XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 17 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

Audizione del direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 2 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 7 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 9 
Mazzoni Riccardo  ... 10 
Arrigoni Paolo  ... 10 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 10 
Arrigoni Paolo  ... 11 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 11 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 12 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 12 
Conti Riccardo  ... 12 
Ravetto Laura , Presidente ... 12 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 12 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 15 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 15 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 15 
Conti Riccardo  ... 15 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 15 
Ravetto Laura , Presidente ... 16 
Forlani Natale , direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 10,20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani.
  Abbiamo deliberato in Ufficio di Presidenza due indagini conoscitive, una sui flussi migratori e la situazione dell'immigrazione nel nostro Paese, l'altra relativa all'impiego degli immigrati nel mondo industriale e agricolo, che prende avvio dalla tragedia di Prato del 1 dicembre scorso.
  Il direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è accompagnato dalla dottoressa Stefania Congia, dirigente della divisione IV della direzione generale. Sappiamo che il Ministero del lavoro ha un ruolo chiave nell'ambito che riguarda il nostro Comitato e che lei, direttore, ha grande esperienza, quindi siamo a chiederle – a parte le domande che rivolgiamo a tutti i nostri interlocutori (abbiamo già sentito il prefetto Pria e il dottor Pinto, del Ministero dell'interno) relativamente ai flussi e alle politiche di integrazione – in particolare di darci indicazioni sulle problematiche relative all'incontro tra domanda e offerta di lavoro per gli immigrati e al loro impiego nel mondo agricolo e industriale, magari differenziando tra chi ha richiesto asilo e chi ha seguito altri percorsi.
  Do quindi la parola al direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Grazie, Presidente, grazie a voi dell'attenzione che ci rivolgete. Preannuncio subito che lasceremo agli atti una documentazione corposa sui temi che lei ha posto.
  Da tre anni il Ministero cura in particolare un tema che avevo messo all'ordine del giorno dal mio ingresso come direttore, cioè una reportistica pubblica. Veniamo infatti da anni di crescita dell'immigrazione che non sono stati supportati da una reportistica pubblica. Per ragioni varie (non sta a me sindacare) la reportistica pubblica era predisposta dalla Caritas, cosa che fa merito alla Caritas ma non alle istituzioni.
  Al Ministero del lavoro da tre anni curiamo un rapporto pubblico annuale sull'andamento del mercato del lavoro, corredato da informazioni che di anno in anno stiamo perfezionando sull'accesso ai servizi, alle prestazioni sociali, alla previdenza, alle politiche attive e passive del lavoro, in modo da avere un quadro di riferimento adeguato, analogamente a Pag. 3quanto avviene nei grandi Paesi di accoglienza europei.
  Il rapporto semestrale sull'andamento comprende anche un'analisi dell'impatto della crisi economica sul mercato del lavoro, con una particolare evidenza per quanto riguarda i lavoratori stranieri, il loro ruolo in Italia e le problematiche che si verificheranno nei prossimi anni, presumibilmente per non breve periodo.
  Lasciamo quindi agli atti l'ultimo rapporto annuale, l'analisi che abbiamo presentato alla Presidenza del Consiglio, che ha motivato il blocco del decreto flussi per il terzo anno consecutivo, e venerdì prossimo vi invieremo l'andamento semestrale con l'analisi specifica del mercato del lavoro degli immigrati. In aggiunta vi lasceremo una relazione di sintesi sull'attività, con una particolare evidenza, che dovrebbe essere disponibile in Parlamento ma che abbiamo riassunto, per quanto riguarda l'aggiornamento della legislazione. Come è noto, l'Unione europea ha emanato un notevole numero di direttive, alle quali si sono aggiunte due o tre novità che abbiamo aiutato a istruire in ragione del cambiamento di fase.
  Infatti è necessario comprendere che siamo nel pieno di un cambiamento di fase delle politiche migratorie. L'Italia è un Paese di accoglienza recente, in quanto ha alle spalle quindici anni di accoglienza. In tale arco di tempo il nostro Paese ha fatto quello che altri Paesi hanno compiuto in quaranta, cinquanta o ottant'anni, cioè il raggiungimento di un otto per cento della popolazione di origine straniera con tempi rapidissimi e con caratteristiche del tutto inedite.
  Non essendo l'Italia un Paese post-coloniale, le comunità di origine straniera (circa cinque milioni di persone, in base ai calcoli più o meno approssimativi del sommerso e dell'irregolare) provengono da quattro continenti, con equilibri originalissimi. Noi non avevamo tradizione di lingua, tradizione amministrativa, percorsi scolastici condivisi come i Paesi post-coloniali né le componenti di emigrazione di tipo europeo che hanno caratterizzato i Paesi dell'Europa centrale e settentrionale.
  Tali caratteristiche andrebbero considerate a fondo, perché tutto sommato gli indicatori di integrazione italiani non sono dissimili da quelli degli altri Paesi, sebbene si tratti di quindici anni e la complessità della composizione di lingua, origini, culture sia molto più profonda che negli altri Paesi. Andrebbe spiegato perché si sia ottenuto questo risultato non programmato, ma personalmente ne ho individuato la ragione nella natura delle nostre comunità di origine cristiana, con radici molto solidaristiche e molto personalistiche, con un approccio relazionale che ha metabolizzato tutta una serie di contraddizioni e le ha portate a diventare un elemento positivo, di lievito dell'integrazione nazionale.
  La spinta all'integrazione è venuta dalla formazione dei lungo soggiornanti con famiglia. Il tema delle famiglie e delle comunità è fondante anche per l'integrazione e a mio avviso anche la cittadinanza, che non riguarda la nostra competenza ma accenno come osservazione generale.
  Il processo che ha caratterizzato la crescita degli immigrati è stato una domanda di lavoro superiore all'offerta soprattutto per la bassa qualificazione tecnicamente non giustificata, nel senso che non mancava l'offerta italiana per soddisfare la domanda, però era un'offerta che aveva bisogno di determinate condizioni, ossia di una propensione a fare il lavoro manuale molto più alta e di una mobilità territoriale interna, che è mancata. Queste due componenti nelle nuove generazioni sono venute drammaticamente meno. Non sta a me giudicare se sia giusto o sbagliato, ma è un dato: abbiamo avuto una crescita, che durante la crisi è proseguita, per cui i dati della crisi danno un milione e 700 mila italiani occupati in meno (di cui un milione e 200 mila al di sotto dei 30 anni) e 850 mila immigrati in più.
  È un fenomeno che va capito, perché nel contempo sono aumentate in maniera spaventosa la sotto occupazione, la disoccupazione e l'inattività sia degli italiani sia degli stranieri. Abbiamo avuto una crescita di due milioni di disoccupati al di sotto dei 30 anni (adesso l'Istat ha distinto anche le Pag. 4varie categorie dei disoccupati: inattivi, inattivi che vorrebbero lavorare ma non pensano di trovare lavoro), che testimonia che nei prossimi anni ci sarà un'abbondanza di offerta di lavoro a bassa qualificazione e a basso stipendio (poi si tratta di capire cosa intendiamo per «bassi stipendi», perché tutto è relativo, ma è comunque un'occupazione che ha bisogno di essere sostenuta fiscalmente) e avremo circa sei milioni di persone non disoccupate tecnicamente secondo l'Istat, in quanto potrebbero essere attivate, di cui un milione e 300 mila stranieri inattivi.
  Non bisogna ignorare che la stabilizzazione dei lungo soggiornanti ha attivato le ricongiunzioni familiari, le seconde generazioni. Abbiamo in Italia un milione di ragazzi stranieri, quasi metà dei quali nati nel nostro Paese oppure ricongiunti; 800 mila sono inseriti nei percorsi scolastici, una quota comincia a entrare nel mercato del lavoro (60-70 mila l'anno).
  Dobbiamo sapere quindi che la comunità tende a crescere non per la programmazione dei flussi, ma perché c’è una dinamica degli extracomunitari – questa è la seconda componente di novità – diversa da quella dei neocomunitari. Si tratta di una dinamica di ricongiunzione familiare e di crescita, che sta continuando ed è oggi la dinamica dominante della crescita delle comunità interne, basata sulla natalità e sulla ricongiunzione familiare.
  Una quota diventa anche popolazione attiva, in misura differenziata nelle comunità: quelle di origine islamica non mandano le mogli a lavorare, mentre altre hanno una propensione molto spinta al lavoro femminile, come quelle asiatiche, che sono dominanti nella crescita degli ultimi anni.
  La prima novità è quindi una formazione di offerta di lavoro largamente superiore alla domanda. Nel contempo, abbiamo avuto una crescita dell'occupazione, trascinata dai servizi alla persona, soprattutto femminile (560 mila badanti e assistenti familiari in più), che ha compensato in parte una caduta altrettanto rilevante dell'occupazione degli immigrati, riguardo ai quali la crisi ha raddoppiato il tasso di disoccupazione.
  Questa tendenza però è finita: anche l'assistenza familiare si è arenata perché le famiglie non riescono a pagare. Non manca la domanda potenziale, ma non è più sostenibile dalle famiglie, perché 1.500 euro di costo medio di badante regolare costituiscono una somma superiore al reddito di una donna che lavora. In altri Paesi la differenza la fa la detrazione fiscale, che in Francia ha creato 2 milioni e 100 mila posti di lavoro regolari in sette anni; lì è al 30 per cento in media, poi si differenzia in caso di persona non autosufficiente o se si acquistano i servizi normali. Ciò non viene compreso in Italia: la domanda delle famiglie è un mercato di servizi sociali che genera domanda di lavoro femminile. In Francia sono arrivati ad avere un turnover pari a metà di francesi e metà di immigrati, mentre da noi il turnover nel settore dei servizi alla persona per il 92 per cento concerne immigrati, con una buona componente di persone dell'Europa orientale.
  I servizi alla persona fanno la differenza tra un tasso di disoccupazione femminile basso e alto, perché consentono alle donne di lavorare e attirano domanda femminile. Potenzialmente potremmo avere mezzo milione di posti di lavoro in più con una detrazione fiscale del 30 per cento. Vorrei sensibilizzare su questo, perché ho fatto parte del Comitato scientifico dell'organizzazione del CESU (Chèque emploi service universel) francese, che ha organizzato un sistema semplificato di acquisto dei servizi alla persona detraibile e ha sostanzialmente azzerato il lavoro nero e qualificato un sistema dei servizi territoriali molto importante, non solo riferito alle badanti ma anche di impresa, cioè di erogazione per ore, per pulizie, per babysitting.
  Spero che il Parlamento prenda seriamente in considerazione nei prossimi anni questo tema, perché altrimenti in Italia l'occupazione femminile avrà grandi problemi ad espandersi. È una teoria. Le donne italiane hanno problemi a lasciare la famiglia perché il costo dell'acquisto dei Pag. 5servizi è troppo alto. A 900 euro il lavoro di badante è buono solo per gli immigrati. Tutto questo genera un effetto di percezione sbagliata del lavoro, che induce a considerare quello di badante un lavoro di bassa qualificazione, commettendo un errore clamoroso.
  Questa è una sensibilità personale che vorrei cercare di trasferirvi. Se la Presidente, che conosco bene, lo vorrà, c’è anche un lavoro corposo di legislazione di supporto che potrebbe essere preso in considerazione e che vi fornirò.
  La seconda novità è la formazione del mercato di neocomunitari. È un elemento importante da considerare: i neocomunitari non si comportano come gli extracomunitari, sono un mercato interno in libera circolazione (vanno e vengono) e, se guardiamo le dinamiche delle comunicazioni obbligatorie che vedrete descritte nella reportistica, sono molto concentrati sui lavori a termine ma non perché siano precari: semplicemente guadagnano in Italia e consumano nel loro Paese. A loro conviene, perché con tre mesi di stipendio italiano si guadagna l'equivalente del reddito annuo in Romania (un basso reddito italiano è pari a quattro volte uno percepito in Romania) e ciò dà luogo a dinamiche di migrazione circolare consistente da parte di tutta l'area dell'Europa orientale e dei Balcani, che è parte del mercato dei neocomunitari (anche per gli albanesi si sta preparando l'ingresso nell'Unione europea).
  L'area balcanica e dell'Europa orientale oggi copre il 40 per cento della domanda, pur costituendo il 30 per cento dei residenti, quindi si tratta di comunità molto più dinamiche delle altre, che coprono tutti i lavori e dominano il lavoro stagionale.
  Per tale motivo molti Paesi europei hanno un approccio molto prudente ai neocomunitari: la Germania, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, l'Austria, la Slovenia, i Paesi dell'Europa settentrionale stanno tornando indietro nell'approccio ai neocomunitari, anche perché l'accesso alle prestazioni sociali provoca problemi.
  Non bisogna scambiare tali orientamenti per atteggiamenti neoxenofobi, in quanto sono semplicemente approcci di tipo prudenziale. Inviterei il Parlamento ad approfondire con un'indagine l'aspetto dei neocomunitari, che non va confuso con l'immigrazione perché si tratta di persone che stanno partecipando alla formazione della cittadinanza europea e confondere questo processo con il processo degli extracomunitari a mio avviso è un errore clamoroso.
  Se escludiamo l'Ucraina che ha qualche problema, la componente dei neocomunitari o dei Paesi che a vario titolo sono destinati a confluire è consistente: la Moldavia, l'Albania, la Serbia, la Bosnia hanno chiesto l'adesione all'Unione europea, quindi c’è una formazione che entro il 2020 darà luogo a un mercato di libera circolazione.
  Dei cinque milioni di residenti di origine straniera, metà sono già in un processo di cittadinanza, non fanno le ricongiunzioni familiari. Attenzione quindi a non confondere i processi, perché è come se nel mercato del lavoro avessimo una gigantesca offerta di lavoro disponibile, ma che non risulta, in quanto tecnicamente non sono qui come disoccupati, però occorre tenerne conto.
  Nel processo di adesione della Croazia bisogna quindi valutare cosa significhi, data la vicinanza al Friuli e al Veneto, perché i croati prendono la macchina, vengono in Italia, lavorano e tornano là, come in parte sta già capitando.
  Dobbiamo calcolare questi fenomeni particolari e giudicarli per quello che sono e non in base alle categorie della xenofobia, che non vanno bene nell'analizzare fenomeni di questo genere, che vanno invece considerati in maniera pragmatica. La formazione del mercato del lavoro però presenta un'abbondantissima offerta a bassa qualificazione. Questa è la seconda componente.
  L'insieme di queste componenti ci fornisce una radicale prospettiva di cambiamento di politiche: non possiamo più permetterci programmazioni di ingressi generici. Un errore di questo tipo è fatto anche Pag. 6con sanatorie – uso un termine poco istituzionale – demenziali. La sanatoria l'anno scorso è stata utilizzata per vendere permessi di soggiorno e il grado di emersione è bassissimo. L'85 per cento era costituito da domande di rapporto familiare. Già dalle domande si capiva che qualcosa non andava perché l'85 per cento riguardava maschi che andavano a fare i badanti e provenivano soprattutto dalle comunità asiatiche, che sono organizzatissime nel gestire le varie opportunità. Siccome la famiglia non è un datore di lavoro e non si va a verificare il giorno seguente se abbia assunto una persona oppure no, formalmente la famiglia fa la comunicazione obbligatoria e poi licenzia. I dati ci dicono che è aumentata l'offerta di lavoro di regolarmente soggiornanti, cioè come se noi avessimo aumentato l'offerta di lavoro. Non si spiega come mai siano aumentate così tanto l'offerta di lavoro e la disoccupazione, se non si capisce l'effetto della sanatoria del 2009 più quella del 2012, che verrà registrata. Se commettiamo errori di questo genere, devastiamo la vita ai disoccupati italiani e stranieri: le prime vittime di questi errori sono esattamente gli immigrati lungo soggiornanti e quelli con famiglia, perché i disoccupati prevalenti sono quelli che vengono dall'industria e dalle costruzioni, albanesi, marocchini, tunisini, quelli della prima ondata, lungo soggiornanti con famiglia (infatti sono le comunità che hanno più figli in Italia).
  Chi parla oggi di flussi e continua a chiedere flussi generici in nome degli immigrati racconta una barzelletta: tutte le comunità straniere consolidate in Italia sono contro i flussi. Purtroppo c’è un sacco di gente in Italia che parla a nome degli stranieri, ma non li conosce, perché negli altri Paesi europei chi è contrario ai flussi sono gli stranieri storici, che sono quelli che rischiano di più, non perché siano contro i loro concittadini.
  Oggi, nelle condizioni date, l'Italia non può permettersi di programmare flussi d'ingresso, anche se ciò non vuol dire che il tema dell'immigrazione debba essere visto in termini di antagonismo. Bisogna innanzitutto parlare non di immigrazione, ma di migrazione, perché siamo di fronte a fenomeni molto diversificati, che divido in tre.
  Il primo è la formazione di un mercato del lavoro internazionale fondamentale, dove l'Italia è poco attrattiva e partecipa poco, costituito da imprenditori, manager, quadri, organizzatori della produzione, organizzatori delle vendite, specialisti. Tali mercati si formano in ambito internazionale, ma noi siamo poco attrattivi per professionalità, imprese, quadri di media e alta qualificazione. I nostri giovani partecipano poco alla formazione di questo mercato del lavoro internazionale, che richiede una nuova politica di immigrazione, basata su reciprocità. La Cina e l'India sono Paesi di emigrazione e di immigrazione e molti altri Paesi partecipano nella doppia veste alla formazione di questo mercato.
  Non è vero che l'Italia ha giovani che vanno in giro per il mondo in quote sufficienti: quelli che ci vanno si arrangiano e non c’è una politica di partecipazione alla formazione di questo mercato curata dalle università, dalle imprese, anche perché non abbiamo le grandi imprese che in altri Paesi fanno la differenza. Dobbiamo quindi assolutamente affrontare il problema.
  Negli accordi bilaterali dei prossimi anni, oltre al contrasto all'immigrazione illegale, bisognerà parlare di reciprocità, di come allargare gli spazi degli accordi internazionali in condizioni di reciprocità di accesso. Stiamo facendo un accordo con la Russia in questa direzione, soprattutto trascinati dalle imprese del mercato energetico, e non a caso dove sono presenti le grandi imprese questa domanda c’è: ce l'abbiamo qui, in Egitto, in Marocco. I marocchini ci hanno chiesto di aiutarli a fare una legislazione per l'immigrazione, perché hanno imprese europee che chiedono di entrare nei loro mercati.
  Questo mercato è una dinamica di formazione di medie e alte professionalità e l'Italia, se non vi partecipa, rimane tagliata fuori dalle dinamiche della globalizzazione. Purtroppo si confonde questa dinamica con l’«esportazione dei cervelli», Pag. 7che è un'idiozia: i nostri giovani devono andare all'estero, ci devono andare bene, possibilmente per fare esperienze di qualità, ma bisogna che il sistema li accompagni, le università soprattutto, in una condizione di partnership e di relazione con gli altri Paesi, e in accompagnamento con il sistema delle imprese. Più le imprese sono piccole e più è necessario che ci sia un sistema che le aiuti, più sono piccole più è necessario che il sistema compensi la loro scarsa capacità di proiettarsi in mercati grandi, che riguarda tutta la dinamica del posizionamento internazionale.
  L'Italia nel mondo è stimata molto più di quanto gli italiani pensino ed esiste una domanda di far affluire verso l'Italia i giovani stranieri superiore a quanto immaginiamo, soprattutto per quanto concerne beni culturali, sanità, cibo, design. La sanità italiana è molto apprezzata per organizzazione, professionalità e tecnologia. Il giudizio degli altri Paesi sul sistema sanitario italiano è ottimo. Noi ce l'abbiamo deviato dai casi di cosiddetta «malasanità», ma in effetti anch'io mi sono ricreduto.
  La seconda fascia che va analizzata è il mercato del lavoro, in cui la bassa qualificazione è abbondante, probabilmente nei prossimi anni dovremo favorire un turnover più elevato di italiani, soprattutto giovani, per tutta la fascia del lavoro qualificato (manovalanza che diventa qualificata e specializzata), oggi al 40 per cento presidiato dagli stranieri. Gli stranieri sono il 10 per cento dell'occupazione, ma il 40 per cento in questa fascia, il che vuol dire che tutta la dinamica della fascia che va allo specializzato manuale è dominata dagli stranieri in Italia, più dinamici, più veloci, più capaci di apprendere.
  Il 25-30 per cento dei giovani in tutti i Paesi (Germania compresa) fa lavoro manuale, apprendistato, non la scuola secondaria e l'università. Questo è il buco che si è creato in dieci anni di retorica del precariato italiano: c’è una percezione sbagliata del lavoro manuale, che spero che il programma Youth guarantee permetta di superare. Come direttore dell'immigrazione insisto molto su questo tema: senza un recupero educativo del tema dell'importanza del lavoro manuale in un sistema economico, che fa percepire anche l'innovazione che c’è nel lavoro manuale, il problema dell'occupazione italiana non si risolve.
  Dovremo gradualmente, da qui al 2020, recuperare uno stock di turnover italiano, altrimenti il problema dei giovani italiani non si risolve. Si risolve con un 25 per cento che va al mercato internazionale e un altro 25 che va nel manuale. Questa è la dinamica statistica di tutti i Paesi sviluppati, quindi bisogna lavorare su questi due versanti, che incidono sull'immigrazione, il primo aumentandola, il secondo riducendola.

