CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 23 aprile 2024
294.
XIX LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO
Pag. 212

ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2 e Allegati.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La VI Commissione (Finanze),

   esaminato, per le parti di competenza, il Documento di economia e finanza 2024 (Doc. LVII, n. 2 e Allegati),

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 2

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2 e Allegati.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAL GRUPPO PD-IDP

  La VI Commissione Finanze,

   esaminato il Documento di economia e finanza 2024 (Doc. LVII, n. 2 e Allegati);

   premesso che:

    nel contesto del cosiddetto Semestre europeo, il Documento di economia e finanza traccia una prospettiva di medio-lungo termine degli impegni, sul piano della politica economica e della programmazione finanziaria, e degli indirizzi, sul versante delle diverse politiche pubbliche, al fine di promuovere il coordinamento e la convergenza delle politiche economiche degli Stati membri dell'Unione europea e garantire la stabilità;

    in questo contesto il Governo Meloni ha presentato per il 2024 un Documento con il solo quadro tendenziale senza offrire, come invece dovrebbe, a norma dell'articolo 10, comma 2, lettera e) della legge di contabilità e finanza pubblica (la legge 31 dicembre 2009, n. 196) un quadro programmatico di finanza pubblica per i prossimi tre anni che è stato invece rinviato al prossimo Piano fiscale-strutturale di medio termine che sarà presentato il prossimo 20 settembre;

    la motivazione utilizzata dal Governo secondo cui la Commissione europea avrebbe indicato ai Governi di presentare per quest'anno soltanto Programmi di stabilità sintetici, limitandosi a fornire contenuti e informazioni di carattere essenziale, in vista della redazione del Piano strutturale di bilancio di medio termine (quinquennale), previsto dal nuovo Patto di stabilità, non giustifica la mancata presentazione da parte del Governo di un quadro programmatico nel DEF 2024, anche di natura sintetica, e delle linee generali della prossima manovra, anche tenendo conto del nuovo Piano strutturale di bilancio di medio termine da presentare all'UE entro il 20 settembre. In questo primo anno di transizione verso le nuove regole di governance economica, nulla vieta al Governo di rispettare comunque i contenuti vigenti della legge di contabilità pubblica e di consentire al Parlamento di esprimersi con una circostanziata deliberazione;

    a causa dell'andamento della finanza pubblica in atto, la Commissione europea si appresta ad aprire la procedura d'infrazione per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese. Nella premessa al DEF 2024, il Governo annuncia che, per far fronte alla prossima procedura d'infrazione per deficit eccessivo, si predisporrà per una trattativa con la Commissione europea per un aggiustamento della finanza pubblica in un arco temporale di sette anni. Alla luce di tale affermazione, le prime stime in circolazione prefigurano manovre di rientro non inferiori a 0,5 punti percentuali – al netto dell'attivazione di ulteriori clausole che potrebbero innalzarne l'impatto intorno all'1 per cento – per ciascuno degli anni del predetto arco temporale;

    il Governo non offre alcun dettaglio delle misure da confermare denotando qui l'incapacità di affrontare il futuro e dimostrando di avere idee poco chiare nel merito;

    la decisione del Governo di non presentare un documento programmatico è stata scelta in passato da governi dimissionari che non avevano titolo a presentare programmi pluriennali; al contrario, la scelta del Governo, nel pieno delle sue funzioni, è senza precedenti e si pone in violazione Pag. 214delle citate norme sul processo di formazione del bilancio;

    oltre alla mancata previsione del quadro programmatico il Governo non intende affrontare nel Documento, in pieno clima elettorale, in vista delle prossime elezioni europee, anche la cornice entro cui collocare la prossima legge di bilancio e non fornisce alcuna indicazione concreta sulle misure di entrata e di spesa che l'esecutivo intenderà introdurre nei prossimi mesi;

    il Governo in particolare non esplicita alcuna decisione sulle grandi priorità di politica economica sul versante delle spese per quanto riguarda la sanità, la scuola, le politiche per il lavoro, gli investimenti e la politica industriale e gli enti locali che saranno anch'essi interessati dalla declinazione nazionale delle nuove regole del patto di stabilità e crescita;

    il Governo sembra indirizzato, in base ai contenuti in controluce del DEF 2024, a ricavare risparmi di spesa sul fronte dei consumi intermedi, del reddito da lavoro dipendente, dai contributi agli investimenti, dalla sanità e dalle prestazioni sociali. Nessuna ulteriore indicazione è formulata in relazione agli introiti da cessione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze di società controllate o partecipate;

    per la correzione dei conti pubblici in conseguenza dell'apertura della procedura d'infrazione per deficit eccessivo, occorrerà almeno uno 0,5 per cento di Pil, a cui dovrà aggiungersi almeno lo 0,5 per cento di Pil per la proroga del cuneo fiscale, ed uno 0,2 per cento del Pil per la proroga della revisione delle aliquote Irpef. A queste dovranno aggiungersi le altre proroghe temporanee, valide per il solo 2024, le misure di carattere inderogabile, le annunciate ulteriori misure di riduzione della pressione fiscale in attuazione della Riforma e gli altri interventi di politica economica;

    in particolare le principali misure introdotte nella scorsa legge di bilancio solo per il 2024 che sono il taglio dei contributi previdenziali e l'accorpamento dei primi due scaglioni dell'Irpef, insieme ammontano a circa 15 miliardi di euro annui; ad esse si aggiungono ulteriori misure a scadenza per un totale di circa 20 miliardi di euro; si tratta in particolare: della detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività, la riduzione del canone Rai, il differimento di plastic e sugar tax, l'azzeramento dei contributi previdenziali per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato con due figli, il credito di imposta per gli investimenti nella Zona economica speciale del Mezzogiorno, il rifinanziamento della legge Sabatini per gli investimenti e la proroga dei bonus edilizi Ecobonus e Sismabonus che in assenza scenderanno al 36 per cento;

    se come affermato in conferenza stampa dal Ministro dell'economia e delle finanze le prime due misure saranno rifinanziate senza incidere sul disavanzo e mantenendo perciò i saldi sui valori del tendenziale, occorre che il Governo fornisca un quadro delle misure di entrate e di spesa necessaria a reperire per il 2025 coperture finanziarie ad oggi ancora non definite;

    sul fronte macroeconomico emerge in tutta evidenza che la crescita 2024 sarà più debole del previsto: il Governo aveva programmato nella NADEF di settembre 2023 una crescita del Pil 2024 dell'1,2 per cento che l'attuale Documento riduce all'1 per cento; le stime di crescita del Governo sono molto più ottimistiche di quelle diffuse dai principali istituti nazionali ed internazionali infatti mentre il DEF riporta una crescita tendenziale del PIL dell'1,0 per cento nel 2024, dell'1,2 per cento nel 2025 e dell'1,1 per cento nel 2026 e nel 2027, quelle più recenti diffuse da Banca d'Italia e da Eurostat stimano una crescita economica del Paese che oscilla tra lo 0,6 per cento e lo 0,8 per cento;

    la crescita è dovuta sostanzialmente all'effetto positivo dovuto all'attuazione del PNRR che però terminerà nel 2026; mancando il quadro programmatico il Governo non fornisce alcuna indicazione su quali saranno le direttici di intervento per sostenere la crescita, anche in assenza del PNRR, dal 2027;

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    in assenza del PNRR, come evidenziato dal DEF stesso, l'economia italiana sarebbe pertanto in stagnazione o peggio in recessione, con ciò evidenziando la totale inefficacia delle politiche economiche adottate nel corso degli ultimi diciotto mesi. Il documento, inoltre, pur lamentando in più passaggi l'impatto della spesa sostenuta per gli incentivi fiscali legati agli interventi di efficientamento energetico degli edifici, non associa a tali interventi alcun impatto sulla crescita economica del Paese al fine di evitare giudizi sull'effettivo andamento della nostra economia, anche in rapporto a quello registrato negli altri Stai membri dell'UE dove non opera un PNRR delle dimensioni italiane e non sono in vigore incentivi fiscali per l'efficientamento energetico degli edifici;

    sul fronte della finanza pubblica, per il 2024, l'indebitamento netto si collocherebbe al 4,3 per cento del Pil per scendere progressivamente fino al 2,2 per cento nel 2027 in linea con le previsioni della NADEF 2023; con riferimento all'anno 2023, l'ISTAT ha rilevato invece che il rapporto tra l'indebitamento delle amministrazioni pubbliche e il PIL è risultato stato pari al 7,4 per cento peggiorando le previsioni rispetto il programmatico NADEF 2023 che stimavano un rapporto deficit/Pil al 5,3 per cento;

    sul differenziale di 2,1 punti percentuali, equivalente a circa 44 miliardi di euro hanno inciso varie voci di spesa tra cui i contributi agli investimenti e in questi rientrano le spese per l'efficientamento energetico degli edifici, ma anche la spesa per interessi sul debito pubblico; quando il Governo si è insediato, nell'ottobre 2022, la spesa stimata per il cosiddetto Superbonus ammontava a 60 miliardi di euro mentre l'ultimo report Enea conferma una spesa complessiva di 122 miliardi di euro;

    nel contesto qui delineato, il Governo in carica, nei 18 mesi di guida, ha assistito immobile all'esplosione dei costi che ha provocato l'impennata del rapporto deficit/pil e gli effetti di trascinamento sul debito per i prossimi anni mettendo in atto solo due interventi contenitivi (il decreto-legge n. 11 di febbraio 2023 e il decreto-legge n. 39 di marzo 2024) nonostante l'allarme lanciato dalla reportistica mensile sull'andamento dei conti pubblici legati al Superbonus; per contro si può affermare che nel 2023, la crescita maggiore della media europea pari 0,9 per cento (rispetto allo 0,5 per cento delle media UE) è dovuta alla spesa di circa 70 miliardi di euro di bonus edilizi equivalenti a circa 3 punti percentuali di Pil senza i quali avremmo registrato una recessione (senza tener conto che gli altri paesi europei non hanno avuto la spessa spesa in agevolazioni edilizie);

    per quanto riguarda il debito pubblico, in rapporto al PIL esso è previsto in crescita in ragione delle minori entrate dovute alle compensazioni d'imposta previste dai vari incentivi fiscali; il peso del debito torna a salire di circa 2,5 punti percentuali dal 2023 al 2026, passando dal 137,3 per cento del PIL del 2023 al 139,8 per cento del 2026, modificando il sentiero di stabilizzazione tracciato lo scorso settembre nella NADEF che riportava un obiettivo per il 2026 in diminuzione in rapporto al Pil di mezzo punto rispetto al dato del 2023;

    per quanto di competenza della Commissione, nell'ambito della sezione III del DEF – Programma nazionale di riforma, non sono fornite indicazioni sulle politiche fiscali che il Governo intende attuare nei prossimi mesi, limitandosi a descrivere gli interventi finora adottati;

    nelle intenzioni del Governo, la delega per la riforma del sistema fiscale di cui alla legge 9 agosto 2023, n. 111, ha l'obiettivo di riscrivere l'intero sistema tributario italiano. Allo stato attuale, tale obiettivo appare lontano dal raggiungimento e sono molteplici i temi che dovranno essere affrontati per la completa attuazione della revisione e razionalizzazione del nostro sistema fiscale;

    la riforma fiscale volta a reperire risorse per il prossimo avvenire non ha prodotto i risultati auspicati proponendo solo misure temporanee e sanatorie di cartelle e debiti erariali: si delinea un quadro Pag. 216di una riforma molto deludente dal punto di vista dell'equità e dell'efficienza e non attua alcuno degli obiettivi di una riforma organica del sistema fiscale;

    in particolare, si registra una significativa mancanza di coerenza dei provvedimenti adottati dal Governo, sia rispetto al sistema fiscale complessivo sul quale intendono incidere, sia addirittura all'interno dello stesso complesso di disposizioni adottate in attuazione della legge delega n. 111 del 2023. Si rileva inoltre un ritardo evidente rispetto agli annunci del Governo per quanto riguarda uno degli aspetti centrali della Riforma, ossia la disciplina dei singoli tributi – tra cui la struttura dell'IRPEF finora affrontata con un intervento a carattere temporaneo – la tassazione d'impresa e l'IVA, il superamento dell'IRAP e la razionalizzazione dei tributi indiretti. Su tali aspetti il DEF 2024, non prospetta alcuna novità;

    nei provvedimenti finora adottati emergono poi alcune gravi criticità, tra cui quelle più significative riguardano: a) l'adozione, in taluni rilevanti casi, di interventi di carattere non strutturale o che non rispondono agli annunciati obiettivi della Riforma e che talvolta addirittura sono contraddittori rispetto agli obiettivi dichiarati o ad altre misure contestualmente adottate; b) la carenza di risorse messe a disposizione dal Governo per l'attuazione della riforma che sconta dopo alcuni mesi la mancata previsione di adeguate coperture finanziarie nella legge delega. Tale situazione, obbliga il Governo ad emanare importanti disposizioni con efficacia temporanea come nel caso eclatante della rimodulazione delle aliquote Irpef e degli scaglioni di reddito e della revisione di una serie di detrazioni per liberalità, valide per il solo anno 2024, per di più ricorrendo alla sottrazione di risorse a misure di agevolazione esistenti ed efficaci per i soggetti beneficiari come nel caso dell'ACE; c) la carenza di interventi efficaci sul fronte della lotta all'evasione e all'elusione fiscale. La recente approvazione, ad esempio, del concordato preventivo biennale, oltre ad amplificare le disparità di trattamento tra contribuenti, premia i soggetti con bassi indici di fedeltà fiscale;

    in altri casi, importanti provvedimenti annunciati da diversi mesi scontano inattesi ritardi. Nel mese di settembre 2023 è stato annunciato uno schema di decreto legislativo in materia di tributi regionali e locali, di cui si è persa traccia a seguito della mancata trasmissione dello stesso alla Conferenza unificata, con ciò evidenziando le difficoltà del governo nel raggiungimento dell'intesa da assumere in tale sede ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

    la pressione fiscale, nel quadro tendenziale, stimata al 42,1 nel 2024 è prevista aumentare di 0,3 punti nel 2025, per passare al 42,2 nel 2026 e al 42,3 per cento nel 2027, mentre le entrate tributarie sono previste diminuire progressivamente dal 29,6 per cento del 2023 al 28,9 per cento nel 2027 e le entrate totali passare progressivamente dal 47,8 del 2023 al 46,2 per cento nel 2027. Dati che possono ulteriormente ridursi con compensazioni dal lato delle spese, dei contributi alla produzione e degli investimenti, con inevitabili ricadute negative sulle prestazioni sociali e le imprese;

    con riferimento alle stime dell'evasione fiscale e contributiva, pubblicate nella Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva si evidenzia una dinamica di netto miglioramento della tax compliance per gli anni 2016-2021, confermando l'efficacia delle azioni di contrasto all'evasione fiscale adottate negli anni più recenti dai precedenti governi di centrosinistra, con una riduzione dell'evasione fiscale e contributiva di oltre 24,1 miliardi di euro: il tax gap complessivo nel 2021 si attesta a 83,6 miliardi rispetto al livello di quasi 107,8 miliardi nel 2016; il recupero è stato possibile grazie all'Unione delle banche dati digitali, l'obbligo di fatturazione elettronica e l'obbligo di trasmissione dei corrispettivi telematici a fine giornata che hanno dimezzato l'evasione IVA (riduzione del gap IVA di 3,9 miliardi); anche la propensione all'evasione (compliance) si è ridotta di 5,7 punti percentuali, passando dal 21 per cento nel Pag. 2172016 al 15,3 per cento nel 2021 e anche in questo caso, il miglioramento della tax compliance più consistente, confermato anche dalla stima della Commissione europea, si registra per l'IVA, per la quale la propensione all'evasione si riduce di 12,3 punti percentuali, passando dal 26,2 per cento nel 2016 al 13,8 per cento nel 2021;

    nonostante il notevole miglioramento degli anni recenti, a livello comparativo, il gap IVA in Italia risulta comunque al quinto posto nella classifica degli Stati membri a più alta evasione, dopo Romania, Malta, Grecia e Lituania;

    al contrario di quanto efficacemente documentato dalla citata Relazione, il Governo avrebbe introdotto dal 2022, anno di inizio della legislatura, ad oggi circa 18 sanatorie; l'adesione alle rottamazioni stanno minando le entrate del Bilancio dello Stato perché quasi la metà dei contribuenti dopo aver aderito smettono di pagare;

    le conseguenze di questa politica delle continue sanatorie che sta portando avanti l'attuale Governo sono gravissime; si favorisce una cultura dell'evasione da riscossione che comporta la riduzione del gettito perché l'aspettativa di nuovi condoni provoca una infedeltà fiscale incoraggiando la prosecuzione di comportamenti evasivi, al contempo vi è una perdita di fiducia da parte dei contribuenti onesti e si producono distorsioni della concorrenza tra imprese,

   tutto ciò premesso,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Merola, D'Alfonso, Stefanazzi, Toni Ricciardi, Tabacci.

Pag. 218

ALLEGATO 3

Documento di economia e finanza 2024. Doc. LVII, n. 2 e Allegati.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAL GRUPPO M5S

  La VI Commissione Finanze,

   esaminato, per le parti di competenza, il Documento di economia e finanza 2024 (Doc. LVII, n. 2 e Allegati – Rel. Sala);

   evidenziato preliminarmente che il documento indica esclusivamente l'andamento tendenziale delle principali grandezze di finanza pubblica;

   preso altresì atto delle valutazioni in merito all'indebitamento netto e al debito pubblico per l'anno in corso e sui successivi;

   valutati i richiamati provvedimenti allegati;

   considerato che:

    il Documento in esame consta del solo quadro di finanza pubblica per il 2025 (cd. tendenziale) a politiche invariate;

    in una situazione economica e di finanza pubblica incerta, caratterizzata dall'erosione degli stipendi a causa del caro vita e dalla riduzione delle prestazioni sociali effettive, il Governo sceglie di non esprimersi in merito agli obiettivi programmatici, sulle riforme, sulle modificazioni alle leggi di entrata e di spesa in vigore;

    il Def in esame non riporta il profilo programmatico, limitandosi a confermare il quadro tendenziale prospettato con la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanze 2023, ossia deficit al 4,3 per cento al 2024, 3,7 per cento al 2025, 3 per cento al 2026, 2,2 per cento al 2027;

    l'impercepibile tasso di crescita del PIL si attesta, per il 2024, all'1,0 per cento, mentre si prospetta pari all'1,2 per cento nel 2025, e all'1,1 e allo 0,9 per cento, rispettivamente nei due anni successivi;

    la previsione tendenziale di crescita del PIL in termini reali per il 2024 si attesta, pertanto, all'1,0 per cento, al ribasso rispetto allo scenario programmatico della NaDef (1,2 per cento);

    a distanza di 7 mesi dalla NaDef, dunque, i principali dati macroeconomici volgono al negativo, le previsioni di crescita sono riviste al ribasso. La disoccupazione appare in discesa, dato tuttavia legato, alla crescita del lavoro precario, temporaneo, saltuario;

    anche queste previsioni rischiano di essere riviste e ridimensionate a settembre, come annunciato dallo stesso Ministro;

    anzi, secondo gli ultimi dati diffusi da Istat, all'esito della notifica sull'indebitamento netto e sul debito delle Amministrazioni Pubbliche (AP), riferiti al periodo 2020-2023, trasmessi alla Commissione Europea in applicazione del Protocollo sulla Procedura per i Disavanzi Eccessivi (PDE) annesso al Trattato di Maastricht, nel 2023 l'incidenza dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche rispetto al PIL si è attestata al 7,4 per cento, segnando un risultato superiore di 2,1 punti percentuali rispetto all'obiettivo programmatico fissato nella NaDef 2023, e superando di 0,2 punti percentuali il valore indicato dal Governo nel DEF;

    l'articolo 10 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), prevede espressamente che il Def contenga gli obiettivi da conseguire per accelerare la riduzione del debito pubblico nonché le previsioni di finanza di lungo periodo e gli interventi che si intendono adottare per garantire la sostenibilità;

    nel Def all'esame viene meno l'essenza stessa del documento di programmazione,Pag. 219 limitandosi a fornire una fotografia dell'esistente, una replica di quanto già annunciato con la NaDef 2023;

    non appaiono affatto convincenti le motivazioni fornite dal Ministro dell'economia e delle finanze legate alla riforma della governance economica europea, dal momento che allo stato attuale vige ancora il citato articolo 10 della legge di contabilità nazionale e pertanto Governo e Parlamento sono tenute a rispettare i contenuti e le prescrizioni di programmazione economica in esso contenuti;

    anche la eccessiva colpevolizzazione della misura del bonus 110 come capro espiatorio della difficoltà di questo Governo di tracciare un quadro programmatico, appare assolutamente fuori luogo e per nulla convincente, posti sia gli effetti positivi che la misura ha avuto come volano dell'economia in un momento di grande difficoltà, come quello pandemico, sia l'attuale palese incertezza sulla contabilizzazione dei conseguenti crediti fiscali;

    considerato che, in base all'indebitamento netto registrato dall'Italia lo scorso anno (7,4 per cento del PIL secondo le stime Istat), lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze Giorgetti, in relazione alla riforma della governance economica europea, ha definito come «scontata» – nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle prospettive di riforma delle procedure di programmazione economica e finanziaria e di bilancio – la prossima apertura di una procedura per disavanzo eccessivo (PDE) nei confronti dell'Italia, in base alle raccomandazioni della Commissione;

    in merito all'attuazione del PNRR, si esprime inoltre preoccupazione per il rischio, non trascurabile, che la revisione complessiva del Piano, che inserisce nuove spese nel Piano senza cancellare quelle già previste, ma «esternalizzandole» a carico del bilancio nazionale, generi un cospicuo aumento della spesa, salvo che l'impegno a mantenere la realizzazione delle spese originarie non vada inteso come meramente programmatico e privo di contenuto fattivo;

    sanità, istruzione e il complesso di tutte le prestazioni sociali necessarie ad alleviare la povertà, non rappresentano una priorità. Parallelamente, la caotica gestione della revisione del PNRR e il decreto conseguente hanno dimostrato una scarsa capacità di non rilanciare gli investimenti nei territori e di non considerare l'emergenza climatica ed ambientale un elemento verso cui orientare le politiche pubbliche di bilancio, facendole tornare ad un passato che non ha mai prodotto risultati soddisfacenti per i cittadini e col rischio stavolta di accompagnare gradualmente l'Italia verso una fase quasi pre-recessiva. È drammatico che tutto questo accada dopo la robusta crescita del 2021 (recentemente rivista al rialzo dall'Istat al +8,3 per cento) e una crescita sostenuta nel 2022 (+3,7 per cento), risultati frutto anche delle coraggiose politiche economiche espansive messe in campo dal Governo Conte II, orientate agli investimenti;

   ritenuto che:

    con riferimento ai profili di stretta competenza della commissione VI – Finanze, tra i principali fattori che dovrebbero sostenere, sul piano della fiscalità, il quadro tendenziale descritto in premessa, vi sono le misure per il sostegno al potere di acquisto delle famiglie e l'incremento del reddito disponibile;

    tali obiettivi vengono perseguiti da un lato con le misure attuative della riforma fiscale e in particolare la revisione dell'IRPEF e, dall'altro, attraverso la riduzione del cuneo fiscale. Si tratta, tuttavia, di due interventi che come noto sono, a normativa vigente, limitati al solo anno 2024 ed in relazione ai quali il documento in esame non offre alcuna previsione e garanzia per le annualità successive;

    secondo le previsioni del Governo, la riforma fiscale e il taglio del cuneo contributivo serviranno a ridurre la pressione fiscale sulle famiglie. Intanto, però, ISTAT ha certificato come nel quarto trimestre 2023 la pressione fiscale è stata pari al 50,3 per cento, in aumento di 1,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell'annoPag. 220 precedente, mentre il reddito lordo disponibile e la spesa per consumi finali delle famiglie consumatrici sono diminuiti rispettivamente dello 0,1 per cento e dell'1,0 per cento rispetto al trimestre precedente, così come la propensione al risparmio delle famiglie è passata dal 7,8 per cento del 2022 al 6,3 per cento del 2023, toccando il livello più basso dal 1995;

    la riduzione del cuneo fiscale con l'obiettivo di aumentare il reddito disponibile e sostenere i consumi, al di là dell'entità dell'aumento in busta paga (comunque nei limiti di poche decine di euro), conserva in sé i limiti dell'aumento del reddito e delle imposte dovute nonché degli effetti distorsivi in prossimità della soglia limite di reddito. L'effetto congiunto della revisione IRPEF con la defiscalizzazione dei contributi sociali a carico dei lavoratori per le fasce più basse è ottenuto solo a fronte di una accentuata complessità del sistema impositivo oltre che dalla presenza, come rilevano le simulazioni sull'applicazione combinata dei differenti regimi, di andamenti discontinui dei benefici (cosiddetti «salti» in conseguenza della riduzione o annullamento del beneficio), non sempre giustificabili sul piano dell'equità e con un potenziale effetto disincentivante sull'offerta di lavoro sopra una certa soglia di reddito. Inoltre, in previsione di una stabilizzazione della decontribuzione, è da valutare attentamente il nesso tra contributi versati e benefici erogati alla base del sistema pensionistico contributivo, come rilevato da Banca d'Italia;

    da ricordare poi che il taglio dell'IRPEF è stato conseguito anche attraverso le maggiori entrate derivanti dall'abolizione dell'aiuto alla crescita economica, pari a 4,8 miliardi per l'anno 2025 e 2,8 miliardi per ciascuno degli anni dal 2026 al 2028. L'abolizione dell'aiuto alla crescita economica, sostituito dalla maggiorazione del costo ammesso in deduzione in presenza di nuove assunzioni, rappresenta un grave danno per le imprese. Le criticità in merito all'abrogazione dell'ACE sono state rimarcate anche da Banca d'Italia e da Istat nel corso delle audizioni sulla manovra, ponendosi anche in controtendenza rispetto agli orientamenti Ue (proposta di direttiva Debt-Equity Bias Reduction Allowance), determinando un aumento del costo del capitale (riducendo l'incentivo agli investimenti) e accentuando lo svantaggio nel trattamento fiscale dei mezzi propri rispetto al debito (indirizzando maggiormente le scelte di finanziamento delle imprese verso l'indebitamento piuttosto che verso una loro maggiore patrimonializzazione). Dalle analisi condotte, infatti, è emerso che l'Ace ha contribuito a ridurre il costo del capitale e ha indotto una maggiore patrimonializzazione, con effetti relativamente più elevati per le imprese di minori dimensioni. In sostanza, l'incentivo in forma di maggiorazione del costo del personale assunto, pur condivisibile nel duplice obiettivo di perseguire il consolidamento dei rapporti di lavoro e l'incremento dei livelli occupazionali, appare in concreto destinato ad aiutare imprese aventi già un elevato grado di solidità e continuità produttiva (escludendo, pertanto, le imprese in avviamento), a discapito di una misura (l'ACE) destinata alla generalità delle imprese in ottica di crescita e consolidamento patrimoniale;

    di contro non sono stati adeguatamente valorizzati efficaci strumenti di sostegno al reddito dei lavoratori, quali il potenziamento strutturale, per tutti i lavoratori, del ricorso ai fringe benefit e al welfare aziendale;

    da ricordare altresì che, sempre in attuazione della delega fiscale, a decorrere dal 1° gennaio 2024 è in vigore anche il nuovo regime fiscale dei rimpatriati, anch'esso introdotto in attuazione della delega fiscale, con il quale il Governo ha attuato un netto ridimensionamento della portata del regime agevolativo, con grave lesione del legittimo affidamento di migliaia di italiani residenti all'estero e in procinto di rientrare;

    con riferimento alle politiche di contrasto dell'evasione fiscale, il documento pone in rilievo i risultati «record» della riscossione conseguiti nell'anno 2023. In particolare, si pone in rilievo il differenziale tra l'anno considerato (2023) rispetto Pag. 221all'anno precedente (2022), con un dato positivo di circa 4,5 miliardi (+22 per cento). Andando ad analizzare le differenze per le singole attività dell'Agenzia delle entrate, emerge, tuttavia, che, a parte l'incremento relativo alla compliance (dovuto all'aumento degli inviti bonari ai contribuenti, dato già in aumento dal 2021 anche in conseguenza degli obiettivi PNRR), il differenziale positivo consegue unicamente ad attività di riscossione straordinarie tra cui la rottamazione dei ruoli e la definizione liti fiscali. In sostanza, può affermarsi che il maggior gettito da evasione consegue essenzialmente da incassi da compliance ovvero sulla generalità dei contribuenti, solitamente in conseguenza di errori da dichiarazione di piccolo medio importo, e da incassi relativi alle sanatorie fiscale in presenza di evasione;

    il documento non delinea alcuna programmazione futura in merito alle misure di contrasto dell'evasione fiscale e al recupero del gettito sommerso nei settori a maggior rischio, con una propensione al tax gap che resta elevatissima, soprattutto con riferimento alle imposte dirette. In generale, la politica economica del Governo si conferma basata su una affannosa ricerca di risorse che, sul piano fiscale, si continua a perseguire unicamente con misure straordinarie in sanatoria;

    riguardo ai crediti d'imposta relativi agli incentivi edilizi, di cui si continua a disapprovare unicamente l'impatto negativo, con il recente decreto-legge n. 39 del 2024 il Governo ha definitivamente chiuso l'accesso all'utilizzo dello strumento della cessione del credito e dello sconto in fattura, senza alcuna programmazione futura, ed anche per gli interventi maggiormente meritevoli di sostegni (barriere architettoniche, adeguamento sismico nei territori colpiti da terremoti). In sostanza, si è posto fine all'utilizzo dello strumento che più ha contribuito ad una omogenea diffusione degli incentivi edilizi rispetto ai precedenti bonus e ad un aumento significativo della fruizione delle agevolazioni nei comuni a reddito più basso, come rilevato dalla Corte dei conti;

    non si valorizza in alcun modo, invece, anche dal punto di vista della finanza pubblica, l'effetto indiretto che gli incentivi edilizi hanno prodotto sia in termini di maggiori entrate e riduzione del sommerso, oltre che del lavoro irregolare, sia sull'intero sistema economico nazionale, soprattutto negli anni successivi alla pandemia;

    in generale, con riferimento allo strumento del credito d'imposta, applicabile anche per l'erogazione di altri incentivi fiscali (come ad esempio, le misure per l'innovazione di cui al piano transizione 4.0 e al nuovo piano Transizione 5.0 nonché gli investimenti nella ZES unica), sono da valutare con molta attenzione gli effetti conseguenti all'irrigidimento eccessivo delle procedure di accesso agli incentivi, voluto dal Governo al precipuo fine di assicurarsi un monitoraggio preventivo sui conseguenti oneri finanziari, nonché dal contingentamento delle risorse, che rischia di trasformare misure automatiche di larga diffusione in strumenti nella disponibilità di pochi, soffocando la gran parte delle imprese di soli oneri burocratici;

    del tutto carenti invece le misure sul piano del sostegno finanziario a famiglie e imprese. Sul punto, il documento si sforza di mettere in rilievo gli aspetti positivi della possibile evoluzione dell'attuale contesto finanziario, evidenziando in particolare, in un contesto di affievolimento delle tensioni inflazionistiche (ancora da consolidare), l'intenzione segnalata dalla BCE di procedere con gradualità a una riduzione dei tassi di interesse nel corso dell'anno. In particolare, il Governo rileva le «prime rimodulazioni al ribasso» dei tassi d'interesse sulle nuove operazioni e la relativa stabilità dei criteri di concessione dei prestiti alle imprese e alle famiglie per l'acquisto di abitazioni, nonostante l'accresciuta percezione del rischio da parte delle banche. Di contro, si omettono di considerare gli effetti negativi registrati nel corso del 2023 e che si avranno almeno per tutto il 2024 (con il valore dei tassi sui prestiti ancora ben oltre il 40 per cento della media applicata nel 2022), la significativa riduzione del potere di acquisto delle famiglie nonché la drastica riduzione degli impieghi Pag. 222bancari. Allo stesso modo, non si indica alcuna misura compensativa in favore dei cittadini a fronte dei ricavi record incassati dagli istituti di credito, in conseguenza del margine di interesse favorevole;

    risorse aggiuntive che il Governo ha di fatto rinunciato ad incassare con la previsione di un'imposta straordinaria a carattere facoltativo (di fatto non versata da nessun istituto di credito), il cui unico effetto è stato il rafforzamento patrimoniale delle banche, senza alcun impatto positivo per la clientela (lo dimostra il dato sugli impieghi, ancora decrescente), e peraltro in un contesto di già avviato consolidamento del sistema bancario;

    a fronte del difficile contesto economico, il Governo reputa invece maggiormente conveniente acquisire risorse attraverso un ambiguo, quanto incerto, piano di dismissioni di partecipazioni pubbliche in società partecipate, con tutte le conseguenti implicazioni sia sul piano della competitività del Paese in settori strategici sia sull'occupazione,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Fenu, Lovecchio, Gubitosa, Raffa.

Pag. 223

ALLEGATO 4

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La VI Commissione,

   esaminato, il disegno di legge C. 1665 Governo, approvato dal Senato, recante: «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione»,

  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 224

ALLEGATO 5

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAL GRUPPO PD-IDP

  La VI Commissione (Finanze),

   esaminato il disegno di legge governativo recante disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (C. 1665 Governo, già approvato dal Senato),

   premesso che:

    l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione provvede alla definizione dei principi generali per l'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia e delle relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una regione;

    il testo provvede alla definizione dei «principi generali per l'attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» e delle «relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione»;

    il disegno di legge si presta a molteplici critiche: in particolare l'articolo 2 del provvedimento stabilisce che l'atto di iniziativa per l'attribuzione di competenze, sia preso dalla regione interessata sentiti gli enti locali cui segue la definizione di uno schema di intesa preliminare tra il Governo e la regione approvato dal Consiglio dei ministri una volta acquisito il parere della Conferenza unificata e trasmesso alle Camere per l'espressione del parere;

    il trasferimento di interi ambiti di materie alle regioni che ne fanno richiesta svuota il contenuto del comma 3 dell'articolo 116, che prevede la possibilità di conferire ulteriori margini e condizioni di autonomia ad alcune regioni e diventa praticamente una norma dissolutoria del comma 1 del medesimo articolo 116, che concede uno statuto particolare alle regioni a Statuto speciale;

    inoltre, con la procedura delineata, al Parlamento è negata qualsiasi possibilità di emendare il testo dell'intesa eventualmente raggiunta tra Esecutivo nazionale ed Esecutivi regionali ma sarà coinvolto solo per l'espressione di un parere cui il Governo può non conformarsi rendendo adeguata motivazione; ugualmente dicasi per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni LEP che dovrebbe avvenire con un pieno coinvolgimento del Parlamento ma che invece saranno determinati con un decreto legislativo su cui il Parlamento potrà esprimere solo un parere senza possibilità di interventi emendativi e saranno poi aggiornati in base alle risorse disponibili tramite decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che non prevedono alcun passaggio parlamentare;

    il Governo mostra un atteggiamento incoerente e schizofrenico: mentre con il «decreto Sud» e con la riforma del PNRR riduce l'autonomia regionale, con questo provvedimento intende al contrario concederne di più alle regioni che ne fanno richiesta;

    questa proposta amplierà i divari, rischiando di danneggiare sia le regioni più avanzate sia quelle economicamente meno avanzate e in generale il sistema istituzionale italiano con la conseguenza di dividere la popolazione in cittadini di serie A e di serie B: ne è riprova il fatto che la riforma sia prevista a invarianza di gettito, che Pag. 225comporta necessariamente una redistribuzione interna dei trasferimenti a favore delle regioni che avranno più materie di competenza a scapito delle altre, mentre sarebbe necessario un aumento di spesa per riequilibrare le disuguaglianze;

    prima di attuare la differenziazione delle funzioni sarebbe auspicabile definire i livelli essenziali delle prestazioni e intervenire su fondo perequativo e federalismo fiscale, stanziando le risorse necessarie alle regioni per svolgere le funzioni ad esse attribuite, e valorizzare il ruolo di coordinamento della Conferenza Unificata e della Conferenza Stato-regioni;

    con questa riforma il Governo e il Parlamento perdono il controllo e l'indirizzo su settori rilevanti della spesa pubblica e lo Stato avrà a disposizione uno spazio fiscale e strumenti di azione molto più deboli. In caso di congiuntura economica negativa, quando è necessario un intervento massiccio in senso anticiclico, lo Stato non potrà intervenire, perché si troverà con insufficienti risorse a disposizione;

    la frammentazione delle competenze porterà a un inevitabile appesantimento burocratico con l'aumento dei costi della pubblica amministrazione, visto che non vi è alcuna dimostrazione che il passaggio di competenze alle regioni renderà il sistema più efficiente;

    è impensabile delegare alle regioni questioni che per loro natura hanno un interesse nazionale lasciando allo Stato mere funzioni di indirizzo;

    particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle regioni differenziate, e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;

    l'affidamento alla negoziazione tra Stato e regioni di scelte tributarie potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;

    sarebbe stato necessario intervenire mediante legge costituzionale, in modo da sottrarre alla competenza regionale alcune materie, come l'istruzione, le reti di comunicazione, nonché la produzione e distribuzione di energia, che, a seguito della pandemia e della guerra, si è dimostrato opportuno restituire alla competenza statale;

    un Paese che sempre più vive in un sistema globale viene reso, con questo provvedimento, più piccolo, più parcellizzato e più fragile,

   tutto ciò premesso,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Merola, D'Alfonso, Stefanazzi, Toni Ricciardi, Tabacci.

Pag. 226

ALLEGATO 6

Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. C. 1665 Governo, approvato dal Senato.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAL GRUPPO M5S

  La VI Commissione Finanze,

   esaminato, per i profili di competenza, l'A.C. 1665, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione»,

   premesso che:

    il testo in esame, modificato rispetto al disegno di legge governativo originariamente presentato il 23 marzo 2023, mantiene un impianto segnato da rilevanti criticità, emerse e confermate anche durante il ciclo di qualificate audizioni tenutosi presso la Commissione Affari Costituzionali;

    si può affermare che il disegno di legge in esame è caratterizzato dall'elemento dell'indeterminatezza. In tal senso, dunque, ci si appresta a dare attuazione ad un processo potenzialmente di amplissima portata senza certezza alcuna in merito al quadro ordinamentale e procedurale che lo accompagnerà, non soltanto nella cruciale fase negoziale ed istruttoria ma anche in quella strettamente applicativa;

   premesso, altresì, che:

    l'attuazione dell'autonomia differenziata non può naturalmente prescindere dal rispetto della coesione sociale del Paese ed anzi la solidarietà e l'unità dei diritti fondamentali esigibili dovrebbero essere alla base di qualsiasi passaggio ulteriore;

    la temporaneità e reversibilità dell'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia dovrebbe costituire un architrave, in un dispositivo prudente, graduale nel tempo e precisamente circoscritto a funzioni puntuali, gestibili con certezza;

    avviare un processo nel quale teoricamente – dal tenore letterale delle formulazioni normative in esame – non è espressamente escluso che tutte le regioni possano richiedere ed eventualmente ottenere simultaneamente non solo singole funzioni bensì l'intero novero di materie, non significa dare attuazione ad un articolo della Costituzione ma negare lo spirito stesso della Costituzione;

    stando al testo, appare evidente il rischio di ritrovarsi un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie. Ne risulterebbe un mosaico incomprensibile ed ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione;

    l'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), in audizione presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali, ha sottolineato come la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per le materie escluse non impedisca comunque che possano essere richieste forme e condizioni di particolare autonomia con riferimento alle stesse materie. In tal senso, è stata rimarcata la necessità di tutelare l'imprescindibile esigenza del rispetto delle norme e dei trattati internazionali e della normativa comunitaria, nonché garantire la tutela dell'unità giuridica ed economica della Repubblica, in fase di definizione delle intese;

Pag. 227

   valutato che:

    l'autonomia differenziata, come definita dal provvedimento in esame, nel ridisegnare l'articolazione delle politiche pubbliche fra diversi livelli di governo potrebbe portare a effetti territoriali differenziati in merito al livello di efficienza ed efficacia dei servizi;

    la garanzia dei servizi, essenziali e non, è strettamente connessa al modello di finanziamento e alla determinazione delle risorse da trasferire;

    a tal fine, il provvedimento prevede che il finanziamento degli oneri relativi alle funzioni attribuite possa assicurato attraverso l'attribuzione di una o più compartecipazioni al gettito dei tributi erariali maturato sul territorio regionale. Tale meccanismo di finanziamento, se da un lato dovrebbe incentivare una gestione più efficiente delle risorse, potrebbe comportare dall'altro, in assenza di vincoli di destinazione, scelte discrezionali degli enti territoriali in merito al relativo utilizzo che rischiano di accentuare ulteriormente la frammentazione territoriale e il divario dei livelli dei servizi;

    sul piano strettamente fiscale, inoltre, l'assegnazione di margini di manovrabilità agli enti territoriali con riferimento ai tributi propri avrebbe come conseguenza anche la possibilità di regimi fiscali differenziati da regione a regione che, oltre ad effetti sul piano della concorrenza, potrebbero incidere negativamente sullo sviluppo locale e la valorizzazione del territorio (disincentivando gli investimenti a discapito di una regione e a vantaggio di altre);

    sul piano della garanzia delle risorse per le funzioni attribuite e l'erogazione dei relativi servizi, il provvedimento non assicura adeguati presidi di controllo in merito all'impiego delle risorse e al raggiungimento effettivo dei livelli essenziali dei servizi su tutto il territorio nazionale. L'articolo 7, comma 4, infatti, si limita a prevedere il carattere facoltativo delle verifiche attribuendo alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, al Ministero dell'economia e delle finanze o la regione il potere, e non l'obbligo, di disporre verifiche su specifici profili o settori di attività oggetto dell'intesa con riferimento alla garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni, nonché il monitoraggio delle stesse;

    inoltre, il provvedimento non specifica i criteri di revisione della compartecipazione al fine di garantire l'evoluzione delle risorse nel tempo. Da considerare che l'andamento del gettito potrebbe non seguire l'andamento dei fabbisogni necessari al mantenimento dei livelli dei servizi. Tale esigenza sussiste non solo nel caso di compartecipazione inferiore al fabbisogno, con necessità di meccanismi di reintegro, ma anche nel caso inverso di compartecipazioni eccedenti il fabbisogno. L'eccesso di risorse in favore di una regione rischia di comportare, se non appositamente disciplinato, la riduzione di risorse per le altre amministrazioni pubbliche, con conseguente possibile riduzione della spesa pubblica o aumenti della pressione fiscale ai danni di cittadini delle altre regioni,

  esprime

PARERE CONTRARIO.

Fenu, Lovecchio, Gubitosa, Raffa.