ATTO CAMERA

ODG IN ASSEMBLEA SU P.D.L. 9/01627/163

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 19
Seduta di annuncio: 220 del 29/12/2023
Firmatari
Primo firmatario: DONNO LEONARDO
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 29/12/2023
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MORFINO DANIELA MOVIMENTO 5 STELLE 29/12/2023


Stato iter:
29/12/2023
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 29/12/2023
ALBANO LUCIA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

NON ACCOLTO IL 29/12/2023

PARERE GOVERNO IL 29/12/2023

RESPINTO IL 29/12/2023

CONCLUSO IL 29/12/2023

Atto Camera

Ordine del Giorno 9/01627/163
presentato da
DONNO Leonardo
testo di
Venerdì 29 dicembre 2023, seduta n. 220

   La Camera,

   premesso che:

    sono note le vicende attorno all'ex articolo 33, del disegno di legge di bilancio come approvato dal Consiglio dei ministri: nel testo precedente alla prima lettura al Senato, si prevedeva infatti un ricalcolo delle pensioni di coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1981 e che possono vantare meno di 15 anni di anzianità contributiva, con una conseguente diminuzione dell'assegno pensionistico per molti già a partire dal 2024;

    si trattava delle quote di pensione retributive relative ad alcune gestioni previdenziali del comparto pubblico e, più precisamente, degli iscritti alla Cassa per le pensioni dei dipendenti degli Enti locali (CPDEL), alla Cassa dei sanitari (CPS) e alla Cassa degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI) e a favore degli iscritti alla cassa degli ufficiali giudiziari, degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori (CPUG). In sostanza, oltre 31.000 dipendenti pubblici tra medici, infermieri, insegnanti elementari e delle materne, ufficiali giudiziari, infermieri e addetti delle camere di commercio; l'Esecutivo aveva però omesso di calcolare la spinta ad anticipare le uscite soprattutto dei medici (il cui ridimensionamento della quota retributiva potrebbe costare un taglio fino al 25 per cento della pensione), che secondo il loro sindacato Anaao sarebbero in 4.000 nel prossimo anno. Stando alla relazione tecnica della legge di bilancio 2024, il meno vantaggioso ricalcolo delle pensioni avrebbe interessato, a regime, una platea pari a circa 700.000 statali ed il taglio progressivo delle più vantaggiose aliquote di calcolo sul retributivo per gli anni dal 1981 al 1995. Secondo i calcoli effettuati da CGIL, su una pensione di vecchiaia con decorrenza nel 2024 a 67 anni età e 35 anni di contribuzione, e con retribuzioni rispettivamente da 30.000, 40.000 o 50.000 euro annui, la norma potrebbe determinarne una riduzione pari a 4.432 euro, 5.910 euro o 7.387 euro;

   considerato che:

    dopo una maratona notturna alla 5a Commissione bilancio al Senato, però, il testo arriva oggi al nostro esame con l'approvazione di un correttivo (articolo 1, commi 157-165) che alleggerisce la stretta previdenziale prevista per queste categorie del pubblico impiego dalla versione originaria del disegno di legge di bilancio, e che concentra i tagli alla fetta retributiva dell'assegno (fino a un massimo del 25 per cento) esclusivamente sui pensionamenti anticipati svincolati da soglie anagrafiche: quelli accessibili con 42 anni e 10 mesi di contribuzione (41 e 10 mesi per le donne);

    per medici e infermieri la «penalizzazione» può diventare meno «rigida» nel senso che ora si consente ai «sanitari» di prolungare la loro permanenza in servizio una volta maturati i requisiti per l'uscita anticipata: per ogni mese in più di lavoro il taglio dell'aliquota di rendimento sulla quota retributiva si ridurrà di un trentaseiesimo. Di conseguenza il personale sanitario potrà restare in attività per altri 3 anni, quindi fino alla soglia dei 46 anni di contribuzione. Sempre medici e infermieri potranno altresì rimanere in ospedale anche dopo il raggiungimento dei 40 anni di servizio a patto che non abbiano superato i 70 anni d'età (cifra che resta la soglia per il pensionamento di vecchiaia dopo il dietrofront del Governo su un proprio ulteriore emendamento finalizzato a consentire a dirigenti sanitari o docenti universitari di andare in pensione su base volontaria a 72 anni, anziché a 70);

    si affievolisce quindi la portata di una misura che aveva anche l'obiettivo di addolcire la «gobba pensionistica» riducendo, a regime, di circa 21 miliardi la spesa previdenziale. E proprio per la necessità di non appesantire l'impatto dei ritocchi alla manovra sui conti pubblici, il Governo, con la correzione citata, ha individuato una parziale compensazione dilatando le finestre d'uscita per tutte le categorie interessate: a 3 mesi nel 2024, a 4 mesi nel 2025, a 5 mesi nel 2026, a 7 mesi nel 2027 fino a 9 mesi a partire dal 2028;

    al di là delle specificazioni delle diverse categorie interessate, il provvedimento all'esame prevede ora una minor spesa pensionistica che si attesterebbe, a regime, a circa 12 miliardi di euro. Dal dossier aggiornato della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo della spesa pensionistica, che tiene conto dell'ultima NADEF e delle proiezioni demografiche ISTAT 2023, ma non della legge di bilancio in esame, si conferma che nel biennio 2023-24, le uscite per pensioni si attesteranno attorno al 16 per cento del PIL a causa dei costi dell'indicizzazione e delle quote (100, 102 e 103), mentre il picco di spesa è del 17 per cento del PIL ed è previsto nel 2024;

   valutato che:

    il nostro sistema pensionistico, definito da due grandi riforme (Dini del 1995 e Fornero del 2011), presenta una serie di lacune, derivazione soprattutto di stratificazioni di mini-riforme e correzioni specifiche, ma necessarie che si aggiungono a quelle due grandi riforme;

    la discussione citata circa la modifica alle aliquote di rendimento per una parte di lavoratori pubblici, discende in parte dalla circostanza per cui il sistema pensionistico, ancora oggi, è ricco di trattamenti diversi tra lavoratori, non solo pubblici, riguardo sia i criteri di pensionamenti, sia i criteri di valorizzazione dei contributi versati. Ne sono un esempio i «lavoratori» delle forze dell'ordine, che nel settore pubblico hanno sia dei criteri di uscita più generosi che delle aliquote di rendimento più favorevoli. Così come i commercianti e gli artigiani, che sono privilegiati nella contribuzione, oppure i giornalisti iscritti all'ex INPGI che dal 2022 è stato giustamente assorbito in INPS, sebbene resti diversa, per ragioni di costituzionalità, la valorizzazione dei contributi già versati in passato;

    anche alla luce di altri interventi discutibili presenti nel provvedimento in esame – quali ad esempio le modifiche alla disciplina degli istituti dell'APE sociale e di Opzione donna –, ciò che evidentemente manca è una riflessione sul futuro pensionistico dei giovani. Una vera riforma pensionistica dovrebbe infatti guardare alla situazione dei giovani posto che numerosi studi, dentro INPS ma anche fuori, riportano che i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, ovvero nel regime contributivo pieno, hanno lavori instabili e precari, salari bassi, e la maggior parte di loro (il 53 per cento), secondo quanto accumulato finora e in proiezione, quando matureranno i criteri di uscita, avranno una pensione povera, inferiore alla soglia di povertà (800 euro circa);

    per questi lavoratori la soluzione va trovata subito in correttivi dentro il mercato del lavoro, spingendo i salari verso l'alto, con l'introduzione di un salario minimo, nonché la limitazione dei contratti part-time e precari, sulla scia di quanto si era fatto con il cosiddetto decreto dignità;

    oggi che si registra il paradosso di una modesta crescita occupazionale con il Pil fermo, è ancora più evidente che la dinamica positiva è da attribuire a bassi salari e ad un numero di ore lavorate per persona inferiore. E quindi è ancora più necessaria l'introduzione di un salario minimo e di limitazioni al part-time involontario e a forme precarie. Ad esempio, secondo stime dell'INPS, presentate nel rapporto annuale del 2022, se si introducesse un salario minimo sopra i 9 euro lordi l'ora, per i giovani il rateo pensionistico crescerebbe del 10 per cento;

    ulteriore intervento di rete di protezione necessario è quello relativo all'introduzione di una pensione di garanzia di tipo contributivo. Come è noto, nel modello contributivo attuale, non esiste la pensione minima, quindi va creato un meccanismo che, senza disincentivare la partecipazione al mercato del lavoro, possa creare una pensione di garanzia dignitosa, valorizzando buchi contributivi e formazione, inserendo un minimale pensionistico a fronte di un certo montante contributivo raggiunto (e non necessariamente un numero di anni);

    in questo contesto, si dovrebbe anche inserire il riscatto di laurea gratuito per i giovani, che avrebbe il merito di incentivare lo studio e non penalizzare coloro che per motivi di studio entrano più tardi nel mercato del lavoro,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, anche di carattere normativo, volta a garantire ai lavoratori dell'impiego sia pubblico che privato, un futuro più sicuro e certo in materia previdenziale, in particolare introducendo un salario minimo garantito pari ad almeno 9 euro lordi ora, limitando il ricorso a contratti part-time e precari, ed istituendo una pensione di garanzia di tipo contributivo per il futuro dei giovani.
9/1627/163. Donno, Morfino.

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

pensionato

basso salario

contratto di lavoro