PDL 2358

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2358


PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa delle deputate
ONORI, PASTORELLA

Modifiche agli articoli 1 e 17 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di attribuzione e riacquisto della cittadinanza

Presentata il 14 aprile 2025

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Onorevoli Colleghi! – La disciplina in materia di cittadinanza è regolata principalmente dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91, che prescrive anche le modalità per il riacquisto della cittadinanza a favore di coloro che l'hanno perduta e a prescindere dai motivi della perdita. Ai sensi di quanto previsto dall'articolo 17, comma 2, della suddetta legge è consentito il riacquisto della cittadinanza, previa dichiarazione in tal senso, alle donne italiane che l'hanno perduta al momento del matrimonio con uno straniero, avvenuto prima del 1° gennaio 1948, o in conseguenza del cambiamento di cittadinanza del marito.
La Corte suprema di cassazione, con la sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009, ha riconosciuto lo status di cittadino italiano anche ai figli di donne che hanno perduto la cittadinanza a seguito di matrimonio con stranieri, anche se contratto antecedentemente al 1° gennaio 1948. Questa pronuncia della suprema Corte ha richiamato le sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 16 aprile 1975 e n. 30 del 9 febbraio 1983, che avevano dichiarato l'illegittimità, rispettivamente, della norma di cui all'articolo 10, terzo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555, nella parte in cui prevedeva la perdita della cittadinanza indipendentemente dalla volontà della donna che sposava uno straniero, e delle norme di cui all'articolo 1, primo comma, numeri 1 e 2, della medesima legge, nella parte in cui non prevedevano l'acquisto della cittadinanza italiana da parte del figlio di madre cittadina.
All'indomani della sentenza, nel corso della XVI legislatura, molti parlamentari di diverso orientamento politico e culturale si sono rivolti al Governo mediante un'interpellanza urgente (Atto Camera n. 2-00333 dell'11 marzo 2009, seduta n. 144) nella quale si chiedeva di definire al più presto le procedure idonee per consentire l'applicazione della sentenza, acquisita sul piano giudiziale, anche sul più agevole e meno costoso ambito delle procedure amministrative.
L'impegno assunto dal Governo in quella occasione di voler provvedere al più presto in tal senso non ha trovato però un riscontro concreto, tanto che i firmatari della prima interpellanza si sono fatti promotori di una nuova interpellanza (Atto Camera n. 2-00699 del 4 maggio 2010) nella quale si chiedeva al Governo di sciogliere almeno il nodo dello strumento – regolamentare o normativo – da adottare per dare esecutività amministrativa alla suddetta sentenza della Corte di cassazione. La risposta del Governo indicava chiaramente l'esigenza di una soluzione di tipo normativo e manifestava l'intento di inserire alcune soluzioni idonee in uno dei provvedimenti in via di adozione da parte del Governo stesso. Anche nel corso della precedente legislatura si sono avuti interventi parlamentari tesi a sollecitare il raggiungimento di una soluzione.
La citata sentenza della Corte di cassazione ha dato attuazione al principio di parità tra uomo e donna affermato dalla Costituzione e ha colmato il ritardo che l'Italia aveva accumulato rispetto alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva dalla legge 14 marzo 1984, n. 132.
Un intervento specifico, quale è l'obiettivo della presente proposta di legge, è necessario per la rimozione degli ostacoli esistenti ai fini della piena applicazione di un principio rilevante non solo dal punto di vista civile, ma anche sociale. La soluzione dei problemi insorti a causa di una legislazione discriminatoria verso le donne consentirebbe anche di superare odiose e insostenibili conseguenze di ordine pratico, che vedono, ad esempio, i figli di una stessa madre ottenere la cittadinanza se nati dopo il 1° gennaio 1948 e che se la vedono rifiutare se nati prima.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

1. Alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 1, dopo il comma 1 è inserito il seguente:

«1-bis. È cittadino:

a) la donna che è stata cittadina per nascita e ha perduto la cittadinanza in quanto coniugata con uno straniero, anche quando il matrimonio è stato contratto anteriormente al 1° gennaio 1948;

b) il figlio della donna di cui alla lettera a) anche se nato anteriormente al 1° gennaio 1948;

c) il figlio di un cittadino che ha perduto la cittadinanza per ragioni di lavoro all'estero, anche se nato anteriormente al 1° gennaio 1948»;

b) all'articolo 17, il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Al fine di acquistare la cittadinanza ai sensi di quanto previsto dal comma 1-bis dell'articolo 1, gli aventi diritto presentano una dichiarazione al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare. La dichiarazione è corredata della documentazione determinata con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Il medesimo decreto stabilisce altresì il termine, comunque non inferiore a cinque anni, entro cui chi ha perduto la cittadinanza in applicazione degli articoli 8 e 12 della legge 13 giugno 1912, n. 555, o per non aver reso l'opzione prevista dall'articolo 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123, la riacquista se presenta una dichiarazione in tal senso con le modalità previste dal decreto di cui al primo periodo».

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