XIX LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1835
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
MULÈ, DE PALMA, CATTANEO, ARRUZZOLO, D'ATTIS, NEVI, PITTALIS, MAZZETTI, ORSINI, SACCANI JOTTI, PAOLO EMILIO RUSSO, DALLA CHIESA, TOSI, MARROCCO, ROSSELLO
Istituzione della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale
Presentata il 22 aprile 2024
Onorevoli Colleghi! – Tra i momenti fondanti della Repubblica si rischia spesso di omettere, o almeno di sottovalutare, la deportazione e l'internamento che coinvolsero centinaia di migliaia di ufficiali e soldati i quali, opponendo il loro fermo diniego alla collaborazione con l'esercito tedesco e poi alla Repubblica sociale italiana, fornirono un contributo indiretto ma rilevante alle sorti della seconda Guerra mondiale. Di questa testimonianza, pagata al prezzo di sacrifici durissimi e di decine di migliaia di vite umane, è necessario resti memoria nelle attuali e future generazioni.
Come sappiamo l'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio sottoscritto dall'Italia con le Forze alleate, non pose fine alla guerra come si sperava ma, al contrario, rappresentò per la nostra Nazione l'inizio di tragici avvenimenti e intensificò le sofferenze degli italiani con una guerra fratricida. A partire da quella data, gli eserciti stranieri si scontrarono nel nostro territorio, che perse la piena unità e autonomia decisionale e subì una violenta occupazione da parte dell'ex alleato tedesco il quale, avendo preventivato una possibile defezione italiana, predispose e attuò un'autentica invasione della penisola, iniziando immediatamente a catturare uomini e a razziare mezzi e beni per l'economia di guerra del Terzo Reich.
All'annuncio dell'armistizio, le truppe della Wehrmacht ebbero nel volgere di pochi giorni il sopravvento sulle nostre Forze armate, in particolare su quelle che si trovavano fuori del territorio nazionale. Nella confusione generale si registrarono alcune reazioni represse con violenta rapidità, come nell'isola d'Elba, che portarono a vere e proprie stragi, come a Cefalonia. Nella generalità i militari, abbandonati a se stessi, non poterono opporre alcuna resistenza.
La tragica vicenda coinvolse circa 800.000 militari, il più consistente gruppo di italiani trattenuti con la forza in Germania durante la guerra. Catturati e disarmati dalle truppe tedesche in Francia, in Grecia, in Jugoslavia, in Albania, in Polonia, nei Paesi Baltici, in Russia e in Italia stessa, caricati su carri bestiame, ufficiali e soldati furono trasferiti – con viaggi interminabili, in condizioni disumane – nei campi di detenzione gestiti dalla Wehrmacht, distribuiti in ventuno distretti militari che coprivano tutto il territorio controllato.
Il prigioniero, appena arrivato nel campo di concentramento (lager), veniva spersonalizzato con un numero di identificazione che da quel momento avrebbe sostituito il nome, inciso su una piastrina di riconoscimento, accanto alla sigla del campo.
In quel frangente ai militari italiani prigionieri i tedeschi offrirono la possibilità di tornare liberi, entrando a far parte delle SS o dell'esercito della nascente Repubblica di Salò. Le informazioni a disposizione per compiere una scelta ponderata erano poche e facevano vacillare la volontà di taluni. Eppure, nel corso dei mesi successivi, la maggioranza, oltre 650.000, rifiutò il compromesso e per la prima volta oppose il proprio rifiuto a qualsiasi forma di collaborazione, affrontando sofferenze e privazioni. Oltre 45.000 persone persero la vita nel corso della prigionia per malattie, fame, stenti, incidenti sul lavoro, uccisioni e bombardamenti. Coloro che riuscirono a sopravvivere e a rientrare furono segnati per sempre.
I militari italiani catturati furono inizialmente considerati prigionieri di guerra, ma il 20 settembre 1943, con un provvedimento arbitrario di Hitler, nel disprezzo delle norme di diritto internazionale, il loro status si modificò e vennero classificati come Italienische Militär-Internierte (IMI – internati militari italiani).
Sul piano giuridico, la categoria di internato militare identifica l'appartenente a uno Stato belligerante che si trovi sul territorio di uno Stato neutrale (articoli 57 e seguenti della Convenzione concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre fatta a l'Aja il 29 luglio 1899). Detta formula non era certo applicabile ai prigionieri italiani, ma venne adottata dai nazisti in seguito a considerazioni legate all'occupazione della penisola e alla nascita di un nuovo Stato nel nord Italia. Inoltre, il cambiamento di status fu ispirato dalla volontà di «punire» il tradimento dell'8 settembre, di eludere i controlli della Croce rossa internazionale e soprattutto di aggirare le limitazioni imposte dalla Convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, fatta a Ginevra il 27 luglio 1929, che vieta il loro utilizzo nell'industria bellica.
Gli IMI subirono un trattamento durissimo, furono alloggiati in baracche sovraffollate, sporche e fredde, nelle quali ricevevano razioni di cibo inadeguate. L'igiene era scarsa e portò a epidemie di tifo e tubercolosi, favorite dall'invasione di cimici e pidocchi. Inoltre, i prigionieri mantennero per mesi le divise estive con le quali erano stati catturati, inadatte al clima, cosa che favorì il diffondersi delle malattie. Detenuti e controllati a vista, gli internati vivevano giornate tutte uguali, lunghe e opprimenti, intervallate soltanto da interminabili appelli mattutini e serali all'aperto, in qualsiasi condizione atmosferica, durante i quali venivano allineati e contati ripetutamente. Bastava un piccolo ritardo, una distrazione o una reazione inadeguata per essere puniti.
I tedeschi ritenevano gli italiani più utili come lavoratori che come combattenti. Avendo bisogno di manodopera per far fronte alle crescenti difficoltà, decisero di inserire gli IMI nell'apparato produttivo del Reich e, per imposizione del Führer, d'accordo con la Repubblica sociale italiana, il 12 agosto 1944 i nostri militari cambiarono nuovamente il loro status e vennero trasformati in «lavoratori civili».
Agli IMI, nei venti mesi successivi all'8 settembre 1943, si aggiunsero man mano oltre 100.000 cittadini italiani, donne e uomini rastrellati, che furono destinati quale forza lavoro in Germania. Considerando poi coloro che, trovandosi già in territorio tedesco prima dell'8 settembre, vi furono obbligatoriamente trattenuti, si giunge a circa 200.000 persone circa.
Questi italiani internati, militari o civili, furono sfruttati presso fattorie, fabbriche, miniere e ogni altro tipo di attività produttiva, compresa quella degli armamenti; diventarono operai, braccianti, manovali, garzoni e dovettero costruire trincee, rimuovere macerie, ripristinare gli snodi viari resi inagibili dai bombardamenti.
Chi ebbe la possibilità di essere destinato ad attività agricole o legate alla filiera alimentare riuscì almeno a integrare le magre razioni di cibo ricevute nei campi di concentramento. Diametralmente opposta la condizione di coloro che furono assegnati ai settori estrattivo, siderurgico o degli armamenti, dove si affrontavano turni massacranti. Alcuni luoghi più di altri sono ancora oggi sinonimo di sofferenza e morte, come il bunker Valentin nei pressi di Brema o le gallerie di Khala, in Turingia. La sorte degli italiani internati dipese inoltre dal rapporto con i datori di lavoro e dai capigruppo presso cui erano impiegati. Gli ultimi mesi di prigionia furono comunque i peggiori.
La liberazione avvenne principalmente nel periodo tra febbraio e maggio 1945. Il rimpatrio, tuttavia, non fu immediato e si svolse soprattutto nell'estate e nell'autunno. Varcato il confine, gli internati, in particolare militari, venivano dirottati verso Pescantina, in provincia di Verona, dove era stato istituito un centro di smistamento e accoglienza, e dove si organizzavano i trasporti verso le destinazioni interne.
Le sofferenze dei soldati italiani non terminarono neanche dopo il ritorno. Di fatto, il rientro a casa degli IMI fu estremamente complicato e, per la mancanza di un efficace coordinamento, migliaia di loro si trovarono costretti a organizzarsi da soli per tornare ai luoghi di residenza. Perfino una volta giunti a casa, gli ex internati non sempre trovarono qualcuno che li accogliesse e talvolta quando si presentarono ai distretti militari di appartenenza furono addirittura costretti a rimettere la divisa per concludere il periodo di leva. Anche i civili non trovarono una precisa collocazione data l'impossibilità di vagliare chi avesse accettato le proposte di assunzione per il lavoro nel Reich e chi invece fosse stato vittima di misure coattive.
Nell'Italia del primo dopoguerra in pochi presero sul serio tale tragedia e ciò fu causa di ulteriori pene e umiliazioni, gli ex internati furono considerati come reduci da una normale prigionia di guerra o addirittura sospettati di aver lavorato «volontariamente» per il regime nazista; nel migliore dei casi la loro vicenda fu interpretata come sfortunato corollario della guerra.
Molti di loro si chiusero nel più assoluto silenzio, in pubblico e in famiglia, e non ebbero la forza di raccontare i patimenti subiti. L'oblio è durato a lungo. Gli storici cominciarono ad occuparsi degli IMI solo dalla metà degli anni Ottanta e molto più tardi dei civili. A quasi quarant'anni dai fatti si aprì finalmente un percorso storico teso a non farne svanire la memoria. Oggi si è ancora in tempo, essendo tra l'altro ancora in vita gli ultimi protagonisti e testimoni, per far conoscere questa pagina di storia e rendere il giusto riconoscimento a quanti, con il loro sacrificio, contribuirono a portare la libertà e la democrazia nel nostro Paese. Questo il senso e l'obiettivo della presente proposta di legge. Per perpetuare la memoria degli internati italiani nei campi di concentramento nazisti, deportati e costretti al lavoro per l'apparato bellico tedesco, è necessario far conoscere i fatti e le cause. A tal fine si propone di affiancare alla concessione della medaglia d'onore, disposta dall'articolo 1, comma 1272, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, adeguate iniziative che promuovano momenti di riflessione sul ricordo di quei tragici eventi, soprattutto presso i giovani.
Le associazioni storiche combattentistiche quali l'Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall'internamento, dalla guerra di liberazione (ANRP) e l'Associazione nazionale ex internati (ANEI), riconosciute quali enti morali, rispettivamente, con decreti del Presidente della Repubblica 30 maggio 1949, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 181 del 9 agosto 1949, e 2 aprile 1948, n. 403, posti sotto la vigilanza del Ministero della difesa, provvedono a «mantenere viva la memoria di coloro che immolarono la loro vita per la salvezza della Patria e a tributare loro ogni onoranza», nonché a «conservare e custodire il patrimonio morale che gli internati militari e civili, con le loro sofferenze e la loro partecipazione morale e materiale alla conquista della libertà del nostro Paese hanno acquisito, con l'impegno di trasmetterlo alle nuove generazioni».
In particolare, è da evidenziare l'opera di sostegno dell'ANRP, impegnata nella conduzione del Museo «Vite di IMI», situato a Roma in un'area resa disponibile dal Ministero della difesa e dotato di installazioni multimediali e oggettistica utili a coinvolgere immersivamente il pubblico, in particolare studentesco. L'ANRP è inoltre attiva nel sostegno a studiosi e appassionati, grazie alla propria biblioteca e al personale dedicato, e nella realizzazione e aggiornamento del «LeBI – Lessico Biografico degli IMI» e di «Lavorare per il Reich», due banche di dati con accesso on line, nelle quali sono inseriti il maggior numero di internati italiani deportati nel Terzo Reich. L'ANEI porta avanti il proprio impegno, in particolare, attraverso il Museo nazionale dell'internamento di Padova, adiacente al Tempio nazionale dell'internato ignoto.