  PRESIDENTE. Quando lei dice manuale, intende la parte dei lavori in ambito agricolo e poi ?

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Tutte. Io ho fatto per sette anni il carpentiere e il saldatore, quindi penso di capirne qualcosa, essendo stato nel bacino dei bergamaschi addetti all'edilizia.
  Oggi il saldatore non ha niente a che fare con quello che facevo io, è tutto applicazioni tecnologiche a base manuale pratica. Il tema è stato «bucato» con la scolarizzazione: la scolarizzazione di massa non è stata accompagnata da un modello di orientamento al mercato del lavoro. Per recuperare, bisogna introdurre il tirocinio obbligatorio per i ragazzi durante il percorso scolastico. Devono capire fisicamente cosa è il mercato del lavoro, il sistema formativo si deve riorientare in maniera significativa in quella direzione e le aziende si devono rendere disponibili a ricambi generazionali che sono venuti meno.
  Dal punto di vista tecnico-scientifico la mia esposizione può essere criticabile, ma in basso deve diminuire il tasso di immigrazione e in alto deve aumentare. In mezzo c’è tutto il resto, cioè un sistema Pag. 8che si adatta, si riorienta, probabilmente con laureati che devono fare percorsi più affini alle loro dinamiche formative. C’è proprio tutto un modello che va plasmato dal punto di vista educativo e di orientamento, che in cinque o sei anni si deve riposizionare.
  Le politiche migratorie da questo punto di vista sono importanti, perché sbagliare le politiche migratorie è drammatico, confondere in alto l'esperienza internazionale come «fuga dei cervelli» e in basso le politiche di flusso come politiche di favore agli immigrati sono due errori che si stanno ancora compiendo. Confondere i profughi con l'immigrazione è un'idiozia. Ho visto due o tre proposte secondo cui bisogna mantenere i canali di immigrazione legale altrimenti si generano profughi, ma questo non sta né in cielo, né in terra: chi scappa dalla Siria non lo fa perché c’è il decreto dei flussi degli stagionali. Ci sono 3 milioni e mezzo di profughi nel Mediterraneo e pensare di governarli con migrazione legale per motivi di lavoro non sta né in cielo, né in terra.
  La dinamica dei profughi è una dinamica di richiedenti protezione, che va gestita in maniera adeguata, però non è competenza nostra, se non per la parte relativa ai minori.

  PRESIDENTE. Ma voi parlate con il Ministero dell'interno ?

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Certo che ci parliamo.

  PRESIDENTE. E cosa vi dicono, visto che hanno competenza anche riguardo alle sanatorie ?

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. La sanatoria l'ha stabilita il Parlamento, contro l'opinione del Ministero del lavoro. A scanso di equivoci, l'opinione era depositata.

  PRESIDENTE. E il Ministero dell'interno ?

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Non entriamo in dinamiche di altra amministrazione. Il Parlamento ha approvato due ordini del giorno per la sanatoria basati su argomentazioni assolutamente infondate, cioè che la sanatoria introducesse un rischio per i datori di lavoro per quanto riguarda la denuncia da parte degli immigrati che avrebbero acquisito un permesso umanitario. La cosa era infondata perché quel tipo di provvedimento era già previsto dalla legislazione italiana, quindi non è una novità introdotta con la direttiva europea, che anzi ha persino attenuato quel rischio. Il testo unico era più rigido della direttiva europea da questo punto di vista.
  Il Parlamento ha approvato all'unanimità un dispositivo che ha prodotto il risultato opposto a quello desiderato: non il contrasto al lavoro sommerso, ma le condizioni per crearne altro, perché, se si includono lungo soggiornanti o soggiornanti regolarmente senza lavoro, il rischio del sommerso aumenta, non diminuisce, ed è quello che sta capitando.
  I richiedenti protezione, una volta autorizzati, hanno diritto di lavorare in Italia, ma a maggior ragione, se abbiamo 15-20 mila richiedenti protezione autorizzati l'anno, bisogna essere prudenti nel programmare i flussi e non, al contrario, teorizzare che occorre ampliare gli ingressi legali. Questo non genera il risultato di diminuire i profughi, perché i profughi, come ben si capisce, sono una dimensione assolutamente fuori quadro rispetto a dinamiche di questo genere, ma può generare esattamente il contrario, rendendo più problematica la possibilità di inserire anche le quote dei richiedenti riconosciuti.
  Proprio perché dobbiamo far fronte nei prossimi anni a 15-20 mila persone che rimangono come richiedenti protezione, più 4-5 mila minori stranieri non accompagnati l'anno, di cui ci occupiamo direttamente come Ministero e sui quali facciamo Pag. 9programmi di inserimento educativo e lavorativo, dobbiamo evitare di ingolfare gli ingressi.
  Sono state introdotte innovazioni importanti negli ultimi anni. Ne ricordo tre in particolare, per il mercato del lavoro. La prima riguarda i lavoratori stagionali, che può consentire di evitare in prospettiva i decreti flussi. L'ultimo decreto prevede 15 mila ingressi, compresi il nulla osta pluriennale e il silenzio/assenso, e il mercato del lavoro stagionale ormai è stabilizzato. Con il nulla osta pluriennale e il silenzio/assenso siamo in grado di coprire la disponibilità esistente anche per quanto riguarda gli extracomunitari, perché tutto il resto è coperto dal mercato interno dei soggiornanti regolari già presenti.
  La seconda innovazione è l'allungamento del periodo di attesa occupazione, che è un provvedimento importantissimo perché, mentre viene meno l'esigenza di flussi, c’è un bisogno di partecipazione alla politica attiva interna. Si è arenata completamente l'integrazione degli immigrati, che negli ultimi tre anni hanno perso il 20 per cento del reddito medio pro capite proprio per la loro capacità di adattarsi a tutto, però il lavoro disponibile è quello che è, quindi diventa più corto in termini di tempo, gli orari diminuiscono, i salari pure e quindi, se si arena il reddito, il processo di integrazione si abbassa. Bisogna far riprendere la quota dei lungo soggiornanti, che è indispensabile per il sistema, perché è composta da coloro che si sono impossessati delle dinamiche che vanno dal manovale allo specializzato, oppure all'assistenza familiare, che è diventata una componente fondamentale.
  Attenzione: questo è patrimonio dell'Italia, come è un patrimonio dell'Italia quel milione di ragazzi, il 20 per cento della popolazione attiva futura giovane (non il 10 per cento, perché, avendo loro una natalità più alta, la quota dei giovani è più alta). Lì c’è un bisogno di politiche attive e l'allungamento del permesso consente di tener conto anche della dimensione familiare e della partecipazione alle politiche passive e attive, cioè il sostegno al reddito ovvero formazione, politiche di inserimento. Lì bisogna investire molto, lo stiamo facendo, abbiamo illustrato un po’ di programmi che abbiamo attivato.
  La terza innovazione importante è la programmazione triennale dei permessi per studio e tirocinio, per dare un respiro più lungo al tema dell'attrazione delle risorse di qualità, che possono essere riconvertite anche in soggiorno lavoro, e cercare di impostare una serie di accordi internazionali basati su reciprocità, collaborando a formare le classi dirigenti di questi Paesi, perché nel Mediterraneo ciò sarà fondamentale. Egitto, Tunisia, Marocco, Algeria hanno un deficit di classe dirigente produttiva e la migrazione circolare a base formativa può essere molto importante per questi Paesi, quindi immigrazione e cooperazione.
  Lì abbiamo anche un posizionamento formidabile delle imprese italiane, che hanno potenzialità di espansione. In un incontro in Egitto con l'ambasciatore le imprese italiane per poter potenziare le loro politiche di investimento hanno chiesto 600 quadri, da chi governa la produzione a quelli che s'impossessano della manutenzione degli impianti, a un piano di espansione di 400 persone del Nord Africa per diffondere i manutentori per la vendita delle macchine per l'olio. Le ferrovie italiane hanno tutti i piani di investimento per la sicurezza di quei Paesi e hanno bisogno proprio di questa facilitazione di accesso, mirata non a fare l'occupazione in Italia, ma ad usare l'Italia come piattaforma di preparazione di quadri per quei Paesi per l'espansione delle imprese italiane. Questo è un elemento che va assolutamente tenuto in considerazione.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore, della sua relazione veramente molto interessante. Terremo conto anche delle sue riflessioni sulle determinazioni prese dal Parlamento anche per trasferirle ai rispettivi Gruppi, perché lo scopo di queste audizioni è anche rendere consapevoli noi deputati e senatori di problematiche su cui otteniamo elementi da tutti gli interlocutori.Pag. 10
  Naturalmente sentiremo il Ministero dell'interno e il Ministero dell'istruzione in merito all'importanza di percorsi formativi, magari ricalibrati a seguito delle esigenze che dovremo fronteggiare.
  Do la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Grazie, presidente. Per quanto riguarda i tirocini, nell'ultima, piccola riforma della scuola qualche passo avanti c’è, l'ho seguita e si va nella direzione di fare i tirocini già durante il percorso scolastico.
  Essendo pratese, non mi aspetto da lei che mi spieghi il sistema Prato che purtroppo conosco, ma vorrei approfondire il problema che il presidente ha opportunamente richiamato all'inizio. A Prato c’è una situazione che, come si è ben visto con la tragedia di due domeniche fa, è fuori controllo; qui si parla di flussi, ma i flussi dei clandestini a Prato sono decisi in Cina, non dal Governo italiano.
  Il sistema pronto moda è oliatissimo: si parte dalla tratta dei clandestini sino a un sistema di schiavismo, per cui chi arriva dalla Cina viene introdotto nel mondo del lavoro con un part-time a tempo indeterminato e poi lavora diciotto ore al giorno. È un cottimo fino allo sfinimento, che porta a situazioni di degrado e di mancanza d'igiene, con bambini costretti a lavorare. L'integrazione non c’è perché non ci può essere e perché non la vogliono, perché i cinesi vengono a Prato per fare un po’ di soldi e poi tornarsene in Cina.
  Ho sentito parlare il ministro Kyenge di cinesi di seconda generazione, di bambini che sono ormai pratesi: magari fosse così ! La maggior parte dei bambini cinesi che nascono a Prato viene svezzata e rimandata in Cina dei nonni o nei collegi, per poi tornare a Prato in età scolare senza sapere una sola parola di italiano, con tutti i problemi che questo comporta per la didattica e per i compagni di classe.
  Quello cinese a Prato è un sistema completamente autonomo rispetto al territorio che li ospita, nel senso che i cinesi non comprano tessuti a Prato, bensì direttamente in Cina, dove ovviamente costano meno, perché le condizioni di lavoro e di costo del lavoro sono simili, e poi hanno un enorme mercato pronto moda soprattutto nell'Europa orientale e anche in Germania, con profitti altissimi e costo del lavoro bassissimo.
  L'amministrazione comunale di Prato ha realizzato 1.400 ispezioni nei capannoni, ma non se ne viene a capo, perché le aziende cinesi durano da dieci mesi a due anni, quindi è difficile fare i controlli e le ispezioni fiscali. Nel macro lotto di Prato dove è avvenuta la tragedia ci sono 90 mila lavoratori, ma a Prato ci sono solo due ispettori del lavoro, c’è un solo ispettore del lavoro INAIL e un dipendente dell'Ufficio di igiene e sicurezza per ogni 7 mila lavoratori.
  Ho chiesto più volte che lo Stato si faccia carico del problema di Prato, che è eccezionale perché ci sono circa 55 mila tra cinesi regolari e clandestini. Vorrei sapere se voi abbiate questa percezione, se sia stato predisposto un dossier specifico su Prato che eventualmente vi chiederei di poter avere, e che passi intendiate compiere per cominciare a mettere a norma questa situazione di completa illegalità.

  PAOLO ARRIGONI. Grazie, direttore, per la chiara e ampia analisi che ha fatto, anche con diverse critiche rispetto all'approccio dell'Italia nei confronti dell'immigrazione. L'Italia, come lei diceva all'inizio, ha fatto in tema di immigrazione in quindici anni quello che gli altri Paesi europei hanno fatto in quaranta, però mi permetta di dire che, mentre quelli che sono più avvezzi all'immigrazione stanno correggendo il tiro, l'Italia mi pare che stenti a farlo. Sul tema dei giovani italiani disoccupati, soprattutto quelli di bassa qualificazione, i dati ci dicono che ormai siamo al 41,2 per cento.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Al 55 per cento: 41 è la media, poi ci sono gli immigrati.

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  PAOLO ARRIGONI. Ecco, per gli immigrati mi pare che la percentuale sia il 25 per cento in totale di disoccupati sul complesso degli stranieri in Italia. In questi anni mi sono sempre chiesto come mai i nostri giovani abbiano preferito rimanere a casa piuttosto che affrontare lavori cosiddetti «umili» e mi domando se la classe dirigente del nostro Paese abbia commesso errori, a partire anche dai sindacati, che 20-30 anni fa hanno voluto equiparare il reddito del giovane apprendista quasi al livello di un operaio con 30 o 40 anni di anzianità di servizio, inculcando nel giovane il senso di inutilità dell'applicazione, visto che il merito non pagava.
  Ricordo anche come l'allora Ministro dell'istruzione, Luigi Berlinguer, in una trasmissione avesse da un lato alcuni neo laureati o laureandi e dall'altro alcuni giovani bergamaschi (anche lei è bergamasco, mi pare, e conosce quindi il territorio che, come lei ha detto, si caratterizza soprattutto per attività nel campo edile); il Ministro stigmatizzava i ragazzi bergamaschi di quattordici, sedici e diciotto anni che, anziché studiare, andavano a lavorare e diceva loro che non avevano capito nulla, perché agli universitari si sarebbe aperto il mercato del lavoro. Sono modelli a cui ripensare.
  Lei ha dichiarato che non ha più senso fare una programmazione di flussi migratori, se non per persone di una certa qualificazione. Mi domando se questo sia conciliabile con l'idea di abolire la legge Bossi-Fini e di introdurre lo ius soli, perché credo ci sia un nesso sotto questo profilo.
  Vorrei sapere se il Ministero abbia stilato un bilancio per quanto riguarda gli immigrati in Italia, ovvero di quante tasse versino all'anno, quale sia l'ammontare dei servizi che ricevono, quante siano le rimesse che gli immigrati soggiornanti in Italia portano nel loro Paese, giusto per avere un bilancio complessivo e comprendere se si tratti di un «più» o di un «meno» per l'Italia.
  Sul tema dell'aumento dell'immigrazione, posto che si possano fermare i flussi migratori, lei ha posto il problema della natalità che tra gli stranieri è molto più alta rispetto a quella degli italiani, che non hanno speranza nel futuro o condizioni economiche adeguate, altrimenti non si spiegherebbe l'azzeramento quasi totale della natalità.
  Sempre sul tema del ricongiungimento vorrei sapere a quanto ammonti oggi il ricongiungimento nei confronti dei genitori degli immigrati che hanno conquistato un permesso di soggiorno, genitori che venuti in Italia acquisiscono il diritto di beneficiare di una pensione che equivale a quella minima. Vorrei chiedere dati in ordine a questo fenomeno.

  GIORGIO BRANDOLIN. Ringrazio il direttore Forlani anche per gli accenni alla sua esperienza lavorativa e per il modo di raccontarci la sua esperienza di direttore generale in questo importante settore.
  Condivido la considerazione che a volte confondiamo il profugo, colui che cerca in Italia così come in altri Paesi un posto dove poter vivere lasciando guerre e pericoli, con l'immigrazione per lavoro. Lei ha colto in pieno questa distinzione e mi piacerebbe capire quanti errori abbiamo fatto nella legislazione confondendo i due aspetti e non separandoli.
  Mi interessa molto il discorso relativo ai giovani. Ho un figlio di ventisette anni che lavora in un'azienda privata in Friuli, non ha orario, ed è uno dei giovani che nel privato hanno la disponibilità di lavorare e sono sovra utilizzati rispetto agli stipendi, proprio perché dietro quelli che hanno il lavoro ce ne sono centinaia pronti a bussare. Vorrei capire quindi se nei vostri studi sia evidenziato come alcuni stipendi si stiano degradando rispetto all'offerta di lavoro che in particolare questi giovani hanno.
  Condivido in pieno le sue considerazioni e sarebbe opportuna una riflessione sociologica su quanto la mia generazione abbia sbagliato nell'educare i propri figli. Mi interessa molto il discorso su questi giovani italiani che sono poco avvezzi ai lavori manuali. Cito un esempio classico: Fincantieri, saldatori, tutti extracomunitari o comunitari (balcanici o dell'Europa Pag. 12orientale); offerta di 100 posti di lavoro creando una cooperativa, perché la Fincantieri da diversi anni non assume più; cinque anni di lavoro garantito, stipendio garantito. Dopo due mesi il sindacato si è arreso, perché ha trovato solo tre giovani italiani disponibili a fare i saldatori in quel cantiere, a Monfalcone, dove si costruiscono le più grandi navi e lavorano in cantiere 2 mila dipendenti di Fincantieri, 3-4 mila dipendenti delle ditte private dell'Italia meridionale o croate, cingalesi, bengalesi.
  Vorrei capire da dove nasca l'indisponibilità dei nostri giovani (non credo solo dalle teorie dell'allora Ministro Berlinguer) e quasi la vergogna nel fare lavori manuali, nei quali professionalmente si può crescere specializzandosi. Questo è uno dei veri problemi dei nostri giovani e anche del nostro Paese, per cui ad esempio la Fincantieri deve assumere fuori del Friuli-Venezia Giulia 3-4 mila persone.
  In prospettiva, secondo lei, nel 2020, il 25 per cento dei nostri giovani dovrebbe essere indirizzato verso il mercato del lavoro internazionale.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sono statistiche internazionali.

  GIORGIO BRANDOLIN. Vorrei capire come dovremmo accompagnare il ragionamento di tipo culturale e passare dalla «fuga dei cervelli», fenomeno negativo, a un fenomeno positivo: la migrazione dei nostri giovani qualificati nel mercato internazionale del lavoro.
  Lei parlava di aziende che già accompagnano questo mercato, alcune le conosco e in effetti è così. Anche qui sarebbe da aiutare questo ragionamento nella scuola, dove forse sarebbe meglio insegnare, oltre che l'inglese, anche il cinese, il portoghese o l'indiano.
  Sono tutti ragionamenti di carattere generale, con numeri precisi. Vorrei sapere se le proiezioni che ci ha dato dovranno essere accompagnate da legislazioni, investimenti, ragionamenti, oppure se anche il nostro Paese all'interno dell'Europa e del suo mercato globale si adatterà e raggiungerà le cifre di cui ha parlato.
  Vorrei sapere cosa potremmo fare come legislatori, da questo punto di vista.

  RICCARDO CONTI. Posso fare una battuta per metterla in difficoltà ? Quando sono entrato e l'ho ascoltata (sono arrivato in ritardo e me ne scuso) ho pensato che fossimo su Scherzi a parte perché questo signore viene, ci racconta sdrammatizzando cose serie e intelligenti, mentre di solito nelle nostre aule i giri sono più larghi e si dicono cose meno concrete. Quindi la ringrazio di quanto ci ha detto.
  Partendo dal presupposto che molto di quello che ci diciamo su questi argomenti appartiene per nostra sfortuna a una cultura ideologica da una parte e dall'altra degli schieramenti politici, vorrei sapere se lei fosse un ministro o il Parlamento quale sarebbe il suo primo provvedimento.

  PRESIDENTE. Do la parola al direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Le domande spaziano oltre la competenza tecnica che svolgo in questo periodo.
  Il tema dei giovani è purtroppo talmente complesso che per recuperare le numerose contraddizioni occorre tempo, che non so se l'Italia abbia, e soprattutto serve una grande consapevolezza, perché veniamo da dieci anni di discussioni folli sulla materia, basate sulla convinzione che la buona occupazione si faccia con le normative. Queste sono importanti (io ho fatto parte del gruppo che ha redatto il Libro bianco sul lavoro) ma è una follia quello che è capitato in questi anni, con un'ostinazione intorno alle normative nella convinzione che rimediassero a problemi Pag. 13che sono invece di natura educativa. Purtroppo molti di noi sanno che per i nostri genitori bisognava andare a lavorare, poi magari Berlinguer criticava quell'educazione che ogni tanto era anche manesca, però dovevi avere un percorso di lavoro con i sacrifici.
  Giustamente la riconversione che si è sviluppata nella scolarizzazione è stato un mix di aspettative affinché i figli non facessero quel che avevamo fatto noi, cosa che è assolutamente comprensibile, e di una scuola che non ha mai assunto il tema dall'orientamento al lavoro, anzi non di rado l'ha distorto, con una edulcorazione della propensione verso il mercato del lavoro che ha distorto persino la percezione del lavoro, tanto che oggi si considerano tranquillamente dequalificati alcuni lavori, in maniera assolutamente demenziale. Ad esempio, vi sembra normale affidare i non autosufficienti a personale che non parla la lingua italiana e non ha competenze in materia sanitaria, pagandolo 900 euro ? Uno Stato che ha difficoltà a reggere le strutture ospedaliere e che deve decentrare i servizi territoriali, ha bisogno di personale qualificato nelle famiglie e deve mettere in condizione le famiglie di pagarlo bene perché per lo Stato questo genera un risparmio che è dieci volte il costo di ospedalizzazione.
  Faccio un esempio banale: si sostiene che la badante debba essere straniera dequalificata e sottopagata, ma questa è una follia; e in Italia abbiamo 600 mila badanti dall'Europa orientale che se ne andranno via nei prossimi tre o quattro anni. È un tema da ripensare.
  Abbiamo fatto un vasto programma nazionale con le regioni sul tema della domanda/offerta dei servizi alla persona, della qualificazione, che deve assolutamente andare avanti perché è un mercato formidabile per il benessere del nostro Paese. Prendiamo consapevolezza di questo piccolo elemento. Ciò è vero per gli operai specializzati, è stato vero per l'edilizia.
  Un esempio di controindicazione ce l'avete nei cuochi; fino a cinque anni fa non si trovavano cuochi italiani, ma alcune trasmissioni televisive hanno ribaltato la percezione del cuoco. Bisognerebbe fare lo stesso per tutti i mestieri che sono stati abbandonati e che hanno costituito l'ossatura del mercato del lavoro, però è un problema di educazione, di percezione del lavoro, di conoscenza del mercato del lavoro, di sistema formativo che si deve appropriare del tema del lavoro e non limitarsi a parlare del diritto costituzionale al lavoro come se fosse un fatto legislativo. Queste sono idiozie totali che hanno accompagnato dieci anni di storia e hanno portato ad abbandonare l'apprendistato, mentre invece tutti i Paesi sviluppati hanno fatto dell'apprendistato un sistema di educazione, per cui chi non prosegue i licei, gli istituti tecnici e le università viene incanalato nel percorso di apprendimento, perché è dimostrato dagli scienziati dell'educazione che il 20-25 per cento della popolazione giovane apprende praticando e ha difficoltà a seguire percorsi teorici. Io sono uno di quelli, perché ho cominciato a lavorare a quattordici anni e mezzo e poi ho cominciato a studiare e mi sono laureato lavorando. Se lo capisco io, mi chiedo perché coloro che organizzano la scuola non comprendano una banalità di questo genere. Dieci anni e ancora adesso stiamo parlando di come fare l'apprendistato in Italia, con venti normative, con regioni che fanno di tutto e di più e impazziscono per capire come organizzare una cosa che dovrebbe essere agevolata, senza «se» e senza «ma».
  C’è bisogno di un'educazione che parta dalle famiglie e venga assunta dalle scuole, perché sarebbe stato anche meglio rendere obbligatorio il tirocinio, come fanno i grandi Paesi europei, in modo che durante il percorso scolastico si sperimenti cos’è un ambiente di lavoro e ci si lasci contaminare da questa dinamica culturale. Se infatti vuoi entrare nel mercato del lavoro internazionale, devi prendere le imprese, accompagnarle, dare una borsa di studio a 30 mila giovani.
  Quando ero amministratore di Italia Lavoro, trovammo anche le risorse per fare un programma triennale per 30 mila giovani l'anno di borse lavoro in accompagnamento Pag. 14delle imprese dei mercati europei, ma mi venne bocciato dalla Conferenza dei rettori in quanto definito «incentivo all'esportazione dei cervelli». Se però non abbiamo quella classe dirigente, non facciamo la globalizzazione, perché ci troviamo un sistema di imprese deboli.
  La Germania lo fa infatti con le grandi imprese, la Francia lo fa con le reti di vendita, perché si è impossessata di tutte le principali reti di vendita dei prodotti nei mercati internazionali, dal cibo al vino, ai supermercati, ai marchi italiani.

  PRESIDENTE. Scusi, la interrompo per ricordare che il Ministro dell'istruzione francese sta eliminando tutti i presidi educativi in Europa di scuole francesi per portarli in Cina. Loro stanno quindi già investendo per creare le scuole francesi in Cina.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È importante che l'Italia (questo esula dalle nostre competenze, se non per lo specifico di aiutare sul tema della reciprocità, perché degli accordi diplomatici sulla mobilità si occupa la mia direzione) agevoli un processo che deve essere sostenuto da piattaforme nazionali, cioè università, imprese, mercati nei quali l'Italia è più apprezzata di quanto vende. Ci sono cinque o sei mercati nei quali l'Italia è più apprezzata di quanto riesce a vendere economicamente per cibo, beni culturali, sanità, design e moda. L'Italia potrebbe vendere molto di più in quanto nelle classifiche è prima in molti campi, mentre in economia è quarta, quinta o sesta.
  Lì dentro c’è uno spazio di preparazione di piattaforme nazionali fatte da università, scuole, imprese, strumentazione pubblica di sostegno, in grado di mobilitare le risorse e le energie di piccole imprese che hanno difficoltà a muoversi da sole, per tentare di recuperare spazi. Lì dentro ci deve essere la formazione di risorse umane che vadano in quei mercati, sappiano cosa significa organizzare la produzione e la vendita, siano specialiste di tecniche di produzione.
  Ho visto in Cina un esempio positivo che richiamo per evidenziare la potenzialità: un consorzio di imprese sanitarie lombarde si è aggiudicato l'assistenza tecnica in Cina per la costruzione di 800 ospedali, 4 miliardi di fatturato diretto. Pensate agli effetti positivi di questa gestione «chiavi in mano» per una filiera italiana in termini di approvvigionamento, tecnologia, costruzione di ospedale, preparazione delle risorse umane.
  Questo bisogna fare: cercare di mobilitare la parte migliore e accompagnarla con accordi internazionali che aiutino e amplino queste opportunità di grande spazio, e in cinque o sei anni ce la si può fare, premesso che la politica lo capisca, perché la prima cosa da fare è capire quale sia l'interesse del Paese. Togliete dalla politica gli stereotipi, la mania di leggere processi e idee in modo ideologico e privo di sostanza. È inutile affrontare la questione dei cinesi con la tecnica dell'immigrazione, ad esempio; bisogna avere il coraggio di parlare dei cinesi in modo adeguato. Gli immigrati dell'Est ad esempio sono individualisti e la regola che si applica per il lavoratore stagionale dell'Est si realizza al cento per cento: se uno fa la domanda, viene a lavorare. Se invece la si applica al cinese, al bengalese o al pachistano, è probabile che entri e sparisca dalla circolazione. La stessa regola produce risultati opposti, in quanto nove su dieci di coloro che hanno il nulla osta di ingresso dai Paesi dell'Europa orientale e dei Balcani vanno a lavorare, mentre da altri Paesi uno su dieci va a lavorare, o meglio sottoscrive il rapporto di lavoro, ma probabilmente non va neanche a lavorare. Approcci simili danno quindi risultati diversi.
  Quello dei cinesi purtroppo non è un problema risolvibile con le ispezioni, perché le stesse autorità cinesi si disinteressano formalmente di questi problemi e sono reticenti ad affrontarli. Che abbiamo un problema serio di carenza di personale ispettivo non c’è dubbio, ma, se oggi si realizzasse un'azione sui cinesi come andrebbe Pag. 15fatta per i problemi che manifesta la formazione delle comunità territoriali cinesi, verrebbe fuori come conseguenza un problema di rapporti commerciali con la Cina. Il problema cinese ha elementi di drasticità molto forti, che sicuramente vanno affrontati, ma che non possono essere espunti da una politica internazionale che parla con le autorità cinesi e mette sul campo gli interessi di uno Stato in chiave di reciprocità.
  Questo è il problema che abbiamo con la Cina, poi esistono i temi lì e noi abbiamo fatto anche un programma per l'integrazione a Prato (ad oggi 700 mila euro) su cui la dottoressa Stefania Congia potrà magari darvi precise delucidazioni.

