PDL 3306

FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 3306

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
EHM, FRATOIANNI, ASCARI, BENEDETTI, BERTI, CABRAS, CECCONI, COLLETTI, CORDA, COSTANZO, FORCINITI, GIULIODORI, MANIERO, MENGA, PAXIA, RADUZZI, ROMANIELLO, SAPIA, SARLI, SODANO, SURIANO, TERMINI, TRANO, TRIZZINO, VALLASCAS, VIANELLO, VILLAROSA, VITO, VIZZINI, LEDA VOLPI

Disposizioni per sostenere i livelli occupazionali e produttivi e per contrastare la pratica della delocalizzazione delle attività produttive

Presentata il 5 ottobre 2021

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Onorevoli Colleghi! — La grave crisi del tessuto economico e sociale italiano, con conseguenti drammatici effetti sui livelli occupazionali del Paese, spesso derivanti anche dalla pratica della delocalizzazione delle attività produttive, ha assunto, negli ultimi anni, una rilevanza centrale all'interno del dibattito politico e in materia di tutela dei diritti dei lavoratori. La pratica della delocalizzazione si è ulteriormente diffusa a seguito della pandemia di COVID-19 che ha colpito anche l'Italia producendo gravi conseguenze negative su moltissimi settori produttivi e comportando, altresì, significative ricadute in termini economici, occupazionali e sociali che rischiano di ipotecare pesantemente il futuro industriale e produttivo del nostro Paese.
Si reputa necessario, pertanto, disciplinare la pratica della delocalizzazione delle attività produttive sia a tutela dell'occupazione sia al fine di impedire interventi di natura puramente speculativa da parte delle imprese, soprattutto di quelle multinazionali, e dei fondi finanziari. Le problematiche relative alla delocalizzazione e al depauperamento del tessuto produttivo italiano sono strettamente collegate a quella dei licenziamenti collettivi, conseguenti alla globalizzazione del mercato industriale, uno dei fenomeni più importanti di questo ultimo secolo. A tale proposito si evidenzia che molte imprese hanno beneficiato di incentivi statali collegati all'apertura di nuovi siti nel territorio italiano e hanno poi proceduto alla loro definitiva chiusura, provocando la sparizione di intere filiere produttive, indipendentemente dall'esistenza di squilibri economici concernenti le medesime imprese, come dimostra il fatto che alcune di queste imprese avevano bilanci in attivo. Si tratta di chiusure anomale, in contrasto con l'articolo 4 della Costituzione e spesso effettuate da imprese che hanno fruito di interventi pubblici finalizzati alla ristrutturazione, alla riorganizzazione dell'attività o al mantenimento dei livelli occupazionali. I motivi che spingono alla delocalizzazione sono ben noti: si trasferisce la produzione di intere filiere e produzioni di beni e di servizi in località situate in Paesi nei quali i costi dei salari e quelli logistico-amministrativi sono più bassi, approfittando di una legislazione più permissiva in materia di tutela ambientale o in un trattamento fiscale agevolato nei confronti degli investimenti stranieri.
L'articolo 41 della Costituzione garantisce la libera iniziativa economica privata, ma chiarisce, altresì, al secondo comma, che essa «Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», ribadendo il dovere dello Stato, sancito dalla stessa Costituzione, di proteggere la dignità dei lavoratori.
Un caso emblematico e drammatico della pratica della localizzazione è rappresentato dalla procedura di licenziamento collettivo avviata dallo stabilimento dell'impresa multinazionale inglese GKN di Campi Bisenzio, in provincia di Firenze e poi annullata dal tribunale del lavoro di Firenze con decreto emesso a seguito dell'azione proposta ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, Statuto dei lavoratori. Tale procedura, non essendo vietata dal nostro ordinamento, seppur in evidente contrasto con l'ordine costituzionale e con la nozione di lavoro e di iniziativa economica delineati dalla Costituzione, rende evidente la necessità di prevedere appositi strumenti normativi che rendano effettiva la tutela dei diritti in oggetto e che impediscano il ripetersi di simili conseguenze catastrofiche per i lavoratori interessati e per l'economia del territorio, locale e nazionale. Si ricorda che il legislatore è già intervenuto sulla materia con l'articolo 1, commi 60 e 61, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), e con il capo II del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96, cosiddetto «decreto dignità», che recano disposizioni sulle imprese italiane e straniere, situate nel territorio italiano, che hanno beneficiato di contributi pubblici in conto capitale. Se entro tre anni dalla concessione di tali contributi le imprese procedono a una delocalizzazione della produzione in Paesi non membri dell'Unione europea che comporta una riduzione del personale del 50 per cento, esse perdono il diritto ai benefìci e sono tenute alla restituzione delle risorse economiche già concesse.
Tali disposizioni non hanno, però, trovato una concreta applicazione nella pratica e, dunque, non hanno prodotto gli effetti sperati, evidenziando l'inadeguatezza dell'apparato sanzionatorio. Le sanzioni previste in caso di inadempimento delle misure stabilite (le varie «azioni programmate per la salvaguardia dei livelli occupazionali e gli interventi per la gestione non traumatica dei possibili esuberi» di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c), della presente proposta di legge), sono da intendersi di natura «economica», senza alcuna conseguenza sulla finalità fondamentale che la presente proposta di legge persegue: tutelare l'occupazione e consentire la prosecuzione delle attività produttive nel territorio nazionale.
Per questi motivi risulta necessario prevedere nuove norme in materia di delocalizzazione delle attività produttive per impedire lo smantellamento del tessuto produttivo nazionale, e per assicurare la continuità occupazionale, che rappresenta un patrimonio collettivo da non sacrificare a mere logiche di mercato.
L'articolo 1 della presente proposta di legge prevede le finalità e l'ambito di applicazione, estendendolo alle imprese che hanno avviato procedure per licenziamenti collettivi ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, eliminando la previsione errata che può dare origine a un contenzioso infinito, anche in via amministrativa, sui requisiti di esclusione o sulla «probabile crisi o insolvenza», del tutto discutibile e aleatoria.
L'articolo 2 disciplina l'obbligo informativo dell'impresa che intende cessare la propria attività, stabilendo l'avvio di una procedura che deve necessariamente precedere quella, eventuale, di licenziamento collettivo ai sensi della legge n. 223 del 1991.
L'articolo 3 prevede l'obbligo per l'impresa interessata di predisporre un piano che, in primis, garantisca il mantenimento dell'attività produttiva mediante la cessione dell'impresa o di compendi aziendali.
L'articolo 4 prevede che la struttura per le crisi d'impresa possa non approvare il piano qualora l'impresa non sia in crisi economica o produttiva. In ogni caso i licenziamenti disposti in assenza della presentazione del piano o qualora il piano escluda gli esuberi sono nulli e costituiscono condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge n. 300 del 1970.
L'articolo 5 prevede il monitoraggio dell'attuazione del piano specificando, al comma 3, che, fatta salva la nullità dei licenziamenti, il mancato rispetto del medesimo piano comporta la preclusione all'accesso a finanziamenti pubblici.
All'articolo 6 si prevede il diritto di prelazione nell'acquisizione dell'impresa da parte di una società cooperativa costituita dai lavoratori della stessa impresa.
L'articolo 7, infine, consente l'intervento, in ogni momento della procedura, da parte dello Stato per il tramite della Cassa depositi e prestiti Spa.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità e ambito di applicazione)

1. Al fine di garantire la salvaguardia dell'occupazione e della produzione, le disposizioni della presente legge si applicano alle imprese che occupano almeno 100 lavoratori a qualsiasi titolo utilizzati o impiegati nell'attività di impresa e che intendono procedere alla chiusura di un'unità produttiva situata nel territorio nazionale.
2. Le disposizioni della presente legge si applicano anche alle imprese che non soddisfano la soglia occupazionale di cui al comma 1 e che hanno proceduto a licenziamenti collettivi ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nei due anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
3. Le procedure di riduzione del personale ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 233, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge sono sospese fino all'approvazione del piano di cui all'articolo 3 della presente legge.

Art. 2.
(Obbligo di comunicazione preventiva)

1. L'impresa di cui all'articolo 1 è tenuta a dare comunicazione preventiva per iscritto del progetto di chiusura del sito produttivo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al Ministero dello sviluppo economico, all'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), alla regione in cui è situato il sito produttivo e alle rappresentanze sindacali aziendali costituite ai sensi dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, o alle rappresentanze sindacali unitarie, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato.
2. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, la comunicazione preventiva di cui al comma 1 del presente articolo indica le ragioni economiche, finanziarie, tecniche o organizzative del progetto di chiusura, il numero e i profili professionali del personale a qualunque titolo utilizzato o impiegato nell'attività di impresa e il termine entro cui è prevista la chiusura.
3. Entro dieci giorni dalla data del ricevimento della comunicazione preventiva di cui al comma 1, su richiesta delle organizzazioni sindacali di cui al medesimo comma 1, l'impresa è tenuta a fornire a queste ultime la documentazione aziendale utile a comprendere la situazione patrimoniale dell'impresa stessa e le cause del progetto di chiusura.
4. La comunicazione preventiva di cui al comma 1 è effettuata prima dell'eventuale avvio della procedura di licenziamento collettivo ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, il cui avvio è precluso per l'impresa fino al termine della procedura di cui alla presente legge.

Art. 3.
(Disposizioni per la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo)

1. Entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione preventiva di cui all'articolo 2 della presente legge, l'impresa presenta alla struttura per le crisi d'impresa, istituita presso il Ministero dello sviluppo economico dall'articolo 1, comma 852, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, un piano sugli effetti occupazionali ed economici derivanti dalla chiusura del sito produttivo, di seguito denominato «piano».
2. Il piano indica:

a) le prospettive di cessione dell'impresa o dei compendi aziendali con finalità di continuazione dell'attività e garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali e dei trattamenti economici e normativi;

b) le prospettive di ricollocazione del personale in altri siti produttivi della medesima impresa, collocati a non più di 40 chilometri di distanza dal sito di cui si prevede la chiusura, anche prevedendone ampliamenti ecologicamente sostenibili;

c) le azioni programmate per la salvaguardia dei livelli occupazionali e gli interventi per la gestione non traumatica dei possibili esuberi, quali la ricollocazione presso un'altra impresa e le misure di politica attiva del lavoro, quali servizi di orientamento, assistenza alla ricollocazione, formazione e riqualificazione professionale, finalizzati alla rioccupazione;

d) gli eventuali progetti di riconversione del sito produttivo, anche per finalità socio-culturali a favore del territorio interessato, che devono prevedere la possibilità di riconversione ecologica dell'impresa, con la prosecuzione dell'attività e con il mantenimento della dimensione occupazionale;

e) i tempi, le fasi e le modalità di attuazione delle azioni previste.

3. Per l'elaborazione del piano, l'impresa consulta le rappresentanze sindacali aziendali, unitarie e le relative associazioni di categoria. In assenza delle predette rappresentanze, l'impresa consulta le associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale e può avvalersi di soggetti specializzati in materia di gestione aziendale, ricerca e attrazione di investimenti, politiche finanziarie e fiscali e di progettazione nell'ambito dei programmi di finanziamento europei, nazionali o regionali, nonché di figure esperte nella riconversione ecologica dell'industria.

Art. 4.
(Esame e approvazione del piano)

1. La struttura per le crisi d'impresa, entro trenta giorni dalla presentazione del piano, convoca l'impresa per l'esame, la discussione e l'eventuale modifica del piano, con la partecipazione dell'ANPAL, della regione in cui è situato il sito produttivo interessato dal progetto di chiusura e delle organizzazioni sindacali di cui all'articolo 2, comma 1.
2. La struttura per le crisi d'impresa conclude l'esame del piano entro sessanta giorni dalla data della sua presentazione. Il termine per la conclusione dell'esame può essere prorogato di trenta giorni su richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali o unitarie ovvero delle organizzazioni sindacali di cui all'articolo 2, comma 1.
3. La struttura per le crisi d'impresa, sentite le organizzazioni sindacali di cui all'articolo 2, comma 1, e l'ANPAL, approva il piano qualora dall'esame complessivo delle azioni in esso contenute siano garantiti gli obiettivi di salvaguardia dei livelli occupazionali o di prosecuzione dell'attività produttiva mediante la rapida cessione dei compendi aziendali.
4. In assenza di una comprovata situazione di crisi ovvero di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario ai sensi del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, la struttura per le crisi d'impresa non approva il piano che prevede esuberi e richiede di riconfigurarlo escludendo, in ogni caso, la possibilità di esuberi.
5. Nei casi in cui il piano preveda la cessione dell'impresa o dei compendi aziendali, la struttura per le crisi d'impresa, con l'ausilio del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, approva il piano dopo aver verificato la solidità economico-finanziaria dell'impresa cessionaria e previa presentazione da parte di quest'ultima di un piano industriale di lungo periodo che offra garanzie di conservazione dei posti di lavoro e di applicazione dei medesimi trattamenti economici e normativi.
6. Il piano non può, comunque, essere approvato senza il consenso della maggioranza delle rappresentanze sindacali presenti nell'impresa o, in caso di loro assenza, senza il voto favorevole della maggioranza dei lavoratori dipendenti dell'impresa.
7. Con l'approvazione del piano l'impresa assume l'impegno di realizzare le azioni in esso contenute nei tempi e con le modalità stabiliti e di effettuare le comunicazioni previste ai fini del monitoraggio di cui all'articolo 5.
8. I licenziamenti eventualmente disposti in violazione dell'articolo 2, comma 4, della presente legge, prima dell'approvazione del piano e nel caso in cui il piano non preveda esuberi di personale, sono nulli e costituiscono condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

Art. 5.
(Monitoraggio dell'attuazione del piano)

1. L'impresa comunica alla struttura per le crisi d'impresa, con cadenza almeno mensile, lo stato di attuazione del piano, dando evidenza del rispetto dei tempi e delle modalità di attuazione, nonché dei risultati delle azioni intraprese.
2. La struttura per le crisi d'impresa monitora l'attuazione del piano, avvalendosi dell'ANPAL relativamente alle azioni di cui all'articolo 3, comma 2, lettera c).
3. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 4, comma 8, il mancato rispetto degli impegni assunti, nonché dei tempi e delle modalità di attuazione del piano comporta per l'impresa e per il gruppo di cui essa fa parte, nonché per le imprese sue committenti, la preclusione all'accesso a contributi, finanziamenti o sovvenzioni pubblici comunque denominati e l'esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici per un periodo di cinque anni dalla data di approvazione del piano; l'impresa inadempiente è, altresì, tenuta alla restituzione degli eventuali sussidi pubblici utilizzati nei cinque anni precedenti alla stessa data.
4. La struttura per le crisi d'impresa può disporre la nomina di un commissario ad acta per il tempo necessario alla realizzazione del piano.

Art. 6.
(Diritto di prelazione di cooperative di lavoratori)

1. Nel caso in cui i lavoratori dell'impresa, entro due mesi dalla data di approvazione del piano, costituiscano una società cooperativa, ai sensi della legge 27 febbraio 1985, n. 49, e del decreto del Ministro dello sviluppo economico 4 gennaio 2021, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2021, tale società gode di un diritto di prelazione sulla cessione eventualmente disposta nel piano.
2. Ai fini e per gli effetti dell'esercizio del diritto di prelazione di cui al comma 1, l'impresa deve notificare, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, alla società cooperativa di cui al medesimo comma 1 la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di cessione, in cui devono essere indicati il nome dell'acquirente, il prezzo di cessione e le altre norme pattuite, o una scrittura privata da cui risultino i medesimi elementi. La società cooperativa può esercitare il diritto di prelazione entro trenta giorni dal ricevimento della lettera raccomandata. Il prezzo per la cessione è stabilito al netto dei contributi pubblici comunque ricevuti dall'impresa dall'anno della sua costituzione all'avvio della procedura di cui alla presente legge.
3. Qualora l'impresa non provveda alle notificazioni di cui al comma 2 o il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal contratto di cessione, la società cooperativa di cui al comma 1 può, entro un anno dall'ultima delle formalità pubblicitarie relative al contratto di cessione, riscattare le quote dell'impresa dall'acquirente e da ogni successivo avente causa.

Art. 7.
(Acquisizioni e partecipazioni della Cassa depositi e prestiti Spa)

1. Ad ogni stadio del procedimento, fino a due anni dall'approvazione del piano, qualora permangano rischi per il mantenimento dei livelli occupazionali e per la continuità produttiva, la società Cassa depositi e prestiti Spa, nell'esercizio della funzione ad essa attribuita dall'articolo 5, comma 8-bis, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, può acquisire le imprese di cui all'articolo 1 della presente legge o assumere partecipazioni in esse anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento da essa partecipati ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o da enti pubblici.

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