Allegato B
Seduta n. 366 dell'8/9/2010


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SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
un nuovo rapporto di Greenpeace riferisce che in Toscana, nel santuario dei cetacei, sono state rinvenute sogliole tossiche, con metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e bisfenolo A, in certi casi oltre il limite consentito dalla legge, trovati nei pesci;
le analisi, commissionate da Greenpeace al Dipartimento di scienze ambientali dell'università di Siena, sono state effettuate su 31 esemplari prelevati in 5 aree al largo di Civitavecchia, Viareggio, Livorno, Lerici (La Spezia) e Genova;
fra i risultati più preoccupanti c'è il dato sul mercurio trovato oltre il limite di legge nel 25 per cento dei campioni (7 esemplari su 31). La concentrazione più alta di mercurio - riferisce Greenpeace - è stata registrata in un campione pescato al largo di Civitavecchia: 10 volte il massimo consentito dalla legge. A Viareggio, in una delle sogliole la concentrazione di mercurio supera del doppio il limite massimo per il consumo umano, mentre in altri due esemplari è il livello di piombo a sforare i limiti consentiti (7 per cento dei campioni). In un campione pescato a Lerici, la concentrazione di benzo(a)pirene (un idrocarburo policiclico aromatico accertato cancerogeno per l'uomo) supera del doppio il limite di legge. A Genova è vicino ai limiti;
le sogliole, ha spiegato Greenpeace «sono ottimi bioindicatori perché conducono una vita stanziale a contatto con i sedimenti e sono fra le prime specie di pesce consigliate in fase di svezzamento dei bambini»;
particolare preoccupazione destano le affermazioni di Vittoria Polidori responsabile delle campagna inquinamento di Greenpeace per il quale: «Alcune sostanze, come piombo e mercurio, possono interferire con il normale sviluppo del cervello dei bambini e arrecare danni al sistema renale, oppure essere addirittura cancerogene» -:
di quali informazioni disponga in merito il Governo;
quali misure urgenti si intendano adottare per evitare il consumo del pescato di cui in premessa;
quali misure si intendano adottare per verificare la qualità del pescato in modo da accertare le dimensioni del fenomeno;


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quali iniziative si intendano adottare per eliminare o comunque ridurre l'inquinamento che causa la tossicità del pesce registrata da Greenpeace.
(4-08403)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo gli apicoltori gli accertamenti scientifici in atto con il progetto di ricerca, pubblico e indipendente, Apenet, confermano il non rimediabile effetto tossico su api e ambiente dei concianti neurotossici;
nel periodo del divieto d'impiego dei neonicotinoidi si sia riscontrata un'evidente ripresa dello stato di salute e di buona produttività degli allevamenti apistici italiani e che nel periodo di mancato impiego di semi conciati non si siano verificati fenomeni, al contrario delle allarmistiche previsioni, di danni da diabrotica su mais;
recenti ricerche, pubblicati dal magazine Technology, hanno portato ulteriori prove a favore della tesi che i nicotinoidi sono la causa del declino della popolazione di api in molti Paesi -:
se non ritengano i Ministri interrogati di assumere le necessarie iniziative volte a stabilire immediatamente e comunque prima del 20 settembre 2010, il divieto definitivo all'uso di questi pesticidi e ribadire il divieto d'irrorazione di insetticidi su mais in fioritura.
(4-08405)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
premesso che il quotidiano Il Messaggero nella sua edizione del 27 luglio 2010 ha pubblicato un articolo della giornalista Valentina Arcovio, intitolato: «Malata terminale chiede assistenza, l'INPS risponde: ripassi tra due mesi»;
nel citato articolo si riprende la denuncia del signor Luciano Ridolfi di Latina, la cui madre, 74enne, è malata oncologica terminale: «Mia mamma versa il stato terminale da adenocarcinoma polmonare, la forma peggiore e più aggressiva che non perdona: ha un polmone pieno d'acqua e l'altro che si sta riempiendo di giorno in giorno...pesa 43 chili e si alimenta solo attraverso flebo. Con questo caldo torrido manifesta evidenti segni di disidratazione, atonia muscolare e confusione mentale. È chiaro che non le rimane molto da vivere»;
in base alla legge 80 del 2006 la signora avrebbe diritto a una indennità di accompagnamento, che in questo caso potrebbe aiutarla ad usufruire dell'assistenza di un'infermiera specializzata;
l'INPS avrebbe l'obbligo di valutare il caso, se rientra in quelli configurati dalla legge, dare accesso alla donna all'assegno mensile entro e non oltre quindici giorni dalla richiesta;
pur essendo estate, i legittimi diritti dei cittadini non dovrebbero andare in ferie, e tuttavia così non sembra essere, se è vero quanto denuncia il signor Ridolfi: «Il 12 luglio abbiamo presentato la domanda di accompagnamento. Dopo una decina di giorni di silenzio, il 21 luglio inoltriamo un telegramma di diffida e solo il giorno dopo ci arriva la risposta», una lettera che fissa la visita dopo circa due mesi dalla richiesta: «La visita medica», si legge infatti, «è stata fissata per il giorno 3 settembre 2010 alle ore 15,50», un appuntamento che va ben oltre i 15 giorni stabiliti dalla legge;
la famiglia Ridolfi non si è data per vinta, e ha tempestato di telefonate l'ufficio INPS di Latina per avere spiegazioni, «ma al telefono non risponde mai nessuno», dichiara il signor Ridolfi. «Un paio di volte ha risposto il metronotte che ci ha detto di chiamare il numero verde dell'INPS.


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Questo però è servito solo a spendere soldi per le lunghe attese al telefono»;
la stessa giornalista ha provato ripetutamente a chiamare il centralino dell'INPS di Latina, senza peraltro ottenere alcuna risposta;
il signor Ridolfi è andato personalmente negli uffici INPS e ha avuto un colloquio con una responsabile, la quale avrebbe detto: «Ma lei è il figlio, fa parte degli eredi, stia tranquillo, che i soldi li prenderà anche lei»; inoltre, dopo questa sconcertante affermazione, ne sarebbe seguita un'altra, secondo la quale nella stessa situazione in cui versa la madre del signor Ridolfi vi sarebbero un'altra novantina di casi nella sola provincia di Latina -:
a fronte di quanto esposto, quali iniziative, nell'ambito delle rispettive prerogative e facoltà si intendono adottare, sollecitare, promuovere;
in particolare quale sia la ragione per cui al centralino dell'ufficio INPS di Latina, non siano mai giunte risposte da personale qualificato;
quali accertamenti e quali iniziative anche di carattere disciplinava, si intendano assumere nei confronti del responsabile INPS qualora se ne risultino i presupposti;
se sia vero che nella sola provincia di Latina vi sarebbero una novantina di casi simili a quelli segnalati dal signor Ridolfi; e in caso affermativo, quali iniziative si intenda promuovere, adottare e sollecitare perché tali casi siano sollecitamente risolti;
se non si ritenga di dover intervenire perché il caso meritoriamente segnalato dal «Messaggero» sia finalmente risolto.
(4-08406)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la signora Vincenza Sorrentino di Marsala è deceduta in seguito a un intervento di estrazione di calcoli dalla colecisti, effettuato nel reparto di chirurgia generale dell'ospedale «Paolo Borsellino» di Marsala;
la signora Sorrentino è stata operata il 15 luglio 2010, e un primo segnale che qualcosa non era andato bene era dato dall'improvviso e inusuale aumento della temperatura corporea, mentre le ferite risultavano sporche di un liquido indefinibile e i dolori della signora Sorrentino non accennavano a diminuire;
il 20 luglio - cioè ben cinque giorni dopo l'intervento e i sintomi sopra esposti la signora Sorrentino veniva finalmente riportata d'urgenza in sala operatoria, per un intervento durato quattro ore, al termine del quale il chirurgo comunicava ai figli della signora che era stato asportato un tratto di intestino perforato nel corso della precedente operazione, e che voleva essere lui a rimediare, riconoscendo di essere l'autore del precedente intervento;
le condizioni della signora tuttavia, anche dopo il secondo intervento permanevano critiche, al punto che veniva deciso di trasferirla d'urgenza al reparto di rianimazione dell'ospedale Civico di Palermo, dove veniva diagnosticato uno stato ormai «terminale» e uno shock settico; il 25 luglio infine la signora Sorrentino è deceduta -:
se quanto sopra esposto corrisponde al vero e in caso affermativo, e nell'ambito delle proprie prerogative, quali iniziative si intendano promuovere, adottare e sollecitare in relazione a quello che di tutta evidenza appare l'ennesimo caso di malasanità.
(4-08407)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel solo 2009, secondo i dati raccolti dall'agenzia di informazioni «AdN-Kronos»,


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si è calcolato in circa 27 milioni di euro il valore economico perduto dai soli materiali riciclabili dei vecchi apparecchi tv, telefonini, cordless, pc e macchine fotografiche, finiti nelle discariche insieme ai più ingombranti elettrodomestici, e in ben 660mila le tonnellate di CO2 che potevano essere risparmiate all'atmosfera e che invece sono state disperse nell'aria come prodotto di questo tipo particolare di rifiuti;
la situazione è destinata a peggiorare perché il tasso di crescita dei «Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche» (i cosiddetti Raee) è impressionante: la percentuale di aumento a livello mondiale è calcolata in +5 per cento all'anno, tre volte più alta di quella dei rifiuti normali;
nel solo 2008 ogni italiano ha prodotto in media circa 14 kg di Raee per un totale di oltre 844.242 tonnellate. Applicando la stessa percentuale di crescita rilevata a livello globale al nostro paese, l'incremento nel 2009 è stato di 42.223 tonnellate per un totale di 886.465 tonnellate di rifiuti elettronici ed elettrici. Una montagna di microapparecchiature, fili, tubi catodici, vetro di cui è stata riciclata una minima parte, circa il 15 per cento;
dai dati del Centro di Coordinamento dai consorzi attivi nella raccolta, emerge che sono oltre 192.000 le tonnellate di Raee provenienti da uso domestico ritirate presso i Centri di Raccolta italiani nel corso del 2009 dai 15 sistemi collettivi operanti sul territorio nazionale. Gli stessi consorzi adibiti alla raccolta calcolano che questa sia una percentuale pari al 15 per cento dei rifiuti prodotti;
a detta degli esperti il problema centrale è quello della raccolta dei Rifiuti elettronici ed elettrici ancora oggi affidata alla buona volontà dei cittadini che si devono recare nelle isole ecologiche dei comuni o chiamare, ove possibile, le società comunali addette alla gestione dei rifiuti. Difficile che lo si faccia per un apparecchio poco ingombrante, dal vecchio cellulare al pc ormai desueto, calcolando che il servizio ha un costo e bisogna garantire la presenza a casa nella fascia oraria indicata dagli addetti;
la soluzione potrebbe consistere nel non costringere i cittadini a cercare il luogo dove gettare il vecchio apparecchio ma nello «smaltirlo» di pari passo con l'acquisto di uno nuovo, ma questa metodologia cosiddetta «uno contro uno» va sancita da una norma ad hoc: ancora oggi infatti a indicare le modalità di raccolta dei Raee è il decreto 151 del 2005 di cui si attende ancora il decreto attuativo, quello che gli addetti ai lavori chiamano appunto «uno contro uno»: ovvero acquisto un apparecchio nuovo, lascio al negoziante il vecchio, ma il distributore dev'essere «abilitato» per legge a raccogliere rifiuti che oltre che ingombranti sono anche, potenzialmente, tossici;
fino a quando la norma non sarà varata rimane ad indicare le modalità della raccolta dei Raee il decreto 151 del 2005 che recepisce le indicazioni di alcune direttive emanate dall'Unione Europea, ma di fatto rimanda per la soluzione ad un nuovo decreto, attuativo;
il punto centrale del decreto 151 è l'obbligo per le aziende produttrici di organizzare e gestire un sistema per il riciclo dei prodotti immessi nel mercato e giunti a fine vita, ma anche i distributori di questi apparecchi sono deputati a ritirare gratuitamente i Raee dai consumatori in occasione di un nuovo acquisto equivalente: questo ritiro gratuito degli apparecchi da parte del distributore è però subordinato all'entrata in vigore di uno specifico decreto «attualmente in fase di definizione». Tuttavia sono passati 5 anni;
i Comuni devono mettere a disposizione dei cittadini e dei punti vendita Centri di Raccolta idonei per i Raee, le cosiddette «isole ecologiche», aree quasi sempre limitate dove i cittadini si devono recare appositamente: un'incombenza non sempre facile da svolgere per una persona che lavora e certamente meno pressante se ci si deve liberare di un piccolo apparecchio,


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che spesso quindi rimane in fondo a un cassetto, quando non finisce nella spazzatura; non stupisce dunque che la media italiana di raccolta di questo tipo di rifiuti è di due chilogrammi per abitante, contro una media europea di sei e un obiettivo che prevedeva di raggiungere i quattro chilogrammi;
secondo stime in Italia ogni anno si acquistano oltre 2 milioni di frigoriferi e di tv, 500.000 climatizzatori, 20 di telefonini; in totale sono oltre 110 milioni i cellulari posseduti in Italia, (quasi due apparecchi per abitante), e, ancora, bisogna tenere presente le conseguenze, in termini di smaltimento di Raee, del passaggio alla tv digitale terrestre -:
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, si intendano promuovere, adottare, sollecitare, in ordine a quanto sopra esposto ed evidenziato;
se non si ritenga necessario predisporre i decreti attuativi previsti dal citato decreto 151 del 2005;
quale sia lo stato della situazione dello specifico decreto attuativo che, secondo l'agenzia «AdN-Kronos» sarebbe «in fase di definizione», quali siano le ragioni del clamoroso ritardo e, dal momento che ben cinque anni non sembrano essere stati sufficienti, quanto tempo ancora si preveda sia necessario per arrivare a detta definizione.
(4-08411)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto denuncia Legambiente in Italia ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di cemento amianto, ma mancano impianti di smaltimento e discariche;
si tratta comunque di un censimento ancora parziale: solo 13 regioni infatti hanno approvato un piano per il censimento e la bonifica;
secondo il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani, si registra «un pericoloso immobilismo dello Stato e delle Regioni che espone la popolazione a un rischio per la salute molto insidioso perché di amianto ce n'è molto»;
«laddove si è iniziato a lavorare, si procede a rilento: a 18 anni dalla legge 257/92 che mise al bando l'amianto, il censimento infatti è ancora in corso in gran parte delle regioni e solo cinque (Basilicata, Lombardia, Molise, Puglia e Umbria) hanno dati relativi all'amianto presente negli edifici privati»;
sommando le informazioni, a Legambiente risulta che ad oggi in Italia ci sono circa 50 mila edifici pubblici e privati in cui è presente amianto, e i quantitativi indicati solo da undici regioni (Lazio, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Abruzzo, Molise, Sardegna, Toscana, Basilicata, Piemonte e Liguria) anche se non esaustivi, delineano comunque le dimensioni del problema: 100 milioni circa di metri quadrati di strutture in cemento-amianto, e oltre 600 mila metri cubi di amianto friabile;
le regioni che hanno una discarica dedicata allo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto sono Friuli Venezia Giulia, Lombardia (esaurita però nel marzo 2009), Abruzzo (in istruttoria per la riapertura), Emilia-Romagna e Liguria. La Basilicata ne ha 2, il Piemonte 3, la Toscana e la Sardegna 4, ma tutti i casi le capacità residue sono comunque molto scarse se relazionate ai quantitativi di materiali contenenti amianto ancora presenti sul territorio;
a causa dell'amianto si continua a morire e secondo il Registro nazionale mesoteliomi istituito presso l'Ispesl (che dal 1993 censisce il tumore dell'apparato respiratorio strettamente connesso all'inalazione di fibre di amianto) sono oltre 9 mila i casi riscontrati fino al 2004, con un esposizione che circa il 70 per cento delle volte è stata professionale. Tra le regioni più colpite Piemonte (1.963 casi di mesotelioma


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maligno), la Liguria (1.246), la Lombardia (1.025), l'Emilia-Romagna (1.007) e il Veneto (856) -:
se non si ritenga necessario, opportuno e urgente mutare l'approccio dimostrato fino ad oggi nella lotta all'amianto, e in particolare se non si ritenga necessario garantire continuità di risorse economiche per le analisi epidemiologiche necessarie a monitorare gli effetti sanitari del problema;
se, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, non si ritenga necessario acquisire elementi con riguardo ai ritardi sulla mappatura delle strutture interessate per stabilire le priorità di intervento;
se non si ritenga di dover dare il massimo di appoggio e sostegno possibile alla campagna d'informazione «Liberi dall'amianto», svolta in collaborazione con l'associazione italiana Medici per l'ambiente per illustrare alla popolazione i rischi derivanti dall'esposizione all'amianto e quali regole di comportamento adottare quando si ha a che fare con strutture contaminate.
(4-08413)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel sito «Corriere.it» il giorno 13 agosto 2010, è stato pubblicato un articolo di Donatella Barus della Fondazione Umberto Veronesi, intitolato: «Cure anti-cancro, anziani discriminati. Per gli over 65 è più difficile accedere ai nuovi farmaci e alle sperimentazioni. Gli esperti lanciano una campagna»;
nel citato articolo si fa presente che le persone anziane risultano essere la maggioranza fra i malati di tumore «ma il meglio delle cure e della ricerca pare non essere per loro. Gli anziani troppo spesso sono tagliati fuori dalle terapie più avanzate e dai protocolli sperimentali, senza valide ragioni mediche, ma solo in base all'età»;
nell'articolo in questione si legge tra l'altro che «se c'è un farmaco che ribalta le prospettive di sopravvivenza... tutti i quarantenni lo ricevono, per gli anziani è un'eccezione»; e che se la speranza di vita raddoppia così non accade per gli anziani malati di tumore: ...che restano fermi alle statistiche di trent'anni fa. Ai danni dei malati ultrasessantenni si sta consumando quella che un gruppo agguerrito di oncologi non esita a definire «una discriminazione grave e inaccettabile» l'allarme è stato lanciato in occasione del Congresso dell'European haematology association (Eha) tenutosi a Barcellona;
la rivista «Ecancermedicalscience», fondata dall'Istituto europeo di oncologia di Milano, ha dato il via a una campagna di sensibilizzazione che coinvolge medici, pazienti e associazioni;
come ha spiegato il dottor Mario Boccadoro, direttore del dipartimento di oncologia e ematologia dell'ospedale San Giovanni Battista di Torino, proprio dalle malattie oncoematologiche emergono i contrasti più stridenti: «Negli ultimi dieci anni la sopravvivenza dei malati di mieloma multiplo è raddoppiata, ma se si considerano soltanto i pazienti ultrasettantenni non si nota alcun vantaggio rispetto al passato. C'è una disparità di trattamento, la comunità medica resta attaccata a vecchi schemi di cura, ricorrendo raramente ai nuovi farmaci già in commercio, come bortezomib, talidomide e lenalidomide, molto efficaci e molto meno tossici della vecchia chemioterapia»;
ancora più sconvolgenti appaiono i dati raccolti dalla European cancer patients coalition, che rappresenta 300 organizzazioni di pazienti in 42 Paesi. L'esempio è quello della leucemia mieloide cronica, una patologia che viene diagnosticata in genere in età avanzata, e la cui storia è stata rivoluzionata dall'avvento di un medicinale, l'imatinib (o Glivec), il primo vero farmaco «intelligente». «Quindici anni fa solo 30 malati su cento erano ancora vivi a otto anni dalla diagnosi, oggi sono 93 su cento» ha segnalato


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il dottor Jan Geissler, direttore di Ecpc, e caso raro di paziente a cui la leucemia mieloide è stata diagnosticata a 28 anni;
secondo i dati raccolti da Ecpc, l'imatinib, «gold standard» per questa forma di leucemia, è somministrato a quasi tutti i quarantenni (il 93 per cento delle donne e l'81 per cento degli uomini) e a meno della metà dei malati fra i 70 e gli 80 anni (48 per cento delle donne e 44 per cento degli uomini);
il dottor Geissler ha evidenziato come «all'ultimo congresso Asco, il principale appuntamento internazionale di oncologia, sono stati presentati due grandi studi sul nilotinib e il dasatinib, nuovi farmaci contro la leucemia mieloide cronica, malattia che viene diagnosticata dopo i 65 anni; è risultato che l'età media dei pazienti coinvolti nei trial clinici era di 46-49 anni. Abbiamo bisogno di una ricerca che rappresenti la realtà», è la conclusione del dottor Geissler;
nella classe medica, sempre a giudizio del dottor Geissler «resistono barriere mentali che fanno ritenere poco adeguati trattamenti intensi oltre una certa età»; e tutto ciò, a giudizio del dottor Gordon McVie, esperto oncologo, senior consultant all'Istituto Europeo di Oncologia e fondatore di Ecancermedicalscience, «è imbarazzante per la professione. Perché questa è assolutamente responsabilità dei medici. Vedo mancanza di conoscenza e di comprensione del problema, è una discriminazione inaccettabile. Il geriatra deve diventare un compagno di strada dell'oncologo e tutti devono essere coinvolti, medici, familiari, pazienti»;
riferisce il citato articolo, sugli anziani colpiti da tumore, trascurati dal mondo della ricerca anticancro, si sa poco, ma resiste la convinzione diffusa, fra i medici e gli stessi malati e i loro familiari, che dopo una certa età si è troppo fragili per tollerare cure intense; e che, come riconosce il professor Richard Sullivan, docente al King's College di Londra, che ha coordinato un'indagine su pazienti esperti anziani affetti da sindromi mielodisplastiche e leucemia mieloide acuta, interpellando esperti di Regno Unito, Italia, Francia, Germania, Spagna, «semplicemente, molti oncologi neppure considerano l'eventualità di terapie aggressive e ritengono che gli stessi malati non siano interessati alla cosa... al 63 per cento dei malati neppure vengono prospettate altre opzioni di trattamento nonostante il fatto che fino al 20 per cento dei pazienti anziani sia un candidato adatto alla chemioterapia intensiva, per gli altri esistano comunque trattamenti non mieloablativi e in casi selezionati possano anche essere sottoposti a trapianto di staminali»;
come invita il dottor Boccadoro, i «nonni» di oggi non sono più i vecchietti di una volta e i medici devono prenderne atto. A 70 anni l'aspettativa di vita se si è in buone condizioni è almeno di 15 anni. Non bisogna stabilire «quanto» uno è anziano solo in base alla data di nascita, ma in base a una valutazione complessa di comorbidità, malattie associate. Bisogna ripensare il concetto di fragilità, difendere i nostri anziani in buona salute e fare in modo che ricevano le cure migliori;
come osserva il professor Sullivan, «siamo di fronte al più rilevante problema sociale che i paesi sviluppati e in via di sviluppo dovranno affrontare. Oggi il 60 per cento dei malati di cancro ha almeno 65 anni. Entro il 2030 saranno il 70 per cento. Negli Stati Uniti si contano circa 10 milioni di ultrasessacinquenni sopravvissuti a un tumore, persone spesso sole, con sempre meno figli, povere, sottoposte a terapia, perciò particolarmente vulnerabili» -:
di quali elementi disponga in relazione a quanto affermato nel citato articolo, circa la discriminazione di cui sarebbero oggetto e vittime gli anziani affetti da tumore, e in particolare se per i cosiddetti «over 65» sia più difficile accedere ai nuovi farmaci e alle sperimentazioni;
se non ritenga opportuno assumere iniziative per accertare la fondatezza delle notizie riportate nel citato articolo, e - ove queste risultassero confermate - intervenire


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nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà perché questa discriminazione abbia a finire;
se non ritenga di dover sostenere e appoggiare la campagna informativa annunciata nel sopra citato articolo.
(4-08415)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
un bambino di sette mesi è deceduto al policlinico di Messina, e i genitori del piccolo hanno presentato una denuncia alla magistratura;
secondo la ricostruzione dei genitori, il bimbo il 19 agosto 2010, su consiglio del pediatra, era stato ricoverato all'ospedale «Piemonte», dove i sanitari gli avrebbero diagnosticato un'infezione virale e un'otite e somministrato antibiotici. Ma il 23 agosto, le sue condizioni sono peggiorate. Un successivo esame endoscopico avrebbe rivelato un'infezione intestinale. Da qui l'immediato trasferimento al Policlinico, dove è stato sottoposto a un'esame radiologico che ha confermato la diagnosi dei medici dell'ospedale «Piemonte»;
secondo i genitori, la sonda utilizzata all'ospedale «Piemonte» per l'esame intestinale avrebbe provocato una lacerazione; il bambino è stato intubato e trasportato in sala operatoria per l'intervento, ma non c'è stato niente da fare -:
di quali elementi disponga in ordine alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda promuovere, o adottare.
(4-08416)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
anche se il nostro Paese ha un tasso di mortalità per parto tra i migliori al mondo - circa 3,9 decessi ogni 100 mila nati vivi - l'Italia è il primo, tra i Paesi dell'Unione europea per il ricorso ai parti cesarei, che hanno rischi da due a quattro volte maggiori rispetto ai parti vaginali;
in base a questi dati, contenuti in un recente rapporto dell'Istituto superiore di sanità, lo stesso Istituto definisce allarmante il fenomeno, e per questo ha messo a punto linee guida limitative del ricorso alla pratica;
la media del numero dei parti cesarei è del 38 per cento, contro l'indicazione massima del 15 per cento, raccomandata dall'Organizzazione mondiale della sanità;
le punte massime si registrano nelle regioni meridionali del Paese, con in testa la Campania, con il 62 per cento di parti cesarei;
si è passati dall'11 per cento del 1980 al 38 per cento del 2008, ben al di sopra dei valori riscontrati negli altri Paesi europei;
si registra, inoltre, una spiccata variabilità su base interregionale, con percentuali tendenzialmente più basse nelle regioni dell'Italia settentrionale, e più alte in quelle meridionali, probabile indizio - secondo l'Istituto superiore di sanità - di «comportamenti non appropriati»; e questo, avvertono gli esperti, nonostante tale intervento presenti comunque margini di rischio consistenti: come si è detto da due a quattro volte superiore rispetto al parto vaginale;
se la media nazionale della mortalità per parto è tra le più basse del Mondo, esiste comunque una discreta differenza regionale tra il Nord e il Sud, che varia da due a sette volte di più, rispetto alla media nazionale;
gli ultimi dati dell'Istituto superiore di sanità riguardano sei regioni: Piemonte, Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia, e mettono in risalto anche le cause e i rischi connessi al parto;
i valori più bassi sono stati registrati al Nord e in Toscana (otto decessi per 100 mila nati vivi), e quelli più elevati nel


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Lazio (tredici morti per 100 mila nati vivi), e in Sicilia (ventidue morti per 100 mila nati vivi) -:
se non si ritenga opportuno e urgente accertare le ragioni per cui si è passati dall'11 per cento del 1980 dei parti cesarei, al 38 per cento dei 2008, ben al di sopra dei valori riscontrati negli altri Paesi europei e per quale ragione le punte massime si registrino in particolare nelle regioni meridionali del Paese;
quali iniziative il Ministero, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda promuovere, e adottare per la piena attuazione delle linee guida predisposte dall'Istituto superiore di sanità per quel che riguarda parti cesarei e vaginali.
(4-08434)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come riferito da agenzie di stampa, siti internet e notiziari dei telegiornali, una donna di 33 anni, la signora Eleonora Tripodi, è deceduta dopo essere stata sottoposta a un intervento di parto cesareo nella clinica Villa dei Gerani di Vibo;
la signora Tripodi è deceduta durante il trasporto in ambulanza nell'ospedale di Lamezia Terme;
il trasferimento era stato deciso dopo che era stata verificata la mancanza di posti liberi nel reparto di rianimazione dell'ospedale di Vibo Valentia;
a quanto riferisce il legale della famiglia Tripodi, avvocato Giovanni Vecchio, la donna «stava male da tempo ed aveva chiesto di essere sottoposta subito a parto cesareo. Richiesta non accolta dai sanitari della clinica Villa dei Gerani, che avevano sostenuto che era troppo presto» -:
quale sia stata l'esatta dinamica dell'accaduto e se il fatto sia ascrivibile nella purtroppo vasta casistica di "malasanità" ed errori sanitari, che con sconcertante frequenza si verificano nella regione Calabria;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda promuovere o adottare, in ordine a quanto sopra esposto.
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EVANGELISTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 33 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, prevede «Per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilia ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti» uno stanziamento di 150 milioni di euro per l'anno 2007;
l'articolo 2, comma 361, della legge finanziaria per il 2008, autorizzava per le transazioni di cui sopra una spesa di 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008, mentre il successivo comma 362 prevedeva l'adozione di un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in cui fossero fissati i criteri in base ai quali definire, nell'ambito di un piano pluriennale, tali transazioni;
in data 28 aprile 2009 è stato emanato dall'allora Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali il decreto ministeriale n. 132, che determinava i criteri per la stipula delle transazioni con soggetti danneggiati che abbiano instaurato, anteriormente al 1o gennaio 2008, azioni di risarcimento danni ancora pendenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso;
il Ministero della salute ha altresì disciplinato le modalità di pagamento degli indennizzi decennali dovuti ex legge n. 229


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del 2005 ai danneggiati da vaccinazione con decreto ministeriale 21 ottobre 2009 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 13 gennaio 2010, escludendo i deceduti dalle graduatorie dei pagamenti. Il Tar del Lazio, su ricorso del presidente dell'associazione AMEV di Firenze, avvocato Marcello Stanca, ha sospeso l'esecutività dello stesso decreto per una serie di gravi irregolarità contenute nel provvedimento inerenti alla formazione della graduatoria, e poiché è stata esautorata arbitrariamente la Commissione che, secondo la legge n. 229 del 2005, articolo 3, avrebbe dovuto determinare i pagamenti;
risulta all'interrogante, ma lo si evince anche dal sito del Ministero della salute, che, a seguito della circolare ministeriale 20 ottobre 2009, n. 28, sono state presentate oltre 7.000 domande di adesione alla procedura transattiva proposta dal Ministero della salute ai cittadini cui sono stati riconosciuti danni da trasfusioni infette o da vaccinazione obbligatoria;
vista la complessità dell'operazione (verifica della correttezza delle informazioni fornite dai legali, nonché della completezza della documentazione allegata) il Ministero ha comunicato che la stipula dei primi atti transattivi si prevede potrà partire dal mese di dicembre 2010;
giungono all'interrogante segnalazioni, da parte dell'AMEV di Firenze, circa la presenza di anomalie riguardanti la gestione dei risarcimenti per le persone decedute a causa di contagio da sangue infetto o vaccinazioni, poiché paradossalmente quelle inserite in graduatoria riescono a ottenere il risarcimento e quelle decedute per la stessa causa, e che avevano adito le vie legali e ottenuto una sentenza favorevole, non risultano nemmeno menzionate, come nel decreto ministeriale citato -:
quali assicurazioni intenda dare per consentire il rispetto della data del prossimo dicembre 2010 per iniziare a stipulare le prime transazioni e in quali tempi verranno conclusi tutti gli accordi e liquidati tutti gli aventi diritto;
per quale ragione l'importo dei risarcimenti per i deceduti da sangue infetto, fissato dal decreto-legge n. 89 del 2003 e dalla recente legge quadro (articolo 33 della legge finanziaria per il 2007), in 619.000 euro, è stato oggi arbitrariamente ridotto a 100.000 euro per ogni deceduto, e per quale ragione l'importo di 450.000 euro originariamente previsto per il contagiato da Hiv e Hcv, tuttora in vita, sia stato ridotto a 26.000 euro pagabili in 15 anni;
come intenda agire nei confronti delle centinaia di cittadini contagiati da Hcv e Hiv, o lesi da vaccino, che nel frattempo sono deceduti senza ottenere alcun risarcimento, neanche per curarsi;
se intenda restituire alla commissione di controllo prevista dalla legge n. 229 del 2005 i poteri di controllo che arbitrariamente le sono stati sottratti, e che hanno provocato l'inibitoria del Tar Lazio n. 1147 del 2010 nel ricorso 1414 del 2010 -:
come mai il Ministero della salute non abbia ritenuto, in luogo dell'attuale centralizzazione della gestione delle domande, di avvalersi delle risorse burocratiche delle regioni alle quali è demandata tutta l'amministrazione delle problematiche in materia di indennizzi da sangue infetto e vaccinazioni ex decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2000 nel quadro dell'accordo Stato-Regioni;
per quale ragione il Ministero abbia rifiutato di inserire nella graduatoria dei pagamenti, ex decreto ministeriale 21 ottobre 2009, decine di cittadini che hanno ottenuto sentenze favorevoli e definitive ai fini del pagamento dei risarcimenti per lesioni da vaccinazione ex legge n. 229 del 2005;
se non intenda dar corso a una nuova operazione transattiva, assumendo iniziative per il rifinanziamento dell'apposito fondo, per consentire a coloro che sono rimasti esclusi da quella attualmente in itinere di accedervi per porre fine così ad anni di azioni legali, ingenti spese sostenute, e vedere finalmente definiti e attribuiti i risarcimenti a essi spettanti.
(4-08436)


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FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nel sito del quotidiano «Il Secolo XIX» si è data notizia di quanto disposto dal sindaco di Savona Federico Berruti, che, con un'ordinanza pubblicata sull'albo pretorio, ha disposto che nessun bambino debba accedere al cortile della scuola materna di via Verdi a Savona, che nessuna finestra debba essere aperta se si affaccia sul citato cortile, e l'avvio immediato di una serie di esami per verificare la salubrità dei locali, rispetto al pericolo delle fibre di amianto nell'aria; che l'ordinanza è stata notificata all'Asl, ai vigili urbani ma soprattutto al legale rappresentante dell'immobile, il vescovo Vittorio Lupi in quanto responsabile per tutti i beni della chiesa, e l'asilo è uno di questi;
risulta essere l'ultimo atto di una vicenda che da mesi allarma decine di mamme ma anche residenti che per la vicinanza al tetto della scuola materna hanno firmato numerosi esposti per sollevare il problema dell'amianto ed i rischi conseguenti;
da quasi due anni era nota la presenza sul tetto di via Verdi di un inquietante lastrone di amianto di quasi mille metri quadrati, ma finora Comune e Asl, nonostante sopralluoghi e lettere di sollecito, non sono mai riuscite a far fare alla proprietà (la Curia) i lavori necessari per la messa in sicurezza e la bonifica;
la vicenda inizia nell'ottobre 2008 quando all'Asl arrivò la prima segnalazione, un esposto di un residente che denunciava «degrado e pericolo per la copertura dell'asilo»;
i successivi sopralluoghi dell'Asl hanno confermato la presenza «di 950 mq di lastre di cemento-amianto installato nel 1940» e a più riprese la stessa Asl ha intimato alla proprietà della scuola l'avvio di un piano di bonifica «urgente»;
da parte della proprietà giunsero assicurazioni che l'intervento sarebbe stato effettuato «non appena rinvenute le risorse finanziarie necessarie» (c'era da attendere - si disse - una dismissione immobiliare);
nel dicembre 2009, la madre di un bambino scrisse al sindaco per lamentare il perdurare della situazione di rischio chiedendo provvedimenti; tale lettera poco dopo è stata seguita da un altro esposto questa volta dei condomini di un edificio confinante, nel quale si faceva presente il problema del vento «che trasporta particelle di amianto verso le nostre finestre»;
la Curia, nonostante lamentele e denunce, non ha mai risolto il problema continuando a rinviare la soluzione;
quale sia lo stato della situazione, e in particolare se finalmente la Curia responsabile dell'immobile in questione, abbia provveduto alla necessaria bonifica e rimozione del citato lastrone di amianto;
in caso negativo, quali iniziative, si intendano promuovere o adottare perché la questione sia finalmente risolta -:
se non si ritenga necessario che gli abitanti della zona interessata, gli alunni della scuola materna e tutto il personale dell'istituto siano sottoposti ad accurata visita medica per accertare eventuali danni provocati dalla prolungata esposizione all'amianto.
(4-08464)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
i cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno rilasciato per cure mediche non possono iscriversi al Servizio sanitario nazionale a causa di quanto disposto dal testo unico n. 286 del 1998, articolo 36 e successive modifiche;
questi cittadini, se pur in possesso del suddetto permesso, non possono lavorare e quindi affrontare le spese derivanti dalle eventuali cure mediche;


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la normativa sopraccitata prevede, dopo l'iter che autorizza l'ingresso in Italia a questi cittadini, il pagamento delle prestazioni sanitarie a totale carico dell'assistito; costoro che ovviamente non tornano nel proprio Paese d'origine, ma rimangono in Italia, hanno il bisogno, dopo una diagnosi, di continuare ad essere curati senza però avere le risorse necessarie per farlo -:
se non ritenga di assumere iniziative, ove necessario, normative, perché i presidi sanitari siano in grado di garantire ai cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno per cure mediche di poter usufruire in maniera gratuita del servizio sanitario nazionale.
(4-08467)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 1o settembre 2010, il sindaco di Terni, senatore Leopoldo Di Girolamo, ha emesso un'ordinanza urgente per vietare l'utilizzo per il consumo da parte degli abitanti dell'acqua proveniente dal pozzo 01 dell'acquedotto privato al servizio dei villaggi Polymer e Campomaggio e adibito ad usi potabili e per la preparazione degli alimenti;
sono 153 le famiglie coinvolte;
stando a quanto riferisce una nota del comune, l'ordinanza è stata resa necessaria in seguito alla segnalazione da parte del Servizio igiene degli alimenti e nutrizione della Asl di concentrazioni di tetracloroetilene nelle acque del pozzo, posto all'interno del polo chimico ternano. In collaborazione con il Sii e l'Ati, ambito territoriale integrato, n. 4 Umbria è stato immediatamente istituito un servizio di approvvigionamento idrico alternativo tramite autobotti a Villaggio Polymer, a Campomaggio e Case sparse di Santa Filomena, mentre saranno predisposti serbatoi destinati ai quartieri interessati;
i vigili del fuoco sono stati allertati per un eventuale supporto per l'approvvigionamento alternativo e il servizio comunale di protezione civile si è a sua volta attivato per informare, anche tramite altoparlanti, la popolazione sul divieto di consumo;
personale del servizio igiene alimentare e nutrizione dell'Asl n. 4 ha già provveduto a prelevare campioni di controllo per la ricerca di tetracloroetilene e gli esiti delle analisi saranno comunicati appena resi disponibili dall'Arpa;
la situazione viene costantemente monitorata sinergicamente da sindaco, enti interessati, prefetto;
sono state immediatamente avvisate le aziende chimiche Edison, Treofan, Basell e Meraklon;
notizie di stampa riferiscono che secondo gli abitanti della zona c'erano tutti i presupposti per intervenire prima che si giungesse all'emergenza idrica e già da febbraio si avvertiva nell'acqua un cattivo odore, troppo forte per essere normale;
risulta agli interroganti che i residenti della zona avessero aperto da tempo un «contenzioso» con la Edison, proprietaria dell'acquedotto che fa riferimento alle aziende del polo chimico ternano, relativamente all'utilizzo del pozzo di attingimento che ha fatto scattare l'emergenza inquinamento;
la questione della fornitura di acqua da un pozzo interno al polo chimico era stata più volte oggetto di valutazioni tanto che erano stati programmati i lavori per l'allaccio, entro la fine dell'anno, alla rete idrica del Sii;
alla luce del riscontrato inquinamento del pozzo, i lavori si rendono adesso di estrema urgenza;
il tetracloroetilene, a temperatura ambiente, si presenta come un liquido incolore dall'odore di cloro, più denso dell'acqua. È un composto nocivo per inalazione e pericoloso per l'ambiente (come molti alogenuri organici è scarsamente


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biodegradabile). Non è infiammabile. Viene utilizzato nelle lavanderie a secco come solvente per sgrassare metalli, nell'industria chimica e farmaceutica, nonché per scopi domestici;
in Italia, la legge considera «pericolosi» i rifiuti contenenti tetracloroetene (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 - articolo 184) e tali da non doversi smaltire in fognatura;
questo non sarebbe comunque il primo caso di inquinamento o comunque di alterazione di alcuni parametri dell'acqua che si registra nel pozzo -:
di quali informazioni disponga in merito il Governo; in particolare, se e quali forme di controllo siano state attivate a partire da febbraio 2010, quando i residenti della zona hanno iniziato ad avvertire i miasmi e quali ulteriori controlli ambientali e sanitari siano previsti in merito all'inquinamento derivante dal polo chimico in questione.
(4-08486)

VACCARO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nonostante la legge regionale della Campania del 28 novembre 2008 n. 16 prevedesse la conservazione e il potenziamento del presidio ospedaliero Costa d'Amalfi, l'approvato piano sanitario regionale sancisce - ad oggi - la soppressione del «Presidio Ospedaliero» Costa d'Amalfi e la sua sostituzione con una struttura polifunzionale per la Salute (SPS);
a tal proposito, è necessario ricordare come - stante quanto previsto dal piano sanitario regionale - la struttura polifunzionale per la salute si caratterizza per la sola presenza di: ambulatori di medici specialisti ed infermieristici aperti esclusivamente nelle ore diurne, medici di famiglia, guardia medica, ambulatori di radiologia e laboratori di analisi (esclusivamente nelle ore diurne), sede del 118, strutture di degenza territoriali e, si badi, non ospedaliera; servizi socio-sanitari;
appare evidente la drastica riduzione o, talvolta, la cancellazione completa di servizi sanitari essenziali e di emergenza quali: il pronto soccorso medico, il pronto soccorso chirurgico e il servizio di chirurgia d'urgenza, il reparto di cardiologia aperto 24 ore al giorno, il reparto di rianimazione, il reparto di radiologia e analisi;
il centro di Ravello, inoltre, è da sempre sprovvisto dei dieci posti letto dei quali si fa menzione nel piano sanitario regionale;
appare poi imprescindibile considerare l'unicità del territorio della Costiera Amalfitana, caratterizzato da una particolarissima conformazione geomorfologica e da un intricato e difficile sistema di viabilità, che rende pressoché impossibile, specie nel periodo estivo, effettuare gli spostamenti anche tra Comuni vicini; inoltre l'ingente quantità di turisti che durante tutto l'anno visita la costiera amalfitana - stimata mediamente in un milione e duecentomila pernottamenti annui - non fa che accrescere la necessità di un presidio ospedaliero funzionate. È necessario considerare come la struttura ospedaliera della Costa d'Amalfi conti, ogni anno, circa 10.000 accessi al solo pronto soccorso e 2.500 consulenze cardiologiche, oltre ad effettuare almeno 50 interventi «salvavita» di rianimazione; con la trasformazione della struttura, una persona colpita da infarto o ictus non potrà più essere portata, come avviene ora, presso il plesso di Ravello per essere stabilizzata, ma dovrà essere direttamente trasferita presso gli ospedali di Cava de' Tirreni o di Salerno, con il rischio che il paziente possa morire durante il tragitto, come troppe volte è avvenuto in passato, esempio è la morte di Quasimodo;
inoltre l'assenza di un «Presidio Ospedaliero» commisurato all'imponente afflusso turistico - specie nel periodo estivo - rischia di cagionare serie e gravi ripercussioni sull'intera economia della Costiera Amalfitana: la mancanza di adeguate strutture sanitarie provocherà, verosimilmente,


