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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1866-A-bis
N. 1865-A-bis |
Premessa
Una legge di stabilità sostanzialmente inutile
I tagli alla spesa pubblica
Il taglietto del cuneo fiscale
La trappola della clausola di salvaguardia
Nessuna reale misura per lo sviluppo e il lavoro
Una manovra economica a sovranità limitata
La politica europea del Governo Letta
Una politica per il lavoro inesistente e penalizzante per il pubblico impiego
Nessuna soluzione definitiva sugli esodati, poche le risorse per gli ammortizzatori sociali
Il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga
Dove sono le risorse per la scuola, l'università, la ricerca e la cultura?
Il cuneo fiscale: poco più che uno spot pubblicitario e un'occasione persa per un fisco più equo
La riforma della tassazione immobiliare
L'Ambiente rimane Cenerentola
Per la messa in sicurezza del nostro territorio, un'occasione persa
Il Governo privilegia il termoelettrico
Poco per le aree protette ed i parchi
Risposte insufficienti ai disagi sociali e alla crescente povertà
L'emergenza abitativa
Altri tagli al Servizio sanitario
PREMESSA
Numerose le modifiche apportate dalla Commissione Bilancio della Camera e che con ogni probabilità entreranno a fare parte del maxi-emendamento sul quale il Governo porrà la fiducia. In particolare domenica 15 dicembre sono stati presentati 20 emendamenti del Relatore e 34 emendamenti del Governo.
Il segno complessivo della manovra però non cambia, su alcuni aspetti peggiora, e dunque, non cambia il nostro giudizio negativo.
Le principali modifiche riguardano:
1) un molto parziale miglioramento della rivalutazione delle pensioni;
2) la curva dei tagli al cuneo fiscale nelle buste paga è stata resa più progressiva grazie ad aliquote più basse per i redditi più bassi e più alte per i redditi più elevati;
3) l'introduzione della «web tax»: i soggetti che offrono servizi on line, pubblicità o vendita di spazi pubblicitari, visualizzati sul territorio italiano, devono essere titolari di partita Iva italiana;
4) l'ampliamento della platea dei lavoratori esodati cosiddetti salvaguardati fino alla concorrenza di 17 mila lavoratori e comunque nel limite di spesa indicato (950 milioni fino al 2020);
5) l'introduzione del fondo taglia cuneo, alimentato da due rubinetti: quello dei risparmi di spesa che dovranno arrivare dalla nuova spending review; quello delle maggiori entrate assicurate dalla lotta all'evasione fiscale, ma al netto di quanto già impegnato per interventi di equità sociale e spese indifferibili (5 per mille, libri scolastici, missioni di pace ecc.). Con un meccanismo di funzionamento, almeno sulla carta, di attento monitoraggio da parte del Governo, delle parti sociali e dello stesso Parlamento. La distribuzione delle risorse confluite nel fondo dovrà avvenire in parti eguali tra imprese e lavoratori. Mentre questi ultimi dovranno ripartire la loro quota con i pensionati, la dote spettante alle imprese seguirà tre vie: le attività produttive, i professionisti e le piccole imprese con meno di 181 mila euro di valore della produzione;
6) una sanatoria dei contenziosi sui canoni del demanio marittimo in base al quale «i procedimenti giudiziari pendenti alla data del 30 settembre 2013 concernenti il pagamento in favore dell'erario statale dei canoni e degli indennizzi per l'utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze, possono essere integralmente definiti» pagando «in un'unica soluzione» il 30 per cento delle somme dovute oppure il 70 per cento, ma con una rateizzazione in nove anni;
7) semplificazioni per la realizzazione di nuovi stadi ma si «esclude» che con essi possano essere realizzati «nuovi complessi di edilizia residenziale», anche se non sono esclusi interventi commerciali;
8) l'aumento delle risorse per i lavoratori socialmente utili e quelli di pubblica utilità della regione Calabria, portate da 10 a 25 milioni, anche se il meccanismo di stabilizzazione in pratica è inesistente.
È stato approvato, poi, in Commissione Bilancio l'emendamento di SEL alla legge di stabilità (comma 15 articolo 1), primo firmatario l'on. Marcon, che esclude che i fondi riassegnati alle legge per l'industria del settore aeronautico (legge 808/1985) possano essere utilizzati per finanziare il programma dei cacciabombardieri F35.
a) la riduzione del cuneo fiscale concentrato sui redditi fino a 35 mila euro (prima era fino a 55 mila euro);
b) le modifiche alla tassazione sulla casa con l'introduzione della IUC (Imposta Unica Comunale);
c) norme più severe per le società partecipate degli enti territoriali;
d) una piattaforma per la garanzia del credito alle PMI;
e) più una serie di micro-interventi a pioggia nella più scontata tradizione democristiana.
Tra i quali segnaliamo la rediviva «legge mancia». Il comma 248 della legge di stabilità (Testo AC 1865) in esame, rifinanzia per 30 milioni di euro per il 2014 la legge mancia (nella versione prevista dal DL 112/2008).
La cosiddetta «legge mancia» venne istituita (articolo 1, commi 28 e 29), dalla legge finanziaria per il 2005.
In pratica con questa norma di spesa, si distribuiscono risorse in maniera del tutto discrezionale e clientelare, sulla base delle indicazioni dei partiti per finanziare interventi nei vari collegi elettorali. Basta approvare una Risoluzione in Commissione Bilancio nella quale i gruppi parlamentari indicano le opere che vogliono finanziare. All'assegnazione delle risorse, provvede poi un decreto del ministero dell'Economia.
Successivamente dette norme sono state abrogate dal Governo Prodi con legge finanziaria per il 2008.
Quindi detta «legge mancia» è stata «resuscitata» grazie al decreto-legge 112/2008 (Governo Berlusconi), che all'articolo 13, comma 3-quater, ha istituito il «Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio» per finanziare «interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori per il
Una legge di stabilità sostanzialmente inutile.
La legge di stabilità è un provvedimento che non porta equità e sollievo al paese, non combatte la crisi e non rilancia l'economia.
L'importo complessivo, sul triennio, era inizialmente di 27,3 mld di euro, di cui 12,4 mld per il 2014 (cifra poi modificata dal Senato), a cui si devono aggiungere 1,6 miliardi della manovrina correttiva per traguardare il rapporto indebitamento/Pil del 3 per cento per il 2013 (DL n. 120/2013).
L'obiettivo è quello delineato nella Nota di aggiornamento del Def (documento economico finanziario di settembre), cioè quello di conseguire un rapporto indebitamento/Pil del 2,5 per cento nel 2014.
Dopo tanti sacrifici i cittadini italiani attendevano che la manovra economica del governo Letta ridesse fiato all'economia italiana, la quale dal 2007 ad oggi ha perso addirittura il 9 per cento della produzione di beni e servizi e ha visto raddoppiare la disoccupazione, da un milione e mezzo a tre milioni di unità. Si possono avere molti dubbi sul fatto che la manovra riuscirà a portare il Pil a crescere almeno di un punto percentuale nel 2014 come il governo prevede.
Come più volte sottolineato, anche di recente da Confindustria, Rete Imprese Italia e dalla principali Associazioni Sindacali di categoria, sei anni di crisi finanziaria, prima globale e poi dei debiti sovrani nell'Eurozona, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia europea e quella italiana, dove le conseguenze sono state più gravi che nella maggior parte degli altri paesi.
Rispetto al picco toccato sei anni fa, il prodotto interno lordo italiano si è ridotto del 9 per cento, il PIL procapite è diminuito del 10,4 per cento, ossia circa 2.700 euro correnti in meno per abitante, ed è così tornato ai livelli del 1997, caso unico tra i paesi dell'euro (in Spagna e Francia, il PIL procapite, nonostante la crisi, è comunque più alto di oltre il 15 per cento rispetto al 1997).
La riduzione della domanda interna è stata di una intensità che dall'Unità d'Italia non ha precedenti in periodo di pace ed è stata la determinante del calo dell'attività economica, dato che le esportazioni sono tornate sopra i livelli del 2007. In seguito alla caduta del reddito disponibile, che in termini reali è sceso dell'11,1 per cento, la contrazione dei consumi delle famiglie è risultata del 7,8 per cento.
L'occupazione è caduta del 7,2 per cento, pari a 1,8 milioni di unità di lavoro in meno. Molte delle persone che hanno perduto l'impiego non riusciranno a ricollocarsi nel sistema produttivo.
La produzione industriale è a un livello inferiore del 24,2 per cento rispetto al picco pre-crisi del terzo trimestre del 2007; in alcuni settori la diminuzione supera il 40 per cento.
Il credit crunch ha trasmesso la crisi dalla finanza all'economia reale. È stato particolarmente severo in Italia, soprattutto dall'estate 2011. Nell'agosto scorso il credito erogato alle imprese italiane è risultato dell'8,0 per cento più basso che nel settembre 2011, con una contrazione media mensile dello 0,4 per cento. In valore si tratta di una riduzione di 74 miliardi di euro.
La restrizione creditizia sta proseguendo. Tante imprese faticano a ottenere
I tagli alla spesa pubblica.
Le misure di contenimento della spesa pubblica adottate tra il 2011 e il 2012, pari a non meno di cento miliardi (governi Monti e Berlusconi), hanno dato il colpo di grazia al Paese. Spesso gli economisti utilizzano il rapporto spesa pubblica/Pil per registrare l'andamento della stessa spesa, pensiamo alla previdenza, alla sanità o alla scuola, ma la capacità di tenere invariato il rapporto nasconde, in realtà, un taglio delle prestazioni pari alla contrazione del Pil.
Quando il Governo sostiene che la spesa pubblica per la sanità in rapporto al Pil è rimasta stabile, il governo conferma, dunque, i tagli alla spesa. Quindi dobbiamo aspettarci meno servizi, meno stato sociale, meno spesa in conto capitale, meno dipendenti pubblici, con l'effetto di ridurre la domanda aggregata.
Sei milioni di pensionati, percettori di pensioni mensili lorde comprese tra i 1.500 ed i 2.500 euro, le vedranno rivalutate solo in parte. Infatti, nel solo 2014, la deindicizzazione (parziale per quelle superiori a 3 volte il minimo Inps, totale per quelle superiori a sei volte) vale 580 milioni, che diventano 1 miliardo e 380 milioni nel 2015 e 2 miliardi e 160 milioni nel 2016. Per un totale nel triennio pari a ben 4,1 miliardi. Questo «congelamento» comporterà una perdita secca nel triennio per i diretti interessati – secondo calcoli
Il taglietto del cuneo fiscale.
Il cuore economico e politico della Legge di Stabilità consiste nella riduzione del cuneo fiscale, cioè della differenza tra il costo che mediamente le imprese sostengono per ogni lavoratore e il salario netto che entra nelle tasche del lavoratore stesso. Una differenza dovuta, naturalmente, al peso di tasse e contributi che gravano sulle tasche degli imprenditori e dei lavoratori, e che in Italia è piuttosto elevato (secondo l'OCSE il cuneo assorbe il
La trappola della clausola di salvaguardia.
«La Legge di stabilità 2014 riduce sin dal 2014 la pressione fiscale su cittadini e imprese ed in totale scenderà dal 44.3 per cento al 43,8 per cento nel 2015 e al 43,3 per cento nel 2016.».
Di più. Nonostante il Governo si sia prodigato fino ad oggi a comunicare, come un mantra, il mancato innalzamento delle tasse legato alla suddetta riduzione della pressione fiscale possibile grazie ad una ridefinizione della spesa pubblica, nella realtà molti, i sindacati in testa, hanno scoperto l'arcano che si cela nel testo e cioè l'insidiosa clausola di salvaguardia.
Questa infatti come una spada di Damocle, minaccia il capo dei contribuenti poiché diventerebbe operativa, manco a dirlo, nel caso in cui non dovesse abbassarsi la spesa pubblica, evento, stando allo stato dei conti pubblici, praticamente quasi certo.
Tax expenditures ( o «spese fiscali») è un termine che suona come un inglesismo tecnico, ma che è destinato a divenire protagonista nel dibattito politico ed economico italiano, con importanti ricadute sui contribuenti, trattandosi, molto più semplicemente di detrazioni o deduzioni all'Irpef oppure ad altre imposte tese, nella loro originaria concezione, a ridurre il carico fiscale su cittadini ed imprese.
Negli ultimi anni sono tornate alla ribalta perché protagoniste di un progetto virtuoso, frutto dell'allora ministro Tremonti, e della sua creatività, quello di sfrondarle per ampliare la base imponibile e finanziare, attraverso il maggiore gettito che ne deriverebbe, la riduzione delle
Nessuna reale misura per lo sviluppo e il lavoro.
Rimane l'errore economico di assegnare alla riduzione del cuneo fiscale (fatto in questa modo) le prospettive del rilancio economico.
Le altre misure per lo sviluppo sono poi da cercare con il lanternino, almeno che non si creda che la «riduzione» del costo del lavoro, il «risparmio» di imposta pari a 5,6 mld di euro possano produrre un salto nei consumi delle famiglie e nella capacità di investimento delle imprese.
Di politiche per il lavoro non c’è traccia (a parte le risorse – del tutto insufficienti – dovute per la cassa integrazione in deroga): anzi ce ne sono, ma con il segno negativo. Il blocco dei contratti dei dipendenti della Pubblica Amministrazione nel 2014 e del turn over fino al 2018 significherà da una parte una perdita netta di reddito di qualche punto di reddito per centinaia di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie e dall'altra una diminuzione di efficienza della Pubblica Amministrazione e la perpetuazione di rapporti di lavoro precari e a tempo determinato.
Di politiche industriali c’è pochissimo (la proroga di un anno del bonus edilizio ed energetico, che ancora non viene stabilizzato) mentre la spesa pubblica continua ad essere massacrata: ben 7-8 miliardi di tagli (in gran parte lineari) nel 2014, ancora tutti da verificare, ma almeno la sanità si è salvata (anche se solo per il 2014). Però di soldi pubblici se ne stanziano per le navi da guerra (ben 5 miliardi nei prossimi 15 anni) e per altri grandi opere (3 miliardi), tra cui i 400 milioni inutili al MOSE. Tra le entrate ci sono le dismissioni: nella legge di stabilità ce ne sono per 3,2 miliardi di euro, anche se la
Una manovra economica a sovranità limitata.
Lo scopo principale della manovra è restare dentro i tanto discussi vincoli europei, e in particolare tenere il deficit pubblico (la differenza annua tra uscite ed entrate pubbliche) entro il limite del 3 per cento del Pil. In Europa sono in atto processi cumulativi di divergenza territoriale alimentati dalle politiche di austerità. Questi processi portano a una divaricazione drammatica tra aree centrali in crescita (in primis, la Germania) e aree periferiche in declino (l'Italia e gli altri Piigs).
I veri vincoli ad adottare politiche fiscali espansive vengono non solo dall'Europa ma anche dalla Costituzione (il nuovo articolo 81) dove abbiamo voluto (Governo Berlusconi, ma con l'appoggio anche del PD) inserire il criterio del pareggio strutturale di bilancio. Per questo la Legge di stabilità contiene il disavanzo nel 2014 al 2,5 per cento, quando l'Europa ci chiederebbe solo di stare sotto al 3 per cento. Così la manovra perde 8 miliardi che potevano essere destinati alla riduzione del cuneo fiscale. Rimarremo uno dei paesi Ocse in cui le tasse su chi lavora e ha figli sono più alte.
La politica europea del Governo Letta.
Nel momento del suo insediamento, il governo Letta dichiarava che il suo successo lo avrebbe realizzato sul terreno europeo, perché è solo in ambito europeo che è possibile una uscita dalla crisi e l'avvio di una ripresa economica. Ora, dopo sei mesi di governo, Letta sembra ripiegare sulle riforme strutturali, che rimane il mantra delle politiche di austerità espansiva, con l'assicurazione che ciò avverrà nel rispetto della neutralità del bilancio pubblico, in altri termini con il bilancio in pareggio.
Se questo è l'approccio che Letta adotterà nella sua futura presidenza del Consiglio Europeo dal giugno al dicembre 2014, non dovremo attenderci grandi svolte nella politica dell'austerità espansiva, e vedremo i singoli stati lasciati a dibattersi con i loro vincoli di bilancio.
L'idea che con le politiche di austerità si contrasti la «dissolutezza fiscale» delle economie periferiche e che con le riforme strutturali si migliorino i fondamentali e si pongano le basi della ripresa successiva appare grandemente infondata. I sacrifici
Una politica per il lavoro inesistente(1) e penalizzante per il pubblico impiego.
(1) Vedi audizione della CGIL presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato.
Data per buona l'intenzione di rilancio di consumi e investimenti, le risorse destinate all'aumento delle detrazioni IRPEF per i lavoratori dipendenti e al taglio del cosiddetto cuneo fiscale (in tutto 10,6 miliardi di euro in tre anni) non possono sortire gli effetti economici desiderati.
L'aumento relativo del reddito disponibile nelle famiglie di lavoratori – e qui pesa significativamente l'esclusione dei pensionati, oltre 11 milioni di contribuenti IRPEF – non può portare a un forte aumento dei consumi sui prodotti interni (con un ulteriore «effetto di sostituzione» e minori importazioni); mentre il minor costo del lavoro per unità di prodotto potrebbe garantire una maggiore competitività delle nostre produzioni e il rilancio delle esportazioni prevalentemente per le imprese non in crisi, con produzioni ed esportazioni già competitive. Le potenziali nuove assunzioni a tempo indeterminato, per effetto della mirata deducibilità IRAP, potrebbero aumentare monte salari e domanda interna, anche se – in assenza di nuovi investimenti e nuova accumulazione di capitale – i posti di lavoro a disposizione sono esigui e si contano solo tra i «posti vacanti», cioè sull'incontro domanda/offerta, spostando in misura irrilevante il tasso di disoccupazione (-0,1 per cento nel tasso generale e -0,6 per cento in quello giovanile per circa 10mila nuovi occupati).
In tal senso, la speranza di nuovi investimenti (in quantità e qualità) va riposta sui fondi comunitari, che per l'Italia tra diverse poste valgono 110 miliardi di euro (di cui 54,8 miliardi previsti per il Fondo Sviluppo e coesione) nel periodo 2014-2020. La Commissione europea pone dei vincoli macroeconomici, intesi come crescita della specializzazione produttiva verso settori ad alto contenuto tecnologico e di conoscenza, che possono rilanciare la crescita, così come evidenziato anche dal piano nazionale. Sin da ora si dovrebbe, però, cogliere la questione sollevata dalla Commissione europea orientando il rafforzamento delle imprese in tale direzione, magari non attraverso politiche, trasferimenti o incentivi tradizionali, che hanno dimostrato di non portare ad un apprezzabile aumento dell'occupazione stabile.
Anche laddove avessero pieno utilizzo i Contratti di sviluppo, i fondi europei, gli sgravi fiscali, l'allentamento del Patto di stabilità interno e le altre leve di politica industriale previste in manovra, i moltiplicatori degli investimenti verrebbero ridimensionati dalla citata contrazione della domanda pubblica, peraltro in continua flessione dal 2008 e diminuita nel 2011 e nel 2012 persino in termini nominali, cosa che non accadeva da 60 anni.
Nella Legge di stabilità le norme sul pubblico impiego valgono circa 1,5 miliardi (2). Misure ormai abusate, come blocco del turn over e della contrattazione, permettono di contenere la spesa; mancano però gli interventi per una maggiore efficienza del lavoro, a partire dall'abbandono di una politica di tagli lineari nelle pubbliche amministrazioni.
(2) Vedi articolo di Luigi Oliveri su Lavoce.info.
Il giudizio di scarsa incisività attribuibile in generale al disegno di Legge di stabilità per il 2014 vale in modo particolare per uno dei suoi capisaldi, l'intervento dedicato al contenimento della spesa del personale pubblico.
Complessivamente, il valore delle norme relative al pubblico impiego è stimato in circa 1,5 miliardi. Se l'intento della Legge di stabilità non era solo il contenimento della spesa, ma anche il tentativo di rilanciare produttività e capacità di sostenere sviluppo ed economia mediante la maggiore efficienza del lavoro pubblico, i risultati sono molto diversi.
Il disegno di legge, infatti, sembra caratterizzato da un atteggiamento di difensiva. Il Governo si è ben guardato dall'immaginare strumenti di innovazione organizzativa e ha finito per toccare tasti e leve ormai abusati, per altro incorrendo in non
Nessuna soluzione definitiva sugli esodati, poche le risorse per gli ammortizzatori sociali.
La legge di stabilità non prevede nessun avanzamento per la soluzione del problema dei lavoratori cosiddetti «esodati». Riteniamo invece che il problema dei lavoratori «esodati» vada risolto in maniera strutturale con una norma di principio che riconosca il diritto di tutti alla pensione e, in tal senso, abbiamo proposto una soluzione generale che potesse coprire l'intera platea dei 390 mila lavoratori indicati dall'INPS (anche se su tale numero non vi è certezza).
Viene incrementato di 20.000 unità il contingente numerico dei prosecutori volontari da salvaguardare previsto dal decreto interministeriale del 22 aprile 2013 (attuativo dell'articolo 1, commi 231 e 232 della legge di stabilità 2013).
Il numero dei prosecutori volontari passa quindi da 1.590 a 7.590. La norma è minimale e sicuramente non risolve l'emergenza sociale della vasta platea dei lavoratori cosiddetti «esodati». Nonostante una certa enfasi attribuita all'incremento del contingente numerico della platea dei lavoratori salvaguardati l'analisi di dettaglio del testo della relazione tecnica della legge di stabilità nella versione del Governo (AC 1865) evidenzia che, nei fatti, non c’è alcun allargamento. Ci si è limitati a dare attuazione a una «interpretazione estensiva» della disposizione esplicitata in sede di decreto attuativo, sulla base degli stessi elementi amministrativi. Ciò è evidente anche dall'impatto minimo in termini d'incremento della spesa pensionistica e dal fatto che la misura non produce alcun maggior onere per il bilancio dello Stato, intervenendo esclusivamente sui saldi delle gestione pensionistica. Nella stessa relazione tecnica si mette in evidenza che, comunque, gli oneri a carico della gestione pensionistica non sono significativi in considerazione del fatto che si è ridotto il potenziale beneficio per il ritardato intervento della salvaguardia.
Si sono poi aggiunti con un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera circa 17.000 lavoratori ma nel limite di una spesa di 950 milioni di euro da qui al 2020.
Abbiamo chiesto, dunque, che chiunque, per qualunque ragione, entro il 31 dicembre 2011 abbia perso il posto di lavoro, oppure abbia sottoscritto accordi che avevano come sbocco il licenziamento futuro, possa andare in pensione con i vecchi criteri, se i requisiti pensionistici saranno maturati entro il 31 dicembre 2018. In tal modo si intende sopperire all'assenza nella riforma della previdenza di disposizioni transitorie.
La grande questione sociale apertasi con i lavoratori cosiddetti «esodati» potrebbe essere risolata utilizzando i maggiori risparmi derivanti dalla «manovra»/
Il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga.
Si prevede il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga per 600 milioni di euro. Lo stanziamento si somma
Dove sono le risorse per la scuola, l'università, la ricerca e la cultura?
Cinque anni consecutivi di tagli sui conti della scuola non si cancellano con l'assicurazione che non ce ne saranno altri: un impegno che l'Esecutivo ritiene di mantenere anche nella Legge di Stabilità 2014. Mentre sindacati, insegnanti e studenti danno un'altra lettura: nella Legge di Stabilità non ci sono risorse per la scuola aggiuntive a quelle già previste dal Decreto Carrozza n.104/2013, convertito in Legge n. 128/2013 (Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca): le risorse già stanziate pari a 450 milioni di euro rappresentano soltanto un primo passo perché, distribuite su tre anni, servono per la stabilizzazione di 27 mila docenti precari di sostegno e per un piano di immissioni in ruolo di 42 mila docenti e 16 mila Ata ma sono assolutamente insufficienti.
La Legge di Stabilità 2014 avrebbe dovuto andare ben oltre, ma non c’è alcun impegno mentre per la Scuola, ma non solo, servono investimenti, correzioni di rotta reali, investimenti concreti per un piano pluriennale di crescita e sviluppo, compresa la risoluzione reale del problema del precariato.
Nel contingente riteniamo decisiva, tra le altre questioni, la salvaguardia del Fondo per il Miglioramento dell'Offerta Formativa (MOF) che, invece, corre il rischio di subire e per il secondo anno consecutivo una un'ulteriore decurtazione. Le risorse contrattuali del MOF costituiscono la sola posta finanziaria che, prima dei tagli dei precedenti Governi, ha contribuito a garantire un servizio di qualità e l'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica delle Scuole, consentendo di rispettare il patto sociale sottoscritto con le famiglie.
Non devono essere reiterati tagli orizzontali di risorse che minerebbe alla base l'esercizio, sia pur assai ridotto, dell'autonomia scolastica, ricercando diversamente e doverosamente la copertura finanziaria per gli scatti di anzianità maturati nell'anno 2012 e 2013 dal personale scolastico, le cui retribuzioni sono ormai ferme dal 2007. Un'ulteriore ingiustizia che, insieme al rinnovato blocco del CCNL, si abbatterebbe sul personale della scuola minandone il senso di responsabilità e la motivazione ad affrontare sempre con meno risorse a disposizione le difficili sfide e la complessità della Scuola di oggi che, invece, tutti a parole mettono al primo posto dei programmi elettorali e degli impegni politici.
Il mancato rinnovo del contratto nazionale di lavoro si è tradotto, dal 2009 a oggi, in una svalutazione del 10 per cento del salario del personale della scuola; il solo blocco degli scatti di anzianità costa al personale 350 milioni di euro l'anno in termini di mancato guadagno; mentre per la formazione sono previsti pochi milioni
Il cuneo fiscale: poco più che uno spot pubblicitario e un'occasione persa per un fisco più equo (3).
(3) Vedi gli articoli di Fernando Di Nicola – Politica e economia – 1o dicembre 2013, e di Ruggero Paladini su www.nens.it.
In Italia le aliquote della tassazione sono nettamente superiori alla media degli altri paesi dell'area dell'euro anche per l'esigenza di compensare il mancato gettito causato dalle attività irregolari e dall'evasione fiscale. Quest'ultima penalizza i contribuenti onesti, non giova all'efficienza allocativa del sistema economico, ostacola il perseguimento di uno sviluppo solido e duraturo.
L'imposta sui redditi delle persone fisiche, l'Irpef, copre da sola quasi un terzo delle entrate (crea un gettito pari a 160 mld) ed è il principale strumento in grado di perseguire la progressività del sistema tributario (4). Resta aperta un'ampia gamma di obiettivi che possono essere raggiunti attraverso la modifica della struttura di questa imposta, per esempio: la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, l'attenuazione dell'area della povertà, la realizzazione del profilo desiderato di progressività lungo l'intero spettro dei redditi.
(4) È stato più volte dimostrato, ad esempio, che la seconda imposta per gettito, cioè l'IVA, è regressiva in rapporto al reddito.
La Legge di stabilità prevede l'introduzione di tre novità che riguardano l'Irpef: le detrazioni per il lavoro dipendente e assimilato (tra cui figurano i collaboratori continuativi); una modifica delle aliquote degli oneri detraibili; il reinserimento parziale nell'imponibile dei redditi catastali di taluni immobili a disposizione.
Come è noto i lavoratori dipendenti sono tanti (circa venti milioni), ed i loro redditi reggono il gettito della nostra principale imposta, l'IRPEF. D'altra parte le risorse messe a disposizione dalla legge di stabilità sono quelle che sono, cioè molto scarse. Il governo ha scelto di agire sulla struttura della detrazione per lavoro, il che per un verso è ragionevole, anche se ha il serio difetto di escludere circa quattro milioni di lavoratrici e lavoratori parasubordinati o part-time che già oggi sono ad imposta netta nulla.
Le detrazioni per i lavoratori sono la variabile principale che modifica l'incidenza del prelievo per il complesso dei redditi del contribuente. A partire dalla scala delle aliquote nominali, tenendo conto delle detrazioni ammissibili, possiamo calcolare le aliquote marginali effettive che misurano quanto varia l'imposta al variare del reddito complessivo del contribuente (5). Influenzano inoltre l'offerta di lavoro del contribuente ed il relativo prodotto e guadagno.
(5) Incidenza del prelievo individuata dal rapporto tra i totali di imposta e reddito, cioè dall'aliquota media.
A detta di molti, le aliquote marginali effettive costituiscono oggi uno dei principali difetti dell'Irpef, in quanto assumono livelli già elevati (attorno al 30 per cento per dipendenti, collaboratori, pensionati) per i redditi più bassi, per poi crescere, a partire dalla cifra modesta di 28 mila euro lordi annui, attestandosi su
(6) Si ricordi che l'attuale scala delle aliquote Irpef prevede un'aliquota del 23 per cento per i redditi fino a 15000 euro annui; il 27 per cento, tra 15000 e 28000 euro; il 38 per cento, tra 28000 e 55000 euro; il 41 per cento, tra 55000 e 75000 euro; il 43 per cento oltre i 75000 euro.
(7) Senza contare le addizionali regionali e comunali, la riduzione delle detrazioni spettanti per carichi familiari e la riduzione degli eventuali assegni familiari, oltre al 9 per cento circa di contributi previdenziali a carico.
Questo livello rimane sostanzialmente lo stesso fino al raggiungimento dei 28 mila euro (il valore mediano della distribuzione dei redditi). Superata questa soglia, l'aliquota marginale effettiva sale al 41 per cento e sino al 43 per cento, con oscillazioni trascurabili, fino ai massimi livelli di milioni di euro.
Si viene così a configurare un'imposta sulle persone fisiche che, di fatto, è fondata su una soglia di esenzione (8 mila euro per dipendenti e collaboratori) e su due sole aliquote effettive: quella superiore opera di fatto in maniera indifferenziata non appena si superino i 28 mila euro lordi.
Questa anomalia, che non trova riscontro nei principali paesi europei, determina anche un innalzamento del cuneo fiscale ed un disincentivo all'offerta di lavoro regolare per i livelli bassi e medi di reddito (quelli cioè più sensibili agli incrementi di reddito disponibile).
Con la modifica prevista dalla Legge di stabilità, le detrazioni per i lavoratori calerebbero al crescere del reddito, ma di meno rispetto a ciò che prevede la normativa ancora in vigore; di conseguenza, l'aliquota marginale effettiva scenderebbe al 27,6 per cento per i redditi compresi tra 8 mila e 15 mila euro, e si avrebbe dunque una riduzione di 2,6 punti rispetto all'attuale 30 per cento. Si tratta di una riduzione modesta, che in termini di sgravio osservabile in busta paga si spalma sui redditi fino a 55 mila euro; essa però non contrasta con un'idea di riforma dell'Irpef che ridisegni la progressività realizzando aliquote marginali effettive realmente crescenti.
Il timido ridisegno della progressività appena descritto è stato poi ancora modificato al Senato, per attenuare il carico fiscale di particolari contribuenti (quelli a ridosso dell'attuale soglia di esenzione). Si è ottenuto così un impercettibile aumento del beneficio su un numero minore di beneficiari, che però ha determinato effetti indesiderati, quali un ulteriore innalzamento dell'aliquota marginale fino al 42,5 per cento sui redditi tra 28 mila e 35 mila euro.
Va notato che questo tipo di interventi – se realizzati con un innalzamento della soglia esente, oppure con un aumento delle detrazioni per carichi di famiglia – contrastano con l'obiettivo della riduzione delle aliquote marginali effettive; in qualche caso ciò potrebbe perfino aggravare la situazione (8).
(8) È quanto avverrebbe se ad esempio si alzasse la soglia di esenzione, ma poi si accentuasse, per contenere la perdita di gettito, la decrescenza delle detrazioni spettanti, con ciò innalzando l'aliquota marginale implicita e quindi quella effettiva; oppure se fosse semplicemente innalzata la detrazione potenziale per ciascun figlio a carico, per questa via aumentando, e non riducendo, l'aliquota marginale implicita.
La Commissione del Senato ha infatti approvato una proposta di Rita Ghedini che riformula in modo integrale la struttura
Redditi imponibili Aliquote effettive
Da 0 a 8.164 0
Da 8.165 a 15.000 27,50
Da 15.001 a 28.000 31,50
Da 28.001 a 35.000 42,50
Da 35.001 a 55.000 41,34
Da 55.001 a 75.000 41
Da 75.001 in poi 43
Il fatto che si sia passati da una struttura sostanzialmente a due scaglioni (o due e mezzo considerando anche l'ultimo) a sei scaglioni effettivi con aliquote maggiori di zero (cioè a parte la prima) è un fatto che in sé può essere valutato positivamente. Piuttosto è un problema il fatto che il nuovo scaglione da 28.001 a 35.000 abbia un'aliquota maggiore dei due successivi di oltre un punto percentuale. In precedenza il difetto era limitato a meno di mezzo punto. Correggere questo difetto (introducendo formalmente lo scaglione da 28.001 a 35.000 per tutti i contribuenti e abbassando l'aliquota a 37 per cento) costa però un miliardo.
Occorrerebbe intervenire sulla parte media e alta della distribuzione dei redditi, attenuando l'incidenza del prelievo sui redditi mediani ed accentuandola su quelli davvero elevati (sopra i 100mila o 150mila euro) (9)[6], ottenendo per questa via una significativa progressività.
(9) Tecnicamente l'effetto desiderato si potrebbe ottenere differenziando le aliquote oggi troppo simili su un range di reddito enorme (41 per cento effettivo dai 28 mila euro in su, e 43 per cento oltre i 75 mila euro) ed assorbendo il contributo di solidarietà (di oscuro impatto in quanto deducibile) operante sopra i 300mila euro.
La Legge di stabilità prevede anche, a parziale compensazione dello sgravio, una riduzione delle detrazioni da oneri (oggi pari al 19 per cento di quanto speso) che scenderebbero nel giro di due anni al 17 per cento. Si tratta di detrazioni che «premiano» spese di diverso genere (mutui casa, spese sanitarie, donazioni e tante altre fattispecie), sostenute tendenzialmente dai contribuenti con livelli più elevati di reddito; per questi motivi, i benefici delle detrazioni da lavoro (stimati in 1,7 miliardi) e i maggiori carichi da detrazioni per oneri (0,6 miliardi a regime) sarebbero sommabili solo in piccola parte, operando spesso su contribuenti diversi. Anche in questo caso lo sgravio non modificherebbe le aliquote marginali effettive: chi ha sostenuto quelle spese beneficia della relativa detrazione e del conseguente sgravio, ma un eventuale incremento di reddito continuerebbe a subire le stesse aliquote marginali effettive.
Infine, il reinserimento parziale nella base imponibile Irpef dei soli redditi da abitazioni tenute a disposizione nello stesso Comune di residenza, rappresenta un modo poco coerente e non risolutivo di tener conto delle ragioni di chi – come chi scrive – auspica un'applicazione del principio del reddito complessivo e, al contempo, è sensibile ai problemi derivanti da una molteplicità di imposte sugli immobili senza una ragionata valutazione del carico complessivo ed un'esplicita scelta di politica fiscale (10).
(10) Si segnala che anche con questa modifica permarrebbe l'inserimento «a macchia di leopardo» dei redditi immobiliari nel reddito complessivo Irpef, con disparità di trattamento tra contribuenti affini, per livello e per tipo di reddito.
Una osservazione finale sull'IRPEF: la struttura della nostra imposta è molto opaca; nel Libro Bianco del 2008 (L'imposta sul reddito delle persone fisiche e il sostegno alle famiglie) vengono spiegate le varie fasi che ne hanno complicato l'architettura. Un'operazione di trasparenza richiederebbe detrazioni fisse per tutti e stesse aliquote marginali per uguali redditi. Il peso dell'imposta andrebbe ridotto; ma allora servono risorse almeno dieci volte maggiori di quelle messe in campo dal governo.
La riforma della tassazione immobiliare.
Con la riforma della tassazione immobiliare il sistema impositivo comunale cambia volto per la quarta volta nel giro di un paio di anni: a seguito dell'introduzione dell'Imu, nel 2012, della Tares nel 2013 e dell'abrogazione della prima rata dell'Imu sull'abitazione principale per l'anno in corso.
La nuova disciplina della «service tax per il 2014» denominata dal provvedimento TRISE costituisce però la vera incognita di questa riforma inclusa nella legge di stabilità per il 2014.
Infatti l'aliquota base della componente sui servizi indivisibili della TRISE, e denominata TASI è pari allo 0,1 per cento, percentuale che i comuni avranno la facoltà di innalzare fino allo 0,25 per cento per le abitazioni principali e fino all'1,16 per cento, Imu compresa, sugli altri fabbricati.
La risposta, pertanto, se i cittadini pagheranno di più rispetto alla congedata IMU, che continuerà ad applicarsi su tutti gli immobili ad eccezione delle abitazioni principali, non la scriverà il Governo, ma i sindaci, che dovranno disciplinare nei dettagli i due nuovi tributi – la TARI sui rifiuti e la TASI sui servizi.
Infatti, i margini di manovra dei Comuni sono molto ampi ma anche molto aleatori. L'esperienza dell'Imu impone cautela di fronte alla facoltà di azzerare la TASI, ed insegna che non sempre uno sconto possibile si traduce in uno sgravio concreto, tanto più se le amministrazioni locali sono in affanno finanziario.
La manovrabilità dell'aliquota IMU oscillava tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento, ma era associata ad una detrazione di 200 euro per l'abitazione principale, maggiorata di 50 euro per ogni figlio.
Con la TASI, senza queste previsioni, per le abitazioni con rendita catastale molto bassa abitate da famiglie molto numerose, il conto potrebbe anche aumentare. Su tutti gli altri immobili, invece, l'aliquota massima della Tasi sarà determinata in funzione dell'Imu: di fatto, la somma delle due imposte non potrà superare il livello massimo dell'Imu 2013, maggiorato dello 0,1 per cento, quindi l'1,16 per cento in totale.
A fronte di tale simulazione, lo scenario più verosimile è che i Comuni saranno costretti a centellinare e selezionare con una certa attenzione, le agevolazioni senza poter prevedere esenzioni generalizzate dalla Tasi.
In questo senso, le delibere adottate nel passato dai Comuni per applicare l'Imu offrono un buon campionario di possibili agevolazioni od aumenti come la differenziazione dell'aliquota in base all'utilizzo dell'immobile (abitazione principale, o immobile locato o a disposizione), in base alla categoria catastale (soluzione adottata per agevolare negozi e laboratori artigianali o per penalizzare le abitazioni di pregio).
D'altra parte la scelta di rendere i governi locali responsabili della tassazione immobiliare trova sostegno nella letteratura sul federalismo fiscale, poiché la qualità dell'amministrazione locale e gli
investimenti da essa effettuati si riflettono sul valore degli immobili, cosicché essa è incentivata a erogare servizi pubblici in modo più efficace ed efficiente, vedendosi accrescere anche le loro entrate.
Anche la disciplina di bilancio ne esce rafforzata, perché la tassazione immobiliare risulta assai «visibile» agli elettori, che possono tenerne conto sia al momento del voto che quando scelgono dove risiedere.
L'Ambiente (11) rimane Cenerentola.
(11) Prendiamo molto del materiale di questo paragrafo dal documento del WWF sulla legge di stabilità: ovviamente la responsabilità di quanto scritto in questa relazione ci compete.
Questo Governo ha deciso di destinare alle misure in campo ambientale – difesa mare, difesa suolo, bonifica siti inquinati, depurazione delle acque, aree protette, CITES, convenzione internazionale sul commercio delle specie a rischio, e finanziamento ISPRA, Istituto per la Protezione e la Ricerca ambientale, 140 milioni di euro complessivi, in cifre assolute.
Il Governo, nel solco dei vari Governi Berlusconi e Monti, sulle politiche di intervento nei settori tradizionali delle infrastrutture e dei trasporti e dell'energia, non fa alcuna proposta innovativa e non si discosta dagli indirizzi pianificatori dettati rispettivamente dal Primo programma delle infrastrutture strategiche del 2001 e dalla Strategia Energetica Nazionale, approvata definitivamente nel marzo 2013.
Se poi si va a vedere cosa ci sia dietro a quei 140 milioni destinati dalla Legge di Stabilità 2014, si nota che nulla c’è di nuovo per gli interventi nelle Aree protette che rimangono inchiodati in Tabella C attorno ai 5,8 milioni di euro, mentre nulla è ancora una volta è garantito per le Aree marine protette, avendo per fortuna già portato in salvo negli anni passati il funzionamento ordinario dei parchi terrestri.
Anche per contrastare il commercio illegale delle specie a rischio, protette dalla Convenzione internazionale CITES nel 2014 si destinano in Tabella C solo 47.000 euro quando nella Legge di Stabilità 2011 la cifra destinata a contrastare uno dei traffici illeciti che più alimenta gli affari della criminalità organizzata era circa 5 volte superiore (218.000 euro).
Nessun segnale invece sulla attuazione della Strategia Nazionale della Biodiversità, approvata nell'ottobre 2010, che doveva portare ad una più diffusa protezione della natura, a cominciare dai siti della Rete Natura 2000, di derivazione comunitaria, e delle reti ecologiche e tutelare le risorse che forniscono i servizi eco sistemici che garantiscono il progresso del nostro Paese (l'Italia è il paese europeo con la più ricca biodiversità d'Europa).
Sui controlli ambientali, che fanno capo all'ISPRA, le cifre destinate dalla Legge di Stabilità 2014 sono decisamente troppo contenute, attestandosi per l'anno prossimo in Tabella C in poco più di 25,5 milioni di euro. Erano 90 milioni nella Legge di Stabilità 2011, con una riduzione in questi anni di oltre i 2/3.
Da registrare, infine, un elemento positivo di novità nei 10 milioni di euro destinati dal comma 67 dell'articolo unico del Ddl sulla Legge di Stabilità 2014 (AC 1865) a potenziare prioritariamente la depurazione dei reflui urbani, nell'ambito delle attività per la tutela e la gestione della risorsa idrica. O anche i 30 milioni di euro stanziati nel comma 68 per il piano per la messa in sicurezza, bonifica e riparazione del danno ambientale delle discariche abusive finanziato con un apposito Fondo costituito presso il Ministero dell'ambiente.
Ma, come dicevamo, non c’è alcuna revisione sostanziale delle politiche in materia di infrastrutture e di trasporti, quando si consideri che poco più di 2,8 miliardi di euro vengono destinati alle cosiddette infrastrutture strategiche, garantendo ancora lo sviluppo, in gran parte indiscriminato e incontrollato, delle grandi opere, che ha visto lievitare il Primo Programma delle Infrastrutture Strategiche dai 125,8 miliardi di euro, per 115 opere, del 2001 ai 390 miliardi di euro, per 375 opere, del settembre 2012, pur di soddisfare gli appetiti dei potentati locali, dei grandi studi
Per la messa in sicurezza del nostro territorio, un'occasione persa.
Con la legge di stabilità in esame, si è ancora una volta persa l'occasione per avviare un piano pluriennale per la messa in sicurezza del nostro territorio e per il contrasto al dissesto idrogeologico quale vera e prioritaria «grande opera» infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale.
I sempre più frequenti fenomeni alluvionali e calamitosi – la Sardegna rappresenta l'ultimo e drammatico esempio – che colpiscono il nostro Paese, mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del nostro territorio e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile pianificazione urbanistica.
Peraltro gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto, sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni ’90, a 4-5 l'anno.
Ricordiamo che il Ministero dell'Ambiente, sulla base dei dati dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno e, complessivamente, più di quanto servirebbe per realizzare l'insieme delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico e quantificate in 40 miliardi di euro.
La legge di stabilità, pur individuando positivamente opportune modalità e un crono programma volto ad accelerare l'utilizzo delle risorse (circa 1,4 mld.) già previste per dette finalità, stanzia risorse «nuove» per la difesa per solo 30 milioni per l'anno 2014, 50 milioni di euro per il 2015 e 100 milioni per l'anno 2016.
i 27,6 milioni di euro per il 2014 sono risorse già giacenti sulla contabilità speciale per il dissesto;
i 23,52 milioni stanziati, sono risorse già assegnate alla Regione Sardegna dalla delibera Cipe 8/2012 sul dissesto idrogeologico;
l'esclusione dal patto di stabilità dei suddetti 23,52 milioni di euro, sono coperti con una diminuzione per il 2014 delle risorse a favore del Ministero dell'Ambiente (riportate dalla Tabella B della legge di stabilità) e che sono finalizzate principalmente a interventi a favore della difesa del suolo, interventi di bonifica e ripristino dei siti inquinati;
le risorse per il ripristino di ponti e strade danneggiate, altro non sono che l'anticipazione delle risorse previste per il «programma degli interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione ad ANAS SpA».
Il governo privilegia il termoelettrico.
È positiva la proroga delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie e per l'efficientamento energetico, anche se non si prevede alcuna stabilizzazione nel tempo di dette detrazioni come da sempre richiesto, e come ha previsto il comma 1, articolo 15, del decreto legge 63/2013: «Nelle more della definizione di misure ed incentivi selettivi di carattere strutturale, da adottare entro il 31 dicembre 2013, finalizzati a favorire la realizzazione di interventi per il miglioramento, l'adeguamento antisismico e la messa in sicurezza degli edifici esistenti, nonché per l'incremento dell'efficienza idrica e del rendimento energetico degli stessi ...».
Poco per le aree protette ed i parchi.
Le risorse assegnate alle aree protette e ai parchi, si confermano anche quest'anno del tutto insufficienti. Con le risorse assegnate dalla legge di stabilità, dovrebbero essere assicurati non soltanto il funzionamento dei parchi nazionali esistenti, ma anche quello delle Riserve Naturali dello Stato, del Parco tecnologico ed archeologico delle colline metallifere grossetane, del Parco museo delle miniere dell'Amiata, ecc.
Peraltro i parchi e le aree protette rappresentano, tra l'altro, un motore economico di aree talora depresse e forma di tutela della natura che oltretutto attira turisti con conseguente giro d'affari.
Insufficienti si rivelano anche le risorse assegnate all'ISPRA. Risorse che non consentono all'Istituto di poter svolgere compiutamente gli importanti compiti di controllo che è tenuto a svolgere.
Per quanto riguarda lo Stato di previsione del Ministero dell'ambiente si rileva un aumento delle risorse a favore del Programma 18.12 (Tutela e conservazione del territorio e delle risorse idriche, trattamento e smaltimento rifiuti, bonifiche) e del Programma 18.13 (Tutela e conservazione della fauna e della flora, salvaguardia della biodiversità e dell'ecosistema marino). Contestualmente si ha una riduzione del Programma 18.3 (Prevenzione e riduzione integrata dell'inquinamento) di circa 17 milioni di euro; una riduzione del Programma 18.5 (Sviluppo sostenibile) di 10,9 milioni di euro (-16,3 per cento); una diminuzione del Programma 18.8 (Vigilanza, prevenzione e repressione in ambito ambientale) per circa 1,9 milioni di euro; una riduzione del programma 17.3 (ricerca in materia ambientale) di 2,7 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2013 (pari al 3,1 per cento).
Risposte insufficienti ai disagi sociali e alla crescente povertà.
La legge di stabilità in esame non da adeguate risposte al crescente impoverimento di ampi strati della nostra società e all'acuirsi delle condizioni di vita di moltissime persone, nonché agli inaccettabili
L'emergenza abitativa.
Nulla si prevede inoltre in materia di politiche abitative e di social housing, in grado di fornire una prima efficace risposta all'emergenza abitativa e un sostegno alle classi sociali più deboli ed esposte alla crisi.
Si prevede, peraltro, un piano di dismissioni di immobili pubblici al fine di consentire introiti non inferiori a 500 milioni l'anno nel triennio 2014-2016, laddove si sarebbe potuto disporre la destinazione di una quota parte degli introiti all'edilizia residenziale sociale pubblica.
Non è previsto alcuno stanziamento del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione, di cui alla legge 431/1998, in materia di locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo, un importante strumento legislativo in mano agli enti locali per consentire una integrazione economica per quella famiglie con redditi molto bassi che hanno difficoltà a pagare i canoni d'affitto.
Altri tagli al Servizio sanitario.
Va presa piena consapevolezza che il nostro Servizio sanitario in questi anni ha già dato, e non può sopportare ulteriori tagli e definanziamenti, pena il rischio di non poter garantire i livelli di assistenza e quindi l'equità nell'accesso alle prestazioni sanitarie da parte dei cittadini. Già adesso le regioni sottoposte a piani di rientro, faticano a garantire la qualità dell'assistenza e la stessa erogazione dei LEA.
A fronte di tagli pesantissimi volti a ridurre il peso della spesa sanitaria sul bilancio statale, il nostro servizio sanitario pubblico rimane comunque tra i meno costosi al mondo. Nelle statistiche internazionali, l'Italia si presenta con una spesa più bassa della media OCSE e della media Unione europea.
Nella precedente legislatura, il Governo Berlusconi ha previsto 20 miliardi di tagli, ai quali si aggiungono altri 10 miliardi di euro previsti dal successivo Governo Monti.
Per il periodo 2010-2015 si sono e saranno realizzati tagli rispetto alla spesa tendenziale che arrivano ad una cifra impressionante, intorno ai 30 miliardi di euro.
Dal 2001 al 2011 sono quasi 100 mila i posti letto tagliati negli ospedali del SSN, senza che contestualmente sia avvenuto un rafforzamento della medicina e dell'assistenza territoriale.
Se è vero che non vi sono tagli pesanti alla nostra sanità pubblica nella quantità imposta dai precedenti governi, è pur vero che la legge di stabilità per il 2014, non introduce alcuna inversione di tendenza rispetto alla prosecuzione del definanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale.
Accanto ai prossimi previsti tagli che avverranno con la spending review sulla quale sta lavorando il Commissario Cottarelli, vi è comunque – in questa legge di stabilità – una riduzione complessiva di un miliardo e 150 milioni dal 2015 del livello statale di finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Una riduzione conseguente al risparmio derivante dalle norme sul blocco dell'indennità di vacanza contrattuale sui valori in godimento al 31 dicembre 2013, e ad una serie di interventi sul trattamento accessorio del personale del Servizio sanitario nazionale.
Non è quindi vero che la legge di stabilità non impone ulteriori tagli alla sanità, come ha fin qui sostenuto anche la Ministra Lorenzin. Sul personale sanitario si applicano le stesse disposizioni che sono previste per tutto il pubblico impiego (indennità di vacanza contrattuale, blocco della contrattazione, trattamento economico accessorio, ecc.), disposizioni che si aggiungono a quelle già introdotte negli anni passati e che rendono ancora più critica la situazione del personale.
Questi «tagli» sul personale sanitario incidono inevitabilmente sui livelli di assistenza. Dopo anni di riorganizzazioni, incertezze, restrizioni e blocchi stipendiali, i professionisti della sanità risultano quasi ovunque sempre più penalizzati.
È evidente che oltre certi limiti, la richiesta di continui sacrifici non può che
il programma 20.1 – Prevenzione e comunicazione in materia sanitaria umana e coordinamento in ambito internazionale –, viene ridotto per il 2014 di 4,7 milioni euro;
una diminuzione di 8 milioni di euro riguarda il programma 20.2 – Sanità pubblica veterinaria, igiene e sicurezza degli alimenti (quasi tutta a carico degli interventi, soprattutto a carico del capitolo 5391 – Spese per il potenziamento della sorveglianza epidemiologica delle encefalopatie spongiformi trasmissibili, delle altre malattie infettive e diffusive degli animali, nonché del sistema di identificazione e registrazione degli animali);
il capitolo di bilancio n. 2406 – Progetto Ospedale territorio senza dolore non presenta stanziamenti nel triennio in esame; il programma 20.4 – Regolamentazione e vigilanza in materia di prodotti farmaceutici ed altri prodotti sanitari ad uso umano e di sicurezza delle cure – che nel 2013 presenta un dato assestato pari a 481 milioni di euro, sconta una diminuzione visto che le previsioni per il 2014 per il suddetto programma 20.4, si attestano ora a 448,4 milioni di euro.
Ancora risorse per i sistemi d'arma.
I commi da 21 a 24 dell'articolo 1 del disegno di Legge di Stabilità, a seguito delle modifiche intervenute al Senato, recano disposizioni in materia di programmi industriali di interesse delle Difesa. In particolare si dispone che, al fine di assicurare il mantenimento di adeguate capacità nel settore marittimo a tutela degli interessi di difesa nazionale e nel quadro di una politica comune europea, consolidando strategicamente l'industria navalmeccanica ad alta tecnologia, sono autorizzati contributi ventennali, di 40 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014, di 110 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015 e di 140 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico.
Inoltre è previsto che parte dei contributi già assegnati per il consolidamento della flotta navale siano destinati al finanziamento:
1) di programmi di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 3 della legge 808/1985 prevedendo due contributi ventennali rispettivamente di importo di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
2) della prosecuzione degli interventi in favore degli investimenti delle imprese marittime, già approvati dalla Commissione europea con decisione notificata con nota SG (2001) D/285716 del 1° febbraio 2001, è autorizzato un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014;
3) di progetti innovativi di prodotti e di processi nel campo navale avviati negli anni 2012 e 2013 ai sensi della disciplina europea degli aiuti di Stato alla costruzione navale n. 2011/C364/06, in vigore dal 1° gennaio 2012, con un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014.
Detti finanziamenti, in buona sostanza, sembrano confermare la prova provata della volontà di costruire nuove navi, non uscire dal costoso Programma FREMM, il che appare del tutto inaccettabile, se solo si considera l'aumento considerevole della tassazione previsto a copertura del provvedimento in esame, anche a seguito delle modifiche approvate in sede di esame del provvedimento presso il Senato della Repubblica.
Il comma 162 dell'articolo 1 provvede al rifinanziamento di 614 milioni per il 2014 del fondo per missioni internazionali di pace senza alcuna specificazione in merito alle missioni internazionali a cui il nostro Paese intenda partecipare.
Tale rifinanziamento, in mancanza di norme quadro sulle partecipazioni alle missioni internazionali appare ancora una volta vago e indeterminato anche alla luce della previsione nello stato dell'economia e delle finanze al capitolo 3004, nel fondo di riserva per le spese derivanti dalla proroga delle missioni internazionali di pace l'importo di 1.318,7 milioni di euro.
Tale importo a bilancio presupporrebbe la proroga di missioni come quella in Afghanistan in mancanza di una deliberazione del Parlamento, sottraendo risorse che potrebbero essere dispiegate per la cooperazione allo sviluppo ed i processi di pace anche in quel Paese.
La prospettiva dovrebbe essere quella del ritiro da tutte quelle missioni a chiara valenza aggressiva e di guerra e che non si iscrivono in una condizione, coordinata dalla comunità internazionale, di reale appoggio a situazioni in via di soluzione politica.
Il comma 170 dell'articolo 1 rifinanzia il fondo per la tenuta in efficienza dello strumento militare.
Tale fondo è finalizzato alla tenuta in efficienza dello strumento militare, mediante interventi di sostituzione, ripristino e manutenzione ordinaria e straordinaria di mezzi, materiali sistemi, infrastrutture, equipaggiamenti e scorte, per assicurare l'adeguamento delle capacità operative e dei livelli di efficienza ed efficacia delle componenti militari; nel testo originario al Senato, tale fondo veniva rifinanziato con 50 milioni, mentre nel testo licenziato viene ridotto a 30 milioni.
La scelta appare incoerente. Alla luce anche degli ingenti investimenti nel settore della difesa viene da chiedersi su quale modello di difesa sono riferiti tali investimenti se si riducono le spese per la manutenzione e l'esercizio.
Considerato il programma di spending review attuato anche al Ministero della Difesa, nella prospettiva di contenere le spese, tali ulteriori investimenti sopra richiamati e gli ulteriori tagli all'esercizio previsti nella legge di Stabilità evidenziano una visione strategica della difesa totalmente sbagliata e non in linea con le esigenze di un paese moderno e civile orientato al perseguimento della pace come anche sancito dal dettato costituzionale.
Andrebbero cancellati i programmi d'armamento iscritti a bilancio nel Ministero della difesa, come la partecipazione italiana al programma del cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter, inutile considerato il programma già avviato per acquisire i caccia Eurofighter; come andrebbe cancellato l'acquisto della seconda serie di sommergibili U-212.
Le somme liberate da tali inutili investimenti potrebbero essere impegnati per la riconversione dell'industria a produzione militare, sfruttando il già eccellente know-out accumulato in questi anni; per
Infrastrutture, Trasporti e Comunicazioni.
Per quanto riguarda lo Stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture si segnala che la missione relativa a «Infrastrutture pubbliche e logistica», stanzia circa 3,8 miliardi di euro per il 2014, con una diminuzione di 360,2 milioni di euro rispetto all'assestamento del 2013.
Il programma relativo ad «Opere strategiche, edilizia statale ed interventi speciali e per pubbliche calamità», con uno stanziamento di 2,7 miliardi di euro, risulta inferiore di 192,8 milioni di euro rispetto alle previsioni assestate 2013.
Accanto al finanziamento di interventi infrastrutturali condivisibili, per esempio l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, i provvedimenti in esame, continuano a stanziare ingenti risorse per le grandi opere laddove la vera e urgente priorità infrastrutturale dovrebbe essere individuata in un programma di messa in sicurezza del nostro territorio.
Il sistema «MOSE» viene finanziato con 151 milioni di euro per il 2014, 100 milioni per il 2015, 71 milioni per il 2016 e 79 milioni di euro per l'anno 2017.
Il progetto TAV può contare su 49 milioni di euro per il 2014, 243 milioni per il 2015, 141 milioni per il 2016, e 2 miliardi di euro dal 2017.
Si conferma così il consistente rifinanziamento per gli anni 2016, 2017 e successivi, della nuova linea ferroviaria Torino-Lione fino al 2019, opera inutile rispetto a quanto previsto dall'Europa, e del tutto incompatibile con l'ordine di priorità di destinazione delle risorse che dovrebbe essere applicato nell'agenda politica del Governo.
Nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e trasporti, la missione 13 «Diritto alla mobilità» subisce una serie di tagli in termini di competenza, che rischiano di avere pesanti effetti sul diritto alla mobilità dei cittadini. In particolare, alla missione relativa al «Diritto alla mobilità» sono destinate, per il 2014, risorse pari a 7,4 miliardi di euro, che sconta una riduzione di 795,8 milioni di euro rispetto alle previsioni dell'assestamento 2013. In tale ambito, il programma 13.6 (corrispondente al n. 2.7 della Tabella 10) relativo allo «Sviluppo e sicurezza della mobilità locale», sono appostati 5,6 miliardi di euro, con una riduzione di circa 245 milioni rispetto alle previsioni assestate.
Ciò appare particolarmente grave e preoccupante considerato l'impegno più volte manifestato dall'attuale Governo a reperire, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, le risorse necessarie per realizzare il rilancio del trasporto pubblico locale e corrispondere alle esigenze ripetutamente manifestate dai cittadini ed in particolare dai pendolari, garantendo al contempo, la piena funzionalità e lo sviluppo del settore dei trasporti per via aerea, marittima e terrestre e corrispondere alle esigenze ripetutamente manifestate in particolare dalle imprese e dai cittadini.
E questo indipendentemente dal fatto che le variazioni apportate dal Senato al disegno di legge di stabilità 2014 abbiano limitato tale riduzione principalmente in relazione ai programmi 13.2 autotrasporto e intermodalità e 13.6 sviluppo e sicurezza della mobilità locale.
Nell'ambito della missione relativa a «Infrastrutture pubbliche e logistica», seppur non di diretta competenza della Commissione IX ma della VIII, si rileva come siano stanziati circa 3,8 miliardi di euro per il 2014, con una diminuzione di 360,2 milioni di euro rispetto all'assestamento 2013.
In virtù delle risultanze della nota di variazione lo stanziamento relativo alla missione 14 per l'anno 2014, inizialmente pari precisamente a 3.852,6 milioni di euro, risulta incrementato di 618,4 milioni,
a) la prosecuzione immediata dei lavori del sistema MO.S.E. previsti dal 43° atto attuativo alla Convenzione generale sottoscritta tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Magistrato alle Acque di Venezia e il Consorzio Venezia Nuova, con presa d'atto da parte del CIPE;
b) il completamento dell'intero sistema MO.S.E., con atto aggiuntivo alla Convenzione generale di cui alla lettera a) da sottoporre al CIPE entro il 30 giugno 2014.
Nel testo successivo approvato dal Senato della Repubblica tale spesa viene ridotta a 151 milioni di euro per l'anno 2014, 100 milioni di euro per l'anno 2015, 71 milioni di euro per l'anno 2016 e 79 milioni di euro per l'anno 2017. In buona sostanza le risorse sottratte al Mose nel 2014 sono date al TAV. Si tratta di 49 milioni di euro nel 2014, cui corrisponde analoga riduzione di 49 milioni di euro nel 2017 in Tabella E.
Secondo la Relazione tecnica presentata dal Governo tale rimodulazione non pregiudica il completamento del sistema Mose e sempre in relazione al TAV segnala che in Tabella E vengono assegnati 8 milioni di euro per l'anno 2014 in favore delle opere e misure compensative dell'impatto territoriale e sociale correlate alla realizzazione di progetti pilota nei territori interessati dal nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione (TAV). Le relative risorse
La strada dei Trulli non s'ha da fare.
Di fatto quindi viene sostanzialmente azzerata o rinviata alle calende la disponibilità delle risorse già previste per la realizzazione di un'opera che attende di essere completata da anni; la strada statale 172 (cosiddetta «dei Trulli») è una importante via di comunicazione che unisce Taranto a Casamassima, ove si raccorda alla strada statale 100 che da Taranto conduce a Bari; tale strada, nel suo primo tratto (Taranto-Orimini) è già stata oggetto, ormai molti anni fa, di lavori di adeguamento ed allargamento della sede e, attualmente, si presenta a quattro corsie. Il restante percorso, nonostante l'intenso traffico che l'attraversa, soprattutto durante i mesi estivi, è invece tuttora a due sole corsie.
In data 21 novembre 2003 veniva sottoscritta fra la regione Puglia e l'ANAS una convenzione che prevedeva, tra l'altro, due importanti interventi sulla strada statale 172: l’«adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante – IV corsia Orimini superiore», dell'importo di 15,494 milioni di euro; i «lavori di costruzione della variante di Martina Franca e del tronco Casamassima-Putignano» dell'importo di 35,537 milioni di euro. Entrambi con finanziamento ad intero carico dell'ANAS.
L'ANAS ha previsto per la strada statale 172 i seguenti interventi: adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore e variante all'abitato di Martina Franca; tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento; adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5.
L'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante, costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore e la variante all'abitato di Martina Franca hanno livello di progettazione definitivo.
L'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un livello di progettazione preliminare.
L'intervento relativo al tronco Casamassima-Putignano, lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1, del decreto ministeriale 5 novembre 2001, esclusa la variante di Turi, ha un livello di progettazione preliminare, secondo le informazioni acquisite, da ultimo nel mese di ottobre 2011, dalla struttura di missione del Ministero della infrastrutture e dei trasporti.
L'adeguamento ed ammodernamento in sede e in variante – costruzione della quarta corsia sull'Orimini superiore, e la variante all'abitato di Martina Franca hanno un costo stimato in 70 milioni di euro, per i quali la delibera CIPE n. 62 del 3 agosto 2011 ha assegnato complessivamente un finanziamento di 51 milioni di euro così articolato: 36 milioni di euro per l'adeguamento e ammodernamento in sede ed in variante, costruzione della quarta corsia tra i chilometri 56 e 60,5 ed asse di penetrazione a Martina Franca; 15 milioni di euro per il superamento del centro di Martina Franca.
L'adeguamento della strada statale 172-dir da Fasano a Laureto, in particolare nel tratto compreso dal chilometro 6 al chilometro 9,5 ha un costo di 15 milioni di euro ed è integralmente finanziato con fondi messi a disposizione dalla Regione Puglia.
I lavori di ammodernamento ed adeguamento della sede stradale alla sezione C1 del decreto ministeriale 5 novembre 2001, relativa al tronco Casamassima-Putignano,
Manca una politica industriale sull'autotrasporto.
Il comma 52 dell'articolo 1 autorizza poi la spesa di 330 milioni di euro per l'anno 2014 per interventi in favore del settore dell'autotrasporto.
Il trasporto pubblico locale abbandonato.
In tema di trasporto pubblico locale si rileva che nonostante la Nota Integrativa al disegno di legge di Bilancio di previsione il trasporto pubblico locale sia considerato «l'emergenza primaria su cui concentrare le azioni di intervento», le risorse destinate al trasporto pubblico locale rimangono comunque ampiamente insufficienti e tali da non garantire il rilancio e la piena funzionalità a livello nazionale.
Il comma 50 dell'articolo 1 dispone provvidenze per il servizio di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale incrementando, al fine di favorire il rinnovo dei parchi automobilistici e ferroviari, la dotazione del Fondo per l'acquisto di veicoli adibiti al miglioramento dei servizi offerti per il trasporto pubblico locale istituito dall'articolo 1, comma 1031, della legge finanziaria 2007 (296/2006) di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2014-2016, da destinare all'acquisto di materiale rotabile su gomma; di 200 milioni di euro per l'anno 2014 da destinare all'acquisto di materiale rotabile ferroviario. Al relativo riparto tra le Regioni si provvede entro il 30 giugno di ciascuno degli anni del triennio con le procedure di cui all'articolo 1, comma 1032, della citata legge 296/2006 sulla base del maggiore carico medio per servizio effettuato, registrato nell'anno precedente.
Sotto tale profilo si segnala che i relativi pagamenti sono esclusi dal patto di stabilita interno, nel limite del 45 per cento, mentre nella versione iniziale del testo l'esclusione ammontava al 50 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014. Inoltre, si evidenzia come la Conferenza delle Regioni abbia sollecitato un incremento delle risorse attualmente previste per l'acquisto del materiale rotabile gomma-ferro per un ammontare pari a almeno a 300 milioni di euro per il 2014 e più in generale abbia manifestato l'esigenza di rendere maggiormente flessibile la gestione delle risorse disponibili nell'ambito di una programmazione integrata dei servizi di trasporto pubblico locale, consentendo un utilizzo più coerente con le specifiche esigenze di servizio dei singoli territori. Ciò anche alla luce della recente riprogrammazione dei servizi di TPL, effettuata ai sensi dell'articolo 16-bis della legge n. 135/2012.
Nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dello Sviluppo economico per l'esercizio 2014, le spese per le missioni di
Il Piano per la banda larga.
Per quanto di competenza, relativamente al disegno di legge di stabilità per l'anno 2014, la norma principale per il settore delle comunicazioni è prevista dall'articolo 1, comma 58, nel quale si autorizza la spesa di 20,75 milioni di euro per il 2014 al fine di completare il Piano nazionale per la banda larga, già definito dal Ministero dello sviluppo economico ed autorizzato dalla Commissione europea.
Su questo punto si evidenzia la totale inadeguatezza da parte del Governo nel voler adottare misure immediate per l'implementazione della banda larga e ultra larga, infrastruttura di fondamentale importanza per l'ammodernamento delle imprese e per lo sviluppo dei servizi della pubblica amministrazione.
Per la modernizzazione del Paese è fondamentale, infatti, garantire una dotazione adeguata di infrastrutture di comunicazione avanzata su tutto il territorio nazionale puntando a superare il digital divide esistente e soprattutto ad assicurare connessioni ad alta velocità a territori a più alta densità di imprese come ad esempio i distretti industriali. Si tratta di infrastrutture e tecnologie abilitanti con un chiaro effetto, diretto e indiretto, sullo sviluppo economico complessivo.
Infatti, secondo quanto riferito dal Sottosegretario allo Sviluppo economico Catricalà, oltre ai venti milioni di euro stanziati dal provvedimento in esame ne servirebbero altri 2,5 miliardi per i prossimi quattro anni, allo scopo di raggiungere gli obiettivi dell'Agenda digitale europea fissati per il 2020.
Sotto tale profilo si rammenta che, in data 20 settembre 2010, la Commissione Europea ha, presentato un pacchetto di misure finalizzate al raggiungimento dell'obiettivo, nel quadro dell'agenda digitale europea, di fornire ai cittadini europei l'accesso alla banda larga (base per il 2013 e veloce per il 2020).
Quale sviluppo?
Al comma 31 dell'articolo 1 del disegno di Legge di Stabilità, a seguito delle modifiche intervenute al Senato, vengono dettate nuove norme in materia di finanziamenti a imprese e famiglie attraverso la costituzione di un sistema nazionale di garanzia che a sua volta ricomprende:
a) il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
b) la Sezione speciale di garanzia «Progetti di Ricerca e Innovazione», istituita nell'ambito del Fondo di garanzia con una dotazione finanziaria di euro 100.000.000 a valere sulle disponibilità del medesimo Fondo;
c) il Fondo di garanzia per la prima casa, per la concessione di garanzie, a prima richiesta, su mutui ipotecari o su portafogli di mutui ipotecari, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, cui sono attribuite risorse pari a euro 200 milioni per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, nonché le attività e le passività del Fondo di cui all'articolo 13, comma 3-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che viene contestualmente soppresso.
Al comma 32 del medesimo articolo 1, inoltre, si dispone che mediante riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione siano assegnati 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Con apposita delibera del CIPE sono poi assegnati al predetto Fondo di garanzia, a valere sul medesimo Fondo per lo sviluppo e la coesione, ulteriori 600 milioni di euro. Viene, inoltre, ridotta la dotazione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, e successive modificazioni per 15 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015.
Infine, al comma 33 dell'articolo 1, per favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, si destina in parti uguali una quota del diritto annuale di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e una quota del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per un ammontare complessivo di euro 100 milioni di euro per l'anno 2014, 150 milioni di euro per l'anno 2015 e 200 milioni di euro per l'anno 2016 per costituire un Fondo presso Unioncamere con la finalità di patrimonializzare i Confidi sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia ovvero i Confidi che realizzeranno operazioni di fusione finalizzate all'iscrizione nell'elenco o nell'albo degli intermediari vigilati dalla Banca d'Italia, nei successivi 24 mesi dalla data di pubblicazione della legge di stabilità.
I predetti interventi seppur condivisibili nel merito, rappresentano la summa di un sostanziale trasferimento e riallocazione di fondi che gravano, in parte, su coperture assolutamente inaccettabili considerato che a copertura di tali oneri viene decurtata di ben cinque punti percentuali l'esclusione dal patto di stabilità interno dei fondi destinati all'acquisto del materiale rotabile del trasporto pubblico locale da parte delle Regioni. I relativi pagamenti, infatti, nel testo della legge di stabilità trasmesso dal Governo al Senato venivano esclusi nel limite del 50 per cento dell'assegnazione di ciascuna regione per l'anno 2014 e integralmente per gli anni 2015 e 2016. Con le modifiche introdotte dal Senato tale percentuale viene quindi ridotta dal 50 al 45 per cento.
È sempre a copertura di tali oneri, alla Tabella E, missione «Competitività e sviluppo delle imprese», programma «Incentivazione per lo sviluppo industriale nell'ambito delle politiche di sviluppo e coesione», voce Ministero dello Sviluppo Economico, decreto-legge n. 201 del 2011 –
1) di programmi di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 3 della legge 808/1985 prevedendo due contributi ventennali rispettivamente di importo di 30 milioni di euro a decorrere dall'anno 2014 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
2) della prosecuzione degli interventi in favore degli investimenti delle imprese marittime, già approvati dalla Commissione europea con decisione notificata con nota SG (2001) D/285716 del 1° febbraio 2001, è autorizzato un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014;
3) di progetti innovativi di prodotti e di processi nel campo navale avviati negli anni 2012 e 2013 ai sensi della disciplina europea degli aiuti di Stato alla costruzione navale n. 2011/C364/06, in vigore dal 1 gennaio 2012, con un contributo ventennale di 5 milioni di euro a decorrere dall'esercizio 2014.
Detti finanziamenti, in buona sostanza, sembrano confermare la prova provata della volontà di costruire nuove navi, non uscire dal costoso Programma FREMM; il che appare del tutto inaccettabile, se solo si considera l'aumento considerevole della tassazione previsto a copertura del provvedimento in esame, anche a seguito delle modifiche approvate in sede di esame del
Gli enti territoriali sotto pressione.
L'Associazione dei Comuni ha presentato un'elaborazione che dimostra come il concorso del sistema dei Comuni negli anni sia stato di gran lunga superiore al peso finanziario sull'intero Comparto della PA. Allo stesso tempo altri Comparti, come quello delle Amministrazioni centrali, evidenziano una crescita esponenziale della spesa e poi nell'ultimo triennio una sostanziale invarianza, a fronte invece di interventi normativi che avrebbero dovuto avere come esito riduzioni percentualmente rilevanti. I dati dimostrano, inoltre, che i Comuni hanno subito una manovra finanziaria pari a circa 16 miliardi, come i vincoli del Patto di Stabilità stiano deprimendo gli investimenti locali ( nel periodo 2007-2012 si registra -28 per cento di spesa per investimenti) e che l'aumento della pressione fiscale sulla casa, introdotto dal cd. Decreto legge «Salva Italia» ha determinato un aumento di risorse per lo Stato ed una riduzione di risorse per i Comuni, anche a causa dei cosiddetti «tagli occulti».
Vogliamo pertanto, richiamare la massima sulla reale situazione finanziaria dei Comuni, caratterizzata ormai da troppi anni da instabilità ed emergenza e da una costante riduzione di risorse, derivanti dai gravissimi tagli subiti negli ultimi anni e dagli effetti di una confusa gestione dei continui mutamenti della disciplina in materia di imposta sulla casa, così come sugli effetti perversi dei vincoli del Patto di Stabilità.
Rileviamo come la spesa dei Comuni ammonta a solo il 7,6 per cento della spesa complessiva della P.A. (Stato 29.9 per cento; Regioni e sanità 18,00 per cento; Province 1,3 per cento; Enti previdenziali 39,0 per cento; Altre amministrazioni locali e centrali 4,2 per cento), mentre il debito dei Comuni pesa per il 2,5 per cento sul debito totale della P.A..
Manovra, di cui: | 16.177 |
Patto di stabilità interno | 8.727 |
Taglio DL 201/2011 | 1.450 |
Taglio DL 78/2010 | 2.500 |
Spending review | 2.500 |
Taglio occulto ICI/IMU | 1.000 |
Elaborazione IFEL su dati MEF e Ministero Interno.
L'obiettivo del Patto di stabilità interno per i Comuni dal 2007 al 2014 aumenta di 8,7 miliardi di euro, risorse che i Comuni avrebbero potuto utilizzare per fornire servizi ai cittadini e realizzare investimenti. Se sommiamo le altre quattro voci presenti nella tabella, ci accorgiamo che le risorse statali trasferite ai Comuni nello stesso periodo subiscono una riduzione di 7,45 miliardi.
Se poi guardiamo i saldi di finanza pubblica relativi all'anno 2012, constatiamo che lo Stato presenta un deficit di 52, 38 miliardi, pari al più del 13 per cento delle proprie entrate totali, mentre il comparto dei Comuni presenta un avanzo di 1,7 miliardi, pari al 2,6 per cento delle proprie entrate totali. Questo avanzo dei Comuni è determinato dai vincoli del Patto di stabilità interno, che obbliga i Comuni a generare avanzi di bilancio, fornendo spazi finanziari che vanno a beneficio delle altre pubbliche amministrazioni e che potrebbero invece essere utilizzati per servizi ed investimenti.
Per rispettare gli stringenti vincoli di bilancio imposti, i Comuni hanno ridotto del 28 per cento gli investimenti negli ultimi 6 anni (si sono persi complessivamente 4,4 mld dal 2007 al 2012).
1. il disegno di legge prevede stanziamenti incongrui rispetto al fabbisogno come ad esempio per la «Cassa in deroga» e stanziamenti ampiamente sottostimati quali il Fondo per la non autosufficienza; il Fondo nazionale per le politiche sociali; il Fondo nazionale per il Trasporto pubblico locale; acquisto autobus e materiale rotabile; solo per citare quelli principali;
2. il concorso delle autonomie regionali al miglioramento del saldo netto da finanziare è pari a 800 milioni (560 milioni per le RSO e per 240 milioni per le RSS) mentre la riduzione dell'obiettivo programmatico del patto di stabilità (accompagnate da tagli ai trasferimenti dello Stato alle Regioni) è pari a 1 miliardo (700 mln RSO; 300 mln RSS) per il 2014 e a decorrere dal 2015 è pari a 1,344 miliardi (941 mln RSO e 403 mln RSS).
Un simile taglio sull'obiettivo programmatico del patto e l'insostenibile contributo al saldo netto da finanziare si aggiungono ai tagli di trasferimenti (o riversamenti allo Stato) previsti dal DL 95/2012 per 1.050 miliardo nel 2015 e ai tagli delle precedenti manovre dal DL 78/2010 (8,955 miliardi per il 2013).
Per quanto riguarda il contributo al saldo netto da finanziare, a legislazione vigente, le Regioni non hanno più trasferimenti statali, continuativi e ricorrenti, da poter ridurre; ne consegue che parte delle proprie risorse tributarie dovranno essere versate allo Stato. Tale contributo compromette inevitabilmente gli equilibri dei bilanci regionali (e impedisce di svolgere le politiche regionali). Si richiede di riversare un totale di entrate correnti pari al 6,5 per cento medio con punte prossime al 10 per cento in alcune Regioni. Ne consegue l'impossibilità di reperire nei bilanci regionali anche delle risorse per i cofinanziamenti regionali agli interventi finanziati dall'UE (per il periodo di programmazione 2014/2020 dovrebbero concorrere per il 30 per cento). Le Regioni chiedono la soppressione del contributo sul saldo netto da finanziare, altrimenti si vedranno costrette a rinunciare a quegli stanziamenti previsti dal disegno di legge e finanziati (peraltro solo in termini di saldo netto) con lo stesso contributo che viene richiesto alle medesime.
L'utilizzo delle risorse dei programmi europei è pregiudicato, altresì, dall'ulteriore riduzione dell'obiettivo del patto di stabilità in quanto il cofinanziamento dei programmi UE non può essere escluso dal patto di stabilità (attualmente per il 2014 è possibile solo per 1 miliardo – comma 7, articolo 2, del DL 35/2013- somma inferiore anche al 2013). La stessa problematica si riscontra sul Fondo per lo Sviluppo e coesione.
1. per la sostenibilità dell'equilibrio di bilancio delle regioni eliminando il contributo sul saldo netto da finanziare utilizzando altre risorse attribuite alle regioni;
2. sul patto di stabilità interno attraverso:
a) l'eliminazione del tetto di competenza finanziaria;
b) l'esclusione dei cofinanziamenti nazionali ai programmi UE;
c) l'introduzione del patto di stabilità integrato.
Richiedono altresì l'emanazione del decreto attuativo per l'attribuzione del gettito IVA in base all'attività di recupero fiscale.
Per una diversa politica economica: le proposte di SEL.
Premesso che le misure nazionali non sono sufficienti e a volte nemmeno realizzabili senza modifiche importanti delle politiche dell'Unione europea, riteniamo che una manovra di finanza pubblica che corrisponda alle reali esigenze del Paese, in termini di stimolo all'occupazione e per la realizzazione di una maggiore equità nella distribuzione dei redditi, debba basarsi su due pilastri fondamentali: un Piano per il lavoro per realizzare il Green New Deal; una riforma fiscale per operare una ridistribuzione del reddito e stimolare i consumi.
Il Gruppo SEL della Camera ha presentato 285 emendamenti alla legge di stabilità su cinque temi principali:
1) un piano per il lavoro per realizzare il Green New Deal;
2) un forte aumento delle risorse per contrastare il dissesto idro-geologico finanziato con la drastica riduzione delle spese per i sistemi d'arma e per le grandi opere inutili;
3) redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori e dei pensionati;
4) l'aumento delle risorse per scuola e università;
5) un pacchetto di misure per la casa.
1. Un piano per il lavoro per realizzare il Green New Deal.
Proponiamo la realizzazione di un Piano sperimentale triennale per il lavoro con una dotazione in tre anni di circa 25 miliardi di euro provenienti dalla soppressione delle misure previste nella legge di stabilità per la riduzione del cuneo fiscale, misure che riteniamo carenti e, nelle modalità previste, del tutto inutili, e da altre proposte di copertura.
Il Piano per il lavoro può determinare l'assunzione di circa di circa 1, 5 milioni di disoccupati in tre anni.
Inoltre, prevediamo che le spese in conto capitale degli enti territoriali relative ad interventi collegati al Piano del lavoro siano tenute fuori dai saldi del patto di stabilità interno per 1.300 milioni annui.
Agli interventi per prevenire il dissesto idrogeologico destiniamo 1.000 milioni l'anno per il triennio 204-2016 (+ 970 mln nel 2014; + 950 mln nel 205 e + 900 mln nel 2016, rispetto a quanto previsto dalla legge di stabilità).
Prevediamo un piano di 1,2 miliardi nel triennio per la realizzazione di asili nido pubblici e la messa in sicurezza di quelli esistenti.
Finanziamo un piano di efficientamento energetico degli edifici pubblici per 300 milioni l'anno.
Prevediamo ulteriori risorse per 300 milioni l'anno per il triennio 2014-2016 per la messa in sicurezza degli edifici scolastici.
a) lavori pubblici qualificati,
b) una politica industriale di riconversione ecologica dei settori portanti della nostra economia,
c) un nuovo welfare.
A. L'asse di un Piano per il lavoro, deve consistere innanzitutto nella messa in sicurezza del nostro territorio e degli edifici scolastici, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, il rilancio di un'agricoltura multifunzionale, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili.
Proponiamo, in particolare, di avviare un Piano pluriennale per la difesa del suolo e la messa in sicurezza del territorio, prevedendo che l'utilizzo delle necessarie risorse provenienti dallo Stato da parte di regioni ed enti locali, sia escluso dal Patto di stabilità interno.
Occorre anche allentare il patto di stabilità interno per rilanciare il settore dell'edilizia, con l'apertura di mille piccoli cantieri, garantendo al contempo un migliore utilizzo dei fondi strutturali europei.
Serve una revisione del sistema fiscale che finalmente adegui il nostro Paese agli obiettivi di tutela ambientale che l'Europa ci chiede da tempo, spostando progressivamente il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese al consumo di risorse energetiche e naturali (cosiddetto «riciclaggio del gettito»).
Proponiamo di stabilizzare l'attuale detrazione prevista per gli interventi finalizzati al risparmio e all'efficientamento energetico degli immobili, e prorogare le attuali detrazioni previste per gli interventi di adeguamento antisismico, estendendole anche a immobili ubicati in aree a rischio sismico che non rientrano nelle zone sismiche 1 e 2.
B. Proponiamo un programma nazionale che punti al rilancio del settore manifatturiero fondato sugli investimenti in innovazione e ricerca, sulla green economy, sulle produzioni ed i consumi sostenibili nella direzione di un nuovo modello di sviluppo, attraverso l'adozione di molteplici iniziative volte a:
una politica di investimenti nella cultura, nella formazione, conoscenza e nella ricerca, aumentando le risorse per la scuola e l'università, combattendo la dispersione e l'abbandono scolastico;
realizzare una politica energetica più concorrenziale, in linea con le direttive dell'Unione Europea, fondata sull'efficienza e sul risparmio energetico, sulla diversificazione delle fonti, sulla riduzione dei combustibili fossili, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture, e favorire il raggiungimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 sulla quota del 20 per cento di fonti rinnovabili e sull'efficienza energetica;
riallocare le energie lavorative sui livelli più alti della filiera produttiva e sui livelli più raffinati dal punto di vista tecnologico con l'innovazione e la sostenibilità
ridurre il carico fiscale per liberare risorse da destinare alla produzione e al lavoro;
sostenere concretamente la domanda interna procedendo velocemente alle liberalizzazioni dei settori protetti;
modernizzare il sistema produttivo con lo sviluppo delle tecnologie ambientali e dei servizi sociali, settori che possono offrire interessanti sbocchi occupazionali;
adottare con urgenza specifiche misure di rilancio della politica industriale, affinché Finmeccanica modifichi la propria strategia industriale attraverso investimenti ed anche con trasferimento di tecnologie dal militare al civile, fermando qualsiasi ipotesi di cessione degli asset civili;
adottare con urgenza specifiche misure volte a riqualificare il trasporto pubblico utilizzando Breda Menarini, di IRISBUS, evitandone la chiusura, come polo di sviluppo della mobilità pubblica, nonché a porre in essere ogni atto di competenza volto a far sì che la FIAT condivida e persegua pienamente e chiaramente con l'Esecutivo ed il Paese impegni concreti in Italia in termini di investimenti, prodotti, allocazioni di risorse e tutela dell'occupazione;
esercitare i poteri speciali che per legge competono al Governo per tutelare l'interesse nazionale in caso di passaggio di proprietà straniera di importanti aziende italiane come Telecom, ma anche nella denegata ipotesi di cessione di Alitalia o di imprese con il marchio Ansaldo del Gruppo Finmeccanica;
attivare ed accelerare le procedure di scorporo della rete Telecom per salvaguardare un asset strategico per il nostro Paese, garantendo il controllo nazionale dell'infrastruttura di rete e i posti di lavoro della più importante compagnia telefonica del Paese;
evitare che la compagnia di bandiera Alitalia Compagnia Aerea Italiana S.p.a. venga di fatto «svenduta» ad Air France o che la stessa fallisca, con danno enorme per i lavoratori e i cittadini venendo trasformata in un vettore regionale e, quindi, con grave nocumento per il sistema economico italiano.
C. Servono anche misure per l'innovazione tecnologica, la riforma e il rinnovamento della PA e del welfare. E occorre procedere per ottenere un effettivo snellimento burocratico, in un contesto caratterizzato da un eccesso di leggi, scarsità o duplicazione dei controlli, sovrapposizione di competenze.
Il nuovo welfare deve saper offrire ammortizzatori sociali universali (reddito minimo garantito), asili nido in maniera diffusa, misure per la vecchiaia attiva, risorse e figure professionali per gestire una popolazione anziana e spesso non autosufficiente, favorire l'integrazione scolastica e sociale dei portatori di handicap. Il nuovo welfare può diventare fonte di occupazione qualificata contribuendo con i suoi servizi a favorire l'inserimento effettivo di centinaia di migliaia di donne nel mondo del lavoro.
In quest'ambito occorre procedere al rifinanziamento su base triennale del Fondo per la non autosufficienza, incrementando le risorse ad esso assegnate, attualmente del tutto inadeguate, ed incrementare le risorse assegnate al Fondo per le politiche sociali, e più in generale, reintegrare i tagli alle risorse per le politiche socio-assistenziali e di sostegno alla famiglia.
Da subito auspichiamo interventi sulle emergenze sociali quali la proroga delle CIG e delle mobilità in deroga, garanzie reddituali per tutti gli «esodati», la stabilizzazione dei precari della PA impiegati in servizi.
L'incentivazione alla riduzione dell'orario di lavoro con i contratti di solidarietà può essere un utile alternativa in molti casi di crisi aziendali, così come utili possono risultare misure che destinino risorse al finanziamento del credito di
il riordino e la riduzione dell'ammontare delle agevolazioni e dei trasferimenti alle imprese a fronte della loro incerta efficacia mediante una revisione delle cd. «spese fiscali» o «tax expenditures»;
l'utilizzo di una parte delle risorse delle fondazioni bancarie, in particolare per quanto concerne il welfare;
l'utilizzo programmato dei Fondi europei;
l'utilizzo dei Fondi pensione attraverso progetti per favorire la canalizzazione dei flussi di risparmio verso il finanziamento degli investimenti di lungo periodo, garantendone i rendimenti previdenziali;
un nuovo ruolo per la Cassa Depositi e Prestiti, sull'esempio francese, che deve consolidare la missione di utilizzare le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i capitali, su investimenti strategici e di lungo periodo, modificando il ruolo del Fondo strategico italiano. Si dovrà prevedere l'istituzione di una banca d'investimento d'interesse pubblico, di una «banca verde», sull'esempio della Green Investment Bank inglese;
l'utilizzo dei beni confiscati ai membri delle organizzazioni criminali il cui valore stimato è pari a 80 miliardi;
Possiamo recuperare altre risorse per il Piano del lavoro da una politica di contenimento della spesa pubblica:
riducendo i finanziamenti per le cd. «infrastrutture strategiche» con la revisione delle priorità della legge obiettivo: investire le limitate risorse pubbliche disponibili in opere infrastrutturali che siano realizzabili in tempi certi e con modalità sostenibili, sia in termini di vincoli di bilancio, che, soprattutto, dal punto di vista ambientale e sociale, procedendo innanzitutto a riequilibrare le risorse di provenienza pubblica tra quelle destinate alla costruzione di grandi opere e quelle devolute ad un programma di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, con particolare riferimento ad interventi di manutenzione in ambito stradale e ferroviario;
riduzione delle spese militari a partire delle spese per sistemi d'arma (Fregate FREMM e F35, e fine della missione militare in Afghanistan;
chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione (CIE);
uso di software open source per le pubbliche amministrazioni;
riduzione dei costi della politica riducendo i livelli di governo (a partire dall'abolizione costituzionale delle province, dell'aggregazione dei piccoli comuni), le auto blu, decurtando le società partecipate dallo Stato e dagli enti decentrati, riducendo il numero dei membri dei relativi CdA e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo drasticamente le consulenze, provvedendo altresì alla revisione dei compensi per i rappresentanti politici, nonché riformando radicalmente le attuali norme per i rimborsi elettorali ai partiti, nonché la progressiva eliminazione del ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni, ecc...
2. Redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori e dei pensionati.
Proponiamo di istituire un fondo denominato «Fondo per l'equità e la riduzione strutturale della pressione fiscale» alimentato dalle maggiori entrate afferenti dall'aumento dell'aliquota delle rendite finanziarie, dalla revisione della Tobin Tax, dall'introduzione di due nuovi scaglioni IRPEF, per redditi fino a 100.000 euro e per redditi oltre 150.000 euro, ed aumento della cosiddetta «minipatrimonialina».
Il Fondo è destinato alla realizzazione dei seguenti obiettivi: aumento delle detrazioni
3. la riforma del catasto e il superamento dell'arretratezza del sistema di attribuzione delle rendite catastali;
4. No alla UIC;
5. l'abolizione dell'IMU sulla prima casa per i proprietari meno abbienti e l'introduzione di aliquote progressive per la determinazione dell'IMU sui patrimoni immobiliari, garantendo parità di risorse agli enti locali ai quali andranno anche garantiti margini di autonomia nella definizione dell'imposta stessa;
6. la revisione dell'applicazione dell'IMU sugli edifici strumentali per agevolare le attività produttive delle PMI e delle aziende agricole;
7. la revisione della tassazione IMU sugli immobili degli enti ecclesiastici e degli enti non commerciali, preservando quelli strumentali alle attività di tipo istituzionale (es. culturale, ambientale, ricreativa, sociale, assistenziale, di solidarietà, ecc.);
8. l'alleggerimento graduale a favore delle piccole e medie imprese del carico fiscale sui fattori di produzione consentendo loro di dedurre dalla base imponibile IRAP la quota corrispondente al costo del lavoro;
9. l'aumento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie;
10. un imposta patrimoniale ordinaria per le ricchezze superiori agli 700 mila euro;
11. una maggiore progressività permanente dell'imposta per i redditi superiori ai 150.000 euro di imponibile;
12. l'incremento dell'aliquota attualmente prevista per la determinazione del prelievo unico erariale sui giochi;
13. la reintroduzione dell’«accisa mobile» sui carburanti, ridefinendo, secondo le indicazioni europee, la tassa sulle transazioni finanziarie;
14. la riorganizzazione della Tares per favorire pratiche virtuose nella gestione dei rifiuti;
15. maggiori oneri per l'utilizzo di risorse pubbliche (concessioni);
16. più efficaci misure di contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale a partire dalla reintroduzione delle misure predisposte dall'ultimo Governo Prodi e soppresse dal successivo Governo Berlusconi (responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore, elenco di clienti e di fornitori, trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate dei corrispettivi giornalieri da parte delle imprese esercenti il commercio,...), da una maggiore tracciabilità dei pagamenti, dal sanzionare il reato di falso in bilancio, facendo nuovamente confluire nell'alveo delle fattispecie delittuose tutte le ipotesi di false comunicazioni sociali, dall'introduzione del concetto di abuso di diritto tributario, dall'introduzione del reato di auto riciclaggio come proposto dalla Commissione Greco del Ministero di Grazie e Giustizia (aprile 2013) che colpirebbe gli evasori fiscali e potrebbe stimolare il ritorno in Italia di una massa di denaro che secondo le stime si aggirerebbe sui 250 miliardi;
17. prevedere una sanatoria fiscale e contributiva degli immigrati non in regola nell'ambito di una più complessiva riforma delle leggi in materia di immigrazione e cittadinanza, orientate sulla base del principio dello «ius soli»;
18. prevedere l'erogazione di una quattordicesima per i pensionati a più basso reddito, riprendendo quanto fu previsto dall'articolo 5 del DL n. 81/2007 (Governo Prodi) per incrementare i consumi ed alleviare la situazione difficile di molte famiglie.
3. L'aumento delle risorse per scuola e università.
Proponiamo di incrementare le risorse a disposizione del Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio, ed incremento del Fondo per il finanziamento ordinario delle università per 40 milioni.
Prevediamo ulteriori risorse per il triennio 2014-2016 destinate a rifinanziare il Fondo unico per l'edilizia scolastica, per gli interventi di bonifica da amianto e di messa in sicurezza degli edifici scolastici.
Sui 220 milioni destinati alle scuole non statali proponiamo di impegnare 100 milioni di euro a favore degli asili nidi e scuole materne comunali e destinare gli altri 120 milioni al miglioramento dell'offerta formativa pubblica. Il contributo alla scuole private paritarie che si somma a quello previsto nel DDL di bilancio per il 2014, pari a 274,1 milioni di euro e per un totale di 494 milioni è del tutto insensato. Dopo il taglio degli ultimi anni di oltre 10 miliardi di euro della spesa alla scuola statale e nel contesto di una politica che chiede sacrifici ai cittadini e limita le spese per il sociale, è inaccettabile incrementare il contributo, già consistente oltre che illegittimo, alle scuole private paritarie; è fatto salvo il contributo alle scuole comunali, per lo più scuole materne e asili nido.
4. Un pacchetto di misure per la casa.
Proponiamo di destinare la metà degli introiti annui (250 mln) per il triennio 2014-2016 derivante dalle dismissioni immobiliari al recupero di alloggi popolari ex-Iacp inutilizzati.
Sollecitiamo l'istituzione presso la Cassa Depositi e Prestiti del Fondo per le Politiche Abitative (FPA) con dotazione annuale pari a un miliardo di euro. Il FPA ha la facoltà di acquisire crediti bancari derivanti da mutuo ipotecario o fondiario in condizione di sofferenza ad un prezzo pari al 50 per cento della residua quota capitale, acquisendo la titolarità della relativa ipoteca. Gli immobili acquisiti dal FPA sono concessi in affitto a canone concordato. Le entrate derivanti dai canoni sono destinate al servizio del debito relativo all'immobile oggetto dell'operazione. I crediti acquisiti da CDP sono riscadenzati in un termine di 15 anni, con ammortamento a rate costanti a scadenza trimestrale. Il tasso applicato è quello determinato da CDP per i mutui fondiari agli enti locali maggiorato di 50 punti base.
Proponiamo, inoltre, un aumento delle risorse a favore del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione (cosiddetto Fondo affitti), così come delle risorse del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli.
Conclusione.
È una manovra senza qualità, che più che stabilizzare l'economia, prova a stabilizzare la maggioranza delle ex-larghe intese: non dà uno scossone all'economia in crisi, non porta aiuto alla parte più sofferente del paese, non crea posti di lavoro e non ha alcun segno di equità. È una manovra economica che fa galleggiare il governo e però non impedisce al paese di continuare ad affondare. È una deriva pericolosissima, regressiva ed attendista, che deprime l'economia e impoverisce la società. Per questo la legge di stabilità del governo Letta va rifiutata e sostituita con altre misure che abbiano il segno del lavoro, della giustizia sociale, della sostenibilità.
Giulio MARCON,
Relatore di minoranza.
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