Resoconto stenografico
INDAGINE CONOSCITIVA
La seduta comincia alle 14,15.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, l'audizione di rappresentanti di Wind.
Do la parola al dottor Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Wind, ringraziandolo per la sua presenza.
LUIGI GUBITOSI, Amministratore delegato di Wind. Innanzitutto ringrazio la Commissione per l'opportunità di riferire su un tema così importante e delicato, che ha enorme importanza per l'azienda che rappresento e per il settore delle telecomunicazioni.
Dopo una breve presentazione di Wind e dei risultati conseguiti in questi ultimi anni, la mia relazione si articolerà in cinque punti: uno sguardo d'insieme sull'industria delle telecomunicazioni a rete sia fissa che mobile in Italia e negli altri Paesi dell'Unione europea, l'andamento industriale e quindi i nodi dell'attuale assetto regolamentare del mercato delle telecomunicazioni, la compatibilità con la sua evoluzione tecnologica, i possibili modelli di investimento e il ruolo del settore pubblico e il problema del digital divide.
In questo modo, riteniamo di avere risposto ai punti sollevati dalla convocazione e, quindi, dal tema della vostra indagine.
Prima di affrontare i temi su cui si fonda l'indagine conoscitiva, mi permetto di darvi alcuni brevi cenni su Wind. Verrà comunque inviata per posta elettronica a tutti i deputati copia sia del testo che dei grafici di questa mia relazione.
Wind è uno dei principali operatori telefonici in Italia. È il secondo operatore sul mercato di telefonia fissa, dopo l'incumbent Telecom Italia, il terzo operatore sul mercato della telefonia mobile e il principale operatore Internet italiano con il portale Libero. È anche l'azienda maggiormente cresciuta tra i grandi operatori negli ultimi anni. Abbiamo una quota di mercato pari all'11 per cento circa nel fisso, al 17-18 per cento nel mobile, entrambe in crescita. Abbiamo registrato una crescita importante nel 2005, quando la società è stata rilevata con il maggiore investimento da parte di un operatore straniero in Italia. Spesso, infatti, si citano investimenti di altri operatori, ma quello del nostro gruppo è stato molto più significativo in termini numerici di quello recentemente fatto da operatori spagnoli.
Siamo passati a 16 milioni di clienti mobili dai 13,7 del 2005, registrando dunque una crescita continua. Sul fisso siamo a 2,5 milioni di clienti, di cui 1,6 milioni sono i cosiddetti «clienti diretti». Wind è
cresciuta molto in termini di clienti sia fissi che mobili e ovviamente in termini di clienti ADSL. Sulla banda larga stiamo crescendo: abbiamo circa 1,2 milioni di clienti, quasi tutti con tariffa flat, ovvero tutto compreso. La maggior parte dei nostri clienti riceve una tariffa a consumo, i canoni sul fisso, anziché il pay-per-use.
Wind occupa circa 6.800 persone, ha una rete molto importante caratterizzata da 10 mila impianti BTS, le cosiddette «antenne», una copertura GSM pari al 99,6 per cento della popolazione e UMTS pari ad oltre il 50 per cento. È in corso di completamento l'intervento per una massiva introduzione della piattaforma HSDPA, ovvero i dati sul mobile di quarta generazione. La tariffa fissa è caratterizzata da una settantina di centrali di commutazione, oltre 19 mila chilometri di fibra ottica, 3.432 chilometri di area metropolitana e 852 siti unbundling, con 270 ulteriori in corso di allestimento. Dal punto di vista di network, quindi, la situazione è estremamente significativa e nel suo complesso la seconda dopo l'incumbent.
Dal punto di vista economico e finanziario, la situazione di Wind, che tre anni fa presentava alcuni problemi, appare assolutamente risanata, avendo conseguito significativi miglioramenti. Dal 2006 al 2007 i ricavi sono cresciuti del 4,8 per cento e ulteriormente del 6,8 per cento. Il margine operativo lordo è cresciuto del 13 per cento dal 2005 al 2006, del 9,3 per cento dal 2006 e 2007 e del 7 per cento nel 2008. Il risultato operativo è cresciuto dell'80 per cento dal 2005 al 2006, del 26 per cento dal 2006 al 2007 e del 28 per cento nel 2008. Il risultato netto, che portava una perdita di 330 milioni di euro nel 2005, ha visto un utile di 198 milioni di euro nel 2007 e di circa 150 milioni di euro nella prima parte di quest'anno.
Gli investimenti si sono mantenuti importanti, giacché investiamo circa il 15-16 per cento del fatturato, quest'anno investiremo oltre 800 milioni, laddove tra 700 e 800 milioni di euro è stato l'ammontare che abbiamo investito negli ultimi tre anni. Gli investimenti principali sono stati sostanzialmente nuovi siti, sia GSM-GPRS per migliorare la copertura e la qualità del servizio, sia UMTS-HSDPA. Abbiamo investito in circa 700 km di fibra ottica e 500 chilometri ulteriori in aree metropolitane. Il flusso di cassa si è mantenuto elevato, nonostante gli importanti investimenti. Abbiamo generato nel 2006-2007 750 milioni e 600 milioni di euro. Anche quest'anno ci aspettiamo una crescita importante.
Con un pizzico di orgoglio mi piace dire che abbiamo risolto i nostri problemi senza chiedere aiuto a nessuno. Guardando all'interno e assumendo decisioni a volte dure e impopolari, abbiamo risanato la società, che è diventata un contributore importante in termini di efficienza e di competitività del sistema italiano. Ci piace altresì ricordare che spesso, se non sempre, offriamo le tariffe più competitive ai nostri clienti.
Darei ora uno sguardo di insieme al settore delle telecomunicazioni fisso e mobile in Italia e in Europa. Il settore è affetto da dinamiche comunque influenzate dalla situazione di stagnazione o addirittura di recessione dei mercati finanziari e dell'economia. Anche la crescita italiana è quindi ulteriormente rallentata, tanto che siamo vicini a una crescita zero, se non a una recessione. Si stima che la crescita del PIL del 2008 sia relativamente modesta.
Al contempo, il settore delle telecomunicazioni è stato e può essere centrale per lo sviluppo, a condizione che si valutino con attenzione le sue condizioni di salute e i principali trend che lo caratterizzano. Negli anni scorsi, infatti, le TLC hanno dato un contributo importante in termini di sviluppo economico sia del Paese, che del settore. Negli ultimi anni, però, si rileva un'inversione di tendenza e le telecomunicazioni non crescono più a ritmi sostenuti. Tale fenomeno, che si osserva ormai dal 2005, è riscontrabile sostanzialmente in tutta l'Europa, per non dire nel mondo con l'esclusione di alcuni Paesi emergenti. Peraltro, in Italia questo fenomeno è più accentuato. Dai grafici emerge
come la crescita del settore delle telecomunicazioni sia molto più contenuta.
Il presidente Calabrò ha ricordato che dalla liberazione del mercato delle comunicazioni, avvenuta circa dieci anni fa, sino ad oggi le telecomunicazioni hanno contribuito allo sviluppo del Paese con investimenti ingenti di 6-7 miliardi l'anno, con un totale di circa 60 miliardi investiti nel periodo, di cui circa 50 per cento per la rete fissa e 50 per la rete mobile, garantendo così un elevato livello occupazionale sia diretto che indiretto, e colmando quello che poteva essere considerato un deficit di infrastrutture alternative, che oggi non esiste più. È quindi importante creare le condizioni per un consolidamento di questo trend di crescita e per l'avvio di una fase due, che possa continuare a portare sviluppo e concorrenza nel Paese. Ho citato la concorrenza perché il processo di liberalizzazione ha portato benefici in quanto si è sviluppata una forte concorrenza tra gli operatori, come avvenuto anche in altri settori. Come in quello delle comunicazioni, in cui un tempo c'era solo la RAI, non Mediaset e Sky, con una conseguente offerta molto minore, così nelle telecomunicazioni, la sola Telecom (o SIP, come si chiamava allora) garantiva un'offerta molto inferiore con una dinamica dei prezzi completamente differente da quella attuale.
Non cito i numeri degli investimenti. Il settore delle telecomunicazioni è l'unico in Italia tra le utility ad aver raccolto ingenti risorse finanziarie anche all'estero. Anche considerando questo aspetto, è importante dare agli investitori e alle società messaggi chiari e un quadro regolamentare predictable, ovvero privo di sorprese, per non interrompere il positivo afflusso di risorse finanziarie e manageriali. Questo è ancora più importante in un mercato finanziario complesso e turbato come quello odierno. Come vedrete dai numeri, che certamente vi hanno già presentato nelle precedenti audizioni, in seguito a questo la discesa dei prezzi delle telecomunicazioni in Italia è stata molto significativa.
So che il Presidente Calabrò ha già fornito specifiche indicazioni al riguardo. È però interessante notare come i prezzi delle telecomunicazioni siano gli unici ad essere scesi nel settore delle utility, in completa controtendenza con altri servizi primari come l'energia o il gas, e abbiano fornito un positivo contributo al contenimento dell'inflazione, pur essendo importanti utilizzatori di energia, che con 10 mila antenne pagano affitti importanti indicizzati all'inflazione. Da una parte, quindi, soffriamo dell'inflazione stessa, dall'altra cerchiamo di contenerla attraverso il contenimento delle tariffe.
In sintesi, ritengo possibile affermare che negli ultimi dieci anni la liberalizzazione del mercato delle TLC ha ottenuto significativi vantaggi per i consumatori e per il Paese. In termini di assetto e di struttura del settore, la liberalizzazione del mercato ha prodotto successi, ma evidenziato alcune forti criticità. I successi sono sicuramente rappresentati dai prezzi, variati del 18 per cento in negativo rispetto all'inflazione, cresciuta del 20 per cento nello stesso periodo (1998-2006). Abbiamo la più alta quota di penetrazione del mobile in Europa, ormai al 148 per cento, ovvero circa 1,5 telefono per utente. C'è stato un ruolo fortemente competitivo sull'unbundling, ossia l'affitto dal concorrente dell'ultimo miglio di rame. L'operatore dominante ha dovuto cedere il WLL rendendo più competitiva la telefonia fissa, in particolare il segmento dell'accesso della banda larga.
Peraltro, come criticità bisogna notare come Telecom Italia sia ancora l'operatore dominante in tutti i mercati rilevanti identificati dalla Commissione europea, e come la dominanza sia molto maggiore che negli altri Paesi. La quota di Telecom è ancora superiore al 65 per cento contro una media dell'Unione europea del 61 per cento. Il DSL è ancora superiore al 61 per cento, mentre la media europea è del 56; la quota della banda larga è al 74 per cento contro una media europea del 53. La dominanza congiunta di Tim e Vodafone è rappresentata dalla quota di mercato nel mobile di circa l'80 per cento. Il trend di crescita della banda larga in Italia è ancora debole, ma spesso in un Paese questa
scarsa crescita è associata alla maggior dominanza dell'operatore incumbent. I trend sono purtroppo tipici di mercati in cui ci sia un forte operatore dominante.
Oggi il settore è alle prese con scenari non rassicuranti. Sono venuti alcuni spunti dalle relazioni dei presidenti delle due Autorità di ieri. Nel mercato del fisso, il comportamento dell'incumbent continua a ritardare il processo di liberalizzazione. Lo scenario dell'evoluzione della rete verso il new generation network presenta un elevato rischio di by-pass delle regole competitive da parte di Telecom Italia. Questo potrebbe ricreare nel mercato dell'accesso una situazione di monopolio in grado di determinare la chiusura della telefonia fissa. Nel mercato mobile, la progressiva rimozione di normative asimmetriche a tutela degli operatori nuovi entranti continua a rafforzare gli incumbent TIM e Vodafone a scapito degli operatori più piccoli. L'attuazione di interventi obbligatori, la riduzione dei prezzi (retail) estranea a dinamiche competitive è più agevolmente sostenibile da grandi operatori. In sintesi, si stanno rafforzando inevitabilmente i due incumbent.
Se consideriamo i principali nodi europei, in controtendenza rispetto ai trend finora descritti, nella Commissione europea sembra emergere una nuova e particolare lettura del settore TLC. La fase della liberalizzazione sembrerebbe ormai conclusa e la fase di consolidamento del settore è percepita come inevitabile forse anche per selezionare i campioni europei, ossia gli operatori di maggiore dimensione, gli ex monopolisti. Alcune recenti, formali iniziative della Commissione rivelano e confermano questo orientamento, finendo con il favorire soprattutto gli operatori più grandi. Esiste quindi un rischio concreto che de facto si finisca per favorire e rafforzare i processi di rimonopolizzazione del settore, peraltro già avviati.
Per quanto riguarda l'Italia, riteniamo che uno degli elementi più importabili del settore sia la prevedibilità del quadro regolamentare, che in questo periodo rischia di essere seriamente compromessa. Vi evidenzio alcuni punti di attenzione. Indipendentemente dalle decisioni che verranno prese sulla rete di accesso Telecom Italia, questa rimane ancora l'operatore largamente dominante dei mercati al dettaglio, i cosiddetti mercati retail. Un alleggerimento dei vincoli regolatori in capo a Telecom nella commercializzazione dei servizi determinerebbe l'insorgere di un'aggressività commerciale non replicabile da nessun operatore alternativo e negli ultimi anni troppe volte oggetto dell'attenzione dell'Antitrust.
A livello wholesale, a livello dei rapporti tra operatori, è opportuno ribadire la centralità dell'ULL e di un severo meccanismo di network cap per gli altri servizi all'ingrosso offerti da Telecom Italia, che sono stati efficacemente adottati negli ultimi anni nell'azione di apertura alla concorrenza del mercato della telefonia fissa. Esso ha dato ottimi risultati in termini di competitività, riduzione dei prezzi e di maggior concorrenza, per cui sarebbe un peccato tornare indietro.
La politica adottata da Agcom negli ultimi anni sta dando infatti i suoi frutti, in relazione sia ai prezzi medi dei servizi di telecomunicazioni significativamente scesi, sia al numero dei clienti che oggi possono scegliere un fornitore alternativo di accesso a Telecom. Gli accessi fisici alla rete ULL da 1,7 milioni nel 2006 sono passati nel 2008 a circa 3,2 milioni. Alzare i prezzi dei servizi all'ingrosso delle reti in rame comporterebbe quindi un'alterazione di tutti i piani industriali degli operatori, con indubbi impatti sulla competitività degli OLO, a totale detrimento dell'interesse dei consumatori e ad esclusivo interesse di Telecom Italia. Paradossalmente in un momento in cui si cerca di incrementare l'utilizzo di Internet, si alzano i prezzi di Internet stesso per favorire un operatore.
Le decisioni in materia di unbundling rappresentano quindi un rischio regolamentare, cui dedicare particolare attenzione. Dalla stampa si apprende che Telecom Italia intende chiedere agli operatori alternativi di innalzare il valore del canone mensile dell'unbundling per il 2009. Tale innalzamento danneggerebbe i
consumatori e gli operatori alternativi, oltre che loro stessi, a vantaggio esclusivamente di Telecom. Appare singolare che in regime di costi decrescenti per una rete installata in ambito di monopolio (il rame) Telecom Italia intenda procedere unilateralmente al loro innalzamento. Appare poi sorprendente constatare come un potenziale aumento del canone rappresenterebbe per Telecom Italia una variazione positiva dei ricavi irrisoria (circa lo 0,5 per cento), mentre per gli operatori alternativi potrebbe significare una riduzione di oltre il 10 per cento del margine lordo. In diritto antitrust si parla di raising rival cost. L'accoglimento delle richieste di Telecom Italia determinerebbe in aggiunta l'insorgere di un oggettivo rischio di «squeeze», anch'esso rilevante da parte dell'Antitrust. Le condizioni di costo per gli OLO rischierebbero di essere maggiori ai prezzi di vendita dello stesso servizio da parte di Telecom Italia.
In conclusione, se venissero variate le condizioni di offerta ULL, verrebbe definitivamente archiviata la politica di sviluppo e la concorrenza nel fisso, che negli ultimi anni si è incentrata su un utilizzo procompetitivo dell'unbundling e del local loop. In una situazione di prezzi in discesa, sarebbe singolare che Telecom Italia alzasse i prezzi ai concorrenti.
Ho parlato della situazione attuale. Come precedentemente evidenziato, la rete di accesso fissa è e continuerà ad essere replicabile. Non c'è lo spazio economico, né motivo per creare due o tre reti di nuova generazione fisse in accesso. Il mercato è tale da poter forse ripagare una sola rete. L'enorme sforzo realizzativo non sarebbe dunque mai ripagato.
L'esperienza degli ultimi anni dei comportamenti abusivi posti in essere dall'operatore dominante e la necessità di competere ad armi pari richiedono l'ottenimento della cosiddetta «Equivalence of input and equality of access», ovvero la possibilità di essere trattati come la rete Telecom Italia tratta le proprie divisioni commerciali interne, con pari condizioni operative tecniche ed economiche. Questo obiettivo deve essere garantito sulle reti sia di vecchia che di nuova generazione. Non appaiono assolutamente sufficienti i cosiddetti impegni presentati da Telecom Italia, non ancora approvati dall'Agcom e in fase di analisi da parte di tutti i soggetti interessati, che in molti casi ripropongono obblighi già esistenti e presentano significative e radicali aree da migliorare. Con una puntuale e completa declinazione delle regole già in essere, associata all'assicurazione del loro rispetto (verifica, sanzioni e adempimento dei relativi pagamenti) si può configurare un'idonea rete di garanzia per il raggiungimento. La separazione della rete di accesso vecchia e nuova dal resto della struttura commerciale e operativa di Telecom Italia resterebbe l'unica alternativa in grado di garantire l'effettiva parità di trattamento.
Appare pertanto necessario rafforzare le regole esistenti sulla rete di rame e introdurre parità di condizioni e di accesso alla rete di nuova generazione. Anche in conformità con i recenti indirizzi dell'Unione europea, occorre stabilire delle regole sulla rete futura che, pur tenendo conto dei diversi livelli di rischio, evitino il ricrearsi delle condizioni di monopolio sul segmento dell'accesso.
Per la realizzazione della nuova rete non esiste una ricetta unica che indichi solo fibra, fibra con rame oppure fibra in radio. Nella prima fase, verrà utilizzato un mix di fibre e reti in rame per raggiungere i clienti con reti ibride. Le modalità di realizzazione tecnica della rete di nuova generazione non consentono infatti di scindere la regolamentazione del rame da quella della fibra. Da qui emerge la necessità di prevedere un quadro che favorisca gli investimenti di tutti, non solo dell'operatore dominante, ma che preveda la disponibilità delle sottosezioni della rete in rame unitamente alla fibra installata in nuova posa, entrambi a condizioni regolamentate.
È indispensabile che l'operatore dominante Telecom Italia sia obbligato a consentire la condivisione della rete primaria e secondaria e il relativo verticale di palazzo, quindi impianti ed apparati in rame ed in fibra per soluzioni ibride, a
rendere noti i piani e la dislocazione fisica della rete in accesso, informazioni ad oggi incredibilmente ignote agli altri operatori e conosciute solo in sintesi non utilizzabile, a non limitare proposte di impegni sulla vecchia rete, a evitare azioni di pre-emption del mercato attraverso nuove infrastrutture di accesso, a definire un piano congiunto di face out della vecchia rete con il controllo e la partecipazione degli operatori alternativi. La recente proposta di raccomandazione alla Commissione europea sottolinea infatti esplicitamente la necessità di accompagnare la transizione verso i «fiber-based access network», per evitare un oggettivo e incolmabile pregiudizio concorrenziale.
In sintesi, occorre evitare il crearsi di una situazione che lasci la vecchia rete agli operatori alternativi e la nuova rete solo a Telecom Italia. Questo significherebbe favorire un quadro con tanti reseller e un unico vero operatore, ossia lo stesso quadro di prima delle liberalizzazioni del 1998, vanificando tutti gli investimenti effettuati.
È necessario introdurre regole certe e definite in capo all'operatore dominante per garantire condizioni di equivalenza di accesso, sia sulla rete in rame, sia sulla rete in fibra in fase di sviluppo, preservare e capitalizzare gli investimenti in unbundling effettuati e in corso dagli OLO prevedendo una transizione congiunta e non autonoma di Telecom Italia al nuovo modello next generation network.
Per quanto concerne i modelli di investimento - anche in rapporto al ruolo del settore pubblico - che potrebbero sostenere il mercato verso lo sviluppo delle reti di nuova generazione, la contrazione della crescita del settore rappresenta un fattore di contesto sfavorevole agli investimenti. Questa tendenza può essere invertita solo puntando su politiche di sviluppo diverse da quelle degli ultimi anni.
Il modesto tasso di penetrazione nelle aree di scarso interesse economico rappresenta un grave fattore, in grado di disincentivare gli operatori a investire e si pone come il vero ostacolo allo sviluppo della banda larga nel nostro Paese in entrambi settori, pubblico e privato.
I principali effetti generati da questa situazione sono per le famiglie una delle più basse penetrazioni del personal computer in Europa, pari a circa il 50 per cento, mentre sul mercato delle aziende investimenti in information communication technology limitati prevalentemente alle aziende di grandi dimensioni.
Nel 2007, gli investimenti nel settore dell'ICT sono cresciuti solo dello 0,5 per cento rispetto a una media europea ben più alta e a un tasso inferiore a quello registrato in termini di prodotto interno lordo, in controtendenza rispetto alla media europea. In questo contesto, il processo di sviluppo della rete NGN non sembra ad oggi sostenuto dalla domanda. Ieri, i presidenti Calabrò e Catricalà hanno sottolineato gli oggettivi limiti della domanda italiana di servizi a banda larga. In questa situazione, appare pericoloso ipotizzare oggi una diffusione e una copertura del territorio della banda larga e larghissima che non consideri le caratteristiche specifiche e locali della domanda per quantità e qualità dei servizi e delle prestazioni erogate.
Un intervento a sostegno appare pertanto indispensabile, per cui il ruolo dello Stato è destinato a diventare centrale. A questo riguardo esistono diversi modelli di intervento pubblico, che scaturiscono dall'esperienza internazionale, anche a sostegno dell'obiettivo di ridurre il digital divide. Possiamo riconoscere un modello incentrato sul minimo intervento dello Stato nel settore privato, le cui caratteristiche sono la definizione di un quadro regolatorio di riferimento e la competizione, per incoraggiare la competizione e l'open access, nessuna sovvenzione diretta del Governo all'espansione e all'accesso alla banda larga, incoraggiamento delle iniziative a livello locale o regionale; un modello misto, cosiddetto «cooperativo», con politiche pubbliche volte a favorire la digital inclusion, ossia a evitare la creazione di discriminazioni e di esclusioni significative. In base a questo modello il
Governo non sovvenziona attivamente nuovi backbone, ma supporta indirettamente lo sviluppo attraverso interventi di tipo socioeconomico. Le principali caratteristiche sono la concentrazione di intervento su aree dove i governi ritengono che il mercato da solo non potrà adeguatamente affrontare le disparità, le sovvenzioni dirette in favore di gruppi e comunità residenti in zone rurali, la stretta cooperazione centrale con i governi locali.
Un terzo modello, che è caratterizzato da una forte leadership governativa per lo sviluppo tecnologico nazionale, combina elementi presenti anche negli altri modelli, quali il principio dell'accesso universale alla banda larga, trasparenza e campagne educative e di informazione, prevedendo interventi che si articolano in sovvenzioni dirette per lo sviluppo di infrastrutture e interventi sul quadro normativo.
A nostro avviso, il modello da adattare alla situazione italiana nelle aree in cui la copertura del digital divide appaia non redditizia appare un intervento misto pubblico e privato. In questo ultimo contesto il tema è stato affrontato anche da un provvedimento oggi all'esame del Parlamento con l'A.C. n.1441-bis, contenente «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». Il disegno di legge prevede una dotazione di 800 milioni di euro per il periodo 2008-2013, vòlta a favorire l'adeguamento delle reti di comunicazione all'evoluzione tecnologica e alla fornitura di servizi avanzati di informazione in specifiche aree.
La formulazione attuale e il dibattito che finora ha accompagnato l'esame del provvedimento suggeriscono alcuni spunti di riflessione.
Ci si trova pienamente concordi nel perseguire in termini di investimenti una soluzione mista pubblico-privato, in quanto il costo di implementazione per la rete di nuova generazione in aree con livelli di domanda bassi è troppo elevato per essere affrontato singolarmente da un solo operatore o attraverso interventi esclusivi e diretti da parte dello Stato. In questo contesto 800 milioni di euro rappresentano solo una buona base di partenza, considerando la durata del periodo a cui si riferiscono. L'approccio suggerito dal disegno legge individua poi in specifici progetti la modalità con cui valutare come questi 800 milioni saranno allocati. È necessario che i progetti di investimento siano coordinati all'interno di un disegno unitario e monitorati auspicabilmente da cabine di regia di composizione mista pubblico-privato.
Altre condizioni irrinunciabili per una efficace implementazione del DDL sono una migliore specificazione delle relative procedure attuative, vòlte alla razionalizzazione e semplificazione dei diritti di passaggio, nonché alla rimozione dei diritti speciali ed esclusivi nella posa e nei passaggi delle dorsali, un più condiviso intervento di politica industriale di ampio respiro, che collochi l'iniziativa legislativa in un quadro di riferimento già auspicabilmente operativo, e un intervento di politica regolamentare, vòlto a rendere chiare le condizioni alle quali la nuova rete sarà resa disponibile. In mancanza di tali regole, sarà pressoché impossibile per ciascun operatore valutare e quindi decidere piani così impegnativi di investimento.
Riteniamo poi che una generale estensione dei soggetti coinvolti possa determinare un allungamento dei tempi di definizione sia delle procedure attuative, sia di progettazione e realizzazione degli interventi.
Rimangono due indicazioni di metodo, che devono informare le iniziative in esame: il rispetto della normativa dell'Unione europea e l'inderogabile necessità di consolidare e promuovere lo sviluppo della concorrenza di medio e lungo termine, evitando i rischi di bypass competitivo già citati in questa mia relazione. In questo modo, le modalità di investimento potranno sostenere il mercato verso lo sviluppo di reti di nuova generazione e allo stesso tempo indicare la strada agli investitori, secondo i principi inviolabili di concorrenza ed evitando pericolose asimmetrie di mercato tra gli operatori.
Vorrei infine concludere con alcune considerazioni sul problema digital divide e l'analisi di come piani d'investimento in NGN potranno far fronte al divario di connettività in alcune zone del Paese.
Nella relazione dell'Agcom del 2008 si afferma che la popolazione che si trova in una situazione di «digital divide infrastrutturale», ovvero non è neppure potenzialmente in grado di accedere a servizi broadband di prima generazione, è pari a circa 3,4 milioni di individui, ossia meno del 10 per cento della popolazione italiana. Si tratta di un risultato significativo, che avvicina l'Italia alla media dei principali Paesi dell'Unione europea.
L'introduzione della NGN caratterizzata da una banda disponibile per l'utente assai più elevata, nell'ordine di 50-100 Megabyte per secondo - peraltro si ignora quanti domanderanno questa ampiezza di banda -, rischia di determinare un nuovo livello di digital divide. In considerazione degli elevati costi delle NGN per l'utente, è prevedibile che, in assenza di interventi di sostegno, tale situazione possa coinvolgere un'alta percentuale di popolazione soprattutto residente in aree rurali o in piccoli e medi centri urbani anche in aree di forte sviluppo economico. Si tratta di una tematica comune a tutti i Paesi dell'Unione europea, che però rischia di assumere contorni significativamente più pesanti nel nostro Paese a causa sia della peculiare conformazione socio-geografica, sia della scarsità strutturale di risorse destinate agli investimenti.
È quindi opportuno che il piano di realizzazione della rete a larghissima banda tenga in considerazione le tematiche evidenziate. Ciò potrà essere possibile solo se il progetto NGN, indipendentemente dalla modalità di realizzazione prescelta, verrà concepito in termini unitari con una chiara e trasparente definizione delle tempistiche e delle priorità.
In numerose realtà, l'aggregazione delle forze economiche presenti sul territorio pubbliche e private ed eventualmente degli enti locali potrebbe riuscire a reperire da sola risorse necessarie, mentre in altre occorrerà fare riferimento a fondi finalizzati allo sviluppo da reperire a livello nazionale o europeo. Nel primo caso, il modello di intervento potrebbe essere basato sulla costituzione di forme consortili a livello locale, che potrebbero anche vedere la partecipazione diretta degli operatori TLC. Tali soggetti potrebbero essere incaricati della realizzazione delle infrastrutture, che dovrebbero poi essere messe a disposizione su base non discriminatoria di tutti gli operatori che ne facciano richiesta.
In questo modo, ogni singola realtà territoriale potrà definire un proprio specifico e autonomo approccio alla realizzazione di NGN, facendo tesoro delle proprie peculiari condizioni socio-economiche e ottimizzando la quantità di risorse impiegate, avendo comunque come riferimento comune, per evitare pericolosi e antieconomici fenomeni di frammentazione, un progetto di dimensione nazionale preliminarmente condiviso. Questo dovrà prevedere l'accettazione di regole generali, che consentano agli utilizzatori di tali infrastrutture di poter contare su un contesto regolatore tecnico ed economico omogeneo a livello nazionale, conforme con gli indennizzi comunitari.
In conclusione, quindi, si può affermare che per quanto riguarda lo scenario di mercato sia terminata la fase di grande espansione della domanda di telefonia mobile. Il fisso è pesantemente impegnato in temi complessi e onerosi: il progetto della diffusione della banda larga, in molti Paesi ancora in ritardo rispetto alle iniziative di settore, mentre si assiste alla migrazione verso architetture di rete innovative e allo sviluppo e all' integrazione di soluzioni di rete wireless, per la mobilità e superamento del digital divide.
I problemi per gli operatori di telecomunicazioni sono rappresentati dalla contrazione della crescita e dalla progressiva riduzione delle risorse economiche, con rischi di diminuzione di ricavi e di cash flow, dalla riduzione di margini a fronte di investimenti significativi già fatti o in corso, da una linea evolutiva dei prezzi in controtendenza con gli altri settori del mercato e con i propri costi. A questi si
aggiungano: il nuovo scenario tecnologico potenzialmente ridondante, complesso e incerto (soluzioni di rete innovative e convergenza di reti e dei servizi) che inducono a investimenti più rischiosi; necessità di assicurarsi nuove fonti di ricavi a recupero dell'indebitamento, dovendo comunque affrontare gli investimenti per una pesante migrazione tecnologica; nuovi terreni di effettiva redditività sono già controllati da soggetti con rilevante potere di mercato e consolidate esperienze di settore (contenuti, pubblicità e servizi applicativi).
Ulteriori interventi regolamentari sulle principali fonti di ricavi, sui principali revenue stream non sono sostenibili dal settore soprattutto dai non incumbent. Il settore TLC può e deve continuare a essere un motore di sviluppo, ma è opportuno considerare come ulteriori benefici per i clienti possano nascere solo da un ulteriore rafforzamento della competizione.
In conclusione, Wind ritiene che per garantire il consolidamento della concorrenza nel settore delle TLC ogni possibile intervento normativo o regolamentare debba necessariamente rispettare il principio di proporzionalità, evitando di determinare distorsioni competitive in favore di operatori più grandi. A questo si aggiunga che un approccio simmetrico alla francese può creare forti distorsioni competitive, mentre citando gli esempi di Germania e Spagna è doveroso ricordare come nel primo caso sia stata aperta una formale procedura di infrazione da parte della Commissione europea e nel secondo sia in corso di apertura un analogo procedimento. Entrambi i casi sono infatti contrari alla normativa europea.
Nella telefonia fissa in particolare, ma anche in quella mobile, sarà necessario rafforzare tutti gli strumenti regolamentari in grado di obbligare gli incumbent ad una effettiva parità di trattamento interno ed esterno. Nel settore della telefonia fissa, ciò comporterà la necessità di servire l'obiettivo di «Equivalence of input ed equality of access» richiamato con forza anche dalla recente proposta di raccomandazione della Commissione europea in materia di regolamentazione delle reti di accesso di nuova generazione. Il perseguimento di questo obiettivo dovrà essere realizzato sia sulla vecchia rete, sia su quella nuova con adeguati interventi di natura regolamentare, in linea con l'indicazione europea, con accettazione del principio per cui condizioni di rischio diverso devono essere remunerate con premi di rischio ragionevolmente diversi. Parallelamente e contestualmente dovrà essere garantita ogni idonea forma di salvaguardia degli ingenti investimenti già effettuati dagli operatori alternativi in ULL, garantendo un adeguato tempo di migrazione ed evitando l'innalzamento dei costi di interconnessione e di ULL, che penalizzerebbero i clienti del mercato.
In questo contesto, a queste condizioni, Wind è disposta a sostenere con determinazione un modello di intervento misto, che preveda un'efficace cooperazione fra pubblico e privato, che richieda un costruttivo atteggiamento di tutti gli operatori e la rigorosa applicazione di una logica privatistica di profittevole utilizzo di tutte le risorse disponibili. Riteniamo infatti che l'efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche e interne a ciascuna azienda debba rappresentare un obbligo nell'attuazione di un disegno, che non è solo tecnico-ingegneristico, ma si configura come un preciso impegno di politica industriale. Specialmente in un momento di risorse scarse e di priorità, l'obbligo di efficienza appare non solo finanziario ed economico, ma morale.
In questo scenario, la questione del digital divide può e deve essere percepita come un tema di corporate responsibility, non avulsa però da un contesto economico nel quale la domanda del servizio a banda larga e larghissima è ancora debole e non tale da giustificare così ingenti e nuovi investimenti.
Wind farà la sua parte impegnando risorse primarie, know-how e risorse umane, con l'obiettivo di conservare al centro della sua mission il mantenimento di un ambiente concorrenziale a vantaggio dei suoi clienti attuali e potenziali, non
limitandosi a innestarsi in una rete aperta, ma continuando a sviluppare importanti iniziative di investimento.
Rimango a vostra disposizione per ogni eventuale approfondimento.
PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre domande o formulare osservazioni.
DEBORAH BERGAMINI. Ringrazio l'amministratore delegato di Wind per questa esaustiva presentazione, che, oltre a un'analisi molto accurata, offre anche qualche spunto interessante per la Commissione.
Vorrei sapere quali scelte stiate valutando in termini di investimenti per l'occupazione, la ricerca e le competenze, anche in confronto con gli headquarter europei e mondiali, essendo Wind una società con un azionista non italiano, a fronte di un mercato da lei descritto come non più in evoluzione o in crescita e a fronte di investimenti infrastrutturali molto pesanti.
ANDREA SARUBBI. Come cliente di Wind, sono arrabbiatissimo per l'ultima bolletta ricevuta! Venendo al punto, desidero chiederle una sua riflessione personale sul futuro del mobile. In questi giorni abbiamo recepito vari punti di vista esterni e autorevoli secondo cui, per quanto riguarda le connessioni Internet e la banda larga, si considererebbe come banco di prova il fisso, non il mobile. Ci è stata illustrata la differenza fra la connessione ad Internet tout court e quella che comporta l'aumento del PIL con la produzione di servizi tramite la NGN, i 100 mega e quanto seguirà.
In questi giorni si è diffusa la notizia secondo cui l'Italia detiene il record mondiale di utenze a persona per quanto riguarda il mobile e che gli italiani usano più SMS di ogni altro Paese al mondo. Con il telefonino facciamo quasi tutto il possibile e allora chiedo, anche in modo provocatorio, se ritenga che questo mercato abbia ormai dato quanto poteva dare o immagini ulteriori espansioni. Lo chiedo non soltanto per curiosità intellettuale, ma anche pensando a tutte le persone e alle loro famiglie che in questi anni ci hanno lavorato.
SETTIMO NIZZI. Provengo da una regione in cui la montuosità crea una notevole difficoltà di ricezione e vorrei sapere se dal punto di vista tecnico abbiate studiato un sistema di roaming, per cui in determinate aree, in assenza di alcuni operatori, possiate sopperire e dividere i costi dell'investimento. Vorrei quindi sapere se esista una collaborazione tra le varie aziende in determinate zone della nostra nazione o ci si limiti alla ricerca di maggiore utenza in base alle leggi del mercato.
ALESSANDRO MONTAGNOLI. Vorrei porre una questione tecnica che riguarda sia Wind che Vodafone. Qui a Palazzo Montecitorio, ad eccezione dell'Aula e della sede della Commissione, la ricezione non è buona. Non so se sia possibile fare delle verifiche tecniche. Comunque Vodafone è messa sicuramente peggio.
Lei ha citato 10 mila antenne di proprietà di Wind. Mi risulta che TIM e Vodafone ne abbiano circa 25 mila. Negli ultimi anni sono state installate in tanti comuni e non sempre la popolazione le ha accolte favorevolmente per gli eventuali rischi, anche se è stato sempre certificato che non esistono problemi di radiazioni. Alla fine i comuni hanno sempre accettato l'installazione di queste antenne presenti soprattutto in proprietà comunali, in base ad accordi siglati dalle società con gli enti stessi.
Mi risulta che TIM e Vodafone abbiano da pochi mesi trovato un accordo, in base al quale useranno le antenne insieme. Questo comporta un problema economico per gli enti pubblici e per i comuni che hanno contratti a lungo termine. Vorrei sapere se Wind sarà indotta a compiere la stessa scelta. Considero dunque opportuno informare i comuni e compiere una valutazione complessiva. Ho chiesto di realizzare un'unica antenna in un sito dove ce ne sono quattro, ma mi è stato risposto
che è impossibile a causa del costo. Le società devono ovviamente tenere in considerazione la parte finanziaria, ma non è giusto danneggiare gli enti locali, che in questi anni hanno consentito l'installazione in zone anche molto belle per fornire un servizio ai cittadini. Considero quindi corretto istituire un tavolo di confronto con gli enti locali.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Gubitosi per la replica.
LUIGI GUBITOSI, Amministratore delegato di Wind. Onorevole Bergamini, siamo una società italiana e ragioniamo con questa logica. Il nostro azionista non ci impone alcuna limitazione, anche perché è molto soddisfatto del successo dell'investimento. In questi tre anni e mezzo, quindi, non abbiamo mai mandato 1 euro di dividendo all'estero, abbiamo ridotto i debiti, investito, rafforzato la società. L'azienda è più forte, l'azionista soddisfatto, ma le nostre logiche sono decise con un approccio italiano, tanto che all'interno del gruppo i vari Paesi sono separati in holding diverse, senza commistione di interessi. Se la sua domanda si riferiva alla possibilità di privilegiare altri Paesi a scapito dell'Italia, la risposta è negativa, anche perché tra i Paesi in cui opera Wind l'Italia è quello più grande in termini di PIL e più importante tra gli asset del gruppo, dell'azionista. Tendo anzi a ritenere che tra i gruppi posseduti da soci esteri la filiale italiana goda di maggiore autonomia.
Continueremo quindi il nostro percorso. Recentemente, abbiamo creato a Milano un centro di ricerca e continuiamo a sperimentare, anche perché, essendo più piccoli degli altri due, cerchiamo di essere più agili, veloci e innovativi per quanto riguarda non solo la tecnologia, ma anche le esigenze di marketing. Abbiamo infatti creato le cosiddette tariffe a community, la tariffa «noi due», la prima per cui due persone potevano parlare illimitatamente, poi copiate da altri operatori. Questo per noi significa portare innovazione. Studiamo quindi profondamente i clienti, per capirne le esigenze e tradurle in offerta. Non subiamo, né subiremo alcun condizionamento e speriamo di rafforzarci ulteriormente nel Paese. Sin da quando sono stato assunto con questo incarico non ho mai avuto indicazioni differenti.
DEBORAH BERGAMINI. Volevo capire se abbiate una precisa strategia in termini di investimenti in occupazione, ricerca e competenze.
LUIGI GUBITOSI, Amministratore delegato di Wind. Gli aspetti sono coordinati tra loro, perché nel lungo periodo non ci possono essere occupazione, ricerca e sviluppo senza un successo economico. Una società deve progredire e dare un futuro ai suoi dipendenti attraverso un obiettivo sostenibile a lungo termine. Chiediamo quindi regole certe affinché in questo quadro possiamo crescere, svilupparci e dare un futuro importante ai nostri clienti, ai nostri impiegati e ai nostri stakeholder. Su questo siamo tranquilli.
Investiamo molto anche sul capitale umano. Domani inaugurerò a Milano l'asilo per i dipendenti. Dedichiamo molto tempo alle persone e, poiché la nostra è una società giovane, puntiamo molto sulla formazione dei nostri dipendenti. So che questo verrà sostenuto da tutti gli amministratori delegati che incontrerete, ma a me piace pensare che noi lo facciamo e che ci crediamo veramente.
Passo alla domanda successiva. Innanzitutto, onorevole Sarubbi, le comunico che lei sta pagando troppo. Ritengo che la sua tariffa sia molto alta e mi permetterò di farla chiamare da un nostro operatore.
ANDREA SARUBBI. Ho già risolto il problema con l'All inclusive plus. Il problema è che, un'azienda dovrebbe avvertire il proprio cliente che sta consumando troppo, come faceva la vecchia SIP in caso di consumo eccessivo. La colpa alla fine è stata del Governo, perché, in seguito alle nuove disposizioni sulla scuola, gli insegnanti hanno cominciato a mandare spam di protesta, che ho scaricato raggiungendo una cifra molto alta.
LUIGI GUBITOSI, Amministratore delegato di Wind. Non saprei dire se sia colpa o merito del Governo, visto che noi siamo dalla parte aziendale. In linea di massima, però, un costo elevato per il cliente deriva da un'errata scelta tariffaria, perché alcune tariffe permettono ai grandi utenti di risparmiare anche in maniera significativa.
L'interrogativo riguardava l'alternativa tra fisso o mobile. Alcuni operatori, figli della loro storia, affermeranno che il mobile sia come il fisso. In realtà, sono differenti e hanno usi diversi, che però si integrano molto bene. Le riferisco ovviamente pareri personali, perché nessuno ha la possibilità di sapere come si evolverà la tecnologia nei prossimi cinque-dieci anni, ma evidentemente il fisso possiede caratteristiche che il mobile non può avere e viceversa. Per definizione il mobile va su ponti radio, evidenziando quindi limiti di capacità molto più significativi che sul fisso, che ha meno interferenze.
Numerosi utenti usano il mobile per comunicare anche da casa. Il numero di linee fisse da casa sta diminuendo perché spesso è più comodo avere i propri contratti o chiamare la controparte sul cellulare, perché si ha il numero memorizzato e non si deve sapere se la persona sia a casa. Diventa una questione di abitudine. Questo tipo di utilizzo si sta diffondendo, mentre l'UMTS non è stato un successo, perché le videochiamate sono state poco utilizzate. Personalmente non ci abbiamo mai creduto veramente. Dal punto di vista degli utilizzi, quindi, l'UMTS garantisce un vantaggio solo per il video, che però non è molto utilizzato.
Adesso si sta diffondendo l'HSDPA, che permette la mobilità dei dati. Si può prendere il proprio computer e, con una pennetta, utilizzare tutti i dati. Probabilmente, però, questa non è una alternativa al fisso, perché il cavo garantisce altri vantaggi. In alcune situazioni, tuttavia, può essere più comoda. Non porrei dunque una questione tra fisso e mobile, perché hanno due usi contigui, ma non uguali. In funzione delle esigenze del cliente, si userà quindi il fisso o il mobile. Si evolveranno entrambi in una continua rincorsa. Qualche tecnico affermerà che la long term evolution del mobile garantirà le stesse performance del fisso, qualche tecnico del fisso sosterrà invece la maggiore velocità dell'evoluzione della fibra ottica. La risposta è che dipende dall'utilizzo.
Per quanto riguarda la domanda sul roaming e il lavorare insieme, tradizionalmente questo non si fa. Tale tema copre in parte anche la domanda sulle antenne e sulle torri. Sono arrivato da tre anni nel settore, ma immagino che quando la Telecom ex-monopolista ha visto arrivare un concorrente si sia ovviamente chiusa a riccio e non abbia voluto cooperare. In seguito si è proposta Vodafone e quando è arrivato un terzo operatore, hanno cercato di essere poco cooperativi. Nel settore, esiste una tradizione di non cooperazione. Per gli utenti, dal punto di vista dell'Antitrust tale situazione è magnifica, perché probabilmente in Europa questo settore è assolutamente non colluso, giacché vige una competizione feroce. Non esiste l'idea di operatori che cooperino a danno del mercato.
Sarebbe magnifico se riuscissimo a cooperare meglio e forse questo sarà possibile, perché nel settore manifatturiero, in cui ho trascorso molti anni, la riduzione della crescita e dei margini ha indotto alla creazione di alleanze. Non è infatti strano per la FIAT ipotizzare di realizzare un motore con un'altra concorrente o usare la stessa piattaforma di altri per ridurre i costi e quindi anche i prezzi. In questo senso, sarebbe auspicabile la creazione di una consortilità per zone quali quelle montuose della Sardegna non economicamente copribili da un singolo operatore.
Per quanto concerne la questione delle antenne, sebbene i mercati finanziari non siano al massimo in questo momento e forse non lo permettano, vorremmo creare una società mista con H3G per ridurre i costi delle antenne. Avere quattro antenne per il comune significa incassare quattro affitti, per gli operatori pagare quattro affitti, e ciò significa che alla fine qualcuno deve pagarli. È necessario tuttavia valutare anche l'impatto ambientale, perché si avrebbe una sola torre anziché
quattro. Una BTS si compone di un traliccio e di un'apparecchiatura relativamente più piccola, che si colloca in cima. Un solo palo con quattro BTS riduce l'impatto ambientale e anche il costo dell'energia, perché nel «casottino» sottostante c'è l'aria condizionata e occorre fare la manutenzione.
Lo spreco di risorse deriva dal fatto che ognuno ha voluto replicare la stessa struttura. Non credo comunque che TIM e Vodafone possano interrompere un contratto a lungo termine con un comune. Per quanto ci riguarda, in futuro cercheremo di stipulare accordi con altri, vòlti a ridurre l'impatto ambientale e il costo di queste torri, rispettando i contratti già esistenti. Considero auspicabile lavorare insieme, non contro il mercato, ma a favore. Anche se non esiste in tal senso una grande tradizione, vi è un management del settore in gran parte nuovo, che forse lo renderà possibile in futuro.
PRESIDENTE. Vorrei fare il punto della situazione: alle ore 16 dobbiamo andare in Aula, abbiamo ancora l'audizione dell'altro operatore e due richieste di intervento. Se si tratta di domande veloci, do la parola ai colleghi che l'hanno richiesta.
LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Alcuni anni fa, alcuni operatori hanno puntato sul DVB-H con scarsi risultati, pensando che l'UMTS sarebbe finito. In seguito, si è parlato di integrazione di DVB-H e UMTS. A me interesserebbe conoscere la sua opinione sul futuro per quanto riguarda la veicolazione dei prodotti e dei contenuti.
LUIGI GUBITOSI, Amministratore delegato di Wind. Rispondo molto sinteticamente. A mio avviso, gli operatori telefonici differiscono dalle media company. Noi ci concentreremo sulla parte telefonica.
Alcune produzioni tecnologiche potrebbero ridurre la complessità di trasportare video su telefonino abbassando molto il costo, ma sono ancora sperimentali. Il DVB-H non mi sembra aver avuto enorme successo in Europa.
JONNY CROSIO. Vorrei chiedere rapidamente un chiarimento. Mi è parso di cogliere un certo scetticismo da parte vostra per quanto riguarda la banda larga mobile. Vorrei sapere se questo pregiudichi eventuali programmazioni e investimenti da parte vostra e se derivi da ostacoli per l'assegnazione dello spettro, giacché siamo a conoscenza di alcune difficoltà.
Per quanto riguarda la banda ultralarga, il sottosegretario Romani poneva l'ipotesi di un tavolo di lavoro fra istituzioni e operatori. Vorrei sapere se su questo tema abbiate già una visione di programmazione e di modalità di realizzazione e quali siano le priorità.
LUIGI GUBITOSI, Amministratore delegato di Wind. Se ho dato un'impressione di scetticismo sulla banda larga mobile, mi scuso, perché non era affatto il mio obiettivo, tanto che all'entrata del terminal A dell'aeroporto di Fiumicino un enorme cartello Wind reca la scritta «7.2, high-speed low-cost».
Stiamo investendo molto sull'HSDPA in cui crediamo molto, mentre eravamo scettici sull'UMTS che dava solo del video in più. Stiamo vendendo molto bene le pennette. Prima della nostra entrata sul mercato, si parlava di gigabyte o megabyte e il cliente non capiva e pagava 3 euro per megabyte. Noi abbiamo deciso di far pagare al minuto (in taluni casi anche all'ora), poi seguiti anche dai nostri concorrenti. Ci crediamo moltissimo e intendevo solo sottolineare i due utilizzi differenti per il mobile e per il fisso.
Sul mobile, siamo cresciuti del 15 per cento nell'ultimo semestre. Si tratta quindi di un'area di forte crescita, che continuerà ad aumentare e in cui investiremo.
Per quanto riguarda la banda ultralarga, siamo contenti che il sottosegretario Romani voglia istituire un tavolo, cui saremo lietissimi di partecipare. Non abbiamo però ricevuto nessun tipo di convocazione e non esiste ancora un piano dei lavori. Ci stiamo organizzando e confrontando internamente sulla banda larga, ultralarga, sulle modalità di realizzazione e
sulle varie alternative tecniche. Si dibatte spesso di banda larga, di nuova generazione, ma, come è noto, fiber to the home, fiber to the cabinet e fiber to the building sono soluzioni diverse, che costano in maniera diversa e possono dare risultati diversi.
PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione del testo integrale della relazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
Nel ringraziare il dottor Gubitosi, amministratore delegato di Wind, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta, sospesa alle 15,15, è ripresa alle 15,20.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche, l'audizione di rappresentanti di Vodafone Italia.
Do la parola a Paolo Bertoluzzo, amministratore delegato di Vodafone Italia.
PAOLO BERTOLUZZO, Amministratore delegato di Vodafone Italia. Signor presidente, rivolgo a lei e ai membri della Commissione il nostro saluto e anche il nostro ringraziamento per essere stati invitati all'odierna audizione. Formuliamo, inoltre, il nostro apprezzamento per questa iniziativa che crediamo essere estremamente importante, in un momento così delicato e critico per l'evoluzione del sistema delle comunicazioni nel nostro Paese.
Cercheremo di condividere con voi il nostro punto di vista sulla realtà attuale del mercato delle comunicazioni, sulle prospettive future, in termini di servizi e di tecnologie e, soprattutto, su quelle che riteniamo essere le priorità di intervento da attuare per cercare di avere uno sviluppo organico, sostenibile e d'avanguardia per le comunicazioni nel nostro Paese.
Non mi dilungo nel parlarvi di Vodafone, che immagino conosciate abbastanza bene. Ricordo soltanto che siamo nati, più o meno tredici anni fa, come primo operatore concorrente nel settore della comunicazione mobile. Da pochi mesi, siamo entrati anche nel mondo della rete fissa. Dall'inizio della nostra attività abbiamo investito in Italia circa 13-14 miliardi di euro e ogni anno investiamo circa un miliardo di euro. Rappresentiamo dunque la prima realtà di azionariato straniero nel nostro Paese, in termini di investimenti.
Partiamo dal mercato. Il mercato delle telecomunicazioni pesa all'incirca per il 3 per cento sul PIL nazionale e si suddivide per il 50 per cento sulla rete fissa e per il restante 50 per cento sulla rete mobile. Credo che sia sempre importante ricordare che il settore delle comunicazioni ha una peculiarità. È forse l'unico, infatti, ad essere deflattivo, nell'ambito del nostro sistema economico. Anche quest'anno gli ultimi dati confermano che, con un'inflazione crescente, i prezzi delle comunicazioni scendono - se non sbaglio - dello 0,4 per cento. Infine, se prendiamo in considerazione gli ultimi dieci anni, a fronte di un aumento dei prezzi al consumo del 35 per cento, i costi delle comunicazione sono scesi del 18 per cento. Parliamo, quindi, di una forbice che si è ampliata.
Quello del fisso e quello del mobile sono due mercati estremamente diversi, per quanto di dimensioni simili. Nel mercato del mobile operano quattro grandi operatori. Quello che possiede la quota più grande, di circa il 40 per cento, è Telecom; mentre il più piccolo ha una quota che si aggira intorno al 10 per cento. Recentemente, inoltre, si sono inseriti nel mercato anche gli operatori virtuali. Una decina sono già operativi e ne stanno arrivando altri cinque o sei. Parliamo di un settore estremamente dinamico che vede l'Italia avere una posizione d'avanguardia in Europa, in termini di prezzi più bassi, livelli di servizio più alti e, anche e soprattutto, di diffusione della larga banda mobile.
Circa il 40 per cento degli utilizzatori nel nostro Paese dispone di tecnologie a larga banda mobile, il famoso UMTS, o 3G come viene detto. Questo ci pone all'avanguardia in Europa. In realtà, credo che nel mondo siamo indietro soltanto a un paio di Paesi asiatici, con caratteristiche completamente diverse. Questo ritmo sta crescendo. La larga banda mobile è certamente un grande valore per il nostro Paese.
Il mercato fisso è molto diverso da quello del mobile. Al suo interno esiste un operatore tuttora dominante che è Telecom, con quote di mercato che, a seconda di come le si vogliano misurare, oscillano tra il 60 e l'85 per cento. Oggi, dopo circa dieci anni dalla liberalizzazione, circa l'85 per cento delle famiglie italiane che ha un telefono a casa propria riceve ancora la bolletta di Telecom Italia. La dinamica competitiva ha risentito di questa situazione. Abbiano prezzi che sono tra i più alti in Europa, compreso il canone. Abbiamo un flusso di clienti interno al mercato ancora molto ridotto.
Tenete conto del fatto che nel settore del mobile si è verificato lo spostamento da un operatore all'altro di circa diciassette milioni di clienti; mentre nel fisso soltanto di tre, tanto per darvi un'idea.
Peraltro - questo lo sapete molto bene e credo che sia anche una delle motivazioni per le quali ci riuniamo oggi -, abbiamo il tasso di penetrazione della larga banda tra i più bassi in Europa, forse il più basso tra i grandi Paesi, con un 17-18 per cento, confrontato con un 27 per cento della media europea. Osservando la realtà di Internet nello specifico, il dato curioso è che in Italia la percentuale di popolazione che non ha alcuna capacità di utilizzo di Internet è del 56 per cento, contro una media europea del 40 per cento. Il dato ancora più curioso, che credo sia importante per focalizzare il tema delle infrastrutture del futuro, è che se invece guardiamo ai cittadini che hanno un utilizzo spinto di Internet e dei servizi multimediali, questi in Italia sono il 9 per cento. In Europa, siamo secondi soltanto alla Francia. Questo dimostra - e questa è una tesi che mi sentirete ripetere - che il problema del nostro Paese non consiste tanto nel portare più banda e più Internet a chi ce l'ha già, perché chi ne dispone oggi è già ad un livello molto avanzato, quanto piuttosto nel portare più banda e più Internet a chi non ce l'ha. Occorre, quindi, diffondere Internet.
Credo che questi dati mostrino come la competizione ha funzionato in modo molto diverso tra il mobile e il fisso. Se volete, vi riporto alcuni esempi semplicissimi, da parte di una azienda che è entrata nel mercato del fisso da pochissimi mesi. Oggi, se un cliente di rete mobile decide di passare da un operatore all'altro, qualunque sia l'operatore, ha la certezza di poterlo fare, anche nel giro di pochi giorni e magari ricevendo offerte e contro offerte da parte degli operatori, in una dinamica competitiva molto forte. Nel mondo della rete fissa, invece, per passare da un operatore all'altro, sono necessari - se va bene - una trentina di giorni. Peraltro, non si ha la certezza di poterlo fare, perché nel 20-30 per cento dei casi, vi sono motivi tecnici e operativi per i quali non si può lasciare Telecom.
Altro esempio è quello rappresentato dalla realizzazione delle infrastrutture: se oggi un nostro concorrente o noi vogliamo realizzare un'antenna per arrivare a coprire un paese o una regione, dobbiamo, giustamente, chiedere l'autorizzazione alle amministrazioni locali. In seguito, una volta compiuto tutto il nostro iter, possiamo installarla se decidiamo di investire. Per la rete fissa, invece, dobbiamo chiedere l'autorizzazione al nostro concorrente, ossia a Telecom e, nel 25-30 per cento dei casi, non possiamo realizzare le infrastrutture. Questo, ovviamente, limita in modo importante la marginalità e il livello di concorrenza che si può portare nel business.
Un'ultima riflessione che vorrei svolgere riguarda nello specifico il settore del mobile. Ci tengo a farla, perché spesso il nostro settore viene conosciuto attraverso le pubblicità, le innovazioni, i prodotti, l'iPhone, tutte realtà molto d'avanguardia. In realtà, il nostro è certamente un settore di sviluppo (tanta innovazione, più traffico,
i servizi dati e così via), ma se si osserva la crescita reale del fatturato del settore, nell'ultimo anno è scesa di circa il 2 per cento, complessivamente. Se si analizza la marginalità del nostro settore, nell'ultimo anno, si nota che essa è scesa di circa il 7-8 per cento, nuovamente come dato complessivo. Tale situazione è dovuta al fato che vi è un forte calo dei prezzi, guidato dalla dinamica competitiva, e vi sono anche interventi regolatori, come il taglio delle tariffe di terminazione o gli interventi sul roaming che vengono dall'Europa e che vanno nella stessa direzione. Tenete conto del fatto che, ad esempio, in questo momento, si ipotizza per il futuro un taglio delle tariffe di terminazione che prevede un'ulteriore riduzione del 40 per cento nei prossimi tre anni. Come potete capire, questo dato è già al limite della sostenibilità per un'industria come la nostra.
Vengo ora alla nostra visione delle prospettive future. Partendo dai bisogni dei clienti, crediamo che le esigenze che sentiremo maggiormente sono quelle di cui parlavo in precedenza. A nostro parere, vi è un bisogno crescente di avere Internet ovunque. Riteniamo che il famoso concetto di essere sempre on line, di cui si parla molto, si stia diffondendo a fasce sempre più ampie di popolazione. Questo è ciò che sta succedendo all'estero e anche in Italia. Se da questo punto di vista considerate i giovani italiani, questi sono avanzati tanto quanto i giovani europei, o anche di più. I giovani italiani utilizzano, ad esempio, l'instant messaging, My Space o Youtube, anche più dei loro coetanei degli altri Paesi.
La prima priorità, dunque, è Internet per tutti, ossia portare la larga banda laddove non c'è e renderla accessibile a condizioni semplici e convenienti.
La seconda priorità che avvertiamo assolutamente anche per il futuro - vale per oggi, ma anche per domani - è quella di avere servizi che funzionino bene e che siano convenienti; il che può essere garantito soltanto attraverso il funzionamento della concorrenza.
La terza area sicuramente importante per il futuro del Paese, ma che si inizia a intuire soltanto oggi in termini di bisogno dei clienti, è la diffusione della banda ultralarga, per avere servizi multimediali molto avanzati.
Cosa vuol dire tutto questo, in termini di tecnologia e di infrastrutture? Il nostro punto di vista è che dovranno coesistere più tecnologie e più infrastrutture. In particolar modo crediamo che le tecnologie mobili e quelle radio saranno, e debbano essere, quelle che garantiscono su tutto il territorio un primo estratto di larga banda. Oggi è già possibile realizzare questo con le tecnologie di terza generazione, il famoso UMTS, che porta fino a 7 megabit al secondo. Domani, nel 2010 o 2011, arriverà la quarta generazione, che si chiama LTE e che potrà portare teoricamente più di 100 megabyte al secondo.
Pensiamo che le tecnologie radio saranno fondamentali, sia per avere l'always on, quindi la mobilità, che la diffusione su tutto il territorio, comprese le valli e i paesi più remoti.
Oltre a questo, crediamo che possa avere un futuro importante ciò che oggi è una realtà, ossia l'ADSL. Le tecnologie ADSL, l'ADSL2+ in particolar modo, garantiscono già i 20 megabit al secondo. Il problema è che qualche volta gli impianti non hanno una corretta manutenzione e che non c'è qualità sul rame. Quindi, prima di pensare alla fibra, è importante curare le tecnologie che già abbiamo e sulle quali si sta investendo. Tenete conto che con l'ADSL oggi si fa la televisione sul televisore, attraverso Internet, con qualità digitale ad alta definizione. Pertanto, fino a quella frontiera, e anche oltre, ci può portare tranquillamente l'ADSL.
In seguito, certamente ci dovrà essere uno sviluppo graduale della fibra, mano a mano che si sviluppa il mercato. È importante, tuttavia, essere consapevoli del fatto che ad oggi la principale applicazione, e forse anche l'unica per quanto riguarda il mercato di massa, che si vede per la fibra, diffusa in modo ampio sul
territorio, è nuovamente la televisione ad alta definizione, con più televisori all'interno dello stesso appartamento.
In questo senso la fibra è sicuramente un'infrastruttura che potrà abilitare un'ulteriore piattaforma di sviluppo televisivo, che però si aggiunge al digitale terrestre e al satellite, tecnologie estremamente efficienti, in quanto dette di broadcasting, che iniziano a offrire anche alti livelli di interattività. È importantissimo capire il passaggio sulla fibra, perché essa non è Internet, ma è soprattutto televisione. Questo deve essere ricordato.