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la conseguente esclusione dello stesso distretto turistico internazionale dalle offerte rivolte alla clientela da parte dei tour operator, i quali richiedono in località oggetto di imponenti flussi vacanzieri, presidi ospedalieri idonei;
quindi, pur con un consapevole riordino della spesa sanitaria, è imprescindibile evitare di scendere al di sotto del livello sanitario minimo attualmente assicurato dalla struttura ospedaliera di Ravello -:
se, in sede di definizione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, siano stati valutati gli effetti di iniziative di razionalizzazione come quelle indicate in premessa con particolare riferimento ad un'eventuale compromissione dei livelli essenziali di assistenza e quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, anche alla luce del documento sottoscritto, in data 13 maggio 2010, dalla conferenza dei sindaci della costiera amalfitana, i quali chiedono di mantenere in attività i servizi salvavita (rianimazione, servizio di cardiologia, chirurgia d'urgenza, pronto soccorso, laboratorio analisi e radiologia H 24) che hanno escluso la possibilità di parlare di malasanità, anche in occasione di eventi di particolare gravità (quale il crollo della piattaforma di Conca de' Marini, con 10 feriti gravissimi) con notevole ricaduta positiva per l'attività turistica di qualità.
(4-08488)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
dal quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno del 6 agosto 2010, si legge che sono state sequestrate delle aree in zona Calvello a valle delle quali c'è la diga del Camastra;
si tratta di aree dove si è registrata la presenza di liquami oleosi. Quanto alla «Sorgente dell'Acqua Sulfurea» è stata delimitata per impedire l'accesso di turisti - ma non il pascolo di animali - con un cartello che indica che l'acqua non è potabile per inquinamento «chimico e batteriologico»;
secondo testimonianze riportate dal quotidiano la segnaletica sarebbe lì dal 2004, senza che nessuno abbia pensato di rifare le analisi;
poco più su c'è l'area attrezzata di contrada Autiero, anch'essa sotto sequestro perché l'acqua è sporca, melmosa e di color ruggine mentre qualche anno fa era limpida e pulita, secondo Giampiero D'Ecclesis, geologo, che per l'università della Basilicata fece un monitoraggio;
altri sigilli della procura sono all'Acqua dell'abete, un'area attrezzata con tavoli, panche e fornaci per l'arrosto. Qui l'amministrazione, in via preventiva, ha chiuso la fontana. Nelle pozzanghere che costeggiano il piccolo ruscello c'è la stessa acqua oleosa che è arrivata più giù. Un cartello avverte: «Area sottoposta a sequestro giudiziario ». A dieci giorni dal ferragosto;
per aver reso noti i dati sull'inquinamento biologico e chimico degli invasi lucani, due persone, Maurizio Bolognetti e Giuseppe Di Bello sono sotto inchiesta, mentre nulla risulta agli interroganti muoversi presso le procure in merito ai numerosi esposti presentati da esponenti radicali sull'inquinamento lucano -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito alla presenza di liquami oleosi nelle acque a monte della diga Camastra;
di quali dati dispongano i Ministri interrogati in ordine alla qualità delle acque degli invasi lucani di cui in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo, con particolare riferimento alla necessità di assicurare la trasparenza e la correttezza delle informazioni concernenti i corpi idrici.
(4-08499)


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BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano Il Messaggero del 14 agosto 2010, sotto il titolo «A Rebibbia due psicologi di ruolo per 3.000 detenuti e sono in servizio da oltre 20 anni», è stata pubblicata la seguente lettera scritta dal dottor Daniele Rondanini, dirigente psicologo della Asl Rm B: «Di fronte al crescente numero di suicidi in carcere e, più in generale, della realtà grave della salute psichica nel sistema penitenziario, è utile dar conto di taluni effetti aberranti del Dpcm del 1o aprile 2008, che ha statuito in via definitiva il passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Regionale, decreto approvato tuttavia con l'obiettivo di assicurare condizioni di salute più attendibili e democratiche alla popolazione detenuta. In concreto, tale passaggio comprendeva un quantum determinato di risorse economiche; i beni e gli strumenti sanitari; il personale di ruolo medico, psicologico, infermieristico. Erano regolate altresì dallo stesso Dpcm le modalità del transito dei dipendenti nelle nuove amministrazioni, disponendo tra l'altro che quelle unità fino allora occupate non negli istituti penitenziari, bensì in uffici centrali o periferici del Ministero della Giustizia, avessero diritto a esercitare una opzione relativamente alla Asl di destinazione, in un elenco di Asl, collegate per territorio ai vari istituti, sia per adulti che per minori. La situazione di Roma era rappresentata, fra l'altro, da n. 2 psicologi di ruolo presenti per tutti gli istituti di Rebibbia (circa 3.000 detenuti), che appunto non hanno avuto diritto a optare per altre Asl ma sono stati obbligati a confluire nella Asl Rm B, anche quando, dopo circa 20 anni (!) di servizio con detenuti adulti, avessero preferito - comprensibilmente, per il loro proprio benessere psico-fisico e per l'efficacia, quindi, delle loro prestazioni - affrontare un'esperienza professionale diversa, magari con utenti del Minorile, magari con progetti sul territorio. Di più, uno di costoro, invalido per gravi patologie, è costretto a permanere sine die in carcere (notoriamente, ambiente che genera gli stress più logoranti, anche per chi vi lavora) in quanto ritenuto indispensabile (!), dimostrando l'Azienda Sanitaria una sensibilità ... sanitaria, almeno, da rivedere. Da un'altra parte, quella possibilità concessa ad altri di optare per la Asl preferita, ha determinato che ben 24 Psicologi confluissero nella Asl Rm D, che comprende nel proprio territorio un Centro di Accoglienza per Minori, nel quale il numero degli ospiti, in genere zingarelli arrestati per furto, è di gran lunga inferiore a quello degli Psicologi. Ogni commento su questa scandalosa situazione sarebbe insufficiente ad esprimere lo sdegno degli onesti. Il problema dei suicidi e della salute mentale in carcere non deriva solo dal sovraffollamento (l'ultimo suicida a Rebibbia era alloggiato in cella singola), ma soprattutto dall'utilizzo intelligente, produttivo e professionale delle risorse. Quando la risorsa è data dagli psicologi le condizioni del loro operare, compreso il ricambio periodico dell'ambito e dell'ambiente professionale, rivestono un'importanza decisiva per il raggiungimento degli obiettivi. Va inoltre sottolineato come urga una Unità Operativa in carcere che abbia specializzazione eminentemente psicologica e psicoterapeutica, e sia guidata da psicologi-psicoterapeuti, non già perché carcere vuol dire luogo di cura psichica, ma in quanto le condizioni di vita là imposte determinano tuttora grave malessere, e la capacità non solo di svolgere gli specifici interventi di cura, ma anche quella di individuare le fonti istituzionali di tali malesseri e di operare per il loro progressivo superamento, non possono che essere in primis di competenza psicologica. Le cognizioni e le operatività teorico-professionali proprie della materia psicologica la cultura medica in senso stretto per lo meno disconosce. Basti pensare al caso famoso di Stefano Cucchi, per sostenere il quale nei giorni di degenza in cui egli rifiutava il cibo i medici non hanno pensato di ricorrere a uno psicologo del


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carcere di Rebibbia, nonostante già in precedenza per casi analoghi si fosse adottata questa opportunità. Non si può escludere che questa soluzione avrebbe avuto un effetto benefico e determinato un altro sviluppo della storia. Ma se i tempi di tali riorganizzazioni possono presumersi non brevi, la decenza vorrebbe che a quelle storture derivanti dal Dpcm del 2008, già descritte, si ponesse mano subito per correggerle radicalmente, su criteri di efficienza e non di assistenzialismo: la facoltà di avanzare un'opzione di scelta non comporta garanzia di esaurimento della stessa - se esiste almeno un prioritario interesse pubblico» -:
se siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
se non ritengano opportuno promuovere iniziative di carattere normativo, al fine di superare le problematiche conseguenti al DPCM citato in premessa, e in particolare volte a far sì che l'assunzione dei 39 vincitori di concorso avviato nel 2004 sia garantita nel trasferimento della medicina penitenziaria dal Ministero della giustizia alle ASL, salvaguardando così i diritti dei vincitori di concorso ed evitando oneri per lo Stato derivanti da altre procedure concorsuali.
(4-08501)

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano Il Messaggero, nella sua edizione del 4 agosto 2010 ha pubblicato un articolo del giornalista Claudio Marincola, significativamente intitolato: «Ambulanze riparazioni a peso d'oro. Nel Lazio decuplicati i costi dei ricambi»;
nel citato articolo, si riferisce che; «sostituire una lampadina dal valore commerciale di circa tre euro può costare almeno dieci volte tanto. Cambiare il manometro dell'ossigeno 146 euro. Sistemare una pedana laterale 400; un sedile 80; due specchietti retrovisori 700; un tappino aspiratore 15; il gancio di una barella 250. Sono i prezzi normalmente praticati e fatturati all'Ares 118. Prezzi che, proprio come le ambulanze, corrono a sirena spiegata (a proposito per sostituirle 450 euro)»;
nella regione Lazio «mantenere ambulanza e relativo equipaggio in servizio H24 costa il triplo che in Piemonte», e la manutenzione «è un'altra mazzata tra capo e collo. Non c'è un tariffario ad hoc né una rete di officine certificate. E, soprattutto, a differenza di quanto avviene negli ospedali, neanche la corsa a dimettere prima possibile l'ammalato. Casomai è il contrario: vige la regola della lungodegenza. Tra la consegna e il ritiro degli automezzi può passare moltissimo tempo. Tra stima dei costi, invio del preventivo di spesa, timbro e approvazione dell'Ares 118, possono passare anche settimane e settimane, anche 6 mesi. L'«ammalato» è un automezzo addetto all'urgenza. Ma nella «clinica delle ambulanze» tutti se la prendono comoda»;
dalla lettura dell'articolo si evince la necessità e l'urgenza di regole certe: «Qualcuno invece cambia i pneumatici ogni diecimila chilometri. Qualcun altro ogni 20 mila. Per non parlare delle pasticche dei freni. C'è chi ogni 5000 chilometri decide che vanno rifatte (ma le rifanno davvero?). E che dire delle revisioni? L'ambulanza targata DR994XY revisionata e ritirata il 30 aprile 2010 con emissione di regolare fattura, è stata di nuovo revisionata il 18 giugno scorso. Già! I controlli non bastano mai. E neanche le fatture (in questo caso ne è stata presentata subito un'altra)»;
nella sola regione Lazio, sparse in varie officine, «sono circa una cinquantina le ambulanze delle flotta aziendale finite in panne. Alcune sono nuovissime fanno parte dell'ultimo stock acquistato dall'Ares all'Aricar Spa di Cavriago (Reggio Emilia): Volkswagen turbodiesel da 140 cavalli e Fiat 3000. In totale ne sono state acquistate 100, ma non si è pensato di pianificare la manutenzione nel Lazio, né prevedere i vari tagliandi per il cambio del


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l'olio, la registrazione dei freni e delle sirene»;
secondo quanto riferito, gli sprechi della manutenzione si sommano ai costi ordinari e straordinari del 118 laziale gestito per l'80 per cento dalla sanità pubblica, a differenza di altre regioni italiane dove l'emergenza-urgenza è affidata alle grandi associazioni del volontariato che godono di un trattamento fiscale agevolato;
Cisl, Cgil e le rappresentanze sindacali di base difendono - a qualsiasi costo - il modello laziale e chiedono nuove assunzioni. Il Codici, (Centro per i diritti del cittadino), che più volte ha focalizzato l'attenzione sulla sanità laziale, vuole vederci chiaro. «Molti delle inefficienze del 118 sono di vecchia data - sostiene l'associazione - alcune di queste criticità dipendono da discrasie organizzative, altre dalla cattiva gestione della Centrale operativa provinciale del 118. Il dramma è che molti di questi elementi di debolezza del servizio sono stati lungamente celati o del tutto ignorati»;
da quanto risulta, il Lazio «è la regione in cui un'ambulanza del 118 in servizio H24 costa decisamente di più rispetto ad altre regioni italiane: «Seicentomila euro rispetto ai 350 mila della Lombardia e ai 202 mila del Piemonte. Ed è appena il caso di ricordare che con la gestione affidata almeno in parte al volontariato i costi di manutenzione si abbatterebbero decisamente»;
si tratta, sostiene il segretario nazionale del CODICI Ivano Giacomelli, di «cifre da capogiro che non trovano una giustificazione se poi per rispondere ad un codice rosso capita di non avere personale disponibile... Parliamo di tempi di attesa troppo lunghi a fronte di costi troppo alti. Si tratta di un servizio che non è in grado di garantire quello che costa a spese della salute dei cittadini» -:
se quanto sopra esposto sia stato oggetto di considerazione nella formulazione ed attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario della regione Lazio al fine di assicurare da una parte il servizio efficiente di cui la collettività ha diritto, dall'altra evitare lo sperpero di pubblico denaro che l'inchiesta giornalistica evidenzia.
(4-08511)