falda costano in media 1,5 euro per metri cubi di capacità di infiltrazione annua, mentre per gli invasi i costi arrivano a 5-6 euro per metri cubi di volume invasabile. I sistemi di ricarica controllata consumano molto meno territorio e per essi è più facile trovare siti idonei; metodi «naturali» come le aree forestali di infiltrazione, già realizzate ed efficacemente dimostrate in alcuni contesti agricoli, andrebbero incentivate e potrebbero, fornire diversi servizi ecosistemici aggiuntivi;

    l'ostacolo principale all'infiltrazione delle piogge nel suolo è data dalla forte cementificazione del territorio e dall'impermeabilizzazione dei suoli che ha ridotto progressivamente la capacità di rigenerazione delle falde idriche, determinando il rapido convogliamento delle acque nei sistemi di fognatura urbana. Il consumo di suolo viaggia ad una velocità di 2 mq/sec, secondo i dati Ispra il recupero delle acque piovane in ambito urbano risulta viceversa assolutamente strategico, considerando che i dati pluviometrici relativi a 109 città capoluogo di provincia nel 2023, anno in cui le piogge sono state anche inferiori alle medie storiche di riferimento, indicano in circa 13 miliardi di metri cubi l'acqua piovana dispersa, una quantità corrispondente a circa il 40 per cento dei prelievi medi annui di acqua in Italia (circa 33 miliardi di metri cubi);

    per far sì che le precipitazioni permangano più a lungo sul territorio, alimentando le falde e smorzando i picchi di piena, invece di scorrere velocemente a valle, un'altra misura fondamentale è la restituzione di spazio ai fiumi, riducendone la canalizzazione e ripristinando la connessione tra gli alvei e le pianure inondabili, anche rimuovendo opere di difesa e, quando necessario, ricostruendole a maggior distanza dal fiume. In questa direzione va anche il ripristino della connettività monte-valle, rimuovendo o modificando parte degli sbarramenti esistenti, per recuperare le forti incisioni subite dagli alvei nei decenni scorsi a causa dell'eccesso di escavazioni nei corsi d'acqua e all'effetto di dighe e invasi;

    l'indagine «Il riutilizzo delle acque reflue in Italia», realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), sostiene che il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all'anno, l'acqua che esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato solo per il 5 per cento (475 milioni di metri cubi), a causa di limiti normativi, pregiudizi degli agricoltori e una governance non ancora ben definita. È quindi necessario superare i limiti culturali su questa soluzione, cui dovremo necessariamente ricorrere nei prossimi anni e che, se progettata con criterio, ovvero seguendo i principi della gestione del rischio, e associata a una capillare attività di monitoraggio della qualità, garantisce che l'acqua recuperata sia utilizzata e gestita in modo sicuro per la salute e l'ambiente;

    le soluzioni sopra indicate dovrebbero essere tra le misure previste dai piani di gestione dei bacini idrografici e dettagliate dalle regioni nell'ambito dei piani regionali di tutela delle acque come prescritto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, per cui non servono piani straordinari concepiti sull'onda emotiva dell'emergenza, ma eventuali procedure straordinarie limitate ad affrontare particolari criticità e urgenze, mentre è necessario prevedere dotazioni finanziarie adeguate per l'attuazione di una strategia nazionale integrata per l'attuazione di politiche idriche al tempo del cambiamento climatico,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di competenza volte ad istituire un fondo di 8 miliardi di euro da destinare alla sostituzione-manutenzione degli acquedotti fatiscenti attraverso la rimodulazione del fondo complementare del PNRR;

2) a individuare, sentita Arera e le associazioni degli enti d'ambito e dei gestori dei Sii, gli eventuali ostacoli e i meccanismi di reperimento delle risorse finanziarie che permettano di accelerare il percorso volto a portare le perdite delle reti civili al di sotto del 25 per cento (per le perdite percentuali) ed entro i 15 mc/km/gg (per le perdite specifiche lineari) e di introdurre un nuovo criterio in aggiunta ai 6 definiti dalla «regolazione della qualità tecnica del servizio idrico integrato», che premi i gestori che massimizzano il riuso delle acque depurate;

3) ad istituire, con il supporto di Ispra, Istat, Irsa-Cnr e le altre istituzioni tecnico-scientifiche in grado di contribuire, protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che consentano di conoscere e rendere disponibili ai cittadini stime affidabili delle disponibilità delle risorse idriche, dei consumi reali e della domanda potenziale;

4) ad adottare iniziative volte a definire e adottare per ogni bacino idrografico piani di bilancio idrico con misure di gestione delle siccità che devono essere inserite nella pianificazione territoriali e tenute in considerazione del rinnovo delle concessioni idriche, in modo da superare definitivamente l'attuale approccio emergenziale;

5) a definire un quadro normativo e regolamentare per favorire il riuso in ambito irriguo delle acque reflue secondo il regolamento UE 741/2020, anche associando agli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sistemi di fitodepurazione e lagunaggio, al fine di garantire una maggiore persistenza degli accumuli in superficie, contribuendo alla ricarica delle falde;

6) a definire, di concerto con l'Anci, una strategia sui criteri minimi edilizi che porti alla riduzione dei consumi idrici domestici e il ricorso ad acque non potabili (acque di pioggia accumulate o acque grigie depurate) per gli usi compatibili (risciacquo dei WC, lavatrice, lavaggi esterni) in modo da portare il valore medio dei consumi civili di acqua potabile a non oltre i 150 litri abitante giorno;

7) a definire una strategia di trasformazione del nostro sistema agroalimentare, identificando misure fortemente orientate:

   a) a favorire la diffusione di colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti;

   b) a promuovere la diffusione di misure mirate all'incremento della funzionalità ecologica dei paesaggi e suoli agrari e della loro capacità di ritenzione idrica;

   c) a ridurre gli allevamenti intensivi;

   d) a contenere i consumi irrigui anche attraverso la digitalizzazione e l'innovazione tecnologica;

8) ad adottare le iniziative di competenza volte ad arrestare la costruzione di nuovi grandi invasi artificiali e di nuove dighe lungo i corsi d'acqua e l'escavazione in alveo, che pregiudicano il deflusso ecologico dei fiumi determinando un fortissimo impatto sul sistema idrografico e in generale sulle funzioni vitali dell'ecosistema fluviale;

9) a favorire interventi di rinaturalizzazione dei corsi d'acqua previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;

10) ad adottare iniziative volte a garantire la piena attuazione degli obblighi di rilascio del deflusso ecologico nei corpi idrici, per assicurare una maggior resilienza degli ecosistemi acquatici in condizioni di siccità e anche al fine di ripristinare le naturali funzioni di ricarica delle falde acquifere, associandolo a misure di ricarica artificiale;

11) a recepire le misure previste dalle strategie per la «Biodiversità 2030», «From farm to fork» e «Suolo» nell'ambito del New Green Deal dell'UE e riprese dalla recente proposta normativa «Pacchetto Natura» presentata dalla Commissione europea;

12) ad adottare iniziative normative che portino a consumo suolo zero entro il 2030 per fermare anche l'impermeabilizzazione dei terreni;

13) ad avviare una un programma nazionale di riqualificazione e ripristino della connettività dei corsi d'acqua, come misura di adattamento al cambiamento climatico, in coerenza con gli obblighi della direttiva quadro acque e con gli impegni della strategia europea per la biodiversità e in sinergia con la direttiva alluvioni;

14) ad adottare iniziative volte a destinare almeno 2 miliardi di euro l'anno per un periodo di 10 anni per interventi di riqualificazione morfologica ed ecologica dei corpi idrici naturali e del reticolo minore;

15) a favorire il riutilizzo dell'acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti.
(1-00117) «Bonelli, Zanella, Fratoianni, Evi, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».

(14 aprile 2023)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA ENERGETICA NEL QUADRO DEL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DI NEUTRALITÀ CLIMATICA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ENERGIA NUCLEARE

   La Camera,

   premesso che:

    l'Unione europea, e con essa l'Italia, si è impegnata a raggiungere la neutralità climatica, cosiddetta «net zero», entro il 2050, prevedendo quindi che l'anidride carbonica immessa nell'atmosfera dovrà essere ridotta al minimo e bilanciata da una quantità equivalente rimossa tramite sistemi di cattura e stoccaggio;

    per raggiungere questi obiettivi occorre ridurre in modo significativo l'utilizzo di combustibili fossili (carbone, petrolio e, in via graduale, gas naturale), ricorrendo maggiormente all'impiego di energia elettrica, la cui percentuale sugli usi finali deve passare dall'attuale 21 per cento al 55 per cento;

    questo implica che in Italia al 2050 dovranno essere generati almeno 650 TWh all'anno di energia elettrica, tutti senza emissioni di gas serra;

    a titolo di confronto, nel 2022 in Italia sono stati generati 98 TWh, di cui 32 prodotti da fonte idroelettrica e geotermica e, quindi, difficilmente incrementabili e 66 da fotovoltaico, eolico e biomasse;

    attualmente, la strategia italiana prevede il raggiungimento di questi obiettivi mediante l'utilizzo esclusivo di fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico, eolico e in misura minore biomasse;

    questa soluzione, però, oltre ad essere sostanzialmente impossibile da realizzare considerato l'ammontare degli impianti coinvolti, non è nemmeno quella ottimale per soddisfare, in ogni ora dell'anno, la domanda elettrica attesa al 2050 nel nostro Paese. Considerando, infatti, le reali curve dell'irraggiamento solare e della ventosità, che in Italia è significativamente inferiore rispetto agli altri grandi Paesi europei, accurate analisi di scenario, pubblicate da ricercatori dell'Università di Padova, mostrano che sarebbe necessario installare nei prossimi 30 anni enormi quantità di impianti fotovoltaici (da 350 a 600 GW a seconda delle ipotesi sulla tipologia di pannelli e di sistemi di accumulo, contro gli attuali 25 GW) e fino a 50 GW di impianti eolici (onshore ed offshore, ad oggi 11,8 GW);

    tra l'altro, per far fronte alla variabilità delle fonti solare ed eolica, sarebbero necessari almeno 650 GWh di sistemi di accumulo di breve termine (per esempio batterie o impianti idroelettrici a pompaggio) e risulterebbero inutilizzati, per eccesso di produzione estiva, fino a 200 TWh di energia elettrica (circa il 60 per cento della quantità di elettricità consumata attualmente ogni anno). A meno che il surplus estivo di produzione non venga convertito in idrogeno, tramite impianti di elettrolisi, accumulato per mesi in serbatoi di grande taglia e riutilizzato per generare nuovamente elettricità in inverno, con pile a combustibile. In tal caso servirebbero tra 350 e 400 GW di impianti fotovoltaici, ma si dovrebbero installare almeno 150 GW di impianti di elettrolisi, enormi volumi di serbatoi per l'idrogeno e almeno 50 GW di pile a combustibile; tecnologie queste ultime non ancora mature e comunque estremamente costose, a causa sia dell'impiego degli elettrolizzatori per un numero limitato di ore che per i grandi volumi di stoccaggio idrogeno necessari;

    va da sé che l'installazione di impianti solari ed eolici di così ingenti capacità, atteso che sui tetti di edifici residenziali commerciali ed industriali sarebbe possibile installare impianti fotovoltaici in misura assai inferiore al necessario (dell'ordine di 50 GW), comporterebbe un enorme impatto sul territorio: fino a 800-900 mila ettari (8-9 mila chilometri quadrati, circa il doppio del Molise) di superficie occupata da fotovoltaico e 750 mila ettari (7,5 mila chilometri quadrati, a terra o a mare) cosparsi – ma non ricoperti – di impianti eolici di grande taglia (di diametro compreso tra 160 e 250 metri e con altezze tra i 200 e i 300 metri), e comporterebbe anche un ingente consumo di suolo agricolo;

    un'ulteriore criticità riguarda la sostenibilità di un sistema elettrico basato esclusivamente su fonti rinnovabili dal punto di vista dell'impiego di materiali metallici e speciali, incluse le così dette «terre rare» le quali si trovano in larga misura sotto il controllo di Paesi non democratici, con evidenti gravi ripercussioni anche sul piano geopolitico e sulla sicurezza di un loro approvvigionamento stabile e duraturo;

    gli studi di scenario già citati mostrano che, considerando l'effettivo potenziale italiano delle fonti rinnovabili (irraggiamento solare e ventosità) e i costi ipotizzati per il 2050 dall'Agenzia internazionale dell'energia per tutte le tecnologie coinvolte, l'opzione senza dubbio più sostenibile, sia dal punto di vista dell'impatto sul territorio (le superfici interessate da impianti sarebbero sino a 3 volte inferiori), che dei costi dell'intero sistema elettrico (impianti di generazione elettrica e di accumulo e potenziamento della rete di trasmissione e distribuzione), è quella di raggiungere al 2050 la neutralità carbonica con un mix elettrico fatto di rinnovabili e nucleare con una quota di almeno il 40 per cento di elettricità prodotta da centrali nucleari; tali centrali attenuerebbero i problemi legati alla variabilità, stagionalità e intermittenza di un mix fatto di sole fonti rinnovabili garantendo un'operatività di oltre 8.000 ore annue, rispetto alle circa 1.200-1.800 ore del fotovoltaico e alle 2.000-3.000 ore dell'eolico (a seconda del sito e della tecnologia impiegata);

    secondo il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, attualmente nel mondo ci sono 440 reattori nucleari in esercizio, che forniscono in modo continuo e senza emissioni di CO2 circa il 10 per cento dell'elettricità mondiale. Lo stesso database indica che altri 57 reattori sono in costruzione;

    il nucleare, che già oggi fornisce il 25 per cento dell'energia elettrica nell'Unione europea, è incluso nei piani di decarbonizzazione di molti Paesi membri, 12 dei quali (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Ungheria, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia) il 28 febbraio 2023 hanno sottoscritto un accordo di cooperazione sul nucleare, citato dagli organi di stampa come «Alleanza per il nucleare», in modo da sostenere a livello comunitario, sotto ogni punto di vista, sia industriale che regolatorio, il ruolo del nucleare come «uno degli strumenti per raggiungere i nostri obiettivi climatici, per generare elettricità in modo continuo e per garantire la sicurezza energetica», coerentemente con la tassonomia europea approvata nel 2022;

    all'incontro il Governo italiano non ha partecipato; il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica Pichetto Fratin, rispondendo a un'interrogazione a risposta immediata in Senato, ha affermato che tale scelta è dipesa dal «rispetto della sovranità popolare del Parlamento italiano, il cui coinvolgimento è ritenuto essenziale da parte dell'Esecutivo prima dell'assunzione di impegni o prese di posizione a livello internazionale»;

    l'energia nucleare è a bassissimo impatto ambientale e priva di rischi significativi, come certificato dal Centro comune di ricerca della Commissione europea in un recente corposo rapporto che ha esaminato tutta la filiera ed ha incontrovertibilmente stabilito che l'attuale generazione di reattori («terza generazione evoluta») rispetta il principio «do not significant harm» e, pertanto proprio in base a quel rapporto, il nucleare è stato inserito, insieme con le tecnologie a fonti rinnovabili, nella tassonomia europea, tra le tecnologie a bassissima emissione di anidride carbonica idonee a raggiungere gli obiettivi climatici, sino alla neutralità carbonica al 2050;

    inoltre, le centrali nucleari emettono, nel ciclo di vita, una quantità di anidride carbonica per KWh generato analoga a quella dell'eolico e meno della metà del fotovoltaico;

    non solo il nucleare è idoneo, ma è anche la tecnologia più efficace alla decarbonizzazione, come mostra il confronto tra le emissioni del settore elettrico della Francia, Paese dell'Unione europea con il maggior numero di centrali e reattori, e quelle della Germania, che ha scelto la strada opposta, chiudendo il suo parco nucleare per puntare a ridurre le emissioni di anidride carbonica con sole rinnovabili. I dati ufficiali sono impietosi: negli anni '80 del secolo scorso, la Francia, puntando sul nucleare, in 10 anni ha abbattuto dell'85 per cento la produzione di energia elettrica da fonti fossili, e da allora ogni anno registra emissioni comprese tra 50 e 70 grammi di anidride carbonica per chilowattora prodotto; la Germania invece, decidendo di uscire dal nucleare per puntare su fotovoltaico, eolico, gas e carbone, negli ultimi 20 anni ha ridotto la quota di energia elettrica da fonti fossili di meno del 25 per cento; infatti anche nel 2022, anno caratterizzato da interventi straordinari di manutenzione per l'estensione di vita di numerosi reattori nucleari, la Francia ha emesso 90 grammi di anidride carbonica per chilowattora e la Germania 520 grammi, quasi 6 volte di più;

    tuttavia, in Europa e negli Usa oggi sono di fatto in esercizio quasi esclusivamente reattori costruiti negli anni 'Ottanta e Novanta del secolo scorso, per molti dei quali si è proceduto alle necessarie revisioni per l'estensione della vita utile. Secondo il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica, dal 2000 ad oggi sono entrati in servizio nel mondo 103 reattori nucleari, di cui solo 2 nell'Unione europea (in Finlandia e Slovacchia) e solo 1 negli Usa; inoltre, dei 57 reattori attualmente in costruzione, solo 2 sono nell'Unione europea (in Francia e Slovacchia), 2 nel Regno Unito e 2 negli Usa;

    infatti, negli ultimi 20 anni, nelle direttive e regolamenti comunitari le tecnologie low-carbon sono state erroneamente identificate solo con quelle a fonte rinnovabile, imponendo per esse obiettivi obbligatori, per cui gli Stati membri hanno riconosciuto alle rinnovabili priorità di dispacciamento e garanzia di acquisto di tutta l'elettricità generata, a prezzi lautamente incentivati (solo in Germania, Italia e Spagna sono stati erogati incentivi per oltre 1000 miliardi di euro complessivi), attraendo così su di esse la quasi totalità degli investimenti in nuovi impianti di generazione elettrica a bassa emissione di anidride carbonica;

    negli Usa, invece, nello stesso periodo, gli investimenti si sono concentrati sul gas naturale, con notevole incremento sia della produzione domestica (con tecniche innovative quali il fracking) che della generazione elettrica a gas. Ciò ha ridotto al lumicino gli investimenti nel settore nucleare, impedendo di fatto il mantenimento dell'elevato livello di know-how tecnologico e capacità realizzativa che aveva caratterizzato l'ultimo trentennio del secolo scorso. Con il risultato che oggi, secondo l'Agenzia internazionale dell'energia (Projected Costs of Generating Electricity, 2020), i due reattori in costruzione nell'Unione europea costano dal doppio al triplo e richiedono tempi di costruzione almeno del 50 per cento maggiori di quelli costruiti nel resto del mondo, come ad esempio in Corea del Sud, le cui aziende realizzano reattori chiave in mano in molti Paesi, da ultimo quattro negli Emirati Arabi, con tempi di costruzione e costi nettamente inferiori che nell'Unione europea;

    dunque la cosiddetta «crisi del nucleare» in Unione europea e Usa è il risultato di precise scelte di policy, che ora vanno rapidamente corrette, perché oggi è chiaro che per azzerare al 2050 le emissioni di gas a effetto serra non solo dobbiamo mantenere nell'Unione europea almeno al livello attuale il contributo del nucleare (pari al 25 per cento – prima fonte di elettricità pulita), e dunque i 103 reattori oggi in esercizio (116 includendo anche quelli in Svizzera e nel Regno Unito, connessi alla rete dell'Unione europea) dovranno essere progressivamente sostituiti, ma, poiché il fabbisogno elettrico in futuri scenari privi di emissioni sarà almeno il doppio dell'attuale, dovrà significativamente aumentare la potenza nucleare installata e quindi anche il numero stesso di reattori;

    pertanto, nella valutazione di tempi e costi di un nuovo consistente parco di reattori nucleari europei è necessario tener conto degli effetti della loro numerosità e replicabilità e del conseguente sviluppo di nuove filiere e capacità industriale, come indicano i dati ricavabili dall'esperienza dei Paesi dove oggi se ne costruiscono regolarmente. Infatti, il database dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica mostra che il tempo medio di costruzione dei 103 reattori entrati in servizio dal 2000 ad oggi è di poco inferiore ai 7 anni. È prevedibile che anche in Europa, l'avvio di numerosi nuovi progetti nei 12 Paesi membri della cosiddetta «Alleanza per il nucleare» allineerà rapidamente i tempi di costruzione europei ai valori medi del resto del mondo;

    inoltre, l'inserimento del nucleare nella tassonomia europea comporterà necessariamente che anche ai produttori di energia nucleare venga garantito il prelievo di tutta la produzione, per esempio attraverso aste e contratti dedicati alle tecnologie low-carbon con generazione continua, con conseguente significativa riduzione dei costi finanziari;

    in tal modo, il costo di generazione dell'elettricità nucleare si attesterà facilmente tra 60 e 70 euro per MWh, un valore in grado di ridurre il costo medio dell'energia elettrica in un mix tecnologico privo di emissioni di anidride carbonica fatto di nucleare e rinnovabili, proprio grazie alla continuità di servizio del nucleare che non necessita di sistemi di accumulo, né di breve periodo né stagionali;

    come citato, il mix di generazione elettrica senza emissioni di CO2 più sostenibile in Italia prevede che il fabbisogno elettrico al 2050 (pari ad almeno 650 TWh all'anno) sia soddisfatto da elettricità nucleare per circa il 40 per cento e il resto da rinnovabili con i relativi sistemi di accumulo; per questo serve una capacità nucleare di circa 35 GW;

