PDL 1207

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2

XIX LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1207

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
BOF, ZINZI, BENVENUTO, MONTEMAGNI, PIZZIMENTI, BARABOTTI, CAVANDOLI, FURGIUELE, MARCHETTI, OTTAVIANI, PIERRO

Modifiche agli articoli 36 e 37 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in materia di accertamento della conformità edilizia

Presentata il 7 giugno 2023

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Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge intende agevolare la realizzazione di investimenti e la rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, nonché sostenere la ripresa economica e produttiva, in particolare del comparto edilizio. Con le disposizioni introdotte dalla presente proposta di legge si attua uno snellimento e un'accelerazione dei procedimenti amministrativi in materia urbanistica ed edilizia, riducendo oneri e adempimenti.
In particolare, la modifica che si introduce nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, propone l'eliminazione dell'obbligo della doppia conformità edilizia, sia al momento di realizzazione di un intervento edilizio in assenza o in difformità di un titolo abilitativo, sia al momento della presentazione di una istanza di accertamento di conformità, per tutti gli interventi realizzati in passato prima di una data certa; lo scopo è quello di garantire la certezza del diritto e facilitare la dimostrazione degli atti sia per l'amministrazione pubblica che per i privati cittadini. Resterebbe fermo solo l'obbligo di conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione dell'istanza per l'accertamento della conformità. La modifica normativa che si propone è richiesta anche dagli ordini professionali del settore perché ritengono sia difficile stabilire la conformità o meno di un intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell'intervento stesso.
Come data certa è stata scelta la data dell'entrata in vigore del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, tenendo conto che negli anni precedenti un gran numero di comuni non erano provvisti di piani regolatori generali approvati e spesso nemmeno di piani di fabbricazione. Ciò rende difficilissimo per i professionisti e i cittadini privati dimostrare la data certa di realizzazione di un intervento difforme dalle disposizioni legislative e regolamentari vigenti al momento della sua realizzazione. Si fa riferimento, pertanto, alla data indicata all'articolo 138 del testo unico, termine inizialmente stabilito a decorrere dal 1° gennaio 2002 e successivamente prorogato al 30 giugno 2002, dall'articolo 5-bis, comma 1, del decreto-legge 23 novembre 2001, n. 411, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 dicembre 2001, n. 463, e, ulteriormente prorogato al 30 giugno 2003 dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 122, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 185.
Attualmente, le norme in vigore, cioè gli articoli 36 e 37 del testo unico, che parzialmente riproducono l'articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, prevedono che per gli interventi edilizi realizzati in assenza o in difformità dal permesso di costruire, oppure in assenza di segnalazione certificata di inizio attività, il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile possono ottenere il permesso in sanatoria, se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, subordinando il permesso al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia ovvero in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari al contributo per il permesso di costruire; in caso di segnalazione certificata di inizio attività, il comma 4 dell'articolo 37 del testo unico prevede il versamento della somma, non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all'aumento di valore dell'immobile.
Su tali norme è maturata negli anni una nutrita giurisprudenza, con sentenze anche contraddittorie tra loro, sulla base delle quali le amministrazioni pubbliche si sono adeguate in maniera difforme secondo il caso e la data della propria pronunzia.
Il Consiglio di Stato è anche arrivato ad introdurre la «Sanatoria giurisprudenziale» con diverse pronunce (Consiglio di Stato, sezione VI, 7 maggio 2009, n. 2835; Consiglio di Stato, sezione VI, 12 novembre 2008, n. 5646; Consiglio di Stato, sezione V, 29 maggio 2006, n. 3267), benché in contrasto con la normativa del testo unico in materia edilizia, legittimando il rilascio del permesso in sanatoria, attraverso la valutazione della conformità dell'intervento edilizio alla normativa urbanistica vigente al momento della richiesta di titolo abilitativo, senza tener conto della legislazione vigente all'epoca della realizzazione dell'opera. Secondo il Consiglio di Stato la sanatoria edilizia di opere abusive può ben intervenire anche a seguito di conformità «sopraggiunta» dell'intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell'interessato; in circostanze inverse, si è ritenuto palesemente irragionevole negare una sanatoria per interventi che sono legittimamente assentibili al momento della nuova istanza. Per i giudici, «imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente “conforme”, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative sia per il cittadino che per la P.A. con la conseguenza contrastante con il principio di proporzionalità, logicità ed economicità che deve seguire l'attività amministrativa, e con un significativo aumento dell'impatto territoriale ed ambientale».
In pratica, con tali sentenze, i giudici amministrativi hanno ritenuto inutile una sanzione demolitoria nei confronti di un'opera che, comunque, potrebbe essere riedificata nuovamente, identica, in quanto conforme alle previsioni urbanistiche attuali.
Tuttavia, in contrasto a tali sentenze, altre successivamente intervenute osservano che la sanatoria giurisprudenziale non può essere ammessa in quanto «un atipico atto con effetti provvedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa, non può ritenersi ammesso nel nostro ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell'azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall'amministrazione, secondo il principio di nominatività, poteri che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e pena l'invasione nelle sfere di attribuzioni riservate all'Amministrazione» (Consiglio di Stato, sezione V, n. 3220 del 11 giugno 2013), aggiungendo in una successiva pronuncia che è del tutto ragionevole vietare il rilascio di un permesso in sanatoria anche quando dopo la commissione dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico in quanto «(...) tale ragionevolezza risulta da due fondamentali esigenze, prese in considerazione dalla legge: a) evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post (e non punibile) ciò che risulta illecito (e punibile); b) disporre una regola senz'altro dissuasiva dell'intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell'abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico» (Consiglio di Stato, sezione V, n. 1324 del 17 marzo 2014; conforme, sezione V, n. 2755 del 27 maggio 2014).
La presente proposta di legge intende fare chiarezza normativa e porre fine alle iniziative giuridiche dei tribunali amministrativi, almeno per gli edifici costruiti prima di una certa data.
Tutte le sentenze concordano comunque sulle differenze tra la sanatoria ordinaria introdotta nell'ordinamento dalla legge n. 47 del 1985 e il condono edilizio, descrivendo la prima come un istituto di carattere generale o di regime, qualificato da una fondamentale verifica di conformità da parte del competente ufficio comunale, non disciplinato da disposizioni transitorie e caratterizzato da peculiari sbarramenti amministrativi e temporali in un contesto di rigoroso controllo della sostanziale inesistenza di un danno urbanistico.
Si tratta infatti di una sanatoria particolare che riguarda esclusivamente difformità edilizie cosiddette formali, ossia relative ad interventi edilizi che nonostante presentino tutti i requisiti di conformità agli strumenti urbanistici sono stati realizzati senza permesso di costruire o in difformità dal permesso medesimo ovvero quelli eseguiti in assenza di SCIA alternativa al permesso di costruire, che, secondo i giudici amministrativi non potrebbero riguardare violazioni di tipo sostanziale. Peraltro, la norma stabilisce anche un limite temporale per la richiesta del titolo sanante, coincidente con la scadenza del termine di cui all'articolo 31, comma 3, del testo unico per la demolizione imposta con ingiunzione, oppure con la scadenza del termine ex articolo 33, comma 1, stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza per la demolizione o rimozione degli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità, oppure, infine, con la scadenza del termine ex articolo 34, comma 1, del medesimo testo unico fissato con le stesse modalità per la demolizione o rimozione degli interventi e delle opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire e, in ogni caso, fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative la quale preclude, quindi, ogni ulteriore possibilità di richiesta indipendentemente dalla scadenza dei termini suddetti.
C'è da tenere inoltre conto che si tratta comunque di interventi minori che non possono incidere sulla normativa antisismica, visto che la specifica disciplina antisismica non contempla alcuna forma di sanatoria o autorizzazione postuma. Inoltre, si tratta di interventi che non devono incidere su immobili tutelati ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o che devono comunque essere consentiti dalla disciplina paesaggistica, in considerazione che tale codice, all'articolo 181, consente esclusivamente una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi di scarso rilievo o, appunto minori, come i lavori che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi, hanno impiegato materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica o si configurano come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, anche escludendo tali interventi dalle sanzioni penali, ferme restando le sanzioni amministrative.
Le contraddizioni tra le sentenze dei giudici amministrativi e la complessità delle casistiche che si presentano su edifici sia di privati che della pubblica amministrazione hanno creato e creano una serie di difficoltà alle amministrazioni comunali in ordine all'applicazione delle norme, tant'è che negli anni, specialmente nei casi in cui risultava palesemente illogica la demolizione integrale, sono apparse sanatorie «condizionate» oppure «parziali», finalizzate a subordinare gli effetti del permesso di costruire postumo all'esecuzione di specifici interventi per far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che invece non avrebbero. Peraltro, spesso si verifica che le amministrazioni comunali evitano di intervenire su immobili che non potrebbero regolarizzare, lasciando indenni interventi attualmente illegittimi nelle periferie delle città, sia perché magari ritengono illogico ordinare la demolizione per poi consentirne la ricostruzione identica degli edifici, sia perché si tratta di spese cospicue e forse insostenibili.
Si evidenzia, infine, che l'entrata in vigore delle detrazioni fiscali al 110 per cento ha richiamato l'attenzione dei cittadini e dei media sulla situazione urbanistica-edilizia del nostro patrimonio immobiliare. Spesso, la possibilità di intervento si è scontrata con una serie di difformità edilizie nelle costruzioni che, nonostante potrebbero essere risolte proprio utilizzando le possibilità previste dall'articolo 36 del citato testo unico, ciò non è stato possibile per le difficoltà connesse alla norma. Infatti, il legislatore è dovuto intervenire, con il comma 13-ter dell'articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, assoggettando a comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) gli interventi del super-bonus, anche qualora abbiano riguardato le parti strutturali degli edifici o i prospetti, superando l'obbligo della doppia conformità edilizia e l'attestazione dello stato legittimo dell'immobile, semplificando ulteriormente gli edifici realizzati prima della «legge ponte», la legge 6 agosto 1967, n. 765, e annullando la decadenza del beneficio fiscale in caso di difformità. In pratica, sono rimasti esclusi dal beneficio gli abusi totali, sprovvisti del titolo abilitativo originario o di quello che ha sanato l'assenza di un titolo abilitativo originario, mentre sono stati ammessi al super-bonus gli immobili che presentano difformità parziali grandi o piccole.
Si ritiene pertanto evidente la necessità di semplificazione delle norme previste dagli articoli 36 e 37 del testo unico in materia edilizia, alla luce dell'esperienza ventennale maturata.
Infine, si ritiene necessario, nell'ambito della semplificazione del procedimento amministrativo previsto dall'articolo 36 del testo unico, modificare la modalità di definizione delle pratiche inoltrate, anche per alleviare gli impegni sia degli uffici comunali che dei tribunali amministrativi, spesso oberati per la soluzione delle richieste.
Inoltre, con riferimento all'articolo 37 del testo unico, si coglie l'occasione per chiarire le modalità di definizione delle procedure sospese di segnalazione certificata di inizio attività, anche a seguito di giurisprudenza, tra «silenzio-rifiuto» (come il vigente articolo 36), «silenzio-accoglimento» e «silenzio-inadempimento».

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifiche all'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380)

1. All'articolo 36 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ovvero, se risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda, qualora si tratti di interventi realizzati prima della data di entrata in vigore del presente testo unico, a condizione che ciò sia provato mediante informazioni catastali di primo impianto o altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio o altro atto, pubblico o privato di provenienza e data certe»;

b) al comma 3, la parola «rifiutata» è sostituita dalla seguente: «accolta».

Art. 2.
(Modifica all'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380)

1. Al comma 4 dell'articolo 37 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Ai fini del presente comma, è richiesta la sola conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda, per gli interventi realizzati prima della data di entrata in vigore del presente testo unico, a condizione che ciò sia provato mediante informazioni catastali di primo impianto o altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio o altro atto, pubblico o privato, di provenienza e data certe. Sulla richiesta di sanatoria inviata, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia, con adeguata motivazione, entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende accolta».

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