  PRESIDENTE. Magari la possiamo sentire per affrontare specificamente il tema posto dal collega. Le vorrei chiedere però se secondo lei, visto quanto ci ha detto sugli accordi, dovremmo sentire anche qualcuno del Ministero degli affari esteri.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sì, certo, Il Ministero degli affari esteri ha la competenza, ma la materia del lavoro nei contenuti è della nostra direzione, mentre gli accordi internazionali in termini di contrasto alla clandestinità sono di competenza del Ministero dell'interno e il Ministero degli affari esteri svolge un'azione di coordinamento diplomatico di queste attività.
  Per quanto riguarda la legge Bossi-Fini, in base alla mia esperienza invito a togliere di mezzo luoghi comuni. Abbiamo alle spalle una storia, giusta o sbagliata, di gestione delle politiche migratorie in chiave amministrativa non adeguata, ma non perché non è adeguata la legge Bossi-Fini; probabilmente, con la legge Napolitano-Turco, con gli sponsor, oggi ci ritroveremmo in maniera ufficiale tutto questo mercato che ha gestito il permesso di soggiorno in ingresso.
  Dico questo perché non si improvvisa un sistema di intermediazione di manodopera sul piano internazionale. Non lo facciamo neanche per gli italiani in Italia: l'intermediazione della manodopera in Italia è al 4 per cento.
  Abbiamo quindi alle spalle una storia di sanatorie di fatto: tutto il sistema amministrativo non ha fatto altro che ufficializzare l'informale, per cui si arrivava e prima o poi ci si metteva a posto con le quote o con le sanatorie.

  GIORGIO BRANDOLIN. Certificando il fallimento della normativa.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Non c’è dubbio. Una domanda/offerta non può stare in piedi con un'analisi amministrativa di un anno e mezzo: l'impresa fallisce, la famiglia non aspetta per un anno e mezzo la badante.

  RICCARDO CONTI. Ma non è colpa della Bossi-Fini.

  PRESIDENTE. Non sta dicendo questo.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sto dicendo che i limiti culturali non si rimediano con le normative. Il mio è un invito personale ad approfondire e capire che quell'epoca è finita. Mettersi a dibattere se la legge Bossi-Fini sia giusta o no è inutile, perché bisogna ormai prendere atto che quell'epoca è finita.
  Le cose si cambiano in maniera ragionevole, partendo dalla constatazione degli obiettivi. Cominciamo quindi a focalizzare quale sia l'interesse del nostro Paese in maniera pratica, come stanno facendo tutti i Paesi europei che non sono affatto xenofobi, ma che hanno tirato la riga sull'immigrazione di tipo generico.
  Bisogna ancorare manodopera qualificata a domanda/offerta fatta dalle imprese con processi formativi con i quali la portano qui, la formano e la riconvertono in maniera selezionata. Questa è l'immigrazione Pag. 16per motivi di lavoro, mentre poi c’è quella dei profughi che si gestisce con il meccanismo per i profughi.
  Nei prossimi anni sarà inevitabile (lo dico perché sono stato anche vice commissario per l'emergenza, per quanto riguardava i minori), perché il Mediterraneo è tutto destabilizzato. Da noi arriva una quota minima e non sono i più disperati, ma sono quelli che possono pagare. Ci sono fenomeni di diversa natura. Per quanto riguarda i minori c’è gente che li organizza e li trasferisce in Italia perché qui studiano e vengono mantenuti; quindi occorre anche capire quale sia al riguardo il punto di equilibrio che un Paese deve trovare.
  Dobbiamo però attrezzarci per i 40 mila che arriveranno ogni anno, di cui 15-20 mila che avranno la protezione internazionale. Non sono numeri giganteschi, ma bisogna far lavorare queste persone, non tenerle in assistenza permanente; si devono rendere autonome. Stanno lì per anni con costi folli a carico dello Stato, mentre sarebbe necessario dire loro sì o no entro sei mesi (adesso dobbiamo farlo per normativa europea) e attraverso una rete di inserimenti lavorativi dovrebbero andare a lavorare, altrimenti si dovrebbe togliere loro l'assistenza, perché c’è un principio di diritti e doveri.
  Oggi ci vuole poco ad attrezzare una politica dell'immigrazione ragionevole: mobilità internazionale e mercato europeo, due dinamiche di apertura; riassorbimento di una disoccupazione interna di italiani fatta con politiche attive che riorientino il sistema, investendo più sul mercato interno che internazionale; profughi. Dividiamo questi quattro settori in maniera ragionevole, aggiorniamo le normative semplificando le procedure che ci fanno lavorare parzialmente a vuoto. Occorrono imprese che assumano persone, le formino e le accompagnino, università, tirocinio; valutiamo l'impatto di cosa vuol dire aprire il mercato europeo e ponderiamo le politiche di adeguamento, perché il principio della libera circolazione è un principio fondante dell'Europa però quando lo si applica nel lavoro e nel welfare ha qualche implicazione. Noi ci siamo opposti, ad esempio, a un parere reso in sede di formazione della direttiva europea sul lavoro degli stagionali, che allargava i diritti di accesso ai sostegni al reddito, non perché siamo contrari, ma perché abbiamo presente cosa capita in Italia in agricoltura riguardo al sostegno al reddito, laddove uno lavora 55 giorni, paga 280 euro di contributi e riceve 2.800 euro.
  Se si pensa agli immigrati, 2.800 euro sono il reddito di un anno in Romania. Cerchiamo di fare ragionamenti pratici su queste cose, vediamo di strutturare politica per politica avendo chiaro l'interesse del Paese, una solidarietà ragionevole e sostenibile, non teorica, perché il rischio di portare gente e poi mandarla nel mercato del lavoro nero oggi è totale.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore.

  NATALE FORLANI, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. La dottoressa Stefania Congia comunque è disponibile.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11,55.