TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 59 di Martedì 9 ottobre 2018

 
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INTERROGAZIONI

A)

   RIZZO NERVO, BRUNO BOSSIO, CARLA CANTONE, D'ALESSANDRO, DI GIORGI, MARCO DI MAIO, MORETTO, SCALFAROTTO, SCHIRÒ, SIANI, VISCOMI, ENRICO BORGHI e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la famiglia e le disabilità. — Per sapere – premesso che:

   gli organi di informazione danno notizia, che ha avuto ampia eco non solo a livello locale ma anche nazionale, che il comune di Monfalcone ha sottoscritto con due istituti scolastici comprensivi una convenzione che fisserebbe un tetto massimo, pari al 45 per cento, per la presenza di stranieri in classe;

   in base a questo accordo «le parti convengono di accettare per l'anno scolastico 2018/2019 l'applicazione della percentuale di alunni stranieri fino al 45 per cento, allo scopo di dare risposte ai bisogni dei bambini e delle famiglie e nel rispetto dei criteri di precedenza che gli istituti comprensivi stabiliranno»;

   nel documento, inoltre, si cita tra gli obiettivi quello di «incentivare le iscrizioni a Monfalcone, in particolare da parte delle famiglie italofone residenti»;

   tale «patto», secondo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sarebbe stato firmato dall'ufficio scolastico regionale e provinciale, che a fronte delle liste d'attesa avrebbe inviato quattro insegnanti in più per formare due nuove sezioni;

   la conseguenza di questo «patto» è che a settembre 2018 circa 60 alunni rischiano di essere esclusi dai percorsi formativi; sarà, quindi, impedito loro di fatto di conoscere coetanei di altre origini e avranno problemi di lingua e di inserimento nella comunità cittadina, mentre per le scuole materne di Monfalcone si aprirebbe un problema di insegnanti in esubero;

   si tratta di un grave pregiudizio per i bambini e le loro famiglie che non può essere risolto con la mera previsione di «esportare» gli alunni in eccesso con uno scuolabus che li accompagni eventualmente presso altri comuni, né con la costituzione, a carico di Fincantieri, di classi specificamente dedicate, come pretenderebbe il sindaco di Monfalcone;

   l'incidenza degli stranieri sul totale della popolazione nel comune di Monfalcone (Gorizia) è di poco superiore al 20 per cento e il comune è al 45° posto su 7978 comuni per percentuale di stranieri sul totale della popolazione;

   per regolamentare la presenza di stranieri in una classe, una circolare ministeriale del 2010 stabiliva un tetto del 30 per cento, cui i singoli uffici scolastici regionali, d'intesa con gli enti territoriali, possono però derogare, sia in aumento che in diminuzione;

   il problema della formazione di classi di soli stranieri o a larghissima presenza di stranieri è presente in varie località del nostro Paese ed è soggetto a valutazioni diverse in relazione alla capacità di fornire agli scolari tutti gli strumenti utili all'integrazione socio-linguistica;

   tese ad evitare le cosiddette classi-ghetto, le quote possono avere un'utilità indicativa se hanno un carattere propositivo e se comunque, nell'ambito dell'autonomia della comunità scolastica, si presta alla dovuta attenzione ai percorsi di integrazione e non di esclusione;

   appare, pertanto, necessario affrontare in modo organico un fenomeno che tocca in modo particolare alcune località ad alta densità d'immigrazione, soprattutto regolare e stanziale, al fine di prevenire frizioni e incomprensioni e favorire l'integrazione di alunni e famiglie, senza pregiudizio per lo svolgimento del cursus formativo degli alunni a tutti gli effetti italiani e italofoni –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda assumere, in conformità agli articoli 2 e 3 della Costituzione, affinché sia assicurato a tutti i bambini il diritto allo studio e alla formazione, sia evitato il trauma di una discriminazione precoce e, al contrario, sia offerta l'opportunità di un'armoniosa e progressiva integrazione.
(3-00081)

(16 luglio 2018)

   QUARTAPELLE PROCOPIO, ASCANI e POLLASTRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   come riportato dai numerosi organi di stampa, il sindaco del comune di Monfalcone, in provincia di Gorizia, ha siglato un atto che riguarda i due istituti comprensivi «E. Giacich» e «G. Randaccio», per fissare un tetto massimo del 45 per cento alla presenza di alunni stranieri per ogni classe della scuola dell'infanzia;

   la ratio del provvedimento indicata nel protocollo sarebbe di «incentivare le iscrizioni a Monfalcone, in particolare da parte delle famiglie italofone residenti»;

   il protocollo produrrebbe effetto immediato su circa sessanta alunni che si vedrebbero esclusi dalla possibilità di frequentare gli istituti sopra menzionati;

   l'iniziativa è stata lodata dal Ministro dell'interno, Matteo Salvini, e dal presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, mentre, secondo quanto riportato dai media, il Ministro interrogato si sarebbe attivato per «evitare episodi del genere» e per difendere il principio d'inclusione nelle scuole;

   la Costituzione della Repubblica italiana impone a tutte le istituzioni nazionali e locali di rispettare il principio di non discriminazione e nel nostro Paese la condizione giuridica dello straniero residente è protetta dalla previsione di una riserva rafforzata di legge; il trattamento giuridico a cui viene sottoposto lo straniero non può essere sottoposto all'arbitrio della pubblica amministrazione, ma deve essere stabilito dalla legge, che non può, comunque, essere meno favorevole di quanto previsto dalle norme di diritto internazionale;

   la Flc-Cgil ha presentato presso la procura di Gorizia un esposto, annunciando che lo stesso sarà trasmesso anche al Ministro interrogato e all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza –:

   quali urgenti iniziative di competenza si intendano assumere per pervenire alla revoca del protocollo di cui in premessa;

   come si intenda assicurare che tutte le istituzioni difendano e promuovano politiche per il diritto allo studio di tutti i bambini, nel rispetto dei principi costituzionali.
(3-00220)

(8 ottobre 2018)
(ex 4-00765 del 20 luglio 2018)

   FRATOIANNI e FORNARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 26 giugno 2018 il comune di Monfalcone, guidato dalla sindaca leghista Annamaria Cisint, e l'istituto comprensivo «Giacich» e l'istituto «Randaccio» avrebbero firmato un accordo di programma in cui le parti hanno accettato per l'anno scolastico 2018/2019 l'applicazione della percentuale di alunni stranieri fino al 45 per cento;

   nello stesso documento si citerebbe, tra gli obiettivi, quello di «incentivare le iscrizioni a Monfalcone, in particolare da parte delle famiglie italofone residenti»;

   il risultato di questo provvedimento è che sessanta bambini di età compresa tra i tre e i cinque anni, la maggior parte figli di operai che lavorano per la Fincantieri a Monfalcone, a settembre 2018 non potranno entrare in aula insieme ai loro compagni;

   la stessa sindaca avrebbe dichiarato testualmente: «Se li prendano i sindaci dei comuni vicini e Fincantieri. Sono figli dei suoi dipendenti. L'azienda dovrebbe fare una scuola aziendale»;

   secondo la Flc Cgil regionale, sia l'ufficio scolastico regionale che quello territoriale erano a conoscenza di tale accordo e il tutto sarebbe stato inserito in un regolamento modificato all'ultimo momento nella totale inconsapevolezza delle famiglie che si sono viste esclusi i propri figli;

   la Costituzione italiana recita che i minori devono essere tutelati al di là della distinzione di sesso, di razza e di religione e questo accordo, a parere degli interroganti, lede palesemente i diritti dei bambini. Escludere 60 bambini dalla scuola dell'infanzia significa tra tre anni avere degli allievi alla primaria che non conosceranno l'italiano;

   uno degli obiettivi principali della scuola è l'inclusione ed episodi di questo genere andrebbero non solo evitati ma anche impediti, perché a giudizio degli interroganti in violazione palese dell'articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana e del principio di uguaglianza;

   la presenza dei migranti a Monfalcone, soprattutto per la presenza di Fincantieri, non è nuova ed è sempre stata affrontata come una risorsa per l'intera città;

   a parere degli interroganti, il provvedimento della sindaca di Monfalcone crea un precedente gravissimo e una discriminante insopportabile tra bambini italofoni e non, non considerando nemmeno che, ormai, i piccoli nati nel nostro Paese parlano la nostra stessa lingua;

   tale provvedimento, inoltre, penalizza quella che è la fascia più debole della popolazione, ovvero i bambini, a cui dovrebbe essere sempre garantito il diritto all'istruzione, e cerca di dividere i figli degli operai di Monfalcone, una classe operaia che nella giungla dei subappalti rischia ogni giorno la vita, il cui vero nemico non è lo straniero ma la mancanza di un lavoro dignitoso e sicuro;

   sempre a parere degli interroganti, tale atto ha come unico scopo l'esclusione sociale di ampie fette della popolazione di Monfalcone che contribuiscono con il loro lavoro e con le loro tasse alla crescita della città. Inoltre, quando si parla di incentivare l'iscrizione dei figli delle famiglie italofone ci si dimentica che nell'isontino sono presenti minoranze linguistiche slovene –:

   se il Ministro interrogato intenda intervenire per accertare se l'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia e l'ufficio scolastico provinciale fossero a conoscenza dell'accordo di programma di cui in premessa siglato dal comune di Monfalcone con due istituti scolastici, che fissa nella scuola dell'infanzia un tetto massimo di presenza non italiana al 45 per cento;

   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere affinché si pervenga alla revoca di tale accordo di programma, che, a parere degli interroganti, si pone in palese contrasto con l'articolo 3 della Costituzione italiana e con il principio di uguaglianza, e quali misure intenda promuovere per evitare che episodi come quelli di cui in premessa possano ripetersi in altre realtà del nostro Paese.
(3-00221)

(8 ottobre 2018)
(ex 4-00690 del 12 luglio 2018)

   FORNARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da organi di stampa locali (Il Piccolo) del deposito in procura a Gorizia di un esposto promosso da Flc-Cgil contro la decisione del sindaco di Monfalcone Anna Maria Cisint che fissa un tetto del 45 per cento alla presenza di bambini stranieri nelle scuole, asili compresi;

   risultano essere 79, per la maggior parte stranieri, i bambini rimasti fuori dalle scuole dell'infanzia; i sindacati hanno richiesto alla prima cittadina leghista un confronto sulla vicenda, domandando in primo luogo l'immediato ritiro dell'atto e ricevendo come risposta un fermo diniego;

   il segretario regionale Flc-Cgil, Adriano Zonta, ha anticipato che l'esposto verrà inviato anche all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   il sindaco Cisint ha dichiarato che chiederà al tavolo con l'assessore regionale, Alessia Rosolen, e il direttore dell'ufficio scolastico regionale, Igor Giacomini, «classi più piccole e classi-ponte», ossia «spazi in cui i bimbi stranieri possano apprendere esaustivamente la lingua italiana così quando saranno pronti potranno essere inseriti in aula con gli altri»;

   a giudizio dell'interrogante, le misure adottate nei confronti degli alunni sopra citati sono discriminatorie, incostituzionali e contrarie ad ogni principio educativo –:

   quali iniziative, anche di natura normativa, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di garantire il rispetto dei principi costituzionali e di ovviare alla situazione che si è determinata a Monfalcone.
(3-00222)

(8 ottobre 2018)
(ex 4-00806 del 25 luglio 2018)

B)

   FERRI e ROTTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 20 marzo 2016, lungo l'autostrada AP-7, nei pressi di Freginals, un autobus diretto da Valencia a Barcellona, con a bordo studenti appartenenti al progetto Erasmus, veniva coinvolto in un gravissimo incidente. Dei 57 giovani a bordo, risultavano essere 13 le studentesse decedute, tra le quali 7 italiane: Francesca Bonello, Lucrezia Borghi, Valentina Gallo, Elena Maestrini, Serena Saracino, Elisa Scarascia Mugnozza, Elisa Valent;

   nel registro degli indagati, per omicidio colposo plurimo, veniva iscritto dalla magistratura spagnola un solo nome: Santiago Rodrigues Jiménez, il conducente sessantaduenne del mezzo coinvolto;

   dal rapporto della polizia regionale dei Mossos d'Esquadra emergeva che la causa più probabile dell'incidente fosse da ritenersi un colpo di sonno dell'autista: come scritto dalla stampa spagnola, l'uomo avrebbe ammesso ai soccorritori di essersi addormentato;

   altre indagini da parte delle forze dell'ordine evidenziavano come dalla scatola nera dell'autobus risultasse, nell'ora e mezza di viaggio, un numero eccessivo di «decelerazioni significative»: ben 77, mentre gli altri bus facenti parte della comitiva non ne effettuarono più di 12. Nelle testimonianze dei passeggeri sopravvissuti emergevano, inoltre, numerose attestazioni di un comportamento imprudente alla guida da parte dell'autista (mancato rispetto della distanza di sicurezza, frenate improvvise, uscita dai bordi della carreggiata);

   per ben due volte la magistratura spagnola ha archiviato il caso, non reputando sufficienti tutti gli elementi già citati. Il giudice per le indagini preliminari ha sostenuto che l'autista non avesse «alcuna responsabilità così grave da essere punita penalmente», di fatto lasciando senza colpevoli una tragedia di portata europea;

   i genitori delle ragazze italiane, dopo la tragedia, hanno vissuto la disperazione di non avere risposte, ma non si sono mai rassegnati e hanno condotto un'estenuante battaglia legale, promuovendo un'azione congiunta nei confronti della giustizia spagnola affinché il caso venisse riaperto;

   il 15 giugno 2018 è giunta la notizia della riapertura del caso, ma ai magistrati occorreranno altri mesi, fino ad un massimo di diciotto, per capire i fatti e acquisire documenti: solo alla fine potranno decidere se dare avvio al processo o procedere nuovamente con l'archiviazione;

   occorre sostenere e dare risposte alle famiglie delle giovani vittime, impegnate da più di due anni in una logorante battaglia giudiziaria. È altresì fondamentale garantire un senso di sicurezza e tutela a tutti i giovani italiani che ogni anno decidono di studiare all'estero –:

   se il Governo ritenga di dover acquisire le necessarie informazioni e adottare le opportune iniziative al fine di vigilare sull'andamento di questa tragica vicenda legale, alla luce delle criticità emerse nelle prime fasi dell'indagine e dell'esigenza di garantire lo svolgimento di un giusto processo.
(3-00218)

(8 ottobre 2018)
(ex 5-00201 del 19 luglio 2018)

C)

   ZANETTIN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi è stato presentato uno studio di Confartigianato Veneto sullo stato della giustizia nel distretto di corte d'appello di Venezia, caratterizzato, come noto a tutti, da un tessuto industriale assai vivace;

   i dati sono allarmanti;

   nonostante l'aumento tabellare degli organici avvenuto negli ultimi anni, il distretto di corte di appello di Venezia mantiene un gap significativo per carenza di magistrati, rispetto alla media nazionale;

   il numero di abitanti per ogni giudice ordinario, o onorario, che si occupa di civile, effettivamente in servizio, è di 20.707;

   tale dato è superiore del 31,6 per cento rispetto alla media nazionale, con la punta del tribunale di Treviso che ha un rapporto di 24.610 abitanti per ogni giudice (+56,4 per cento rispetto al dato nazionale);

   per quanto riguarda invece la corte di appello di Venezia, il numero di consiglieri assegnati, pari a 51, è assolutamente inadeguato, rispetto alle dotazioni medie di magistrati assegnati alle altre corti di appello del Paese,

   se si considerano le cause pendenti nel 2017, pari a 26.971 affari, l'organico dei consiglieri, rispetto alla media nazionale, dovrebbe essere addirittura aumentato di 20 unità;

   per fare un confronto, ogni consigliere della corte di appello di Venezia ha in carico, mediamente, 528 fascicoli pendenti, contro i 165 di un consigliere della corte di appello di Milano ed i 319 di un consigliere della corte di appello di Torino;

   è una disparità assolutamente ingiustificata ed inaccettabile;

   peraltro, i dati statistici del Ministero della giustizia dicono che la produttività individuale dei magistrati veneti è tra le più alte in Italia;

   note dolentissime giungono anche riguardo il personale amministrativo;

   nel distretto di corte di appello di Venezia si registra, al 20 luglio 2018, una scopertura complessiva di 244 unità, corrispondente al 23 per cento del totale;

   le inefficienze in campo giudiziario creano un danno enorme, che si stima pari a circa il 2-3 per cento del prodotto interno lordo;

   vi è, quindi, la necessità di operare una nuova revisione degli organici, ma anche un reclutamento straordinario di nuovi magistrati, perché altrimenti i bandi andranno deserti –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per consentire al distretto della corte di appello di Venezia di ottenere dotazioni di personale amministrativo, quantomeno in linea con gli altri distretti del Paese e per garantire la sua piena funzionalità.
(3-00116)

(30 luglio 2018)

D)

   COLLETTI, BUSINAROLO, DADONE, D'ORSO e PERANTONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la gestione separata è una forma previdenziale residuale, introdotta dalla legge n. 335 del 1995 di riforma del sistema pensionistico per dare copertura previdenziale ai lavoratori autonomi e alle categorie di professionisti privi di un proprio ordine/albo professionale e di una cassa di appartenenza;

   nel 2011, al fine di recuperare oltre 6 milioni di euro di contributi sommersi, l'Inps, di concerto con l'Agenzia delle entrate, ha avviato un'operazione denominata «Poseidone», iscrivendo d'ufficio alla gestione separata oltre 800 mila professionisti prevalentemente giovani – ingegneri, architetti, dottori commercialisti, ragionieri, geometri, medici, soci amministratori di società semplici e avvocati – già iscritti nei rispettivi albi dotati di proprie casse previdenziali, inviando loro centinaia di migliaia di raccomandate con richieste di pagamento per somme non versate negli anni 2005-2006, molte delle quali già prescritte;

   a tutela dei propri diritti, i professionisti destinatari di queste intimazioni di pagamento hanno agito giudizialmente, instaurando giudizi di opposizione che nella maggior parte dei casi si sono conclusi con la soccombenza dell'Inps (si pensi alla pronuncia della Corte di cassazione che, a favore dei 22.000 soci amministratori di società semplici, ha dichiarato illegittima l'operazione «Poseidone»);

   a ciò si aggiunga che nel 2012, risultando poco chiari l'oggetto specifico del protocollo con l'Agenzia delle entrate, che, in caso di estrazione e uso della documentazione fiscale, avrebbe costituito una violazione della privacy, e considerato il grave ritardo, al limite della prescrizione, nella riscossione dei presunti crediti, anche il Governo pro tempore prendeva posizione chiedendo all'Istituto di bloccare l'operazione;

   tra giugno-luglio 2015, nonostante il consolidato orientamento giurisprudenziale sfavorevole e la richiesta governativa, l'Inps riprendeva l'operazione («Poseidone2»), inviando sempre a professionisti già iscritti ai propri albi professionali e alle rispettive casse previdenziali ulteriori avvisi di pagamento di importo variabile (da 2.500/3.000 a 30.000 euro), nonché preavvisi di fermo amministrativo sugli autoveicoli, e irrogando sanzioni pari a quasi il 100 per cento dell'importo richiesto, in tal modo garantendo una sostanziosa iniezione di liquidità ai suo bilancio ordinario;

