XVII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 3343
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PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
FIANO, CIMBRO, VERINI, ALBANELLA, AMATO, ARGENTIN, ARLOTTI, BLAZINA, BONOMO, BRAGA, BRANDOLIN, CANI, CAPONE, CARRESCIA, CASATI, CENNI, COSCIA, CRIVELLARI, D'OTTAVIO, DI SALVO, FEDI, KRONBICHLER, CINZIA MARIA FONTANA, FREGOLENT, GADDA, GARAVINI, GASPARINI, GHIZZONI, GIACOBBE, GRASSI, GRIBAUDO, IACONO, LA MARCA, LACQUANITI, LAFORGIA, LATTUCA, LODOLINI, MALPEZZI, MANFREDI, MANZI, MARCHI, MELILLA, META, MINNUCCI, MONGIELLO, MORANI, MORETTO, MURA, NACCARATO, NARDI, NARDUOLO, GIUDITTA PINI, PORTA, PRINA, ROMANINI, GIOVANNA SANNA, SBROLLINI, SCHIRÒ, SCUVERA, SENALDI, TERROSI, VICO, ZAMPA, ZAN
Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista
Presentata il 2 ottobre 2015
Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge mira a introdurre nel codice penale una nuova fattispecie relativa al reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. Senza voler toccare, infatti, le normative speciali già vigenti in materia, ossia la legge 20 giugno 1952, n. 645 (cosiddetta legge Scelba), e il decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (cosiddetta legge Mancino), l'obiettivo della proposta di legge è quello di delineare una nuova fattispecie che consenta di colpire solo alcune condotte che individualmente considerate sfuggono alle normative vigenti. La legge Scelba, ad
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esempio, colpisce a vario titolo le associazioni e i gruppi di persone volti a riorganizzare il disciolto partito fascista e in particolare la costituzione di un'associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque che persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolgendo la sua attività all'esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compiendo manifestazioni esteriori di carattere fascista.
Tuttavia, sembrano sfuggire alle maglie di queste fattispecie di reato comportamenti talvolta più semplici o estemporanei, come ad esempio può essere il cosiddetto saluto romano che, non essendo volti necessariamente a costituire un'associazione o a perseguire le finalità antidemocratiche proprie del disciolto partito fascista, finiscono per non essere di per sé solo sanzionabili. Nonostante, infatti, vi siano numerose sentenze della Corte di cassazione (da ultimo la sentenza n. 37577 emessa dalla prima sezione penale il 12 settembre 2014) che hanno confermato che il saluto romano è un gesto perseguibile sulla base della legislazione vigente, bisogna anche tenere conto che ad esempio di recente, nel marzo 2015, il tribunale di Livorno ha assolto quattro tifosi scaligeri ripresi dalle telecamere nell'atto di compiere il saluto romano durante la partita di calcio Livorno-Hellas Verona del 3 dicembre 2011, valida per il campionato di serie B. Il giudice livornese, infatti, dopo aver ricostruito il quadro storico in cui sono state approvate la legge Mancino e la legge Scelba, cui la prima fa riferimento, ha ritenuto che il fatto non costituisca reato in quanto ai fini della sussistenza dello stesso è imprescindibile che il comportamento censurato determini un pericolo concreto e attuale di riproposizione di quei movimenti in tutte le sue forme e che il saluto romano non costituisce reato poiché «non è punibile il gesto in sé». Pertanto anche gli orientamenti non uniformi della diversa giurisprudenza sembrano confermare l'opportunità di un intervento normativo che colpisca in maniera inequivoca l'espressione di un gesto così inequivocabilmente legato, ad esempio, alla retorica del passato regime fascista.
Altrettanto grave e non derubricabile a un mero fatto di folklore è tutta la complessa attività commerciale che ruota intorno alla vendita e al commercio di gadget o, ad esempio, a bottiglie di vino riproducenti immagini, simboli o slogan esplicitamente rievocativi dell'ideologia del regime fascista o nazifascista.
Sono ormai frequenti i fatti di cronaca che riportano la denuncia e lo sconcerto da parte di turisti in viaggio nel nostro Paese che si trovano di fronte a vetrine che pubblicamente espongono oggetti o immagini che si richiamano a tali ideologie. Da qui l'esigenza di prevedere una fattispecie aggiuntiva nel codice penale, all'interno dei delitti contro la personalità dello Stato, di cui al titolo I del libro secondo, che punisca chiunque propagandi le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiami pubblicamente la simbologia o la gestualità.
Altrettanto importante è l'aggravante di pena derivante dall'aver commesso il fatto attraverso strumenti telematici o informatici: non c’è dubbio, infatti, che la propaganda di determinate condotte ha ormai trovato un terreno privilegiato attraverso le nuove tecnologie che consentono con pochi click di veicolare messaggi, immagini o simboli a una platea di destinatari certamente sconosciuta ai tempi in cui fu approvata la legge Scelba.
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PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Nel capo II del titolo I del libro secondo del codice penale, dopo l'articolo 293 è aggiunto il seguente:
«Art. 293-bis. – (Propaganda del regime fascista e nazifascista). – Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici».