PDL 331

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 331

PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa del deputato MORASSUT

Modifica all'articolo 44 della Costituzione concernente il recupero sociale e urbanistico delle periferie urbane e delle aree interne

Presentata il 13 ottobre 2022

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Onorevoli Colleghi! – Le periferie urbane non sono più definibili semplicemente come ambiti lontani dal nucleo storico della città o come polarità opposta alle aree centrali, ma come una condizione trasversale che intanto riguarda l'espansione fisica delle città, particolarmente pronunciata negli ultimi due decenni, ma che comprende tutte quelle zone più densamente popolate, dove sono riscontrabili fenomeni di degrado, di marginalità, di disagio sociale, di insicurezza e di povertà.
Ad esse appartengono, quindi, tutte le aree che si sono stratificate nel tempo nei processi di urbanizzazione e che, in particolare negli anni più recenti, sono state investite dall'effetto di concentrazione di popolazioni e attività economiche nei sistemi metropolitani.
Il carattere delle metropoli, generato dalla globalizzazione, si basa infatti sulla interconnessione in territori sempre più vasti di ambiti e quartieri, di comuni e località interessati dall'espansione edilizia.
Le periferie sono anche il luogo del disagio sociale e, pertanto, ogni iniziativa volta a migliorarne le condizioni dovrà collocarsi all'incrocio fra diverse azioni, da quelle per la riqualificazione territoriale alle politiche per l'abitare, alle politiche sociali e per la sicurezza.
La strategia di fondo, peraltro ormai praticata in tutta Europa, è quella della rigenerazione urbana, ovvero di programmi complessi che privilegiano l'intervento in comprensori già costruiti al fine di rendere vivibile e sostenibile lo spazio urbano, di soddisfare la domanda abitativa e di servizi, di accrescere l'occupazione e migliorare la struttura produttiva metropolitana, di rassicurare la maggior parte della popolazione che risiede proprio nelle aree periferiche.
L'edificazione residenziale, spesso priva dei necessari servizi, è la componente principale delle periferie. La necessità di allocare le famiglie che affluiscono nelle aree metropolitane attratte dalle opportunità esistenti ha reso particolarmente dinamico il mercato immobiliare residenziale, senza però garantire la presenza di funzioni multiple (innanzitutto i servizi di quartiere) e di quella varietà sociale indispensabile per creare equilibrate comunità urbane. La mono funzione residenziale costringe gran parte dei residenti a un pendolarismo lavorativo non sempre supportato da adeguate infrastrutture per la mobilità.
Inoltre, l'insediamento periferico non adeguatamente presidiato con servizi pubblici funzionali o istituzionali ha lasciato pericolosi vuoti soggetti al degrado ambientale, all'insediamento criminale, all'abusivismo e ai ricorrenti fenomeni di illegalità.
I meccanismi di mercato che hanno prevalentemente guidato l'espansione periferica hanno mostrato negli ultimi anni i limiti di un ciclo immobiliare calante e ripropongono una nuova questione abitativa che potrà essere risolta dando maggiore impulso alle politiche residenziali pubbliche e alle nuove forme di social housing.
A questo proposito, secondo Federcasa, sono attualmente giacenti 650 mila domande di famiglie in possesso dei requisiti per accedere ad un'abitazione pubblica. Nel contempo, 49.000 abitazioni dell'edilizia residenziale pubblica, pari al 6,4 per cento dell'intero patrimonio, risultano occupate abusivamente.
Oltre al disagio sociale e abitativo, l'intervento nelle periferie attiene anche alla sicurezza e al decoro degli edifici. Secondo Casa Italia, e sulla base dei dati comunicati dall'ISTAT, nel corso di un'audizione parlamentare dinnanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie, istituita nella XVII legislatura, il patrimonio edilizio in condizioni mediocri o pessime costituisce una quota significativa di quello esistente nelle città italiane (si passa dal 40 per cento di Napoli e 39,9 per cento di Reggio Calabria, al 35,3 per cento di Messina, al 34,8 per cento di Catania, al 26,6 per cento di Palermo, fra il 10 e il 20 per cento in città come Cagliari, Bari, Genova, Firenze, Venezia e Roma e di poco inferiore al 10 per cento a Milano e Bologna).
La condizione delle periferie desta particolare allarme sociale per quanto attiene alla sicurezza, all'ordine pubblico e all'integrazione della popolazione straniera.
Nelle aree periferiche, infatti, sono riscontrabili diversi fenomeni di illegalità, a partire dall'insediamento di clan della criminalità organizzata. La stessa occupazione di immobili – di per sé atto penalmente rilevante – rende estremamente incerto il controllo del territorio in quanto può servire da copertura ad attività criminali come lo spaccio di stupefacenti o la ricettazione.
Vi sono poi elementi di pericolosità prodotti da comportamenti a forti impatti negativi sull'ambiente, che vanno dalla realizzazione di edifici abusivi, alle discariche e ai roghi di materiali tossici fino allo smaltimento illegale di rifiuti.
Le periferie rischiano inoltre di alimentare il conflitto sociale tra ceti deboli, fra italiani impoveriti e migranti senza certa collocazione.
Sulla sicurezza urbana sono in corso iniziative istituzionali tendenti a rafforzare il controllo del territorio. La strategia messa in atto tiene conto delle rilevanti differenze territoriali e punta a una razionale collocazione delle diverse forze di polizia nazionali, in modo da evitare sovrapposizioni e una stretta collaborazione con quelle locali.
Un ulteriore fattore, indispensabile al fine di migliorare la qualità sociale delle periferie, riguarda la centralità del lavoro nelle politiche di inclusione sociale e l'emergere di un welfare territoriale sempre più differenziato.
Nelle periferie esistono problemi di degrado ed insicurezza, ma allo stesso tempo le periferie sono i luoghi dove sono localizzati gran parte degli spazi produttivi e di lavoro, dai grandi complessi per uffici ai centri logistici e industriali, alle aree di ricerca e innovazione, ai poli commerciali. C'è una vita pulsante che ormai riguarda anche le iniziative culturali che costituiscono punti di riferimento di grande interesse per creare circuiti virtuosi di riqualificazione urbana. Si pensi al ripristino in spazi museali come l'Hangar Bicocca a Milano, o il Teatro Tor Bella Monaca a Roma o la Città della Scienza di Bagnoli a Napoli.
Gran parte degli abitanti del nostro paese vive o lavora in periferia, ovvero in ambiti urbani o metropolitani caratterizzati in vario modo per conformazione fisica e per condizioni sociali, ma egualmente interessati da fenomeni di degrado, marginalità, disagio sociale, insicurezza, da una minore dotazione di servizi. Tali condizioni, pur se con minore frequenza, possono ricorrere anche nelle aree centrali o consolidate delle metropoli e delle grandi città italiane.
Facendo riferimento ai comuni capoluogo delle città metropolitane come definite dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, e grazie alla fattiva collaborazione dell'ISTAT si è proceduto a effettuare una stima della popolazione residente in zone a elevata perifericità. Il criterio adottato è stato quello dell'indice di centralità che misura i flussi in entrata e uscita nelle micro zone urbane.
È opportuno precisare che le città metropolitane, come definite dalla legge n. 56 del 2014, presentano rilevanti disomogeneità in quanto i loro perimetri amministrativi (e quindi statistici), derivando da quelli delle corrispondenti province, non necessariamente riflettono gli effettivi processi di urbanizzazione. Inoltre, la citata Commissione d'inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie della XVII legislatura ha concentrato la sua attività sulle periferie metropolitane, mentre le problematiche su cui è necessario intervenire con un programma nazionale riguardano anche i residenti in numerosissime realtà urbane di medie e piccole dimensioni e pertanto le stime effettuate con il supporto dell'ISTAT vanno considerate non esaustive. Su tali problematiche si rinvia anche al volume pubblicato dall'ISTAT nel 2017 «Forme, livelli e dinamiche dell'urbanizzazione in Italia».
Al gennaio del 2017 la popolazione residente nelle 14 città metropolitane italiane ammontava a 21.948.387 residenti di cui 9.582.298 nel comune capoluogo e 12.366.089 nei 1.260 comuni appartenenti ai diversi hinterland metropolitani.
La realtà dei territori metropolitani va esaminata con grande attenzione, in quanto si sovrappongono situazioni di degrado e disagio in piccoli, medi o anche grandi comuni cresciuti per effetto dello sviluppo edilizio non governato di aree metropolitane a forte pressione demografica, ma anche comuni o distretti con una elevata identità propria e con caratteristiche socio-economiche e ambientali di elevata qualità. La Commissione d'inchiesta della XVII legislatura, con il supporto dell'ISTAT, si è particolarmente concentrata nel dimensionamento delle realtà periferiche nei grandi comuni, ambito per cui è pervenuta a una stima a partire dai dati di censimento e con una proiezione al 2017.
Le città capoluogo con maggiori dinamiche demografiche e quindi con più elevata attrattività sono i poli dei tre maggiori sistemi metropolitani, in particolare Napoli con una variazione dei residenti fra il 2011 e il 2017 del +10,1 per cento, poi Milano con +9,5 per cento e Roma con +6,8 per cento. Significativa anche l'attrattività demografica di Catania (+6,5 per cento nel periodo considerato), Firenze (+6,8 per cento) e Bologna (+4,8 per cento), mentre Genova con –0,4 per cento e Messina con 2,8 per cento sono gli unici due capoluoghi a veder ridursi il numero di residenti.
Al fine di individuare la popolazione residente nei comuni capoluogo in zone periferiche è stato elaborato un indice di centralità come differenza dei flussi in entrata e in uscita dalle diverse micro zone. A partire da valori superiori all'unità si determina un livello crescente di centralità. Da tale elaborazione emerge come il 61,5 per cento dei residenti nei capoluoghi metropolitani viva una condizione periferica e un ulteriore 14,9 per cento è collocato in una situazione intermedia. Si tratta di circa 7 milioni sui complessivi 9 milioni di abitanti dei 14 capoluoghi metropolitani, cui aggiungere i residenti in zone periferiche degli hinterland.
Il criterio adottato dall'allora Commissione d'inchiesta sottolinea come la minor funzionalità residenziale (un tempo si definivano quartieri – dormitorio) rappresenti più compiutamente lo stato di marginalizzazione del vivere periferico, indipendentemente dalla localizzazione. Anche per tale ragione, l'intensità del fenomeno è un connotato di struttura non necessariamente dipendente dal complessivo livello socio-economico del territorio di riferimento e i valori assoluti sono da porre in relazione alle dimensioni demografiche dei comuni esaminati. Roma è risultata, infatti, la grande città con più residenti in periferia, seguita da Torino, Milano e Napoli. Mentre in termini di incidenza percentuale sui residenti Reggio Calabria è risultata al primo posto con il 78,7 per cento degli abitanti collocati in periferia
A caratterizzare, poi, le periferie delle grandi città italiane è la presenza di famiglie disagiate e vulnerabili, di giovani generazioni fuori dai circuiti attivi e occupazionali. L'ISTAT aveva elaborato per la Commissione d'inchiesta quattro indici georeferenziati che hanno dato conto della popolazione insediata nelle zone dove si registrano i più elevati valori di disagio (in termini di ultimi quintili).
Il 33,8 per cento dei residenti nei capoluoghi metropolitani vive in quartieri dove c'è una significativa presenza di famiglie con potenziale alto disagio economico. L'incidenza di tali famiglie è variabile fra l'1-3 per cento nel Nord, fino al 4-14 per cento nel Mezzogiorno con punte massime a Napoli, Palermo e Catania.
Altrettanto rilevante è la quota di residenti metropolitani, pari al 37,5 per cento in quartieri dove si manifesta una significativa presenza di famiglie a elevata vulnerabilità sociale e materiale, quale sintesi di sette diversi indicatori. I valori massimi si sono registrati a Messina dove il 51,6 per cento della popolazione vive a stretto contatto con famiglie in condizioni di forte deprivazione sociale.
Il portato della periferia metropolitana e la sua misurazione attengono anche al manifestarsi di diseguaglianze di tipo territoriale all'interno dello stesso comune capoluogo. L'accesso al mercato del lavoro vede forti differenze fra i vari quartieri metropolitani, anche in situazioni tipiche del Centro-Nord del paese dove comunque i tassi di occupazione sono più elevati.
In più di un terzo dei territori metropolitani è risultata elevata l'incidenza di giovani fra 15 e 29 anni fuori dal mercato del lavoro e fuori dalla formazione, i cosiddetti «Neet», con quote più rilevanti nel Centro-Nord che si attestano fra il 10-12 per cento, mentre nelle grandi città meridionali il range varia fra il 15 e il 25 per cento.
Situazione analoga si è rilevata esaminando la distribuzione territoriale del tasso di disoccupazione. Il 41,2 per cento della popolazione metropolitana vive nelle aree periferiche dove la disoccupazione è più alta, relativamente alla situazione di ciascun capoluogo metropolitano.
A delineare una condizione di marginalità territoriale vanno, infatti, considerate le distanze relative fra le varie zone urbane di una stessa grande città. Nel Centro-Nord le maggiori diseguaglianze si ritrovano a Torino, dove in periferia la disoccupazione è doppia rispetto alle situazioni migliori. Più equilibrate le situazioni di Genova, Venezia, Firenze e Bologna, mentre il distacco torna a farsi sentire a Roma. Nelle grandi città meridionali la critica situazione occupazionale porta a rialzare i valori anche nelle aree centrali e di conseguenza in periferia si raggiungono punte molto elevate. Le migliori situazioni del Sud sono quelle di Bari e di Cagliari.
La periferia quindi non è più definibile come ambito urbano geograficamente lontano dal nucleo storico o contrapposto geometricamente a un «centro», anche se non si può negare una specificità territoriale legata all'espansione e integrazione degli spazi urbani. Va infatti configurandosi un processo di urbanizzazione fortemente condizionato da un nuovo ciclo economico che si sta manifestando in Europa quale portato di un mutato paradigma tecnologico, dell'integrazione mondiale dei mercati, della crisi demografica, dei flussi migratori, dell'innovazione basata su ricerca e creatività, tutti fattori che inducono una forte concentrazione metropolitana.
Le periferie metropolitane sono, quindi, cresciute con la globalizzazione in quanto un mondo sempre più interconnesso, fisicamente con il trasporto aereo e l'alta velocità ferroviaria, ed economicamente con tutte le forme immateriali di scambio, spinge alla polarizzazione verso grandi aggregati urbani.
Se, infatti, si analizza il più ampio contesto delle città metropolitane, il concetto di periferia si complica dovendosi riferire a un'area vasta, coincidente con quella delle ridimensionate amministrazioni provinciali. Un perimetro talvolta troppo grande (come nel caso di Torino), altre volte troppo piccolo rispetto alla effettiva conurbazione metropolitana (ad esempio Napoli). Le periferie di una città metropolitana possono corrispondere a piccoli comuni trasformati in quartieri residenziali, ma anche a centri con una identità propria, località turistiche, importanti realtà portuali, distretti industriali ad alta produttività, centri medi e piccoli comuni in spopolamento. Una tale composita realtà costituisce comunque il riferimento del sistema metropolitano nazionale.
Oltre all'Europa persino l'Italia policentrica, delle cento città e dei borghi è, quindi, soggetta a un processo molto simile a quello che si sta manifestando su scala globale. Delle prime dieci aree metropolitane più popolose d'Europa, infatti, ben tre sono italiane – Milano, Roma e Napoli – seconde solo a Londra, Parigi, Madrid e Berlino. A differenza di altri Paesi, tuttavia, in Italia la maggiore attrattività metropolitana non ha prodotto i fenomeni di declino della rete delle città intermedie, che al contrario restano un importante presidio territoriale del nostro sistema insediativo.
Anche per tale ragione, come richiamato in precedenza, la più recente riforma istituzionale riguardante le autonomie locali ha varato dopo decenni le città metropolitane, come specifico livello di governo del territorio, realtà istituzionali che, complessivamente, coinvolgono una superficie di 38.740 chilometri quadrati con una popolazione di 21,9 milioni d'abitanti, distribuiti in 1.260 comuni. In pratica il 35 per cento degli italiani vive nelle aree metropolitane occupando il 13 per cento del territorio nazionale.
Anche le prospettive di breve termine vedono un ulteriore rafforzamento di queste realtà che, anche in ragione della possibile ripresa economica del Paese, risultano capaci di attrarre ancora flussi di popolazione. Solo Napoli e Bari fra le 14 città metropolitane hanno registrato variazioni negative dei residenti fra il 2015 e il 2020, probabilmente a causa di un ulteriore spostamento dell'urbanizzazione verso cinture ancora più esterne, in assenza di un chiaro indirizzo delle amministrazioni locali verso indispensabili programmi di ristrutturazione e rigenerazione di aree periferiche soggette a degrado.
Ma ciò che assume una notevole rilevanza è il valore aggiunto che si produce nelle aree metropolitane. Bisogna infatti considerare che una grande metropoli genera un PIL paragonabile a quello di uno Stato, e ciò vale anche per quelle italiane. Alle due metropoli globali di Parigi e Londra, seguono Madrid e Milano che si attestano su un PIL metropolitano fra i 170 e 180 miliardi di euro, poi Roma, Barcellona e Berlino il cui valore è compreso fra 130 e 140 miliardi di euro, un PIL paragonabile a quello dell'intero Veneto o dell'Ungheria.
Il valore assoluto del prodotto metropolitano va posto in relazione alla concentrazione di residenti e ai grandi flussi, fra cui grande importanza rilevano quelli turistici. Se lo confrontiamo con i valori pro capite o con misure di produttività, emerge una diversa gerarchia, basata fondamentalmente sulla qualità del tessuto produttivo. Parigi ha, infatti, un PIL per abitante di 52 mila euro, Milano di 42 mila, Roma di 33 mila, Napoli di poco più di 16 mila.
Le metropoli a benessere diffuso sono anche quelle dove l'economia si basa fortemente sull'elevata qualità del capitale umano e sull'economia della conoscenza e della creatività. Industria, tecnologia, innovazione, servizi digitali e cultura costituiscono il vero motore economico della città globale. Le due città ai vertici europei sono anche quelle dove la maggior parte della popolazione attiva ha un titolo d'istruzione terziario (laurea o dottorato) e/o lavora in settori ad alto contenuto di ricerca e tecnologia: il 69,3 per cento nella regione londinese e il 60,1 per cento in quella parigina. Nelle regioni di riferimento di Milano e Roma si attestano su valori decisamente inferiori: il 39,3 la Lombardia e il 37,3 per cento il Lazio.
Naturalmente queste condizioni differiscono molto all'interno nelle aree metropolitane, dove i livelli di istruzione periferici divergono da quelli delle zone intermedie e centrali.
Prendendo atto di questi dati statistici e demografici ormai consolidati, la presente proposta di legge costituzionale si fonda sulla convinzione che la vita delle cittadine e dei cittadini residenti nelle zone di periferia, nelle aree interne o in tutte quelle realtà insediative cronicamente prive degli standard essenziali per il pieno godimento dei diritti di cittadinanza si svolga in una condizione di disparità con quella di coloro che abitano in zone più avanzate, con il rischio che tale disparità possa durare assai a lungo nel tempo e condurre ad una permanente compromissione dei princìpi di uguaglianza costituzionalmente codificati.
La presente proposta di legge costituzionale, pertanto, integra l'articolo 44 della Costituzione introducendo con un comma aggiuntivo per prevedere che la Repubblica, attraverso le sue articolazioni statali e locali, individua il recupero sociale e urbanistico delle periferie e delle aree interne come una priorità dell'azione legislativa, finanziaria e amministrativa.

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

1. All'articolo 44 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«La Repubblica riconosce la specificità della dimensione sociale e urbanistica delle periferie urbane e delle aree interne del Paese come condizione potenzialmente limitativa della piena parità dei diritti sociali e di cittadinanza di ogni cittadino e individua come prioritaria, attraverso l'azione finanziaria, legislativa e amministrativa dello Stato e delle amministrazioni locali, la rigenerazione sociale e urbanistica».

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