   tra i destinatari figuravano anche quegli avvocati che, nelle more, avevano ottenuto giudizialmente la cancellazione (operata, ab origine, d'ufficio dall'Inps) dalla gestione separata, nonché quelli che avevano effettuato i versamenti contributivi all'ente previdenziale d'appartenenza. Sul punto, infatti, si rileva che ciò si è verificato anche prima della legge di riforma professionale n. 247 del 2012 che ha previsto l'esclusività del rapporto con l'ente di previdenza ed assistenza di riferimento, sicché la corresponsione all'Inps dei contributi richiesti per tutto il periodo precedente l'entrata il 2012 non consentirebbe comunque agli avvocati di continuare nell'eventuale «rapporto previdenziale» essendo questa opzione direttamente preclusa dal legislatore – la legge imponeva l'iscrizione d'ufficio alla Cassa forense contestualmente alla notizia della iscrizione all'albo professionale e indipendentemente dal pagamento di qualsiasi contributo (si confronti il decreto interministeriale del 28 settembre 1995);

   questa condotta, divenuta oggetto anche di denunce-querele presso le procure territorialmente competenti e di esposti collettivi (per danno erariale) presso le Corti dei conti di Puglia, Campania, Calabria, Sicilia, Toscana, Abruzzo, Lazio e Lombardia parrebbe aver trasformato la natura «residuale previdenziale» della gestione separata in una gestione «sanzionatoria» nei confronti di quei professionisti che, attenendosi alle norme stabilite dai propri enti previdenziali privati di categoria, non hanno alcun obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps;

   la relazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 98 del 2011, relativamente all'articolo 18, precisa che «sono soggetti all'iscrizione presso la gestione separata Inps coloro che svolgono attività il cui esercizio non è subordinato all'iscrizione ad appositi albi o elenchi, salva diversa previsione legislativa»;

   a giudizio degli interroganti, dunque, l'Inps, seguitando (sia a gennaio 2017, che a gennaio 2018) ad emettere, in violazione dell'articolo 24, comma 3, del decreto legislativo n. 46 del 1999, gli avvisi di addebito ed intimando il pagamento di somme già decretate come non dovute da sentenze, da sospensive o comunque non recuperabili per via di giudizi ancora in corso, sta agendo in modo arbitrario e illegittimo, «abusando» della sua posizione e cagionando, oltre che un danno economico dovuto allo spreco di denaro pubblico impiegato per l'invio delle raccomandate e per sostenere i costi della difesa in giudizio, anche un danno all'immagine della pubblica amministrazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione dei professionisti coinvolti nelle operazioni «Poseidone» e «Poseidone 2»;

   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda assumere per impedire le attuali azioni dell'Inps.
(3-00219)

(8 ottobre 2018)
(ex 5-00018 dell'11 maggio 2018)

E)

   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra il 23 e il 24 marzo 2018 si è sviluppato un incendio presso la sede del giudice di pace ubicata in Viale Europa a Bari;

   nell'incendio sarebbero andate distrutte schede elettorali delle ultime consultazioni politiche del 4 marzo 2018 e delle amministrative di alcuni comuni che si sono svolte nel 2017;

   sono in corso indagini, ma, come riportano gli organi di informazione, si ipotizza l'origine dolosa dell'incendio;

   si tratta di un episodio grave ed inquietante anche in riferimento ai documenti custoditi e andati distrutti nell'incendio –:

   se i dispositivi di sicurezza rispondessero a criteri di adeguatezza, considerata l'importanza dell'ufficio in questione e quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano attivare per appurare le cause del gravissimo atto riportato in premessa.
(3-00001)

(29 marzo 2018)