XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1282
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
UNGARO,
DELRIO, SCHIRÒ, LA MARCA, CARÈ
Modifiche alla legge 30 dicembre 2010, n. 238, in materia
di incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia
Presentata il 18 ottobre 2018
Onorevoli Colleghi! — Il primo comma dell'articolo 1 della Costituzione così recita: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». Con questo famoso incipit i Padri costituenti sancivano il riconoscimento del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, definendo la struttura essenziale dello Stato, dai punti di vista economico-politico e della forma di governo, e affermando, altresì, il basilare principio del lavoro, fondamento dell'idea e dell'architettura costituzionale, origine della rinascita repubblicana. Questo è anche il principio ispiratore della presente proposta di legge: il lavoro è ancora il cardine della rinascita e dello sviluppo del Paese dopo gli anni della crisi del primo decennio del XXI secolo e la possibilità di un'occupazione è un volàno efficace per il rientro di tanti italiani residenti fuori dai nostri confini.
Parlare di lavoro in Italia non può prescindere dal considerare, oltre alla sfida di coniugare flessibilità, formazione, competitività e welfare, la questione dell'enorme quantità di forza lavoro espatriata negli ultimi vent'anni.
Secondo l'Eurostat (dati 2018) gli italiani hanno un maggiore tasso di occupazione in Europa rispetto a quello interno al «bel Paese». Questo, assieme al merito, è uno dei motivi dell'espatrio. Se guardiamo i numeri, il tasso di occupazione degli italiani negli altri Paesi europei è più alto di quello di chi vive in Italia. Nello specifico, mentre il tasso occupazionale medio nel nostro Paese si attesta al 62,3 per cento, quello relativo agli italiani residenti in un altro Paese dell'Unione europea è del 75,6 per cento.
In linea generale, poi, la tendenza a trasferirsi per lavorare è cresciuta in tutta l'Unione europea del 2,5 per cento negli ultimi dieci anni. In testa ci sono i rumeni (19,7 per cento, praticamente uno su cinque), con lituani e croati. Al contrario, come risulta evidente dai numeri citati in precedenza, sono pochissimi gli inglesi (1,1 per cento) e gli svedesi (1,3 per cento) residenti in un altro Stato membro dell'Unione per lavorare. In fondo a questa classifica c'è la Germania: solo l'1 per cento dei tedeschi ha lasciato il proprio Paese per lavorare in un altro Stato europeo.
Un quadro sconfortante, se pensiamo che l'Italia spende circa il 4 per cento del PIL (stime dell'OCSE) per l'intero ciclo di istruzione dei suoi cittadini: quasi 69 miliardi di euro, pari a circa venti volte la famigerata IMU-TASI sulla prima casa abolita qualche anno fa. In passato qualcuno ha indicato in circa 100.000 euro la spesa pubblica complessiva per l'istruzione di un giovane che conclude l'università, ma la nazione non ne gode i frutti in termini di sviluppo lavorativo, professionale e sociale.
Un Paese a bassissima natalità, con un'emorragia verso l'estero di forza lavoro per lo più giovane e formata, non può permettersi di non mettere in campo azioni concrete che rendano conveniente anche fiscalmente flussi circolari di lavoratori che possono compiere arricchenti e virtuose esperienze professionali all'estero ma valutare con la medesima convenienza il rientro in Italia per risiedervi stabilmente.
E questa fu anche la logica che animava il progetto normativo del «controesodo», tradotto otto anni fa nella legge n. 238 del 2010 per richiamare in Italia i talenti che lavorano all'estero. Si decise di agire con la leva di agevolazioni fiscali sulle entrate dei soggetti che rientravano in Italia, rese peraltro stabili dai successivi Governi di centrosinistra. Si trattava di un dispositivo inedito che così prevedeva: «I redditi di lavoro dipendente, i redditi d'impresa e i redditi di lavoro autonomo percepiti dalle persone fisiche di cui all'articolo 2 concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche in misura ridotta, secondo le seguenti percentuali:
a) 20 per cento, per le lavoratrici;
b) 30 per cento, per i lavoratori» (articolo 3, comma 1).
Per quanto rilevato è oggi utile apportare adeguate modifiche al predetto strumento normativo. Lo spirito che sostiene questo intervento normativo è quello dei cervelli, del cuore e delle braccia dei tanti nostri connazionali che dall'estero devono essere incentivati a tornare nella penisola.
La presente proposta di legge si compone di tre articoli: il primo amplia la platea dei beneficiari già previsti dalla legge n. 238 del 2010, eliminando il requisito del possesso di un titolo di laurea. L'articolo 2 specifica che i redditi ivi previsti concorrono alla formazione della base imponibile nella misura del 50 per cento per un periodo di quattro anni dal rientro in Italia, che è raddoppiato qualora il beneficiario dimostri di essere radicato in Italia. L'articolo 3 prevede una sanatoria virtuosa dell'annosa questione delle omesse dichiarazioni dei redditi per gli espatriati che tornano stabilmente in Italia.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifica dell'articolo 2
della legge 30 dicembre 2010, n. 238)
1. L'articolo 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 238, è sostituito dal seguente:
«Art. 2. – (Caratteristiche dei soggetti beneficiari) – 1. Hanno diritto alla concessione dei benefìci fiscali di cui all'articolo 3:
a) i cittadini dell'Unione europea, nati dopo il 1° gennaio 1968, che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia e che, sebbene residenti nel loro Paese d'origine, hanno svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori di tale Paese e dell'Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, i quali vengono assunti o avviano un'attività di impresa o di lavoro autonomo in Italia e trasferiscono il proprio domicilio, nonché la propria residenza, in Italia entro tre mesi dall'assunzione o dall'avvio dell'attività;
b) i cittadini dell'Unione europea, nati dopo il 1° gennaio 1968, che hanno risieduto continuativamente per almeno ventiquattro mesi in Italia e che, sebbene residenti nel loro Paese d'origine, hanno svolto continuativamente un'attività di studio fuori di tale Paese e dell'Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più, i quali vengono assunti o avviano un'attività di impresa o di lavoro autonomo in Italia e trasferiscono il proprio domicilio, nonché la propria residenza, in Italia entro tre mesi dall'assunzione o dall'avvio dell'attività».
2. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le categorie dei soggetti di cui all'articolo 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 238, come sostituito dal comma 1 del presente articolo.
Art. 2.
(Modifica all'articolo 3
della legge 30 dicembre 2010, n. 238)
1. Il comma 1 dell'articolo 3 della legge 30 dicembre 2010, n. 238, è sostituito dal seguente:
«1. I redditi di lavoro dipendente, i redditi d'impresa e i redditi di lavoro autonomo percepiti dalle persone fisiche di cui all'articolo 2 concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche nella misura del 50 per cento per i quattro anni successivi a quello in corso alla data del rientro in Italia. La durata del beneficio è raddoppiata se dopo il rientro in Italia il beneficiario acquista un immobile da destinare ad abitazione principale, contrae matrimonio o unione civile ovvero ha figli. In tali casi, i redditi di cui al primo periodo del presente comma concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche nella misura del 60 per cento nel quinto anno successivo a quello in corso alla data del rientro in Italia, del 70 per cento nel sesto anno, dell'80 per cento nel settimo anno e del 90 per cento nell'ottavo anno».
Art. 3.
(Introduzione dell'articolo 7-bis
della legge 30 dicembre 2010, n. 238)
1. Dopo l'articolo 7 della legge 30 dicembre 2010, n. 238, è inserito il seguente:
«Art. 7-bis. – (Omessa dichiarazione dei redditi dei beneficiari) – 1. In deroga alle disposizioni dell'articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, in caso di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi da parte dei soggetti di cui all'articolo 1 della presente legge, fatte salve le disposizioni delle convenzioni internazionali volte a evitare doppie imposizioni fiscali, si applica la sanzione pecuniaria amministrativa forfetaria di 250 euro per ogni periodo di imposta omesso. Se non sono dovute imposte, la sanzione è ridotta a 100 euro per ogni periodo di imposta omesso. Le disposizioni del presente comma si applicano per una sola volta.
2. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le modalità di applicazione del comma 1».