XVIII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 21 di Martedì 30 novembre 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mura Romina , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE NUOVE DISUGUAGLIANZE PRODOTTE DALLA PANDEMIA NEL MONDO DEL LAVORO

Audizione della Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti.
Mura Romina , Presidente ... 2 
Bonetti Elena , Ministra per le pari opportunità e la famiglia ... 2 
Mura Romina , Presidente ... 7 
Viscomi Antonio (PD)  ... 7 
Mura Romina , Presidente ... 8 
De Lorenzo Rina (LeU)  ... 8 
Mura Romina , Presidente ... 8 
Frate Flora (Misto)  ... 8 
Mura Romina , Presidente ... 9 
Bonetti Elena , Ministra per le pari opportunità e la famiglia ... 9 
Mura Romina , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROMINA MURA

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web tv.

Audizione della Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione della Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.
  Nel ringraziare la Ministra per la sua disponibilità, le cedo immediatamente la parola. Prego, Ministra.

  ELENA BONETTI, Ministra per le pari opportunità e la famiglia. Grazie, presidente. Grazie a tutti gli onorevoli deputati e deputate presenti a questa audizione, che coglie uno dei temi oggi strategici sia nella valutazione dell'impatto della pandemia sul nostro sistema socioeconomico e lavorativo sia nel disegnare prospettive di ripartenza, che sappiano davvero rispondere alle sfide, di cui tutti abbiamo contezza.
  Gli effetti della pandemia da COVID-19 sono stati, in generale, un fattore di accelerazione di dinamiche di disuguaglianze economiche e sociali e hanno aggravato un fenomeno già preesistente, quale quello della disparità di genere. Questo non solo viene affermato dalle principali e più autorevoli fonti di informazioni e di dati, ma trova, ovviamente, conferma anche nei primi dati disponibili che offrono una sintesi, oltre che una valutazione complessiva, della percezione istituzionale e sociale che abbiamo maturato.
  Faccio riferimento, in particolare, ai più recenti dati dell'ISTAT, che hanno dimostrato come il decremento degli occupati di genere femminile sia all'incirca 2,5 volte superiore rispetto alla controparte maschile. Questo anche in ragione della maggior presenza femminile in quei settori che sono stati maggiormente colpiti dalla pandemia, come i servizi domestici, il comparto degli alberghi e della ristorazione, le attività ricettive e anche il commercio.
  Un dato già noto alle cronache è che, nel solo mese di dicembre 2020, su circa 100 mila occupati in meno la percentuale di donne era pari a circa il 98 per cento.
  Un altro importante dato di riferimento che vorrei condividere è quello riportato nella più recente nota redatta congiuntamente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalla Banca d'Italia sulla base delle cosiddette «comunicazioni obbligatorie». In questo report emerge chiaramente che l'occupazione femminile non stia beneficiando della lieve ripresa delle assunzioni a tempo indeterminato.
  Penalizzata nella prima fase della pandemia anche degli accresciuti carichi familiari, la dinamica dell'occupazione femminilePag. 3 ha gradualmente recuperato nel corso del 2021, ma soprattutto grazie a contratti di lavoro temporaneo, molti dei quali sono scaduti nei primi mesi autunnali. Tra le donne, oltre l'82 per cento dei posti di lavoro creati nel 2021 era a termine, a fronte del 72 per cento per gli uomini.
  Lievi incrementi, invece, del lavoro permanente hanno favorito, seppur di poco, l'occupazione maschile. Ad esempio, a settembre e a ottobre le assunzioni a tempo indeterminato sono tornate ai livelli pre-pandemici tra gli uomini, mentre per le donne sono di oltre il 3 per cento inferiori rispetto al 2019.
  Le stime sul tasso di disoccupazione dell'International Labour Office confermano questa dinamica particolarmente negativa per le donne anche a livello europeo. Il tasso di disoccupazione femminile è aumentato del 16 per cento su base annua e, purtroppo, è particolarmente accentuato nel nostro Paese, in cui tale indicatore è stimato al 30 per cento circa.
  Dalla ricerca sull'uguaglianza di genere e sull'impatto socioeconomico della pandemia da COVID-19, redatta dall'EIGE (European Institute for Gender Equality), l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, emerge con chiarezza che la pandemia da COVID-19 ha avuto impatti diversi sul mercato del lavoro, specifici per genere.
  Innanzitutto, ha avuto un'implicazione che ha evidenti conseguenze non neutrali anche sul fronte dell'occupazione lavorativa per genere, a causa dell'aumento del carico di lavoro non retribuito. Questo si è ulteriormente accentuato per la chiusura delle scuole e delle strutture di assistenza durante la pandemia, che ha ulteriormente complicato la conciliazione del lavoro retribuito e della responsabilità di cura per molti lavoratori, soprattutto per le donne, innestandosi su una disuguaglianza di carico di lavoro non retribuito che prevalentemente riguarda le donne.
  L'inizio della pandemia ha fatto diminuire l'occupazione sia per le donne sia per gli uomini, ma il rimbalzo dell'occupazione oggi è più forte, come ho avuto modo già di dire, per gli uomini che per le donne.