Crediamo che queste tecnologie convivranno tra di loro, attraverso le famose reti di nuova generazione, le NGN, delle quali tanto si parla come se fossero diventate pane quotidiano. In realtà, le NGN non sono fibra, ma l'aggregazione di più tecnologie di accesso, attraverso l'IP, la tecnologia base di Internet. In questo senso stiamo investendo sulla nostra rete di nuova generazione da uno o due anni. Nel corso di tre anni investiremo più o meno un miliardo e mezzo di euro, per continuare a portare la larga banda mobile per i servizi radio e anche per realizzare i nostri servizi integrati, come ad esempio quello che vedete in questi giorni in televisione della Vodafone station, integrazione tra l'ADSL e la larga banda mobile.
Continueremo in questa direzione e siamo pronti ovviamente a sviluppare anche servizi su infrastrutture in fibra. È ovvio che per poterlo fare è fondamentale essere certi di poter giocare la partita sul mercato. Stiamo parlando di reale contendibilità del mercato e di essere di fronte a regole certe, che ci consentano di investire in modo sostenibile.
Detto questo, a nostro parere, le grandi priorità di intervento, per chi si occupa della definizione delle politiche industriali e di sviluppo del nostro Paese, e di questo settore in particolar modo, sono tre. La prima è portare vera competizione nel mercato della rete fissa, oggi. La seconda è quella di rendere Internet accessibile a tutti, chiudendo il digital divide di primo o secondo livello, a seconda di come lo vogliamo chiamare, perché è colmabile in poco tempo, utilizzando anche le tecnologie radio. Infine, la terza priorità è quella di definire un grande progetto per il Paese. Credo che questo sia un momento importantissimo per realizzare delle reti di nuova generazione aperte.
Partiamo dalla reale competizione nel mercato della rete fissa. È importante tornare al punto di partenza. Lo abbiamo detto prima: oggi questo mercato non funziona e c'è un operatore che è ancora dominante. Questa è una premessa fondamentale, soprattutto per un'azienda come la nostra che normalmente crede al mercato e alle sue dinamiche.
Si pongono tre condizioni indispensabili, perché questo mercato funzioni. In primo luogo, vi deve essere una reale parità di accesso alle infrastrutture indispensabili per fare concorrenza in questo mercato. In secondo luogo, vi deve essere una reale contendibilità dei clienti finali. Non possiamo partire dal presupposto che ogni quattro clienti che decidono di passare a Vodafone, piuttosto che a Infostrada, o a Tiscali, uno non possa effettuare il passaggio, perché è difficile lavorare in questo modo per un'azienda. Infine, è fondamentale che venga confermato e sostenuto un modello di sviluppo positivo, quello dell'unbundling, che apre le reti di accesso e consente all'azienda di investire.
Da questo punto di vista, gli impegni presentati da Telecom sono, secondo noi, largamente insufficienti per migliorare questo stato di cose. In realtà, infatti, essi sono soprattutto la conferma di obblighi già previsti dalla regolamentazione, ma fino ad ora non implementati in modo corretto. Crediamo che la vera soluzione sia la separazione della rete di accesso fissa, quella in rame oggi e quella in fibra domani, secondo un modello, tutto sommato esistente, che sembra funzionare molto bene e che è il modello inglese. Non capiamo perché in Italia non si possa compiere questo stesso percorso, dato che ha funzionato in Inghilterra, dove la situazione era infinitamente meno critica di quella attuale in Italia. Crediamo che
intervenire su questo aspetto sia estremamente urgente, perché se non saniamo adesso il mercato sulle tecnologie attuali, rischiamo di trasferire ulteriormente questo monopolio e questa posizione di dominanza sul mercato di domani che, per sua natura, potrà essere ancora più difficile.
Da questo punto di vista, è fondamentale che vi sia un indirizzo politico chiaro, perché si possano realizzare le misure necessarie. In questo contesto, sentiamo parlare con preoccupazione di aumento dei prezzi di accesso wholesale alle infrastrutture dell'operatore dominante; di rilascio degli obblighi sulla parte retail del business, quindi sui prezzi e così via; o di esclusione delle reti di nuova generazione dal perimetro di discussione degli impegni della separazione. Questi discorsi in realtà allontanano ulteriormente la soluzione del problema, perché tendono a rendere il mercato ancora meno competitivo.
Come dicevo, a nostro parere, la seconda priorità da affrontare è quella di chiudere il digital divide, rendendo Internet accessibile a tutti il più presto possibile. Crediamo che da questo punto di vista la priorità non sia quella di portare 100 megabit al secondo a chi ne ha già 20 nel centro di Milano, di Roma, o di Torino, ma di iniziare a portare due, tre o quattro megabit al secondo, che sono del tutto sufficienti per accedere a Internet, per cercare informazioni, per interagire con la pubblica amministrazione digitale o per avere applicazione di educazione. Questi due, tre, quattro megabit al secondo si possono realizzare in poco tempo, utilizzando le tecnologie mobili che, per loro natura e non per merito di qualcuno, sono più efficienti. Se consideriamo i Paesi nei quali le infrastrutture di rete fissa non esistono - come Vodafone ne vediamo tanti in Asia piuttosto che in Africa -, a nessuno viene in mente di mettere giù tanta rete fissa. A tutti viene in mente di realizzare tanta rete mobile, perché consente di coprire grandi distanze in modo efficiente e portare non solo la voce in posti dove non è mai arrivata, ma anche Internet. Non c'è nessun dubbio che nei Paesi come la Cina, l'India, l'Africa, Internet arriverà attraverso la radio, non attraverso il cavo.
Sotto questo profilo, è importantissimo procedere secondo quello che si è già impostato, da parte sia del Ministero che delle autorità, per rendere disponibili le frequenze necessarie. Stiamo parlando, tanto per cominciare, di refarming (le frequenze 900, le vecchie frequenze GSM), che potrebbe vedere nuovamente l'Italia come Paese primo in Europa a portare avanti un'operazione così fortemente innovativa. Ci riferiamo, inoltre, alla messa sul mercato delle frequenze ex IPSE, l'operatore che aveva acquisito la licenza UMTS, mai partito, che sono tornate disponibili. È importante che queste frequenze vengano messe a disposizione al più presto agli operatori che si impegnano a coprire il territorio e a realizzare i servizi.
Riteniamo che la copertura del digital divide, utilizzando le tecnologie radio, sia una straordinaria opportunità per l'Italia, perché siamo il Paese più avanti rispetto a tutti in Europa e questa è un'opportunità che abbiamo per superare gli altri Paesi europei, in termini di velocità di esecuzione.
La terza grande priorità, a nostro avviso, è quella della realizzazione di un grande progetto Paese per arrivare a costruire quelle che dovranno essere le reti aperte per il futuro. Come accennavo in precedenza, l'audizione odierna è un passaggio fondamentale. È importante che ad essa seguano dei tavoli di lavoro operativi, nei quali si possa entrare nei dettagli tecnici, operativi e di implementazione.
Pensando a una proposta in questo senso, crediamo che vi siano due stelle polari nella realizzazione delle nuove infrastrutture. La prima è quella dell'efficienza. Infatti, se si realizzano tecnologie e soluzioni non efficienti, al di là di chi e di come le paga, prima o poi finiranno male, perché non sono sostenibili economicamente. La seconda stella polare da seguire è che queste infrastrutture continuino a consentire lo sviluppo della concorrenza nel lungo periodo, perché questo
è ciò che mantiene sano il mercato, dal momento che porta, a chi è disposto a pagare, il servizio che gli serve.
Ribadiamo che le reti di nuova generazione dovranno essere una combinazione di tecnologie: rame, tecnologie radio e anche gradualmente fibra. Per quanto riguarda specificatamente il tema della fibra, crediamo che sia importante riconoscerne alcune caratteristiche specifiche. Il famoso «ultimo miglio» in fibra, quello che arriva fino a casa della persona, o fino alla centralina in strada, è per sua natura una struttura non replicabile, monopolistica e come tale bisogna considerarla. Chi oggi possiede l'ultimo miglio in rame è inevitabilmente in una posizione avvantaggiata e privilegiata in modo indiscutibile per realizzare queste infrastrutture in fibra, perché dispone delle architetture di rete, dei passaggi nelle canaline, delle strutture sul territorio e, soprattutto, dell'85 per cento dei clienti italiani da portare su queste nuove infrastrutture. Pertanto, pensando alla fibra, è ancora più importante che ci siano delle regole chiare che consentano lo sviluppo del mercato nel senso di cui parlavamo prima, ossia uno sviluppo sostenibile e nel quale la competizione possa operare in modo sano.
Riteniamo che gli elementi fondamentali dal punto di vista nella realizzazione delle reti del futuro di accesso in fibra siano cinque. Il primo è quello di lasciare che le realizzi chi è nelle condizioni migliori di farlo e non c'è dubbio che si tratti dell'ex monopolista tuttora in campo, ossia Telecom Italia. È chiaro che a Telecom Italia si potranno aggiungere, a seconda delle località, anche consorzi, amministrazioni ed operatori locali, le famose utility. Tuttavia, l'operatore predisposto a realizzare tali reti è senza dubbio Telecom Italia.
Il secondo elemento fondamentale è che queste infrastrutture devono essere realizzate secondo un modello aperto. Solo attraverso un modello di questo tipo si potrà dare luogo a un sano sviluppo della concorrenza, basato su altre aziende, tra le quali ovviamente la nostra, pronte a investire, utilizzando le infrastrutture non replicabili e, partendo da quelle, investendo con la propria tecnologia per realizzare servizi. È fondamentale, dunque, che anche sulla nuova infrastruttura venga dato accesso disaggregato a elementi unici per loro natura, come le centrali, il collegamento dei clienti o la fibra spenta.
Il terzo elemento fondamentale è quello che si debba discutere di remunerazione di questi investimenti. È giusto che sia così. Questo sarà il compito del regolatore, ovviamente. Inoltre, nel definire qual è la giusta remunerazione per questa rete aperta, è importante tenere conto sicuramente del rischio specifico di realizzare infrastrutture in fibra, ma anche dell'equilibrio competitivo, dell'apertura alla competizione che queste infrastrutture dovranno garantire in futuro. Il lavoro da svolgere è estremamente difficile e complesso. Insieme al tema della remunerazione e dell'equilibrio bisognerà essere sicuri di poter garantire parità di accesso a tutti, dal punto di vista economico, tecnico e qualitativo.
Il quarto elemento che crediamo essere fondamentale è quello che queste infrastrutture si realizzino secondo standard di tecnologia e di architettura unici e condivisi. Se realizziamo la rete in un modo a Milano, e poi l'amministrazione locale la realizza in maniera differente a Catania, avremo un problema, perché a quel punto essa diventa inefficiente per l'intero sistema. In questa prospettiva, ribadisco nuovamente l'importanza del ruolo delle autorità e delle istituzioni nel definire questi standard.
Il quinto e ultimo elemento secondo noi fondamentale è quello che questi investimenti debbano essere stanziati, salvaguardando l'investimento che gli operatori stanno facendo oggi, in termini di tecnologie nelle centrali di Telecom Italia, o acquistando fibra da Telecom Italia, per realizzare i nostri servizi in unbundling. Quindi, complessivamente, occorre predisporre un modello aperto, come peraltro indicato anche dall'Europa in questa fase, e cercare di stare lontani, invece, da modelli chiusi, che in realtà non possono portare a uno sviluppo organico in futuro.
In questo contesto si parla molto anche di intervento pubblico, che crediamo possa avere un valore importante in questa fase. Esistono due tipi intervento pubblico, dei quali si parla in questo periodo. Il primo è quello della semplificazione, della velocizzazione per la realizzazione delle infrastrutture, come riportato anche nel recente decreto-legge. Da questo punto di vista crediamo che tutto ciò che porta a una realizzazione più semplice, più veloce e meno costosa delle infrastrutture sia molto sano, soprattutto se le reti sono aperte, e quindi questa efficienza è a beneficio di tutti, non soltanto di un operatore. È evidente che questo stesso tipo di iniziativa deve essere portata avanti per la realizzazione anche delle altre reti, tra le quali la rete radio.
Il secondo elemento importantissimo, in termini di intervento pubblico, del quale molto si discute e del quale si è già deciso di fare qualcosa di importante, è quello di investire per consentire di realizzare queste infrastrutture anche nelle aree a fallimento di mercato, le famose aree di digital divide. Crediamo che questo possa avere sicuramente senso, se siamo molto chiari sugli obiettivi che vogliamo raggiungere con questo intervento pubblico - a nostro parere la chiusura del digital divide -; se siamo sicuri di rimanere neutri tra le diverse tecnologie possibili e tra i diversi operatori che lo possono portare e se siamo sicuri, come peraltro ribadito in diverse sedi anche dalle istituzioni che queste iniziative portano avanti, di investire, a prescindere da chi lo faccia, su infrastrutture aperte e realizzate su standard.
Se mi permettete una provocazione, credo che questi fondi pubblici dovrebbero essere dati a quelle iniziative e a quegli operatori che riescono, per ogni euro investito dal pubblico, a portare più larga banda per singolo cittadino. È molto meglio investire 100 milioni di euro per portare un po' di banda a tanta popolazione, piuttosto che per portare tantissima banda a pochi italiani.
Infine, intendiamo svolgere un'ultima considerazione sul dibattito in corso in questo periodo, iniziato circa un mese fa e al quale stiamo assistendo con molto interesse, a proposito della separazione strutturale della rete di accesso Telecom, rete in rame e in futuro rete in fibra. Riteniamo che tale ipotesi, ovviamente, dipenda da tanti elementi del dibattito in corso. In realtà, tuttavia, essa ha la caratteristica positiva di poter portare una vera parità di accesso sulle infrastrutture in rame di oggi e su quelle in fibra di domani, quindi di risolvere il problema di una competizione reale.
Inoltre, tale ipotesi realizzerebbe un vero fornitore unico per tutti gli operatori, che poi sono pronti a farsi concorrenza sui clienti finali, portando innovazione e servizio, e renderebbe possibile anche un investimento pubblico neutrale che a quel punto non si riverserebbe più sull'infrastruttura di un singolo operatore, ma di fatto sarebbe disponibile a tutti, in modo aperto, e, ovviamente, dovrebbe sottostare alle regole definite da chi è preposto a farlo. Crediamo che sia un'ipotesi molto interessante, anche perché consentirebbe concretamente di disaccoppiare due elementi, entrambi molto importanti: da un lato, il destino, le strategie, i temi finanziari che deve affrontare il nostro operatore Telecom Italia, che vive una fase sicuramente particolare, dalla quale siamo convinti che uscirà molto bene; dall'altro, la tematica, altrettanto e forse più importante per lo sviluppo del futuro del nostro Paese, dello sviluppo delle infrastrutture di rete fissa del futuro e del presente. Crediamo che questa soluzione, della quale si è parlato in questi giorni, consenta lo sdoppiamento tra questi due temi che, di per sé, non devono essere confusi.
In conclusione, a nostro avviso, si delineano tre priorità: realizzare vera concorrenza nel fisso, attraverso una reale separazione della rete Telecom, secondo il modello inglese; realizzare la chiusura del digital divide, portando Internet a tutti, anche attraverso le tecnologie wireless e partire su questo vero progetto Paese per realizzare le reti del futuro, secondo un modello aperto, facendo leva sulle competenze di tutti gli attori, e non soltanto di
uno, per essere sicuri che le attuali difficoltà del mercato della rete fissa, nel quale la competizione ancora non funziona, non vengano trasferite al futuro delle infrastrutture per il nostro Paese.
Da parte nostra siamo ovviamente pronti a continuare a svolgere il ruolo di sviluppo che abbiamo avuto in questi primi tredici anni di vita, con importanti investimenti e iniziative. Continueremo a investire, laddove vedremo una reale contendibilità del mercato, quindi un mercato che funziona, regole e condizioni chiare per chi deve investire.
PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
MARIO TULLO. Signor presidente, intervengo molto rapidamente per ringraziare il rappresentante di Vodafone che, ovviamente, ha avanzato delle richieste legittime rispetto al gruppo che rappresenta, ma che ci ha anche aiutato in una riflessione che per noi continuerà nelle prossime settimane.
Già nella giornata di ieri il nostro capogruppo Meta ha interloquito sia con il presidente Calabrò che con il presidente Catricalà circa il modello inglese e la necessità di entrare nel merito della concorrenza. Quello del dottor Bertoluzzo è il secondo intervento che ascoltiamo da parte di esponenti di aziende che sottolineano l'importanza del tema della concorrenza, soprattutto sulla rete fissa.
La domanda che vorrei porre è la seguente. Riuscite a farci capire meglio, tanto più che saranno stanziati investimenti pubblici - mi pare che lei prima abbia detto che senza dubbio riconoscerete un ruolo anche a Telecom -, in che modo possiamo dare il nostro aiuto? Il Parlamento dovrà varare leggi e garantire la neutralità tecnologica, che mi pare si rivendica. La neutralità tecnologica vuol dire anche corrispondere investimenti che possano allargare la possibilità di penetrazione di Internet e non ragionare sulla potenzialità solo in alcune zone del Paese.
SANDRO BIASOTTI. Ingegner Bertoluzzo, le rivolgo i miei complimenti per la sua relazione che, almeno a me personalmente, è parsa molto interessante, a differenza di altre audizioni in una materia che conosco poco.
Mi ha stimolato la questione dello sviluppo di Internet. Quando mi sono occupato della regione Liguria, abbiamo tenuto dei corsi per ultrasessantenni per insegnare loro a usare Internet. Abbiamo previsto corsi gratuiti, ma, soprattutto, abbiamo regalato computer, ottenendo successi strabilianti, non tanto perché abbiamo regalato il computer, quanto per la partecipazione e la continuità di presenza di queste persone, alle quali è cambiata la vita.
Dal momento che, come lei diceva, il telefonino è utilizzato ormai anche dagli anziani, che sono in grado di inviare messaggi, perché l'utilizzo di Internet non si è sviluppato nella nostra società, che pure è pronta? Costa troppo l'abbonamento? Costa troppo il video? Che cosa possiamo fare, come enti locali o come amministratori pubblici? Oppure dipende da voi?
ENZO CARRA. Sul problema della rete fissa, lei, ingegner Bertoluzzo, ha svolto delle considerazioni molto precise e, se mi consente, anche piuttosto gravi. Infatti, se è vero che è necessario portare più bande - parliamo di bande fisse, perché quelle normali in Italia si portano facilmente - e più Internet a chi non l'ha ancora, si parla anche di mercato che non decolla, di una competizione che non funziona, muovendo accuse precise. In questo senso, le chiedo: il ruolo di autorità come l'Agcom, l'Antitrust è quello che vi aspettate dall'attuale Governo in questo settore? Mi sembra che questo discenda strettamente da una sua precisazione, anche molto crudele, che lei ha esposto e della quale personalmente la ringrazio.
JONNY CROSIO. Ingegner Bertoluzzo, condivido la sua analisi, in modo particolare sulla concorrenza. Credo di poter dire, in maniera più chiara di come l'ha
detto lei, essendo un politico, che sicuramente il nostro non è un Paese libero, per quanto riguarda le telecomunicazioni. Sto parlando di telefonia fissa. Lei ha dato anche dei consigli per migliorare questa situazione. La domanda è se veramente crediamo che basti emulare il modello inglese o se, eventualmente, si può compiere qualche passo in più.
Un'altra domanda che le vorrei porre riguarda il digital divide e la banda larga mobile. Lei sostiene giustamente - e condivido - che per chiudere questo discorso manca poco. Tuttavia, volevo capire in maniera più puntuale che genere di programmazioni e di investimenti pensate di fare e se esistono ancora ostacoli anche su questo versante.
In conclusione, pongo una questione sulle reti a banda ultra larga che ho rivolto anche ai vostri concorrenti auditi in precedenza. Nella giornata di ieri, il sottosegretario Romani ipotizzava la possibilità di istituire un tavolo di lavoro di confronto. Visto che forse è il caso, una volta per tutte in questo Paese, di predisporre una programmazione moderna e condivisibile, le chiedo quali piani avete per queste programmazioni sulla banda ultra larga, in modo particolare sui metodi e sulle priorità di intervento. Lo chiedo, visto e constatato che non crediamo che tutti e tutto il Paese debbano ricevere i 100 megabit al secondo. Probabilmente, le strade vanno realizzate, dove realmente le merci devono viaggiare; in questo caso le merci sono i dati. La mia è una domanda molto chiara da questo punto di vista, perché la politica si deve muovere parallelamente al vostro scenario di programmazione industriale e compiere gli stessi passi.
Da parte nostra, questo sarà un punto molto fermo e chiaro in tutte le programmazioni per quanto riguarda tale tema. Vogliamo essere da subito molto chiari nel dire che andremo sicuramente a privilegiare le posizioni che non avranno una visione localistica, per quanto riguarda gli investimenti e le programmazioni.
LUCA GIORGIO BARBARESCHI. Innanzitutto, volevo formulare i miei complimenti per la presentazione, veramente esaustiva e fatta a braccio - cosa rara - con così tanta competenza. Voleva porre alcune domande molto velocemente. Una di esse riguarda la sicurezza. Ho sentito dire che in molti Paesi del nord ci si preoccupa molto del Wi-Fi, dal punto di vista della salute. Addirittura, in molti uffici chiedono di isolare gli ambienti, con speciali vernici, perché si corrono dei rischi reali per la salute. Non ho mai capito fino a che punto questo sia vero o meno. Del resto, fa effetto quando vediamo milioni di dati ci attraversano il corpo e sarebbe bello sapere se in realtà queste cose hanno impatto sui nostri figli e anche su di noi.
In secondo luogo vorrei capire, secondo le vostre previsioni, entro quale anno ci sarà veramente una veicolazione di prodotti, di audiovisivi, attraverso il telefono, con l'integrazione, con l'IP Television e così via. Insomma, vorrei sapere quando il business potrà essere veramente appealing, rispetto alla telefonia, per chi farà contenuti.
Vengo all'ultima questione. Non vorrei aver capito male - ma a questa seduta partecipa anche un convitato di pietra, ossia Telecom, di cui tutti parlano e attorno al quale girano attorno -, ma dai giornali sembra che le strategie che si intendono attuare consistono addirittura nel non puntare sul Wi-Fi di Telecom, anzi addirittura nel dismetterlo, e nel far crescere tutto ciò che riguarda la rete fissa. Dai grafici che ho visto, invece, la rete fissa è in calo verticale. Peraltro, queste sono state le strategie seguite dall'ultimo Governo. Vorrei capire, dunque, se riusciremo, grazie anche ai vostri stimoli, a obbligare Telecom a rendere il mercato più agile e a permettere ai nuovi player di lavorare, secondo la competenza e anche la capacità. Poi, chi si dimostrerà più bravo, crescerà.
BEATRICE LORENZIN. Anche io mi complimento con l'amministratore di Vodafone per la relazione molto chiara ed
esaustiva che ci ha presentato. Tuttavia, come l'onorevole Carra, vorrei far presente che sono state tirate in ballo una serie di questioni che, sinceramente, destano la mia curiosità.
Al di là della progettualità futura, delle operazioni da attuare per garantire un'effettiva libertà di concorrenza e di accesso agli operatori del nostro Paese, vorrei avere qualche elemento di valutazione in più, anche in base ad alcune dichiarazioni forti che lei, ingegner Bertoluzzo, ha espresso in questa sede oggi pomeriggio.
Lei ci ha riferito che di fatto è impossibile, per circa il 30 per cento dei consumatori - ci mettiamo dalla parte del consumatore, dell'utente finale -, poter scegliere liberamente di quale servizio usufruire sulla rete fissa. A questo punto, vorrei capire per quale motivo accade questo e, soprattutto, quali sono gli elementi oggi cogenti che impediscono un accesso fruibile e chiaro da parte della concorrenza all'operatore maggiore, ossia Telecom, sempre per quanto riguarda la rete fissa.
A titolo di curiosità personale, poi mi chiedevo, confessando la mia ignoranza: quanto pagano gli operatori alla Telecom per accedere alle proprie reti e alle proprie cabine? E come vengono reinvestiti questi soldi?
MAURIZIO IAPICCA. Faccio presente che sono le ore 15,55 e che tra poco dobbiamo scendere in Aula. Avevo chiesto per primo di intervenire, ma poi i miei colleghi mi hanno superato e hanno svolto le stesse considerazioni che avrei voluto esprimere io. Le sarei grato, tuttavia, ingegnere Bertoluzzo, se potesse soffermarsi sulla questione della separazione delle reti nella telefonia fissa. È un aspetto importante, come hanno detto anche i rappresentanti di Wind.
Qual è la vostra proposta, la vostra ricetta dal punto di vista tecnico, per affrettare i tempi e per poterci rendere tutti utili in questa vicenda?
MICHELE POMPEO META. Signor presidente, intervengo brevemente. Dobbiamo scendere in Aula, perché la seduta inizia con votazioni immediate.
Non mi associo ai complimenti rivolti al rappresentate di una delle più importanti realtà che operano in questo settore del nostro Paese, perché ritengo che in questa sede dobbiamo sviluppare il confronto liberamente. Naturalmente, anche io ritengo che il contributo portato in questa audizione dall'ingegner Bertoluzzo sia tra i più utili e pregiati che abbiamo avuto. Tra l'altro, per merito del presidente, stiamo svolgendo un'indagine conoscitiva che in una fase di decisioni, alla vigilia forse di altre importanti manovre finanziarie, mi auguro consentirà di incidere immediatamente sulle regole e sui finanziamenti.
A questo punto, non so come si debba procedere con i nostri lavori, visto che abbiamo dei limiti di tempo molto ristretti. Ingegner Bertoluzzo, le sono state rivolte diverse domande, lei avrà anche una capacità di sintesi formidabile, ma non so se riuscirà a rispondere a tutti i quesiti formulati.
Presidente, mi rivolgo a lei: o proseguiamo la discussione domani, oppure l'ingegner Bertoluzzo ci farà pervenire delle risposte scritte. Il lavoro che stiamo svolgendo è utile. Inoltre, mi sembra che si sia dato luogo a un confronto libero e aperto tra la Commissione, il Parlamento e lo stesso Governo. Alla fine, se saremo bravi, forse per la prima volta, potremo incidere concretamente nelle scelte che dovranno essere assunte.
La fase che vive questo settore è estremamente delicata. Personalmente mi auguro che non sia così, ma sento i boatos intorno allo stato di salute e alle vicende misteriose di Telecom. Spero che non avremo a che fare con fatti ingovernabili, perché la storia si può anche riscrivere secondo i punti di vista, ma Telecom è senza dubbio un elemento della ricchezza del Paese. In questo settore, contrariamente ad altri, siamo cresciuti moltissimo. Vi sono alcuni nodi strutturali che andrebbero corretti. Il legislatore può fare
molto in tale ambito, ma possono fare la loro parte anche gli operatori, gli investitori, sia nazionali che internazionali.
Questo è uno dei settori in cui, nonostante alcune rigidità, la concorrenza ha compiuto molti passi in avanti. Parliamo di una concorrenza che ha aiutato i consumatori, ma anche l'innovazione e la competitività del Paese.
Rimangono alcune questioni irrisolte e allora, invece di fare grandi fughe in avanti, personalmente tornerei a recuperare i ritardi esistenti: divieto di accesso per molti cittadini italiani a quello che il mercato offre; situazioni difformi, perché il nostro è un Paese che, dal punto di vista delle fruibilità tecnologiche, ha una situazione particolare. L'Italia è un Paese fatto di monti e di dorsali. Forse il tavolo di lavoro che propone il sottosegretario Romani sarà utilissimo. Si tratterebbe di un tavolo aperto anche agli operatori, che non servirebbe tanto per discutere dei profitti o dei punti di vista critici del Governo, quanto piuttosto per produrre una sorta di accordo-programma quadro in cui, nella distinzione dei ruoli, le funzioni del pubblico e dei privati mirino allo stesso obiettivo. Per intenderci, non sarebbe un tavolo propagandistico, né volto a mitigare le pretese dell'ex monopolista e neanche ad aprire a nuovi appetiti. Il fine di tale tavolo dovrebbe essere quello di mettere al centro gli interessi legittimi di un grande Paese, quale è l'Italia, in un settore vitale per la competizione e la concorrenza.
Ecco, presidente, credo che dovremmo aiutare il sottosegretario - mi auguro a breve viceministro - Romani, ad agire in questo modo. È tempo di adeguare la normativa, forse anche di fare quegli investimenti utilissimi di cui si è parlato e di correggere le storture del vecchio monopolista. È giunto il momento che anche i nuovi concorrenti si cimentino in questo campo, attraverso il rispetto delle regole, di quelle esistenti e di quelle che mancano e che noi dobbiamo produrre.
Ingegner Bertoluzzo, la ringrazio davvero, perché il suo rimarrà un contributo utile e originale ai nostri lavori. Sono certo che, nella dialettica tra maggioranza e opposizione in questa Commissione, per quanto riguarda questo settore, a differenza di altri, potremo confrontarci bene, parlare chiaro e giungere ad una conclusione sintetica che faccia davvero la differenza rispetto al recente passato.
PRESIDENTE. Dal momento che per regolamento devono passare venti minuti prima dell'inizio delle votazioni, propongo di destinare gli ultimi cinque minuti alla replica. Ingegner Bertoluzzo, ci dirà quello che può e per il resto ci invierà un SMS....
PAOLO BERTOLUZZO, Amministratore delegato di Vodafone Italia. Da 5 mila caratteri!
Vi ringrazio per le domande molto precise e approfondite che avete formulato e anche per le parole di apprezzamento che avete avuto.
Provo a trattare alcuni temi trasversali alle domande. In seguito, vi consegneremo l'intera nostra relazione con, in aggiunta, la risposta alle ulteriori domande che ci avete rivolto.
È stato più volte richiamato il ruolo e l'intervento delle autorità nello sviluppo delle telecomunicazioni. Penso si possa serenamente dire che le nostre autorità hanno operato molto bene, da parte loro, per lo sviluppo delle comunicazioni in Italia. Il mobile è un fiore all'occhiello del nostro Paese e una delle industrie, grazie alle quali brilliamo nel mondo, grazie anche e soprattutto ad alcuni interventi delle istituzioni del nostro Paese, effettuati fin dai primi giorni in cui nacque il settore.
Anche nel mondo della rete fissa sono stati fatti interventi molto importanti da questo punto di vista. L'Italia è il Paese nel quale è stato realizzato per primo, o tra i primi, l'unbundling del rame, che ha avuto delle conseguenze importanti.
Dopodiché, ci siamo scontrati con la realtà di un mercato ancora dominato da un operatore, con tutte le leve in mano e che, di fatto, non ha consentito lo svolgersi fluido di questa dinamica competitiva. Vi riporto un esempio molto semplice a tal proposito: l'unbundling in Inghilterra è
partito successivamente in rispetto all'Italia. Nonostante questo, oggi, c'è più unbundling in Inghilterra, come velocità di crescita che in Italia, proprio perché ci si appoggia su un mercato che funziona già meglio.
Ovviamente, abbiamo fiducia nelle Autorità. Peraltro, è stato avviato un percorso da entrambe le Autorità, per capire quali sono le migliori soluzioni da apportare. Vi sono gli impegni che Telecom ha proposto, che a mio avviso non sono sufficienti, ma che saranno al loro vaglio. Dal canto nostro, come è ovvio, partecipiamo attivamente, portando queste stesse proposte nell'ambito di quei processi. Spetterà poi alle Autorità stesse definire i migliori interventi.
Tornando al tema della neutralità tecnologica, del digital divide e così via, ribadisco che crediamo che non si debba investire sulle soluzioni di un singolo operatore - bisogna essere molto chiari -, ma sulle tecnologie aperte, che siano accessibili a tutti, dove il denaro pubblico ha il miglior rendimento, in termini di utilità sociale. Credo che si debba partire dalla definizione dell'utilità sociale: è più importante portare tanta larga banda al singolo cittadino o portare larga banda a tanti cittadini? Credo che questo sia il punto di partenza. Poi, da lì, si può lavorare insieme in questi tavoli comuni.
Si è parlato di sviluppo di Internet. Su questo tema, se volete, ho il punto di vista dell'imprenditore. È chiaro che c'è tanto da fare sul lato della domanda e sul suo sviluppo, che passa attraverso l'educazione, lo stimolo dei servizi e anche una competizione più fluida sul mercato, attraverso gli operatori che si vanno a contendere questi settori. Nel mobile il mercato si è sviluppato più rapidamente, perché, ad esempio, in Italia, la sana competizione ha portato allo sviluppo del prepagato, che è nato nel nostro Paese e ha consentito un boom della telefonia mobile, al quale gli altri Paesi sono arrivati solo più tardi. Il prepagato non l'ha imposto qualcuno, l'ha inventato il mercato, l'hanno inventato le persone, peraltro di Telecom, poi entrate subito in competizione con Vodafone su questa dinamica.
Crediamo assolutamente al tavolo di confronto per riuscire a trovare soluzioni al tema della banda ultralarga. Non crediamo alla banda ultralarga ovunque, penso che l'abbiate capito molto bene. Bisogna iniziare a capire dove serve realmente, per assicurarsi che vengano fatti degli investimenti - ripeto - con reti aperte.
Quanto al Wi-Fi, alla salute, e a tutti questi temi che sono stati sollevati, credo non esista una risposta definitiva a tale dibattito. Ritengo che ci sia una certezza: più alta è la frequenza alla quale i servizi vengono realizzati - il Wi-Fi è di altissima frequenza, molto più alta rispetto alle tecnologie mobili più tradizionali - e più, in realtà, qualcosa può esistere. Questo è uno dei motivi per i quali, ad esempio, è molto importante rendere possibile il refarming delle frequenze a 900 MHz, che sono delle frequenze basse e molto efficienti per gli operatori. Si può coprire tanto territorio con poche torri e con un'ottima efficienza operativa.
Per quanto riguarda i prodotti multimediali per il telefonino, per L'IPTV, credo che per la televisione su Internet il momento stia arrivando. Dopodiché, se vogliamo, credo che non saranno prodotti diversi da quelli che si possono realizzare sul digitale terrestre, piuttosto che sul satellite, una volta che questo sarà divenuto interattivo. Il punto fondamentale è che l'IPTV è un'altra piattaforma televisiva.
Venendo al mobile, crediamo che l'impulso dato da innovazioni molto recenti, come quella dell'iPhone e altre che arriveranno da qui a pochi mesi, inizieranno a cambiare anche questo mercato, creando maggiore consapevolezza nell'utente finale, anche se non pensiamo che ci sarà mai sul telefonino la televisione in larga massa per come la concepiamo sul televisore, quindi con canali di programmazione lunga e così via. In Italia gli operatori sono partiti con il DVB-H. Credo che questo non possa essere annoverato tra i successi dell'industria mobile italiana, ma questa è una scelta imprenditoriale
ed è giusto che le aziende si assumano dei rischi e poi vadano avanti.
Ci è stato chiesto quanto si paga per accedere ai servizi Telecom e che fine fanno quei soldi. Onestamente, devo dire che c'è un listino molto ampio che va da circa 8 euro per l'unbundling a cifre più alte per i servizi wholesale, in bitstream, come tecnicamente vengono detti. Inoltre, paghiamo un tanto per entrare in centrale. Insomma, c'è un vero e proprio listino di riferimento. Dove vanno i soldi è difficile dirlo in modo puntuale. L'aspetto indispensabile è che vengano reinvestiti prima ancora che per mettere giù fibra, dove c'è già, o dove ci sono già i 20 megabit al secondo, per migliorare la qualità del rame, per allargare le centrali e consentire vera competizione.
Se volete, posso chiudere con questo esempio. È curiosa la situazione di Milano. Non so chi di voi sia di Milano, ma in questa città c'è una zona residenziale molto ricca come valore di mercato, quella di Corso Vercelli, in cui si trova una centrale Telecom, famosissima tra gli operatori perché lì sono anni che non c'è spazio. Quindi, quando si chiede di mettere la propria tecnologia in quella centrale viene risposto che purtroppo non c'è spazio. Contemporaneamente, tuttavia, non c'è un vincolo agli investimenti per allargarla, perché Telecom sta scavando di fianco per mettere fibra. Allora, non c'è spazio per investire, per dare ai concorrenti la possibilità di competere, ma c'è spazio per investire e fare concorrenza ai propri concorrenti. Credo che questo sia lo specchio curioso della realtà che porta ancora di più alla necessità di realizzare infrastrutture aperte a tutti, con una giusta remunerazione del capitale di chi investe, secondo degli standard e anche secondo una logica di pianificazione di lungo periodo.
Quindi, nuovamente, rilevo l'importanza del tavolo condiviso, in modo tale che ciascun operatore possa fare la sue scelte di lungo periodo.
PRESIDENTE. Ringrazio l'ingegner Bertoluzzo per il suo intervento e per la relazione che vorrà inviare in Commissione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16,05.