    ipotizzando una potenza media di 5 GW per ogni centrale (ciascuna con 3-4 reattori di grande taglia), sarebbero necessarie 7 centrali, con reattori a fissione della migliore tecnologia disponibile, ovvero dalla terza generazione evoluta in avanti, come quelle attualmente in costruzione a decine nel mondo;

    va da sé che, come per tutte le tecnologie, quando da qui al 2050 saranno commercialmente disponibili reattori di taglia più piccola e modulari, oppure di nuova concezione (cosiddetti di «quarta generazione»), essi dovranno essere presi in considerazione, sempre con l'obiettivo di raggiungere almeno 35 gigawatt di capacità installata, in modo ottimale; tuttavia, come dimostra la stessa tassonomia europea, non vi è alcuna necessità, né tecnica né di sicurezza, di attendere che essi siano disponibili, prima di avviare anche in Italia un serio programma nucleare;

    con riferimento all'occupazione di suolo, il ricorso a una quota di energia elettrica nucleare in un mix completamente privo di emissioni di anidride carbonica presenta innegabili vantaggi; ciascuna delle 7 centrali nucleari ipotizzate necessita di meno di 200 ettari (2 chilometri quadrati) e genera 40 TWh all'anno, in modo continuo, cioè senza bisogno di impianti di accumulo (anch'essi responsabili di ulteriore occupazione di suolo);

    per generare la stessa energia di una sola di esse con impianti fotovoltaici (con tracking monoassiale) bisognerebbe occupare 45-50 mila ettari (450-500 chilometri quadrati) con pannelli e impianti; e poiché, in tal caso, l'energia elettrica sarebbe prodotta solo di giorno e, ancora più importante, con una notevole variabilità stagionale (in un giorno estivo sino a 5-6 volte di più che in un giorno invernale), occorrerebbe aggiungere costosi e ulteriormente impattanti impianti di accumulo giornaliero e stagionale (per esempio attraverso l'uso di impianti di elettrolisi per trasformare in idrogeno l'energia elettrica generata in eccesso d'estate e di pile a combustibile per ri-trasformare l'idrogeno in energia elettrica d'inverno, dopo averlo accumulato per mesi all'interno di serbatoi sufficientemente capienti, il tutto con dissipazione di più della metà dell'elettricità originale);

    volendo invece generare gli stessi 40 TWh con impianti eolici onshore, impiegando aerogeneratori idonei ai deboli venti italiani (come quelli usati negli impianti autorizzati dal Consiglio dei ministri nell'estate 2022) servirebbe distribuirne circa 3500 (con diametro di 160 metri ed altezza di 200 metri) su un'area ventosa di 2.300 chilometri quadrati, ossia circa la metà dell'intera provincia di Bari;

    con riferimento ai materiali di ogni tipo richiesti per la realizzazione degli impianti, l'Unece (United Nations Economic Commission for Europe) calcola che, a parità di energia elettrica generata, per la costruzione di una centrale nucleare servono sino a 7 volte meno materiali di un parco fotovoltaico e sino a 3,5 volte meno materiali di un parco eolico;

    per quanto riguarda i rifiuti radioattivi derivanti dall'esercizio delle centrali nucleari, quelli ad alta attività (HLW, high-level waste), provenienti dal combustibile nucleare irraggiato (cioè dopo l'uso nel reattore) richiedono maggiore attenzione nella gestione;

    al momento, in tutti i Paesi che ne producono, essi vengono opportunamente condizionati, quindi racchiusi in contenitori metallici che schermano le radiazioni e stoccati in piena sicurezza in depositi temporanei in attesa di essere smaltiti in un deposito geologico, come quello ormai quasi completato in Finlandia e in costruzione in Svezia;

    bisogna rimarcare che si tratta comunque di quantità molto piccole: un parco centrali nucleari da 35 GW di terza generazione evoluta produce, in 60 anni di vita utile, in tutto circa 150 metri cubi di rifiuti ad alta attività. Proprio per la ridotta quantità, la direttiva comunitaria sulla gestione dei rifiuti radioattivi prevede l'opzione che più Paesi membri possano condividere la realizzazione di un unico deposito geologico «regionale» dove smaltire insieme i rifiuti radioattivi ad alta attività prodotti in ciascun Paese;

    invece, per quanto riguarda i rifiuti radioattivi a bassa attività, prodotti anche dall'industria, dalla diagnostica e terapia medica nonché da centri di ricerca è necessario e sufficiente un deposito di superficie;

    peraltro, l'Italia ha già la necessità di dotarsi sia di un deposito di superficie, sia di uno geologico (eventualmente condiviso con altri Paesi), per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali e dagli impianti nucleari in esercizio sino al 1987 e di tutti quelli di origine diversa prodotti ogni anno nel nostro Paese;

    in particolare, i rifiuti ad alta attività ottenuti dal riprocessamento del combustibile nucleare utilizzato dalle nostre vecchie 4 centrali devono necessariamente rientrare dal Regno Unito e dalla Francia (dov'è avvenuto il riprocessamento). Si tratta di 4 cask (robustissimi cilindri di acciaio e rame) dal Regno Unito, per i quali i consumatori elettrici ogni anno stanno già pagando una tariffa di «parcheggio» di 18 milioni di euro, e di ulteriori 6 cask dalla Francia, che, se non rientreranno in Italia entro il 2025, comporteranno presumibilmente un ulteriore esborso di almeno 25 milioni di euro l'anno;

    il processo di localizzazione del deposito nazionale di superficie, dove dovranno essere smaltiti tutti i rifiuti a bassa attività e temporaneamente stoccati quelli ad alta attività di rientro dall'estero, è in oggettivo ritardo, ma, una volta scelto il sito, il deposito potrebbe essere nominalmente realizzato in cinque anni, a condizione che vengano subito risolte le croniche criticità gestionali di Sogin;

    a tal proposito, il decreto-legge n. 73 del 2022 ha disposto, all'articolo 34, il commissariamento di Sogin, prendendo atto delle evidenti criticità gestionali della società e dei ritardi riscontrati nel processo di localizzazione e conseguente realizzazione del deposito nazionale di superficie;

    tuttavia la scelta dell'organo commissariale di confermare tutta la prima linea dei direttori, incluso colui che svolgeva la funzione di amministratore delegato, in carica al momento del commissariamento, ha vanificato il provvedimento, lasciando immutate le criticità che lo avevano reso necessario, come più volte denunciato di recente da tutte le organizzazioni sindacali;

    la grave crisi energetica, dalla quale non siamo ancora completamente usciti, mostra come sia indispensabile per un Paese pienamente sviluppato, peraltro seconda economia industriale dell'Unione europea, possedere un sistema energetico nazionale affidabile, stabile e con tecnologie e fornitori diversificati ed una strategia di decarbonizzazione razionale, basata su valutazioni tecnico-economiche e non ideologiche;

    la commissaria europea all'energia, Kadri Simson, ha ribadito come il nucleare sia ormai un investimento energetico necessario in tutto il mondo, e che intende promuovere, tra le altre cose, la competitività dei piccoli reattori modulari, con la creazione di un'industria europea per il settore;

    gli obiettivi ambientali possono essere perseguiti solo con la previsione di utilizzare un mix ottimizzato di fonti energetiche e tecnologie di generazione di energia elettrica a bassissima emissione di gas a effetto serra (rinnovabili, nucleare e, in fase transitoria, gas con cattura e sequestro dell'anidride carbonica) e con la pianificazione delle modalità e dei tempi della loro entrata in servizio, così da azzerare le emissioni nel lungo periodo in modo economicamente sostenibile, con la minima occupazione di suolo e il minimo fabbisogno di materiali per la realizzazione di tutti gli impianti e le infrastrutture necessari;

    è indispensabile quindi avviare subito, per tutti gli impianti e infrastrutture idonei – ai sensi di quanto previsto nella tassonomia europea – e necessari alla completa decarbonizzazione dell'economia italiana al 2050, in particolare per quelli relativi alla generazione, accumulo, trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica, un riassetto normativo che definisca: i criteri per l'individuazione delle aree idonee alla loro localizzazione, tenendo conto delle specificità di ciascuna tecnologia;

    procedure accelerate di autorizzazione per gli impianti e le infrastrutture strategiche per la sicurezza energetica nazionale; nuove modalità di remunerazione che valorizzino le caratteristiche ed i profili di generazione, premiando le tecnologie che hanno un minore impatto sui costi di sistema; un organismo indipendente di programmazione strategica, che individui priorità e programmi di sviluppo della capacità da installare (per generazione, accumulo, trasmissione e distribuzione),

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative volte a procedere celermente alla localizzazione e realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, al fine di consentire lo smaltimento in totale sicurezza di tutti quelli prodotti in Italia, evitando di prolungare ulteriormente il loro stoccaggio in numerosi depositi temporanei sparsi sul territorio e permettere il rimpatrio dei rifiuti attualmente custoditi all'estero con notevole risparmio di denaro pubblico;

2) ad adottare ogni iniziativa di carattere legislativo e normativo per favorire la diffusione nel nostro Paese di tutte le tecnologie a bassissima emissione di anidride carbonica incluse nella tassonomia europea, valorizzando le caratteristiche di ciascuna, inclusi reattori a fissione della migliore tecnologia disponibile, ovvero la terza generazione evoluta e successivamente ogni ulteriore sviluppo, dai reattori di piccola taglia modulari a quelli di quarta generazione, in modo che, nel più breve tempo possibile, tutte concorrano ad un mix elettrico ottimale, che aumenti la sicurezza energetica del Paese e consenta la transizione verso gli obiettivi «net zero» al 2050, in modo pienamente sostenibile, cioè con il minore costo complessivo del sistema elettrico, la minore occupazione di suolo e il minore impiego di materiali;

3) a favorire campagne di informazione pubblica sulle diverse fonti e tecnologie energetiche disponibili per conseguire gli obiettivi di lungo termine di azzeramento delle emissioni di gas serra, basate unicamente sulle evidenze scientifiche, al fine di promuovere una maggiore consapevolezza sugli oggettivi limiti e vantaggi di ciascuna di esse, liberandole tutte da ogni pregiudizio di parte;

4) ad adottare iniziative per sostenere la ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare innovativi – inclusi i cosiddetti small modular reactor (reattori modulari di piccole dimensioni) e quelli a neutroni veloci che consentono un miglior utilizzo dell'uranio – e sulla fusione nucleare, ampliando l'offerta formativa nelle università italiane e incrementandone l'attrattività anche per ricercatori e docenti stranieri;

5) ad aderire alla cosiddetta «Alleanza per il nucleare», già sottoscritta da altri 12 Paesi europei con l'obiettivo di sostenere a livello comunitario, sia sotto il punto di vista industriale che sotto quello regolatorio, il ruolo fondamentale del nucleare nella transizione ecologica verso gli obiettivi di neutralità climatica.
(1-00098) «Ruffino, Richetti, Enrico Costa, Del Barba, Gadda, Grippo, Marattin, Sottanelli, Benzoni, Castiglione, De Monte, Faraone, Gruppioni, Pastorella».

