ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00056

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 19
Seduta di annuncio: 176 del 11/10/2023
Abbinamenti
Atto 6/00053 abbinato in data 11/10/2023
Atto 6/00054 abbinato in data 11/10/2023
Atto 6/00055 abbinato in data 11/10/2023
Atto 6/00057 abbinato in data 11/10/2023
Atto 6/00058 abbinato in data 11/10/2023
Firmatari
Primo firmatario: ZANELLA LUANA
Gruppo: ALLEANZA VERDI E SINISTRA
Data firma: 11/10/2023
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
GRIMALDI MARCO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
BONELLI ANGELO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
BORRELLI FRANCESCO EMILIO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
DORI DEVIS ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
EVI ELEONORA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
FRATOIANNI NICOLA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
GHIRRA FRANCESCA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
MARI FRANCESCO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
PICCOLOTTI ELISABETTA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023
ZARATTI FILIBERTO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 11/10/2023


Stato iter:
11/10/2023
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 11/10/2023
Resoconto FRENI FEDERICO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 11/10/2023

NON ACCOLTO IL 11/10/2023

PARERE GOVERNO IL 11/10/2023

DICHIARATO PRECLUSO IL 11/10/2023

CONCLUSO IL 11/10/2023

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00056
presentato da
ZANELLA Luana
testo di
Mercoledì 11 ottobre 2023, seduta n. 176

   La Camera,

   premesso che:

    la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 alla stregua del Def 2023 risulta debole e rinunciataria e vede la luce in un quadro economico incerto, ma a differenza di quest'ultimo sembra fissare solo gli obiettivi programmatici senza entrare nel dettaglio delle politiche;

    le stime previsionali della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023, destinate a tracciare perimetro e ambiti di intervento della prossima manovra finanziaria per l'anno 2024, restituiscono, infatti, un messaggio politico ed economico abbastanza stringente ed inconfutabile: delineano una manovra economica costretta nella sua reale dimensione ed all'insegna dell'austerità e, soprattutto, inefficace da un punto di vista macroeconomico. Gran parte di essa dovrà fare i conti con una frenata del Pil, sarà pesantemente condizionata da un contesto macroeconomico e di finanza pubblica avversi, da un ritorno del Patto di Stabilità e da uno scenario internazionale ancora segnato da alti tassi d'interesse e inflazione fuori dagli argini, e quasi interamente assorbita dalle minori entrate fiscali previste dalla riforma fiscale, nell'ordine di 17 miliardi di euro, che inevitabilmente, condizionano l'allocazione delle risorse finanziarie destinate alla spesa pubblica che deve ridursi o non crescere di importo equivalente;

    con la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 il Governo ha rivisto e corretto, nell'ambito di un quadro economico sensibilmente mutato, le previsioni macroeconomiche e tendenziali di finanza pubblica riportate dal Documento di economia e finanza 2023 varato lo scorso mese di aprile 2023, basandosi sugli effetti di una intervenuta politica monetaria restrittiva influenzata dall'aumento dei tassi d'interesse, dalle nuove regole di politica fiscale a livello europeo, dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino e dalle prospettive di crescita di grandi Paesi esportatori quali la Germania e la Cina;

    nelle stime del Governo i suddetti effetti hanno comportato una modesta crescita dell'attività economica rispetto a quella prefigurata dalle stime interne per il secondo semestre 2023, frenando la previsione di crescita annuale Pil in termini reali rivista al ribasso di due decimi di punto percentuale rispetto al quadro programmatico riportato dal Def 2023, ossia dall'1,0 per cento allo 0,8 per cento. La stessa Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 prevede una caduta di mezzo punto percentuale del tasso di crescita nello scenario tendenziale per il 2024, che passa dall'1,5 per cento del Def 2023 all'1 per cento, lascia sostanzialmente invariata, ossia all'1,3 per cento, la proiezione tendenziale di crescita del Pil per il 2025 rispetto alla previsione del Def 2023 mentre vede migliorare marginalmente quella per il 2026 che passerebbe dall'1,1 per cento all'1,2 per cento;

    le suddette previsioni pur se al ribasso appaiono molto ottimistiche, se confrontate con la crescita recentemente prevista dalle principali istituzioni nazionali ed internazionali quali FMI, OCSE, Prometeia, Commissione europea, e sembrerebbero derivare da una scelta eccessivamente attendista rispetto all'esposizione del sistema macroeconomico italiano a rischi di varia natura, prevalentemente esogeni o di matrice internazionale, nel complesso orientati al ribasso. Il conflitto in corso alle porte dell'Unione europea continua, infatti, a rappresentare un rischio rilevante e anche se l'economia europea, nel suo complesso, sembra avere risentito limitatamente delle tensioni commerciali con la Russia, l'industria tedesca ha invece mostrato chiari segni di debolezza, che se persistenti inciderebbero fortemente sui sistemi produttivi integrati con la Germania come quello italiano;

    le nuove previsioni di crescita continuano ad incorporare la piena attuazione del PNRR anche se permangono dubbi anche rispetto all'integrale, tempestivo ed efficiente utilizzo da parte del governo dei fondi europei del programma NGEU, anch'essi alla base delle previsioni della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023. Nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 con l'aggiornamento delle proiezioni sull'utilizzo dei fondi si è proceduto a una rimodulazione della loro allocazione temporale da cui è scaturita una maggiore concentrazione della spesa negli anni finali del Piano, a partire dal 2024. Già nei primi due anni del programma l'attivazione di investimenti pubblici è stata modesta ed ha costretto il Governo a modificare significativamente il PNRR, inoltre, analogamente alle precedenti Note di aggiornamento, il Governo continua a spostare in avanti l'attivazione della spesa prevista. Di contro, in un contesto di inasprimento delle condizioni di accesso al credito, affinché lo stimolo all'attività produttiva sia significativo e duraturo occorrerebbe avanzare speditamente con l'attuazione degli interventi e con le riforme strutturali, anche se la concentrazione della realizzazione delle opere del PNRR nei due anni finali del programma finirebbe con l'alimentare strozzature nell'offerta, sia con riferimento alle competenze necessarie per gestire e avviare le opere, sia per lo spiazzamento di altri investimenti. Ne consegue che gli investimenti complessivi pur sostenuti dal PNRR saranno nel breve termine meno dinamici di quanto previsto nel Def e si fermeranno a 58.7 miliardi di euro, cioè il 7.8 per cento contro l'11,7 per cento rispetto a quanto preventivato in primavera;

    le previsioni della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 sembrano poggiare anche sull'attesa e netta flessione dell'inflazione nel prossimo anno, attesa condivisibile ma anch'essa gravata da diversi rischi connessi a variabili esogene basate sui prezzi dei mercati a termine delle materie prime a loro volta estremamente volatili, né si possono escludere nuovi shock correlati a strategie di offerta dei paesi produttori di petrolio. Inoltre, eventi climatici avversi, che in caso di eventi estremi possono nuocere direttamente al tessuto produttivo, o nuove tensioni geopolitiche, potrebbero spingere al rialzo le quotazioni all'ingrosso dei beni alimentari, che rapidamente si trasmetterebbero ai prezzi al consumo andando ad erodere il potere di acquisto delle famiglie;

    gli obiettivi di indebitamento, sui quali peraltro si baserà la prossima manovra di bilancio, sono stabiliti dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 al 5,3 per cento per cento del Pil per il 2023, con uno scostamento al rialzo di quasi un punto percentuale rispetto alle previsioni del DEF, che sembrerebbe giustificato dal tentativo del Governo di precostituirsi maggiori margini di manovra (in modo da incrementare la spesa in deficit per circa 15,7 miliardi e liberare una dote finanziaria di circa 10 miliardi di euro da destinare quasi certamente già dalla prossima manovra finanziaria al taglio del cuneo fiscale), per tornare al 4.3 per cento nel 2024, al 3,6 per cento nel 2025 e al 2,9 per cento nel 2026;

    la scelta del Governo di aumentare il deficit è stata criticata da coloro che, di contro, sostengono come lo stesso avrebbe dovuto mantenere gli obiettivi del Documento di economia e finanza di primavera 2023 per consentire una più rapida riduzione del debito in un momento come quello attuale in cui le condizioni sono ancora «relativamente» favorevoli;

    le politiche finanziate in deficit, alla luce delle regole UE, potrebbero diventare un problema per diversi governi europei, compreso quello italiano. Infatti, attualmente il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) è solo sospeso, mentre non è stata presa alcuna decisione definitiva sulla sua revisione. Pertanto, continua a pesare la grande incognita legata agli esiti e ai tempi della riforma della governance economica europea e conseguentemente alla possibilità, o meno, di un ritorno della disciplina fiscale pre-pandemia. A questo proposito va sottolineato che il debito pubblico italiano è aumentato, durante la fase pandemica, proprio per contrastare le sue conseguenze economiche e sociali (passando dal 134,1 per cento in rapporto al Pil nel 2019, al 154,9 per cento nel 2020, al 147,0 per cento nel 2021 e al 141,6 per cento nel 2022), e che attualmente il quadro di finanza pubblica è ulteriormente appesantito sia dall'aumento degli interessi sul debito pubblico che dal rallentamento del Pil;

    la progressiva marginalizzazione del ruolo pubblico nel governo dell'economia è certificato dal bassissimo scarto se non nullo tra lo scenario tendenziale e quello programmatico riportato alla pagina 16 Tav. 1:3 – Indicatori di finanza pubblica, della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023, con impatto pressoché nullo o irrilevante delle politiche economiche dell'attuale Governo nello sviluppo del Paese. In economia politica, infatti, la coincidenza di quadro tendenziale e quadro programmatico è sempre foriera della totale assenza di politiche d'intervento pubbliche, e disvelerebbe che il governo non abbia nessuna vera riforma in cantiere;

    in tale scenario macroeconomico la tempestiva ed efficace realizzazione dei progetti e degli interventi previsti dal PNRR rappresenta, oggi, la sola misura anticiclica su cui può fare affidamento l'economia italiana;

    se si analizza il contributo delle azioni programmatiche alla crescita nel triennio, rileva che è di corto respiro e di impatto del tutto neutrale rispetto alle esportazioni e alle scorte, mentre apporterebbe una crescita dello 0,2 per cento della domanda interna nel 2024, dello 0,1 per cento nel 2025 e una riduzione della domanda interna nel 2026. Nei fatti, tutte le azioni del Governo, tutto l'extra deficit e tutta la manovra puntano ad un obiettivo molto modesto, ovvero un lieve incremento di domanda, in massima parte lato consumi, attraverso una riduzione delle imposte;

    nel triennio – a causa dell'incremento dei rendimenti richiesti ai nostri titoli di Stato il costo del servizio del debito, rispetto agli interessi passivi pagati nel 2023 (78,3 miliardi), crescerà di 10 miliardi nel 2024, di 16 miliardi nel 2025 e di 25 miliardi nel 2026. La spesa per interessi sul debito è non solo improduttiva ma anche regressiva rispetto alle conseguenze che determina sull'allocazione della ricchezza, determinando un incremento dei rendimenti dei percettori delle relative rendite che sono tassate, con cedolare, al 12.5 per cento;

    l'obiettivo triennale di assestare il debito sotto il 140 per cento del Pil secondo la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023, sarà assicurato attraverso il ricorso alla dismissione del patrimonio pubblico (cosiddette «privatizzazioni»), o per usare le parole del Governo «a una gestione più dinamica delle partecipazioni pubbliche», un'operazione che vale un punto percentuale di Pil, ossia circa 23 miliardi di euro e grazie alla quale il governo conta di conseguire proventi pari ad almeno l'1 per cento del Pil nel solo triennio 2024-2026;

    nel 2023 per la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza le entrate sono incrementate di circa 46 miliardi di euro rispetto all'anno precedente, ma con una dinamica inferiore rispetto al Pil nominale, portando la pressione fiscale complessiva dal 42,7 per cento al 42,5 per cento. Le imposte dirette presentano una lieve crescita (+0,1 per cento), mentre a calare più nettamente sono i contributi sociali che si riducono di uno 0.3 per cento rispetto al Pil in ragione della decontribuzione per i lavoratori con salari fino a 35.000 euro. Le previsioni indicano che, negli anni dal 2024 al 2026, vi sarà una diminuzione (anche a politiche invariate) del gettito tributario, al netto di quel primo modulo della riforma fiscale che dovrebbe accorpare i primi due scaglioni IRPEF e portare al 23 per cento il livello di tassazione di tutti i redditi fino a 28.000 euro, con una perdita di gettito erariale pari a 4 miliardi di euro;

    la contrazione di gettito, nelle previsioni del Governo, sarebbe fronteggiata dalla revisione delle cosiddette tax expenditures sulla quale sarà necessario vigilare affinché non siano ridotti gli attuali benefici, in termini di detrazioni, riconosciuti a lavoratori e pensionati;

    sul fronte della spesa pubblica si prefigura una contrazione brutale sia in rapporto al Pil che in termini reali. Non adeguandola all'inflazione, infatti, la spesa pubblica si ridurrà in media del 10 per cento nel triennio 2023-2026 nei settori della sanità e della conoscenza;

    la non più eludibile espansione della spesa sanitaria può essere finanziata da un corrispondente definanziamento della spesa militare, riducendo sensibilmente il livello attuale di quest'ultima fissato dal Parlamento al 2 per cento del Pil;

    la spesa sanitaria, in percentuale del Prodotto interno lordo, mostra un trend decrescente dopo il picco toccato durante la pandemia. La novità è che la riduzione si consuma anche in termini nominali: tra il 2023 e il 2024, la spesa è prevista in calo da 134.7 miliardi di euro a 132,9, quasi 2 miliardi in meno. La spesa poi rimbalza, crescendo di quasi 4 miliardi nel 2025 e di altri 2 miliardi di euro nel 2026. Tutte variazioni che non tengono conto degli effetti dell'inflazione prevista dal governo (in termini reali, sull'orizzonte della previsione si arriva a una riduzione di circa 4 punti percentuali) che non possono minimamente essere fronteggiati neanche con i 4 miliardi di euro di risorse che libera con il ricorso allo scostamento dal percorso di rientro all'obiettivo di medio termine (OMT);

    continua pertanto, inasprendosi, il definanziamento del Servizio sanitario nazionale prefigurandosi una inaccettabile messa in discussione del diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione. Dopo l'incremento per contrastare la pandemia che ha portato, nel 2020, la spesa sanitaria pubblica al 7,4 per cento del PIL, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 oltre alla revisione al ribasso dello stanziamento per l'anno in corso (–1.3 miliardi di euro, pari a –1,0 per cento), a cui si aggiunge un ulteriore taglio per il 2024 (-1,8 miliardi, pari a –1,3 per cento), prevede una riduzione della spesa sanitaria al 6,2 per cento del PIL per il 2024, per poi scendere ulteriormente fino al 6,1 per cento nel 2026: il valore più basso degli ultimi decenni, e la conferma della volontà politica di disinvestire e quindi, nei fatti, di proseguire nello smantellamento del SSN e nella privatizzazione della «tutela» della salute;

    durante l'emergenza sanitaria nella fase pandemica è emerso quanto il SSN si sia trovato impreparato, nonostante la generosità e il sacrificio del personale sanitario. Tutto questo perché negli anni si è determinato un progressivo de-finanziamento, il taglio dei posti-letto, senza un adeguato potenziamento della sanità territoriale e delle cure intermedie; una riduzione del personale e, infine, ma non di minore importanza, una serie di politiche che hanno inciso negativamente sulla tenuta dei servizi territoriali e di prevenzione;

    anche con il precedente Governo, la sanità è tornata ad occupare la parte bassa della classifica delle priorità del nostro Paese, avendo visto maggiori finanziamenti, ma in relazione alla necessità di affrontare la pandemia che ha messo in evidenza la necessità di una solida cornice unitaria dei servizi sanitari regionali e di un potenziamento della capacità – politica e tecnica – di indirizzo programmatorio nazionale, sarebbe pertanto indispensabile espellere il tema Sanità dalla eventuale attuazione dell'autonomia regionale differenziata;

    altra priorità è quella di avviare un rinnovamento strutturale del modello di cura, rendendolo effettivamente in grado di accogliere e accompagnare le persone nei percorsi di cura e promozione della salute, superando il vecchio modello centrato sull'attesa e sull'ospedale, così come la prevenzione primaria, che deve diventare una bussola per intervenire affinché le persone non si ammalino, agendo sui fattori di rischio legati all'ambiente di lavoro e di vita sui principali fattori di rischio delle malattie croniche dovute in particolare ad inquinamento, fumo, obesità, sedentarietà;

    anche nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 persiste l'assenza di programmazione in relazione alla necessità di aumentare la spesa sanitaria a fronte dell'invecchiamento della popolazione e del conseguente dovere del sistema pubblico di prendere in carico – attraverso la rete integrata dei servizi sociosanitari – la popolazione anziana, senza scaricare sulle famiglie i carichi di cura;

    nel corso dell'audizione svolta innanzi alle Commissioni riunite di Camera e Senato, la Corte dei conti ha palesato i propri timori in merito al quadro che emerge in tema di spesa sanitaria: ha evidenziato con preoccupazione come nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 non sia dato rinvenire le misure che si intendono assumere con la prossima legge di bilancio per affrontare i nodi principali del comparto. Si tratta di una condizione che richiederà scelte non facili in termini di allocazione delle risorse tra i diversi obiettivi, in ragione dei dichiarati limitati margini di manovra e della rilevanza delle questioni che attendono una efficace risoluzione. Fra questi, prima di tutto il tema del personale: solo di recente è stato sottoscritto il contratto relativo al triennio 2019-2021 cui erano legati anche alcuni dei corrispettivi previsti a fronte dell'impegno profuso dal personale delle strutture sanitarie durante la pandemia. Restano da affrontare, nonostante le misure assunte con il decreto-legge n. 34 del 2023, i problemi sottostanti alle difficoltà di reperimento di personale sanitario soprattutto per il settore dell'emergenza e urgenza, mentre continuano ad aumentare i casi di «fuga dal pubblico» ma anche di ricerca di opportunità di lavoro all'estero. La rilevazione OCSE relativa al 2021 indica un flusso in uscita dal nostro Paese di personale superiore al migliaio di unità in media annua. Si tratta di trasferimenti soprattutto in direzione di tre nazioni (Gran Bretagna, Germania e Svizzera). In base ai dati Ocse, sono poco meno di 13.000 i dottori formati in Italia e che operano all'estero, con un flusso che tra il 2019 e il 2021 si è collocato al di sopra delle 1.100 unità annue. Forti anche le differenze retributive: a parità del potere di acquisto lo stipendio annuale in Germania è del 79 per cento e nel Regno Unito del 40 per cento superiore a quello italiano. Le differenze di retribuzione (in parità del potere di acquisto), pur consistenti, non appaiono essere l'unica ragione di un fenomeno più complesso per affrontare il quale devono essere trovati nuovi punti di equilibrio tra le necessità del servizio pubblico e le legittime aspettative dei professionisti. Non aiuta certamente (come in altri comparti);

    l'allungamento dei tempi per il rinnovo dei contratti, il discontinuo operare dei concorsi, la qualità del lavoro in alcuni cruciali snodi delle strutture sanitarie, i vincoli posti all'attività professionale e, non ultimo, l'aumento delle pratiche amministrative che la riduzione del personale di assistenza scarica sui professionisti sanitari. Persiste, inoltre, il drammatico problema delle liste d'attesa. Nonostante i piani predisposti dalle regioni, a inizio del 2023 il monitoraggio presentava ancora rilevanti criticità ritardi di attuazione su cui è necessario intervenire al più presto per evitare un'ulteriore crescita delle prestazioni a carico dei cittadini o l'aumento della rinuncia alle cure. La Corte dei conti ha, inoltre, evidenziato significative differenze fra le regioni che non sembrano assorbirsi ma al contrario, il divario fra alcune regioni del Mezzogiorno e altre settentrionali, appare sempre più acuto. Occorrerà verificare se il profilo di finanziamento (e di spesa) prefigurato nei quadri tendenziali sia compatibile con le necessità che ancora caratterizzano il comparto e, in particolare, con la soddisfazione dei fabbisogni di personale legati soprattutto alla riforma dell'assistenza territoriale. Garantire la corresponsione dei Lea e ridurre i fenomeni di rinuncia alle cure rappresenta una priorità cui non sembra che il Governo attuale risponda in modo adeguato ed efficace;

    si deve procedere alla definizione di un Piano straordinario di investimenti pubblici per l'ammodernamento strutturale e tecnologico della sanità pubblica evitando complessi e costosi progetti di finanza privata, dando priorità alla messa in sicurezza delle strutture non obsolete;

    è urgente un nuovo progetto per i Consultori Familiari, da anni oggetto di depauperamento progressivo. Il modello assistenziale di cura alla donna è negativamente impregnato di pregiudizi che ostacolano il cambiamento culturale verso scelte consapevoli e autonome in tema di salute femminile riproduttiva e sessuale, in tale contesto va affrontata la piena attuazione della Legge n. 194 anche attraverso normative che consentano solo a personale infermieristico e medico non obiettore di partecipare ai concorsi pubblici. Così come è indispensabile che contraccezione, aborto ed esami ed eco in gravidanza siano realmente a disposizione in forma gratuita nei Consultori, e che il personale sanitario tutto sia formato alla medicina di genere;

    la condizione in cui versa il SSN impone un aumento del fondo sanitario di almeno 5 miliardi all'anno rispetto a quanto già programmato per i prossimi 10 anni;

    il settore pubblico italiano è stato drasticamente ridotto negli ultimi decenni attraverso un'intensa attività di privatizzazione, con una riduzione complessiva dei dipendenti pubblici, particolarmente accentuata dalle misure di austerità come il blocco del turnover del personale della P.A. e lo stop ai rinnovi contrattuali;

    secondo i dati Eurostat, l'Italia è tra i Paesi dell'Unione europea con il maggior calo della quota di occupazione pubblica tra il 2000 e il 2020 e anche con la quota più bassa nel 2020. Di contro, una politica di espansione dell'occupazione nel settore pubblico avrebbe effetti macroeconomici significativi, in particolare sulla domanda interna, sulla massa salariale e sulla produttività del lavoro;

    la Pubblica amministrazione è afflitta da una grave forma di precariato diffuso contando un esercito di precari, 100.000 solo nelle funzioni centrali che lavorano con contratti a tempo e 50.000 idonei ma non ancora assunti;

    di contro, nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 questi temi non sono presi in considerazione, ma anzi nella stessa trovano posto due criticità. Innanzitutto, all'affermazione dell'obiettivo di finanziamento del rinnovo del Ccnl non corrisponde alcun impegno concreto: la spesa per il pubblico impiego nel 2024 scende sia in termini assoluti che in rapporto al PIL, a dimostrazione che non solo non si prende in considerazione un recupero dell'inflazione – che per il triennio 2022-24 è stimata attorno al 16 per cento – ma che potrebbe ancora ridursi l'occupazione in assenza di un piano di assunzioni efficace;

    le previsioni del 2025 e 2026 contenute nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 rivelano l'assenza di risorse per finanziare rinnovi contrattuali significativi: la stima, infatti, per il ritocco dei contratti è di circa 12 miliardi di euro. A queste condizione, pertanto, difficilmente nei prossimi mesi (ma si potrebbe anche dire anni), potrà partire una contrattazione reale di natura economica per il triennio 2022-2024 per i circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici;

    per i settori Istruzione e Ricerca la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 non solo non prevede alcun investimento, ma programma un'ulteriore flessione della spesa che per la sola scuola è nell'ordine dello 0,3 per cento. A ciò si aggiunga la previsione di alcuni provvedimenti collegati, come «Semplificazioni in materia scolastica», «Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale», «Rafforzamento del sistema della formazione superiore e della ricerca», «Delega al Governo in materia di politiche abitative per gli studenti universitari» e «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata di cui all'articolo 116, terzo comma della Costituzione» che già nelle sole intenzioni sono appaiono intrisi di criticità;

    nonostante il rinnovo del contratto nazionale istruzione e ricerca 2022/2024 sia indicato tra gli obiettivi di finanza pubblica, da un'attenta lettura delle tabelle riportate nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 è plausibile sostenere l'assenza di risorse finanziarie necessarie a compensare l'erosione degli stipendi determinata dall'inflazione, circostanza tanto più grave in un quadro di inflazione cumulata per il biennio 2022/23 che sta determinando una gravissima perdita del potere di acquisto dei salari. Infine è assente, tra gli obiettivi, il piano di stabilizzazione del personale precario dei settori della conoscenza, tenuto conto che solo nel comparto scuola si contano almeno 200.000 posti coperti da supplenti;

    rimangono pertanto totalmente irrisolti tutti quei problemi che assillano da tempo il comparto: la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 come il Def di primavera, stante il progressivo calo delle nascite e quindi della quota di popolazione in età scolare, prevede minori risorse da destinare all'istruzione;

    la denatalità non può essere motivo di tagli alla scuola. Vanno elevati gli investimenti nella crescita dei giovani italiani, per ridurre il numero di alunni per classe, eliminare le oltre 13 mila classi pollaio con almeno 26 alunni e smettere di tagliare gli organici e il tempo scuola;

    sarebbe necessario disporre un ulteriore adeguamento quantitativo delle risorse da destinare al comparto della scuola indicando come obiettivo programmatico di lungo termine il raggiungimento del valore della media europea dell'indice di spesa per l'istruzione in rapporto al Pil;

    al dicembre 2022 l'Istat ha registrato in Italia la presenza di 13.542 servizi per la prima infanzia attivi sul territorio nazionale mettendo in luce una riduzione rispetto all'anno precedente del 2,1 per cento. Solo il 49 per cento dei 350.670 posti complessivi sono in strutture pubbliche, un dato che evidenzia l'insufficienza delle risorse pubbliche destinate a questo settore e la difficoltà di molti comuni ed enti locali a sostenere la gestione degli asili nido con risorse e personale proprio. Un dato aggravato dal fatto che la contrazione dell'offerta ha interessato più il settore pubblico (-4,8 per cento) rispetto al settore privato (-1,1 per cento). In virtù dei noti dati sul calo delle nascite nonostante questa contrazione dell'offerta la copertura dei posti rimane stabile al 27,1 per cento, ovvero molto al di sotto dell'obiettivo definito dal Consiglio europeo del 33 per cento a causa di una forte sperequazione territoriale (copertura delle isole al 15,9 per cento e al Sud al 15,2 per cento);

    la spesa in istruzione che ogni Stato stanzia di anno in anno può considerarsi come un indice delle priorità che ogni Paese rivela proprio nell'allocazione delle sue risorse. Nel dettaglio, l'Italia spende per l'istruzione di ogni singolo studente circa 8.514 euro all'anno, il 15 per cento in meno della media delle grandi economie europee (che si attesta intorno ai 10.000 euro). Se si guarda alla spesa pubblica, oggi il nostro Paese investe per scuola e università poco più dell'8 per cento del bilancio statale, a fronte del 9.9 per cento medio registrato nell'Unione europea. La Francia è al 9,6 per cento, la Germania al 9,3 per cento, la Svezia al 14 per cento;

    in Europa l'Italia è davanti solo alla Romania in numero di laureati. Nel 2021, la percentuale di 25-34enni laureati in un'area disciplinare scientifica (STEM: Science, Technology, Engineering and Mathematics) è pari a circa il 24 per cento; è forte il divario di genere: 33,7 per cento tra i ragazzi e 17,6 per cento tra le ragazze. Le proporzioni si rovesciano nell'area umanistica e servizi. La quota di laureati in discipline scientifiche più bassa è nel Mezzogiorno (30,8 per cento); la più alta al Nord (36,4 per cento). Rispetto alla media dei 22 Paesi Ocse europei, la quota di 25-34enni laureati nelle discipline scientifiche è sensibilmente più bassa in Italia se la si confronta con quella della Germania (<32 per cento), della Spagna o della Francia (<27 per cento);

    in merito all'assegnazione dei benefìci per il Diritto allo Studio Universitario, le graduatorie definitive pubblicate nel 2022 dimostrano come i finanziamenti stanziati all'interno del PNRR (250.000.000,00 euro nel 2023) e quelli previsti dall'ultima legge di bilancio per il Fondo Integrativo Statale (250.000.000,00 euro sia per il 2024 che per il 2025) (cfr. legge 29 dicembre 2022, n. 197, articolo 1, comma 566) non sono sufficienti a coprire l'elevato numero di idonei non beneficiari, i quali, pur rispettando tutti i requisiti utili ai fini dell'erogazione della borsa di studio, non possono riceverla a causa della mancanza di liquidità. Tale insufficienza delle risorse, sommata alla crescita dell'inflazione dei beni di consumo e alla continua crescita del prezzo degli affitti nelle maggiori città italiane universitarie sta determinando l'impossibilità per un numero sempre maggiore di studenti di sostenere le spese necessarie alla frequenza di un corso di studi universitari;

    la riproposizione del taglio del cuneo contributivo anche per il 2024 rappresenta solo un parziale rimedio alla tassa occulta dell'inflazione che, nel corso dei due anni trascorsi, ha ridotto il potere d'acquisto di salari e retribuzioni che già hanno visto una riduzione di quasi 3 punti percentuali negli ultimi 30 anni, mentre in Germania crescevano del 33,7 per cento e in Francia del 31,1 per cento;

    peraltro, come indicato dalla stessa Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, l'andamento dell'inflazione è stato influenzato per più del 60 per cento dalla componente dei profitti ovvero un ulteriore spostamento di ricchezza dal fattore lavoro alle imprese, dal basso verso l'alto. Un dato che conferma la necessità di un intervento fiscale sistematico sugli extraprofitti e di una misura come il salario minimo e di una stringente iniziativa diretta ad affrontare il tema dei mancati rinnovi dei contratti collettivi, alcuni scaduti da molti anni;

    la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza manca di visione e prospettive per le politiche del welfare, di sostegno alle famiglie, a partire da quelle a basso reddito, e per le politiche di sviluppo economico del Paese nei prossimi anni di fronte alle importanti sfide della transizione ambientale e digitale e della conseguente riconversione industriale delle produzioni;

    non è più eludibile affrontare la ridistribuzione della ricchezza nazionale netta, che vede il 20 per cento più ricco degli italiani detenere quasi il 70 per cento della ricchezza nazionale, il successivo 20 per cento (quarto quintile) essere titolare del 16,9 per cento della ricchezza, lasciando al 60 per cento più povero dei nostri concittadini appena il 13,3 per cento della ricchezza nazionale. Tutto ciò a fronte di una povertà in Italia la quale è ormai un fenomeno strutturale visto che tocca quasi un residente su dieci, il 9,4 per cento della popolazione residente vive infatti, secondo l'Istat, in una condizione di povertà assoluta, in termini assoluti si contano in Italia più di cinque milioni di persone in stato di povertà assoluta;

    ancora più evidente è la responsabilità del Governo, confermata dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, rispetto al nodo del rinnovo dei contratti del pubblico impiego, così come la mancanza di una credibile strategia complessiva per il ripiano degli organici diminuiti di 600 mila unità, con una spesa a regime di 11 miliardi è possibile integrare la macchina pubblica, questione ormai non più rinviabile, senza questo aggiuntivo personale pubblico, le risorse del PNRR non potranno mai essere impiegate proficuamente;

    in materia di salute e sicurezza sul lavoro, appaiono ancora timide le misure previste dal Governo, le quali non rispondono al fermo e accorato appello anche del Presidente della Repubblica; prosegue inoltre da parte del Governo una visione che affida i rapporti di lavoro alla loro precarizzazione;

    anche sul fronte previdenziale, archiviati i proclami elettorali di superamento della legge Fornero, le uniche risorse che si profilano saranno destinate all'anticipazione per l'anno in corso dell'adeguamento Istat delle pensioni previsto per il 2024, mentre, il sin qui infruttuoso confronto con le parti sociali per una flessibilizzazione del nostro sistema pensionistico, ha prodotto solo la previsione dell'emanazione di uno dei 31 disegni di legge collegati alla legge di bilancio da finalizzare per «Interventi in materia di disciplina pensionistica»;

    riguardo al settore della mobilità, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 non introduce sostanziali modifiche o novità rispetto al Def 2023, rimanendo in piedi e ancora attuali tutte le evidenti criticità di quel Documento e la debolezza delle politiche del Governo in materia di trasporti, ossia carenza sostanziale di obiettivi e di programmazione degli investimenti nella mobilità sostenibile e nel trasporto pubblico; nessuna previsione di maggiori risorse finanziarie nei prossimi anni per poter investire realmente sulla mobilità sostenibile, sostenendo a tal fine il trasporto pubblico, spostando il trasporto merci su gomma, ancora abbondantemente predominante, a vantaggio del trasporto su ferro, favorendo la mobilità condivisa; scarsissime risorse per il prioritario potenziamento della rete ferroviaria soprattutto in quelle aree del nostro Paese storicamente maggiormente penalizzate;

    in Italia il 74 per cento degli spostamenti riguarda distanze entro i 10 chilometri e viene soddisfatto per oltre il 62 per cento ricorrendo all'auto privata. Infatti, in relazione all'offerta di trasporto pubblico locale sussistono ancora molteplici carenze organizzative sia in materia di infrastrutture che di dotazione di mezzi, che ad oggi non garantiscono compiutamente una elevata qualità del servizio erogato;

    così come valgono interamente le fosche previsioni relative al Ponte sullo Stretto di Messina. Nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 non si fa alcun accenno a fondi dedicati al finanziamento dell'opera. Con spregiudicatezza si è deciso di riesumare un'opera faraonica il cui costo stimato è in continuo preoccupante aumento. Il Governo ha inteso riavviare l'iter per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, sulla base di un progetto definitivo vecchio di oltre 10 anni, con un costo iniziale stimato di 4 miliardi di euro, poi raddoppiato nel 2011 e per il quale lo stesso Def 2023 indicava una cifra vicina ai 15 miliardi di euro;

    risorse enormi che dovrebbero essere utilizzate investendo sull'ammodernamento della rete ferroviaria di quei territori più penalizzati, per la sua messa in sicurezza, e per ridurre il gap infrastrutturale che ancora oggi caratterizza diverse aree del nostro Paese;

    nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023, al pari del Def 2023, si confermano del tutto insufficienti e non all'altezza le iniziative e le misure finalizzate a promuovere e sostenere con efficacia la transizione energetica e l'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, in coerenza con gli impegni UE e internazionali;

    si dichiara di voler perseguire la transizione energetica che deve portare all'abbandono delle fonti fossili, mentre in realtà si prosegue tranquillamente con iniziative che continuano a mettere al centro le fonti energetiche climalteranti, la realizzazione dei rigassificatori, le iniziative internazionali per far diventare l'Italia l'hub europeo per il gas, promettendo trionfalisticamente di riuscire tra cinque anni a smistare al resto dei partner della Unione europea sino 60 miliardi di metri cubi di gas e forse anche di più;

    l'Italia ha un solo modo per aumentare la propria indipendenza energetica: realizzare almeno 12GW all'anno da nuovi impianti da fonti rinnovabili rispetto agli attuali 3GW per centrare l'obiettivo di soddisfare almeno il 42.5 per cento di domanda di energia da queste fonti entro il 2030, come prevede la nuova Direttiva REDIII sulle rinnovabili recentemente approvata dal Parlamento europeo;

    anche le questioni climatiche e ambientali sono completamente ignorate dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 sia sul versante delle analisi finanziarie che su quello delle proposte. Sappiamo bene come gli eventi estremi, collegati alla crisi climatica, siano sempre più frequenti e disastrosi nel nostro paese e nonostante ciò nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 viene apertamente dichiarato che lo scenario relativo alle proiezioni dell'inflazione per l'anno in corso non tiene conto di eventi climatici estremi. Ad esempio gli interventi urgenti per fronteggiare l'emergenza, provocata dagli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023, sono ammontati – a oggi – a 2,2 miliardi di euro, a fronte di danni stimati in oltre 8 miliardi. Eppure nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023 non si fa alcun accenno a risorse e investimenti per l'adattamento al cambiamento climatico e la prevenzione del dissesto idrogeologico, fatta eccezione per l'assegnazione delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione programmazione 2021-2027 per interventi nella regione Calabria;

    siccità, bombe d'acqua, ondate di calore, scioglimenti dei ghiacciai, perdita di biodiversità sono tutti fenomeni connessi e correlati con la crisi climatica in atto, dovuta in massima parte all'innalzamento delle temperature del pianeta. Appare sempre più necessario dotarsi di un quadro generale che definisca, politiche, azioni e risorse per far fronte alla crisi climatica in atto, fissando specifici obiettivi di medio e lungo periodo, attraverso una legge quadro sul clima e indicatori di bilancio che prevedano specifiche misure per la decarbonizzazione;

    per sostenere le famiglie fragili e le imprese che necessitano di sostegno per la riconversione del proprio processo produttivo nella fase della transizione verde si rende necessario l'istituzione di Fondo sociale per clima, per accompagnare il tessuto sociale ed economico del paese nella crisi climatica;

    a tal fine è necessario ridurre progressivamente, fino al totale azzeramento, le spese fiscali dannose per l'ambiente (SAD) destinando le risorse per interventi di riqualificazione e produzione energetica da fonti rinnovabili, messa in sicurezza del territorio, rigenerazione urbana delle città con arresto del consumo di suolo, infrastrutture per il trasporto urbano pubblico e collettivo, sviluppo della filiera agricola sostenibile e per il mantenimento della qualità e fertilità del territorio;

    nel rapporto 2021 sul «Dissesto idrogeologico in Italia», l'Ispra rileva che 6,8 milioni di abitanti risiedono in aree a rischio alluvionale medio e 2,4 milioni vivono in zone alluvionali ad alto rischio, complessivamente il 15 per cento della popolazione italiana, con 2,1 milioni di edifici ricadenti in zone alluvionali ad alto e medio rischio; nel medesimo Rapporto su citato si stima che per innalzare in modo efficace il livello di sicurezza contro i rischi sempre più imminenti, servirebbero ancora 8.000 opere di prevenzione per una spesa di poco inferiore ai 27 miliardi di euro, mentre il nostro Paese resta carente in termini di programmazione efficace e di governance complessiva degli interventi di contrasto al rischio idrogeologico, come peraltro evidenziato in diversi indagini da parte della Corte dei conti, ultimo dei quali nel febbraio del 2023;

    per ciò che riguarda l'aumento dei costi energetici che hanno spinto in alto l'inflazione, vengono confermati deboli interventi per contenere il caro-bollette e l'aumento dei prezzi dei carburanti, senza peraltro incidere in alcun modo sul prezzo delle tariffe che continuano a crescere e in modo maggiore di tutti gli altri paesi europei. Il Governo non solo non è stato in grado di colpire le maggiori società energetiche che hanno continuato a speculare sul costo dell'energia accumulando oltre 50 miliardi di extraprofitti, ma ha rinunciato ad incassare ben 8.8 miliardi di euro di gettito sulla tassa che il Governo Draghi aveva deciso di imporre, seppure con un modesto 25 per cento,

impegna il Governo:

   sul fronte occupazionale e previdenziale:

    ad individuare adeguate risorse finanziarie che garantiscano la prosecuzione dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego ed il recupero della perdita di potere d'acquisto, a causa dell'inflazione, dei relativi trattamenti retributivi;

    a individuare congrui finanziamenti per sostenere l'istituzione di un meccanismo di indicizzazione di salari e pensioni per adeguarli al costo della vita e tutelarli dall'aumento incontrollato dei prezzi ed a corrispondere ai pensionati la quattordicesima mensilità;

    a definire un piano straordinario di assunzioni nel pubblico impiego, finalizzato al superamento del precariato e all'abuso dell'uso dei contratti a tempo determinato nella pubblica amministrazione;

    a prevedere un congruo rifinanziamento a carattere triennale di lotta contro il «caporalato», al fine di potenziare le attività di formazione per ispettori e mediatori culturali, task force multidisciplinari, attività di informazione;

    a definire un piano straordinario di assunzioni nell'ambito del Servizio sanitario nazionale e negli enti locali al fine di fornire un supporto in grado di portare a termine tutti i programmi locali previsti dal PNRR;

    ad introdurre forme di flessibilità in uscita, dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica;

    a prevedere l'aggiornamento e ulteriore riconoscimento di lavori usuranti;

    ad avviare con le parti sociali la definizione e le modalità per l'adozione di una effettiva misura di riduzione dell'orario di lavoro a parità di retribuzione anche a carattere sperimentale;

    ad introdurre, anche nel nostro ordinamento, una disciplina sperimentale dell'organizzazione del lavoro che consenta, a chi lo richiede, di ridurre l'orario di lavoro giornaliero e settimanale, a parità di retribuzione: anche in via sperimentale, l'introduzione di una simile opzione di organizzazione del lavoro consentirebbe di adeguare la disciplina dell'orario di lavoro e le modalità di esecuzione del rapporto stesso alle nuove dinamiche sociali ed economiche e alle ricadute dirette e indirette dello sviluppo delle nuove tecnologie sulla produttività del lavoro, promuovendo al contempo produttività, occupazione e conciliazione dei tempi di vita e lavoro;

    a riconoscere, a tutti coloro la cui carriera lavorativa è discontinua o costellata di forme di part-time o di lavoro povero, una pensione contributiva di garanzia, collegata ed eventualmente graduata rispetto al numero di anni di lavoro e di contributi versati, che consideri e valorizzi, ai fini previdenziali, anche i periodi di disoccupazione, di formazione e di basse retribuzioni, per assicurare a tutti un assegno pensionistico dignitoso, anche attraverso il ricorso alla fiscalità generale;

    a prevedere misure che assicurino, in ogni caso, il mantenimento dei diritti dei lavoratori, nonché garanzie occupazionali, in caso di trasferimenti o cessioni di imprese o rami di esse;

   sul fronte fiscale:

    ad istituire un'imposta ordinaria sostitutiva unica e progressiva sui grandi patrimoni;

    ad accentuare la progressività dell'imposta personale sui redditi attraverso la previsione di ulteriori aliquote per gli scaglioni di reddito che superano i 100.000 euro annui e l'aggregazione e l'assoggettamento, ai fini della determinazione della sua base imponibile, di tutte le fonti reddito;

    ad armonizzare i regimi di tassazione del risparmio anche con riferimento alle basi imponibili ed al progressivo superamento della distinzione tra redditi da capitale e redditi diversi di natura finanziaria;

    a contrastare le condotte speculative a vantaggio della stabilità dei mercati finanziari e della tutela di risparmiatori ed imprese, e ad introdurre una regolamentazione fiscale delle operazioni di trading speculativo di cripto valute;

    a provvedere, nell'ambito della riforma fiscale, al riordino delle cosiddette spese fiscali (tax expenditures) ferma restando la necessaria tutela, costituzionalmente garantita, dei contribuenti più deboli, della famiglia, della salute, dell'istruzione e della ricerca, del patrimonio artistico nonché dell'ambiente e dell'innovazione tecnologica, anche prevedendo un limite di reddito al di sotto del quale il riordino non opera;

    a vietare qualsiasi accordo di vantaggio fiscale preventivo tra fisco ed imprese multinazionali (cosiddetto tax ruling);

    a stabilire, in sede di attuazione della proposta di Direttiva COM (2021)823, per i gruppi multinazionali di imprese e i gruppi nazionali su larga scala con un fatturato complessivo pari ad almeno 750 milioni di euro in base al bilancio consolidato, un livello minimo di imposizione fiscale effettiva pari al 20 per cento;

   sul fronte sanitario:

    ad espandere la spesa sanitaria reperendo adeguate risorse attraverso una revisione dello stanziamento a favore della spesa militare abbassando sensibilmente il livello della stessa attualmente stabilito dal Parlamento al 2 per cento del Pil;

    a prevedere l'incremento delle risorse disponibili per il finanziamento e il potenziamento del SSN incluse la domiciliarità e la medicina territoriale, rafforzando la governance dei distretti sanitari e promuovendo una rinnovata rete sanitaria territoriale attraverso modelli organizzativi integrati, nonché per superare le attuali carenze del sistema delle residenze sanitarie assistenziali;

    ad individuare adeguate risorse per il rinnovo del contratto di lavoro per il personale del comparto sanitario nonché per concludere la reinternalizzazione dei lavoratori impegnati nei servizi esternalizzati nonché per il superamento del precariato;

    ad aumentare nel prossimo triennio il fondo sanitario nazionale di 10 miliardi di euro;

    a prevedere un piano straordinario di investimenti pubblici per l'ammodernamento strutturale edilizio e tecnologico della sanità pubblica;

   sul fronte del diritto all'abitare:

    a provvedere a garantire il diritto alla casa, contrastando il caro-affitti e l'aumento dei prezzi del mercato immobiliare, in particolare prevedendo misure di sostegno alla locazione, il rilancio dell'edilizia residenziale pubblica, il recupero di immobili inutilizzati, nonché investimenti nell'edilizia popolare;

    con particolare riguardo agli studenti universitari fuori sede, a sostenere una legge nazionale sugli affitti brevi, nonché la destinazione dei fondi del PNRR agli studentati pubblici;

    ad introdurre misure adeguate a tutela degli inquilini morosi incolpevoli, ivi compreso il rifinanziamento del relativo Fondo;

   sul fronte della conoscenza:

    a prevedere maggiori investimenti nei settori dell'istruzione e dell'università pubbliche, anche attraverso:

     1) un piano pluriennale di stabilizzazioni nella scuola che garantisca un costante equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento, prevedendo l'introduzione dell'organico di potenziamento nella scuola dell'infanzia e rintracciando una immediata soluzione per tutti i docenti precari;

     2) misure per l'estensione dell'obbligo scolastico;

     3) l'introduzione del tempo pieno in tutti gli istituti scolastici della scuola primaria dello Stato e del tempo prolungato pomeridiano nei cicli scolastici della scuola secondaria di primo e di secondo grado;

     4) il raggiungimento dell'obiettivo della crescita del numero dei laureati almeno fino alla media europea, in particolare con misure che garantiscano un pieno diritto allo studio nella formazione universitaria, e nello specifico la copertura del 100 per cento degli aventi diritto alle borse di studio, la riduzione dell'aliquota fiscale applicata ai redditi derivanti da immobili affittati a studenti e dottorandi, l'aumento cospicuo dei posti in residenze universitarie di carattere integralmente pubblico;

     5) la lotta alla dispersione scolastica, anche prevedendo l'istituzione di Zone di Educazione Prioritaria e Solidale cui destinare finanziamenti per incrementare l'organico, innovare la didattica erogando formazione gratuita ai docenti, ridurre il numero di alunni per classe e garantire la totale gratuità dei servizi erogati dagli enti locali;

     6) l'estensione dei servizi educativi per l'infanzia, garantendone la presenza su tutto il territorio nazionale attraverso il potenziamento dell'offerta nel meridione, abbassando l'inizio dell'obbligo scolastico ai 3 anni e prevedendo la piena gratuità delle rette degli asili nido anche al fine di favorire la natalità e la conciliazione vita-lavoro dei genitori;

   sul fronte del trasporto e della mobilità:

    all'attuazione della terza Raccomandazione adottata dal Consiglio dell'Unione europea del luglio scorso, laddove si chiede al nostro Paese di «promuovere la mobilità sostenibile, anche eliminando le sovvenzioni dannose per l'ambiente e accelerando l'installazione di stazioni di ricarica»;

    a riconsiderare la realizzazione del progetto Ponte sullo Stretto, i cui enormi costi di realizzazione dovrebbero essere utilizzati investendo sulla manutenzione delle infrastrutture trasportistiche e sull'ammodernamento della rete ferroviaria di molti quei territori del Mezzogiorno che si trovano in una situazione di forte ritardo infrastrutturale;

    a incrementare le risorse a favore del trasporto pubblico locale e del trasporto merci favorendo quello su ferro rispetto a quello su gomma;

    a garantire i collegamenti tra le aree a domanda debole o comunque poco servite dai servizi a mercato, anche rafforzando a tal fine il regime di obblighi di servizio pubblico;

    a sostenere fin da subito con misure strutturali il settore dell'automotive in coerenza con gli obiettivi europei e per accelerare la transizione elettrica del settore, e a programmare maggiori investimenti e risorse nelle tecnologie a emissioni zero;

   sul fronte della transizione ecologica e della lotta ai cambiamenti climatici:

    a dotarsi di un quadro generale che definisca, politiche, azioni e risorse per far fronte alla crisi climatica in atto, fissando specifici obiettivi di medio e lungo periodo, attraverso una legge quadro sul clima e indicatori di bilancio che prevedano specifiche misure per la decarbonizzazione;

    a istituire un Fondo sociale per clima, per accompagnare nella fase della transizione verde il tessuto sociale ed economico del paese nella crisi climatica e sostenere le famiglie fragili e le imprese che necessitano di sostegno per la riconversione del proprio processo produttivo;

    a ridurre progressivamente, fino al totale azzeramento, le spese fiscali dannose per l'ambiente (SAD) destinando le risorse per interventi di riqualificazione e produzione energetica da fonti rinnovabili, messa in sicurezza del territorio, rigenerazione urbana delle città con arresto del consumo di suolo, infrastrutture per il trasporto urbano pubblico e collettivo, sviluppo della filiera agricola sostenibile e per il mantenimento della qualità e fertilità del territorio.
(6-00056) «Zanella, Grimaldi, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Mari, Piccolotti, Zaratti».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

cambiamento climatico

professione sanitaria