Doc. XXXIV, n. 2

COMITATO PARLAMENTARE
PER LA SICUREZZA DELLA REPUBBLICA

(istituito con legge 3 agosto 2007, n. 124)

(composto dai deputati: Guerini, Presidente, Donzelli, Vicepresidente, Rosato, Segretario, Pellegrini e Angelo Rossi e dai senatori: Claudio Borghi, Enrico Borghi, Mieli, Ronzulli e Scarpinato)

RELAZIONE

sulla situazione geopolitica del continente africano
e sui suoi riflessi sulla sicurezza nazionale

(Relatore: deputato Lorenzo GUERINI)

Approvata nella seduta del 5 febbraio 2025

Trasmessa alle Presidenze il 5 febbraio 2025

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INDICE

  INTRODUZIONE ... Pag. 5

  ATTIVITÀ SVOLTA ... »11

  1. Migrazioni ... »13
  1.1. Dati sui flussi migratori provenienti dall'Africa e diretti verso l'Italia ... »13
  1.2. Attività del Ministero dell'interno ... »14
  1.3. Attività dei Servizi di intelligence ... »15
  1.4. Migrazioni e sviluppo: strategie di gestione del fenomeno migratorio elaborate nell'ambito della Presidenza italiana del G7 ... »16

  2. Minacce alla sicurezza derivanti dalla presenza di attori statali esteri. Obiettivi e strategie degli attori statali ... »22
  2.1. Obiettivi e strategie dei principali attori occidentali ... »22
  2.2. Attività di altri attori statali ... »22
  2.3. La politica diplomatica degli attori statali esteri ... »23
  2.4. La politica militare e di sicurezza degli attori statali esteri ... »30
  2.5. Alcuni dati sulla composizione del debito del continente africano ... »31

  3. Terrorismo ... »42

  4. Approvvigionamento di materie prime ... »46

  5. Approvvigionamento energetico: sfide e opportunità sul versante energetico ... »52
  5.1. Progetti di cooperazione con l'Africa ... »60

  6. Sicurezza militare ... »63
  6.1. Finalità dell'impiego dello strumento militare in Africa ... »63
  6.2. Le missioni militari italiane in Africa ... »64
  6.3. Prospettive di evoluzione dell'impegno militare in Africa ... »66

  7. Sicurezza alimentare ... »69
  7.1. Partecipazione del Comitato ai lavori per il «Forum per l'Africa» nell'ambito della riunione dei Ministri dell'agricoltura dei Paesi G7 ... »78

  8. Conclusioni ... »81

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INTRODUZIONE

  Nel corso della seduta del 4 luglio 2023, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha individuato, tra i temi meritevoli di uno specifico approfondimento, l'analisi della situazione geopolitica nel continente africano e delle questioni che rappresentano minacce dirette o indirette per la sicurezza nazionale, collegate alla presenza del nostro Paese in quella regione e all'impegno militare italiano, finalizzato a stabilizzare le aree critiche e a proteggere gli interessi nazionali, nella consapevolezza che dalla sicurezza, alla stabilità, ai cambiamenti climatici, alla crescita sostenibile, l'Africa, ormai, è il nostro presente, ma soprattutto il nostro futuro.
  Come è stato sottolineato in tutte le audizioni svolte, infatti, il continente africano ricopre un ruolo centrale nell'agenda politica italiana, in quanto rappresenta un terreno di sfide cruciali, ma anche di opportunità, per l'Italia e per l'Europa, anche a livello globale e per la stessa Africa. Esso, in particolare, costituisce, più di ogni altro, un mondo in rapida evoluzione, con trasformazioni continue, a volte inattese, capaci di ripercuotersi sugli scenari internazionali in modo repentino e spesso violento.
  Lo scenario è complesso e articolato, principalmente a causa dei molteplici conflitti e delle problematiche con le quali il continente continua a doversi confrontare: l'Africa, infatti, è ancora teatro di attività terroristiche, instabilità politica e conflitti interni, spesso alimentati da attori internazionali; inoltre, la debolezza della governance, la corruzione e fenomeni come i cambiamenti climatici costituiscono ulteriori fattori di destabilizzazione.
  Il nostro Paese ha dato da tempo prova di lungimiranza, sollecitando l'attenzione internazionale sulla centralità dell'Africa. Come è stato sottolineato, l'Italia ha di fronte, anche dal punto di vista geografico, società che devono affrontare quella che è stata definita una «tempesta perfetta», alimentata da condizioni di povertà e fame, esacerbate da guerra, terrorismo, cambiamenti climatici, e dagli effetti della pandemia.
  L'Africa comprende alcune delle economie in più rapida crescita del mondo, con un potenziale significativo in settori quali l'agricoltura e le risorse naturali. Paesi come la Nigeria, il Kenya e l'Etiopia sono esempi significativi di questa traiettoria di crescita. Nel corso delle audizioni è stato più volte evidenziato come l'Africa non sia un soggetto politico omogeneo, ma vi siano «tante Afriche». Con i suoi 54 Stati, le sue migliaia di etnie, le differenti situazioni politiche, economiche e socio-culturali, qualsiasi tentativo di comprensione del continente africano richiede, pertanto, un'analisi articolata, che va al di là delle sfide contingenti, tenuto anche conto del fatto che la disomogeneità interna al continente rappresenta una potenziale opportunità per i disegni egemonici delle grandi potenze.
  Più in particolare, nella fascia settentrionale, soprattutto in Sahel, che vive tuttora le conseguenze delle cosiddette «Primavere arabe», si assiste a un costante aggravamento della situazione securitaria, generato, tra l'altro, da una progressiva sostituzione dell'egemonia francese con un aumento dell'influenza russo-cinese e dall'avanzare di gruppi terroristici, come Boko Haram in Nigeria. Vi sono, poi, la zona equatoriale – potenziale serbatoio di materie prime nel mondo –, la Pag. 6 zona australe, che pure presenta interessanti potenziali prospettive, e il Corno d'Africa, area resa estremamente delicata dalla presenza del fenomeno del terrorismo di matrice islamista e per una progressiva penetrazione turca. L'Africa rappresenta, dunque, un terreno fertile per una competizione geopolitica ad opera di forze esogene, in cui ha contemporaneamente luogo un riassestamento ad opera di forze endogene.
  Inoltre, secondo le stime delle Nazioni Unite, entro il 2030 oltre il 40 per cento della popolazione giovanile mondiale sarà africana ed entro il 2050 l'Africa rappresenterà più del 25 per cento della popolazione globale, con un incremento fino a 2,1 miliardi e un'età media inferiore ai 25 anni. Dal punto di vista economico, l'Africa è il secondo continente, dopo l'Asia, con il più alto tasso di crescita, con proiezioni per il 2025 che superano quelle medie globali. Si pensi, in particolare, che, secondo la Banca Mondiale(1), la crescita dei Paesi dell'Africa subsahariana è prevista del 4,1 per cento nel 2025 e del 4,6 per cento nel 2026.
  L'Africa, dunque, è il continente che cresce di più e anche il più giovane. In considerazione della crescita demografica, i giovani africani che entreranno nel mondo del lavoro entro il 2035 costituiranno un potenziale enorme per lo sviluppo, a condizione, però, che tutti possano accedere a un adeguato percorso educativo e formativo. Si rivela di prioritaria importanza, pertanto, assicurare al continente una crescita economica che consenta la creazione di adeguati posti di lavoro ogni anno, per evitare che milioni di giovani in cerca di occupazione sul mercato locale si riversino al di là del continente, creando flussi migratori incontrollati.
  L'approccio da adottare nei confronti del continente africano, divenuto il cuore del Sud globale, non può quindi prescindere da una tendenza che nello scacchiere geopolitico sta prendendo piede, ossia la trasformazione dei BRICS verso un modello di consesso intergovernativo estremamente allargato, che ingloba segmenti dell'Unione africana, del Sudamerica e dell'Indopacifico.
  Nelle numerose audizioni svolte è stato sottolineato come anche la competizione per le risorse naturali sia un fattore che alimenta le tensioni in diverse regioni del continente, aggravando ulteriormente i conflitti. Sotto tale profilo, notevoli sono le differenze all'interno del continente africano: molti Paesi stanno attraversando una fase di crescita economica – trainata da settori come l'agricoltura e l'estrazione di risorse naturali e materie prime critiche – che però non si manifesta sempre in maniera uniforme e spesso è messa in discussione da fattori come deficit infrastrutturali e problemi di governance. Inoltre, la crescita economica in Africa dipende dallo sviluppo delle infrastrutture, ma il debito contratto dai partner internazionali per il finanziamento dei necessari progetti, essenziali per potenziare la connettività e la produttività, non è sempre sostenibile. Peraltro, considerato che l'approccio senza condizionalità di potenze come la Cina alla concessione di prestiti e allo sviluppo delle infrastrutture è stato considerato più appetibile rispetto a quello delle istituzioni finanziarie occidentali, sono molto elevate le preoccupazioni a livello internazionale Pag. 7 e in Africa circa la dipendenza, anche in termini politici, del debito collegato ai prestiti per investimenti infrastrutturali.
  Nel corso delle audizioni è stato evidenziato, altresì, che la presenza di attori esteri, portatori di interessi talvolta coincidenti, ma anche contrapposti, rende ancor più complesso lo scenario, dai contorni non uniformi e spesso imprevedibili, sul quale già gravano la competizione per le risorse naturali, le tensioni etniche, la debolezza delle istituzioni statali e i cambiamenti climatici, che compromettono, tra l'altro, la sicurezza alimentare e idrica e aggravano le crisi già esistenti nel continente.
  Come è stato più volte affermato, l'Africa di oggi è un'Africa fatta di contrasti, in cui convivono, da un lato, Paesi con istituzioni fragili come quelli del Sahel, spesso incapaci di gestire efficacemente gran parte del territorio, dove criminalità, radicalizzazione e terrorismo si intersecano, con sacche di povertà estrema ed emarginazione sociale, tensioni etniche, fame, crisi alimentari, devastanti effetti dovuti ai cambiamenti climatici; dall'altro lato, ci sono Paesi più dinamici, relativamente sicuri, in crescita economica e sociale, più rispettosi delle regole costituzionali e dello stato di diritto, come la Tanzania, il Kenya, il Senegal, il Ghana, il Botswana, il Sudafrica, che possono o che potrebbero essere autentici «volani regionali», in grado di influenzare in positivo le sorti dell'intera area continentale.
  Alcuni Paesi, come la Nigeria, sono stati definiti come un «gigante dormiente», la «bomba demografica del futuro», il «gigante dell'Africa» o un «crogiolo di culture», di vivacità, di startup, e in tale scenario andrebbe inquadrata la visione strategica e operativa del nostro Paese, che si sta concentrando in un'attività di cooperazione finalizzata alla stabilità e al rafforzamento della regione.
  A conferma dell'importanza strategica dell'Africa, con il decreto-legge 15 novembre 2023, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 gennaio 2024, n. 2, il Governo ha adottato misure urgenti per definire la governance del cosiddetto «Piano Mattei», ovvero «un piano strategico» per la costruzione di un nuovo partenariato tra Italia e Stati Africani, le cui differenti ramificazioni dovranno essere delineate in maniera dettagliata con successivi provvedimenti attuativi.
  Il Piano Mattei, impregiudicata ogni valutazione di carattere politico, già svoltasi nelle opportune sedi parlamentari e non di competenza del Comitato, si focalizza in particolare su sei aree strategiche: i) energia; ii) infrastrutture; iii) sanità; iv) risorse idriche; v) agricoltura; vi) formazione e istruzione.
  Le linee generali del Piano Mattei sono state presentate nel corso della prima iniziativa della Presidenza italiana del G7, ovvero il «Vertice Italia-Africa» che ha avuto luogo il 29 gennaio 2024 alla presenza dei rappresentanti di 46 nazioni africane, la maggior parte delle quali a livello di Capi di Stato e di Governo, dei tre Presidenti delle istituzioni europee, dei vertici delle Nazioni Unite, dell'Unione africana, delle Organizzazioni internazionali, delle istituzioni finanziarie e delle banche multilaterali di sviluppo. Nel corso del Vertice, il Governo italiano ha illustrato alle Nazioni africane la visione italiana sul partenariato paritario con il continente africano, definendo il Piano come una piattaforma programmatica e operativa aperta alla costante Pag. 8 collaborazione con le Nazioni africane, sia nella fase di definizione che in quella di attuazione degli interventi.
  Con il successivo DPCM del 17 luglio 2024 (A.G. 179), il Governo ha indicato alcuni strumenti finanziari definiti con la Banca africana di sviluppo, funzionali alla realizzazione degli obiettivi del Piano Mattei. Su tale schema le Commissioni Affari esteri della Camera ed Esteri e difesa del Senato hanno espresso il proprio parere nelle rispettive sedute del 5 agosto 2024.
  Il Piano Mattei è la piattaforma attraverso la quale l'Italia si presenta ai Paesi dell'Africa come partner di riferimento per una collaborazione vantaggiosa di lungo periodo. Nel corso di alcune audizioni sono stati evidenziati i risultati raggiunti in occasione delle missioni del Presidente del Consiglio, in Egitto a marzo e in Tunisia ad aprile, in cui sono state concluse importanti intese in diversi settori, dall'agricoltura alla cooperazione interuniversitaria, dall'apertura di nuove linee di credito alla formazione professionale. Inoltre, sono stati ricordati il finanziamento di 75 milioni di euro, a valere sul Fondo italiano per il clima, per il sostegno del progetto pilota di sviluppo della filiera dei biocarburanti in Kenya, nonché importanti accordi in materia di agricoltura, tra cui un'intesa, sottoscritta il 6 luglio 2024 con il Governo algerino, nel campo dell'agricoltura rigenerativa ad alta tecnologia, con la concessione da parte del Governo algerino di 36.000 ettari, che la società Bonifiche Ferraresi si è impegnata a recuperare all'uso agricolo, creando un'intera filiera produttiva, con un valore totale di circa 420 milioni di euro.
  È stato evidenziato l'obiettivo perseguito dal Governo con il Piano, ossia la costruzione di un nuovo modello di cooperazione e sviluppo con i Paesi africani che non fosse limitato a dichiarazioni di principio, ma basato su obiettivi fattibili e realizzabili, su un cronoprogramma definito e con una strategia europea, di prospettiva. È stata evidenziata la volontà di considerare il Piano Mattei come un'iniziativa di respiro nazionale, che risponda all'interesse nazionale italiano di creare un nuovo modello di sviluppo e partenariato con l'Africa. Nella governance del Piano è stata coinvolta, infatti, una rappresentanza del «Sistema-Paese» molto ampia e articolata, che ha visto interessati, oltre al Governo, anche le più importanti aziende di Stato, Confindustria, Confcommercio, i sindacati; è stata sviluppata una sinergia tra settore pubblico e settore privato ed è stato promosso il sostegno all'internazionalizzazione delle aziende. La sfida non è tentare di depredare l'Africa delle proprie risorse, ma consentire ai Paesi africani di utilizzare quelle risorse. È stata più volte ricordata la forte sinergia tra il Piano Mattei, il Global Gateway dell'Unione europea e la Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII) lanciata in ambito G7, in particolare attraverso la partecipazione italiana al progetto infrastrutturale regionale del Corridoio di Lobito in Africa australe. Il Piano Mattei ha come obiettivo, quindi, promuovere la collaborazione con le nazioni africane, insieme alle quali costruire nuove occasioni di sviluppo condiviso, facendo leva sui rispettivi sistemi economici e produttivi, che devono divenire sempre più dinamici e intraprendenti, in una cooperazione da pari a pari, lontana, ormai, da approcci caritatevoli o paternalistici. Pag. 9
  Nella prima fase di attuazione del Piano sono previsti progetti pilota in nove Paesi africani:

   Costa d'Avorio: progetti per scuole primarie e secondarie, potenziamento delle infrastrutture sanitarie, gestione dell'anagrafe e dello stato civile;

   Algeria: progetti di «agricoltura desertica» e formazione-lavoro per i giovani;

   Egitto: progetti di modernizzazione dell'agricoltura e sviluppo di programmi professionali educativi in ambito turistico;

   Mozambico: progetti per la modernizzazione di orticoltura, allevamento e agricoltura ed il potenziamento delle attività di ricerca nel settore agritech;

   Tunisia: progetti di depurazione delle acque, installazione di impianti fotovoltaici e realizzazione della interconnessione elettrica sottomarina ELMED;

   Etiopia: progetti di recupero ambientale, risanamento delle acque e di formazione-lavoro con focus particolare su giovani, donne e persone in condizioni di vulnerabilità socio-economica;

   Repubblica del Congo: progetti per il miglioramento dell'accesso all'acqua (costruzione di pozzi) e il trattamento delle acque reflue per riutilizzarle per scopi agricoli;

   Kenya: progetti di sostegno allo sviluppo dei biocarburanti e di formazione professionale;

   Marocco: progetti per la produzione e gestione di energia rinnovabile e per la diffusione di nuove tecnologie mediche.

  Con riferimento alle risorse, il Governo fa presente che il Piano Mattei potrà avvalersi di una pluralità di canali di finanziamento ai quali attingere per l'attuazione dei progetti. Nello specifico, nella sua prima fase il Piano Mattei potrà contare su una dotazione iniziale di 5 miliardi e 500 milioni di euro tra crediti, operazioni a dono e garanzie, di cui circa 3 miliardi reperiti dal Fondo Italiano per il clima e 2,5 miliardi dai fondi della Cooperazione allo sviluppo.
  In attuazione del Piano Mattei, l'articolo 10 del decreto-legge 29 giugno 2024, n. 89, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, reca varie misure a sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese italiane in Africa, per la realizzazione di progetti che riguardano anche l'efficientamento energetico. Si ricordano in particolare:

   • il fondo rotativo (commi 1-4 e commi 7-9): che prevede l'utilizzo di una quota, nel limite di 200 milioni di euro, delle disponibilità del «Fondo 394» (di cui all'articolo 2, primo comma, del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394) per concedere finanziamenti agevolati alle imprese;

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   • i finanziamenti di Cassa depositi e prestiti (commi 5, 6 e 10): che consistono in finanziamenti alle imprese, nel limite di 500 milioni di euro per l'anno 2024, per interventi coerenti con il Piano Mattei;

   • il fondo italiano per il clima (istituito dalla legge di bilancio 2022, comma 11): che destina 3 miliardi di euro a supporto delle finalità e degli obiettivi del Piano Mattei;

   • il fondo rotativo per operazioni di venture capital (di cui alla legge finanziaria del 2007, comma 12): con un rifinanziamento per 50 milioni di euro per l'anno 2024.

  Nella presente relazione è stato compiuto un tentativo di sistematizzazione in macro-aree tematiche dei principali elementi emersi nel corso delle audizioni svolte, riportando, ove non diversamente specificato, le posizioni illustrate dai soggetti auditi, con particolare riferimento a fenomeni aventi carattere trasversale che interessano l'intero continente, quali le migrazioni, le interferenze di attori statali esterni, il terrorismo, l'approvvigionamento di materie prime e terre rare, il ricorso agli approvvigionamenti energetici, la sicurezza militare e la sicurezza alimentare, utilizzando prevalentemente, ove non diversamente specificato, dati forniti nel corso delle audizioni svoltesi dal 18 luglio 2023 al 29 ottobre 2024.

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ATTIVITÀ SVOLTA

  Nel periodo 18 luglio 2023-29 ottobre 2024 sono state svolte 30 audizioni, per un totale di circa 32 ore di seduta. Di queste, 7 hanno visto la partecipazione di esponenti del Governo:

   il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Antonio Tajani (il 18 luglio 2023);

   il Ministro della difesa, Guido Crosetto (il 15 maggio 2024);

   il Ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso (il 22 maggio 2024);

   il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin (11 giugno 2024);

   il Ministro dell'interno, Matteo Piantedosi (il 2 luglio 2024);

   l'Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano (il 3 luglio 2024);

   il Ministro dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida (il 29 ottobre 2024).

  Il Comitato ha proceduto, inoltre, all'audizione dei vertici sia degli organismi di informazione per la sicurezza (il Direttore dell'AISE, Giovanni Caravelli, il 19 settembre 2023) sia delle Forze armate (il Capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, il 27 febbraio 2024).
  Sono state svolte, quindi, le audizioni dei seguenti Ambasciatori d'Italia nel continente africano:

   l'Ambasciatore d'Italia nella Repubblica Federale della Nigeria, Stefano De Leo (il 21 dicembre 2023);

   l'Ambasciatrice d'Italia nella Repubblica del Ghana e nella Repubblica togolese, Daniela D'Orlandi (il 21 dicembre 2023);

   l'Ambasciatore d'Italia nella Repubblica del Niger, Roberto Orlando (il 21 dicembre 2023);

   l'Ambasciatore d'Italia nella Repubblica federale di Etiopia, Agostino Palese (il 21 dicembre 2023);

   l'Ambasciatore d'Italia nella Repubblica del Sudan, Michele Tommasi (il 21 dicembre 2023);

   l'Ambasciatore d'Italia presso il Regno del Marocco e la Repubblica Islamica di Mauritania, Armando Barucco (il 26 marzo 2024);

   l'Ambasciatore d'Italia in Somalia, Pier Mario Daccò Coppi (il 26 marzo 2024);

   l'Ambasciatore d'Italia in Libia, Gianluca Alberini (27 marzo 2024);

   l'Ambasciatore d'Italia in Angola, Cristiano Gallo (27 marzo 2024);

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   l'Ambasciatore d'Italia in Guinea, Stefano Pontesilli (3 aprile 2024).

  Sono stati auditi, inoltre, i seguenti ulteriori soggetti istituzionali:

   la Rappresentante speciale dell'UE per il Sahel, Emanuela Del Re (il 6 dicembre 2023);

   il Direttore generale per la mondializzazione e le questioni globali presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Vincenza Lomonaco (l'8 novembre 2023).

  Il Comitato ha poi svolto l'audizione di rappresentanti di alcuni Think Tank, in particolare:

   il Presidente dell'ISPI, Giampiero Massolo (il 12 settembre 2023);

   rappresentanti di «Aspenia»: il direttore di Aspenia e senior advisor per l'Europa dell'Aspen Institute Italia: Marta Dassù, il direttore di «Aspenia online» e senior advisor per le attività internazionali dell'Aspen Institute Italia, Roberto Menotti, e il direttore dell'Institute for global studies e senior advisor per l'Africa dell'Aspen Institute Italia, Nicola Pedde (il 20 settembre 2023);

   il presidente dello IAI (Istituto affari internazionali), Ferdinando Nelli Feroci, con il responsabile del programma Mediterraneo, Medio Oriente e Africa Maria Luisa Fantappiè, e la ricercatrice del medesimo programma di IAI, Francesca Caruso (il 27 settembre 2023);

   il Capo dell'Ufficio di Roma e Senior policy fellow dello European Council on Foreign Relations (ECFR), Arturo Varvelli (il 15 novembre 2023).

  Infine, sono state svolte le audizioni dei seguenti rappresentanti di alcune imprese particolarmente attive nel continente, nonché di Confindustria:

   l'Amministratore delegato e direttore generale di SACE, Alessandra Ricci (il 21 novembre 2023);

   il Direttore Public Affairs dell'Eni, Lapo Pistelli (il 20 dicembre 2023);

   il Direttore generale di Confindustria, Raffaele Langella (il 10 gennaio 2024);

   l'Amministratore delegato di Webuild, Pietro Salini (il 23 gennaio 2024);

   il Presidente della SIMEST, Pasquale Salzano (il 7 febbraio 2024).

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1. Migrazioni

1.1. Dati sui flussi migratori provenienti dall'Africa e diretti verso l'Italia

  La situazione del continente africano, caratterizzata da fattori di crisi durevoli, quali i conflitti militari, gli shock economici, l'insicurezza alimentare, gli eventi climatici, è all'origine dei flussi migratori verso il continente europeo.
  Secondo i dati riportati dal Ministero dell'interno nel Cruscotto statistico pubblicato sul sito istituzionale, i migranti sbarcati in Italia dal 1° gennaio al 31 dicembre 2024 sono stati 66.317, segnando una rilevante diminuzione rispetto ai due anni precedenti. Infatti, rispetto ai migranti registrati nel 2024, i migranti arrivati nello stesso periodo sulle coste italiane sono stati 157.651 nel 2023 e 105.131 nel 2022.