Le citate associazioni hanno permesso momenti di ricordo e di riflessione con manifestazioni, incontri e dibattiti, ricerche e pubblicazioni, anche in collaborazione con enti pubblici e privati, italiani e stranieri, mettendo in atto le raccomandazioni della Commissione degli storici italo-tedesca istituita nel 2008 dai rispettivi Governi per perseguire una memoria comune e una cultura condivisa «del passato di guerra», mantenere e diffondere la memoria degli eventi e delle vicende.
Riteniamo indispensabile che tale ricordo resti nella coscienza comune, soprattutto verso le future generazioni. Il ricordo delle sofferenze inferte agli internati italiani, in violazione di tutte le leggi di guerra e dei diritti inalienabili della persona, deve trasformarsi in un messaggio di pace.
A tale scopo si propone di istituire la «Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi» da celebrare il 20 settembre, tenendo conto che nel 1943 proprio in questa data il regime nazista, nel disprezzo delle norme di diritto internazionale, modificò lo status dei militari italiani da prigionieri di guerra a «internati militari», che rappresentò il più consistente gruppo di italiani trattenuti con la forza in Germania durante la guerra.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. La Repubblica riconosce il 20 settembre di ciascun anno quale «Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi» al fine di conservare la memoria dei cittadini italiani, militari e civili, internati nei campi di concentramento, dove subirono violenze fisiche e morali e furono destinati al lavoro coatto, a causa del proprio rifiuto di collaborare con il nazionalsocialismo dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943.
2. Per celebrare la Giornata di cui al comma 1, in ciascuna provincia o ente territoriale di livello equivalente, secondo quanto previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, o dagli specifici ordinamenti degli enti locali delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, gli organi competenti promuovono e organizzano iniziative, manifestazioni pubbliche, incontri, dibattiti, momenti comuni di ricordo e di riflessione, ricerche e pubblicazioni per diffondere la conoscenza, il valore storico, militare e morale della vicenda degli internati italiani nonché il ricordo delle sofferenze ad essi inferte, in violazione di tutte le leggi di guerra, dei diritti inalienabili della persona e quale atto di coercizione affinché si trasformino in un messaggio di pace rivolto soprattutto alle giovani generazioni.
3. In occasione della celebrazione della Giornata di cui al comma 1 è conferita, con cerimonie pubbliche, la medaglia d'onore di cui all'articolo 1, comma 1272, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
Art. 2.
1. I Ministeri dell'istruzione e del merito, dell'università e della ricerca, della cultura, della difesa e dell'interno stabiliscono le direttive per il coinvolgimento pubblico, delle scuole di ogni ordine e grado e delle università, senza oneri a carico del proprio bilancio, nella promozione delle iniziative per celebrare l'alto valore storico, morale ed educativo della Giornata di cui all'articolo 1.
2. Alla realizzazione delle iniziative di cui al comma 1 partecipano, sulla base di un protocollo d'intesa con i Ministeri di cui al medesimo comma 1, l'Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall'internamento, dalla guerra di liberazione (ANRP) e il suo centro studi, documentazione e ricerca con funzioni di coordinamento nonché l'Associazione nazionale ex internati (ANEI).
3. Alla realizzazione e alla promozione delle iniziative di cui all'articolo 1, comma 2, partecipano altresì le associazioni di cui al comma 2 con le medesime modalità.
Art. 3.
1. La Giornata di cui all'articolo 1 della presente legge non è considerata solennità civile ai sensi dell'articolo 3 della legge 27 maggio 1949, n. 260.
Art. 4.
1. Le amministrazioni competenti provvedono all'attuazione delle disposizioni della presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica.