CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 21 ottobre 2010
385.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per il regolamento
COMUNICATO
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Giovedì 21 ottobre 2010. - Presidenza del Presidente Gianfranco FINI.

La seduta comincia alle 16.35.

Comunicazioni del Presidente concernenti la disciplina regolamentare e la relativa prassi applicativa in materia di limiti di correttezza degli interventi e relative conseguenze sul piano procedurale e disciplinare.

Gianfranco FINI, Presidente, ricorda che questa riunione della Giunta per il Regolamento fa seguito a quella dell'ufficio di presidenza del 7 ottobre scorso in cui sono stati esaminati gli episodi avvenuti in Assemblea nelle sedute del 30 luglio, 29 e 30 settembre 2010 e concernenti espressioni utilizzate dagli onorevoli Di Pietro e Barbato. In tale sede è stato constatato un progressivo scadimento del linguaggio parlamentare, tale da rendere opportuno un intervento, anche eventualmente sul piano regolamentare, volto a precisare in modo più puntuale i limiti di correttezza del dibattito parlamentare e le conseguenze sul piano procedurale e disciplinare.
La Giunta è chiamata dunque a procedere alla verifica delle norme vigenti e dei relativi indirizzi applicativi, contenuti in particolare nel parere della Giunta del 24 ottobre del 1996, in vista di un loro possibile adeguamento. Tale verifica riguarda i seguenti profili:
1. le fattispecie rilevanti ai fini delle conseguenze disciplinari, con particolare riferimento alle espressioni ingiuriose o offensive;
2. le conseguenze sul piano disciplinare derivanti dalla violazione delle regole di correttezza nello svolgimento degli interventi;
3. la procedura da seguire in seno all'ufficio di presidenza ai fini delle determinazioni sulle sanzioni.

Rappresenta come il suo intervento sia diretto a dar conto di una ricognizione della disciplina vigente, ricavabile dalle norme e dalla prassi, mentre sarà rimessa all'esito del dibattito in Giunta ogni valutazione circa l'adeguatezza o meno dell'impianto normativo vigente e, conseguentemente, circa la necessità o meno di eventuali modifiche.

1. Le fattispecie rilevanti ai fini delle conseguenze disciplinari.

L'articolo 59 sanziona l'uso di «parole sconvenienti» con il richiamo all'ordine da parte del Presidente; nel successivo articolo 60 si prevede che dopo un secondo

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richiamo all'ordine avvenuto nello stesso giorno (in relazione alle ipotesi di cui all'articolo 59) ovvero, nei casi più gravi, anche indipendentemente da un precedente richiamo, il Presidente possa disporre l'esclusione dall'Aula per il resto della seduta, se un deputato ingiuria uno o più colleghi o membri del Governo. Infine il comma 3 del medesimo articolo 60 prevede che il Presidente della Camera possa proporre all'ufficio di presidenza la censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da due a quindici giorni di seduta se un deputato usa espressioni ingiuriose nei confronti delle istituzioni o del Capo dello Stato.
Il parere della Giunta per il Regolamento del 24 ottobre 1996, sullo svolgimento di richiami al Regolamento o per l'ordine dei lavori e sull'osservanza dei limiti di correttezza negli interventi, chiarisce inoltre che è «dovere della Presidenza assicurare che la libera manifestazione del pensiero e della critica non vada mai disgiunta dall'impiego dei modi corretti e delle forme appropriate al linguaggio parlamentare, e non abbia quindi a trascendere nella diffamazione personale o nel vilipendio di organi dello Stato. Essa richiamerà quindi, a norma dell'articolo 59 ...del Regolamento, i deputati che pronunzino parole sconvenienti, tali intendendosi anche le espressioni ingiuriose e le insinuazioni atte ad offendere, a recare discredito o comunque a ledere persone o istituzioni».
Come si vede, il quadro regolamentare - pur se in maniera poco organica sul piano dell'intreccio delle fonti e della complessiva sistematica dispositiva - fornisce un panorama concreto per qualificare le fattispecie sanzionabili e ricondurle alle previsioni del Regolamento. La formulazione delle fattispecie in termini generali e astratti è in effetti indispensabile a consentirne un'applicazione ragionevole e tale da ricomprendere il maggior numero possibile di espressioni ingiuriose o offensive.
È chiaro che la valutazione in concreto circa la riconducibilità di un'espressione alla fattispecie descritta dalle norme è rimessa - nel quadro dell'esercizio dei poteri di moderazione e direzione della discussione che il Regolamento gli affida - al Presidente di turno, che, oltre alle parole in sé ed alla loro portata offensiva, è chiamato a valutare il contesto nel quale esse sono state espresse, le relative modalità e le conseguenze sull'ordinato andamento della seduta. Si tratta di una valutazione delicata, considerando che, come chiarito nel parere della Giunta del 1996:
è dovere della Presidenza garantire nei dibattiti parlamentari la più ampia espressione della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica e di denunzia politica e, allo stesso modo, assicurare che tali fondamentali diritti siano esercitati nella forma adeguata al ruolo costituzionale del Parlamento;
tale libertà non deve infatti trasformarsi in arbitrario strumento per ledere diritti e posizioni soggettive, di persone fisiche e giuridiche come di organi dello Stato, parimenti garantiti da norme di rango costituzionale;
stante la tutela accordata dall'articolo 68 della Costituzione alla libertà di espressione dei parlamentari, tale principio generale deve essere fatto valere con particolare rigore a tutela dei soggetti esterni che, non essendo parlamentari, non possono avvalersi del diritto di replica né degli strumenti che i deputati possono attivare quando, nel corso di una discussione, siano accusati di fatti che ledano la loro onorabilità (v. articolo 58 del Regolamento della Camera).

In proposito va ricordato che la Corte costituzionale (sentenza n. 379 del 1996) ha collegato l'autonomia costituzionale delle Camere alla capacità dei rispettivi ordinamenti interni di regolare interamente i comportamenti posti in essere dai loro componenti: ove ciò avvenga, risultano cedevoli, rispetto al richiamato principio costituzionale, le qualificazioni giuridiche di tali comportamenti previste dall'ordinamento esterno e i relativi effetti.

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2. Le conseguenze sul piano disciplinare derivanti dalla violazione delle regole di correttezza nello svolgimento degli interventi.

Il Regolamento prevede, quali conseguenze sul piano disciplinare derivanti dalla violazione delle regole di correttezza nello svolgimento degli interventi:
a) sanzioni applicabili nell'immediatezza del fatto da parte del Presidente di turno (richiamo all'ordine, interdizione della parola, esclusione dall'Aula), nell'ambito dei suoi poteri di direzione e moderazione della discussione;
b) sanzioni disciplinari di competenza dell'ufficio di presidenza.

Il Regolamento distingue le sanzioni applicabili in relazione alle diverse fattispecie:
richiamo all'ordine: è previsto quando un deputato pronunzi parole sconvenienti oppure turbi col suo contegno la libertà delle discussioni o l'ordine della seduta (articolo 59, comma 1);
interdizione della parola: il Regolamento la contempla formalmente all'articolo 39, comma 3 (quindi, a rigore, al di fuori della parte dedicata alle sanzioni disciplinari, anche se può certamente farsi rientrare in tale ambito); essa riguarda l'oratore che, richiamato due volte alla questione, seguiti a discostarsene;
esclusione dall'Aula: è prevista - dopo un secondo richiamo all'ordine avvenuto nello stesso giorno, ovvero, nei casi più gravi, anche indipendentemente da un precedente richiamo - quando un deputato ingiuri uno o più colleghi o membri del Governo (articolo 60, comma 1);
censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari: è prevista se un deputato faccia appello alla violenza, o provochi tumulti, o trascorra a minacce o a vie di fatto verso qualsiasi collega o membro del Governo, o usi espressioni ingiuriose nei confronti delle istituzioni o del Capo dello Stato.

Per quanto riguarda le sanzioni applicabili in Aula, la prassi ha superato la distinzione fra le diverse fattispecie:
in generale, ha consentito di applicare i diversi strumenti sanzionatori anche al di là delle fattispecie enucleate dalla lettera del Regolamento: ad esempio, l'esclusione dall'Aula - indipendentemente dai previi richiami - è stata disposta anche in presenza di espressioni irriguardose nei confronti della Presidenza; sono inoltre considerate sanzionabili in Assemblea tutte le affermazioni offensive suscettibili di sanzioni da parte dell'Ufficio di Presidenza ai sensi dell'articolo 60, anche se formalmente non richiamate fra quelle passibili di richiamo.
In sostanza, è rimessa alla Presidenza di turno l'applicazione in Aula delle varie sanzioni, graduandole in relazione alla gravità delle espressioni volta per volta utilizzate ed alla loro portata offensiva o turbativa dell'ordine della seduta.
Inoltre, è stata attribuita al Presidente la facoltà di interdire la parola all'oratore quale strumento di carattere generale volto ad impedire, ove necessario, la prosecuzione di interventi sconvenienti o offensivi. È evidente, infatti, che tali espressioni sono di per sé estranee all'oggetto della discussione: ricordo a questo riguardo che la Corte costituzionale ha precisato che «i Regolamenti parlamentari negano ingresso nei lavori delle Camere agli scritti o alle espressioni »sconvenienti«» e che «l'uso del turpiloquio non fa parte del modo di esercizio delle funzioni parlamentari» (sentenza n. 249 del 2006).

Ricorda di avere sottolineato in una lettera dell'11 ottobre 2010 ai Vicepresidenti della Camera, di cui ha dato lettura all'Assemblea il successivo 13 ottobre, la necessità che, in coerenza con tale quadro normativo e di prassi, sia data applicazione con la massima fermezza ai principi regolamentari vigenti; ricorda altresì di

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aver rivolto un invito in tal senso anche ai Vicepresidenti della Camera affinché, nel presiedere l'Assemblea, esercitino il massimo rigore nel garantire che nei dibattiti siano sempre impiegati modi corretti e forme appropriate al linguaggio parlamentare. In questo contesto, ha chiarito che la Presidenza di turno dovrà:
tempestivamente richiamare, ai sensi degli articoli 39, comma 3, 59, comma 1, e 60, commi 1 e 2, del Regolamento, il deputato che pronunzi parole sconvenienti, ivi comprese le espressioni che trascendono nella diffamazione personale o nel vilipendio di organi costituzionali, nonché le espressioni volgari, quelle ingiuriose e le insinuazioni atte ad offendere, a recare discredito o comunque a ledere persone o Istituzioni: tali espressioni, infatti, non potendo essere ammesse nel dibattito parlamentare, sono da considerarsi di per sé estranee all'oggetto della discussione;
conformemente poi agli indirizzi affermatisi anche in precedenti legislature - ed in coerenza con una lettura sistematica delle norme, anche alla luce della prassi - togliere la parola all'oratore, anche indipendentemente da precedenti richiami, quando ciò risulti necessario in relazione al contenuto delle espressioni utilizzate.

Per quanto riguarda le sanzioni interdittive, l'articolo 60, comma 3, del Regolamento prevede alcune specifiche fattispecie in relazione alle quali il Presidente della Camera può proporre all'Ufficio di Presidenza l'irrogazione di sanzioni a carico di deputati. Osserva come i precedenti, peraltro, dimostrino che le fattispecie indicate dalla norma non esauriscono le espressioni sanzionabili (espressioni ingiuriose nei confronti delle istituzioni o del Capo dello Stato): infatti l'Ufficio di Presidenza ha adottato provvedimenti a carico di deputati che abbiano pronunciato espressioni non riconducibili letteralmente alle fattispecie indicate (in particolare sono stati oggetto di censura gli insulti diretti ad altri deputati, al Presidente di turno, a membri del Governo). La prassi ha altresì consentito di configurare, talvolta, come circostanze aggravanti alcune situazioni, quali la reiterazione, il rivestire un incarico di particolare responsabilità e la concomitante trasmissione televisiva diretta. Essa inoltre ha visto applicare, oltre alla sanzione tipica della censura con interdizione dai lavori parlamentari, anche la semplice censura senza interdizione di cui è data, di regola, comunicazione anche all'Assemblea. Infine, la prassi ha previsto ulteriori interventi atipici dell'Ufficio di Presidenza, volti a stigmatizzare anche espressioni ingiuriose o offensive, quali le lettere di deplorazione o di richiamo indirizzate ai deputati interessati. Tali lettere sono state talvolta inviate anche ai rispettivi Presidenti di Gruppo, in ragione delle responsabilità di cui sono titolari, o anche, per conoscenza, a tutti i deputati.

3. La procedura in seno all'Ufficio di Presidenza ai fini delle determinazioni sulle sanzioni.

Il Regolamento (articolo 60, comma 3), per le sanzioni a carattere interdittivo, rimette al Presidente della Camera la formulazione di proposte su cui delibera l'Ufficio di Presidenza. La procedura delineata dalla prassi è la seguente:
a) la sottoposizione all'ufficio di presidenza di comportamenti tenuti da deputati ai fini dell'applicazione di sanzioni disciplinari è rimessa al Presidente della Camera, eventualmente su iniziativa di singoli deputati o di Gruppi parlamentari.
b) L'istruttoria sui fatti sottoposti all'Ufficio di Presidenza, per prassi consolidata, è affidata al Collegio dei deputati Questori, ad eccezione di alcuni limitati casi in cui l'Ufficio di Presidenza è stato convocato ad horas.
L'istruttoria affidata ai deputati Questori comprende, in primo luogo, la ricostruzione degli episodi, che viene svolta dal Collegio, con il supporto degli Uffici, avvalendosi dei resoconti stenografici di seduta, delle relazioni degli assistenti parlamentari e delle riprese audiovisive.

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L'istruttoria può inoltre includere l'audizione dei deputati interessati, che può essere svolta dal Collegio anche in luogo dell'ufficio di presidenza, salva ovviamente la possibilità di procedervi in sede di ufficio di presidenza.
Ad esito dell'istruttoria svolta, il Collegio dei deputati Questori, secondo una prassi che si è andata formando nel corso della XIV legislatura, formula di norma una valutazione circa la riconducibilità degli episodi alle fattispecie disciplinari previste dai commi 3 e 4 dell'articolo 60 del Regolamento e, in caso positivo, una ipotesi di proposta circa la sanzione da irrogare, che viene rimessa alla valutazione dell'ufficio di presidenza e del Presidente, al quale in ogni caso spetta formulare la proposta motivata da mettere in votazione al termine del dibattito. Le conclusioni del Collegio dei deputati Questori sono, di norma, assunte all'unanimità.
Per quanto riguarda i limiti di competenza del Collegio, informa che il deputato Questore Colucci, con lettera dello scorso 14 ottobre, ha rilevato che, se è condivisibile la prassi di affidare al Collegio dei deputati Questori l'istruttoria su fatti violenti o tumulti in Aula, in quanto ciò è senz'altro ricollegabile al compito affidato al Collegio dall'articolo 10, comma 2, del Regolamento di sovrintendere al mantenimento dell'ordine nelle sedi della Camera, essa appare più discutibile quando gli episodi consistano nell'uso di espressioni sconvenienti, riportate nel resoconto stenografico e che devono essere solo valutate sotto il profilo della rilevanza disciplinare. L'on. Colucci ha chiesto di sottoporre la questione alla Giunta, cosa che la Presidenza fa, trattandosi di rilievi meritevoli senz'altro di essere presi in considerazione nell'ambito della valutazione complessiva del quadro regolamentare vigente.
c) La discussione in ufficio di presidenza è avviata dalla relazione del Collegio dei deputati Questori. In questa fase l'ufficio di presidenza, ove ci si orienti verso l'applicazione delle sanzioni, può procedere all'audizione del deputato interessato, anche se già ascoltato dal Collegio. Come chiarito in un precedente (ufficio di presidenza del 5 dicembre 2006), l'audizione, sia da parte del Collegio dei deputati Questori, sia in sede di ufficio di presidenza, riguarda i soli deputati coinvolti negli episodi oggetti di esame, non essendo ammesso l'intervento di altri soggetti in loro rappresentanza (es.: il Presidente di gruppo).
d) La proposta di sanzioni è formulata dal Presidente della Camera - cui il Regolamento rimette in via esclusiva tale potere - normalmente al termine del dibattito, ascoltata la relazione del Collegio dei Questori e sulla base delle relative conclusioni. La formulazione della proposta da parte del Presidente è il presupposto perché l'ufficio di presidenza possa deliberare sull'irrogazione delle sanzioni.

Nel sottoporre dunque ai membri della Giunta questa ricognizione delle norme vigenti e della prassi, chiede di conoscerne gli orientamenti al fine di poter formulare anche una proposta di carattere metodologico sul prosieguo dei lavori.

Gianclaudio BRESSA rileva come la sola lettura del punto all'ordine del giorno dell'odierna seduta della Giunta da parte di uno spettatore ignaro dei concreti accadimenti della vita parlamentare potrebbe indurre l'idea che la Giunta sia chiamata ad una discussione sulle regole interne in relazione a riflessioni profonde e motivate sull'evoluzione del linguaggio. La formulazione del tema all'ordine del giorno sembrerebbe infatti evocativa di idee e contributi elaborati sul tema della lingua da insigni intellettuali nel corso del Novecento: da Chomsky a De Mauro, senza dimenticare, in ambito mitteleuropeo, Elias Canetti, con le sue opere «La lingua salvata» e «La coscienza delle parole», sublimi ritratti storici di un secolo, attraverso gli idiomi europei e i discorsi dei suoi protagonisti.
La discussione odierna trae, invece, origine, più prosaicamente, dalle espressioni utilizzate nel corso di una discussione da un collega che ha definito il Presidente del Consiglio «stupratore della

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democrazia». Espressione che certamente egli non avrebbe mai usato - e che non adopererà mai - anche nella consapevolezza che sovente si fa un ricorso leggero a parole pesanti (stupro, cancro, metastasi, eccetera), del tutto immemori della sofferenza e della violenza che possono evocare. Espressione che gli è del tutto estranea al pari del linguaggio di chi considera una donna «più bella che intelligente» ovvero ritiene che sotto il fascismo il welfare fosse garantito anche agli oppositori con piacevoli soggiorni nelle isole del Mediterraneo, manifestazioni di un linguaggio che giudica altrettanto brutale e offensivo.
La previsione di una riflessione sulla disciplina regolamentare e la relativa prassi applicativa in materia di limiti di correttezza degli interventi e relative conseguenze sul piano procedurale e disciplinare, e cioè in concreto sull'apparato sanzionatorio del Regolamento della Camera, segnala, comunque si voglia intendere, una condizione di crisi della qualità del dibattito democratico nel nostro paese, la cui dimensione fisiologica contemplerebbe solo in via eccezionale e, quindi, solo come extrema ratio, l'applicazione della disciplina sanzionatoria; che si renda quindi necessario riflettere su un eventuale adeguamento delle norme sanzionatorie, in senso evidentemente restrittivo, è circostanza che non può non destare, a suo avviso, in linea generale una certa preoccupazione.
Non sfugge, infatti, la portata sistematica di questo genere di riflessione, che finisce per incrociare inevitabilmente da una parte il tema dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, e, dall'altra, l'esercizio della funzione parlamentare, e cioè due veri e propri capisaldi degli ordinamenti democratici: con l'ulteriore corollario che alle opinioni espresse nell'esercizio del mandato elettivo la nostra Costituzione accorda la tutela massima dell'insindacabilità.
Il punto di partenza correttamente sottolineato già nella citata lettera del Presidente della Camera ai Vicepresidenti è «il progressivo scadimento del linguaggio parlamentare» che indurrebbe a riflettere sulla necessità di un intervento anche sul piano regolamentare al fine di «definire in modo più puntuale i limiti di correttezza del dibattito parlamentare e le conseguenze sul piano procedurale e disciplinare». A tal fine, ricorda la Presidenza nella suddetta lettera, si prenderanno in considerazione due profili: quello dei poteri della Presidenza nel corso della seduta per la direzione e la moderazione della discussione e quello delle conseguenze sul piano disciplinare delle violazioni delle regole di correttezza.
Quanto alla constatazione del precipitare del livello del linguaggio parlamentare, ad esso non può ritenersi indifferente un generale processo di involgarimento della vita pubblica nel suo complesso, che non manca di riflettersi nelle aule parlamentari, non impermeabili all'evoluzione (o involuzione) dei costumi. In questo contesto bisogna certamente mantenere la necessaria lucidità per difendere e preservare con forza la dignità delle sedi e delle istituzioni che al massimo grado esprimono la vita democratica, nella consapevolezza anche del valore simbolico che esse rivestono, e la cui integrità risulta lacerata sia quando la dialettica degeneri in invettiva ed ingiuria e, certamente non di meno, quando al loro interno si consumino episodi di gusto che è eufemistico definire men che discutibile (si riferisce ad alcune scene non proprio edificanti consumatesi nella passata legislatura nell'altro ramo del Parlamento dove, in un'occasione, si arrivò a stappare bottiglie di vino e a banchettare con fette di mortadella). Di fronte a queste scene, alcune «colorite» espressioni utilizzate nei dibattiti alla Camera - e che non mancano pure di scandalizzarlo - appaiono comparativamente frasi da educande.
Cionondimeno, tuttavia, nelle aule parlamentari il confronto tra le diverse forze politiche deve comunque potersi dispiegare al massimo grado, anche quando non rispetti i crismi di un felpato o ovattato scambio di opinioni, per svolgersi, invece, su un piano dialettico più aspro e spigoloso. Questa esigenza è stata ben presente

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alla Camera fin da quando - per via di una sempre maggiore diffusione mediatica delle sue sedute (dirette televisive, canale satellitare, internet) - il tono delle sue discussioni, specie nei momenti di maggiore tensione politica (nell'aula, come nel paese), si è andato inasprendo.
Proprio il parere approvato all'unanimità dalla Giunta per il Regolamento il 24 ottobre 1996, nella XIII legislatura, non mancò di sottolineare - quale premessa del suo dispositivo - come la particolare tutela che l'articolo 68 della Costituzione accorda alla libertà di espressione dei parlamentari sia «fondamentale guarentigia di indipendenza nell'esercizio della rappresentanza politica» e come sia «dovere della Presidenza garantire nei dibattiti parlamentari il pieno svolgimento della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica e di denunzia politica». Nella consapevolezza della natura di tale prerogativa dei membri del Parlamento, in quanto rappresentanti della sovranità popolare, il parere della Giunta - prima ancora di rafforzare i poteri sanzionatori o disciplinari e raggiungendo un punto di equilibrio che non pensa debba oggi essere rivisto - chiama in causa proprio l'autocontrollo dei deputati, laddove in particolare fa appello al senso di responsabilità dei titolari di tale prerogativa, «affinché essa non si trasformi in arbitrario strumento per ledere diritti e posizioni soggettive, di persone fisiche e giuridiche come di organi dello Stato, parimenti garantiti da norme di rango costituzionale».
Denegato ovviamente ogni diritto di cittadinanza in Parlamento al mero turpiloquio (conformemente a quanto suggerisce non solo il buon senso, ma la stessa univoca giurisprudenza della Corte costituzionale), il nodo centrale sta dunque nel bilanciamento fra diritti e valori fondamentali, dei quali non è facile stabilire una gerarchia: da una parte la sovranità popolare - cui si riagganciano l'autonomia costituzionale delle Camere, l'insindacabilità delle opinioni, la libertà del mandato parlamentare -; dall'altra il diritto all'onore di coloro che possono essere lesi da un intervento pronunciato in un'aula parlamentare o una più generale esigenza di difesa del ruolo e della dignità del Parlamento. Occorre infatti evitare che la tutela di questi pur fondamentali interessi possa comportare un affievolimento del diritto di critica e denunzia politica, anche quando esso, per scelta politica, si svolga con modi e toni del linguaggio di una certa sgradevolezza, che pure una inesorabile tendenza del linguaggio della società rende in qualche modo familiare.
Ciò tanto più in presenza della guarentigia dell'insindacabilità approntata dall'articolo 68 della Costituzione ed in presenza di una giurisprudenza parlamentare che - come è ampiamente noto - interpreta con la massima latitudine l'ambito di estensione di tale immunità. Infatti, se la Giunta per le autorizzazioni - almeno a partire dalla XV legislatura e fino ad adesso - sembra aver seguito il principio per il quale «non possono considerarsi collegabili alla funzione parlamentare le affermazioni e le dichiarazioni a stampa di carattere politico-parlamentare» che «debordino nell'insulto o nell'espressione che non sarebbe consentita nelle formali sedi della Camera» (vedi i criteri stabiliti nelle sedute della Giunta delle autorizzazioni del 4 aprile 2007 e del 14 gennaio 2009), essa ha seguito invece un orientamento piuttosto ampio in ordine al collegamento delle affermazioni fatte dal deputato anche extra moenia con l'esercizio delle funzioni parlamentari.
Porta ad esempio, quindi, una serie di espressioni in relazione alle quali la Giunta per le autorizzazioni - della quale fanno parte con autorevolezza gli onn. Leone e Gava, che siedono parimenti nella Giunta per il Regolamento - ha riconosciuto l'applicabilità dell'articolo 68 della Costituzione e che danno il segno dell'estensione massima riconosciuta dall'organo parlamentare al concetto di opinione espressa dai parlamentari.
Nel ricordare che l'insindacabilità parlamentare nasce con il Bill of Rights britannico del 1689, circoscritta alle sole cose dette o deliberate all'interno della Camera, osserva che il Costituente adottò non il criterio spaziale ma quello funzionale,

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ma, come si desume dai lavori preparatori, non certo per permettere che i membri del Parlamento potessero lasciarsi andare in comizi o interviste a espressioni non consentite all'interno delle Camere. Proprio durante i lavori preparatori il deputato Umberto Nobile considerò che l'immunità non dovesse essere eccessivamente lata per non consentire ai deputati di perdere il 'dominio di se stessi'.
Sottolinea poi la centralità che nella pronuncia della Giunta per il Regolamento del 1996 assume l'esigenza della tutela dei soggetti terzi, esterni alla Camera, i quali, come indica il parere della Giunta, risultano del tutto sprovvisti in ambito parlamentare sia del diritto di replica che degli altri strumenti a disposizione dei deputati quando nel corso delle discussioni parlamentari risulti lesa la loro onorabilità (come il giurì d'onore) e i quali, nell'ordinamento generale, sono sprovvisti oltretutto delle ordinarie forme di tutela giudiziaria (a causa dell'insindacabilità).
Giustamente questo aspetto è stato richiamato nel 1996 e riaffermato oggi nella lettera che il Presidente Fini ha inviato ai Vicepresidenti, lettera che riconduce a sistema il complesso delle fonti e delle prassi che governano la materia: in questo quadro, il rigore preannunziato dalla Presidenza appare quasi un atto dovuto, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 379 del 1996 che - nel riconoscere la piena vigenza del principio dell'autonomia delle Camere e dei loro ordinamenti interni - ha chiarito che, «allorché il comportamento di un componente di una Camera sia sussumibile, interamente e senza residui, sotto le norme del diritto parlamentare e si risolva in una violazione di queste, il principio di legalità ed i molteplici valori ad esso connessi, quali che siano le concorrenti qualificazioni che nell'ordinamento generale quello stesso comportamento riceva (illegittimità, illiceità, ecc.), sono destinati a cedere di fronte al principio di autonomia delle Camere e al preminente valore di libertà del Parlamento che quel principio sottende e che rivendica la piena autodeterminazione in ordine all'organizzazione interna e allo svolgimento dei lavori».
Osserva come i terzi - cioè i soggetti estranei alla Camera - non siano interlocutori nel dibattito in Aula, e la cura dei toni e dei contenuti delle espressioni ad essi rivolte dovrà essere quindi particolarmente elevata, ferma restando anche in questo caso la necessità di evitare la schizofrenia dell'adozione di un criterio rigoroso nelle Aule parlamentari, cui segua l'insindacabilità per le stesse affermazioni fatte dal parlamentare in piazza o sui giornali.
Cosa del tutto diversa sono gli attori politici protagonisti della vita parlamentare, quando al loro indirizzo siano rivolte nel corso delle discussioni parlamentari - sia pure con toni non condivisibili - censure e critiche. Al riguardo si invoca spesso l'esigenza che il prestigio e il decoro delle Istituzioni siano tutte difese, quelle del Presidente della Repubblica non diversamente da quelle del Presidente del Consiglio, organo di vertice dell'Esecutivo. E che, in nome di questa esigenza, si debba reprimere qualunque affermazione ritenuta offensiva.
È cosa del tutto ovvia che il Governo, quale organo complesso costituzionale, rientri nel novero delle Istituzioni repubblicane, ma non si può non constatare una sua intrinseca differenza da altre istituzioni ed in particolare (ma non solo, ovviamente) da quelle di garanzia, come il Presidente della Repubblica o la Corte costituzionale. Il Governo, attraverso i suoi esponenti, è infatti parte attiva della dinamica politica, alla quale le sopra richiamate istituzioni di garanzia risultano invece del tutto estranee: nessuno si meraviglia che il Presidente del Consiglio o i ministri intervengano attivamente nel dibattito politico, tengano conferenze stampa o comizi, così come non ci si deve sorprendere se risultano, a loro volta, destinatari di polemiche dure e toni accesi. Questo tipo di confronto è parte integrante del dibattito politico, dove la contendibilità della titolarità dell'Esecutivo, che dipende ovviamente dal consenso elettorale, comporta

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un confronto politico nel quale, anche se non certamente auspicabili, anche toni molto polemici devono ritenersi ammissibili in quanto parte del diritto di critica. In questo senso ipotizza un parallelismo tra il confronto democratico e il garantismo: se per quest'ultimo è meglio un colpevole fuori che un innocente dentro, anche per la democrazia è meglio una censura in meno che una forma discutibile di opinione politica in più.
Questo complesso di considerazioni lo induce ad esprimere apprezzamento per i contenuti della lettera che il Presidente Fini ha inviato ai Vicepresidenti della Camera, poiché essa - riconducendo in un quadro organico e sistematico il complesso delle norme e delle prassi affermatesi in materia - si muove comunque nella stessa logica che ha ispirato il parere della Giunta del 1996, che costituisce, a suo avviso, il massimo punto di approdo cui la riflessione su questa delicata materia può giungere. La riflessione che si avvia in Giunta per il Regolamento - in un'ottica tesa ad evitare lo svilimento della qualità dei dibattiti parlamentari e ad evitare il loro scivolamento verso registri del tutto incongrui con la dignità e la solennità che ancora oggi devono contraddistinguere le aule parlamentari - non potrà quindi prescindere dalla piena garanzia di effettività dei diritti del Parlamento, altrettanto fondamentali per la tenuta complessiva del sistema democratico.
In conclusione desidera richiamare la forza di altre Istituzioni parlamentari, a cominciare da quella inglese nella quale, come è noto alle cronache, anche personaggi quali Winston Churchill si sono lasciati andare ad espressioni qui irripetibili, e che da queste non è stata certamente scalfita: ciò a significare che la qualità delle istituzioni dipende anche dalla qualità delle persone che la incarnano. Per questo motivo ritiene che nessuna responsabilità possa essere caricata sul Regolamento della Camera in questa materia, riconoscendosi invece altrove, e in capo ad altri soggetti, le responsabilità.

Gianfranco FINI, Presidente, sottolinea come il suo intervento introduttivo mirasse ad una ricognizione della disciplina vigente in materia, al fine di conoscere le valutazioni dei membri della Giunta. Ritiene che, data la complessità della materia e considerate anche le rilevanti riflessioni già formulate dall'on. Bressa, si potrebbe prevedere un aggiornamento dei lavori della Giunta ad una successiva seduta, verificando in proposito se saranno presentate proposte di modifica della disciplina vigente.

Giuseppe CALDERISI concorda su questa proposta metodologica del Presidente. Al fine di sgombrare il campo da equivoci cui potrebbe dar luogo l'intervento dell'on. Bressa, precisa che - come è ovvio - tema della discussione in Giunta non possono che essere i limiti di correttezza degli interventi parlamentari e le relative conseguenze sul piano procedurale e disciplinare, e non certo il livello del linguaggio della politica o dei deputati fuori dalle aule parlamentari, ciò che, evidentemente, esula dalle competenze della Giunta. Ritiene che, allo stato, le norme regolamentari e gli indirizzi applicativi sono più che adeguati e chiari: semmai, si potrebbe rilevare uno scarto, talvolta, fra la chiarezza della disciplina normativa e le sue applicazioni (o la sua mancata applicazione). È certo che bisogna garantire la massima libertà di manifestazione del pensiero ai deputati, il punto essendo che gli interventi non devono scadere nell'ingiuria o nelle espressioni sconvenienti: da questo punto di vista, rileva che in qualche caso si sono dati eccessi, di fronte ai quali è necessario maggiore rigore nell'applicazione delle norme. Ciò, in particolare, durante le dirette televisive. In questo senso ritiene particolarmente appropriato il rinvio allo strumento dell'interdizione della parola, di cui all'articolo 39, comma 3, del Regolamento, da porre in essere anche in mancanza di previi richiami.
In vista della prossima riunione della Giunta su questo punto, si riserva comunque di valutare se formulare eventuali

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ipotesi di modifica della disciplina vigente o di integrazione degli indirizzi applicativi.

David FAVIA, nel ringraziare la Presidenza per l'approfondita ricostruzione del quadro normativo e delle relative prassi applicative, si riserva di sviluppare il proprio ragionamento nella prossima seduta della Giunta per il Regolamento. Desidera tuttavia chiarire fin da subito la sua contrarietà a qualsiasi ipotesi di intervento sulle norme e sugli indirizzi interpretativi riferiti alla correttezza delle espressioni ed alle conseguenze disciplinari: ritiene infatti del tutto adeguato il vigente apparato normativo. Se pure possono esservi gli scarti richiamati dal collega Calederisi, ciò non è certo imputabile alle norme ma alla loro applicazione, sulla quale richiama peraltro la necessità di lasciare sempre adeguato spazio alla discrezionalità della Presidenza.
Al riguardo, richiama l'attenzione sull'esigenza di tutela della libertà di manifestazione del pensiero. Come noto, si tratta di un principio costituzionale che assume contorni molto ampi quando opera nel campo della politica: così lo interpreta la giurisprudenza ordinaria e le deliberazioni parlamentari sull'insindacabilità delle opinioni espresse.
Conclusivamente, condivide la proposta metodologica formulata dalla Presidenza, così come deve riconoscere quanto sia fondata la considerazione dell'onorevole Bressa circa il fatto che, rispetto agli episodi che hanno portato alla convocazione della Giunta, ben altri sono i fattori di degrado e le espressioni realmente ingiuriose cui si è dovuto assistere.

Antonio LEONE esprime il proprio dissenso rispetto all'impostazione del ragionamento svolto dall'onorevole Bressa che sembra non tenere conto dell'oggetto proprio della riflessione di competenza della Giunta, ossia le norme vigenti e la relativa prassi applicativa. In particolare va verificata l'idoneità di quest'ultima, anche alla luce dei recenti episodi, a tracciare una netta linea di confine (che certo non è ravvisabile nel Regolamento) fra espressioni configurabili come critica politica - che nessuno intende censurare - e quelle che invece appaiono ingiuriose, a prescindere dalla loro qualificazione penale. Questo e solo questo deve essere oggetto di riflessione in questa sede, nei termini e nei modi indicati dal Presidente, che dichiara di condividere.

Gianfranco FINI, Presidente, preso atto che vi è assoluta chiarezza su quale sia l'oggetto della riflessione introdotta con la sua relazione, e che la Giunta concorda sulle modalità metodologiche precedentemente esposte, rinvia il seguito del dibattito ad una successiva seduta.

La seduta termina alle 17.25.