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  Sul totale dei migranti sbarcati nel 2024, circa il 34 per cento proviene da diversi Stati africani, mentre la maggioranza proviene dal Bangladesh (21 per cento) e dalla Siria (19 per cento).
  In particolare, le provenienze dai singoli Stati dell'Africa nel corso dell'anno sono ripartite nel modo seguente: il 12 per cento dalla Tunisia, il 6 per cento dall'Egitto, il 5 per cento dalla Guinea, il 3 per cento dall'Eritrea, il 3 per cento dal Sudan, il 3 per cento dal Mali e il 2 per cento dal Gambia, nonché da altri Paesi africani in misura più contenuta.
  Le rotte seguite dai migranti per raggiungere l'Italia sono due: quella del Mediterraneo centrale, che ha nell'Africa saheliana il punto di arrivo e di partenza di numerosi gruppi migratori, e la rotta del Mediterraneo orientale, che parte dalle coste della Turchia e della Libia e arriva direttamente in Italia. Pag. 14
  Dal 2023 la prima rotta è stata quella più consistente e preoccupante, mentre la seconda è stata molto ridimensionata grazie alla collaborazione tra autorità italiane, libiche e tunisine per interrompere le attività dei trafficanti.
  Nel 2024, invece, si è assistito ad una generale diminuzione dei flussi migratori provenienti dalle suddette rotte, per quanto quella del Mediterraneo centrale rimanga la rotta migratoria più attiva verso l'Unione europea(2).
  Merita ricordare che, per alcuni Paesi come la Guinea, le rotte più utilizzate sono ormai via aereo verso Tunisi o verso la Francia o la Germania, mentre la rotta via terra è superata tranne che per i minori che non vengono accettati in aereo.
  I migranti arrivano in Libia in aereo anche da Paesi asiatici come il Pakistan e il Bangladesh che, almeno fino a poco tempo fa, godevano di regimi di esenzione dai visti o che necessitavano di visti turistici abbastanza semplici da ottenere. Tali regimi di recente sono stati resi più restrittivi, rendendo più difficili i viaggi.
  Come emerso in più audizioni, la situazione gravemente critica in cui versano alcuni Paesi più popolosi, come l'Egitto, l'Algeria, l'Etiopia o il Sudan, può far ritenere che, qualora le situazioni di insicurezza ivi presenti non venissero stabilizzate, potrebbero determinare ingenti flussi di migranti sulle coste italiane.

1.2. Attività del Ministero dell'interno

  Il Ministero dell'interno risulta da tempo impegnato a lavorare, in stretto raccordo con la Presidenza del Consiglio dei ministri e con i Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della difesa e della giustizia.
  In tale contesto, è stato istituito un nuovo organismo nell'ambito della Direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere, presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza, denominato Comitato di analisi per l'immigrazione e per la sicurezza delle frontiere, sulla scorta della positiva esperienza maturata negli anni dal Comitato di analisi strategica antiterrorismo (CASA). Tale organo replica, con riferimento alla materia migratoria, la composizione multidisciplinare e le metodologie di analisi del CASA, attraverso il coinvolgimento non soltanto dei rappresentanti delle Forze di polizia, dell'intelligence e dell'amministrazione penitenziaria, ma anche della Marina militare e del Corpo delle Capitanerie di porto.
  La gestione dei flussi migratori via mare ha comportato, da parte del Ministero dell'interno, un impegno crescente sul fronte del dialogo e della cooperazione internazionale, soprattutto con i Paesi della cosiddetta sponda sud del Mediterraneo. Ciò anche in vista delle novità ordinamentali che, a livello europeo e nazionale, deriveranno nei prossimi anni dal nuovo Patto europeo sulle migrazioni e l'asilo, specie per i profili della disciplina relativa all'esame delle domande di protezione Pag. 15 internazionale e delle procedure di rimpatrio, oltreché del meccanismo di risposta solidale alle crisi migratorie.
  Il lavoro del Ministero nell'affrontare la questione migratoria si svolge sul triplice versante del contrasto agli arrivi illegali, dell'accoglienza sul territorio nazionale e, infine, della gestione del sistema d'asilo, con particolare riferimento alla Tunisia e alla Libia.
  Oltre alla sorveglianza delle rotte marittime e all'attività info-investigativa, correlata al rischio rappresentato dal terrorismo internazionale, il Ministero continua nell'attività di monitoraggio delle organizzazioni criminali coinvolte nella gestione dei flussi migratori irregolari, soprattutto delle mafie straniere, che ormai rappresentano una consolidata componente del complessivo scenario malavitoso italiano. Fra le organizzazioni criminali straniere è degna di nota, principalmente, la mafia nigeriana, cui fanno capo diversificate attività illegali, fra le quali, appunto, quella del traffico di migranti.
  Un ruolo indispensabile, a integrazione dell'attività di controllo del territorio, continua ad essere svolto dai Centri di permanenza per i rimpatri (CPR), che assicurano la custodia di soggetti potenzialmente pericolosi per la sicurezza e l'ordine pubblico, in attesa di essere espulsi o, comunque, riaffidati alle autorità nazionali dei Paesi di origine.
  Oltre all'attività di contrasto, il Ministero dell'interno, assieme alle prefetture, assicura i servizi di accoglienza dei migranti giunti in Italia, attraverso una fitta rete costituita dalle strutture di primo soccorso – gli hotspot, i centri di prima accoglienza (CPA) e i centri di accoglienza straordinaria (CAS) – e dalla rete della cosiddetta seconda accoglienza, che poggia sulla tradizionale e consolidata collaborazione fra Stato ed enti locali. Accanto al sistema nazionale di accoglienza, tra i canali di ingresso legale, sono previsti i rimpatri volontari assistiti, strumenti funzionali ad assistere i migranti che, per svariate ragioni, manifestano l'intendimento di fare rientro, su base volontaria, nel proprio Paese di origine; i corridoi umanitari, a disposizione dei cittadini stranieri in fuga da situazioni di crisi internazionali, che hanno consentito ad oltre 7.000 persone in fuga dalla Siria e dal Corno d'Africa di raggiungere l'Italia e i canali strutturati di ingresso per motivi di lavoro.
  Il diritto di asilo, accanto al contrasto e all'accoglienza, rappresenta il terzo pilastro su cui poggia il sistema di gestione del fenomeno migratorio. L'attività di riconoscimento di tale diritto è demandata alle 20 Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, affiancate da 21 Sezioni insediate presso le prefetture, che sovrintendono alla gestione delle istanze.
  A tal proposito, è necessario ricordare la ratifica del Protocollo tra Italia e Albania, autorizzata con la legge 21 febbraio 2024, n. 14.

1.3. Attività dei Servizi di intelligence

  L'Italia è crocevia, nel Mediterraneo, di flussi migratori provenienti dall'Est e dall'Africa e il fenomeno migratorio è strettamente connesso con la situazione di insicurezza e di conflittualità di molti territori.
  Lo Stato da cui parte la maggioranza dei migranti diretti in Italia è la Libia. I migranti si procurano il denaro necessario per il biglietto, da 2.000 a 5.000 euro a seconda del luogo di partenza, svolgendo lavori nelle città della Libia. Poi vengono tenuti in compound e quindi Pag. 16 trasportati su camion per raggiungere la costa. In Libia il controllo dell'immigrazione irregolare è più efficace nella regione della Cirenaica, governata dal generale Haftar, mentre in Tripolitania le diverse fazioni e milizie presenti si dividono il controllo delle varie città coinvolte in questo traffico.
  Secondo quanto riferito nelle audizioni svolte, sono presenti circa 700 mila immigrati irregolari in Libia e, secondo le autorità tunisine, circa 700-800 mila in Tunisia, probabilmente sovrastimati.
  Viene regolarmente svolta, inoltre, un'attività di collaborazione con i Servizi degli Stati della costa nord dell'Africa, quali la Libia, la Tunisia e l'Algeria, per contrastare le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti, sottolineando che i rapporti con alcuni dei Paesi ricordati sono stati molto proficui, mentre in altri casi sono state registrate maggiori difficoltà.
  L'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) sostiene i Paesi coinvolti dai flussi migratori, ad esempio attraverso il mancato finanziamento degli Stati nell'attività di rimpatrio dei migranti irregolari.
  Esiste un legame tra le organizzazioni criminali che sfruttano i flussi irregolari e le organizzazioni terroristiche, le quali pretendono il pagamento di denaro quando le carovane transitano dai territori da loro controllati.

1.4. Migrazioni e sviluppo: strategie di gestione del fenomeno migratorio elaborate nell'ambito della Presidenza italiana del G7

  La Presidenza italiana del G7 ha inteso conferire un particolare rilievo al tema dello sviluppo all'interno dell'agenda complessiva del G7. Nelle intenzioni della Presidenza di turno italiana, la promozione dello sviluppo del continente africano dovrà realizzarsi attraverso partenariati equi, in linea con il principio del «nulla sull'Africa, senza l'Africa» e con l'approccio strategico del Piano Mattei per l'Africa.
  Il vertice del G7 svoltosi nelle giornate dal 13 al 15 giugno 2024 a Borgo Egnazia, nell'ambito della Presidenza italiana, ha consentito ai leader del G7 di dimostrare la forte determinazione a sostenere l'ordine internazionale basato sullo Stato di diritto e a rafforzare il loro impegno con i Paesi in via di sviluppo. Con particolare riferimento al tema delle migrazioni, nel comunicato finale adottato al termine dei lavori, i Paesi del G7 si sono impegnati a rafforzare la cooperazione promuovendo un triplice approccio, in partenariato con i Paesi di origine e di transito, incentrato sulle seguenti tematiche: le cause profonde della migrazione irregolare, attraverso iniziative di sviluppo sostenibile; investimenti economici e sforzi di stabilizzazione; sforzi volti a migliorare la gestione delle frontiere e l'applicazione delle norme, nonché a frenare la criminalità organizzata transnazionale coinvolta nel traffico di migranti e nella tratta di esseri umani; percorsi sicuri e regolari per la migrazione.
  Le citate conclusioni si soffermano anche sulle questioni problematiche legate a specifiche regioni del continente: in particolare, con riferimento alla Libia, nel comunicato finale adottato si sottolinea il forte impegno a favore della stabilità, dell'indipendenza, dell'integrità territoriale e dell'unità nazionale di quel Paese, unitamente alla necessità Pag. 17 di superare lo stallo politico, che richiede un dialogo significativo e senza precondizioni. Con riferimento alla regione del Sahel, i leader del G7 hanno espresso la preoccupazione per il deterioramento della situazione di sicurezza, determinata anche dalla diffusione del fenomeno del terrorismo e da violenti conflitti che hanno impoverito la regione e provocato uno spostamento della popolazione civile da quell'area. Dal G7 di Borgo Egnazia è provenuta inoltre una ferma condanna nei confronti dei combattimenti in corso in Sudan, che comprendono violazioni e abusi dei diritti umani, nonché violazioni del diritto internazionale umanitario, a partire dal mese di aprile 2023. Forte preoccupazione è stata espressa, inoltre, per l'aumento di vittime civili e della violenza su base etnica, che continua a minare la fragile situazione umanitaria e crea ulteriori rischi di sfollamento.
  I gruppi tematici impegnati sul tema «sviluppo» stanno lavorando, in dialogo con i partner africani (tra cui l'Unione africana, la New Partnership for Africa's Development-NEPAD e la Banca africana di sviluppo), per affrontare le priorità di sviluppo più urgenti in Africa.
  L'impegno dei gruppi di lavoro impegnati sul tema «sviluppo» si focalizza su sei ambiti prioritari: sicurezza alimentare e sistemi alimentari sostenibili; investimenti in infrastrutture sostenibili e di qualità (PGII), migrazioni e sviluppo; educazione e sviluppo; parità di genere ed empowerment femminile e accountability.
  In particolare il tema delle migrazioni è diventato una priorità strategica della politica estera nel nuovo millennio.
  Il focus sulle migrazioni in rapporto allo sviluppo riflette l'interconnessione tra le questioni legate alla gestione «ordinata» delle migrazioni internazionali, soprattutto a carattere intercontinentale come quelle che attraversano il Mediterraneo, e le politiche di cooperazione allo sviluppo. Il tema è molto delicato politicamente, perché la relazione tra migrazioni e sviluppo è innegabile, ma si presta a diverse interpretazioni a seconda che il presupposto sia la consapevolezza che affrontare le sfide della migrazione richieda strategie che diano priorità allo sviluppo oppure, all'opposto, che l'urgenza di affrontare la sfida migratoria imponga alle politiche di sviluppo un orientamento per scoraggiare le migrazioni stesse. In ogni caso, nei documenti ufficiali delle Nazioni Unite, come anche dell'UE e dell'Italia, si riconosce che le migrazioni sono spesso determinate da fattori di fondo come la povertà, la mancanza di opportunità economiche, i conflitti e i cambiamenti climatici. Dando priorità al nesso tra migrazioni e sviluppo si dovrebbe cercare di affrontare le cosiddette cause profonde (o root causes) attraverso interventi di sviluppo mirati.
  Al contempo, le migrazioni pongono sfide umanitarie, in particolare per le popolazioni vulnerabili, con riguardo a rifugiati e richiedenti asilo. A livello di governance globale, come è il caso degli sforzi del G7, una questione cruciale è rappresentata dalla necessità di garantire la protezione dei diritti dei migranti e di fornire assistenza umanitaria a chi ne ha bisogno. I diversi orientamenti politici portano a tradurre questa indicazione in termini di finanziamento a Paesi di transito, solitamente Paesi in via di sviluppo (PVS) della stessa Africa, perché si facciano carico di queste responsabilità come Stati cuscinetto cui esternalizzare la gestione del fenomeno, oppure a sollecitare un maggiore impegno dei Paesi di destinazione finale, solitamente Paesi con Pag. 18 economie ad alto reddito come è il caso dell'Unione europea, in termini di politiche di accoglienza e integrazione.
  Il nesso tra migrazioni e sviluppo è strettamente legato al raggiungimento dei Sustainable development Goals (SDG) individuati dall'ONU nel 2015. Ad esempio, il target sulla promozione dell'educazione, relativo all'obiettivo SDG 4 concernente l'educazione di qualità, si focalizza sulla necessità di aumentare la mobilità internazionale degli studenti e di promuovere l'istruzione superiore per mezzo di borse di studio da emettere in favore dei Paesi in via di sviluppo. Il target della riduzione delle disuguaglianze all'interno e tra i Paesi, relativo all'obiettivo SDG 10, esplicita la necessità di facilitare le migrazioni ordinate, sicure, regolari e responsabili e la mobilità delle persone, anche attraverso l'attuazione di politiche migratorie programmate e ben gestite, elementi centrali degli accordi più recenti come il Global Compact sulle Migrazioni del 2018.
  Se, in generale, investire in progetti di sviluppo che creano posti di lavoro, migliorano l'accesso all'istruzione e all'assistenza sanitaria e promuovono la crescita economica nelle regioni di provenienza dei migranti, dovrebbe contribuire a promuovere lo sviluppo sostenibile e a ridurre le cause della migrazione, il carattere specifico del G7 porta a dare particolare rilievo alla sfida di come affrontare la governance del fenomeno migratorio.
  Il coordinamento tra governance a livello nazionale, regionale e internazionale diventa un prerequisito essenziale per conseguire risultati significativi e il dialogo e la cooperazione tra i membri del G7 e le altre parti interessate per sviluppare risposte coordinate alle sfide delle migrazioni, guidati dagli obiettivi dell'Agenda 2063 dell'Unione africana, dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e dell'Accordo di Parigi.
  In quanto Paese situato al crocevia delle rotte migratorie nella regione del Mediterraneo, l'Italia ha un'esperienza diretta delle complessità e delle sfide delle migrazioni. L'attenzione della Presidenza italiana su migrazione e sviluppo riflette, perciò, l'interesse strategico dell'Italia ad affrontare le questioni legate alle migrazioni. L'Italia è il secondo contributore del fondo fiduciario che finanzia progetti per il controllo dei flussi migratori, il Trust Fund per l'Africa, istituito nel 2015 al vertice euro-africano de La Valletta, che finanzia, tra l'altro, la formazione professionale per i più giovani e la creazione di micro-imprese, attività imprenditoriali che collegano elementi della diaspora con le comunità d'origine. Anche a livello bilaterale, l'Italia negli ultimi anni ha aumentato significativamente il proprio impegno finanziario, anzitutto per l'accoglienza per i primi 12 mesi di rifugiati e richiedenti asilo, ma anche con aree d'intervento come la tutela dei minori nei processi migratori, sia nei Paesi d'origine dei flussi migratori sia in Italia.
  Nel comunicato finale adottato dai Ministri dell'interno dei Paesi del G7, tenutosi dal 2 al 4 ottobre 2024 a Mirabella Eclano (AV), i Ministri si sono impegnati a intensificare gli sforzi congiunti per prevenire, contrastare e smantellare le reti della criminalità organizzata che traggono profitto dal traffico di migranti e dalla tratta di esseri umani. Pag. 19
  Riconoscendo l'importanza della cooperazione transnazionale per aiutare i Paesi di origine a ridurre il traffico di migranti e la tratta di persone, a garantire la sicurezza delle frontiere e ad aumentare le capacità di ricerca e soccorso in mare dei Paesi con frontiere marittime, i Ministri si sono impegnati ad affrontare le cause profonde della migrazione irregolare, anche attraverso la promozione di alternative e percorsi sicuri, legittimi e ordinati.
  Nell'ambito di questo quadro e di un approccio condiviso, i Ministri hanno inoltre adottato un Piano d'azione del G7 per prevenire e contrastare il traffico di migranti, allegato al comunicato, che si propone di perseguire le seguenti priorità:

   • promuovere una cooperazione rafforzata in materia di capacità investigative, coinvolgendo le pertinenti autorità dei Paesi di origine, transito e destinazione dei flussi migratori irregolari, nonché le pertinenti organizzazioni internazionali;

   • rafforzare i processi di gestione delle frontiere, nel rispetto del diritto sovrano degli Stati per il controllo delle frontiere e delle loro prerogative di governo del fenomeno della migrazione all'interno della propria giurisdizione;

   • sviluppare azioni di collaborazione concrete da intraprendere nella lotta globale contro organizzazioni criminali dedite al traffico di migranti e alla tratta di esseri umani;

   • promuovere uno scambio di informazioni produttivo e affidabile e una cooperazione efficace;

   • impegnarsi con tutti gli aspetti del sistema di trasporto internazionale;

   • scoraggiare i migranti dall'intraprendere viaggi irregolari e potenzialmente pericolosi e informarli in merito ai maggiori rischi associati al traffico di migranti, compreso il rischio di tratta di esseri umani e di rimpatrio dal Paese di destinazione.

  Il piano d'azione si articola in cinque pilastri: I) rafforzamento delle capacità operative e investigative delle autorità di contrasto; II) rafforzamento della cooperazione internazionale, giudiziaria e di polizia; III) intensificazione della cooperazione con i Paesi terzi di origine e di transito di flussi migratori irregolari; IV) prevenzione e sensibilizzazione; V) conoscenza e monitoraggio del fenomeno.

  Nelle audizioni svolte è stato evidenziato il ruolo dell'Italia e dell'Europa per la stabilizzazione e la sicurezza del continente, sottolineando la stretta interconnessione, in quel continente, tra tutte le componenti della sicurezza: cambiamenti climatici, povertà, crisi alimentari, accesso all'acqua, instabilità politica, terrorismo, penetrazione di potenze autoritarie, tutti aspetti tra loro intimamente legati.
  Il tema migratorio resta centrale nel dibattito politico e la crescita è considerata lo strumento migliore per affrontare alla radice le cause delle migrazioni. La Conferenza di Roma su sviluppo e migrazioni, svoltasi il 23 luglio 2023, aveva dato avvio al Processo di Roma con l'indicazione di una strategia volta a favorire una cooperazione più Pag. 20 ambiziosa e strutturata con i Paesi di origine e di transito e con i potenziali donatori.
  In seguito, dal 17 al 19 aprile 2024, si è svolto a Capri il G7 dei Ministri degli esteri, nel quale il Processo di Roma e il Piano Mattei sono stati indicati come punto di avvio della strategia del G7 sulle migrazioni nelle conclusioni del vertice, dove peraltro si sottolinea come combattere i trafficanti e sostenere lo sviluppo economico siano due azioni che vanno di pari passo.
  In particolare, nel paragrafo III del Comunicato della riunione dei Ministri, intitolato «Affrontare l'immigrazione irregolare, promuovere la speranza e le opportunità», l'impegno del G7 si cementa attorno a tre azioni: un migliore sfruttamento e coordinamento dei finanziamenti per lo sviluppo e il clima; il sostegno agli Stati fragili e afflitti da conflitti; il rafforzamento della capacità internazionale di affrontare il cambiamento climatico, i conflitti, la povertà di apprendimento e altri fattori che determinano la migrazione. Per realizzare questi obiettivi i Paesi del G7 puntano a costruire sinergie tra le iniziative di tutti i partner e le istituzioni, al pari di un sostegno verso i Paesi africani che ospitano un gran numero di sfollati.
  Nello stesso documento, il G7 riconosce che il cambiamento climatico è un fattore moltiplicatore del rischio con un forte impatto sulla mobilità umana. Per questa ragione si ritiene necessario rafforzare le misure di riduzione del rischio di catastrofi, di adattamento e di resilienza per contrastare le cause dello sfollamento involontario nel contesto del cambiamento climatico.
  Alla ministeriale di Capri sono state discusse anche le modalità su come amministrare i flussi e come immaginare vie di uscita che mettano al primo posto il valore e la salvaguardia della vita umana in un'ottica di accordi internazionali, senza lasciare campo libero alla criminalità organizzata. Il documento finale afferma che è necessario impedire ai trafficanti di esseri umani di continuare a svolgere le loro attività, smantellandone i meccanismi di funzionamento. I Paesi di origine, transito e destinazione devono lavorare insieme per fermare il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, nonché per sostenere la dignità e il valore della persona umana, in linea con la Carta delle Nazioni Unite. Diminuire la migrazione irregolare significa favorire quella regolare, sicura e ordinata sulla base delle pertinenti normative nazionali sovrane.
  In questo modo sarà possibile analizzare la migrazione nel quadro degli obblighi internazionali, nella consapevolezza che i percorsi di migrazione legale possono contribuire alla crescita economica e al lavoro dignitoso, in linea con gli standard internazionali nei Paesi di origine e di destinazione. Nell'affermare che è necessario dare coerenza agli investimenti in aree di priorità condivisa per l'Africa, il documento del G7 conclude che dobbiamo intensificare gli sforzi al fine di raggiungere risultati concreti di sviluppo sostenibile, contribuire alla stabilizzazione delle aree di crisi, combattere il fondamentalismo e, in tal modo, affrontare le cause profonde dei flussi migratori irregolari.
  In linea con gli intendimenti del G7 di Capri, anche la Dichiarazione finale della Riunione dei Presidenti delle Camere basse del G7 di Verona, del 6 settembre 2024, ha ribadito l'impegno dei Paesi più industrializzati a lavorare di concerto con i Paesi d'origine e di transito, Pag. 21 concentrandosi sull'affrontare le cause attraverso modelli di sviluppo a livello locale nonché sulla lotta al crimine organizzato transazionale grazie alla «Coalizione del G7 per prevenire e contrastare la tratta di migranti».

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2. Minacce alla sicurezza derivanti dalla presenza di attori statali esteri. Obiettivi e strategie degli attori statali

  Nel corso delle audizioni svolte è stato ripetutamente posto l'accento sulla presenza in Africa di diversi attori statali esteri, che, pur avendo l'obiettivo unico di consolidare la propria presenza in un continente che ha assunto una rilevanza sempre crescente a livello globale, si muovono con approcci diversi, perseguendo obiettivi e utilizzando strategie differenti, e sono portatori di diversificati interessi strategici, economici e politici nel continente, talora convergenti ma spesso sovrapposti e confliggenti, che influenzano le rispettive dinamiche economiche, politiche e di sicurezza. Agli attori globali «storici» – la Cina, la Russia, gli Stati Uniti e l'Unione europea – si sono aggiunti attori relativamente più recenti, come la Turchia e l'Iran.