(17 marzo 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    in linea con gli obiettivi del Green Deal e con l'impegno ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente, puntando alla riduzione entro il 2030 delle emissioni di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990, a luglio 2021 è stato presentato il cosiddetto pacchetto «Fit for 55» che, in base a nuovi e più ambiziosi obiettivi di riduzione, vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento al 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a livelli prossimi al 95-100 per cento nel 2050;

    al fine di favorire gli investimenti sostenibili, il 12 luglio 2020 è entrato in vigore il regolamento (Ue) 2020/852, che ha introdotto nel sistema normativo europeo la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, all'interno del quale la Commissione europea ha previsto condizioni molto rigide per gli investimenti privati nel settore del nucleare, ammettendo unicamente soluzioni progettuali che dimostrino di avere adeguate risorse finanziare per il decommissioning ed essere dotati di impianti di smaltimento dei rifiuti a bassa attività già operativi e di un piano dettagliato per rendere operativa, entro il 2050, una soluzione per le scorie ad alta radioattività. Il relativo regolamento delegato (Ue) 2022/1214 della Commissione europea del 9 marzo 2022, entrato in vigore il 4 agosto 2022 e applicabile dal 1° gennaio 2023, contiene i criteri di vaglio tecnico per il gas e il nucleare nell'ambito del sistema di classificazione dell'Unione europea degli investimenti considerati sostenibili;

    il 19 gennaio 2023, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel corso della quarta edizione dell'evento «La Ripartenza» a Milano ha dichiarato che: «Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Ue, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate. Si ragiona di fissione di quarta generazione. Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione»;

    il problema dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività delle centrali o dal loro decommissioning è di grande attualità nel nostro Paese e ancora non si è pervenuti a una soluzione concreta per il loro smaltimento: l'iter per arrivare all'individuazione del sito idoneo a ospitare il deposito nazionale di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, come richiesto dalla direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo, è ancora in corso e al momento nella fase più delicata di localizzazione;

    rifiuti e scorie degli impianti nucleari (chiusi definitivamente dal 1990) sono in parte dislocati sul territorio nazionale, in 19 siti temporanei, e in parte collocati all'estero, prossimi a tornare in Italia una volta riprocessati;

    nella risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-00116 il Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica ha confermato l'impegno a «promuovere l'efficace svolgimento delle attività previste dalla normativa, al fine di pubblicare ufficialmente la CNAI nel termine previsto»;

    il deposito dovrà essere costruito nel rispetto dei più elevati standard di sicurezza radiologica e salvaguardia ambientale, anche al fine di conservare in assoluta sicurezza i materiali irraggiati, in attesa che gradualmente perdano il loro grado di radioattività;

    i reattori attualmente esistenti, di seconda e terza generazione, sono stati costruiti in prevalenza negli anni Ottanta e Novanta, come l'impianto di Montalto di Castro e il noto reattore di Fukushima in Giappone. A partire dal 2000 sono stati progettati soprattutto reattori di terza generazione, come gli Ap1000 negli Stati Uniti, Vver-1200 in Russia, gli Epr francesi;

    nel 2001 il Generation IV international forum (Gif), a cui hanno aderito Australia, Canada, Cina, Euratom, Francia, Giappone, Russia, Sud Africa, Corea del Sud, Svizzera, Regno Unito, ha coniato il concetto di «nucleare di 4ª generazione», tecnologia che sfrutta l'energia ricavabile dalla scissione di atomi, a tutt'oggi non abbastanza matura per consentire un utilizzo industriale e per garantire condizioni di sicurezza, soprattutto nel caso dei reattori di tipo «fast-breeder». Va infatti rilevato che l'unico impianto dimostrativo di 4ª generazione al mondo su scala industriale si trova a Shidaowan, nella provincia di Shandong, collegato alla rete e messo in funzione solo a dicembre 2021;

    le attività di ricerca e sviluppo relative ai summenzionati reattori di quarta generazione non sono pertanto ancora un'opzione praticabile e non si dispone di dati sufficienti per valutarne con previsione attendibile gli impatti ambientali e gli effetti sulla salute. Non sono infatti disponibili i criteri di vaglio tecnico di cui all'articolo 19, paragrafo 5, del regolamento (Ue) 2020/852, tali da garantire gli standard più elevati di sicurezza nucleare, radioprotezione e gestione dei rifiuti radioattivi;

    quanto alle tecnologie a fusione, attualmente il reattore più avanzato è Iter in fase di costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, sostenuto e finanziato da Unione europea, Cina, Stati Uniti, Corea del Sud, India, Giappone e Russia, sospeso il 1° marzo 2022 dall'autorità francese per la sicurezza nucleare (Asn), che ha mosso rilievi sull'affidabilità del modello e sul rischio di esposizione alle radiazioni per il personale. Nelle previsioni più ottimistiche i risultati delle attuali sperimentazioni vedranno la luce non prima di 30 anni;

    a luglio 2022, il Consorzio Eurofusion, di cui fanno parte 21 organizzazioni italiane coordinate da Enea, ha annunciato l'avvio della progettazione ingegneristica della prima centrale dimostrativa a fusione (il Demonstration Fusion Power Reactor), che verrà ultimata intorno alla metà del secolo e sarà il successore del menzionato impianto sperimentale Iter;

    secondo quanto emerso dal rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia (Iea) dedicato all'energia nucleare, pubblicato a giugno 2022, il costo medio di produzione di elettricità di un impianto nella sua durata di vita (Lcoe, levelised cost of energy) è nettamente a favore del fotovoltaico, che è sceso dell'85 per cento negli ultimi 10 anni, con ulteriore futura decrescita nella prospettiva della progressiva espansione della tecnologia;

    solo l'eolico onshore si avvicina a competere con il fotovoltaico e nei prossimi anni lo farà anche l'eolico offshore. Per arrivare a competere con le rinnovabili, il nucleare dovrebbe arrivare a un Lcoe di «40-80 USD/MWh (dollari per MegaWatt/Ora), compresi i costi di smantellamento e gestione dei rifiuti»;

    anche le stime di Lazard, autorevole istituzione finanziaria, confermano che la nuova capacità nucleare richiede investimenti, soprattutto nella fase iniziale, molto più alti e tempi lunghi per la messa in funzione rispetto a quelli richiesti per le fonti rinnovabili, pari ad almeno quattro volte tanto, a parità di energia generata. Inoltre, i costi del nucleare seguono una tendenza all'aumento, mentre quelli delle rinnovabili sono in continua diminuzione, soprattutto in una prospettiva di ulteriore crescita del settore tracciata dagli impegni assunti nell'ambito della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021 (Cop 26);

    a tale riguardo, rileva menzionare che il reattore nucleare OL3 della centrale finlandese di Olkiluoto, costruito dal gruppo francese Areva e dalla tedesca Siemens Ag, ha accumulato tredici anni di ritardo dalla data prevista per la sua entrata in funzione, con un costo triplicato rispetto ai 3 miliardi di euro originari stimati nel 2005. Analoga sorte ha avuto il reattore Epr di Flamanville, in Normandia, iniziato nel 2007 e atteso per il 2023, dopo rallentamenti che, anche in questo caso, hanno fatto registrare un ritardo di undici anni, con costi che sono quadruplicati, passando da 3,3 miliardi di euro a 12,7 miliardi di euro;

    anche con riferimento agli Small modular reactors (Smr), reattori da circa 300 MW di potenza, molto più piccoli rispetto a quelli tradizionali, si tratta di tecnologie ancora non disponibili sul mercato e che, da uno studio messo a punto e pubblicato sulla rivista Pnas, non avrebbero meno problemi di produzione e gestione delle scorie prodotte rispetto ai reattori ad acqua pressurizzata tradizionali; come rilevato da diverse agenzie indipendenti (Iea, Irena) e istituzioni pubbliche (Commissione europea, Ipcc) l'elettrificazione dei consumi e l'efficientamento energetico rimangono le soluzioni più efficaci e in linea con gli obiettivi della decarbonizzazione;

    risulta, inoltre, di tutta evidenza che tornare a investire nella tecnologia nucleare comporti un costo economico per i cittadini che si allontana dai meccanismi di partecipazione alla produzione di energia su base democratica, riconosciuti a livello europeo con l'adozione del Clean energy package, e implica un ridimensionamento del ruolo, riconosciuto ai consumatori, di protagonisti del processo di transizione energetica e quindi di prosumer, ossia di coloro che autoproducono e autoconsumano energia, nell'ottica di ottenere i vantaggi economici legati alla riduzione dei costi delle componenti variabili della propria bolletta (quota energia, oneri di rete e relative imposte) e della quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera, nonché della dipendenza dalle forniture dei Paesi esteri. Inoltre, le comunità di energia rinnovabile contribuiscono a incrementare il senso di appartenenza al territorio, anche come forma di integrazione economica, e accrescono la partecipazione e la responsabilità dei vari soci-utenti nella gestione ottimizzata dei consumi energetici;

    è pertanto necessario che le risorse economiche del nostro Paese non siano distratte dallo sviluppo delle fonti rinnovabili, tecnologie già mature, capaci, altresì, di dar vita a nuove prospettive di sviluppo, anche sotto il profilo imprenditoriale, di creare nuove competenze e di incrementare i livelli occupazionali lungo tutta la filiera e l'indotto legato al settore;

    va poi ricordato che la produzione di energia nucleare è stata oggetto di due referendum abrogativi, rispettivamente del 1987 e del 2011, con i quali è stata decretata la fine della produzione e dello sfruttamento dell'energia nucleare nel nostro Paese, senza operare distinguo sulla tecnologia utilizzata a tal fine;

    nel nostro Paese, dove i target del Pniec devono essere rivisti al rialzo, come indicato nel Piano per la transizione ecologica (Pte), è richiesto un incremento del 72 per cento di fonti rinnovabili nella generazione elettrica e l'installazione di circa 70 GW di ulteriori centrali elettriche rinnovabili entro il 2030;

    a seguito degli attacchi russi all'impianto di Zaporizhzhia e all'installazione nucleare subcritica di Kharkiv il gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare ha espresso forte preoccupazione per la sicurezza di diversi reattori di ricerca e per i siti ove sono impiegate sorgenti radioattive ad alta attività;

    nel contesto di uno scenario geopolitico instabile, il potenziale pericolo connesso alla presenza di centrali nucleari non può essere trascurato. Lo stesso Governo italiano è stato indotto ad accelerare sulla stesura del Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari, previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 maggio 2022, teso ad individuare e disciplinare le misure necessarie per fronteggiare gli incidenti che avvengono in impianti nucleari collocati in Paesi esteri e che potrebbero richiedere azioni di intervento coordinate a livello nazionale;

    in occasione della Cop27 di Sharm el-Sheikh, il Ministro per l'ambiente e la sicurezza energetica Pichetto Fratin ha espresso posizioni di apertura al nucleare di quarta generazione lasciando desumere quale sarà la posizione italiana su tale tema nell'ambito delle politiche internazionali in materia di energia;

    dal 19 al 21 maggio 2023 si terrà il vertice del G7 in Giappone, seguito, nel mese di luglio, da quello della Nato a Vilnius. Il vertice si terrà a Hiroshima, città simbolo del disarmo nucleare, dove tra i temi prioritari dell'agenda globale avrà un ruolo decisivo anche quello della sicurezza energetica,

impegna il Governo:

1) a proseguire nel percorso delineato dalla road map per la transizione ecologica europea, ad oggi orientata su energie rinnovabili ed efficienza energetica, settori nei quali ogni Stato membro ha assunto impegni progressivi al 2030 e al 2050 e sui quali la convergenza tecnologica favorisce economie di scala e lo sviluppo di una supply chain europea;

2) a fornire al Parlamento un quadro puntuale circa la posizione che l'Italia intende assumere nel G7 di Hiroshima con riferimento al ruolo dell'energia nucleare nel mix energetico nazionale, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, considerato che tale tecnologia non è compatibile con le tempistiche e gli obiettivi della decarbonizzazione al 2030 e al 2050 e con le prospettive di più ampio e efficace sviluppo delle fonti rinnovabili;

3) ad adottare iniziative per assicurare il rispetto delle tempistiche per l'individuazione del deposito unico nazionale entro dicembre 2023, e garantire, in applicazione della disposizione di cui all'articolo 17 del regolamento (Ue) 2020/852, la messa in sicurezza, la completa bonifica e il ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale dove sono attualmente collocati i rifiuti radioattivi;

4) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad imprimere un maggior impulso nell'individuazione e nella perimetrazione di aree idonee destinate alle installazioni di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari ai nuovi target individuati tramite la prossima revisione del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima;

5) a sostenere la ricerca verso soluzioni tecnologiche innovative, che consentano di ottimizzare lo sfruttamento delle medesime fonti e dei sistemi di accumulo, nonché a proseguire nella ricerca tecnologica per lo sviluppo dell'energia da fusione, in particolare sul confinamento magnetico, anche nell'ambito dei programmi di collaborazione con istituti e università, anche a livello internazionale;

6) a proseguire nel percorso di semplificazione delle procedure autorizzatone per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili, attraverso l'indicazione di regole chiare per gli enti locali e per gli operatori, in linea con i principi e i criteri eventualmente individuati dalle regioni per la loro corretta installazione sulle superfici e sulle aree ritenute idonee, per una migliore integrazione nel territorio;

7) ad incoraggiare una maggiore diffusione delle comunità energetiche rinnovabili (Cer) sul territorio nazionale attraverso la rapida adozione dei relativi decreti attuativi, nonché ad accelerare sulla pubblicazione dei bandi del Pnrr per la concessione di contributi a fondo perduto per la realizzazione delle stesse nei piccoli comuni, anche al fine di ridurre il costo dell'energia elettrica per famiglie e imprese, e migliorare la competitività di queste ultime attraverso il rilancio della filiera coinvolta e una minore esposizione a costanti fluttuazioni dei prezzi;

8) ad adottare una politica energetica che non si limiti alla mera sostituzione delle fonti maggiormente inquinanti con altre a minore livello emissivo e climalterante, ma che sia orientata alla riduzione del fabbisogno energetico attraverso misure di razionalizzazione nei settori maggiormente energivori, come quello dei trasporti e della mobilità che – in base ai dati del Gse – incidono per il 34,5 per cento dei consumi energetici complessivi del Paese, e misure di efficientamento e risparmio, come nel settore edilizio, sul quale recentemente la Commissione europea ha varato la direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia (Epbd), con la quale si intende delineare strumenti ad hoc per raggiungere un parco immobiliare a emissioni zero entro il 2050.
(1-00056) «Sergio Costa, Pavanelli, Ilaria Fontana, L'Abbate, Appendino, Cappelletti, Morfino, Santillo, Todde».

(1° febbraio 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    gli ambiziosi obiettivi dell'Unione europea per uno sviluppo sostenibile fissati dal Fit for 55 e gli impegni di Cop26 prevedono, in tempi brevi, un forte abbattimento delle emissioni di anidride carbonica difficilmente raggiungibile con il solo utilizzo di energie da fonti rinnovabili;

    parimenti, l'aumento della domanda di energia ed in particolare di energia elettrica, sia nei consumi registrati negli ultimi decenni che in quelli previsti per i prossimi, difficilmente potrà essere soddisfatto attraverso le sole rinnovabili, senza contare le complesse e irrisolte questioni legate alla stabilità della rete e agli stoccaggi;

    la guerra in corso da oltre un anno tra Russia e Ucraina ed il conseguente, precario, contesto geopolitico internazionale, aggravano ulteriormente il quadro ponendo, con urgenza, la necessità di rivedere le scelte di politica energetica nazionale che dovrebbero essere orientate ad una energy security supply che consenta il progressivo affrancamento dalle forniture estere di gas e materie prime di cui non si dispone a sufficienza;

    in Italia, la transizione si dovrà realizzare attraverso un contributo progressivamente decrescente e alla fine residuale di gas. Dovendo realizzare una produzione di energia elettrica e termica con un mix quasi totalmente anidride carbonica free, sarà inevitabile, non potendo contare sul solo apporto delle rinnovabili, sfruttare l'energia nucleare quale fonte in grado di garantire al Paese la piena autonomia energetica;

    molti Paesi proseguono oggi l'investimento in energia nucleare, tra cui Gran Bretagna, Russia, India, Cina e Francia, che ha annunciato l'inizio della costruzione di sei nuovi reattori nucleari Epr (reattore di terza generazione avanzata) per il 2024 e l'impegno di un miliardo di euro per la realizzazione di reattori di piccole dimensioni e modulari, prodotti in serie e di rapida installazione;

    anche il Giappone, a 10 anni dall'incidente di Fukushima, per raggiungere l'obiettivo di zero emissioni nel 2050, prevede di aumentare il contributo nucleare nel suo mix energetico entro il 2030;

    negli Stati Uniti d'America si sta supportando lo sviluppo del nucleare, considerato energia verde, anche attraverso sussidi a fondo perduto nella misura del 50 percento, fino a 500 milioni di dollari per progetto;

    i Ministri dell'economia e dell'industria di 10 Paesi dell'Unione europea — Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria — hanno pubblicato un documento il 10 ottobre 2021 per chiedere che l'energia nucleare sia compresa nelle forme di energia pulita all'interno della «Tassonomia degli investimenti verdi» della Commissione europea, cioè l'insieme di regole di classificazione che si applicano alle attività economiche per poterle definire «sostenibili»;

    il 6 luglio 2022 il regolamento delegato (UE) 2022/1214 della Commissione europea del 9 marzo 2022, in materia di attività ammissibili nei settori energetici, ha ottenuto il via libera dal Parlamento europeo. Nel regolamento, applicabile dal 1° gennaio 2023, si prevede la possibilità di investire in nuove centrali nucleari realizzate con le «migliori tecnologie disponibili». Rientrano fra gli investimenti sostenibili, le attività di ricerca e sviluppo per le nuove tecnologie del nucleare di quarta generazione;

    recentemente la Francia ha lanciato un'iniziativa, avviata a margine della riunione informale dei Ministri dell'energia, delle telecomunicazioni e dei trasporti del 27-28 febbraio 2023, per il rilancio del nucleare in Europa, con l'obiettivo di affiancarlo alle rinnovabili nel mix di produzione energetica dei prossimi decenni. L'invito è stato accolto da Romania, Bulgaria, Slovenia, Repubblica Ceca, Svezia, Slovacchia, Polonia, Ungheria, Croazia, Paesi Bassi e Finlandia. Correttamente il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica ha declinato l'invito, demandando a Governo e Parlamento il compito di fornirgli adeguati indirizzi;

    il commissario europeo all'energia, Kadri Simson, parlando ai parlamentari della Commissione industria dell'Europarlamento il 9 marzo 2023, ha dichiarato che bisogna «porre l'accento su due questioni: la sicurezza di approvvigionamento del combustibile nucleare, e la promozione della competitività dei piccoli reattori modulari, con la creazione di un'industria europea per il settore». «Il nucleare sta tornando in tutto il mondo» ha proseguito nel suo intervento «molti Stati membri ci stanno già lavorando»;

    nella proposta di regolamento dell'Unione europea presentata il 16 marzo 2023, con la quale si istituisce un quadro di misure per favorire la produzione di tecnologie a zero emissioni, cosiddetto Net Zero Industry Act, sono state incluse le tecnologie avanzate per produrre energia da processi nucleari con rifiuti minimi dal ciclo del combustibile;

    nel programma di Governo del centrodestra predisposto per le elezioni politiche del 25 settembre 2022 si fa riferimento alla creazione di impianti di produzione di energia nucleare «di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro»;

    lo sviluppo di reattori nucleari di nuova generazione è al centro delle strategie energetiche della maggior parte dei Paesi economicamente più influenti al mondo che prevedono il coinvolgimento di numerosi partner industriali europei per la costruzione di impianti già a partire dal 2024;

    in particolare, nell'ambito dei reattori di quarta generazione, quelli di piccole dimensioni e modulari, i cosiddetti Small e Micro Modular Reactor (Smr e Mmr), si sono compiuti negli ultimi anni importantissimi progressi sul piano scientifico, tecnologico e della sicurezza, grazie ai quali è oggi possibile considerare imminente la loro operatività;

    i Micro reattori modulari (Mmr) sono stati sviluppati specificamente per la produzione di energia elettrica e termica direttamente negli stabilimenti industriali energivori. Si tratta di micro reattori, detti anche batterie nucleari in ragione delle dimensioni molto ridotte, 50 metri quadri circa, intrinsecamente sicuri, semplici nel loro funzionamento, che potrebbero iniziare il processo di decarbonizzazione dell'industria italiana già dal 2030, procurando energia conveniente, a prezzo stabile e garantito per decenni;

    il processo di licensing modulare dei Micro reattori modulari sviluppati dalla Ultra Safe Nuclear di Seattle è già in corso in Canada, negli Usa, in Finlandia ed in Polonia dove sono stati ordinati micro-reattori pilota che entreranno in funzione a partire dal 2026. Sono numerose le industrie in questi ed altri Stati europei che hanno manifestato interesse all'uso dei Micro reattori modulari per la decarbonizzazione dei loro processi produttivi;

    nel 2022 Newcleo, società per lo sviluppo di sistemi nucleari innovativi di quarta generazione, ha firmato un'intesa con Enea con l'obiettivo di produrre energia in modo sicuro, affidabile e sostenibile attraverso la realizzazione di Advanced Modular Reactor di piccole dimensioni raffreddati al piombo invece che ad acqua, molto più semplici ed affidabili;

    l'Italia è all'avanguardia nel mondo, tramite l'Enea, Ansaldo Nucleare, Newcleo, le università e molte aziende private, nella tecnologia del piombo liquido che, applicata ai reattori di quarta generazione, permette di accedere ad un nucleare capace di utilizzare i rifiuti nucleari di altre centrali eliminando quindi la necessità di depositi geologici nazionali. Si tratta di reattori che potrebbero iniziare il processo di decarbonizzazione della produzione elettrica italiana già dal 2030, procurando energia elettrica conveniente, capace di adattarsi rapidamente alle richieste di picco giornaliere della rete, a prezzo stabile e garantito per decenni;

    in Italia esistono le competenze tecniche, tecnologiche e industriali per costruire ed avviare la produzione di Smr e Mmr. Numerose sono le aziende italiane interessate alla fornitura delle componenti e alla prestazione dei servizi finalizzati alla produzione di questi reattori. La filiera che potrebbe generarsi nei prossimi anni avrebbe un potenziale economico enorme e non si può trascurare l'opportunità strategica di un avvio della produzione di Smr e Mmr nel nostro Paese;

    numerosi sono gli industriali del comparto energivoro italiano che hanno già manifestato interesse riguardo al futuro utilizzo della tecnologia degli Smr e Mmr per la decarbonizzazione dei loro impianti e per ottenere energia costante a prezzo stabile;

    tramite l'Enea, l'Infn, il Cnr, Ansaldo Nucleare, Leonardo, le università e aziende private, l'Italia partecipa attivamente alla ricerca in campo nucleare. È opportuno che questo impegno continui affinché l'Italia possa essere tra i primi Paesi a beneficiare di una futura applicazione industriale di tutte le migliori tecnologie in questo campo;

    nell'ambito del progetto internazionale Iter, che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale di 500 Megawatt di potenza, Ansaldo Nucleare riveste un ruolo centrale con l'aggiudicazione di commesse da un valore economico superiore ai 600 milioni di euro che vanno dalla fornitura della camera a vuoto a quella di sistemi per la sicurezza, ed è inoltre a capo della catena italiana di fornitori che include, tra le altre, aziende come Mangiarotti e Walter Tosto;

    Leonardo, attraverso la sua controllata Vitrociset, si è aggiudicata la gara indetta da Iter in relazione all'organizzazione per lo sviluppo delle infrastrutture diagnostiche del reattore e i relativi servizi di ingegneria. «Enea-Fusione» partecipa alla realizzazione di Iter attraverso l'Agenzia europea Fusion for energy (F4E);

    sempre con riferimento al progetto Iter, sono la Asg di Genova e la Simic di Porto Marghera ad aver realizzato le bobine superconduttrici che formano il toro principale di Iter, a testimonianza del prestigioso contributo che il nostro Paese è in grado di offrire in ambito nucleare, anche riguardo alla componente superconduttiva e di criogenia;

    la società Commonwealth Fusion Systems (Cfs), partecipata da un importante gruppo italiano e dal Mit di Boston, ha condotto con successo il primo test di un supermagnete che dovrebbe contenere e gestire la fusione nucleare di deuterio e trizio, un passo importante verso la produzione di energia atomica pulita, impegnandosi a costruire il primo impianto sperimentale entro il 2025;

    occorre favorire la realizzazione di tutte le precondizioni necessarie ai fini di un ritorno in sicurezza della produzione di energia nucleare in Italia;

    sarebbe opportuno promuovere nuovi investimenti in ambito scientifico e universitario. La tendenza positiva che si è registrata negli ultimi anni al Politecnico di Milano con un aumento del numero di iscritti e laureati in ingegneria nucleare va consolidata, rilanciando, presso gli atenei competenti, i corsi e le prospettive;

    parallelamente, poiché occorre individuare gli organismi di supervisione e controllo che dovranno fornire il processo di certificazione, andrebbe promosso un piano di sviluppo della Safety Authority in modo da dotare il sistema di una autorità di controllo e certificazione forte e indipendente;

    una strategia credibile per l'Italia dovrebbe puntare, nel breve periodo, in linea con le aperture espresse recentemente dalle istituzioni europee, sui piccoli reattori modulari di quarta generazione e sui micro reattori modulari già in fase di certificazione, puntando nel medio – lungo periodo sulla tecnologia di fusione, continuando ad investire in ricerca e sviluppo, tramite l'implementazione di partnership internazionali pubbliche e private,

impegna il Governo:

1) nel confermare l'obiettivo di zero emissioni al 2050, a partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da organismi di natura politica, volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari destinate alla produzione di energia per scopi civili;

2) ad adottare iniziative volte ad includere la produzione di energia atomica di nuova generazione all'interno della politica energetica europea, riaffermando in sede europea una posizione unitaria volta a mantenere nella tassonomia degli investimenti verdi la messa in esercizio di centrali nucleari realizzate con le migliori tecnologie disponibili;

3) al fine di assicurare al Paese la sicurezza energetica e il rapido raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, a porre in essere ogni utile iniziativa di sperimentazione, anche in sinergia con altri Paesi europei, nel rispetto dei migliori standard raggiunti in ambito internazionale;

4) a considerare l'opportunità strategica di un avvio della produzione di Smr e Mmr in Italia, favorendo l'incontro delle nostre migliori competenze in campo ingegneristico nucleare, tecnico, tecnologico e industriale, al fine di realizzare il processo di decarbonizzazione dell'industria energivora italiana già a partire dal 2030 e di assicurare al Paese la sicurezza energetica necessaria allo sviluppo civile ed economico;

5) a proseguire l'impegno nella ricerca scientifica e, al fine di formare nuovo capitale umano e assicurare la presenza di un numero sufficiente di operatori altamente qualificati, ad adottare ogni iniziativa utile a sostenere le università italiane in questo percorso;

6) a preparare il sistema nazionale ad un riavvio della produzione di energia nucleare, rafforzando la Safety Authority, oggi Isin, ex Ispra Nucleare, al fine di dotare il Paese di un'autorità di controllo forte ed indipendente cui demandare i processi di certificazione e rilascio delle licenze dei reattori nucleari.
(1-00083) (Nuova formulazione) «Cattaneo, Squeri, Barelli, Casasco, Nevi, Mazzetti, Cortelazzo, Battistoni, Sala, Rubano, De Palma, Polidori, Tassinari, Bagnasco, Paolo Emilio Russo, Nazario Pagano, Tenerini, Battilocchio, Mulè, Calderone, Saccani Jotti, Benigni, Sorte, Pella, Patriarca».

(3 marzo 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    l'Italia ha sottoscritto gli obiettivi climatici dell'Onu a partire dall'accordo di Kyoto e dalla COP 21 di Parigi, nonché nelle istituzioni europee in linea con gli obiettivi del Green Deal e della legge sul clima entrata in vigore il 29 luglio 2021, regolamento CEE/UE 2021 n. 1119 che stabilisce l'obiettivo vincolante della neutralità climatica entro il 2050;

    il piano Fit for 55 dell'Unione europea impone un'accelerazione nei processi di modernizzazione industriale a partire dal settore automobilistico che, secondo un'analisi dell'Università Ca’ Foscari di Venezia, porterà ad un aumento dell'occupazione in questo settore del 6 per cento;

    il piano Fit for 55 vincola il sistema energetico del nostro Paese al raggiungimento entro il 2030 di almeno il 72 per cento della generazione elettrica da fonti rinnovabili, fino a raggiungere il 100 per cento nel 2050;

    molti Paesi europei hanno adeguato i loro piani energetici a questi ambiziosi obiettivi; la Germania prevede che nel 2030 l'80 per cento del proprio fabbisogno di energia elettrica sarà soddisfatto da fonti rinnovabili, per arrivare al 100 per cento nel 2035, e sta definitivamente chiudendo le sue centrali nucleari, mentre l'Italia ha un Pniec, piano energia e clima, che ad oggi non rispetta gli obiettivi climatici previsti dall'Unione europea;

    il 19 gennaio 2023, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato che «Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Unione europea, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate. (...) Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione»;

    numerosi scienziati, esperti di energia nucleare, tra cui il fisico Angelo Tartaglia, Politecnico di Torino, il fisico Massimo Scalia, Università di Roma «La Sapienza», il chimico Vincenzo Balzani, Università di Bologna e Accademia dei Lincei, il fisico Francesco Gonella, Università Ca' Foscari di Venezia, il chimico ambientale Sergio Ulgiati, Università Parthenope di Napoli, il fisico Federico Butera, Politecnico di Milano, hanno rimarcato che la principale caratteristica dei reattori di quarta generazione è quella di non esistere. Si tratta ancora di progetti, di varia tipologia, ma la tecnologia utilizzata è sempre quella della fissione nucleare dei precedenti modelli di prima, seconda e terza generazione, che non risolve nessuno dei problemi che le sono intrinseci riguardo alla sicurezza e alla gestione delle scorie, con riferimento specifico ai prodotti della fissione. Tra questi, si continua a parlare dei cosiddetti reattori veloci autofertilizzanti, con ancora maggiori problemi di sicurezza e gestione delle scorie. Si tratta in generale di investimenti enormi su tecnologie i cui tempi di realizzazione sono semplicemente incompatibili con l'urgenza imposta dalla situazione eco-climatica. A rendere ancor meno sensata la scelta del nucleare, si tratterebbe di investimenti sottratti a tecnologie già disponibili e ingegnerizzabili su larga scala (solare, eolico), che richiedono investimenti infrastrutturali già largamente penalizzati a favore dei sussidi alle fonti fossili, che con la scelta nucleare rischierebbero di veder accantonata l'unica strategia energetica coerente ed efficace nei tempi richiesti dalla situazione emergenziale;

    è ormai risaputo e sono consolidati i risultati di innumerevoli studi epidemiologici e sperimentali che mettono in evidenza l'aumento di tumori di varie sedi anche a dosi molto basse, ripetute e prolungate nel tempo, com'è il caso per gli addetti alle centrali e le popolazioni residenti vicine a centrali o depositi di scorie; senza parlare poi dei danni alla salute derivanti da un incidente nucleare che purtroppo non si può mai escludere. La produzione di energia da fonte nucleare rilascia, è vero, una più bassa quantità di Co2 rispetto alle fonti fossili, ma non rispetto alle fonti rinnovabili (solare, eolica, idroelettrica, biomassa, geotermica). Inoltre, non si può definire «pulita», perché ha enormi impatti negativi di altra natura sull'ambiente circostante. Le centrali nucleari oggi in funzione sfruttano l'energia liberata nelle reazioni di fissione e lasciano come residuo i prodotti della fissione stessa, radioattivi e nocivi per migliaia di anni. La gestione definitiva di tali scorie non è stata risolta e la maggior parte delle scorie prodotte finora nel mondo si trova in depositi temporanei;

    non esistono al mondo, al momento, depositi definitivi per le scorie radioattive. Negli Stati Uniti un deposito geologico «definitivo» è stato ipotizzato nella Yucca Mountain, nello Stato del Nevada. Autorizzato dal Congresso nel 2002, lo stesso Congresso ha tagliato i fondi nel 2011, con una complessa vicenda di stop-and-go che ha lasciato il deposito in un limbo di incertezza rendendo di fatto impossibile la sua realizzazione. Particolarmente istruttiva è la vicenda del sito tedesco di Schacht Asse II, ora dismesso. Ricavato in una ex-miniera di salgemma e di potassio a profondità comprese tra 500 e 750 metri, ha cominciato ad essere utilizzato a fine anni ’60. L'uso è stato interrotto a fine anni ’90, dopodiché si sono cominciati a fare dei piani di chiusura del sito, previa però la riestrazione delle scorie radioattive già immagazzinate. Quest'ultima operazione si sta rivelando estremamente complessa e costosa, oltreché parzialmente impossibile. Attualmente si prevede l'avvio delle operazioni di recupero e spostamento dei materiali in un deposito superficiale temporaneo a partire dal 2033. L'unico deposito per ora dichiarato ufficialmente «definitivo», anche se non ancora operativo, è quello di Onkalo in Finlandia, prossimo al sito di Olkiluoto che ospita le tre centrali nucleari di Olkiluoto, attive, che alimentano la rete elettrica finlandese. Il deposito, è stato scavato dentro un basamento di granito a profondità comprese tra i 400 e i 500 metri; dovrebbe entrare in funzione a partire dal 2025. Ovviamente, anche di questo deposito al momento non si può dire nulla circa sicurezza e costi globali. Prima di parlare di ipotetici nuovi progetti di energia nucleare in Italia, sarebbe bene che il Governo dicesse cosa intende fare con le scorie dei precedenti impianti nucleari italiani (Caorso, Latina, Trino Vercellese, Garigliano e altri minori), dismessi ma tutt'altro che smantellati e in sicurezza, precisando dove, come e quando verrebbe realizzato un impianto definitivo, per tali scorie, prima di produrne altre. Inutile dire che tale impianto dovrà essere discusso con le popolazioni locali garantendone sicurezza e affidabilità;

    come riportato da uno studio della danese Aarhus University sui rischi di progetto delle varie tecnologie per la produzione elettrica, il nucleare è un vero disastro in quanto a costi che lievitano e a ritardi di costruzione. Dei 180 impianti nucleari censiti dallo studio, per 117,6 gigawatt di potenza, a fronte d'investimenti iniziali per 459 miliardi di dollari si sono avuti sforamenti per 231 miliardi e per 9 centrali su 10 si è speso più di quanto preventivato;

    nella centrale nucleare di Flamanville, in Francia, con reattore di «terza generazione plus» da 1,6 gigawatt, in costruzione dal 2007 e i cui lavori non sono ancora terminati, i costi sono passati da 3,7 miliardi di euro a 19 miliardi di euro. Nella centrale nucleare di Olkiluoto 3 (OL3) da 1,6 gigawatt, in Finlandia, il costo è passato da 3 miliardi di euro a 11 miliardi di euro, senza tener conto degli oneri finanziari. La società Areva è fallita a causa delle perdite economiche del cantiere di OL3 ed è stata riorganizzata con due nuove newco. A Hinkley Point, Inghilterra, sono in costruzione due reattori da 1,6 gigawatt l'uno, i lavori non sono terminati, ma i costi sono arrivati a 26 miliardi di sterline ovvero 30 miliardi di euro con un aumento del 50 per cento rispetto alle previsioni;

    il costo medio a consuntivo per 1 gigawatt di energia nucleare per gli impianti costruiti in Europa, prendendo a riferimento il costo più basso, è di 10 miliardi di euro: realizzare 40 gigawatt di energia nucleare significherebbe per lo Stato italiano un investimento di non meno di 400 miliardi di euro, pari a circa il 21 per cento del prodotto interno lordo italiano nel 2022. Va sottolineato che Next Generation EU raccomanda che il 40 per cento degli obiettivi energia-clima al 2030 sia realizzato entro il 2025, cioè, per l'Italia, almeno altri 28 gigawatt da installare entro quella data;

    EDF, il colosso dell'energia francese che gestisce le centrali nucleari, dopo una capitalizzazione in borsa pari a 3,1 miliardi di euro e la nazionalizzazione del restante 16 per cento di azioni pari a 9 miliardi di euro, ha subìto nel 2022 una perdita di 17,9 miliardi di euro arrivando ad un debito di 64,5 miliardi di euro, il più pesante della sua storia. Vale la pena ricordare che la sua esposizione debitoria, come quella di Areva, sono state assorbite dal Governo francese nel bilancio nazionale, ma in realtà ricadranno anche sui cittadini europei, italiani inclusi, a seguito dell'inserimento del nucleare nella tassonomia «verde». In Francia, su 58 reattori nucleari, una buona parte sono fermi a causa della corrosione e della siccità (un reattore da 1 gigawatt necessita di 1.800.000 litri di acqua al minuto per il raffreddamento). In particolare quest'ultimo problema non può essere trascurato, in considerazione della notevole siccità che affligge il nostro Paese e l'Europa nel suo insieme;

    la società EDF e il Governo inglese hanno ratificato un'intesa che stabilisce il prezzo dell'energia prodotta dalla centrale di Hinkley Point, sterilizzato per i prossimi 35 anni a 120 euro/megawattora. Per competere con le fonti rinnovabili, il nucleare dovrebbe arrivare a un Lcoe di «40-80 USD/MWh, compresi i costi di smantellamento e gestione dei rifiuti». Al momento, è ben lontano da questa possibilità (Lazard's levelized cost of energy analysis-version 15.0);

    l'alto costo dell'energia nucleare non risolve il problema che il sistema economico e sociale si trova a fronteggiare dopo lo shock drammatico della speculazione energetica che ha portato ad un aumento insostenibile delle bollette, ovvero non assicura la disponibilità di energia pulita e a basso costo;

    l'Italia nel 2022 ha consumato 68,5 miliardi di metri cubi di gas con una diminuzione di 7 miliardi di metri cubi rispetto al 2021, mentre la disponibilità di gas è stata di 75,7 miliardi di metri cubi nel 2022, un dato invariato rispetto al 2021. Una quantità pari a 4,6 miliardi di metri cubi è stata esportata all'estero. Questi dati dimostrano che l'attuale sistema di infrastrutturazione energetica in Italia per l'approvvigionamento di gas non solo ha garantito il fabbisogno industriale e civile, ma ha visto aumentare le esportazioni rispetto al 2021 del +199 per cento;

    i dati succitati evidenziano come le autorizzazioni per i rigassificatori di Piombino e Ravenna non siano funzionali a garantire la sicurezza energetica, ma piuttosto a trasformare l'Italia in un hub del gas per venderlo in Europa. Ciò anche alla luce della volontà del Governo di voler realizzare nuovi rigassificatori, ritardando così la transizione energetica verso le fonti rinnovabili;

    in una strategia energetica coerente con gli obiettivi europei e dell'Onu anche l'economia circolare assume un ruolo strategico. In questa ottica, il perseguire l'obiettivo di realizzare nuovi inceneritori, come previsto a Roma, non appare coerente a tali obiettivi,

impegna il Governo:

1) a sostenere gli impegni europei sul Green Deal, sulla legge sul clima, sul piano Fit for 55 e sulla direttiva sul risparmio energetico;

2) ad aggiornare quanto prima il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Pniec), adeguandolo agli obiettivi climatici previsti dall'Unione europea;

3) a rispettare la volontà degli italiani espressa contro il nucleare, con ben due referendum popolari;

4) a fornire ogni elemento utile al Parlamento, prima del G7 di Hiroshima, in merito alla posizione che intenderà assumere sull'energia e su come intenderà raggiungere l'obiettivo 72 per cento di fabbisogno elettrico da rinnovabili entro il 2030;

5) a fornire ogni elemento utile al Parlamento in merito alle iniziative che intende adottare per l'individuazione del deposito unico nazionale da definire entro il 1° gennaio 2024, e garantire la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale di tutti i siti temporanei e delle strutture del territorio nazionale dove sono attualmente collocati i rifiuti radioattivi;

6) ad adottare iniziative volte a finanziare la ricerca per i nuovi sistemi più efficienti di accumulo di energia e favorire le imprese che sono impegnate nella produzione dei sistemi di accumulo;

7) a proseguire nella ricerca sulla fusione nucleare;

8) ad adottare iniziative volte a rivedere le autorizzazioni per gli impianti di incenerimento di rifiuti a partire dalla gestione commissariale di Roma Capitale, che sono impianti energeticamente a saldo negativo e non coerenti con gli obiettivi dell'economia circolare;

9) ad adottare iniziative volte a semplificare le procedure autorizzative per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili, assegnando ad ogni regione obiettivi chiari e non derogabili; a investire nell'adeguamento della rete di trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica ai nuovi obiettivi di energie rinnovabili;

10) a favorire la diffusione delle comunità energetiche rinnovabili (Cer) approvando i decreti attuativi ancora mancanti o incompleti e accelerare la pubblicazione dei bandi del PNRR per la concessione di contributi a fondo perduto per i comuni, riducendo il costo dell'energia elettrica per famiglie e imprese;

11) ad adottare iniziative volte a prevedere entro dicembre 2023 un piano strutturale di 15 anni per il risparmio energetico edilizio che preveda incentivi per i redditi medio bassi finanziato anche attraverso l'eliminazione graduale dei Sad, sussidi ambientalmente dannosi, stimati in 41 miliardi di euro/anno;

12) ad adottare iniziative volte a revocare, alla luce dei dati del bilancio energetico del gas del 2022, le autorizzazioni per i rigassificatori di Piombino e Ravenna e a confermare la chiusura delle centrali a carbone nei tempi previsti dalla Sen.
(1-00116) «Bonelli, Zanella, Fratoianni, Zaratti, Borrelli, Dori, Evi, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti».