  Se facciamo, invece, una panoramica a livello europeo, anche per cogliere questo fenomeno di accelerazione di una situazione già preesistente, possiamo fare riferimento al fatto che, dopo cinque anni di crescita a livello europeo, l'occupazione è diminuita sia per le donne sia per gli uomini in tutti gli Stati membri dell'Unione europea dall'inizio della pandemia e, nonostante l'attuazione di misure di sostegno, tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020, il numero di donne occupate tra i 15 e i 64 anni è diminuito del 2,4 per cento, ovvero di 2,2 milioni, e il numero di uomini occupati è diminuito di 2,6 milioni.
  Come ho detto, la parziale ripresa nell'estate 2020 ha fatto sì che siano stati più uomini che donne a rientrare nel mercato del lavoro, con 1,4 milioni di posti di lavoro occupati da uomini e solo 0,7 milioni di posti di lavoro occupati da donne.
  Queste statistiche indicano una tendenza che rischia di diventare più duratura della crisi che stiamo vivendo per le donne che per gli uomini, se non si adottano i correttivi necessari per invertirla. Mi riservo, alla fine di questo mio intervento, di tracciare le linee strategiche che, come Governo, stiamo mettendo in campo per rispondere a tale esigenza.
  Un altro dato che va posto in evidenza è l'impatto sui lavoratori autonomi, temporanei, part time, ovvero i cosiddetti «lavoratori informali». Le donne sono rappresentate in modo sproporzionato in queste forme di lavoro cosiddette «non standard», rappresentando il 69 per cento delle perdite registrate tra i lavoratori a tempo parziale di età compresa tra i 15 e 64 anni.
  Le perdite occupazionali delle donne si sono concentrate nei settori altamente femminilizzati e più duramente colpiti dalla pandemia, come ho già avuto modo di dire, come il commercio al dettaglio, l'alloggio, l'attività di assistenza residenziale, l'attività di lavoro domestico e i settori della produzione dell'abbigliamento.
  Queste dinamiche e questi dati vanno poi a innestarsi su un processo di cambiamento della modalità lavorativa, come giustamente la Commissione ha osservato. In Pag. 4particolare, un punto su cui è importante focalizzarsi è quello dello smart working, che è stato introdotto come una forma di lavoro necessaria, condivisa tra le donne e gli uomini, ma che ha avuto impatti diversi sulle donne e sugli uomini e che oggi sta delineando scenari di opportunità e di rischio anche nella riorganizzazione, sia nell'ambito della pubblica amministrazione sia nell'ambito del settore privato.
  Per dare un'indicazione, prima della pandemia, nel 2019, in Europa la quota di persone che lavoravano da casa era stimata pari al 14,3 per cento per le donne e al 14,4 per cento per gli uomini.
  È chiaro che durante la pandemia c'è stata una forte prevalenza del lavoro in smart working obbligatorio sia per le donne sia per gli uomini, ma, secondo la recente indagine «Living, working and COVID-19», condotta dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita di lavoro di Eurofound, durante il primo periodo di blocco delle attività, nell'aprile e nel maggio del 2020, a livello europeo il 38,6 per cento delle donne e il 34,9 per cento degli uomini hanno iniziato a lavorare da casa a causa della pandemia e anche dopo il primo periodo di blocco la quota di persone che lavoravano da casa è rimasta sostanzialmente uguale nell'Unione europea.
  Tuttavia, quello che è stato differente è stato l'impatto sulle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, in particolare a seguito del fatto che questa forma di smart working si è innestata su una già preesistente disuguaglianza nella dimensione domestica e familiare, che certifica che le donne si occupano della cura familiare e dell'educazione dei figli con una sproporzione molto forte rispetto agli uomini.
  Questo ha fatto sì che lo smart working si sia innestato su questo carico di cura, che non è stato modificato, e che tale carico, enorme e tutto sulle spalle delle donne, abbia avuto anche le conseguenze sul livello occupazionale di cui ho avuto modo di parlare.
  Do un dato che credo sia molto eclatante e chiaro rispetto a questa preesistente condizione: prima della crisi da COVID-19 le donne occupate nell'Unione europea occupavano circa 3,9 ore al giorno nella cura non retribuita, mentre gli uomini occupati ne spendevano 2,6, dimostrando che già prima della crisi il carico non era distribuito equamente.
  Durante la prima ondata della pandemia, abbiamo visto le donne dedicare più ore degli uomini all'assistenza non retribuita anche nella situazione di una paritaria condizione di smart working. La cura dell'educazione dei figli e nipoti è stata assegnata alle donne per 12,6 ore alla settimana – sono sempre dati europei – rispetto alle 7,8 ore per gli uomini. La cura di persone anziane o membri della famiglia con disabilità è stata assegnata per 4,5 ore a settimana alle donne rispetto alle 2,8 ore degli uomini. Per i lavori domestici, 18,6 ore alla settimana per le donne rispetto alle 12,1 ore alla settimana per gli uomini.
  L'evidenza mostra che, anche durante i periodi della chiusura, i padri che lavoravano da casa generalmente tendevano a condividere il carico di lavoro e di cura più di prima, ma non in modo tale da colmare il gap e il divario di genere.
  Prima della pandemia, le donne occupate con responsabilità di cura dei figli spendevano circa 23 ore alla settimana per la cura dei bambini, rispetto alle 19 ore alla settimana degli uomini e, secondo una seconda indagine di Eurofound, le donne occupate con i bambini sotto i 12 anni hanno speso durante la pandemia 50 ore alla settimana per la cura dei figli rispetto alla 32 ore degli uomini occupati.
  È evidente che riequilibrare la disparità degli effetti della pandemia sul carico di lavoro tra le donne e gli uomini non può prescindere dal riconoscimento di una preesistente situazione di disparità, che va definitivamente risolta e che comporta la riforma complessiva della gestione della condivisione a livello familiare dei carichi di cura tra le donne e gli uomini.
  È per questo che, oltre a questi dati di analisi, ritengo sia importante – anche rispetto a una indagine conoscitiva come quella che questa Commissione sta portando avanti – individuare le situazioni di Pag. 5criticità che si sono aggravate e che questa pandemia ha ulteriormente inasprito.
  Come Governo, abbiamo condotto proprio questo tipo di analisi nella elaborazione della prima Strategia nazionale per la parità di genere. È una Strategia che si innesta su una situazione aggravata e amplificata dalla pandemia da COVID-19, cogliendone le conseguenze principali, ma che, nello stesso tempo, riconosce come l'amplificazione si sia innestata su disuguaglianze e disparità strutturali.
  Abbiamo già avuto modo di citare il numero di donne che lavora, che era già ad un livello basso prima della pandemia. Infatti, siamo agli ultimi posti in Europa per numero di donne che lavorano e il gap tra l'occupazione maschile e l'occupazione femminile, di circa 27 punti, peggiora ulteriormente laddove si consideri la condizione delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno dei figli. È evidente che l'esperienza della genitorialità impatti in modo diseguale sulle donne e sugli uomini.
  Accanto a questo, c'è un altro dato che emerge come ulteriore fattore di disparità, ovvero la differenza della retribuzione. È chiaro che, a fronte di una situazione familiare critica di sovraccarico del lavoro di cura non retribuito, le famiglie hanno in qualche modo scelto di sacrificare – lo dico in modo semplificato – il lavoro del secondo percettore di reddito, con reddito più basso, che, nella maggior parte dei casi, è la donna. Il lavoro volto alla ricerca di soluzioni per colmare il divario salariale, il cui impulso è partito da questa Commissione, è strategico e prioritario.
  Inoltre, credo che ci si debba soffermare, anche rispetto all'analisi che si sta portando avanti sul tema dello smart working come nuova forma di lavoro, sul tema delle competenze. Vi è un'altra disuguaglianza su cui la pandemia si è innestata aumentando le differenze di genere, che è quella delle competenze di carattere digitale e dell'impiego delle donne in quei settori in cui il lavoro può essere adeguatamente svolto anche in smart working con strumentazioni e competenze adeguate. Parlo principalmente delle competenze digitali.
  Noi oggi abbiamo una situazione di disparità nel numero di donne e di uomini impiegati nei settori STEM (science, technology, engineering and mathematics), ma, se guardiamo le competenze, la disparità aumenta ulteriormente. Infatti, oggi solo il 19 per cento delle donne ha competenze sopra la media della popolazione, mentre dovremmo arrivare a una media europea del 35 per cento.
  Aggiungo che questi settori hanno livelli più alti di retribuzione e il paradosso, che già esisteva nel nostro Paese e che la pandemia ha confermato, è che il gap salariale tra le donne e gli uomini del settore privato, che si assesta circa a 17 punti percentuali, aumenta a 22 punti laddove si restringe l'analisi comparativa alle lavoratrici e ai lavoratori con un titolo di studio di alta formazione.
  L'ultimo tema che in qualche modo la nostra Strategia vuole affrontare è quello della leadership delle donne nel settore privato e nel settore pubblico, perché, ovviamente, la disparità nei ruoli di carriera apicali, su cui si è innestata la pandemia, ha impedito il processo di avanzamento lavorativo, escludendo ulteriormente le donne dalla fascia delle posizioni lavorative più qualificate.
  Uno dei rischi dell'utilizzo eccessivo dello smart working, se questo non è organizzato in modo paritario tra le donne e gli uomini, è che esso possa tradursi in una inibizione alla progressione di carriera delle donne.
  Cosa fare soprattutto per quanto riguarda il lavoro femminile e l'aumento del lavoro femminile? Innanzitutto promuovere strumenti che permettano la valutazione dell'impatto di genere delle politiche attive nel mondo del lavoro e nelle politiche aziendali private, sia a livello della legislazione sia a livello delle aziende.
  Uno dei degli strumenti su cui stiamo lavorando, in particolare, è la certificazione della parità di genere per le imprese. La certificazione rappresenta uno strumento di monitoraggio che le imprese possono utilizzare nella progettazione delle proprie politiche con riferimento, non solo all'aspetto salariale, ma anche alla progressione di carriera delle donne, che deve Pag. 6essere supportata fino al raggiungimento di quella pipeline che si deve riempire per garantire una piena partecipazione delle donne al mondo del lavoro. In particolare, questo divario deve essere colmato per le situazioni di maggiore fragilità delle donne.