2.1. Obiettivi e strategie dei principali attori occidentali

  Gli Stati Uniti hanno adattato nel tempo la loro strategia tradizionale, cercando di evidenziare il passaggio da un approccio interventista a uno più collaborativo, al fine di contrastare l'influenza crescente di altre potenze, soprattutto della Cina, attraverso partenariati economici e di sicurezza.
  L'Unione europea persegue l'obiettivo di stabilizzare il continente per controllare i flussi migratori, promuovere la democrazia e i diritti umani e proteggere i propri interessi economici, con operazioni di peacekeeping, iniziative come il Fondo fiduciario per l'Africa e partenariati economici con Paesi del Maghreb e dell'Africa Sub-Sahariana. L'Unione europea ha finanziato anche programmi di sviluppo economico, aiuti umanitari, il supporto alle missioni di pace e accordi commerciali.
  Nel corso delle audizioni è stato affermato, altresì, che, tra i diversi attori statali in gioco nel continente, l'Unione europea e i Paesi del blocco occidentale sono gli unici attori globali che investono non solo nella crescita socio-economica dei Paesi e delle popolazioni africane, ma anche, con una strategia a lungo termine, in fattori che possono contribuire a dare stabilità e benessere all'Africa: formazione, educazione, stato di diritto, miglioramento dei processi elettorali e del buon governo, tutela dei diritti umani, promozione di buone pratiche e di valori universali, che non rientrano fra le priorità dei cosiddetti nuovi attori. Questo rappresenta un tratto distintivo dell'azione occidentale, che deve essere mantenuto e accresciuto e, per quanto possibile, spiegato e valorizzato, anche con i leader del continente africano, e che non deve essere dato per scontato.

2.2. Attività di altri attori statali

  La Cina persegue l'obiettivo di un predominio sul piano commerciale e su quello del controllo delle risorse naturali, nonché dell'ampliamento della propria influenza geopolitica, attraverso investimenti massicci in infrastrutture (strade, porti, ferrovie), prestiti Pag. 23 agevolati e progetti di sviluppo. Essa risulta il più grande investitore infrastrutturale in Africa. La Belt and Road Initiative (BRI) ha generato prestiti e progetti miliardari, sebbene spesso associati a debiti onerosi per i Paesi africani. La Cina ha promosso peraltro un'intensa attività diplomatica e commerciale con quasi tutti i Paesi africani.
  La Russia, sebbene meno influente economicamente, sta cercando di riconquistare nel continente la presenza persa dopo il crollo dell'Unione Sovietica e ha stretto legami strategici con alcuni Paesi chiave, fornendo supporto militare e diplomatico, soprattutto attraverso la vendita di armamenti. La Federazione Russa fornisce formazione militare a numerosi Paesi africani, a fronte dello sfruttamento di miniere e terre rare in modo particolarmente spregiudicato. La compagnia militare privata Wagner, confluita dopo la morte del suo leader in altre formazioni mercenarie maggiormente collegate al Cremlino, ha riscontrato un notevole successo in Africa, con le sue truppe mercenarie, rappresentando altresì un punto di riferimento per alcune giunte militari.
  La Turchia mira ad ampliare la propria influenza politica, economica e culturale in Africa, dapprima concentrata sulle aree del Nord Africa (specialmente in Libia) e del Corno d'Africa, estendendola nella regione del Sahel e, più in generale, in Africa occidentale, con l'apertura di numerose ambasciate e consolati, l'incremento del commercio bilaterale e l'avvio di progetti infrastrutturali. È attiva anche nel campo dell'istruzione e della cooperazione umanitaria e ha unito alla presenza economica un forte radicamento sul territorio(3).
  L'Iran, sebbene abbia minore influenza, ha cercato di rafforzare le relazioni con alcuni Paesi strategici, sfruttando l'opposizione comune alle politiche occidentali. La Repubblica islamica punta, dunque, ad espandere la sua influenza in Africa, in particolare attraverso legami religiosi e diplomatici, per sfidare le potenze occidentali e contenere l'influenza dei Paesi del Golfo sunniti, anche attraverso il sostegno a movimenti sciiti locali, attività culturali, programmi di assistenza e accordi economici, nonché aggirando le sanzioni internazionali tramite relazioni commerciali con alcuni Paesi africani.

2.3. La politica diplomatica degli attori statali esteri

  Nel corso delle audizioni svolte è stato più volte affermato che il coinvolgimento e la penetrazione nel continente africano di numerosi Stati esteri, ciascuno dei quali persegue partenariati diplomatici, politici, economici e militari, complica ulteriormente uno scenario già altamente instabile, caratterizzato da conflitti, guerre interne, debolezza delle istituzioni locali e corruzione.

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  È emerso, preliminarmente, che grandi potenze come la Cina e la Russia stanno conducendo un'ampia e deliberata offensiva politica e diplomatica per espandere la loro influenza tra i Paesi del cosiddetto Sud globale, dove molti Stati africani sono considerati un «terreno di conquista». In occasione del quindicesimo summit dei Paesi del BRICS dell'agosto 2023 a Johannesburg, il Presidente sudafricano Ramaphosa ha invitato anche i leader di 67 Paesi, molti dei quali provenienti dall'Africa. Il risultato è che già da gennaio 2024 alcuni di questi Paesi (Egitto ed Etiopia, per esempio) sono diventati membri a pieno titolo del gruppo delle economie emergenti. L'accordo sull'espansione del gruppo potrebbe contribuire a conferire un peso globale ai Paesi BRICS, che Pechino e Mosca intendono trasformare in un valido contrappeso al blocco occidentale.
  Con più specifico riferimento alle relazioni politico-diplomatiche dei diversi attori, la Cina ha interesse ad acquisire un rapporto preferenziale con il continente che ospita il maggior numero di Paesi in via di sviluppo, e negli ultimi decenni è stata una delle potenze economiche più attive in Africa, concentrandosi sulle relazioni diplomatiche, politiche ed economico-commerciali. Il Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Forum on China-Africa Cooperation, FOCAC), istituito nel 2000, è una piattaforma per il dialogo collettivo e la cooperazione con tutti i Paesi africani e costituisce una sede di dialogo «multi/bilaterale» tra la Cina e i Paesi africani, grazie allo svolgimento di vertici regolari e conferenze ministeriali(4).
  La Cina ha investito ampiamente in progetti infrastrutturali in tutto il continente, come ferrovie e porti, attraverso la Belt and road initiative (BRI), che rappresenta spesso una sorta di sigillo politico su specifici progetti, talvolta perfino antecedenti alla firma dei relativi accordi, che finiscono per alimentare l'onerosità del debito africano.
  I Paesi africani sono stati costretti dalla modalità predatoria e «incondizionale» della Cina a un significativo debito nei confronti di quel Paese; ciò ha reso la presenza cinese non più acriticamente accettata. Si è rilevato, inoltre, che, osservando la cartina geografica del continente africano, sembrerebbe essersi delineata una presenza significativa a livello economico-commerciale della Cina e, sul versante militare, della Russia.
  L'influenza della Russia in Africa è in crescita, soprattutto nei mercati minerario ed energetico; complessivamente, sul piano economico-commerciale, i rapporti dell'Africa con la Russia e l'ammontare degli investimenti diretti esteri sono tuttavia meno rilevanti rispetto a quelli con altri partner come la Cina, gli Stati Uniti o l'Unione europea.
  La Russia ha stabilito, tra gli altri, forti legami con la Repubblica centrafricana, fornendo sostegno diplomatico al Paese e contribuendo alla mediazione di accordi di pace tra il governo e i gruppi ribelli. Anche l'Algeria è, tradizionalmente, un partner economico fondamentale per la Russia, soprattutto nel settore energetico; i due Paesi collaborano su vari progetti petroliferi e del gas e l'Algeria è anche un mercato importante per le esportazioni di armi russe. La Russia Pag. 25 è stata fortemente coinvolta anche in Libia, sostenendo l'Esercito nazionale libico del generale Khalifa Haftar.
  È stata segnalata, inoltre, la dipendenza di alcuni Paesi africani, come l'Egitto, il Kenya e il Senegal, dall'import di materie prime agricole, in particolare di grano, dalla Russia: nel 2022, proveniva dalla Russia il 34,7 per cento dell'import egiziano, il 23 per cento dell'import del Kenya e il 22,6 per cento di quello del Senegal.
  A ciò si aggiunga la fornitura di equipaggiamento e personale militare, spesso attraverso società militari private come il Gruppo Wagner. Le armi che arrivano attraverso la Libia, secondo diverse fonti, avrebbero come destinazione anche il Mali e il Burkina Faso, dove la Russia ha legami con i golpisti.
  Nel corso delle audizioni è stato evidenziato anche che, con riferimento agli strumenti utilizzati e agli obiettivi perseguiti, la Russia sta rafforzando la propria posizione facendo ricorso prevalentemente allo strumento dell'aiuto alimentare, con la promessa ad alcuni Governi africani, quali Burkina Faso, Mali, Zimbabwe, Repubblica Centrafricana, Somalia e Eritrea, della distribuzione di aiuti, tra le 25 mila e le 50 mila tonnellate l'anno di grano.
  Pur se lo scenario relativo ai conflitti e alle violazioni dei diritti umani risulta condizionato dalla militarizzazione della governance e dal sostegno della Russia ai governi autoritari, è stato tuttavia evidenziato che, recentemente, le ambizioni della Russia sono state limitate dall'invasione dell'Ucraina, con un impatto sul commercio e sugli investimenti, ma anche sul partenariato strategico sul piano militare e della sicurezza.
  In occasione del voto all'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla guerra della Russia contro l'Ucraina, in una sessione di emergenza il 2 marzo 2022, 141 Stati membri su 193 hanno sostenuto la risoluzione che invitava la Russia a ritirarsi dall'Ucraina. In totale, come evidenziato nella tabella seguente, solo metà degli Stati africani, con 27 voti favorevoli(5), ha condannato l'aggressione della Russia; uno solo, l'Eritrea, ha votato contro la risoluzione, mentre 9 Stati non si sono presentati(6) e 16 si sono astenuti(7).

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  Questa potrebbe configurarsi come una «spaccatura» rispetto all'idea di panafricanismo, in base al quale le nazioni africane parlano con una sola voce negli affari globali(8).
  Si rileva peraltro che il voto africano anche nelle successive Risoluzioni delle Nazioni Unite sull'Ucraina, pur essendo stato eterogeneo, ha comunque confermato tale tendenza al non-allineamento(9): fino al marzo 2023, infatti, sono stati registrati sul tema della condanna all'invasione russa dell'Ucraina, complessivamente, 140 voti africani a favore, 18 voti contrari e 166 astensioni o assenze. Pag. 27 Le votazioni hanno confermato che diverse realtà africane hanno preferito mantenersi nei margini della neutralità o del filo atlantismo.
  Le ragioni di tale diffuso astensionismo africano possono ricondursi essenzialmente alle seguenti considerazioni: 1) politiche (la Russia offre ad alcuni leader africani – ad esempio in Repubblica Centrafricana, Etiopia e Mali – assistenza alla sicurezza e una copertura diplomatica nel Consiglio di sicurezza); 2) economiche (alcuni Paesi africani dipendono dalla Russia per l'importazione di grano, fertilizzanti e altri prodotti); 3) storiche (durante la Guerra Fredda Mosca è stata un partner importante di numerosi movimenti di liberazione e permangono ricordi positivi delle politiche anticoloniali e antimperialiste dell'Unione Sovietica); 4) fiduciarie (è ancora forte la diffidenza di alcuni Stati africani verso l'Occidente, che, ad esempio, non avrebbe fornito adeguato supporto durante la pandemia di COVID-19 o ancora utilizza doppi standard nell'accoglienza dei profughi dall'Africa e dall'Ucraina).
  A livello globale, a seguito dell'invasione russa dell'Ucraina sono emerse opportunità ulteriori per attori come la Turchia – già presente attivamente nel continente da circa 25 anni – e, come si vedrà in seguito, l'Iran, anche per evidenti ragioni derivanti dal suo isolamento a livello internazionale, di aumentare il loro coinvolgimento in Africa. Il continente africano, infatti, è particolarmente colpito dalla guerra: il blocco delle rotte di esportazione dei cereali, le ripercussioni delle sanzioni imposte dall'Occidente e l'aumento globale dei prezzi hanno alimentato un sentimento anti-occidentale nel continente. Come si evidenzierà più diffusamente nel paragrafo dedicato alla sicurezza alimentare, alla luce della dipendenza dalle importazioni di grano dalla Russia e dall'Ucraina, la guerra ha aggravato le sfide già esistenti in Africa: la priorità della guerra compromette la sicurezza di regioni già vulnerabili, aumentando la scarsità di cibo, le emergenze umanitarie e l'instabilità politica. Inizialmente affacciatasi in Africa come un importante attore umanitario, la Turchia ha mantenuto questo ruolo anche nella mediazione dell'accordo per le spedizioni di grano tra Ucraina e Russia e ha recentemente rafforzato questa narrativa, ottenendo riconoscimenti per aver prevenuto crisi alimentari più gravi. La Turchia ha sviluppato una politica africana globale e proattiva dall'inizio del millennio che si sta rivelando efficace, ponendo le relazioni con il continente come una delle sue priorità di politica estera. In pratica, è stato adottato un approccio multidimensionale, che comprende un'ampia gamma di settori, compresi gli aiuti umanitari, il dialogo culturale e religioso, la diplomazia politica, commercio e turismo, cooperazione militare e di sicurezza(10). La Turchia ha così potuto ampliare la propria copertura diplomatica in tutta l'Africa, concentrandosi Pag. 28 sulla costruzione di forti legami bilaterali, sull'apertura di ambasciate, sulla partecipazione a visite ad alto livello e sull'ampliamento delle tratte aeree(11). Anche il commercio con l'Africa si è intensificato e le aziende turche sono fortemente coinvolte nei settori dell'edilizia, dell'energia e dell'agricoltura in tutto il continente, con importazioni significative di petrolio e gas naturale liquefatto dall'Algeria e dalla Nigeria.
  La Turchia ha adottato una politica sistematica di ampliamento delle relazioni, incrementando la fornitura di armi e, in particolare, di droni, i cui principali acquirenti sono l'Etiopia, la Nigeria, il Marocco, la Tunisia e il Niger. La presenza turca si è consolidata essenzialmente nel Corno d'Africa e nell'area nordafricana, ma si sta espandendo anche in Africa occidentale e nel Sahel e la Turchia si sta accreditando come potenziale partner alternativo.
  Come già avvenuto in Africa sub-sahariana e in alcuni Paesi dell'America latina, anche nel Corno d'Africa la Turchia ha promosso un modello di sviluppo, il cosiddetto Ankara consensus, alternativo al paradigma economico occidentale e al capitalismo autoritario cinese, che propone un modello economico basato sul sostegno economico che non rifiuta il capitalismo, e contemporaneamente non pone condizioni per il rispetto della democrazia e dei diritti umani, concetti tipicamente occidentali. Si è evidenziato, tuttavia, che l'approccio turco allo sviluppo nell'area del Corno d'Africa non ha natura sistematica, rimanendo il più delle volte circoscritto a singole iniziative(12). In tale quadro, anche il Sudafrica risulta essere un partner chiave per i progetti di ampliamento della presenza turca in Africa. Al posizionamento turco in Africa occidentale ha fatto seguito anche una progressiva intensificazione dei rapporti e un maggiore coinvolgimento nell'area del Sahel, che, in parte, riflette anche la forte rilevanza strategica che quest'area ha acquisito a livello internazionale, per la concentrazione di un importante dispiegamento di risorse anche militari per fare fronte alla crisi securitaria legata all'azione di gruppi jihadisti attivi nei territori.
  L'Iran ha concentrato la sua attenzione su alcuni Paesi africani, quali il Burkina Faso, il Niger, il Mali, il Sudan e il Sudafrica e sta consolidando i legami economico-commerciali stabili con diversi Paesi, tra cui Kenya, Uganda, Zimbabwe, Tanzania e Sud Africa, in settori come il commercio, lo sviluppo delle infrastrutture e l'energia.
  Negli ultimi anni, l'approccio degli Stati Uniti all'Africa si è evoluto, passando dalla strategia dell'interventismo diretto a politiche più agili e reattive, anche alla luce dell'ascesa della Cina e alla crescente assertività di Russia, Iran e Turchia. Gli Stati Uniti pongono ora maggiore attenzione alla collaborazione con i governi africani e con gli enti regionali e continentali e guardano con interesse all'African continental free trade area (AfCFTA), che potrebbe contribuire a espandere l'accesso al mercato statunitense e il commercio con l'Africa, diversificare le catene di approvvigionamento Pag. 29 statunitensi e aumentare le opportunità reciproche per il commercio e l'espansione degli investimenti tra Stati Uniti e Africa. In termini generali, gli Stati Uniti continuano a sfruttare le loro alleanze di lunga data, in particolare con Paesi come Sudafrica, Egitto, Kenya e Nigeria. Queste relazioni sono ancorate a interessi reciproci come l'antiterrorismo, la stabilità regionale e lo sviluppo economico. La cooperazione allo sviluppo e l'assistenza umanitaria, attraverso agenzie come USAID, continuano a svolgere un ruolo significativo nelle relazioni Stati Uniti-Africa, concentrandosi su programmi relativi a salute, istruzione e sviluppo economico(13).
  La cooperazione dell'Unione europea con i Paesi africani e con l'Unione africana (UA) si basa su due quadri distinti: a) gli accordi di partenariato con gli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP); b) la strategia comune Africa-UE. Le relazioni Africa-UE si sono sviluppate anche mediante dialoghi formali, come i vertici UE-Africa. Oltre a tali quadri, il Consiglio ha adottato tre strategie regionali per il Corno d'Africa, il Golfo di Guinea e il Sahel.
  Nella gran parte delle audizioni è stata evidenziata l'importanza dell'iniziativa del Global Gateway, la nuova strategia europea globale di investimenti infrastrutturali in Africa, presentata il 1° dicembre 2021 per rafforzare i collegamenti tra l'Unione europea e i suoi principali partner commerciali e strategici, con l'obiettivo di sviluppare partnership pubblico-privato e rappresentare un'alternativa alla Belt and Road Initiative promossa da Pechino. La strategia verte su cinque ambiti principali (digitale, clima ed energia, trasporti, salute, educazione e ricerca) e punta a mobilitare tra il 2021 e il 2027 fino a 300 miliardi di euro in investimenti, attraverso il lavoro coordinato di istituzioni UE, Stati membri, Delegazioni dell'UE nel mondo, Banca europea per gli investimenti (BEI) e Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD) con finanziamenti provenienti dal Quadro finanziario 2021-2027, e in particolare dallo Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI) e dal Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile plus (EFSD+)(14).
  Con particolare riguardo alla penetrazione nel continente africano, in alcune audizioni è stato osservato che l'impegno dell'UE in Africa è storicamente radicato nella cooperazione allo sviluppo e nel commercio internazionale, a differenza di quello cinese, in cui vi è un forte rilievo della componente degli investimenti diretti esteri di tipo infrastrutturale. Per tale motivo, gli Stati Uniti e l'Unione europea hanno più volte annunciato, negli ultimi anni, l'intenzione di potenziare gli interventi strategici in Africa, con particolare Pag. 30 riferimento agli investimenti in materiali chiave per la transizione ecologica utili a contrastare l'attivismo cinese(15).
  È stato altresì evidenziato che, mentre per gli Stati Uniti il ritorno in campo è strettamente finalizzato al controllo del terrorismo jihadista, per l'Unione europea si tratta di una questione di stabilità economico-sociale degli stessi Paesi europei, a cominciare dalla necessità di gestire i flussi migratori.

2.4. La politica militare e di sicurezza degli attori statali esteri

  Sul piano militare e della sicurezza, la Cina, in base agli ultimi dati disponibili dell'International Institute for Strategic Studies (IISS), risulta uno dei principali riferimenti a livello mondiale in materia di sicurezza globale, rischio politico e conflitti militari e nel 2023 è stata il secondo Stato al mondo per spese militari, preceduta solo dagli Stati Uniti(16). I segnali di maggiore assertività dimostrati dalla Cina e la conseguente modernizzazione militare attivata, sono motivati dalla necessità di possedere una forza militare commisurata allo status di potenza leader a livello mondiale, in concomitanza col deteriorarsi delle relazioni con gli Stati Uniti, ulteriormente messe a dura prova dal rafforzamento dei legami tra Cina e Russia. La Cina dispone dell'organico di forze armate attive più numeroso al mondo ed è presente con proprio personale dislocato in Africa a Gibuti e, nel quadro di missioni internazionali in Repubblica Democratica del Congo, Sahara Occidentale, Sud Sudan e Sudan.
  Dal punto di vista militare, la Russia si concentra principalmente sul commercio di armi, ma sta cercando di espandere la propria presenza operativa, anche attraverso accordi per nuove basi militari. Tuttavia, la presenza militare ufficiale della Russia sul terreno resta attualmente limitata a un accordo per stabilire eventualmente un porto navale in Sudan. La vendita di armi costituisce uno straordinario strumento in mano alla Russia per stringere relazioni politico-diplomatiche ed economico-commerciali. I principali importatori di armi russe nel continente sono Algeria, Angola, Egitto e Sudan, i Paesi Saheliani. La compagnia militare privata Wagner ha fornito assistenza in materia di sicurezza ad alcuni governi, spesso in cambio del controllo sulle risorse naturali; altre compagnie militari private sono attive in Libia, Sudan, Mozambico e Mali. Nel corso degli ultimi anni, la Turchia ha ampliato la propria presenza militare in Africa, in particolare attraverso la vendita di droni ed equipaggiamenti militare. Il settore della difesa rappresenta, infatti, una dimensione in crescita dell'impegno della Turchia in Africa. Ciò in quanto la tradizionale significativa dipendenza dall'importazione di armi da Occidente, Russia e Cina, per effetto delle sanzioni occidentali imposte in seguito all'invasione su vasta scala dell'Ucraina, nel febbraio 2022 ha cominciato a venir meno, rendendo più difficile l'acquisto di armi dalla Russia e generando nuove opportunità per Pag. 31 Paesi come la Turchia, che ha stabilito una presenza nella regione per la sua fiorente industria militare, come dimostrano i contratti con la Nigeria, il Kenya, il Burkina Faso, l'Etiopia, il Gibuti, il Mali, il Niger, il Senegal e Togo, nonché gli accordi recenti di costruzione navale in Nigeria e, in Ciad, Senegal e Togo, per prodotti come droni militari.
  Per l'Iran, la vendita di armi è una leva fondamentale per consolidare interessi militari, diplomatici ed economici in Africa(17). Accordi sulla sicurezza e la vendita di armi sono considerati anche come uno strumento per eludere le sanzioni degli Stati Uniti imposte ai governi golpisti del Sahel e che l'Iran sperimenta da molti anni. In una prospettiva di potenza regionale, più che globale, l'Iran guarda naturalmente ai Paesi africani più a est del continente, cioè «vicini» geograficamente. È il caso del Sudan e, in particolare per la sicurezza marittima, della Somalia.
  Gli Stati Uniti stanno ricalibrando la propria strategia in Africa per contrastare la crescente influenza soprattutto dell'unico altro vero global player, la Cina. La strategia militare degli Stati Uniti in Africa si concentra sull'antiterrorismo, sul sostegno alle iniziative di sicurezza regionale e sul mantenimento di una presenza militare strategica per salvaguardare i propri interessi e quelli dei suoi alleati.
  Gli Stati Uniti e l'Unione europea insieme hanno rappresentato il 72 per cento di tutte le esportazioni di armi nel 2019-2023, rispetto al 62 per cento nel 2014-2018. Gli Stati Uniti hanno rafforzato il loro ruolo globale come fornitore di armi. Parallelamente, le esportazioni di armi della Francia sono aumentate del 47 per cento tra il 2014-2018 e il 2019-2023 e per la prima volta il Paese è stato il secondo maggiore esportatore di armi, appena davanti alla Russia.

2.5. Alcuni dati sulla composizione del debito del continente africano

  Il debito detenuto dal continente africano ha raggiunto i suoi livelli più alti nell'ultimo decennio. A causa della pandemia, dell'invasione russa dell'Ucraina e degli elevati livelli di inflazione, i Paesi africani sono stati costretti a contrarre debiti e attualmente molti di essi, in particolare quelli a più basso reddito, sono ad alto rischio di crisi da sovraindebitamento. Il debito estero è cresciuto più velocemente del PIL anche a causa dell'aumento dei tassi d'interesse; inoltre, l'aiuto effettivamente ricevuto dai Paesi africani è diminuito del 3,5 per cento nel 2022.

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  Come sarà specificato in seguito, nel 2023 i Paesi africani hanno registrato un debito nei confronti dei creditori esteri di 685,5 miliardi di dollari e per il 2024 si stima che il servizio del debito estero sia risultato pari a 102,6 miliardi di dollari. Il debito estero degli Stati africani in percentuale del PIL è sostanzialmente raddoppiato tra il 2014 e il 2020, passando dal 14 al 26 per cento, per poi riscendere al 24,5 per cento nel 2023, comunque in aumento rispetto al 2022 (v. grafico seguente).

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  Si rileva, in particolare, un aumento del debito degli Stati africani gestito sui mercati, mentre risulta minore il debito derivante da accordi e concessioni internazionali. In passato, la maggior parte del debito degli Stati africani era detenuto da creditori qualificati e istituzionali come le organizzazioni internazionali e gli Stati economicamente più avanzati. Attualmente, il debito pubblico degli Stati africani è prevalentemente detenuto, per una quota pari a circa il 43 per cento, da investitori privati che acquistano sul mercato (di cui una parte è riconducibile a investitori cinesi). Il 34 per cento circa deriva da accordi con organizzazioni internazionali (tra i quali la Banca Mondiale, la Banca africana di sviluppo e la Banca europea degli investimenti). Il 23 per cento è invece detenuto da altri Stati (si veda il grafico seguente).

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  Secondo un'elaborazione del CeSPI basata sugli ultimi dati disponibili della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, i principali creditori africani bilaterali (altri governi) sono: la Cina, che detiene 62,9 miliardi di dollari, la Francia, con 15 miliardi, l'Arabia Saudita, con 11,9 miliardi, il Kuwait, con 9,6 miliardi, la Germania, con 9,5 miliardi, il Giappone, con 8,5 miliardi, gli Emirati Arabi, con 6,9 miliardi e l'India, con 4,7 miliardi. Il Governo italiano ha un credito con il continente di circa 1,3 miliardi di dollari.
  I creditori privati detengono circa 196,8 miliardi di dollari di obbligazioni africane. Tra questi, in particolare, i creditori privati cinesi vantano crediti per 24,4 miliardi di dollari, quelli inglesi per 14 miliardi di dollari, quelli degli Emirati Arabi per 6,9 miliardi di dollari, quelli francesi per 6 miliardi di dollari, quelli statunitensi per 4,7 miliardi di dollari, quelli israeliani per 3,7 miliardi di dollari, quelli svizzeri per 3 miliardi di dollari. I creditori privati italiani detengono circa 2 miliardi di debito africano.
  Tra i creditori multilaterali, lo sportello IDA (a condizioni più agevolate) del Gruppo Banca Mondiale detiene 90,14 miliardi di dollari, la Banca africana di sviluppo 42,9 miliardi, lo sportello IBRD del Gruppo Banca Mondiale 34,2 miliardi, la Banca europea per gli Pag. 34 investimenti 11,7 miliardi, la Banca islamica di sviluppo 9 miliardi, il Fondo arabo per lo sviluppo economico e sociale 6,8 miliardi, la Banca africana Export-Import 6 miliardi, l'IFAD 3,5 miliardi.
  A seguito della pandemia da COVID-19, dell'invasione russa dell'Ucraina e dell'impennata dell'inflazione, i Paesi africani hanno dovuto indebitarsi ancora di più e ora 20 Paesi africani a basso reddito risultano ad alto rischio di sofferenza debitoria o in sofferenza (57 per cento dei Paesi valutati dal Fondo monetario internazionale).

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  Implicazioni dirette di tale situazione sono rappresentate dal rischio di avere ulteriori 16 milioni di persone in condizioni di povertà estrema se i 13 Paesi più a rischio dell'Africa finissero in sofferenza debitoria. Si stima, peraltro, che ben tre quarti degli africani vivono in Paesi a rischio di sofferenza debitoria.
  Il grafico seguente mostra l'andamento dei crediti detenuti dalla Repubblica Popolare Cinese, che rappresenta il primo creditore bilaterale dei Paesi africani, e da creditori privati cinesi.

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Crediti nei confronti dei Paesi africani detenuti dalla Repubblica Popolare Cinese e da creditori privati cinesi

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  Secondo i richiamati dati della Banca Mondiale esposti nel seguente grafico, la Repubblica Popolare Cinese detiene direttamente o indirettamente una parte significativa del debito pubblico degli Stati africani. Il valore medio dell'esposizione cinese si attesta intorno al 7,2 per cento del debito di ciascuno Stato, con punte vicine o addirittura superiori al 20 per cento (sommando i debiti verso lo Stato cinese con quelli verso investitori privati cinesi), in Paesi come l'Angola, il Congo, Gibuti, la Repubblica Democratica del Congo, la Guinea e lo Zimbawe). Il grafico distingue in particolare la quota del debito pubblico degli Stati africani detenuta dalla Repubblica Popolare Cinese in termini di debito bilaterale (il valore medio è pari al 6,3 per cento circa) e l'ammontare delle quote detenute da investitori cinesi (il valore medio è pari al 3,43 per cento). Occorre in ogni caso precisare che i dati sul debito riconducibile nelle varie modalità alla Repubblica Popolare Cinese potrebbero essere sottostimati, come precisa lo stesso International Debt Report 2024 della Banca Mondiale (p. 65), in ragione di clausole di segretezza.

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  I dati esposti nella tabella seguente riportano, infine, le informazioni pubblicate dalla Banca Mondiale (aggiornate a dicembre 2024) sulle quote di debito pubblico dei singoli Stati africani possedute dalla Cina, come debito bilaterale o possedute da cittadini cinesi.

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  Il grafico seguente mostra l'ammontare del servizio annuale del debito estero (risultante dagli interessi più i pagamenti del capitale sul debito pubblico e pubblicamente garantito, in milioni di dollari USA a Pag. 38 prezzi correnti), dovuto ai creditori bilaterali, multilaterali e privati, al dicembre 2023, con proiezioni fino al 2029.

Andamento del servizio annuale del debito estero dei Paesi africani diviso per tipologia di creditori

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  Nel 2024 si stima che il servizio del debito abbia raggiunto, come livello mediano del continente, il picco del 13,6 per cento della spesa pubblica.
  Sempre nel 2024, si stima che i Paesi africani con l'onere più gravoso in termini di pagamento del servizio del debito in percentuale della spesa pubblica (superiore, cioè, al 20 per cento) siano stati 12: Angola (68,3 per cento), Etiopia (67 per cento), Zambia (36,5 per cento), Congo (26,4 per cento), Tunisia (24,4 per cento), Mauritius (24,1 per cento), Sudan (23,9 per cento), Gibuti (23,7 per cento), Kenya (22 per cento), Senegal (20,6 per cento), Egitto (20,4 per cento), Costa d'Avorio (20,2 per cento).
  Nel 2025, oltre 20 Paesi africani spenderanno più per il servizio del debito che per la sanità o l'istruzione.
  Giova richiamare, per una maggiore comprensione della questione, i principali dati sul debito pubblico degli Stati africani, con particolare riguardo al totale di debito del settore pubblico. Le seguenti tabelle riportano, in particolare, i dati resi disponibili dal Fondo Monetario Internazionale (in termini di debito pubblico in percentuale del PIL) per il 2024 per gli Stati africani e per le principali organizzazioni regionali o economiche.

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  Dalla consultazione dei dati forniti dall'International Debt Statistics della Banca Mondiale (2024) emerge, peraltro, come nel corso degli ultimi anni sia cambiata la natura del debito pubblico degli Stati africani e anche la composizione del debito pubblico in termini di quote detenute da categorie di creditori.
  Si segnala, infine, che la Banca Mondiale pubblica le informazioni relative alle quote di debito pubblico per singolo Stato, con dati dettagliati sull'ammontare delle principali quote, l'individuazione dei creditori e la valuta di riferimento.

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3. Terrorismo

  Nel corso delle audizioni svolte è stato evidenziato come il terrorismo permanga una delle principali minacce alla sicurezza e alla stabilità in molte aree dell'Africa e tragga origine da una molteplicità di fattori, di carattere economico, politico, sociale e religioso. La fragilità degli Stati, la povertà diffusa, i conflitti interni, l'esclusione politica e sociale e l'influenza di gruppi estremisti religiosi internazionali ne costituiscono la linfa vitale.
  Il continente continua a rappresentare, dunque, per la sua instabilità politica e di sicurezza, un terreno fertile per i gruppi jihadisti e per il fenomeno della radicalizzazione. Le aree a maggiore rischio di destabilizzazione sono il «Sahel allargato» (Mali, Niger, Burkina Faso, oltre alla regione del Fezzan e al Sud dell'Algeria), il quadrante orientale (con riguardo al Corno d'Africa, specialmente alla Somalia, al Kenya e al Sudan), nonché la Regione dei Grandi Laghi (Repubblica Democratica del Congo) e il Mozambico.
  Con riferimento più specifico alle aree territoriali, è stato evidenziato come la presenza di gruppi affiliati allo Stato Islamico e ad Al-Qaeda continui ad essere un fattore critico. Inoltre, in Egitto si sono registrati ripetuti attacchi contro le forze di sicurezza egiziane e contro i civili, in particolare contro la minoranza cristiana copta.
  Anche l'Africa Occidentale è fortemente colpita dal terrorismo, in gran parte a causa della diffusione di gruppi jihadisti che sfruttano le fragilità degli Stati, i conflitti interni e le tensioni etniche e religiose. Il Sahel e, in particolare, il Bacino del Lago Ciad, è diventato uno dei principali teatri del terrorismo, con l'attivismo di gruppi jihadisti – tra cui il Gruppo per il Sostegno dell'Islam e dei Musulmani (GSIM), affiliato ad al-Qaeda, e lo Stato Islamico della provincia Saheliana (ISSP), affiliato all'ISIS – che hanno compiuto numerosi attacchi contro civili e forze di sicurezza.
  In Africa orientale e nel Corno d'Africa il terrorismo è legato principalmente a gruppi islamisti che operano in contesti di conflitti protrattisi nel tempo e di Stati deboli. Il gruppo jihadista Al-Shabaab è il principale attore terroristico in Somalia ed è attivo anche in Kenya, particolarmente vulnerabile agli attacchi a causa della sua vicinanza alla Somalia e del suo coinvolgimento nella lotta contro Al-Shabaab; attualmente, però, il movimento si configura più come un sistema di controllo del territorio tipico di un'organizzazione criminale che come movimento politico-ideologico. In questa regione dell'Africa si registra, inoltre, un forte attivismo anche dello Stato Islamico-Somalia (IS-Somalia).
  In Africa centrale, pur registrandosi un minore impatto del fenomeno del terrorismo, alcuni Paesi sono influenzati da gruppi terroristici e milizie armate, come la Repubblica Democratica del Congo, dove operano diverse milizie armate, tra cui le Forze Democratiche Alleate (ADF), un gruppo ribelle originario dell'Uganda che ha stabilito legami con gruppi jihadisti come l'ISIS. Anche Camerun e Ciad sono stati colpiti dal terrorismo, principalmente a causa della presenza di Boko Haram e ISWAP nelle regioni settentrionali, che confinano con la Nigeria. Questi gruppi hanno compiuto numerosi attacchi contro villaggi e postazioni militari, destabilizzando ulteriormente regioni già vulnerabili a causa della povertà e della mancanza di infrastrutture. Pag. 43
  L'Africa meridionale è la regione in cui si avverte un minore impatto del terrorismo, ma negli ultimi anni si sono verificati segnali di crescita di attività jihadiste e si è registrata una significativa presenza di fenomeni legati alla criminalità organizzata (traffico di droga, bracconaggio e crimine urbano), soprattutto in Sudafrica e in Mozambico, dove nella provincia settentrionale di Cabo Delgado è attivo un gruppo jihadista conosciuto localmente come IS Mozambico, che però non avrebbe legami diretti con l'omonimo gruppo somalo.
  Nel corso delle audizioni svolte è stato più volte delineato lo scenario della minaccia interna ed internazionale; con più specifico riferimento al fenomeno del terrorismo internazionale, sono stati illustrati i fattori che consentono di ritenere strutturale e radicata la minaccia islamista, riconducibili ai diversificati scenari esteri di crisi, in particolare nel Nord Africa e nel Sahel, ma anche in Medio Oriente e in Asia. Quanto alla minaccia proveniente dall'esterno, la preoccupazione deriva dal complesso scenario di instabilità in Africa (in Libia, in Algeria, in Tunisia, in Egitto, nei Paesi della fascia saheliana, nel Corno d'Africa), reso ancora più precario a causa della forte penetrazione da parte della Russia e della Cina e di una destabilizzante competizione fra gli stessi Stati africani.
  È stato sottolineato, inoltre, come il fenomeno del terrorismo e soprattutto la presenza nella regione di formazioni jihadiste e di altri gruppi armati, che ciclicamente destabilizzano la situazione interna di questi Paesi, provochino ricorrenti crisi di sicurezza e, soprattutto, fenomeni frequenti di dislocazione, con gruppi di internally displaced person, ossia sfollati interni, di enormi dimensioni. Per cogliere la portata del fenomeno, basti pensare che nella regione del Sahel, tra il 2007 e il 2021, il numero di vittime a causa del terrorismo è decuplicato e, nel 2021, ha raggiunto il 47 per cento del totale dei morti dovuti al fenomeno del terrorismo a livello mondiale (nel 2007 era pari all'1 per cento). Inizialmente presenti soprattutto in Mali, le formazioni terroristiche hanno nel tempo rafforzato la propria intensità e si sono estese per dimensione e diffusione geografica, fino a essere presenti in due terzi del territorio del Mali, in Niger e, soprattutto, in Burkina Faso, dove le attività violente hanno generato l'esodo e lo sfollamento di circa due milioni di persone. Le aree maggiormente colpite sono quelle a cavallo delle tre frontiere, cioè Burkina Faso centro-settentrionale, Mali centrale e Niger occidentale, dove è più ridotta la presenza delle forze di sicurezza locali e dove operano anche gruppi di criminalità organizzata. C'è il rischio che l'estensione di tali formazioni terroristiche si allarghi progressivamente dal Sahel verso i Paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea, ossia Togo, Senegal e Costa d'Avorio. I due maggiori gruppi che operano in questo senso sono lo «Stato islamico del Grande Sahara» e la Jamaat Nusrat al-Islam wal muslimin.
  È stato rilevato, inoltre, come la situazione, a seguito dei colpi di Stato e dell'assunzione del potere da parte delle varie giunte militari, sia diventata incontrollabile nell'area del Sahel, sia sotto il profilo della sicurezza sia sotto il profilo del terrorismo, in considerazione della presenza di gruppi armati che agiscono con finalità ad hoc, con l'ambizione di conquistare parti del territorio, di sfruttare le risorse e di soggiogare intere comunità per avere campo libero per le proprie finalità criminali. La regione del Sahel è preda di traffici illeciti di Pag. 44 esseri umani, di carburante, di droghe e, recentemente, di armi, favoriti dal fatto che la Libia non sembra essere in grado di controllarli. Si pensi al fatto che in Burkina Faso il 60 per cento del territorio risulta sotto il controllo di gruppi criminali terroristi armati, il che comporta anche rilevanti problemi sotto il profilo della sicurezza, derivanti dalla presenza di circa 2 milioni di sfollati. Nelle audizioni è stata ricordata la situazione relativa alla sicurezza in alcuni Paesi, dal Mali al Niger al Burkina Faso ed è stato sottolineato quanto sia risultata fallimentare la strategia dell'isolamento, dell'abbandono, dell'imposizione pura e semplice di sanzioni e come essa andrebbe sostituita con una strategia di dialogo e prospettica, sia sul piano dell'intervento umanitario sia sul piano della cooperazione allo sviluppo.
  In alcune audizioni è stato posto l'accento, in particolare, sulla situazione della Somalia – esempio classico di Stato piagato dal terrorismo di Al-Shabaab e Daesh Somalia e suddiviso in almeno quattro realtà pressoché indipendenti l'una dall'altra e rientranti nella sfera di influenza di altri Paesi in aperta competizione fra loro – evidenziando altresì come la recente crisi istituzionale del Senegal, la più antica democrazia africana, rappresenti un campanello di allarme e dimostri come ormai non si possa dare nulla per scontato nel continente, per ragioni strategiche, politiche, economiche, tutte influenzate da un confronto su scala globale, accelerato dal conflitto in Ucraina e dall'attuale crisi mediorientale. Sotto il profilo strategico, il Mediterraneo allargato e l'Africa si stanno connotando come una vera e propria area ibrida, e nello scenario geopolitico che va dal Sudan, attraversa il Sahel e arriva fino all'Africa occidentale, il preoccupante arco di crisi che avvolge l'Europa sembrerebbe configurare una strategia volta a condizionare flussi commerciali, movimenti migratori, approvvigionamenti energetici, nonché a influenzare il maggior numero di Paesi in una prospettiva di più accesa competizione. Occorre pertanto evitare che queste dinamiche prendano consistenza fino a trasformare gli storici legami di interdipendenza fra le due sponde del Mediterraneo in armi ibride puntate verso l'Italia e l'Europa.
  È stata più volte sottolineata l'importanza che la regione del Sahel riveste sotto il profilo securitario per la stabilità del Nord Africa, dell'Africa occidentale e del Golfo di Guinea quale hub di passaggio dei flussi clandestini verso la rotta del Mediterraneo centrale, nonché con riferimento al fenomeno del terrorismo di matrice jihadista che ha sviluppato una particolare capacità di penetrazione e concentrazione nelle dinamiche sociali dell'area. Con particolare riferimento al Niger, occorre ricordare come sul suo territorio insistano le due principali direttrici utilizzate dai trafficanti di esseri umani per raggiungere le coste del Nord Africa, con risvolti diretti di carattere strategico anche per l'Italia. È stato osservato che il colpo di Stato del luglio 2023 sembrerebbe avere un denominatore comune con gli eventi autoritari che hanno caratterizzato la Guinea Conakry, il Ciad, il Burkina Faso e il Mali, ossia un forte sentimento antifrancese, in alcuni casi riversatosi contro la presenza stessa dell'Unione europea e addirittura, come nel caso del Mali, contro quella delle Nazioni Unite, a vantaggio di attori esterni. La Russia sembra essere riuscita ad approfittare di tali eventi anche per accaparrarsi, in cambio del sostegno militare e securitario, risorse essenziali per la prosecuzione del proprio impegno in Ucraina, Pag. 45 controbilanciare gli effetti alle sanzioni occidentali e giocare un ruolo importante come attore geopolitico globale.
  È stato ricordato, inoltre, l'impegno del nostro Paese nella regione del Sahel e nel Corno d'Africa, orientato a comprendere e soddisfare le reali esigenze dei Paesi partner, con l'obiettivo di aiutare le Forze armate e di sicurezza locali a sviluppare le capacità operative necessarie per assicurare condizioni di sicurezza e stabilità, indispensabili per lo sviluppo e il benessere di quei Paesi. In tale contesto, la sicurezza cooperativa è l'unico valido strumento per avvicinare le diverse realtà, comprendere e gestire in maniera condivisa le differenze – senza interferire negli affari interni o sostituirsi alle leadership africane – e agire a supporto delle istituzioni locali per cercare insieme soluzioni adeguate alle loro esigenze e priorità. Le principali aree di cooperazione riguardano, oltre alla formazione e l'addestramento delle Forze armate e di sicurezza locali, il concorso nell'attività di contrasto al terrorismo e altre attività illegali, il contributo alla costruzione di un'adeguata situazione informativa a protezione di infrastrutture ed installazioni critiche e l'incremento dell'interoperabilità reciproca. Le attività di defence capacity building, per essere credibili, devono però basarsi sul paradigma training-equipe-sustain-infrastructure, promuovendo sinergie organizzative e cooperative tra Dicasteri e Agenzie in grado di consentire lo sviluppo, il finanziamento e l'implementazione delle singole iniziative. Un esempio concreto in tal senso è rappresentato da una convenzione tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), il Ministero della difesa e l'Agenzia industrie difesa (AID), promossa dal Ministero della difesa, che abilita il Dicastero a supportare con fondi resi disponibili dal MAECI e gestiti dall'Agenzia industrie difesa lo sviluppo delle capacità operative delle Forze armate e di sicurezza dei Paesi partner.
  Nell'attuale scenario globale, il concetto di sicurezza non è più legato, pertanto, alla sola dimensione militare, ma diviene multidisciplinare, intergovernativo e transnazionale, tale da richiedere un approccio sistemico che, valorizzando tutti gli strumenti del potere nazionale, coinvolga a trecentossessanta gradi gli attori e le istituzioni rilevanti per migliorare il quadro di sicurezza complessivo. Di conseguenza, la nuova sfida è innescare un processo virtuoso di sviluppo economico che faccia crescere la ricchezza e le condizioni di vita in Africa. Far crescere economicamente i Paesi del continente significa capitalizzare gli effetti dell'intervento in termini di sicurezza, con risvolti benefici non solo per l'Italia ma anche per l'Europa e per la stabilità del continente africano, seguendo un approccio multidimensionale.

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4. Approvvigionamento di materie prime

  Il continente africano ricopre un ruolo chiave nella sfida a livello globale per l'approvvigionamento di materie prime, in quanto dispone di una grande quantità di risorse minerarie, pari a circa il 30 per cento delle riserve mondiali. La sola Africa subsahariana possiede oltre il 50 per cento dei minerali cosiddetti critici, necessari per la transizione energetica e lo sviluppo di tecnologie avanzate. L'importanza a livello economico di minerali come il cobalto, il litio, il tantalio e altre terre rare, unitamente alle difficoltà di approvvigionamento dei minerali stessi – causate da fenomeni come la concentrazione geografica delle risorse e la complessità dei processi di estrazione – sono i fattori che ne determinano la «criticità». Inoltre, la «rarità» di tali risorse è determinata dalla scarsità di concentrazione, derivante dal fatto che non si presentano in natura puri, bensì legati ad altri tipi di materiali.
  Dal punto di vista geografico, la vicinanza dell'Africa alle principali rotte marittime (il Canale di Suez, lo Stretto di Gibilterra e il Capo di Buona Speranza) la rende un attore fondamentale nel commercio e nella strategia militare a livello globale; inoltre, le vaste riserve africane di minerali (compresi i giacimenti di terre rare), petrolio e gas naturale attirano un notevole interesse da parte delle potenze estere nell'accesso a tali risorse. Ciò ha portato ad una maggiore concorrenza geopolitica tra Paesi come la Cina, gli Stati Uniti, la Russia ed ex potenze coloniali come Francia e Regno Unito, ma non solo(18).
  Nel corso di numerose audizioni è stato evidenziato come, in tale settore, la Cina rappresenti, a livello globale, un attore chiave nell'estrazione e nel commercio di terre rare e continui a investire ingenti quantità di risorse in infrastrutture minerarie nel continente africano. Secondo il rapporto World Economic Situation And Prospects 2025 delle Nazioni Unite, ad oggi, il mercato è dunque dominato dalla Cina, che produce circa il 60 per cento delle terre rare mondiali, oltre a processarne e raffinarne oltre il 90 per cento. Ciò determina, secondo dati del Ministero delle imprese e del made in Italy, una assoluta dipendenza delle maggiori economie mondiali dalle importazioni cinesi: proviene dalla Cina l'80 per cento delle importazioni degli Stati Uniti e il 98 cento delle importazioni dell'Unione europea, e la preoccupazione circa l'eventualità di riduzioni o interruzioni delle importazioni induce tali attori a cercare fonti alternative di approvvigionamento, al fine di ridurre la dipendenza da tale Paese. Si tratta di preoccupazioni che traggono origine anche dal fatto che nel 2010 la Cina, dalla quale proveniva il 97 per cento delle terre rare mondiali, decise di bloccare le esportazioni verso il Giappone a causa di motivi politici. In diverse ulteriori occasioni, la Cina ha minacciato di ridurre, o perfino di vietare, le esportazioni di alcune terre rare verso gli Stati Uniti e questo ha contribuito a spingere i Paesi alla ricerca di nuovi centri di produzione, onde ridurre il dominio cinese.
  La Cina, infatti, è considerata il protagonista straniero più antico nel continente. Sin dagli anni Novanta, Pechino ha fondato il suo rapporto con i Paesi africani prevalentemente sul piano economico e commerciale, realizzando ovunque, in molti Paesi, infrastrutture moderne, di cui gli Pag. 47 Stati del continente hanno un impellente bisogno, in cambio di concessioni minerarie e sfruttamento di risorse naturali.
  Spesso proprio l'approvvigionamento delle ingenti risorse minerarie presenti nel continente, peraltro, si intreccia direttamente con la stabilità politica di tali Paesi, come dimostra il conflitto in corso tra Ruanda e Congo, causato almeno in parte da ragioni di questo tipo.
  Le risorse minerarie critiche costituiscono sicuramente una grande opportunità economica per l'Africa, ma in assenza di adeguate politiche di governance e di distribuzione della ricchezza, nonché di una gestione trasparente delle risorse, è elevato il rischio che si verifichino fenomeni di accaparramento di tali risorse, che a loro volta potrebbero alimentare i conflitti interni e provocare devastanti conseguenze sull'ambiente e sull'ecosistema.
  In molte audizioni è stato segnalato, infatti, che attori terzi stanno conducendo in Africa una pericolosa e insidiosa azione di influenza e penetrazione: la Cina, con un approccio che si concretizza specialmente nell'ambito economico e commerciale con crescenti risvolti nella dimensione militare, e la Russia, con una presenza di propri assetti che mira a ottenere vantaggi economici e geopolitici, quali l'accesso a fonti di approvvigionamento e di materie prime e il mantenimento di scambi commerciali, soprattutto nel settore bellico, con i Paesi africani. Pur perseguendo obiettivi distinti, entrambi gli attori attuano strategie complementari sempre più integrate, a discapito degli interessi occidentali.
  Nel grafico sottostante sono riportati i principali produttori di terre rare dal 1965 ad oggi, come individuati nel Documento «Digital economy growth and mineral resources» della United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD).

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  È evidente come la Cina abbia conquistato una posizione di assoluta centralità nel mercato, nonostante abbia iniziato l'attività di produzione successivamente ad altri Paesi, in particolare gli Stati Uniti. I giacimenti nei Paesi africani possono rappresentare una valida alternativa alla posizione monopolista dei Paesi asiatici. Tuttavia, la Cina sta adottando una politica di forte penetrazione nei mercati dei Paesi africani così da poter mantenere la posizione di leader, non solo come Paese produttore, ma anche come Paese che processa e raffina i minerali rari.
  In tale contesto, l'Africa ha dunque la possibilità di emergere come nuovo polo produttivo, con ciò avviando una nuova competizione nel continente tra i principali attori mondiali. Infatti, in Africa vi sono diversi depositi di terre rare, in particolare nei Paesi dell'Africa orientale e meridionale, come il Sudafrica, il Madagascar, il Malawi, il Kenya, la Namibia, il Mozambico, la Tanzania, lo Zambia e il Burundi.
  È stato rilevato, inoltre, che in tale scenario non risulta sempre agevole catalogare l'operato dei nuovi attori, che sembra oscillare tra l'accaparramento delle materie prime e il controllo politico strategico dei territori.
  Con particolare riferimento agli attori esteri, nel 2021 la Repubblica Democratica del Congo è risultata il primo Paese per investimenti cinesi in entrata, riuscendo ad attirare circa un miliardo di dollari, corrispondenti a circa un quinto dell'intero ammontare degli investimenti cinesi in Africa in quell'anno. Come meglio chiarito nella cartina che segue e nella successiva tabella, è stato segnalato anche che molti dei Paesi africani che ricevono ingenti investimenti cinesi sono anche quelli più ricchi di materie prime critiche: la Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, detiene il 74 per cento della produzione mondiale di cobalto e il 55 per cento delle riserve mondiali; il Sudafrica detiene il 36 per cento della produzione mondiale di manganese e il 32 per cento delle riserve mondiali, così come il 49 per cento della produzione e il 90 per cento delle riserve dei metalli del gruppo platino. La Repubblica Democratica del Congo è il Paese africano che ha attratto il maggior numero di investimenti in attività estrattive e di raffinazione dalla Cina, per una cifra pari a 13,7 miliardi di euro. La Cina, dunque, investe in maniera più significativa laddove vi sono le materie prime critiche, che servono alla duplice transizione tecnologica green e digitale. In alcuni settori specifici la presenza russa è più significativa, come nel settore dell'energia e dell'estrazione mineraria, in cui aziende russe detengono importanti concessioni per la produzione di materie prime in Paesi come la Repubblica Centrafricana, la Guinea, il Madagascar, la Namibia, la Repubblica Democratica del Congo, il Sudan, lo Zimbabwe e il Sudafrica. Sul punto, nel corso delle audizioni è emersa altresì la necessità di analizzare più approfonditamente le diverse ragioni che portano attori così diversi, anche per struttura e capacità economica, verso la corsa alle terre rare. Oltre a settori come il petrolio e il gas naturale, è stato evidenziato, inoltre, nello sviluppo di energia nucleare in molti Paesi africani, l'attivismo della Russia, che ha firmato accordi di cooperazione nucleare con 20 Paesi africani.

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Fonte: Nazioni Unite, World Economic Situation and Prospects 2025, pag. 74.

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Fonte: Nazioni Unite, World Economic Situation and Prospects 2025, pag. 58.

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  A livello europeo, in previsione di un aumento esponenziale della domanda di terre rare nei prossimi anni, il 3 maggio 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea il regolamento (UE) 2024/1252 sulle materie prime critiche, entrato in vigore il 23 maggio 2024, la cui importanza è stata ricordata in numerose audizioni svolte dal Comitato. Il regolamento mira a ottimizzare il funzionamento del mercato interno attraverso l'istituzione di un quadro che garantisca all'Unione europea un approvvigionamento di materie prime critiche sicuro, resiliente e sostenibile, promuovendo altresì l'efficienza e la circolarità lungo la catena del valore. Le materie prime critiche rivestono grande importanza economica per l'Unione europea, con un elevato rischio di criticità nell'approvvigionamento a causa della concentrazione delle fonti e della mancanza, allo stato, di sostituti validi e a prezzi accessibili. Il regolamento mira, quindi, ad aumentare e diversificare l'approvvigionamento di materie prime critiche dell'Unione; a rafforzarne la circolarità, comprese le tecniche di riciclo; a sostenere la ricerca e l'innovazione in materia di efficienza delle risorse e sviluppo di sostituti. La domanda da parte dell'Unione europea di metalli comuni, materiali per batterie e terre rare è peraltro destinata ad aumentare in modo esponenziale, con il progressivo abbandono da parte dell'Unione dei combustibili fossili e il passaggio a sistemi energetici puliti che richiedono un maggior numero di minerali. La transizione verde dell'Unione richiederà la costituzione di una produzione locale di batterie, pannelli solari, magneti permanenti e altre tecnologie pulite.
  Il regolamento, inoltre, mira a rafforzare tutte le fasi della catena del valore europea delle materie prime critiche, diversificando le importazioni dell'UE per ridurre le dipendenze strategiche migliorando la capacità dell'Unione di monitorare e attenuare i rischi di perturbazioni dell'approvvigionamento di materie prime critiche rafforzando la circolarità e la sostenibilità.
  A partire dalle 34 materie prime critiche individuate, è stato stilato un elenco specifico di 17 materie prime strategiche, di cui si prevede una crescita esponenziale in termini di approvvigionamento, che hanno esigenze di produzione complesse e sono quindi esposte a un rischio più elevato di problemi di approvvigionamento. Nella tavola periodica degli elementi, «i 17 elementi noti come “terre rare” occupano, quindi, un posto particolare nei calcoli e nelle preoccupazioni strategiche degli Stati. Si può affermare che le terre rare siano le “vitamine” delle società e delle industrie moderne del XXI secolo, essendo componenti vitali in numerosi prodotti, da quelli tecnologici (smartphone e monitor) a quelli necessari per la transizione energetica (turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e macchine elettriche) fino al settore militare (laser, radar). La difficoltà di sostituirle con altri materiali rende ancora più strategiche le terre rare»(19).
  È stato evidenziato anche che, sotto tale profilo, l'Africa rappresenta contemporaneamente un'opportunità e una sfida per l'Italia e, in generale, per l'Europa: in termini di opportunità occorre ricordare che il continente africano possiede oltre il 50 per cento delle materie prime Pag. 51 globali, il 30 per cento delle risorse minerarie, oltre il 50 per cento delle terre coltivabili e più del 60 per cento delle risorse idriche mondiali.
  Da parte dell'Unione europea, dunque, occorre adottare un approccio tale che non consenta la concentrazione delle risorse africane in mano alla Russia e alla Cina, perché la prima e più grande debolezza europea è l'assenza di tali materie prime nel continente.
  Il decreto-legge 25 giugno 2024, n. 84, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2024, n. 115, è stato adottato per dare esecuzione al richiamato regolamento, approntando un sistema di governance per l'approvvigionamento sicuro e sostenibile delle materie prime critiche considerate strategiche ai sensi del medesimo regolamento europeo.
  In questo ambito, visto il preminente interesse nazionale nell'approvvigionamento delle materie prime critiche strategiche e considerata la necessità di garantire sul territorio nazionale il raggiungimento degli obiettivi previsti dal citato regolamento europeo, le disposizioni contenute nel provvedimento sono volte a stabilire criteri uniformi per la tempestiva realizzazione dei progetti strategici di estrazione, trasformazione o riciclaggio delle materie prime strategiche.
  Il decreto-legge istituisce un programma di protezione e sviluppo del trattamento delle materie prime critiche e strategiche, confermando l'importanza economica di tali prodotti e il loro ruolo fondamentale nella realizzazione di una transizione verde e digitale. L'obiettivo è quello di incentivare la produzione di materie in modo autosufficiente, promuovendo l'estrazione, la trasformazione e il riciclaggio di prodotti come metalli, minerali e materiali naturali che presentano un elevato rischio in termini di approvvigionamento. Per raggiungere questo obiettivo, la nuova normativa prevede un sistema di governance che potenzia le catene di approvvigionamento e facilita lo sviluppo di progetti strategici attraverso l'implementazione di procedure di autorizzazione più snelle. Il provvedimento ha istituito altresì, presso il Ministero delle imprese e del made in Italy, un Comitato tecnico permanente per le materie prime critiche e strategiche, al quale sono affidati compiti di monitoraggio economico, tecnico e strategico delle catene di approvvigionamento delle materie prime critiche e strategiche, oltre che funzioni di coordinamento(20).

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5. Approvvigionamento energetico: sfide e opportunità sul versante energetico

  Gli eventi ai quali negli anni recenti abbiamo assistito nello scenario internazionale, primo fra tutti l'invasione della Russia all'Ucraina, hanno generato considerevoli impatti sugli equilibri economici mondiali e preoccupanti conseguenze anche per la sicurezza negli approvvigionamenti energetici, soprattutto in ambito europeo, dove per anni il sistema si è retto sulla competitività dei crescenti volumi di gas naturale importati dalla Russia, mentre non era stata condotta un'adeguata strategia di diversificazione delle importazioni.
  Nelle numerose audizioni svolte è stato evidenziato come il conflitto russo-ucraino abbia provocato una riduzione degli approvvigionamenti da parte della Russia, con un conseguente raggiungimento di prezzi record per le principali materie prime. Ciò ha spinto i Paesi europei ad adottare misure drastiche per limitare gli effetti della crisi, nel tentativo di disegnare nuove prospettive per la sicurezza degli approvvigionamenti. La decisione dei leader dei 27 Stati membri dell'UE, all'indomani dell'invasione, di porre fine alle importazioni di gas russo entro il 2025 e ridurre significativamente la dipendenza dal gas russo entro un anno (29 miliardi di metri cubi secondo i dati del 2021) è stata condotta, infatti, secondo due direttrici principali(21): da un lato la diversificazione dei fornitori e degli approvvigionamenti, dall'altro un intervento per conseguire il miglioramento dei profili di efficienza energetica e un'accelerazione dei tempi della transizione.
  La sicurezza energetica, infatti, già compresa tra gli obiettivi della strategia per la transizione climatica disegnata dal Green Deal, ha assunto a livello di Unione europea carattere prioritario a fronte della crisi degli approvvigionamenti conseguente all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.
  Tra le misure principali adottate dall'UE per affrancarsi gradualmente dalla dipendenza dalle importazioni di gas, petrolio e carbone russi, creando le condizioni per la sua autosufficienza energetica, nel maggio 2022, su impulso del Consiglio europeo, la Commissione europea ha presentato il piano REPowerEU.
  Il piano presuppone la piena attuazione del pacchetto «Pronti per il 55%» – che fissa l'obiettivo di realizzare una riduzione pari almeno al 55 per cento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050, in linea con il Green Deal – ed è basato sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, sull'accelerazione della transizione dai combustibili fossili a fonti di energia rinnovabili e sul risparmio energetico.
  Il Piano è stato accompagnato, nonché seguito, dall'adozione di un pacchetto di iniziative, di carattere legislativo e non. In particolare, si segnala il regolamento (UE) 2023/435, tramite il quale è stato consentito agli Stati membri di inserire appositi capitoli REPowerEU nei Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR) allo scopo di finanziare investimenti e riforme chiave che contribuiranno al conseguimento degli obiettivi di REPowerEU. Pag. 53
  Nello specifico, le riforme e gli investimenti dovrebbero concentrarsi sui seguenti aspetti: il miglioramento delle infrastrutture e degli impianti energetici per soddisfare il fabbisogno immediato di sicurezza dell'approvvigionamento di gas, incluso il gas naturale liquefatto (GNL), in particolare per consentire la diversificazione dell'approvvigionamento, negli interessi dell'UE nel suo complesso; l'aumento dell'efficienza energetica nell'edilizia; la decarbonizzazione dell'industria; l'aumento della produzione e della diffusione di biometano sostenibile e di idrogeno rinnovabile o ottenuto senza combustibili fossili; l'aumento della quota e la diffusione più rapida delle energie rinnovabili; la lotta alla povertà energetica; gli incentivi per ridurre la domanda di energia; l'eliminazione delle strozzature interne e transfrontaliere nella trasmissione e nella distribuzione di energia e il sostegno ai trasporti a zero emissioni e alle relative infrastrutture, comprese le ferrovie; il sostegno allo stoccaggio di energia elettrica.
  Il Piano REPowerEU è finanziato nel seguente modo: fino a 225 miliardi di euro di prestiti non utilizzati del Dispositivo per la ripresa e la resilienza; 20 miliardi di euro circa di nuove sovvenzioni (60 per cento dal Fondo per l'innovazione e 40 per cento dalla vendita di quote del sistema di scambio di quote di emissione); fino a 17,9 miliardi di euro tramite la possibilità di trasferire il 5 per cento dei fondi della politica di coesione; fino a 5,4 miliardi di euro tramite trasferimenti volontari dalla riserva di adeguamento alla Brexit al Dispositivo per la ripresa e la resilienza.
  In coerenza con quanto previsto dal regolamento (UE) 2023/435, l'Italia ha inserito nel proprio PNRR un capitolo dedicato al REPowerEU, con la creazione della nuova Missione 7. Tale missione comprende 5 riforme nuove e 17 investimenti, di cui 12 investimenti nuovi e 5 investimenti a titolo di rafforzamento (scale up) di investimenti già esistenti nel PNRR. Nel complesso, la nuova Missione prevede investimenti per circa 11,2 miliardi di euro, dei quali 2,75 miliardi di contributi a fondo perduto e 8,4 miliardi di prestiti.
  In sintesi, la Missione 7 è finalizzata a: rafforzare le reti di trasmissione e distribuzione, sia dell'energia elettrica che del gas; accelerare la produzione di energia rinnovabile; ridurre la domanda di energia; aumentare l'efficienza energetica e digitale; creare le competenze nei settori pubblico e privato per la transizione verde; promuovere le catene del valore delle energie rinnovabili e dell'idrogeno attraverso misure che facilitino l'accesso al credito e ai crediti d'imposta.
  Per mitigare l'impatto della crisi energetica, in Italia è stato necessario intervenire per ridurre gli impatti negativi sui consumatori finali e ottimizzare le infrastrutture esistenti per il gas naturale liquefatto (GNL) e i gasdotti. È stato previsto, inoltre, lo sviluppo di due nuovi rigassificatori GNL, con l'intento di far diventare l'Italia un polo di attrazione per l'offerta globale di GNL, in un mercato sempre più volatile. Tali interventi hanno consentito di conseguire l'obiettivo della stabilizzazione dei prezzi nel breve periodo, anche grazie al riempimento forzato degli stoccaggi e a ulteriori fattori, quali la riduzione della domanda industriale e le miti temperature degli ultimi inverni.
  Tuttavia, nel periodo 2030-2040, secondo il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (PNIEC) predisposto dai Ministeri delle Pag. 54 imprese e del made in Italy, dell'ambiente e della sicurezza energetica e delle infrastrutture e dei trasporti, la domanda di gas del Paese sarebbe attesa a circa 56 miliardi di metri cubi nel 2030 e a 52 miliardi nel 2040 contro i 68 miliardi del 2021; sembrerebbe pertanto necessario compiere attente riflessioni sull'attuale capacità del Paese di assicurarsi un sufficiente livello di importazioni(22). Il bilanciamento del sistema, infatti, rimarrebbe comunque fortemente legato all'effettiva disponibilità di GNL, che, pur garantendo elevata flessibilità al sistema, non assicura garanzia di fornitura se non al prezzo marginale, con rischi di volatilità dei prezzi, a loro volta influenzati dagli investimenti negli impianti di liquefazione e dall'andamento della domanda asiatica.
  La strategia energetica europea prevede, inoltre, la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con altri vettori energetici, tra cui l'idrogeno, che dovranno garantire le stesse caratteristiche di flessibilità e densità energetica. Appare, inoltre, necessario perseguire la centralità della diversificazione non solo delle fonti, ma anche delle rotte di approvvigionamento, per garantire ai mercati un accesso stabile e continuativo alle risorse, in considerazione del fatto che l'Europa e l'Italia dovranno affidarsi all'approvvigionamento da Paesi extra-UE per una quota significativa della propria domanda energetica, pari fino al 50 per cento dei gas verdi quali l'idrogeno.
  L'attuale sistema di approvvigionamento europeo è basato su tre direttrici principali: via gasdotto dalla Norvegia e dal Nord Africa e via GNL dagli Stati Uniti e dal Qatar. Il declino della produzione nel Nord Europa, unitamente all'effettiva disponibilità di gas addizionale per export dal Nord Africa e al verificarsi di eventi metereologici o geopolitici delle rotte GNL, hanno però generato negli ultimi anni alcuni elementi di criticità. Di conseguenza, già a partire dal 2009, la parte orientale del bacino Mediterraneo ha riconquistato una sua strategicità, grazie alle numerose scoperte di giacimenti di gas offshore avvenute nell'ultimo decennio(23): i flussi di approvvigionamento in ambito energetico sono stati caratterizzati, dunque, da una progressiva dinamica di movimento da Sud a Nord. Israele, in particolare, si sta affermando come importante hub di esportazioni per la regione, massimizzando le proprie potenzialità naturali(24).
  Per quanto attiene alle infrastrutture necessarie al trasporto del gas, il Mediterraneo orientale manca, però, di infrastrutture di connessione fisica ed attualmente solo una parte esigua delle sue risorse riesce ad arrivare in Europa. In tale scenario, un contributo alla diversificazione degli approvvigionamenti europei potrebbe essere fornito dalla realizzazione della pipeline Eastmed-Poseidon, che propone la realizzazione di un collegamento diretto tra le risorse di Israele e Pag. 55 Cipro e i mercati della Grecia, dell'Italia e dell'Europa, che consentirebbe una connessione fisica tra il Mediterraneo orientale e l'Europa e assicurerebbe un flusso stabile di risorse, garantendo anche la creazione di un corridoio verde per il futuro import di idrogeno dalla regione.
  Nel corso delle audizioni è stato evidenziato come la possibilità di svincolarsi completamente dalla dipendenza dal gas russo richieda il tempo necessario per incrementare ulteriormente le produzioni norvegesi del Mare del Nord, per trovare accordi realistici con i supplier americani e per sviluppare compiutamente il corridoio africano mediterraneo e sub-sahariano, nonché gli approvvigionamenti di gas naturale provenienti dall'area del Golfo.
  In Europa le rotte di fornitura del gas erano prevalentemente quelle da Nord a Sud e, soprattutto, da Est a Ovest. Successivamente, la direttrice Nord-Sud si è rafforzata ulteriormente, quella Sud-Nord è stata riscoperta e valorizzata e, infine, si è affacciata sulla scena la direttrice Ovest-Est. Per rendere possibile questo quadro di rotte e forniture liquide, l'UE ha dato grande impulso alle proprie infrastrutture di rigassificazione, circa 30 fra quelle esistenti, quelle in potenziamento e quelle in nuova costruzione.
  In tale contesto, con i Paesi del Nord Africa rivelatisi «decisivi» nelle forniture di gas all'Europa, è stata evidenziata la complementarità fra i bisogni nordafricani dell'area mediterranea e le nostre capacità nel bacino del Mediterraneo, dove attualmente si concentra una percentuale estremamente rilevante di produzione, riserve e investimenti. È stata ricordata, inoltre, la storia del posizionamento dell'ENI in Africa, sin dall'epoca di Enrico Mattei, con le relative attività di investimento, di produzione e commerciali. Per quanto riguarda la produzione tradizionale (oil & gas, legacy industry), l'Africa costituisce per l'Italia il 56 per cento del portafoglio; i primi due Paesi di produzione sono l'Egitto e la Libia. Quanto agli investimenti, alla fine del 2023 la percentuale era pari al 60 per cento. Anche riguardo al gas è stato illustrato il portafoglio di approvvigionamento, che si estende dall'Africa all'Indonesia all'Europa settentrionale (Regno Unito e Norvegia). Sono stati dunque forniti i dati dell'accesso all'energia in Africa e quelli relativi alle attività economiche connesse all'agricoltura. Quanto alla sicurezza negli approvvigionamenti in Europa e in Italia, sono state illustrate la prospettiva italiana ed europea, la quantità di gas che arriva via tubo rispetto al gas che arriva in forma liquida, nonché le origini geografiche. In Europa il consumo di gas russo è passato dal 37 per cento nel 2021 all'8 per cento alla fine del 2023; il consumo di GNL, invece, è passato dal 19 per cento nel 2021 al 39 per cento nel 2023. Riguardo alla diversificazione in Italia nell'approvvigionamento di gas, si assiste a un tracollo del gas russo, che passa dal 38 al 5 per cento, mentre dal 2021 al 2023 il gas africano è aumentato, nello stesso periodo, dal 35 per cento al 45 per cento. Quanto alle importazioni in Italia di GNL, aumentano quelle dagli Stati Uniti, che sono diventati il secondo fornitore europeo complessivo e il primo fornitore di GNL. Per il GNL, comunque, il primo fornitore per l'Italia rimane il Qatar, anche se passa dal 68 al 38 per cento.
  In particolare, per quanto attiene all'Italia, nel 2023 la domanda di gas è stata pari a circa 62 miliardi di metri cubi (-10 per cento rispetto Pag. 56 all'anno precedente) ed è stata coperta per il 5 per cento dalla produzione nazionale e per il rimanente 95 per cento dall'importazione. L'importazione è stata, quindi, di circa 61 miliardi di metri cubi. Le importazioni via gasdotto, pari a circa 45 miliardi di metri cubi, che rappresentano circa il 73 per cento delle importazioni totali, hanno registrato rispetto al 2022 una riduzione di 13 miliardi di metri cubi. In particolare, sono diminuite le immissioni dal Nord Europa (Olanda e Norvegia) che si attestano a circa 6,6 miliardi di metri cubi, e dalla Libia (circa 2,5 miliardi), mentre sono risultate in aumento le importazioni dall'Algeria (circa 23,0 miliardi di metri cubi). Per quanto riguarda l'immissione dalla Russia, il valore ha subito un forte decremento a causa del conflitto russo-ucraino (circa 2,8 miliardi di metri cubi). Il gas proveniente dall'Azerbaijan, attraverso TAP (immissione a Melendugno), con avvio dei flussi di import negli ultimi giorni di dicembre 2020, si è attestato nel 2023 a circa 10 miliardi di metri cubi contribuendo alla sicurezza ed alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento per l'Italia e per l'Europa.
  La Tabella che segue, tratta dal PNIEC 2024, riporta uno schema delle possibili nuove fonti di approvvigionamento finalizzate ad azzerare la dipendenza del sistema italiano dal gas russo entro il 2025. Dalla tabella si evince, in particolare, il ruolo svolto dai Paesi africani.

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  Nel corso delle audizioni è stato evidenziato come l'Italia, sul fronte energetico, punti a sviluppare progetti di cooperazione su fonti tradizionali, ma sia impegnata anche nello sviluppo di capacità energetiche rinnovabili, di idrogeno verde e nella costruzione di infrastrutture di distribuzione all'avanguardia, essenziali anche per migliorare la condizione di vita delle popolazioni locali. È stato sottolineato, infatti, che garantire un accesso stabile e sicuro all'energia per i Paesi del continente significa facilitare lo sviluppo dell'attività di impresa locale e internazionale nei diversi settori industriali. In tale ottica, l'energia deve essere interpretata come un fattore abilitante del progresso economico-industriale del continente. Particolare interesse in tema di energie rinnovabili è dedicato a Marocco, Tunisia e Kenya, dove sono stati avviati progetti di cooperazione sui seguenti temi: la costruzione di impianti solari, le stazioni di depurazione dell'acqua, i biocarburanti, gli impianti di ultima generazione per la produzione di idrogeno verde, la riduzione dell'impronta carbonica di attività altamente inquinanti, le attività di formazione in materia di energia verde.
  Nel corso delle audizioni è stato posto l'accento, inoltre, sulle infrastrutture e sui progetti esistenti, che consentono di realizzare un «ponte energetico» tra Italia e Africa. In particolare, è stato sottolineato come l'Italia intenda diventare un hub energetico del Mediterraneo, con la funzione di ponte tra l'Europa e l'Africa, assicurando una maggiore sicurezza e diversificazione energetica, oltre a promuovere il ruolo di export-country dell'Italia verso l'Europa. Gli interventi in via di avviamento e realizzazione, che consistono nella promozione sia delle infrastrutture che delle attività di produzione di energia in loco da fonti rinnovabili, porranno al centro il nesso clima-energia e punteranno a rafforzare la crescita delle energie rinnovabili e delle tecnologie innovative come l'idrogeno, prevedendo anche lo sviluppo di nuove infrastrutture di trasmissione e distribuzione.
  È stata, inoltre, evidenziata la rilevanza strategica per l'Italia dello sviluppo della capacità di interconnessione con il Nord Africa, anche per ottimizzare l'utilizzo delle risorse energetiche. Sono state altresì ricordate le riunioni finora svolte nell'ambito del tavolo per la sicurezza energetica del Piano Mattei, durante le quali sono stati esaminati, tra gli altri, i numerosi progetti di interconnessione con l'Africa di interesse per l'Italia.
  È stato evidenziato, inoltre, per quanto riguarda i settori gas e idrogeno, che la centralità della posizione geografica dell'Italia nel Mediterraneo ha innanzitutto permesso di sviluppare infrastrutture gas di lunga data quali i gasdotti Transmed (Algeria, Tunisia) e Greenstream (Libia). Quest'ultimo si connette con la rete nazionale dei gasdotti a Gela e importa nel nostro Paese il gas prodotto in Libia. Il gasdotto, con una capacità tecnica di 18 miliardi di metri cubi annui, ha permesso l'importazione di 2,5 miliardi di metri cubi di gas dalla Libia nel 2023. Il gasdotto Transmed, conosciuto anche come gasdotto Enrico Mattei, attraversa il canale di Sicilia da Capo Bon, in Tunisia, fino a Mazara del Vallo. Il gasdotto, con una capacità tecnica di importazione di 39 miliardi di metri annui, nel 2023 ha trasportato circa 23 miliardi di metri cubi di gas algerino.
  In tale scenario, è stato evidenziato come, in prospettiva, il gas dovrebbe diminuire la sua importanza nell'ambito del processo di Pag. 58 decarbonizzazione ed essere almeno in parte sostituito da idrogeno prodotto con energia rinnovabile, un'attività che potrebbe avere delle ottime condizioni per il proprio sviluppo nei Paesi del Nord Africa. Anche l'importazione di idrogeno dall'Africa all'Italia e all'Unione europea necessiterà di infrastrutture rilevanti.

  Per ciò che riguarda il settore dei prodotti petroliferi, si evidenzia come questi, seppur caratterizzati da una domanda in contrazione al 2030, rappresenteranno comunque una quota rilevante del totale del fabbisogno energetico nazionale, in particolare nei settori trasporti e petrolchimico. I prodotti petroliferi rappresentano ancora la fonte di energia che soddisfa oltre l'80 per cento della domanda di energia del settore dei trasporti, con punte prossime al 100 per cento nel trasporto pesante stradale, nel settore marittimo e nell'aviazione. Le forniture provengono in misura consistente anche da Paesi con elevati profili di rischio geopolitico; la recente guerra russo–ucraina ha messo in evidenza proprio questo rischio, anche se la crisi energetica è stata gestita adeguatamente dal sistema di raffinazione nazionale grazie alla forte diversificazione dei fornitori, avviata in tempi storici (Algeria, Libia, Iran, Russia) e continuata attivamente sino a oggi (es. Azerbajan, Qatar, USA, Canada).
  Nell'anno 2021, secondo il PNIEC, le importazioni italiane di greggio, di semilavorati e di prodotti petroliferi, pari a 71.977 tonnellate equivalenti di petrolio (ktep), sono aumentate complessivamente del 9,5 per cento rispetto al 2020. Le importazioni di greggio (57.025 ktep) sono cresciute del 13,2 per cento, mentre quelle di semilavorati e prodotti petroliferi (15.159 ktep) sono lievemente calate del 3 per cento. L'incremento ha interessato le importazioni provenienti da Africa (+61 per cento, da 13.511 ktep nel 2020 a 21.736 ktep nel 2021), Europa (+8 per cento, da 16.431 a 17794), Asia (+3 per cento, da 14.736 a 15.248). Uniche variazioni negative si sono registrate negli acquisti da Medio Oriente (-15 per cento, da 17.466 a 14.815) e America (-34 per cento da 3.845 a 2.531).
  Alla recente crisi relativa all'area del Canale di Suez il sistema di raffinazione italiano ha reagito prontamente e nel 2023 i greggi d'importazione transitanti nell'area del Golfo Persico, Mar Rosso e Canale di Suez sono stati circa il 17 per cento del totale greggi importati (10,3 Mton su 61,2). Tali quantitativi nei primi mesi del 2024 sono stati in molti casi rimpiazzati con provenienze da altre aree considerato che l'allungamento delle rotte, dovuto alle attività terroristiche degli Houthi, ha reso meno competitive tali forniture.

  Per quanto riguarda il settore elettrico, lo sviluppo delle rinnovabili richiederà il potenziamento delle interconnessioni elettriche con l'estero, sia sulla frontiera Nord che verso Sud, che consentiranno non solo di aumentare la sicurezza dei sistemi interconnessi, ma anche di promuovere l'efficienza e la concorrenza, con un maggior allineamento dei prezzi all'ingrosso. Con particolare riferimento ai Paesi del Nord Africa, allo stato attuale, sono in via di attuazione o valutazione diverse ipotesi di nuove interconnessioni elettriche sia pubbliche che private. Fra le interconnessioni pubbliche, il progetto in merito al quale è stato evidenziato l'attuale stato di avanzamento più elevato è il progetto Elmed o Tunita, incluso nel piano di sviluppo di Terna 2023, che Pag. 59 prevede un'interconnessione sottomarina tra due nuove stazioni di conversione, una a Partanna in Sicilia ed una nella Penisola di Capo Bon in Tunisia. Il progetto, che gode del sostegno istituzionale di Italia, Tunisia, Malta, Francia, Germania, Algeria e della Commissione europea, garantirà capacità di trasporto per 600 MW. L'investimento stimato ammonta a 850 milioni di euro e la data di entrata in esercizio stimata è il 2028.
  Il progetto costituirà il primo collegamento elettrico tra Italia e Nord Africa e ha ricevuto finanziamenti dalla Banca Mondiale, dalla Banca europea per gli investimenti e dall'Unione europea. L'opera è stata inclusa dalla Commissione europea nella lista dei progetti di interesse comune.
  Sono state ricordate, inoltre, alcune ipotesi di interconnessione elettrica di natura privata «Merchant line», come il progetto di interconnessione Italia-Algeria MedLink, che prevede la realizzazione di un cavo di trasmissione sottomarino da 4 GW che collega nuove aree di generazione rinnovabile situate in Tunisia e Algeria al Nord Italia. L'arrivo dell'energia dall'Africa renderebbe meno necessarie le importazioni attraverso le Alpi e dunque le interconnessioni esistenti si potrebbero usare in senso inverso, per inviare energia verso Austria e Germania. Il progetto MedLink include la realizzazione degli impianti di produzione in Nord Africa e, dunque, sarebbe finanziato principalmente con accordi di acquisto di energia a lungo termine.
  A livello istituzionale, infine, è stata ricordata l'attività di cooperazione con i Paesi africani, rafforzata con un programma di negoziazione di intese tecniche con Marocco, Repubblica Democratica del Congo, Angola, Kenya e Tunisia. Obiettivo di questi accordi è favorire l'avvio di progettualità nei settori energia, clima e ambiente, anche con il coinvolgimento delle eccellenze industriali nazionali, e incoraggiare e sostenere iniziative di supporto tecnico-specialistico per promuovere una transizione energetica basata su un approccio paritario e non predatorio con i Paesi africani nello spirito del Piano Mattei. Tra gli ambiti di cooperazione si segnala altresì che l'Italia è tra i Paesi fondatori del «Gas Forum del Mediterraneo Orientale», iniziativa nata su impulso dell'Egitto, che riunisce anche Grecia, Cipro, Israele, Giordania e Autorità Palestinese allo scopo di creare una piattaforma di cooperazione, che coinvolge anche il settore privato, su politiche comuni per l'utilizzo del gas e la ricerca di nuovi giacimenti, in vista della promozione di un mercato mutuamente vantaggioso e sicuro del gas nella regione, con ricadute potenziali anche oltre l'area dell'Est-Mediterraneo.

  Nella Carta di Venaria, il documento finale approvato nel G7 dei Ministri dell'ambiente e dell'energia tenutosi a Torino dal 28 al 30 aprile 2024, è stata ribadita l'importanza di favorire in Africa in primis l'accesso all'energia e le soluzioni tecnologiche per il clean cooking.
  I principali impegni adottati con la Carta di Venaria nel settore energetico e dedicati in particolare all'Africa sono i seguenti: la riduzione delle emissioni di metano nei Paesi terzi produttori di gas e petrolio; l'assicurazione di sostenibilità e sicurezza della filiera dei minerali critici, che è l'elemento importante che è stato valutato a livello di G7; il supporto dei Paesi in via di sviluppo per contribuire agli obiettivi globali di triplicazione delle rinnovabili e di raddoppio dell'efficienza Pag. 60 energetica al 2030 con l'installazione degli impianti nel deserto del Sahara dove ci sono gli spazi opportuni.
  I Ministri hanno convenuto, peraltro, di sostenere costantemente l'attuazione di partenariati e la costruzione di nuovi partenariati. Tra questi si segnala, in particolare, il Partenariato accelerato che riguarda le iniziative Africa – Unione europea, in merito al quale c'è un accordo in corso di implementazione.

5.1. Progetti di cooperazione con l'Africa

  Di seguito, si ripercorrono gli ambiti e i principali progetti di cooperazione nei quali l'Italia è impegnata assieme ai Paesi africani descritti nel PNIEC 2024:

  • Cooperazione per la realizzazione di una infrastruttura transfrontaliera per l'idrogeno: nel Piano REPowerEU del maggio 2022 la Commissione europea ha integrato l'attuazione della strategia dell'UE sull'idrogeno per aumentare ulteriormente le ambizioni europee per l'idrogeno rinnovabile come importante vettore energetico per allontanarsi dalle importazioni di combustibili fossili della Russia. L'ambizione è produrre 10 milioni di tonnellate e importare 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile nell'UE entro il 2030. Il SoutH2 Corridor (25), di cui l'Italian Hydrogen Backbone è parte integrante, ha presentato candidatura per il PCI (Project of Common Interest, cd. IPCEI) a novembre 2023. Ad aprile 2024, ciascuno dei tratti del corridoio di competenza italiana, austriaca e tedesca è stato incluso singolarmente nella sesta lista PCI della Commissione europea.
  Il progetto offrirà una significativa capacità di trasporto per l'idrogeno rinnovabile prodotto a costi competitivi nei Paesi del Nord Africa e in Sud Italia. La dorsale italiana sarà lunga circa 2.300 km ed utilizzerà principalmente le infrastrutture esistenti. Le ridondanze delle infrastrutture del gas lungo le rotte consentiranno di mantenere la sicurezza dell'approvvigionamento sia per il mercato del gas che per quello nascente dell'idrogeno. Il progetto aumenterà la diversificazione delle forniture per l'Europa creando una rotta specifica con i Paesi nordafricani dell'Area MED, in aggiunta ai corridoi, nord UE fornendo la via più breve al mercato per l'Europa centrale(26).

  • Cooperazione regionale in tema di interconnessioni elettriche: diverse iniziative mirano ad ampliare l'attuale capacità di interconnessione Pag. 61 tra l'Italia e i Paesi limitrofi con benefici per la gestione della crescente quota di produzione non programmabile. Per quanto di interesse, si richiama il già citato progetto Elmed o Tunita (incluso come Progetto di Interesse Reciproco – PIR – nella sesta lista dei PCI/PIR), che prevede un'interconnessione sottomarina con la Tunisia in corrente continua, che costituirebbe il primo collegamento elettrico tra Italia e Nord Africa e che consentirà di rafforzare e migliorare l'integrazione dei mercati dell'elettricità dell'UE e del Nord Africa.

  • Piano Mattei: l'attività di cooperazione in materia energetica si avvale dell'azione sinergica dell'iniziativa Piano Mattei per l'Africa promossa dal Governo italiano. In ambito energetico, l'obiettivo dell'iniziativa mira a rendere l'Italia un hub energetico del Mediterraneo con la funzione di ponte tra l'Africa e l'Europa, assicurando una maggiore sicurezza e diversificazione energetica. Gli interventi avranno al centro il nesso clima-energia e punteranno a rafforzare l'efficienza energetica e l'impiego di energie rinnovabili, nonché a ridurre le emissioni climalteranti di anidride carbonica e di metano nell'industria energetica; sono previste azioni volte ad accelerare la transizione dei sistemi elettrici, in particolare per la generazione elettrica da fonti rinnovabili e le infrastrutture di trasmissione e distribuzione. Il piano prevede, inoltre, lo sviluppo in loco di tecnologie applicate all'energia anche attraverso l'istituzione di centri di innovazione, dove le aziende italiane potranno selezionare start-up locali e sostenere così l'occupazione e la valorizzazione del capitale umano.

  Il Piano strutturale di bilancio 2025-2029 – recentemente presentato alle Camere dal Governo (Doc. CCXXXII, n. 1) – si pone come obiettivo la diversificazione e la sicurezza degli approvvigionamenti di energia. Si prevede il potenziamento degli investimenti, delle infrastrutture, delle relazioni e degli accordi di partenariato con i Paesi fornitori per fare dell'Italia un hub energetico europeo, corridoio di approvvigionamento delle fonti rinnovabili dell'area mediterranea.
  A tal fine, risulta particolarmente significativo il contributo del Piano Mattei per l'Africa, che contiene misure per supportare la transizione energetica nei Paesi africani, con ritorni positivi anche per l'economia nazionale. La parte più rilevante del Piano è quella relativa al settore dell'energia. Il Piano, come evidenzia il citato Documento del Governo, si integra in modo coerente con l'iniziativa dell'Unione europea, Global Gateway, il primo piano europeo infrastrutturale per aumentare la connettività del continente con il resto del mondo, in ambito energetico, nel settore dei trasporti e delle infrastrutture digitali.
  Quanto al potenziamento delle infrastrutture energetiche, l'Italia intende rafforzare la produzione di energia da fonti rinnovabili e le infrastrutture di trasmissione e di accumulo. In tale prospettiva, particolarmente rilevante è l'avvio a luglio 2024 del progetto di supporto tecnico A Roadmap to Connect Africa to Europe for Clean Energy Production, finanziato dalla DG Reform della Commissione europea che ha scelto la Banca Mondiale quale provider. Il progetto ha l'obiettivo di indicare le riforme e di produrre una stima del fabbisogno di investimenti in Italia e di collegamento con il Nord Africa per infrastrutture energetiche al fine di rendere il nostro Paese uno snodo Pag. 62 energetico europeo di energia rinnovabile prodotta in Africa. Nell'ambito del progetto, il cui termine è previsto nella seconda metà del 2025, verrà definito il fabbisogno di investimenti che saranno finanziati entro l'orizzonte del Piano.

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6. Sicurezza militare

6.1. Finalità dell'impiego dello strumento militare in Africa

  Dopo l'adesione all'Alleanza atlantica (1949) e la partecipazione al processo di fondazione delle Comunità europee (1957), la politica estera italiana anche nei confronti dei Paesi africani si è collocata all'interno degli indirizzi elaborati in tali organizzazioni, con margini di relativa autonomia nell'ambito dell'«area di influenza» costituita dalle ex colonie. Tuttavia i Governi italiani sono riusciti talvolta ad assumere iniziative indipendenti anche al di là di tale circoscritto ambito: il caso più noto è costituito dall'attività iniziata negli anni Cinquanta dall'Ente nazionale idrocarburi (ENI), sotto la presidenza di Enrico Mattei, per soddisfare le esigenze energetiche occorrenti per lo sviluppo economico nazionale attraverso l'approvvigionamento petrolifero mediante contratti direttamente stipulati con i Paesi produttori – in particolare gli Stati arabi dell'area mediterranea – in concorrenza con il cartello costituito dai grandi operatori internazionali anglo-americani e francesi (le cosiddette «sette sorelle»). Per guadagnare spazio all'ENI in un mercato dominato da un chiuso oligopolio, l'intuizione di Mattei fu quella di non limitarsi a versare ai Paesi produttori i diritti sul materiale estratto, ma anche di coinvolgerli nell'attività di produzione e consentire così ad essi di sviluppare la capacità di autonomo sfruttamento delle proprie risorse.
  Entrare oggi nei Paesi africani, anche per la pesante eredità del colonialismo, è molto problematico e laborioso, mentre risulta estremamente facile uscirne. In Niger l'Italia mantiene le attività di cooperazione militare anche dopo il colpo di Stato del luglio 2023, guardando con attenzione alla prospettiva che la cintura saheliana si possa trasformare in uno strumento ibrido puntato verso l'Italia e l'Europa. In Libia, l'Italia è rimasta nonostante la richiesta libica di lasciare l'ospedale da campo a Misurata (18 gennaio 2022), con la possibilità di un effetto dirompente sugli interessi nazionali, sull'attività e sulla presenza nel Paese. L'Italia continua oggi ad essere saldamente a Tripoli e a Misurata con nuove iniziative di cooperazione bilaterale, oltre che di dialogo e apertura con la compagine turca ivi presente.
  Nel corso delle audizioni è stato peraltro sottolineato come, laddove l'Italia e la comunità internazionale sono stati in grado di stipulare accordi per una missione di stabilizzazione e di cooperazione, occorra essere perseveranti nel portarli avanti, ragionare in una prospettiva di lungo periodo, perché, al contrario uscire da un Paese vorrebbe dire relegarsi all'irrilevanza politica per lungo tempo in quell'area e perdere la possibilità di influire e, comunque, di perseguire gli interessi nazionali e delle stesse popolazioni locali.
  L'Italia non può e non deve sostituirsi alle leadership africane, che dovranno trovare da sole la via verso la modernità e un sistema più efficace di redistribuzione delle risorse, mantenendo la giusta distanza dai loro affari interni e lasciare a loro la responsabilità di risolvere questi problemi strutturali.
  Al contrario, è importante lavorare per farsi portatori di nuovi modelli di cooperazione militare e sviluppo economico basati su interessi reciproci, sul trasferimento di tecnologie e sulla distribuzione Pag. 64 equilibrata della ricchezza, al fine di collegare strettamente questi Paesi all'Italia. È una richiesta pressante che proviene dai Paesi del Nord Africa, come da quelli a Sud del Sahara, con i quali l'Italia coltiva tali relazioni. A questo riguardo, particolare rilevanza strategica potrà assumere l'iniziativa del Governo di varare il cosiddetto Piano Mattei, proponendo una strategia di cooperazione su basi nuove e paritetiche, che ha quale obiettivo un modello di sviluppo condiviso.
  Secondo questa nuova configurazione delle relazioni internazionali, l'utilizzo dello strumento militare risponde anzitutto ad esigenze di difesa e, più in generale, di sicurezza esterna, il cui tradizionale contenuto – riguardante la prevenzione di minacce esterne all'integrità territoriale, all'indipendenza politica e alla stabilità interna – si è esteso negli ultimi anni al contenimento e all'ordinata gestione della pressione migratoria incontrollata proveniente da Paesi di origine o di transito anche collocati a breve distanza dall'Italia.
  A questo riguardo, in numerose audizioni è stato rilevato come, nell'anno in corso, il controllo dei flussi di migranti irregolari sia stato conseguito mediante accordi stipulati tra il Governo italiano e le autorità dei Paesi del Nord Africa, soprattutto la Libia, luogo di partenza della maggior parte dei migranti diretti via mare verso il territorio nazionale.
  Certamente nelle attuali relazioni con i Paesi africani rimane in primo piano anche il conseguimento di interessi economici e commerciali che concernono, come visto in precedenza, sia l'approvvigionamento delle materie prime delle quali è ricco il continente africano, che la realizzazione di importanti opere infrastrutturali di rilevanza strategica. In tale contesto, è tuttora fondamentale l'azione delle aziende italiane partecipate dallo Stato. Tra esse vanno ricordate, in particolare, l'ENI, nel settore energetico, e la società Webuild, nel settore delle costruzioni, la quale ha realizzato opere di primaria importanza, come la diga Grand Ethiopian Renaissance Dam in Etiopia.
  L'instaurazione di accordi commerciali vantaggiosi per entrambe le parti secondo un modello cosiddetto win win determina, infine, anche un'influenza politica su tali Stati che, nella situazione attuale, consente di arginare l'espansione di altri attori stranieri che hanno affermato la loro presenza nel continente africano, come Russia e Cina.
  L'effettivo sviluppo di tali accordi necessita, tuttavia, di un quadro di sicurezza idoneo a garantire alle nostre imprese la concreta possibilità di operare in condizioni adeguate.

6.2. Le missioni militari italiane in Africa (27)

  L'Assemblea della Camera, l'8 maggio 2024, ha approvato la risoluzione sulla delibera del Consiglio dei Ministri del 26 febbraio 2024 concernente la Relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita all'anno 2023, anche al fine della relativa proroga per l'anno 2024 (Doc. XXVI, n. 2) e l'avvio di tre nuove missioni internazionali per il 2024 (Doc. XXV, Pag. 65 n. 2). Il 14 maggio 2024 la Commissione affari esteri e difesa del Senato ha approvato un'analoga risoluzione.
  Allo stato, pertanto, risultano operative in Africa nell'anno 2024: cinque missioni bilaterali di assistenza, cooperazione e addestramento di personale degli Stati africani (Libia, Tunisia, Niger, Somalia, Gibuti, Mozambico, Burkina Faso); due missioni promosse dalle Nazioni Unite (Libia e Sahara occidentale); sei missioni finanziate dall'Unione europea (EUTM Somalia, EUTM Mozambico, EUMPM Niger, EUBAM Libia, EUNAVFOR ASPIDES e EUNAVFOR ATALANTA), due dispositivi nazionali per la sorveglianza nel Mar Mediterraneo e nel Golfo di Guinea; una missione su iniziativa multilaterale di singoli Stati (EMASOH Agenor).
  In particolare, si ricorda che nell'area nordafricana l'impegno delle Forze armate vede nella missione bilaterale MIASIT, in Libia, uno dei suoi cardini che, affiancata all'operazione EUNAVFORMED IRINI, garantisce l'erogazione di attività di formazione, addestramento, consulenza e supporto a favore delle forze di sicurezza, della Guardia costiera libica e delle istituzioni libiche. In tale contesto, anche l'operazione della Marina Militare «Mare sicuro», recentemente evoluta in «Mediterraneo sicuro», assicura anche, tra i suoi vari compiti, supporto e addestramento alla Marina libica tramite una propria unità ormeggiata presso il porto di Abu Sittah.
  Nel Corno d'Africa, invece, l'Italia è presente in Somalia con una European Union Training Mission (EUTM), per la quale esprime anche il Force Commander, e una European Union Capacity Building Mission (EUCAP9), con lo scopo di supportare le forze nazionali somale a sviluppare le capacità necessarie alla gestione autonoma della sicurezza nel Paese.
  Nella regione, lo sforzo nazionale si estende anche a EUNAVFOR Atalanta, operazione europea che, tra gli altri, svolge l'importante compito di prevenire e reprimere la pirateria e i traffici illeciti, e alla MIADIT, che si dedica specificatamente all'addestramento e alla formazione di personale delle forze di polizia somale e gibutiane.
  Dal costante confronto tra il Ministero della difesa e le autorità locali, in particolare di Gibuti, Somalia ed Etiopia, sono scaturite altre proposte operative per migliorare e rendere più robusta la nostra offerta di cooperazione con quei Paesi.
  Si ricorda, inoltre, la presenza nel Mar Rosso del cacciatorpediniere Caio Duilio che, nel ruolo di guida dell'Operazione EUNAVFOR Aspides, ospita a bordo il comandante italiano dell'operazione. La nave, dedita al controllo e alla protezione del traffico mercantile attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb, garantisce lo scambio informativo e attività di coordinamento con le operazioni aeronavali già presenti nell'area, tra cui Prosperity Guardian, Atalanta ed Emasoh.
  Nel quadrante considerato, un ruolo rilevante è inoltre svolto dalla Base militare italiana di supporto a Gibuti (BMIS), che fornisce il sostegno logistico alle operazioni militari nell'area del Corno d'Africa, Golfo di Aden e Oceano Indiano. La base ospita anche la missione MIADIT Somalia, destinata all'addestramento dei soldati dell'esercito somalo.
  Nel Sahel, invece, le Forze armate italiane operano prioritariamente in Niger, attraverso la missione bilaterale di supporto al Paese Pag. 66 (MISIN), svolgendo l'attività di formazione, addestramento, consulenza, assistenza e supporto a favore delle forze di sicurezza e delle istituzioni governative nigerine.
  In Mozambico la Difesa partecipa all'EUTM Mozambico, schierata dall'Unione europea con lo scopo di sostenere lo sviluppo delle capacità delle Forze armate mozambicane. In aggiunta, la Marina militare, con cadenza periodica, svolge attività di cooperazione con la propria controparte, anche in chiave di rassicurazione per le attività del comparto energetico nazionale.
  Infine, nel Golfo di Guinea, ritenuto un hub strategico per la presenza dei nostri interessi energetici estrattivi, proseguono le attività di cooperazione con i Paesi costieri tramite l'impiego del dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza inquadrato nell'operazione Gabinia. Al quadro complessivo tracciato fino ad ora vanno aggiunte anche le attività condotte dall'Arma dei Carabinieri a supporto di talune forze di polizia africane, tra le quali quelle ruandesi.

6.3. Prospettive di evoluzione dell'impegno militare in Africa

  Nelle audizioni svolte i rappresentanti del Governo e le autorità militari hanno evidenziato l'importanza di improntare l'azione italiana in Africa al principio della sicurezza cooperativa, cioè alla costruzione di relazioni che comprendano e soddisfino le reali esigenze dei Paesi partner, senza interferire in affari interni e senza volersi sostituire alle leadership africane. In particolare, è stata ampiamente sottolineata l'importanza di una riflessione su come sviluppare un approccio maggiormente strutturato e, soprattutto, più diffuso, in cui resta imprescindibile, anche considerata l'ampiezza dei bisogni dei Paesi africani, uno stretto coordinamento con l'Unione europea.
  Un altro passaggio essenziale che è stato evidenziato è quello di rendere sempre più accettabile ai partner africani la nostra offerta di sostegno strategico e i suoi contenuti, con: la non interferenza negli affari interni; l'assenza di condizionamenti di carattere strategico ed economico; il pieno sostegno alle attività di capacity building istituzionali anche a livello economico e sociale; l'aiuto alle popolazioni locali; l'affidabilità nel mantenimento degli impegni di cooperazione. A quest'ultimo riguardo, l'Italia non può più permettersi atteggiamenti di discontinuità, come avvenuto in passato, che hanno avuto ripercussioni pesantissime sulle relazioni con i Paesi del Golfo e che oggi vedono il Paese in prima linea ad affrontare la minaccia delle milizie Houthi, da loro combattute pochi anni or sono.
  Tale innovativa impostazione segna una svolta sia rispetto alla politica coloniale sia rispetto alle modalità con cui altri Stati hanno intrapreso relazioni con i Paesi africani. È stato ricordato, ad esempio, che alcuni Governi africani, come quello del Niger, hanno allontanato la presenza di stranieri che venivano percepiti come usurpatori, mentre hanno richiesto l'aiuto delle forze militari italiane per addestrare il proprio personale. In generale, in tutto il continente africano l'Italia ha mantenuto una rete che, nonostante la pesante penetrazione russa e cinese, comunque sussiste tuttora.
  In tale quadro, il concetto di sicurezza non è legato alla sola dimensione militare ma deve essere inteso in senso multidisciplinare, Pag. 67 intergovernativo e trasnazionale. Le finalità della presenza militare, cioè, convivono e si rafforzano l'una con l'altra: in tal senso l'addestramento militare delle missioni bilaterali, ad esempio, consente di instaurare buone relazioni commerciali e di esercitare anche un'influenza politica che consenta di limitare la presenza degli attori statali esteri.
  Sul piano della concretezza della strategia militare italiana il Comitato invita ad intensificare la cooperazione bilaterale e ad allocare le risorse attraverso gli strumenti previsti dal codice dell'ordinamento militare, che consentono al Ministero della difesa di finanziare attività di formazione, addestramento e forniture di materiali non letali. Spesso si tratta di interventi di modesta entità finanziaria, ma che possono fare la differenza e attenuare quella forte asimmetria operativa che sussiste con Russia, Iran, Cina e altri attori regionali e che li vede liberi di poter operare dalle forniture di armamenti letali agli attacchi cyber, alle politiche di disinformazione, in totale deroga alle norme internazionali sulla non proliferazione e non ingerenza nella vita di relazione degli Stati.
  L'Africa presenta sfide di grande portata e la politica militare è uno strumento prezioso. Nel corso delle audizioni è stata altresì rilevata la necessità di investire maggiori risorse per affrontare la competizione globale nell'area. A tale riguardo, l'Italia dovrebbe aumentare la sua presenza e la sua attività in Africa. Proprio la parola «presenza» significa che la NATO, l'Unione europea, così come le Organizzazioni internazionali come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, dovrebbero superare l'attuale approccio frammentato attraverso l'attuazione di una strategia combinata a livello politico, economico, sociale e strategico.
  Gli auditi hanno evidenziato la necessità di agire all'interno di un'azione comune con l'Unione europea e la NATO, proponendo la nomina di un inviato speciale e l'istituzione di una missione NATO permanente, come avvenuto per l'Iraq. Durante il vertice della NATO tenutosi a Washington dal 9 all'11 luglio 2024, in occasione del 75° anniversario della NATO, è stato nominato il rappresentante speciale dell'Alleanza per i rapporti con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, Javier Colomina.
  In particolare, in relazione all'azione dell'Alleanza Atlantica, è stata rilevata la difficoltà di elaborare una visione di lungo periodo che tenga conto della priorità rappresentata dal fianco Sud dell'Alleanza. Dopo l'aggressione dell'Ucraina da parte della Russia, l'attenzione è sembrata rivolgersi particolarmente su tale conflitto e quindi sulla sicurezza del confine europeo orientale, attribuendo minor rilevanza alle questioni legate ai rapporti con i Paesi del Nord Africa al punto che tutti i membri dell'Alleanza hanno ritirato le loro truppe dal continente africano. Tale visione, tuttavia, finisce per trascurare il fatto che, in tal modo, viene lasciata maggior libertà di manovra proprio ad attori statali non alleati, in specie alla Russia, nel sostenere i Paesi africani aprendo la strada anche al reclutamento di nuove leve che in futuro potrebbero rafforzare eserciti contrapposti.
  Occorre, inoltre, considerare gli impatti diretti della guerra in Ucraina sulla stabilità del Mediterraneo e dell'Africa. Una conclusione delle ostilità che non dovesse essere improntata ad una pace equa, ma Pag. 68 dovesse vedere la prevalenza della Russia e dei suoi alleati, avrebbe un immediato contraccolpo politico e psicologico sui fenomeni e le aree di instabilità fra le due sponde del Mediterraneo e in Africa. Il rischio sarebbe un effetto a catena sull'influenza occidentale in queste aree, simile a quello che si osserva nel Sahel e che vede già toccati anche Paesi decisivi negli equilibri continentali come il Sudafrica, divenuto polo di attrazione cruciale nell'universo BRICS, che peraltro ha assunto una posizione di condanna immediata della reazione israeliana nella Striscia di Gaza, denunciandone l'operato alla Corte penale internazionale. In tale scenario, va inquadrata la visione strategica e operativa italiana, che si concentra sulla stabilità e sul rafforzamento della cooperazione con l'altro gigante dell'Africa, la Nigeria, che deve rappresentare una massima priorità alla luce dei forti legami di interdipendenza già esistenti con l'Italia.
  In riferimento all'accordo stipulato nel 2014 dai Paesi della NATO, secondo il quale i Paesi aderenti dovrebbero incrementare le proprie spese per la difesa fino all'obiettivo del 2 per cento del PIL, è stata sottolineata l'opportunità di interpretarlo in modo da tener conto delle specificità di ogni Paese nello sviluppo dell'industria bellica. Al riguardo, alcuni auditi, nel riconoscere l'importanza di prevedere un impegno dei Paesi aderenti alla NATO adeguato a potersi confrontare con le grandi potenze che competono per la spartizione dell'Africa, hanno ribadito l'opportunità di modificare il vigente quadro normativo europeo, al fine di poter scomputare dal livello del rapporto deficit/PIL rilevante ai fini del rispetto degli obiettivi europei di finanza pubblica, le spese per gli investimenti militari.

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7. Sicurezza alimentare

  Il tema della sicurezza alimentare si è progressivamente affermato quale priorità geopolitica di rilievo mondiale, in particolare in seguito a shock globali quali la pandemia da COVID-19, i perduranti conflitti interni, la guerra in Ucraina, l'escalation della violenza contro i civili in molti Paesi del continente e gli innumerevoli eventi climatici estremi che si sono verificati come manifestazioni sempre più evidenti dell'impatto del riscaldamento globale. Il deterioramento della sicurezza alimentare derivante dall'azione combinata di tali fattori ha condizionato in maniera decisiva l'inserimento del continente africano nell'agenda politica del nostro Paese, in considerazione della crescita demografica attuale e attesa, che inciderà in modo rilevante sugli equilibri politici e sociali globali. Si tratta di fattori, strettamente interconnessi, che continuano ad acutizzare la fragilità dei sistemi alimentari, l'emarginazione rurale, la debolezza della governance e le disuguaglianze nel continente, provocando anche massicci spostamenti di popolazioni a livello globale.
  Nel corso delle audizioni svolte è stato evidenziato, infatti, che la Russia e l'Ucraina, produttori di grano a basso costo, realizzano circa il 30 per cento delle esportazioni globali di grano verso Paesi a basso e medio reddito del Medio Oriente, del Nord Africa, dell'Asia meridionale e dell'Africa sub-sahariana, che da quei prodotti dipendono per soddisfare il fabbisogno alimentare nazionale. Il conflitto ha evidenziato, dunque, che la guerra tra Russia e Ucraina è anche una guerra agricola, che potrebbe minare la stabilità politica dei Paesi africani e mediorientali maggiormente dipendenti dal grano ucraino.
  In proposito, sono estremamente significativi ed allarmanti i dati riportati nell'ultimo Rapporto globale sulle crisi alimentari (Global Report on Food Crises, GRFC)(28), secondo il quale, nel 2023, quasi 282 milioni di persone in cinquantanove Paesi e territori hanno sofferto livelli elevati di fame acuta, con un aumento a livello mondiale di 24 milioni rispetto all'anno precedente. Nel 2023, per più di 705.000 persone si sono registrati livelli di «catastrofe» di insicurezza alimentare e rischio di morte a causa della fame: si tratta del numero più alto riportato nei Rapporti globali sulle crisi alimentari, che dal 2016 è quadruplicato. Tra le popolazioni che affrontano una carestia imminente, l'80 per cento si trova nella Striscia di Gaza, in Sud Sudan, in Burkina Faso, in Somalia e in Mali. Analizzando i dati in visione prospettica, il Rapporto stimava che entro luglio 2024, nella sola Striscia di Gaza si sarebbero trovati a livelli di catastrofe circa 1,1 milioni di persone e nel solo Sud Sudan 79.000 persone, portando il numero totale di persone a livello di catastrofe alimentare a quasi 1,3 milioni.
  Per tali motivi, quanto avviene nel continente africano suscita crescente attenzione nel nostro Paese, anche in considerazione del Pag. 70 fatto che le spinte migratorie verso le coste italiane continuano a provenire in larga parte da tale area(29).
  In termini di diplomazia alimentare, l'Italia negli ultimi anni ha notevolmente investito sulla sua azione internazionale, non solo con la creazione di una figura dedicata, un diplomatico di carriera con rango di Ambasciatore, che è l'Inviato Speciale per la sicurezza alimentare, ma mettendo anche in stretta connessione la sicurezza alimentare con la diplomazia climatica e inquadrando nell'Africa il continente di azione prioritaria per l'azione esterna italiana in questi ambiti.
  L'Italia non guarda all'Africa solo con strumenti diplomatici, né solo in termini di Paesi d'origine per i flussi migratori, ma in una prospettiva complessa e articolata, attraverso i richiamati pilastri di cooperazione e sviluppo congiunto. Di questi, almeno due – agricoltura e acqua – riguardano direttamente la sicurezza alimentare del continente africano.
  Come rilevato nel corso delle numerose audizioni svolte dal Comitato, l'Italia e l'Europa, in particolare, in un'ottica di riconsiderazione della politica di approvvigionamento, devono puntare sulla diversificazione della produzione: si rivela di prioritaria importanza la diversificazione dei fornitori di materie prime strategiche, incluse quelle del settore agroalimentare, facendo il possibile per non consentire ad alcun Paese di chiudere le linee di rifornimento, in particolare quelle relative alle materie prime strategiche e a quelle agroalimentari, oltre che quelle destinate alla conversione ecologica e digitale.

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  Nella cartina sottostante, tratta dal citato Rapporto globale sulle crisi alimentari, sono evidenziati i Paesi che, a vario titolo, hanno richiesto assistenza alimentare e/o affrontato shock dovuti a conflitti, a eventi climatici estremi o hanno affrontato shock economici, ricevuto un rilevante afflusso di rifugiati o subito processi di sfollamento.

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  Il citato Rapporto analizza anche la situazione dei Paesi africani, suddivisi per aree geografiche, in condizioni di grave insicurezza alimentare. In particolare, la seguente cartina descrive la situazione in Africa centrale e meridionale.

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  La cartina seguente descrive la situazione dei Paesi in condizioni di grave insicurezza alimentare in Africa orientale.

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  La cartina seguente descrive la situazione dei Paesi in condizioni di grave insicurezza alimentare in Africa occidentale e nel Sahel.

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  La cartina seguente descrive la situazione dei Paesi in condizioni di grave insicurezza alimentare in Nord Africa, che viene rappresentata unitamente alla situazione in Medio Oriente.

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  Il Rapporto, inoltre, contiene un apposito focus sul conflitto in Sudan, dove pesanti combattimenti tra le forze armate sudanesi (SAF) e le Forze di sostegno rapido (RSF), dal mese di aprile 2023 hanno provocato devastanti conseguenze anche nei Paesi vicini (la Repubblica Centrafricana, il Ciad, l'Etiopia e il Sud Sudan), con gravi ripercussioni umanitarie, dovute allo sfollamento di milioni di persone e ai conseguenti gravi problemi di accesso al cibo. Secondo quanto riportato nel focus, in Sudan è in corso la più grave crisi alimentare dell'Africa orientale. Tra i mesi di giugno e settembre 2023, per circa 20,3 milioni di persone, pari al 42 per cento della popolazione totale, si è registrato un livello di insicurezza alimentare molto elevato, in quanto il conflitto ha fortemente limitato l'accesso a terreni coltivati, il movimento del bestiame e le attività stagionali, rendendo estremamente difficile per le famiglie l'accaparramento del cibo necessario.
  Nella seguente cartina viene riportato il numero di persone sfollate tra aprile 2023 e febbraio 2024 in quell'area del continente.

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  Nel corso di alcune audizioni è stato ricordato come il sostegno di cui il continente necessita debba essere finalizzato ad avviare processi di sviluppo in grado di garantire l'autosufficienza alimentare e, al contempo, generare capacità economica mediante la valorizzazione dei prodotti locali. A tal fine, occorre poter utilizzare adeguate tecnologie e una formazione specializzata.
  In un'ottica di valorizzazione del ruolo della ricerca in agricoltura, è stato sottolineato il ruolo del CREA (Consiglio per la ricerca e l'analisi dell'economia agraria), ente di ricerca vigilato dal Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF), che svolge importanti attività di ricerca e di formazione in numerosi Paesi del continente africano, tra i quali l'Algeria, l'Egitto, il Marocco, la Tunisia, l'Etiopia, il Ghana, il Kenya, il Senegal e il Sud Africa.
  In particolare, tra le strategie fondamentali e innovative su cui si sono sviluppate le attività di ricerca, sono state ricordate le seguenti: il miglioramento genetico delle colture per rendere le stesse maggiormente resilienti; l'utilizzo di tecniche innovative che minimizzino l'utilizzo dell'acqua; lo sviluppo di modelli di agricoltura conservativa e rigenerativa che migliorino la sostenibilità delle produzioni; l'utilizzo di agromeccanica di precisione, intelligenza artificiale, sensoristica avanzata e meccatronica per migliorare lo sviluppo integrato e sostenibile del sistema agroalimentare. Ad esempio, in Marocco e in Egitto è stato realizzato un prototipo di macchina agricola in grado di costituire micro-bacini sotterranei per trattenere l'acqua piovana di infiltrazione.
  Proprio a conferma della strategicità del continente africano a livello globale sul piano della sicurezza alimentare, è stato evidenziato Pag. 77 come il già citato Piano Mattei punti, tra l'altro, ad aumentare la sicurezza alimentare dei Paesi africani, contribuendo alla diminuzione dei tassi di denutrizione e malnutrizione attraverso lo sviluppo rurale e la valorizzazione delle produzioni locali.
  L'agricoltura costituisce una delle sei direttrici d'intervento in cui si sviluppa il Piano. In particolare, si fa riferimento allo sviluppo di modelli imprenditoriali locali in partenariato con aziende italiane dotate di conoscenze e tecnologie all'avanguardia, alla creazione di filiere e catene di approvvigionamento sicure e certificate, alla diffusione di tecniche agricole sostenibili che possano rafforzare la resilienza del comparto e contrastare la siccità e i cambiamenti climatici. Il Piano contiene, inoltre, le direttive per il rafforzamento di attività di cooperazione nel settore della ricerca e dell'innovazione in agricoltura con il coinvolgimento dei principali operatori italiani, dei centri di ricerca e delle Università anche per contrastare fenomeni di deforestazione, depauperamento della fertilità dei terreni e sprechi di acqua. La ricerca e l'innovazione sono poi integrate da azioni di trasferimento della conoscenza e dalla promozione di attività formative e di scambio di buone prassi.
  Sono stati ricordati, inoltre, alcuni progetti pilota avviati in attuazione del Piano, tra i quali interventi in Algeria, Costa d'Avorio, Kenya, Mozambico e Tunisia. In particolare, sono stati promossi i seguenti progetti: in Algeria, un progetto per il recupero di terreni semi-aridi per la produzione agricola e la creazione di un Centro di formazione professionale a vocazione regionale; in Costa d'Avorio, un progetto pilota che mira al rafforzamento delle filiere agricole per la produzione destinata al consumo interno; in Kenya, un progetto volto all'ampliamento della produzione e della raffinazione di biocarburanti avanzati e un programma dedicato alla prevenzione/trattamento delle aflatossine (micotossine che infettano cereali e frutta secca); in Mozambico, un'attività per l'istituzione di un polo agroalimentare nella provincia di Manica, che sarà strumentale alla valorizzazione qualitativa e commerciale della produzione agricola locale attraverso un approccio di filiera. In Tunisia sono stati avviati: un progetto che mira al miglioramento della sicurezza alimentare, attraverso il recupero e la distribuzione di acque non convenzionali, la rivitalizzazione delle colture colpite da siccità tramite la meccanizzazione e l'introduzione di tecniche colturali innovative, nonché la creazione di un Centro multifunzionale integrato per la facilitazione di trasferimenti tecnologici tra le filiere agricole italiane e quelle tunisine; un progetto pilota di formazione professionale rivolto a lavoratori tunisini del settore agricolo che, una volta formati, verranno assunti presso aziende agricole italiane, con il coinvolgimento di Confagricoltura come soggetto esecutore.
  Sono stati ricordati, infine, gli interventi infrastrutturali che, sebbene non direttamente collegati al settore agricolo, potranno avere un impatto positivo per la filiera agroalimentare. Tra questi va menzionato il progetto denominato «Corridoio di Lobito», che prevede la realizzazione del sistema infrastrutturale che collegherà l'Angola allo Zambia, attraverso la Repubblica Democratica del Congo, consentendo una riduzione dei costi e dell'impatto climatico per il trasporto di minerali e di prodotti agricoli dalle regioni interne. Tale iniziativa dell'Unione europea richiede investimenti che coinvolgeranno il settore privato e Pag. 78 sarà supportata dall'Italia e da altri Paesi come gli Stati Uniti, dalla Banca Africana di Sviluppo (AfDB) e dall'African Finance Corporation (AFC).

7.1. Partecipazione del Comitato ai lavori per il «Forum per l'Africa» nell'ambito della riunione dei Ministri dell'agricoltura dei Paesi G7

  Il 26 e il 27 settembre 2024, una delegazione del Comitato ha partecipato ai lavori per il «Forum per l'Africa» nell'ambito della riunione dei Ministri dell'agricoltura dei Paesi G7 tenutasi a Siracusa. La situazione dei sistemi alimentari del continente africano è stata al centro dell'attenzione delle discussioni. Le principali tematiche oggetto del Forum sono state la cooperazione tra il Nord e il Sud e un focus sul continente africano, costretto a importare 60 milioni di dollari di cibo all'anno, nonostante si consideri che esso abbia il più grande potenziale di sviluppo agricolo mondiale. In quell'occasione, dodici Ministri dell'agricoltura di altrettanti Paesi africani (Angola, Senegal, Costa D'Avorio, Uganda, Etiopia, Algeria, Sudafrica, Egitto, Kenya, Tunisia, Mauritania e Sudafrica) si sono confrontati con gli omologhi dei Paesi del G7, con il Viceministro per gli affari esteri italiano, con i Commissari per l'agricoltura dell'Unione europea e dell'Unione africana e con gli Alti rappresentanti di FAO, IFAD, WFP, OCSE e CGIAR. Tutti gli interventi hanno seguito una direttrice comune, ossia la necessità di promuovere e sviluppare forme di cooperazione tra tutti i Paesi del G7 e i Paesi dell'Unione africana, al fine di potenziare lo sviluppo agricolo in Africa, puntando sui principali elementi di forza: la popolazione per la maggior parte giovanile e l'alta percentuale di terreni coltivabili del continente, che ammontano a circa il 65 per cento.
  In tutti gli interventi svolti è stato sottolineato come il raggiungimento di tali obiettivi sia possibile solo grazie alla cooperazione con i Paesi economicamente più avanzati, che a loro volta mettono a disposizione tecnologie, innovazione e capitale umano per la formazione; occorrono, quindi, partenariati con i Paesi del G7, finalizzati al miglioramento delle strategie agricole in una molteplicità di settori, da quello dei fertilizzanti sostenibili al rafforzamento delle filiere sulle sementi, ai vaccini per gli animali, alla promozione di una migliore meccanizzazione e irrigazione dell'agricoltura, alla conversione o revisione del debito dei Paesi africani, tenuto conto delle gravi carenze nella gestione idrica di quei territori. Innovazione e tecnologia risultano fondamentali, inoltre, anche per consentire un migliore adattamento ai cambiamenti climatici. I rappresentanti di alcuni Paesi del G7, a tale proposito, hanno evidenziato gli esempi proficui e virtuosi e le best practices che potrebbero essere utili anche in Africa, come il finanziamento e il sostegno a piccole imprese agricole e il collegamento rafforzato con il settore privato, l'investimento nella formazione e il coinvolgimento delle giovani generazioni, lo sviluppo di sistemi di certificazione, un uso strategico della finanza pianificata, sistemi di allerta precoci e assicurazioni contro i rischi climatici, investimenti nelle cooperative agricole. Pag. 79
  I lavori del Forum sono stati articolati in tre sessioni, incentrate sul processo di sviluppo dell'agenda post-Malabo(30) e sulla sua attuazione oltre il 2025, sugli investimenti nel settore agricolo in Africa e sul rafforzamento della cooperazione tra il G7 e l'Africa nel settore agricolo. La necessità di soluzioni per affrontare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità è stata ribadita da tutti Ministri, che hanno riconosciuto gli sforzi e l'impegno di agricoltori e pescatori per mitigare il cambiamento climatico e adattarsi ai suoi effetti e si sono impegnati per rafforzare le politiche finalizzate a un'equa distribuzione del valore all'interno delle filiere agricole e dei sistemi alimentari.
  Il comunicato adottato a conclusione dei lavori della Presidenza italiana comprende, tra i vari punti, proprio un contributo del G7 allo sviluppo dell'agricoltura e dei sistemi alimentari in Africa, con la promozione – tramite un approccio alla cooperazione non predatorio, ma anche non caritativo, in una logica di pari opportunità per gli attori pubblici e privati dei progetti – sia di accordi bilaterali con i Paesi dell'Africa per accrescere la produttività agricola di tali Paesi, sia di accordi multilaterali , rinegoziando anche i tassi di interesse sul debito estero e aprendo a investimenti esteri privati, per il necessario apporto di innovazioni indispensabili a rendere l'agricoltura più resiliente al clima. L'impegno sottoscritto è finalizzato, quindi, a perseguire un sistema commerciale multilaterale basato su regole, libero e giusto, equo e trasparente, nonché a rafforzare ulteriormente la cooperazione con i Paesi africani e le organizzazioni africane, facendo leva sulle rispettive sinergie, collaborando per migliorare la resilienza alla variabilità climatica e promuovendo la diversificazione delle produzioni, la valorizzazione delle filiere agricole e il trasferimento di conoscenze e buone pratiche. Alcuni Paesi africani hanno posto condizioni chiare sull'accesso alla cooperazione internazionale che avrà come partner imprese agricole e industriali europee, americane e giapponesi: revisione dei tassi di interesse sul debito estero, accordi di tipo multilaterale, con il protagonismo delle principali organizzazioni internazionali e senza l'egemonia di singoli Paesi.
  In tutti gli interventi è stato evidenziato che, per consentire al mondo di raggiungere l'autosufficienza alimentare, occorre innanzitutto aiutare l'Africa, continente che, come già detto, ha immense potenzialità agroalimentari per terre arabili, varietà di condizioni microclimatiche, colture praticabili e una popolazione in larga prevalenza giovane, ma è attanagliato da molteplici problemi: debito estero, carenza di tecnologie avanzate ed appropriate per produrre e conservare le derrate agricole, siccità e impoverimento dei suoli, fattori, questi ultimi, peggiorati dal cambiamento climatico.
  La sfida è anche quella di ridefinire le priorità della politica agricola dell'Unione africana, che sono state esplicitate nella Dichiarazione di Kampala in occasione del summit dell'Unione africana che Pag. 80 si è svolto nel mese di gennaio 2025, in cui sono stati delineati gli obiettivi e la strategia dei prossimi dieci anni, con l'obiettivo di rendere l'agricoltura africana resiliente al clima e sostenibile sul piano ambientale, anche grazie alle pratiche dell'agroecologia.

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8. Conclusioni

  Con la presente relazione il Comitato ha inteso offrire al Parlamento uno strumento di sintesi delle principali sfide che attendono l'Italia rispetto all'approccio alle questioni relative al continente africano nelle sue molteplici sfaccettature e differenze.
  Un approccio integrato tra le diverse politiche, paritario e non predatorio, emerge del resto dalla centralità che il tema dell'Africa riveste anche nelle conclusioni del vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7 di Borgo Egnazia, nonché nel metodo usato dal cosiddetto Piano Mattei varato dall'Italia.
  Tale approccio, per essere efficace, non può peraltro prescindere dall'esaminare, come si è cercato di fare nella relazione, le cause profonde dell'attuale situazione in cui versa il continente africano e che affondano le loro radici in ragioni di carattere storico, acuite dai cambiamenti climatici, dalle condizioni di estrema povertà, dalle crisi alimentari, dallo spesso carente accesso all'acqua potabile, nonché da fattori quali l'instabilità politica, la presenza di regimi non democratici e spesso connotati da alti tassi di corruzione, le forti diseguaglianze sociali, il terrorismo, la penetrazione di potenze autoritarie, tutti aspetti tra loro intimamente legati.
  Una prospettiva di tal genere risulta peraltro indispensabile per garantire una maggiore stabilità e una conseguente maggiore sicurezza dei Paesi africani, che si riflette in maniera sempre più diretta sulla sicurezza dei Paesi europei, in primo luogo dell'Italia.
  Dall'analisi condotta dal Comitato emerge chiaramente come le diverse tematiche affrontate siano strettamente intrecciate al tema della sicurezza nazionale italiana ed europea, non solo negli ambiti di più immediata percezione quali quello della lotta al terrorismo, quello militare e quello della sicurezza energetica, ma anche in settori quali il partenariato finanziario e la sicurezza alimentare.
  Il Comitato richiama l'attenzione sulla necessità di una maggiore consapevolezza sulle conseguenze di una significativa presenza nel continente africano di attori statali, in particolare la Russia e la Cina, portatori di rilevanti interessi strategici, spesso non coincidenti, se non addirittura alternativi e sfidanti, rispetto a quelli dell'Italia e dell'Unione europea, sia in termini di proiezione nazionale, politica, economica e militare dei medesimi attori, sia in termini di possibile utilizzo, anche grazie agli strumenti della disinformazione, delle dinamiche interne ai Paesi africani in chiave di pressione e financo di destabilizzazione degli equilibri sociali europei.
  Un'attenzione particolare ai fini della tutela della sicurezza nazionale deve essere naturalmente rivolta innanzitutto ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo che sono i nostri più vicini interlocutori, in particolare per tematiche come la gestione dei flussi migratori e le sfide di carattere energetico, ivi incluso lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Risulta cruciale dunque per gli interessi nazionali dell'Italia, ma anche per tutta l'Europa, che siano adottate tutte le iniziative di cooperazione e di investimento volte a favorire la stabilità a livello politico e finanziario di tali Paesi.
  Parimenti importante è lo sviluppo di una politica italiana, ma soprattutto europea, dedicata ai Paesi dell'area saheliana, che sono stati interessati da fenomeni golpisti e da una forte instabilità che ha Pag. 82 prodotto un notevole ridimensionamento della presenza e dell'influenza di Paesi europei tradizionalmente presenti. Tale situazione impone quindi all'Italia e all'Europa l'elaborazione di una strategia specificamente rivolta alla regione saheliana, sulle basi di un proficuo rapporto paritario, finalizzata a contrastare il consolidarsi di un sistema di relazioni anti europeo e anti occidentale.
  Precondizione per una presenza significativa nel continente africano, nonché per lo svolgimento di una efficace azione di contrasto al terrorismo, è lo sviluppo di piani di investimento a lungo termine, volti in particolare alla realizzazione di infrastrutture e finalizzati allo sviluppo sostenibile, con la creazione di posti di lavoro equamente regolati e retribuiti, nonché di programmi di formazione in Africa che consentano l'attivazione di meccanismi premiali rispetto ai flussi per gli accessi regolari nel nostro Paese, che possano consolidare negli anni un legame con l'Italia quale partner affidabile. Fondamentale risulta un approccio pragmatico e non predatorio, sia a livello italiano che europeo, che, pur nella evidente differenza quantitativa rispetto agli investimenti cinesi, potrebbe porsi come un'alternativa di qualità soprattutto nei settori infrastrutturale ed energetico.
  Il contrasto al terrorismo, che passa attraverso il consolidamento delle democrazie, nonché una stabilizzazione politica, sociale ed economica del continente, deve essere perseguito attraverso azioni coordinate a livello europeo al fine di consentire un volume adeguato di investimenti e di programmi di cooperazione. Tale strategia dovrebbe vedere l'Italia e l'Europa impegnate innanzitutto nella risoluzione delle cause profonde delle fragilità del continente africano sopra richiamate, anche al fine di una maggiore efficacia delle politiche di contrasto al terrorismo di matrice jihadista, che rappresenta una minaccia per l'Europa intera. Occorrerà pertanto rafforzare la sicurezza nei Paesi più esposti all'attività di gruppi terroristici e criminali, dediti a traffici illeciti, a partire dalla disumana tratta dei migranti. A tal fine, anche alla luce delle innumerevoli sfide e delle straordinarie opportunità che il continente africano può offrire, sarebbe auspicabile l'elaborazione di una vera e propria strategia dell'Unione europea per l'Africa, per addivenire ad una risposta istituzionale di livello europeo, eventualmente anche attraverso la previsione di un'istituzione permanente dedicata al continente africano.
  Un elemento cruciale è rappresentato anche dalla ulteriore valorizzazione della presenza dei nostri contingenti militari, molto apprezzati dai governi dei Paesi africani per l'equilibrio e la professionalità con cui conducono le loro missioni.
  In tale ambito, un ruolo particolarmente significativo riveste la cooperazione militare sia in chiave bilaterale, come ad esempio in Niger, sia a livello europeo, multilaterale ovvero di Nazioni Unite. Particolare rilievo rivestono in questo campo i progetti rivolti alla formazione e all'addestramento delle forze amate e di sicurezza locali. Simili progetti ricoprono, infatti, un'importanza strategica per stabilire relazioni solide con i Paesi ospitanti e sono spesso alla base di accordi successivi, inclusi quelli di natura commerciale per le imprese del nostro Paese, comprese le industrie della difesa.
  Tale tipo di cooperazione, che il Comitato raccomanda di rafforzare, ha il vantaggio di stabilire forti legami anche con i quadri dirigenti Pag. 83 dei Paesi africani, anche al fine di favorire la creazione di importanti sinergie dagli evidenti risvolti positivi nel campo della sicurezza.
  Una speciale rilevanza riveste anche il campo della sicurezza e della cooperazione in ambito energetico, incluso il settore delle fonti rinnovabili. Anche in tale settore è fondamentale consolidare la nostra presenza nel continente, che già vede operare con successo alcune delle principali aziende italiane.
  Come è noto, l'Africa detiene peraltro buona parte delle materie prime critiche, circostanza di cruciale importanza al fine del ripensamento in atto delle nostre catene di approvvigionamento. L'Italia deve, infatti, mitigare il rischio per la sicurezza nazionale dettato dalla dipendenza da attori i cui comportamenti non possono essere controllati o da catene di approvvigionamento eccessivamente lunghe. A tale fine, occorre perseguire politiche di nearshoring e friendshoring, cioè volte ad accorciare le catene di approvvigionamento o quanto meno a concentrarle nell'ambito di sistemi like-minded.
  L'Africa, da questo punto di vista, rappresenta un grande momento di crescita per l'Italia. Aiutando, con investimenti adeguati, i Paesi africani a processare le loro materie prime al fine di sostenerne lo sviluppo interno, l'Italia si candiderebbe, di fatto, ad essere un interlocutore privilegiato come naturale mercato di sbocco delle esportazioni di tali materie prime.
  Altro tema estremamente importante sotto il profilo della sicurezza nazionale è rappresentato dalla disinformazione. Basta solo ricordare i dati sulla demografia africana e sull'età media richiamati all'inizio della presente relazione per comprendere come l'utilizzo dei social media sia la principale fonte di informazione e comunicazione dei giovani africani che hanno accesso ad internet. Su questo versante, a fronte di comportamenti quantomeno «proattivi» di attori come la Russia, l'Occidente ha la necessità di mettere in campo una politica coordinata che possa contrastare lo sviluppo di una retorica antieuropea e più in generale antioccidentale basata sulla diffusione di fake news su piattaforme, peraltro già vietate nell'Unione europea perché considerate pericolose, come la russa Sputnik, che trovano peraltro terreno fertile nelle richiamate cause profonde della fragilità delle società africane.
  Tale contronarrazione, che dovrebbe mettere in evidenza gli elementi di rischio, sia in termini di dipendenza, che di minaccia stessa alla sovranità, insiti nell'attivismo russo e cinese nel continente africano, dovrebbe accompagnarsi ad una politica più proattiva, trasparente, rispettosa e volta ad assicurare pari dignità ai Paesi africani nei rapporti con i partner europei.
  Anche su tale fronte, il Comitato raccomanda alle Camere il rafforzamento delle capacità difensive, nonché l'adozione di misure di contrasto attive, in stretto coordinamento con i Paesi alleati.
  Altro elemento qualificante per un approccio di sicurezza globale sull'Africa è rappresentato dalla sicurezza alimentare. I dati richiamati nella relazione dimostrano il ruolo cruciale della lotta alla malnutrizione anche per il contenimento dei fenomeni migratori e per la stabilità di intere regioni. L'Italia, che può vantare da sempre un'agricoltura all'avanguardia, ha l'opportunità, come peraltro previsto dal Piano Mattei, di avviare importanti partenariati con i Paesi Pag. 84 africani per l'esportazione di pratiche e tecniche che possano consentire un efficiente ed efficace sfruttamento delle terre coltivabili, garantendo un incremento della produzione e della qualità delle colture.
  Tali forme di partenariato possono giocare un ruolo determinante per stabilire un clima positivo di collaborazione con ricadute dirette e indirette anche sotto il profilo della sicurezza nazionale.
  Il Comitato raccomanda, inoltre, di sostenere i partenariati finanziari a livello internazionale ed europeo che possano fornire assistenza per la sostenibilità del debito pubblico dei Paesi africani, sottraendoli in tal modo alla dipendenza di attori terzi come, in particolare, la Cina. Tale approccio, lungi dal risolversi in una questione di carattere meramente finanziario, rappresenta infatti un importante elemento di azione politica ai fini di una stabilizzazione politica, economica e sociale del continente, necessaria ai fini della sicurezza globale.
  Come è stato evidenziato nella relazione, secondo gli ultimi dati dei principali organismi internazionali, ben dodici Paesi africani sono costretti a destinare una percentuale di spesa pubblica vicina o superiore al 20 per cento al servizio del debito. Si calcola che nel 2025 oltre venti Paesi africani spenderanno per tale finalità più di quanto essi saranno in grado di destinare per sanità e istruzione. Se a questo si aggiungono le stime relative ai Paesi a basso reddito ad alto rischio di sofferenza debitoria, che sarebbero venti, oltre 16 milioni di africani in più potrebbero ritrovarsi in una condizione di povertà estrema se i tredici Paesi più esposti dovessero finire effettivamente in sofferenza finanziaria.
  In tale ambito, un approccio utile potrebbe essere quello di valutare diversi strumenti volti ad attenuare il peso del debito sui Paesi africani, partendo dall'eventuale conversione di posizioni debitorie in progetti di cooperazione allo sviluppo, come peraltro sperimentato con successo in Paesi come l'Egitto a proposito del settore dell'acquacoltura, fino a soluzioni di ristrutturazione del debito detenuto dai principali creditori istituzionali. Accanto a tali strumenti si dovrebbe valutare, inoltre, l'adozione di politiche volte a favorire lo sviluppo del microcredito quale meccanismo di accesso all'imprenditorialità diffusa.
  Un approccio di questo genere consentirebbe, infatti, di promuovere maggiori legami con l'Italia e di indirizzare allo stesso tempo risorse verso progetti che possano effettivamente fare la differenza per la stabilizzazione del continente.
  Con riferimento, infine, al fenomeno migratorio, che rappresenta una primaria questione di sicurezza nazionale, anche per il rischio potenziale di infiltrazioni di cellule terroristiche, oltre che per i risvolti umanitari del traffico di migranti e per la pressione che flussi non controllati di migranti clandestini possono esercitare sulla struttura socio-economica delle società occidentali, il Comitato condivide l'approccio dei Paesi del G7 relativo all'adozione di un Piano d'azione per prevenire e contrastare il traffico illecito di migranti e le preoccupazioni espresse dal vertice dei Capi di Stato e di Governo di Borgo Egnazia, unitamente a politiche più coraggiose sul fronte Pag. 85 della migrazione regolare e degli accessi programmati, tenendo presenti le cause profonde evidenziate nella presente relazione.
  A tale fine, sarà cruciale sviluppare le linee di intervento delineate nel richiamato Piano attraverso azioni di rafforzamento delle capacità operative e investigative delle autorità di contrasto, nonché della cooperazione internazionale, giudiziaria e di polizia; l'intensificazione della cooperazione con i Paesi terzi di origine e di transito di flussi migratori irregolari, nonché delle attività di prevenzione e sensibilizzazione ed infine di quelle relative alla conoscenza e al monitoraggio del fenomeno.

  (1) World Bank, Global Economic Prospects (gennaio 2025).

  (2) Le altre rotte migratorie verso l'Europa sono: la rotta del Mediterraneo occidentale attraverso la Spagna; la rotta balcanica, che, attraverso la Turchia, la Bulgaria, la Serbia e la Bosnia, arriva fino all'Europa centrale e, attraverso la Slovenia, ha uno sfogo alla frontiera italiana; la rotta del Mediterraneo orientale che interessa la Grecia, Cipro e la Bulgaria.

  (3) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «La Turchia in Africa: ambizioni e interessi di una potenza regionale», dicembre 2023.

  (4) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «Geopolitica ed economia dell'Africa: i principali attori statali esterni in campo e i conflitti in corso», luglio 2024.

  (5) Benin, Capo Verde, Ciad, Isole Mauritius, Liberia, Malawi, Niger, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Seychelles, Sierra Leone, Somalia, Tunisia, Botswana, Comore, Costa d'Avorio, Egitto, Gabon, Gambia, Ghana, Gibuti, Kenya, Lesotho, Mauritania, Ruanda, São Tomé e Prìncipe, Zambia.

  (6) Burkina Faso, Camerun, Eswatini, Etiopia, Guinea, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau, Marocco, Togo.

  (7) Algeria, Angola, Burundi, Congo, Mali, Madagascar, Namibia, Mozambico, Repubblica centrafricana, Senegal, Sudafrica, Sudan, Sud Sudan, Zimbabwe, Uganda, Tanzania.

  (8) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «Geopolitica ed economia dell'Africa: i principali attori statali esterni in campo e i conflitti in corso», luglio 2024.

  (9) Si citano, al riguardo, la Risoluzione del 24 marzo 2022 sulle conseguenze umanitarie dell'aggressione contro l'Ucraina (in cui gli Stati africani favorevoli sono stati 27, mentre solo l'Eritrea è stata contraria, 20 si sono astenuti e 6 non si sono presentati), la Risoluzione del 7 aprile 2022 sulla sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (in cui 10 Stati africani hanno votato a favore, mentre 9 sono stati contrari, 24 astenuti e 11 assenti), la Risoluzione del 13 ottobre 2022 sul tentativo di annessione delle regioni dell'Ucraina invalido e illegale secondo il diritto internazionale (in cui nessuno Stato africano ha espresso voto contrario, 30 sono stati favorevoli, 19 astenuti e 5 assenti), la Risoluzione del 15 novembre 2022 su rimedi e riparazioni per l'aggressione contro l'Ucraina, in cui gli Stati africani favorevoli sono stati 15, 5 i contrari, 27 gli astenuti e 7 non si sono presentati) e la Risoluzione del 2 Marzo 2023 sulla sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale dell'Ucraina (in cui 30 Stati africani hanno votato a favore, 2 contro, 15 si sono astenuti e 7 sono stati assenti).

  (10) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «Geopolitica ed economia dell'Africa: i principali attori statali esterni in campo e i conflitti in corso», luglio 2024.

  (11) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «La Turchia in Africa: ambizioni e interessi di una potenza regionale», dicembre 2023.

  (12) Per un approfondimento su cosiddetto Ankara consensus, si veda il dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «La Turchia in Africa: ambizioni e interessi di una potenza regionale», dicembre 2023.

  (13) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «Geopolitica ed economia dell'Africa: i principali attori statali esterni in campo e i conflitti in corso», luglio 2024.

  (14) Per una disamina dettagliata relativa alla strategia comune Italia Africa, alle politiche di cooperazione allo sviluppo, agli scambi commerciali Italia Africa e alla politica dell'UE, basata su un'impostazione bilaterale su ciascun Paese, cfr. il dossier redatto dei Servizi studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sullo Schema di DPCM di adozione del Piano strategico Italia-Africa. Cfr. anche la pagina dedicata https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-africa/ .

  (15) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «L'influenza asimmetrica della Cina e della Russia in Africa», agosto 2023.

  (16) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «Geopolitica ed economia dell'Africa: i principali attori statali esterni in campo e i conflitti in corso», luglio 2024.

  (17) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «Geopolitica ed economia dell'Africa: i principali attori statali esterni in campo e i conflitti in corso», luglio 2024.

  (18) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «Geopolitica ed economia dell'Africa: i principali attori statali esterni in campo e i conflitti in corso», luglio 2024.

  (19) Sul punto cfr. Terre rare: Pechino punta all'Africa, ma non è sola, in Rivista ispionline.it.

  (20) Per una disamina completa dei contenuti dell'intervento normativo, nonché sulle misure introdotte, tra l'altro, per accelerare e semplificare la ricerca di materie prime e per promuovere gli investimenti, cfr. il dossier dei Servizi studi del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

  (21) Cfr. dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «La NATO nel Mediterraneo allargato», maggio 2024.

  (22) Cfr. sul punto, il dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «La NATO nel Mediterraneo allargato», maggio 2024.

  (23) Come evidenziato nel dossier a cura dell'Osservatorio di politica internazionale «La NATO nel Mediterraneo allargato» (maggio 2024), nel 2015 (con la scoperta del giacimento di gas Zohr al largo dell'Egitto) e nel 2019 (con l'inizio della produzione di gas israeliano dal giacimento Leviathan), il Mediterraneo orientale è diventato un hotspot energetico fondamentale per l'esportazione di gas.

  (24) Come evidenziato nel dossier a cura del centro Studi di politica internazionale «La NATO nel Mediterraneo allargato» (maggio 2024), Israele, nel 2022, attraverso i due principali giacimenti Leviathan e Tamar, è riuscito a produrre all'incirca 22 Gmc e, secondo i piani di sviluppo previsti dagli operatori nazionali, tale capacità aumenterà sensibilmente.

  (25) Nello specifico, il SoutH2Corridor è una dorsale di gasdotti dedicata all'idrogeno lunga 3.300 km, incentrato sull'utilizzo delle infrastrutture midstream esistenti per il trasporto di idrogeno, con l'inclusione di alcune nuove infrastrutture dedicate ove necessario.

  (26) Il progetto è stato sostenuto sin dall'inizio a livello istituzionale dai Ministeri dell'Energia di Austria, Germania e Italia che a maggio 2023 hanno firmato una lettera di supporto per l'ottenimento dello status PCI. Inoltre, a maggio 2024, i governi di Italia, Germania e Austria hanno firmato una dichiarazione di intenti politica in cui si impegnano a continuare la cooperazione sul SoutH2 Corridor, istituzionalizzando un gruppo di lavoro congiunto fra le Parti, in cooperazione con la Commissione europea, lasciando aperta l'eventualità di estendere la partecipazione ad altri Paesi coinvolti nel progetto. Inoltre, nella Dichiarazione si promuove la cooperazione fra i rispettivi Operatori di rete, Autorità di regolazione, eventuali istituti finanziari e rappresentanti della domanda e offerta di idrogeno. Le parti si confronteranno sul quadro regolatorio, analizzeranno le necessità di finanziamento, e ciascuna Parte analizzerà e identificherà la futura produzione/domanda di idrogeno.

  (27) La descrizione delle missioni è tratta dal dossier dei Servizi studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

  (28) Il rapporto è prodotto dal Food Security Information Network (FSIN) e lanciato dal Global Network Against Food Crises (GNAFC), un'iniziativa internazionale che comprende le organizzazioni delle Nazioni Unite, l'Unione europea, l'Agenzia USA per lo sviluppo internazionale e organizzazioni non governative che lavorano per affrontare le crisi alimentari.

  (29) Sui dati relativi all'immigrazione cfr. supra, pag. 15.

  (30) La Dichiarazione di Malabo prende il nome dalla capitale della Guinea dove nel 2014 si è svolto un importante vertice dei Capi di Stato e di governo dell'Unione africana, che ha impegnato gli Stati africani a porre fine alla fame entro il 2025 attraverso una crescita e una trasformazione agricola accelerata per una prosperità condivisa e migliori mezzi di sussistenza. La dichiarazione aveva definito una serie di obiettivi e traguardi, denominati «obiettivi di crescita e trasformazione agricola accelerata per il 2025», e delineato sette impegni per promuovere la crescita e la trasformazione agricola.