(14 aprile 2023)

   La Camera,

   premesso che:

    il dibattito intorno alla necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, scatenato dal conflitto russo-ucraino e dal conseguente forte rialzo dei prezzi del gas, ha riportato l'attenzione anche sul tema dell'energia nucleare;

    l'Italia e l'Europa intera sono, infatti, impegnate nella ricerca di fonti di approvvigionamento energetico che consentano loro di rendersi indipendenti dalle forniture di gas russo, sempre meno affidabili nell'attuale scenario geopolitico, con la finalità di garantirsi non solo la sicurezza dell'approvvigionamento ma anche la sostenibilità dei relativi costi;

    gli Stati membri dell'Unione devono, inoltre, contribuire agli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni inquinanti e di tutela dell'ambiente, previsti in ambito UE dal pacchetto Fit for 55, che impone entro il 2030, la riduzione delle emissioni complessive del 55 per cento rispetto ai valori del 1990;

    il tema dell'energia nucleare è di recente tornato d'attualità anche in seguito a quanto proposto dalla Commissione europea, di inserire tale forma di produzione di energia nella tassonomia degli investimenti sostenibili di cui al regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all'istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088;

    le politiche di transizione energetica hanno, infatti, fatto tornare in auge questa tecnologia, in quanto non rilascia fumi climalteranti e il combustibile ha un costo molto basso, vantaggi cui si contrappongono, tuttavia, l'elevatissimo costo di realizzazione degli impianti, anche a fronte di una potenza a volte contenuta degli stessi;

    è stato dunque presentato, da parte della Commissione europea, un atto delegato complementare «Clima» della tassonomia, che riguarda determinate attività del settore del gas e del nucleare alla luce degli obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici affinché l'UE possa raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 mediante ingenti investimenti privati;

    è fondamentale presentare tutte le soluzioni possibili per accelerare la transizione e aiutarci a realizzare gli obiettivi climatici e l'elenco delle regole che serviranno a indirizzare i flussi degli investimenti finanziari verso destinazioni dall'impatto ambientale positivo, ha quindi, incluso, tra le fonti energetiche classificate come «sostenibili» – ossia coerenti con il percorso di transizione ecologica, e dunque meritevoli di ricevere investimenti «verdi» – il gas naturale e il nucleare;

    in numeri assoluti l'energia nucleare prodotta in Europa solo nel 2020 è stata pari a 760 mila gigawattora, pari al 21,8 per cento di tutta l'energia prodotta in Europa, e al 25 per cento di quella prodotta nei soli Stati appartenenti alla UE mentre a livello mondiale l'energia nucleare rappresenta il dieci per cento di tutta l'energia prodotta;

    l'Iea (International Energy Agency) stima fra trent'anni una produzione energetica globale al 90 per cento da rinnovabili e un 8 per cento dal nucleare, che dovrebbe fare affidamento sull'estensione del ciclo di vita delle centrali nei paesi avanzati e lo sviluppo di nuove in quelli emergenti (oltre il 90 per cento della crescita globale). La quota del nucleare sarà in calo rispetto al totale, ma in realtà dovrà raddoppiare la propria potenza in termini assoluti, dai 413 gigawatt all'inizio del 2022 a 812 gigawatt nel 2050, per supportare lo scenario Net zero emissions ancora con le centrali a fissione;

    l'Italia è l'unica Nazione appartenente al G8 che non possiede impianti nucleari per la generazione di energia, nonostante oltre il dieci per cento dell'energia consumata in ambito nazionale derivi proprio da importazioni di energia nucleare, prevalentemente dalla Francia;

    lo stop al nucleare in Italia è stato sancito, in momenti storici differenti, da due referendum popolari: nel 1987, l'ottanta per cento dei votanti hanno abrogato le norme sulla realizzazione e gestione delle centrali nucleari, i contributi a comuni e regioni sedi di centrali nucleari, e sulle procedure di localizzazione delle centrali nucleari, mentre nel 2011, con il 94 per cento dei voti favorevoli, è stato cancellato il nuovo programma energetico nucleare elaborato dal Governo;

    in Italia ancora non è stato completato lo smantellamento dei siti e la fusione nucleare è sempre stata guardata con scetticismo per la lentezza dei suoi progressi, tuttavia negli ultimi anni ha di nuovo suscitato interesse come strumento per combattere il cambiamento climatico;

    nel 2022 Eurofusion, un consorzio cofinanziato dalla Commissione europea cui partecipano quasi cinquemila persone tra esperti, studenti e personale in staff da tutta Europa, nel quale la partecipazione italiana è coordinata dall'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile Enea, ha conseguito una quantità record di energia prodotta da fusione presso l'impianto europeo Joint european torus (Jet);

    i progressi fatti dall'impianto Jet dovrebbero alimentare i futuri esperimenti dell'International thermonuclear experimental reactor (Iter), programma cui partecipano Unione europea, Federazione Russa, Stati Uniti, Giappone, Cina, Corea del Sud e India e che prevede la costruzione di un grande impianto sperimentale a Cadarache, in Francia, per un costo di oltre venti miliardi di dollari;

    tra i partecipanti al programma Iter figura anche l'Eni, società impegnata nello sviluppo della fusione a confinamento magnetico perché «occupa un ruolo centrale nella ricerca tecnologica finalizzata al percorso di decarbonizzazione, in quanto potrà consentire all'umanità di disporre di grandi quantità di energia prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile e senza alcuna emissione di gas serra»;

    in quest'ottica Eni partecipa anche agli altri principali progetti, italiani e internazionali, per la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico: il Commonwealth Fusion Systems (CFS), spin-out del MIT 2018; il Plasma Science and Fusion Center (PSFC) del MIT; il Divertor Tokamak Test (DTT), progetto dell'Enea a Frascati Eni ed Enea firmano un'intesa per creare un polo scientifico-tecnologico sulla fusione DTT (Divertor Tokamak Test), da realizzare al centro ricerche Enea di Frascati (Roma) 2019; le attività di ricerca del CNR «Ettore Maiorana» di Gela;

    l'obiettivo a cui tutto il mondo sta lavorando è realizzare la prima centrale a fusione in grado di immettere in rete energia elettrica a zero emissioni di gas climalteranti e si prevede di riuscirci nell'arco di uno o due decenni;

    tra le opzioni da valutare per decarbonizzare il settore energetico comprende anche i mini-reattori modulari (Small modular reactors, Smr) come confermato anche dalla commissaria Ue all'Energia, Kadri Simson, nella conferenza stampa del 28 marzo 2023 al termine del Consiglio energia, rispondendo a una domanda sulla definizione di nucleare come rinnovabile e le richieste di diversi Paesi in materia «gli Stati membri hanno anche bisogno di una guida dall'autorizzazione per l'installazione di piccoli reattori modulari (...) Quindi gli standard a livello dell'Ue per questi reattori sono qualcosa che gli Stati si aspettano da noi e collaboreremo con il settore per offrire questo»;

    per quanto riguarda la partecipazione italiana in centrali nucleari realizzate o da realizzare all'estero, Enel s.p.a. già dal 2005 detiene una quota di proprietà della società Slovenské Elektrárne a.s., massima produttrice di elettricità in Slovacchia in parte generata da quattro reattori nucleari, e, attraverso la controllata Enel Produzione, ha recentemente siglato un accordo con la compagnia ceca Energetický a Průmyslový Holding per la concessione di un'ulteriore linea di credito per il completamento di due nuovi reattori della centrale nucleare slovacca di Mochovce;

    inoltre, Enel, attraverso la società di energia Endesa, della quale detiene il 70 per cento, possiede al 100 per cento la centrale nucleare spagnola Ascò I, oltre ad avere quote di proprietà nelle centrali spagnole Ascó II (85 per cento), Vandellós II (72 per cento), Almaraz I (36 per cento), Almaraz II (36 per cento) e Trillo (1 per cento);

    Ansaldo Nucleare s.p.a., controllata al 100 per cento da Ansaldo Energia s.p.a., nel 2007 ha concluso la costruzione, attraverso una joint venture con la società canadese AECL, del secondo reattore della centrale rumena di Cernavodă, oltre ad avere collaborazioni in Armenia, Ucraina, Cina e Francia, e con altri costruttori per fabbricare e sperimentare componenti innovativi;

    Ansaldo Nucleare, inoltre, ha collaborato con il gruppo Toshiba-Westinghouse Electric Company nello sviluppo di reattori di terza generazione avanzata a «tecnologia passiva», è attualmente impegnata, fra le altre cose, nella progettazione del recipiente di contenimento della centrale nucleare cinese di Sanmen e dal 2011 ha aderito alla joint venture fondata nell'agosto 2010 dalle società britanniche Nuvia e Cammell Laird per partecipare alla progettazione e alla costruzione di componenti pesanti per i reattori AP1000 ed EPR delle prossime centrali nucleari inglesi;

    il 19 gennaio 2023, il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, nel corso della quarta edizione dell'evento «La Ripartenza» a Milano, ha dichiarato che «Dobbiamo prendere in seria considerazione il nucleare di quarta generazione che dà dei margini di sicurezza maggiore e che può essere il futuro del nostro Paese fino a poi arrivare alla fusione. Nel medio lungo periodo non l'Italia o la Ue, ma il mondo deve trovare forme di energia più avanzate. Si ragiona di fissione di quarta generazione. Dobbiamo ripensare al nucleare di quarta generazione, non è il tema del referendum che riguardava prima e seconda generazione»;

    l'intervento dell'Italia come osservatore alla riunione sul nucleare del 28 marzo 2023, svoltasi a Bruxelles su iniziativa della Francia e a cui hanno partecipato in tutto tredici Paesi, manifesta la nostra cautela nella valutazione di quali strumenti utilizzare nell'ambito del nucleare;

    il 28 febbraio 2023 dodici stati europei hanno sottoscritto un accordo di cooperazione sul nucleare, citato dagli organi di stampa come «Alleanza per il nucleare», in modo da sostenere a livello comunitario, sotto ogni punto di vista, sia industriale che regolatorio, il ruolo del nucleare come «uno degli strumenti per raggiungere i nostri obiettivi climatici, per generare elettricità in modo continuo e per garantire la sicurezza energetica», coerentemente con la tassonomia europea approvata nel 2022,

impegna il Governo:

1) a sostenere la ricerca sulla fusione a confinamento magnetico, lungo il solco già tracciato dai citati progetti, anche tenendo conto della valutazione dell'Unione europea sulla tassonomia del nucleare e sulla sancita possibilità per gli Stati di finanziare i progetti di ricerca in merito e prevedendo incentivi alla ricerca tecnologica sui reattori a fissione nucleare innovativi tra cui i reattori modulari di piccole dimensioni e sulla fusione nucleare;

2) a valutare in quali territori al di fuori dell'Italia la produzione di energia nucleare possa soddisfare le richieste nazionali, anche attraverso una partecipazione diretta alle società di gestione.
(1-00118) «Zucconi, Mattia, Caramanna, Benvenuti Gostoli, Antoniozzi, Iaia, Colombo, Lampis, Comba, Milani, Giovine, Fabrizio Rossi, Maerna, Rachele Silvestri, Pietrella, Schiano Di Visconti».

(14 aprile 2023)