  La certificazione per la parità di genere, prevista dalla legge recentemente approvata dal Parlamento, è in fase di implementazione e, conseguentemente, comporterà la costituzione di un Osservatorio nazionale, che monitorerà dati e risultati, anche riferiti ai temi oggetto di questa audizione, ma prevede anche un meccanismo di premialità a valere su un fondo di 50 milioni di euro annui, previsto nel disegno di legge di bilancio.
  Ulteriori temi importanti su cui intendiamo lavorare sono quello dell'investimento sull'imprenditoria femminile, con riferimento a quei lavori e a quei settori che hanno registrato un ulteriore aggravio in termini di perdita di posti di lavoro, come il turismo, la ristorazione, il settore agroalimentare e quello della moda, nonché quello della implementazione della presenza delle donne nei settori che si sono dimostrati maggiormente resilienti in occasione di crisi di carattere economico e lavorativo, come quella che abbiamo appena vissuto, come i settori del digitale, della tecnologia avanzata e dell'intelligenza artificiale.
  Per fare questo serve un investimento formativo, di reskilling e upskilling delle donne che già sono nel mondo del lavoro nonché una strategia nazionale di preparazione per il medio periodo, partendo dagli studi della scuola superiore e dell'università.
  Un altro elemento importante che il Governo ha messo in campo in questa fase – che credo debba essere perseguito e implementato – riguarda uno dei momenti di maggiore fragilità nella carriera di una donna. Oggi per una donna che fuoriesce dal mercato del lavoro dopo la maternità la nostra normativa prevede un sostegno che, purtroppo, in qualche modo ha sortito l'effetto opposto. Penso a quegli strumenti che in qualche modo inducono una fuoriuscita dal mercato del lavoro, perché i costi per sostenere un'eventuale permanenza sono alti. Le donne, dopo aver avuto i figli, tendenzialmente escono dal mondo del lavoro oppure assumono posizioni part time – a volte involontario –, indebolendo così lo sviluppo della loro carriera, con conseguenze amplificate anche sui trattamenti pensionistici.
  Su questo si può intervenire con incentivi sotto forma di decontribuzione, come previsto dal Governo nel disegno di legge di bilancio, ma è fondamentale anche l'investimento nelle infrastrutture sociali ed educative, come gli asili nido, per colmare le disuguaglianze territoriali.
  Il terzo tipo di intervento è volto a colmare la disparità nei carichi di cura familiari tra le donne e gli uomini, di cui ho già avuto modo di parlare. Occorre che quelle differenze, che raddoppiano il carico di lavoro delle donne rispetto agli uomini – che nel nostro Paese hanno un'ulteriore amplificazione – siano corrette. Si tratta dei temi del congedo di paternità obbligatorio, di una maggiore condivisione dei carichi di cura, ma anche della promozione di regole nel mondo del lavoro, anche attraverso la contrattazione di secondo livello, che possano favorire un welfare che incentivi una piena condivisione dei carichi di cura familiari tra le donne e gli uomini.
  Credo che tutto questo quadro non possa prescindere da un fenomeno, che è doveroso citare in questa circostanza proprio nell'ottica della valutazione dell'impatto della pandemia da COVID-19 sul lavoro femminile, che è quello della violenza nei confronti delle donne, non semplicemente perché è un momento in cui siamo particolarmente concentrati su questo tema, ma perché l'aumento della violenza domestica si è accompagnato anche a un aumento della violenza cosiddetta «economica», connessa alla dipendenza economica delle donne vittime di violenza.
  Tale dato è reso evidente dalle richieste di aiuto arrivate al 1522, il numero telefonico attivato dal Dipartimento per le pari opportunità, aumentate nel 2020 di quasi l'80 per cento rispetto al 2019, sia per telefono sia per chat. È un'esplosione che Pag. 7ha in qualche modo rappresentato una situazione reale e concreta.
  Questa situazione, che ha aggravato la disparità, la discriminazione e la prevaricazione nei contesti domestici nei confronti delle donne, ha un corrispettivo di cause e di effetto sul tema della presenza delle donne nel mondo del lavoro. Una donna che ha una dipendenza economica è una donna che non ha la libertà di denunciare, una donna che è in posizione di dipendenza economica è una donna che è ulteriormente vittimizzata nella sua identità e nella sua libertà.
  È per questo che credo sia importante che il nostro Paese continui a impegnarsi a contrastare questa disuguaglianza, con l'investimento sul lavoro delle donne e su strumenti specifici per le donne vittime di violenza.
  Il reddito di libertà è uno strumento innovativo, che ritengo importante e che abbiamo confermato nel nuovo Piano strategico di contrasto alla violenza maschile contro le donne. Uno strumento altrettanto innovativo è quello del microcredito di libertà, un finanziamento, con una garanzia dello Stato al 100 per cento, anche per attività di carattere imprenditoriale e di carattere lavorativo per le donne che terminano il percorso accompagnato di fuoriuscita dai centri antiviolenza, per ricostruire uno spazio di libertà e di autonomia finanziaria per loro e per i loro figli. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, signora Ministra. Onorevole Viscomi, prego.

  ANTONIO VISCOMI. Grazie, Ministra, per la sua relazione completa, esaustiva, piena e ricca di spunti, sulla quale avremo tempo e modo di tornare a riflettere ancora. Mi permetto, se è possibile, alcune brevissime osservazioni che nascono dall'esperienza che tutti abbiamo vissuto in questo anno e mezzo di pandemia.
  La prima osservazione riguarda le giovani professioniste, non le lavoratrici dipendenti. Ho l'impressione che la pandemia abbia messo in evidenza come il sistema di protezione sociale nel nostro Paese non si possa neppure definire duale, bensì «balcanizzato», nel senso che c'è una macroarea, riferibile al lavoro subordinato, che, in qualche misura, ha ricevuto le tutele, ma c'è un'altra area, riferibile genericamente al lavoro autonomo, che, invece, ha avuto difficoltà a vedere in concreto queste tutele. Nell'ambito della macroarea del lavoro autonomo, le categorie veramente precarie – usiamo questo termine anche se è tecnicamente improprio – sono costituite dalle categorie professionali di giovani, di donne e di meridionali. Essere giovani, donne e meridionali in quest'ultimo anno e mezzo ha significato subire gli effetti dell'esplosione dei divari di uguaglianza nel nostro Paese.
  Una seconda osservazione che mi permetterei di fare è relativa alla questione dei servizi alla persona e alla famiglia, perché comprende anche la differenza tra i territori, come ha detto esattamente prima. Questo è un punto sul quale forse non c'è mai fine alla riflessione e sul quale forse dovremmo focalizzarci con sempre maggiore attenzione, perché, più che di risorse finanziarie, abbiamo bisogno di servizi efficienti per garantire equilibrio all'interno del mercato del lavoro.
  Questo vale anche, per esempio, per le donne vittime di violenze. Il reddito di libertà è sicuramente un elemento importante, ma servizi di accompagnamento non soltanto all'attività imprenditoriale, ma al lavoro e a percorsi agevolati di ingresso nel mercato del lavoro, anche attraverso il terzo settore o altre strutture, potrebbero essere utili.
  Una terza e ultima riflessione – per non togliere spazio agli altri interventi – riguarda la questione delle competenze. Su questo c'è sicuramente un problema, che riguarda la transizione al digitale che stiamo vivendo, ma che forse trova origine in tempi più lontani, per la questione dell'accesso delle donne agli studi STEM o, come forse è preferibile dire in questo momento, STEAM (science, technology, engineering, art, mathematics), perché l'arte e l'umanità fanno parte degli studi scientifici.
  Su questi tre versanti, ovvero quello delle professioniste donne, quello dei serviziPag. 8 e, soprattutto, quello dell'accesso alle materie scientifiche – lei per competenza professionale più di altri può avere ben chiara la situazione –, le chiedo che cosa intende fare.

  PRESIDENTE. Onorevole De Lorenzo, prego.

  RINA DE LORENZO. Grazie, presidente. Ringrazio la Ministra per la puntuale sintesi degli interventi che il Governo si appresta ad adottare al fine di superare le disuguaglianze di genere, che rappresentano un vero ostacolo alla crescita sociale del nostro Paese.
  La pandemia, come ben diceva la Ministra, ha rappresentato un acceleratore delle disuguaglianze e gli effetti negativi si sono registrati non solo sulle dinamiche occupazionali, ma anche sulla composizione del mercato del lavoro.
  La domanda di lavoro è stata ridisegnata e, in particolare, gli impatti negativi sono stati registrati in tutti quei settori in cui l'occupazione era a intermittenza o precaria, dunque laddove era più presente la figura della lavoratrice donna.
  Lo possiamo definire un «virus delle disuguaglianze», su cui auspico interverrà in maniera determinante il PNRR per ridurre questa curva delle disuguaglianze.
  È necessario intervenire con misure mirate alle donne, favorendo il loro percorso di formazione, puntando sull'empowerment femminile, attraverso il quale passa il contrasto alla violenza di genere.
  Anche io volevo chiedere alla signora Ministra quali interventi intenda promuovere al fine di colmare il gender gap nelle materie STEM o nelle materie STEAM, evitando i luoghi comuni – che vanno messi al tappeto – rispetto a una capacità e a una potenzialità delle donne inferiori in alcuni settori e in alcuni campi, come quelli della tecnologia e dell'ingegneria, che sono prevalentemente di pertinenza maschile, mentre alle donne sono riservati i settori umanistici o quelli delle scienze sanitarie. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Frate, prego.

  FLORA FRATE. Grazie, presidente. Grazie, signora Ministra, per la relazione molto precisa e puntuale sulle questioni che riguardano la parità di genere. Da essa emerge chiaramente che la disuguaglianza tra uomini e donne è stata purtroppo acuita dalla pandemia o, comunque, è esplosa con tutte quelle contraddizioni che in qualche modo si sono radicate in tutto questo periodo, questioni che probabilmente non abbiamo risolto o che non sono state adeguatamente affrontate.
  Io sono d'accordo con i colleghi, in particolare con quello che ha detto prima il collega Viscomi: c'è un problema in relazione all'occupazione, all'accesso al mercato del lavoro di giovani, di donne e, soprattutto, di coloro che provengono dal Meridione.
  Io sono una donna del Sud, sono di Napoli, quindi conosco bene le difficoltà di accesso al mercato del lavoro: non c'è soltanto una disuguaglianza in relazione ai redditi percepiti, al salario percepito o in relazione alle opportunità di carriera – sappiamo benissimo che soprattutto le donne incontrano quello che si chiama «tetto di cristallo», ovvero la difficoltà ad accedere a ruoli apicali –, perché il problema sostanziale, Ministra, è che c'è un vero e proprio ostacolo all'accesso al mercato del lavoro.
  Questo accade probabilmente perché manca il lavoro al Sud, poiché sappiamo benissimo che il nostro Paese è fatto di piccole e medie imprese e che soprattutto quelle piccole si concentrano al Sud, dove si concentra anche un'economia un po' familiare e, per certi aspetti, anche familistica, se posso utilizzare questo concetto senza produrre stereotipi.
  Tuttavia, il problema dell'accesso è legato anche alle competenze e al riconoscimento delle competenze delle donne che studiano e che si formano. Il problema è anche quello di riconoscere le competenze acquisite nei settori informali dell'economia oppure in enti, come, ad esempio, le associazioni o le università, presso le quali si svolgono i tirocini. Manca quel qualcosa che permetta loro il riconoscimento delle competenze che hanno acquisito sul campo Pag. 9da parte delle aziende e nel mondo del lavoro.
  La mia domanda è questa e finisco con altre due osservazioni. Tenendo presente che il programma GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) del Ministero del lavoro e delle politiche sociali si occupa anche delle competenze, le chiedo se c'è un progetto del Governo in relazione alla promozione e alla certificazione delle competenze specificamente delle donne.
  Inoltre, le chiedo se il Governo ha affrontato il tema della fiscalità di genere. Questo è un altro tema fondamentale, perché ho visto che il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla fiscalità di genere per agevolare le donne sul mercato del lavoro anche in termini di tasse, di fisco e di fiscalità.
  L'ultima osservazione è più che altro un auspicio. Mi fa piacere che queste analisi quantitative siano sempre puntuali e che vadano sempre più nel dettaglio, però stiamo parlando sempre di fenomeni sociali molto ampi.
  Io mi auguro che anche l'Europa e, in particolar modo, il sistema italiano, possano utilizzare anche strumenti di tipo qualitativo, perché non sempre le analisi quantitative e statistiche vanno a fondo del problema, correndo il rischio di lasciare qualcosa indietro, che non approfondiamo, ritrovandoci con queste grandi contraddizioni, che purtroppo si annidano che, a un certo punto, si palesano tutte insieme, e che poi sono difficili da risolvere. Grazie.

  PRESIDENTE. Ministra, prima di darle la parola, vorrei fare anche io due considerazioni. Innanzitutto, la ringrazio per la relazione, che è stata molto esaustiva e che risulta un po' la cornice – soprattutto con riferimento alle disuguaglianze di genere – all'interno della quale possiamo inserire tutte le altre informazioni che abbiamo acquisito durante l'indagine conoscitiva. Le chiederei anche di trasmetterla alla Commissione.
  Io volevo soffermarmi sul tema dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), perché adesso abbiamo il PNRR e il disegno di legge di bilancio che il Parlamento ha iniziato ad esaminare che, di fatto, serviranno a far ripartire il Paese e farlo tornare a competere, provando a superare le disuguaglianze. In questo contesto, il tema dei LEP è fondamentale.
  Ad esempio, parlando di welfare di prossimità, quindi di welfare fondamentale affinché le donne possano scegliere il lavoro, rischiamo che applicando il criterio della spesa storica per individuare qual è il livello di prestazioni necessario e sufficiente per garantire un sistema di welfare di serie A, nel Mezzogiorno – dove non c'erano asili nido – il problema non possa essere risolto. Sappiamo anche che la capacità progettuale e di gestione delle risorse da parte delle amministrazioni del Mezzogiorno, rispetto ad alcuni bandi che sono stati pubblicati, si è rivelata insufficiente.
  Le dico questo per dire che se noi non definiamo puntualmente il meccanismo di individuazione del livello dei bisogni su cui dobbiamo intervenire, rischiamo di vanificare questo percorso, che, invece, potrebbe qualificare veramente il Paese e superare o, perlomeno ridurre, le disuguaglianze.
  Le sottopongo il problema conoscendo la sua sensibilità, ma anche perché si tratta di un tema su cui, in relazione a questi aspetti e anche ad altri, noi parlamentari, soprattutto del Mezzogiorno, stiamo provando a sensibilizzare il Governo. Infatti, anche se i livelli essenziali delle prestazioni sono definiti dal Parlamento, serve un lavoro di sensibilizzazione al riguardo.

  ELENA BONETTI, Ministra per le pari opportunità e la famiglia. Intanto grazie delle domande e delle sollecitazioni, estremamente opportune, che mi permettono anche di approfondire alcune questioni che, come avete giustamente evidenziato, oggi sono strategiche, prioritarie e, mi permetto di dire, urgenti. Vado in ordine e spero di riuscire a rispondere a tutte.
  Iniziamo con il tema dei giovani, delle donne e delle giovani donne, perché purtroppo bisogna essere specifici: è una discriminazione multidimensionale, perché la definizione «giovani donne meridionali», purtroppo, rappresenta puntualmente una delle evidenti discriminazioni complesse, a cui serve una risposta – che stiamo dando – altrettanto puntuale.Pag. 10
  Per quanto riguarda le giovani donne e le giovani libere professioniste, come in tutte le altre questioni ci sono misure che vanno integrate reciprocamente considerando le loro interazioni. Un impulso importante per quanto riguarda le giovani professioniste credo che debba essere rappresentato dalla promozione di contesti lavorativi nei quali potersi pienamente esprimere, anche a livello territoriale.
  Il Fondo per l'imprenditoria femminile di 400 milioni di euro che abbiamo costituito è una risorsa importante, che va in questa direzione, perché presenta varie finalità: una parte è destinata alla piccola e media impresa femminile e una seconda parte, di 200 milioni di euro, più o meno equivalente, è destinata a investimenti in start up, quindi proprio alla fase dell'attivazione di una esperienza imprenditoriale femminile, con una «targettizzazione» femminile. Questo fondo è gestito non semplicemente come un fondo per l'accesso al credito agevolato – per il quale è stato costituito, finanziato e incrementato un ulteriore fondo presso il Ministero dello sviluppo economico – perché vuole promuovere innanzitutto la concessione di credito anche a fondo perduto per l'inizio di attività lavorative, l'attivazione di percorsi di servizi e di supporto alle piccole e alle medie imprese e la formazione delle donne che sono nel mondo dell'impresa.
  Nel disegno di legge di bilancio c'è una previsione che ritengo importante, che riguarda il sostegno alla maternità per le donne imprenditrici. Nell'ambito della riforma del Family Act, recentemente approvato dalla Camera dei deputati, si prevede uno specifico sostegno alla genitorialità anche per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, un sostegno all'acquisto della casa per i giovani e le giovani coppie. Queste sono tutte misure che hanno un effetto benefico nei confronti delle donne. Certamente l'introduzione dell'assegno unico universale è la misura di sostegno alla scelta della genitorialità.
  Da questo mi collego anche al tema della fiscalità agevolata. Come previsto dalla legge delega recentemente approvata, lo schema di decreto legislativo che sarà presentato alle Camere per il parere delle Commissioni competenti prevede un aumento dell'assegno al nucleo familiare laddove ci sia un secondo percettore di reddito. Questo è un meccanismo incentivante del lavoro femminile, è una sorta di «trasposizione» di una fiscalità agevolata. Laddove c'è anche il lavoro femminile, il carico familiare in qualche modo pesa di meno perché viene aumentato l'assegno. Viene ottenuto l'effetto aumentando l'assegno a parità di reddito, se c'è anche il reddito femminile. La proposta è di 30 euro a figlio nel caso ci siano due percettori di reddito, a parità del contesto reddituale complessivo del nucleo familiare.
  Il tema del lavoro femminile, in particolare, del lavoro femminile nel Sud è fortemente legato a quello che diceva lei, presidente, che è stato anche richiamato dagli altri onorevoli intervenuti. Il tema forte riguarda anche i servizi che devono essere erogati a livello territoriale, in particolare i servizi educativi e quelli degli asili nido.
  Proprio questa mattina al Ministero dell'istruzione abbiamo presentato il bando che investe 3 miliardi di euro dei 4,6 miliardi previsti dal PNRR in servizi educativi per la prima infanzia, asili nido e servizi integrati per la fascia 0-6 anni. Il target che ci siamo dati e l'indicizzazione riguardano l'obiettivo del raggiungimento del 33 per cento dell'offerta rispetto alla domanda, che è il target europeo. Se si considera che oggi la media delle regioni meridionali è del 14 per cento, significa che questo investimento avrà un impatto prioritario sulle regioni del Sud – in quanto il problema del lavoro femminile nel Sud Italia corrisponde esattamente al problema dell'assenza di un'offerta adeguata di servizi educativi a sostegno della prima infanzia.
  Oltre a questo, 900 milioni dei 4,6 miliardi di euro del PNRR sono destinati al funzionamento, sempre con riferimento a questo nuovo target, e nel disegno di legge di bilancio finalmente introduciamo i livelli essenziali di prestazione per gli asili nido, con il target di 33 posti su 100 bambini di età da zero a tre anni, finanziati fino al 2026 nell'ambito del PNRR e dal 2027 con Pag. 11risorse strutturali. Questo è un passaggio storico ma necessario da fare e sono assolutamente d'accordo con quest'ottica.
  Sul tema della disparità territoriale per quanto riguarda, in particolare, il tema dei servizi che riguardano le donne vittime di violenza, sono assolutamente d'accordo con questa lettura ed è per questo che, oltre alla stabilizzazione della strategia nazionale per la parità di genere, abbiamo voluto stabilizzare anche il piano nazionale di contrasto alla violenza maschile contro le donne e, conseguentemente, stabilizzare il finanziamento alle regioni per il sostegno a quella rete necessaria del Terzo settore e dei centri antiviolenza e delle case rifugio, che sono il presidio territoriale fondamentale.
  È in revisione e in attesa di accordo con le regioni una proposta di nuovi criteri di accreditamento che garantiscano la promozione capillare di servizi in tutti i territori in modo uniforme nel nostro Paese.
  Sul tema delle competenze, le competenze STEM sono uno degli assi strategici su cui abbiamo costruito non solo la strategia, ma anche i finanziamenti del PNRR.
  Cito due misure in particolare. La prima misura è un investimento di più di un miliardo di euro per la formazione e la revisione dei curricula, per le nuove competenze, comprese le STEM, le nuove competenze digitali e i nuovi linguaggi, a partire dai primi anni di vita, dalle scuole dell'infanzia e dagli asili nido. Questo investimento avrà un impatto nel medio e lungo termine.
  Su un termine più breve, ma necessario nell'ambito degli investimenti, in particolare del Ministero dell'università e della ricerca e del Dipartimento per la trasformazione digitale, si sono introdotti nelle linee guida criteri che favoriscano una percentuale di donne ricercatrici finanziate dalle borse di studio per progetti di ricerca e criteri di valutazione degli stessi che introducono anche nel nostro Paese il principio della parità di genere, che è un principio già presente a livello europeo, per esempio, nei bandi Horizon relativi al piano di investimento appena terminato e nei progetti ERC (European Research Council).
  Facendo riferimento alla domanda specifica, oltre a questo, complessivamente in tutto il PNRR – questa è la grande novità anche nell'attuazione del Piano – per tutti gli investimenti e tutti i bandi – che vanno dall'infrastruttura ingegneristica a quella digitale, alla transizione ecologica, all'investimento in cultura, in educazione e in turismo – tutti gli appalti dovranno seguire alcuni principi, prioritariamente volti ad aumentare il numero di donne e di giovani occupati. Vi è un vincolo del 30 per cento delle nuove assunzioni in favore delle donne e dei giovani e stanno per essere rese note le linee guida che recano dettagli su questa quota, non semplicemente destinandola agli uni e alle altre, ma indirizzandola alla valorizzazione sia dei giovani sia delle donne. Allo stesso fine, sono state previste una condizionalità per quanto riguarda la relazione ai sensi del codice delle pari opportunità, estesa a imprese che hanno più di 15 dipendenti – la recente legge fissa il limite a 50 dipendenti – e la premialità. I processi di induzione di premialità – in questo caso sotto forma di punteggi negli appalti, la certificazione per la parità di genere, la premialità fiscale – sono politiche volte a stimolare l'aumento della qualità e della quantità del lavoro femminile, dai ruoli di leadership al bilancio di genere, a strumenti adeguati in questo senso.
  È la prima volta che, nell'ambito di un appalto, anche se per ora la misura è riferita solo ai progetti finanziati dal PNRR, si induce un'azione positiva così forte.
  Sul tema della valutazione della quantità e della qualità dell'impatto delle politiche di genere, sono d'accordo ed è per questo che l'istituzione dell'Osservatorio nazionale della parità di genere, che accompagna la Strategia, avrà un approccio innanzitutto interistituzionale e di integrazione delle diverse competenze e, conseguentemente, permetterà, da un lato, l'acquisizione sistematica e disaggregata dei dati e un'analisi puntuale degli stessi e, dall'altro, una visione dell'impatto progressivo delle politiche pubbliche e del loro effetto sia sul mondo del lavoro sia sul mondo delle competenze, della cultura, della leadership, della condivisione dei carichi di cura tra le Pag. 12donne e gli uomini – cito alcuni di questi elementi – con un approccio davvero sistemico, che possa anche indirizzare e monitorare la linea e l'azione del Governo. Inoltre, credo che possa essere significativo anche dal punto di vista dell'impatto sulla normazione.
  L'ultimo punto che è stato citato è quello della fiscalità. Il tema di una fiscalità agevolata per le donne è stato introdotto nel disegno di legge delega in materia fiscale che il Governo ha presentato: con riferimento all'IRPEF, si specifica che la revisione deve essere finalizzata a incentivare il lavoro sia dei giovani sia delle donne. Come dicevo, la previsione riguardante l'assegno unico universale, come disposto dalla legge delega, è un elemento che corrisponde esattamente a questa finalità.
  Personalmente ritengo che la fiscalità debba rappresentare una leva positiva in questa direzione e auspico che anche a livello europeo si assumano questi principi.
  Credo che la decontribuzione, che non sempre viene considerata come un elemento, di fatto, proattivo e positivo, sia una leva importante. L'abbiamo introdotta per incentivare l'assunzione delle donne in condizioni svantaggiate e adesso l'abbiamo estesa alle donne al rientro al lavoro dopo la maternità, ma penso che elementi di defiscalizzazione e decontribuzione possono avere un impatto significativo.

  PRESIDENTE. Ringrazio la Ministra per il contributo fornito all'indagine conoscitiva. Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.