XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 2839
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
SCUTELLÀ, BILOTTI, BRUNO BOSSIO, BUBISUTTI, D'ARRANDO, DI MURO, DI SARNO, FERRO, GIULIANO, GRIPPA, LOREFICE, LOVECCHIO, TONDO
Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione territoriale degli uffici giudiziari
Presentata il 22 dicembre 2020
Onorevoli Colleghi! – La riforma della geografia giudiziaria attuata con i decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e n. 156, è consistita in un «taglio» dei tribunali minori e nella soppressione delle sedi distaccate, a favore nell'accentramento dell'amministrazione della giustizia.
Tale scelta, senza timore di poter essere smentiti, è stata avversata sotto tutti i profili e da più punti di vista attraverso ricorsi alla Corte costituzionale da parte delle regioni e dei tribunali di ogni dimensione, che hanno loro malgrado subìto la riforma della geografia giudiziaria, affiancati in questa «missione» da varie associazioni sorte in questi anni nei diversi territori.
La questione deve essere affrontata necessariamente dal punto di vista dei criteri assunti per procedere alla soppressione e all'accorpamento degli uffici giudiziari.
Con la finalità di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, l'articolo 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148, ha delegato il Governo a rivedere la geografia giudiziaria in modo da realizzare una riduzione complessiva degli uffici giudiziari nel territorio e il Governo ha provveduto adottando i citati decreti legislativi del 2012.
I princìpi e criteri direttivi per l'esercizio della delega hanno riguardato la ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici giudiziari, eventualmente trasferendo territori di un circondario a circondari limitrofi.
A tale fine il Governo doveva tenere conto di «criteri oggettivi e omogenei» che comprendessero alcuni parametri: estensione del territorio, numero degli abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze, specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, presenza di criminalità organizzata.
La presente proposta di legge si pone l'obiettivo di incrementare i criteri di selezione e di rivalutare quelli preesistenti al fine di ridefinire, attraverso una nuova delega al Governo, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari nel rispetto delle esigenze oggettive dei territori e di princìpi e criteri direttivi finora non presi in considerazione, ma da ritenere necessari e imprescindibili.
Tra i criteri direttivi alla base della vigente riforma della geografia giudiziaria non rileva la distanza tra l'ufficio giudiziario accorpante e quello accorpato, ma la sola «situazione infrastrutturale». Tale ultimo criterio – a parere della prima firmataria di questa proposta di legge – non può in alcun modo prescindere dalla misurazione chilometrica della distanza tra i due uffici, tenendo ulteriormente presente la percorribilità del tragitto in termini di servizi infrastrutturali e viari e di collegamento pubblico.
In alcuni territori della penisola tale problematica è stata poi notevolmente acuita a causa delle difficoltà per i professionisti della giustizia di raggiungere le sedi accorpanti, talvolta molto distanti e raggiungibili unicamente attraverso mezzi privati e strade inadeguate, senza alcuna possibilità di ricorrere al trasporto pubblico stante l'assoluta assenza di servizi e di collegamenti, disattendendo clamorosamente il criterio concernente il «riguardo alla situazione infrastrutturale».
È ipotizzabile, inoltre, una riorganizzazione che guardi prioritariamente ai comuni che ospitano istituti penitenziari di massima sicurezza e per i quali sarebbe d'uopo un presidio di giustizia prossimo e facilmente raggiungibile per agevolare soprattutto le traduzioni dei detenuti stessi.
Un ulteriore principio che si propone di inserire nella formulazione della delega è il numero di abitanti residenti nel comune «spogliato» dell'ufficio in quanto, seppure il dato numerico in riferimento al bacino di utenza risulti essere comprensibile, è altrettanto indispensabile che enti locali con un alto tasso di popolazione possano contare su un presidio di giustizia al loro interno.
Ad oggi, alla luce della riforma oggetto della presente proposta di legge, il tutto si è tradotto in un aumento dei costi per i cittadini, in un'accentuata assenza dello Stato, in particolare in territori fortemente contaminati dalla criminalità organizzata, e in una notevole concentrazione dei carichi giudiziari nei nuovi poli competenti, accresciuta in particolar modo dal periodo di sospensione dettato dall'emergenza epidemiologica da COVID-19.
L'articolo 24, primo comma, della Costituzione, come noto, è la fonte costituzionale del diritto di azione: nel nostro sistema l'azione è, infatti, un diritto soggettivo, il cui contenuto consiste nell'attivare un giudizio al fine di far valere in quel contesto altri diritti o interessi.
Da questo diritto, che è un principio fondamentale dell'ordinamento, si può trarre il dovere, per il legislatore, di far accedere ciascuno a un giudice e a un giudizio: un tribunale «lontano», non facilmente raggiungibile, in ragione anche della sua burocratizzazione, non rende efficace il diritto di azione.
Non è tollerabile che lo Stato articoli una delle proprie funzioni – quella giurisdizionale – e uno dei propri elementi costitutivi – il territorio – senza tenere conto, in molti casi, delle specificità di questi, ma ponendosi al servizio di altre esigenze, quali l'uniformità, il risparmio o l'efficientismo.
Da queste argomentazioni si deduce che deve ritenersi in contrasto con lo spirito della Costituzione qualsiasi riforma legislativa che allontani il giudice dal cittadino oltre la misura che gli consente di essere agevolmente e personalmente interpellato.
La Costituzione richiede che la giustizia sia amministrata «a misura d'uomo», abbastanza vicino ai cittadini perché questi possano raggiungere la sede del tribunale dalla loro abitazione con «limitati sacrifici » (si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 23 marzo 2016).
È d'uopo rilevare, inoltre, che la Commissione europea per l'efficienza della giustizia (CEPEJ) ha in più occasioni affermato che le riforme della geografia giudiziaria realizzate nei vari Stati membri devono tenere conto di tutti gli elementi di criticità che possano limitare l'accesso dei cittadini a un sistema giudiziario di qualità.
La Commissione, in particolare, riconosce il valore della vicinanza degli uffici giudiziari ai cittadini come elemento utile a favorirne l'accesso alla giustizia e sottolinea che «dover presenziare a un'udienza fissata la mattina presto per una persona anziana, o per una persona che non guida o non è dotata di mezzo proprio, in assenza di adeguati mezzi di trasporto pubblico, rappresenta una situazione problematica che può influire sul diritto di equo accesso alla giustizia» (CEPEJ, Linee guida sulla revisione della geografia giudiziaria per favorire le condizioni di accesso a un sistema giudiziario di qualità, adottate nella riunione plenaria del 6 dicembre 2013, paragrafo 2.3.4).
Benché obiettivo precipuo della riforma fossero i risparmi di spesa e il miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario, si ritiene, ove mai tali risparmi si siano effettivamente concretizzati, che ogni possibile intervento non possa prescindere dall'esigenza di tenere in considerazione il diritto di accedere alla giustizia, quale diritto fondamentale di ogni individuo, insopprimibile in uno Stato democratico: qualsiasi riforma del settore non può essere fatta a discapito dei diritti costituzionalmente garantiti, per la stessa permanenza dello Stato di diritto, dagli articoli 2, 3, 4, 5, 13, 16, 24, 25, 111, 112 e 113 della Costituzione.
Pertanto i criteri di riordino devono sì essere funzionali all'immediato risparmio di spesa per il bilancio dello Stato, senza tuttavia arrecare allo stesso danni nel medio e lungo periodo.
La presente proposta di legge si prefigge l'obiettivo di delegare il Governo a rivedere la distribuzione degli uffici giudiziari nel territorio nazionale individuando ulteriori specifici princìpi e criteri direttivi che operino una riconsiderazione delle scelte operate dal legislatore in materia di geografia giudiziaria e che guardino con la massima attenzione alle particolarità e alle peculiarità dei distretti territoriali, in linea con la superiore esigenza di consentire ai cittadini un accesso alla giustizia pieno ed effettivo.
In particolare, si propone di valutare la riorganizzazione prendendo in considerazione la specificità territoriale del bacino d'utenza, caso per caso, analizzando precipuamente le caratteristiche geomorfologiche del territorio, la carenza di collegamenti stradali e ferroviari all'interno delle circoscrizioni di riferimento alla luce del percorso e della distanza da intraprendere tra il tribunale accorpato e quello accorpante. Si propone, inoltre, di valutare, oltre al bacino di utenza servito, anche il numero di residenti nel comune oggetto di rideterminazione.
Si suggerisce, poi, di prestare una maggior attenzione, nell'attività discrezionale, alle zone del territorio in cui siano presenti istituti penitenziari di alta sicurezza, valutando anche il numero dei detenuti ospitati.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Al fine di procedere a una riorganizzazione della distribuzione nel territorio degli uffici giudiziari volta a garantire pienamente il diritto di accedere alla giustizia, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la ridefinizione degli assetti territoriali degli uffici giudiziari con l'osservanza dei princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 2, lettere a), c), d), e), g), h), i), l), m), n), o), p) e q), della legge 14 settembre 2011, n. 148, nonché dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) valutare la riorganizzazione degli uffici giudiziari di primo grado prendendo in considerazione la specificità territoriale del bacino di utenza, le caratteristiche geomorfologiche del territorio e la sua estensione, la distanza e il tempo di percorrenza tra il tribunale accorpato e quello accorpante, considerando la carenza di collegamenti stradali e ferroviari, la situazione infrastrutturale e la vetustà della rete viaria all'interno delle circoscrizioni di riferimento;
b) assicurare che tra i tribunali soppressi oggetto di rivalutazione siano preferiti quelli situati in comuni con un'alta densità abitativa, garantendo la presenza di un presidio di giustizia nel territorio dell'ente locale stesso;
c) ridefinire l'assetto territoriale tenendo conto della presenza di istituti penitenziari di alta sicurezza e del numero di detenuti ospitati nel circondario interessato;
d) nei contesti provinciali particolarmente estesi e maggiormente colpiti da emergenze di carattere criminale, anche al fine di assicurare la presenza dello Stato nel territorio tramite presìdi di giustizia, valutare, in luogo della riattivazione di sedi di tribunali soppresse, l'opportunità di riattivare una o più sezioni distaccate tra quelle soppresse, tenendo conto, nella selezione delle stesse, dei criteri di collocazione geografica rispetto alle aree di utenza che devono essere coperte anche in relazione alla popolazione complessiva.
2. I decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155, e 7 settembre 2012, n. 156, conservano la loro efficacia relativamente agli atti e alle pronunce giurisdizionali emanati prima della data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo.
3. I decreti legislativi di cui al comma 1 del presente articolo sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, previa intesa da sancire in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, da rendere nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere. Gli schemi di decreto legislativo sono successivamente trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che si pronunciano nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi possono essere comunque adottati.