XVII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 3430
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PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
LA MARCA, GARAVINI, PORTA, FEDI, GIANNI FARINA, TACCONI
Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riacquisto della cittadinanza da parte delle donne che l'hanno perduta a seguito del matrimonio con uno straniero e dei loro discendenti
Presentata il 16 novembre 2015
Onorevoli Colleghi! La Corte Suprema di cassazione, con la sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009, ha riconosciuto lo status di cittadino italiano anche ai figli di donne che hanno perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con stranieri anche se contratto antecedentemente al 1o gennaio 1948. La pronuncia della Suprema Corte ha richiamato le sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, che avevano dichiarato l'illegittimità, rispettivamente, della norma di cui all'articolo 10, terzo comma, della legge n. 555 del 1912, nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza indipendentemente dalla sua volontà da parte della donna che sposava uno straniero, e della norma di cui all'articolo 1 della medesima legge nella parte in cui prevedeva l'acquisto della cittadinanza italiana da parte del figlio di madre cittadina.
Con la citata sentenza della Corte di cassazione n. 4466 del 2009 si è data finalmente attuazione al principio di parità tra uomo e donna affermato dalla Carta costituzionale e si è colmato il ritardo che l'Italia aveva accumulato rispetto alla Convenzione di New York del 18 dicembre 1979 sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, resa esecutiva dalla legge n. 132 del 1985.
La sentenza, peraltro, chiarisce che il riconoscimento del diritto non incontra alcun ostacolo sul piano della giurisdizione,
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mentre ammette che sopravvive una remora di natura procedurale sul terreno amministrativo, visto il dettato dell'articolo 219 della legge 19 maggio 1975, n. 151, espressamente richiamato dall'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, che subordina il riacquisto della cittadinanza a un'esplicita dichiarazione di volontà del soggetto interessato.
All'indomani della sentenza, molti parlamentari di diverso orientamento politico e culturale si sono rivolti al Governo mediante un'interpellanza urgente (atto Camera n. 2-00333 dell'11 marzo 2009, seduta n. 144) nella quale si chiedeva di definire al più presto le procedure idonee per consentire l'applicazione della sentenza, acquisita sul piano giudiziale, anche sul più agevole e meno costoso terreno amministrativo.
L'impegno assunto dal Governo in quella occasione di voler provvedere al più presto in tal senso non ha trovato però un riscontro concreto, tanto che i firmatari della prima interpellanza si sono fatti promotori di una nuova interpellanza (atto Camera n. 2-00699 del 4 maggio 2010) nella quale si chiedeva al Governo di sciogliere almeno il nodo dello strumento – regolamentare o normativo – da adottare per dare esecutività amministrativa alla sentenza della Corte di cassazione. La risposta del Governo indicava chiaramente l'esigenza di una soluzione di tipo normativo e manifestava l'intento di inserire alcune idonee soluzioni in uno dei decreti multitematici via via adottati dallo stesso Governo.
Poiché persiste l'incertezza sulle occasioni e sui tempi di un'eventuale soluzione normativa in proposito, con spirito costruttivo e di piena collaborazione si ritiene opportuno presentare questa proposta di legge che, per semplicità e specificità, consente di rimuovere le remore frapposte alla piena applicazione di un principio di elevato valore civile e sociale.
La soluzione dei problemi insorti a causa di una legislazione discriminatoria verso le donne consentirebbe anche di superare odiose e insostenibili conseguenze di ordine pratico, che vedono – ad esempio – i figli di una stessa madre ottenere la cittadinanza se nati dopo il 1o gennaio 1948 e che se la vedono rifiutare se nati prima.
Pur consapevoli della complessità del tema della cittadinanza e dell'esistenza di analoghe situazioni meritevoli di attenzione, come quelle relative al riacquisto della cittadinanza da parte di soggetti nati in Italia ma che poi l'hanno perduta per ragioni di lavoro all'estero, si è preferito mirare a una soluzione precisa e diretta del problema legato alla sentenza della Corte di cassazione per evitare che la necessità e l'urgenza di una soluzione tanto attesa e giusta possano andare incontro a ulteriori ragioni di ritardo.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Dopo il comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è inserito il seguente:
«1-bis. È cittadino:
a) la donna cittadina italiana per nascita che ha perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con uno straniero contratto prima del 1o gennaio 1948;
b) il figlio della donna di cui alla lettera a), benché deceduta, anche se nato prima del 1o gennaio 1948;
c) i figli di padri o di madri cittadini, anche se nati prima del 1o gennaio 1948».
Art. 2.
1. Il comma 2 dell'articolo 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:
«2. Per acquistare la cittadinanza ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 1 gli aventi diritto presentano una dichiarazione in tale senso al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare. La dichiarazione è corredata della documentazione prevista da un apposito decreto del Ministro dell'interno, emanato di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale».