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PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Corrado Calabrò, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Agcom, accompagnato dall'ingegner Roberto Viola, segretario generale; dal dottor Guido Stazi, capo di gabinetto; dalla dottoressa Laura Aria, vicesegretario generale; dal dottor Mario Calderoni, direttore ufficio stampa, e dal dottor Marco Benacchio, assistente del presidente.
Presidente, come lei saprà, questa nostra Commissione d'inchiesta parlamentare della Camera dei deputati, in questo anno e mezzo circa di vita, ha svolto una serie di attività; tra queste, abbiamo sviluppato una serie di approfondimenti su varie tematiche, sulle quali abbiamo articolato l'attività della Commissione stessa.
In particolare, ci siamo occupati di contraffazione nel settore agroalimentare e su questo tema abbiamo già concluso una relazione (che è stata licenziata all'unanimità dalla Commissione e poi inviata al Parlamento) i cui contenuti sostanziali sono stati ripresi in una risoluzione approvata in Assemblea. Siamo ora nella fase conclusiva di un approfondimento condotto sul tema della contraffazione nel settore dei tabacchi ed è prossima alla sua conclusione anche un'ulteriore indagine di approfondimento sulla questione della contraffazione nel settore del tessile e della moda.
La tematica di stamattina, come lei immaginerà, costituisce la quarta di una serie di questioni che stiamo affrontando. In particolare, da qualche mese a questa parte, ci stiamo occupando del tema della pirateria digitale, anche a seguito di una serie di interlocuzioni internazionali. Abbiamo infatti svolto una missione di studio nell'Unione europea e una negli Stati Uniti e condotto una serie di attività su questo versante. Siamo quindi molto interessati a conoscere meglio lo stato dell'arte della questione, con particolare riferimento, appunto, al tema della pirateria digitale, alla questione dei regolamenti e a tutto ciò che rientra nelle competenze dell'Autorità.
Propongo di proseguire i nostri lavori nell'ordine che ci diamo di consueto, lasciando a lei il tempo per esporre la sua relazione, a margine della quale i colleghi potranno fare qualche domanda o considerazione ulteriore rispetto a quanto ci avrà illustrato. Al termine, le daremo il tempo per svolgere una replica finale. Dovremmo, se possibile, potere concludere l'audizione nello spazio di un'ora, posto che, al momento, è previsto l'inizio delle votazioni in Assemblea per le ore 9.30 (vedremo poi se tali votazioni inizieranno subito o se avremo qualche ulteriore margine
da questo punto di vista). Ad ogni modo, penso che un'oretta dovrebbe essere più che sufficiente per gestire questa tempistica. Le do ora la parola per svolgere la sua relazione.
CORRADO CALABRÒ, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Agcom. Grazie, signor presidente e buongiorno. Qui siamo nell'ambito della diffusione delle merci contraffatte in campo commerciale, la cui conoscenza costituisce uno degli obiettivi di questa Commissione e credo che in quest'ambito rientri sicuramente il tema della circolazione di contenuto on line in violazione del diritto d'autore, materia complessa e anche scottante, che alimenta un dibattito quanto mai acceso in tutto il mondo.
Apprendo che avete avuto dei contatti internazionali: anche noi ne abbiamo avuti, sia con la Commissione europea, sia con l'ufficio dell'ONU di Ginevra. Il problema ha un'indiscutibile valenza sopranazionale e ho ripetutamente auspicato, in altre occasioni, un intervento quadro dell'ONU o quanto meno della Commissione europea, perché il fenomeno supera i confini nazionali. Nel frattempo, però, è nostra opinione che vadano applicate le leggi vigenti. Questo è il messaggio principale che sto portando all'attenzione del Parlamento, nelle numerose audizioni a cui ho partecipato sull'argomento. Il Parlamento è il principale interlocutore delle Autorità indipendenti e tale interlocuzione appare quantomai necessaria su una tematica come questa, che rappresenta un aspetto sempre più qualificante delle moderne democrazie nel loro percorso di ammodernamento e nel coniugare efficacemente i diritti della persona e quelli patrimoniali.
Internet è uno spettacolare motore di crescita sociale ed economica, ma il fenomeno della pirateria rischia di danneggiare gravemente il settore delle attività creative e quello delle tecnologie della comunicazione, proprio nel momento in cui il digitale offre nuove potenzialità. Lo riconoscono esplicitamente i Commissari Kroes e Barnier, che hanno individuato nella tutela del copyright una priorità comunitaria nell'era digitale, secondo un giusto bilanciamento fra diffusione della conoscenza e tutela della proprietà intellettuale. Tutelare il diritto d'autore è prima di tutto un atto di civiltà, perché il furto di contenuti culturali danneggia la creatività, la nuova economia e l'occupazione: l'economia italiana può restare competitiva solo con l'innovazione, la creatività, la qualità. Nel corso delle due partecipatissime consultazioni pubbliche che abbiamo svolto, al fine di perfezionare il nostro schema di regolamento, i diversi attori hanno portato studi e cifre. Non bisogna porre troppa enfasi sui valori assoluti perché sempre di stime si tratta, ma è importante riflettere su alcune cifre accreditate.
A livello mondiale, Frontier Economics stima un impatto totale della pirateria legata alla riproduzione illegale di software, film e musica in circa 550 miliardi di dollari, un dato in linea con quello dell'OCSE, secondo cui il volume delle merci contraffatte o duplicate è pari a diverse centinaia di miliardi di dollari (anche se è vero che si hanno dei segnali incoraggianti nel senso di una crescita delle vendite di prodotti digitali per quanto riguarda la musica, che è stato il primo settore a doversi confrontare con l'innovazione tecnologica).
Da poco è uscito l'ultimo Digital music report della IFPI - la Federazione mondiale dell'industria discografica - con dati 2011 interessanti a livello mondiale e un'indicazione di tendenza che, in parte, può essere riportata all'Italia. L'aumento delle vendite digitali non significa, tuttavia, che la pirateria non sia più un problema. Il mercato italiano della musica digitale vale anzi solo il 21 per cento del totale del mercato discografico, rispetto ad un dato medio mondiale del 32 per cento. La propensione ad acquistare musica digitale trova soddisfazione in un'offerta crescente anche in Italia, ma dobbiamo colmare ancora un gap di digitalizzazione che accomuna tutte le aree dei servizi nel paese.
Da uno studio della società Tera emerge che, a livello europeo, prendendo
a riferimento solo i cinque paesi più popolosi e il solo settore della pirateria on line, si verificano oltre 7 miliardi di infrazioni all'anno. Lo studio, effettuando una conversione del dato in termini di mancati introiti e posti di lavoro, stima per il 2009 le perdite dovute alla pirateria digitale in 19 miliardi di euro e in circa 80.000 occupati in meno. In Italia, da un'indagine Ipsos presentata a gennaio 2011, emerge che i mancati introiti causati dalla pirateria di materiale cinematografico sono stimati in un intervallo compreso tra i 234 e i 375 milioni di euro. Sempre con riferimento al solo settore cinematografico, la pirateria nel 2010 sembrerebbe in aumento di circa il 5 per cento rispetto al 2009.
I costi della pirateria digitale non si esauriscono, comunque, nella quantificazione dei mancati introiti dell'industria. Tra i costi vanno infatti annoverati le spese legali e tecniche sostenute dalle aziende nell'azione di contrasto alla pirateria, quelli delle diverse istituzioni pubbliche a vario titolo coinvolte nell'applicazione delle norme in materia di proprietà intellettuale e quelli di mancato introito all'erario. Il mercato illegale, oltre ad impoverire alla fonte l'industria culturale, riduce la base imponibile delle imposte dirette e indirette e, quindi, il gettito fiscale complessivo. So che ci sono anche tesi di natura opposta, per cui la pirateria potrebbe essere un driver di consumo per l'offerta legale, ma sfido chiunque a trovare una correlazione statistica fondata. Non stiamo parlando di articoli di fashion, come le borse Prada, che si accrediterebbero a livello mondiale anche grazie alle copie contraffatte. In ogni caso, sempre un reato rimane.
Ricordo, ad ogni buon conto, che l'Italia è inserita nella lista nera dei paesi ad alto tasso di pirateria dall'Office of the United States Trade Representative. Siamo in buona compagnia, insieme, tra gli altri, a Bielorussia, Bolivia, Brunei, Grecia, Guatemala, Giamaica, Kuwait, Malesia, Messico, Perù, Filippine, Romania, Tajikistan, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan, Vietnam, Colombia, Costarica, Repubblica Dominicana, Ecuador ed Egitto: siamo però l'unico paese del G8 che figuri nell'elenco.
Anche da queste considerazioni fattuali l'Agcom è partita, ormai più di due anni fa, con l'obiettivo di approfondire la conoscenza dei fenomeni della pirateria digitale massiva ed industriale, al fine di poterli contrastare in modo efficace, con un'attenzione accurata alla legislazione applicata nei paesi membri dell'Unione europea e ai più recenti orientamenti giurisprudenziali. L'allineamento all'ortodossia comunitaria delle migliori pratiche regolamentari è stato il segno caratterizzante l'intera attività dell'Agcom durante questa consiliatura, lungo tutti i numerosi fronti di intervento che le molte competenze nel campo delle comunicazioni elettroniche ci attribuiscono. Lo stesso vale per il diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica.
Un'indagine conoscitiva e due consultazioni pubbliche, su schemi e regolamento progressivamente aggiornati, ci hanno permesso di dialogare apertamente con tutti gli stakeholders. Il dialogo c'è stato: ora è il momento di superare le sterili contrapposizioni di principio e far sì che tutto il valore di questo dialogo non vada disperso. Dice in un suo recente libro Gustavo Zagrebelsky che la democrazia si basa sulla consapevolezza che tutti - non io soltanto - esercitano la libertà e ne riconoscono il limite.
Con una comunicazione dell'11 gennaio scorso, la Commissione europea ha indicato una serie di azioni concrete rivolte ad incentivare la fiducia ed il ricorso dei cittadini europei al commercio elettronico. La Commissione rileva che vi è l'esigenza di fornire principi comuni, trasparenti e proporzionati, nel rispetto dei diritti fondamentali, sottolineando altresì la necessità di creare un'adeguata e omogenea cornice normativa di notice and action (formula più ampia rispetto al notice and take-down), ovvero le procedure che devono applicare gli Internet Service Providers (ISP) a seguito di ricezione di segnalazione di un contenuto illegale.
Qualcuno continua a chiederci perché l'Agcom persista nell'obiettivo di giungere
ad un regolamento in una materia così delicata e dalla valenza sovranazionale e perché continui ad esporsi lungo un crinale così complesso e accidentato. Lo facciamo perché riteniamo di avere un mandato dalla legge e le leggi vanno applicate, non eluse nascondendo la testa sotto la sabbia per pusillanimità. Credo che l'istituzione davanti alla quale sto parlando - che fa le leggi per vederle applicate - non possa non essere d'accordo.
Tre sono le norme primarie il cui combinato disposto determina l'area di competenza dell'Autorità: l'articolo 182-bis della legge 18 agosto 2000, n. 248, che nell'aggiornare le disposizioni della legge sul diritto d'autore, ha attribuito all'Agcom poteri di vigilanza; le disposizioni contenute nel decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, di recepimento della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, che nell'introdurre il doppio binario di tutela, amministrativa e giudiziaria, prevede che l'autorità amministrativa avente funzioni di vigilanza, vale a dire l'Agcom, possa esigere «al pari di quella giudiziaria» che il prestatore di servizi impedisca o ponga fine alle violazioni commesse, una volta che lo stesso è stato reso edotto della illiceità dei contenuti trasportati o diffusi; l'articolo 32-bis del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, il cosiddetto «decreto Romani», il quale al generale potere di vigilanza e di ispezione dell'Agcom ha affiancato il potere di emanare le disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva l'osservanza dei limiti e dei divieti previsti dalla norma.
Sono sufficienti? Sì, come il parere di un autorevole costituzionalista - non richiesto, peraltro, da noi - ha confermato. L'interlocuzione con la Commissione europea ha fortemente rafforzato questo convincimento. Eppure, una frangia minoritaria - ma molto rumorosa, che cavalca posizioni artificiosamente e pregiudizialmente preclusive - insiste nel ritenere che la legittimazione ad intervenire dell'Agcom sia basata su puntelli fragili, soprattutto il «decreto Romani».
Non più di venti giorni fa, l'Autorità antitrust ha chiesto agli ISP di non trasportare i contenuti di un sito che violava la normativa a tutela del codice del consumo. È servito il decreto Romani per adottare questo provvedimento? No, è bastato il decreto legislativo 70/2003 che, come dicevo, recepisce la direttiva sul commercio elettronico. La direttiva è legge fondamentale dell'Ue, che disciplina i soggetti ISP, siano essi hosting provider o caching provider. La norma c'è e gli Stati membri hanno il dovere di applicare le direttive comunitarie.
Il regolamento elaborato dall'Autorità è dunque un atto amministrativo attuativo di norme vigenti. La Commissione europea, come dicevo, è stata molto chiara su questo punto: sono misure di enforcement che l'Agcom può attuare in applicazione della direttiva 2000/31/CE e del citato decreto legislativo.
Vorrei inoltre sottolineare che la via regolamentare non è una scorciatoia, ma una strada di garanzia e di trasparenza per tutti, perché mette nero su bianco diritti e garanzie. Non è certo surrogativa della legge, ma trae la sua legittimazione dalla legge e dalla direttiva europea.
Le leggi dunque ci sono. È vero, ho auspicato io stesso che vedesse la luce un'iniziativa legislativa chiarificatrice e pacificatrice, leggibile dal vulgo e dall'inclita. L'abbiamo attesa per mesi, ma non perché fossimo insicuri della nostra competenza o del nostro schema di regolamento, ma per rispetto del Parlamento. Dal fronte parlamentare non è però venuto nulla di organico.
Ad onor del vero, proprio il presidente di questa Commissione ha presentato una proposta di legge, di sicura efficacia, che presentava però un aspetto critico, presidente, prevedendo l'imposizione dell'obbligo per gli hosting providers di rimuovere contenuti considerati illeciti su semplice segnalazione dei detentori dei diritti - che è poi il sistema americano - e non, come attualmente previsto dal decreto legislativo 70/2003, sulla base della richiesta dell'autorità giudiziaria o amministrativa competente.
È tempo, però, che vi esponga i tratti salienti del nostro schema di regolamento. La strada che stiamo cercando di percorrere non prevede alcuna responsabilità preventiva dei fornitori di servizi, coerentemente con quanto previsto dalla direttiva 2000/31/CE.
Il testo messo in consultazione è strutturato su due linee di intervento: la promozione dell'offerta legale di contenuti digitali e un misurato enforcement del diritto d'autore. L'equilibrio di questa struttura si regge su due gambe: promozione e tutela. L'equilibrio di tale struttura è stato riconosciuto dalla Commissione europea, che nella famosa lettera di commento del novembre 2011 - dico «famosa» perché più volte è stata citata come prova di una bocciatura comunitaria, secondo un'interpretazione assurda che ribalta il significato letterale del testo, che per trasparenza vi consegno e allego a questa relazione - sottolinea che la proposta dell'Agcom «coincide chiaramente con il suo stesso obiettivo di limitare alla fonte la pirateria on line». Anche l'agenzia dell'ONU sulla proprietà individuale, il WIPO, cui abbiamo notificato il nostro schema, ha detto di condividere tale l'obiettivo. Con questi riconoscimenti ritengo definitivamente superata la fantasmatica e strumentale polemica sui paventati fini censori del nostro schema di provvedimento.
È vero che la Commissione ci ha chiesto approfondimenti su alcuni punti, ma per rendere più efficace il regolamento, non per indebolirlo, e su questi punti abbiamo risposto in maniera articolata. Sapete quali erano? L'eccessiva generosità del sistema di fair use, ovvero delle eccezioni a favore del cosiddetto «web amatoriale»; l'eccessiva durata (45 giorni) della procedura dinanzi all'Autorità, giudicata non compatibile con l'efficacia dei provvedimenti di rimozione; l'applicazione del principio del paese di destinazione, e non di origine, per individuare i soggetti destinatari dei provvedimenti.
Nessun rilievo - nessuno! - sulla legittimazione dell'Agcom, Autorità geneticamente regolatrice, a prendere questa iniziativa sul versante della tutela del diritto d'autore; e nessuno sulla legittimità di tale schema nei confronti del popolo della rete. Il nostro modello è anzi stato considerato innovativo e coincidente con gli orientamenti e con i principi comunitari.
Per quanto attiene alla promozione dell'offerta legale digitale, siamo consapevoli di poter perseguire le misure di promozione esclusivamente nell'ambito di azioni di moral suasion, favorendo l'accordo tra le parti, ma siamo altresì convinti che già la semplice azione propositiva possa portare a interessanti risultati, contribuendo a cambiare un approccio alla gestione dei diritti che è ancora figlio di un contesto analogico e che, per le eccessive rigidità, incentiva la pirateria.
L'Agcom ha comunque interpretato tale ruolo di proposta anche proattivamente laddove, nella recente segnalazione al Governo e al Parlamento sull'Agenda digitale, ha suggerito di ridurre le limitazioni dovute al sistema dei diritti e delle esclusive che ancora condizionano lo sviluppo di un sistema dei media aperto e concorrenziale, in cui lo sviluppo dell'offerta Internet divenga elemento cardine. Confidiamo che tale suggerimento possa essere raccolto.
S'impone, certo, un cambio radicale di prospettiva da parte dell'industria dei contenuti, che nel confronto impari con la pirateria deve fare i conti anche con la crescente forza degli operatori over the top, i quali si appropriano - più o meno legalmente, spesso in maniera parassita - degli sforzi economici sostenuti per la creazione di contenuti originali.
L'ecosistema digitale diviene così sempre più vulnerabile per gli attori tradizionali, con riflessi non secondari anche di natura macroeconomica: per la geografia associata agli attori in gioco, il rischio è quello di un forte trasferimento di ricchezza tra Unione europea - un sistema ancora incentrato sui fornitori di connettività - e Stati Uniti o altri paesi emergenti, maggiormente orientati su un'innovazione fuori dalle reti. Obiettivo comune, a livello europeo, è quello di promuovere un ambiente fertile per lo sviluppo di
imprese competitive con gli over the top, anche favorendo accordi ai vari livelli della filiera.
Ad una particolare forma di accordo si riferisce l'iniziativa dell'edicola digitale italiana, un consorzio tra i principali editori che intende proporre una piattaforma multi-device per l'acquisto in formato digitale di prodotti editoriali. Affiancate alle iniziative di promozione sono le misure di enforcement, quelle maggiormente discusse, in Italia come in Europa.
Partiamo da un'evidenza fattuale: l'azione di enforcement non è inefficace come alcuni sostengono, ma riduce invece significativamente il tasso di pirateria. È della settimana scorsa il bilancio dei primi 18 mesi dell'applicazione dell'Hadopi 2 in Francia, secondo cui la riduzione dello scambio illegale di dati è tra il 43 e il 66 per cento. Premesso che non riteniamo trasportabile in Italia il modello Hadopi 2, al quale la nostra iniziativa non assomiglia neanche lontanamente, rilevo acriticamente e obiettivamente che quel sistema funziona e che non viene spiazzato dall'innovazione tecnologica.
Nell'approccio regolamentare utilizzato dall'Autorità ci sono tutte le garanzie che presidiano la discrezionalità tecnica delle Autorità indipendenti, vale a dire, in primis, le regole procedimentali e, poi, la tutela giurisdizionale. È altresì rispettato il doppio binario autorità giudiziaria/autorità amministrativa, stabilito dal decreto legislativo 70/2003. La Commissione ci incalza, però, su un punto: la direttiva sul commercio elettronico prevede, infatti, che la rimozione dei contenuti piratati debba essere immediata.
Veniamo ad un altro tema caldo: il ruolo degli ISP. Orbene, tutti i soggetti coinvolti, ove resi edotti della violazione e in grado, dal punto di vista tecnico, di controllare l'accesso e la fruizione dei contenuti protetti, in quanto soggetti ai poteri di vigilanza dell'Autorità, possono essere destinatari di ordini amministrativi intesi ad evitare che la violazione persista.
Il dato normativo, comunitario e nazionale, non consente altra lettura. Del resto, questo è perfettamente coerente anche con la giurisprudenza nazionale e comunitaria, che cito in nota.
Attenzione ai travisamenti, che sono imperversati su questa materia. Agli ISP non viene richiesta alcuna verifica preventiva, nessun filtraggio, così come ribadiscono recenti sentenze. Gli ISP continuano a rimanere non editori, ma, una volta accertata, a seguito di un procedimento, una violazione delle norme in materia di tutela del diritto d'autore, ad essi può essere chiesto di non trasportare più quei contenuti. Una volta reso edotto dell'illiceità dei contenuti trasportati, la mancata rimozione ex post da parte del provider determina una responsabilità nella contraffazione dei diritti di proprietà intellettuale che, come tale, è sanzionabile. Laddove l'ordine di rimozione selettiva dei contenuti illegali non venisse rispettato, l'Autorità potrà irrogare sanzioni amministrative pecuniarie stabilite nel minimo edittale in 10.000 euro e nel massimo in 258.000 euro.
Passiamo al versante delicato dei siti esteri. Sorgono ovvie complicazioni quando i soggetti coinvolti nella fattispecie sono situati fuori del territorio nazionale. Questo è un problema che molte giurisdizioni si stanno ponendo. Negli Stati Uniti, ad esempio, le proposte PIPA e SOPA miravano a creare strumenti più incisivi per la lotta alla contraffazione, potenziando gli strumenti contro siti web, soprattutto esteri, che giungevano sino a prevedere ordini a fornitori di servizi a pagamento e di circuiti pubblicitari di interrompere i servizi nei confronti del sito segnalato e dei motori di ricerca, nonché ordini agli ISP di non riportare il sito nei risultati di ricerca e di applicare il blocco di IP e DNS. Misure radicali al cui confronto la proposta messa in consultazione dall'Agcom appare quasi sbiadita. Quello che ha portato a sospendere questo dibattito nel Congresso USA è stato fondamentalmente che tali misure drastiche, alla vigilia delle elezioni, toccavano anche Google.
Sul fronte dei siti esteri è stata particolarmente utile l'interlocuzione con la
Commissione, che ha chiarito che in questa materia deve trovare applicazione il principio del paese di destinazione e non del paese d'origine. Questo facilita molto il nostro compito: colpiamo dove possiamo colpire.
A questo punto è bene ribadire, per quanto superfluo, che il livello patologico della pirateria è quello che identifichiamo come primario obiettivo della nostra azione, focalizzandola sulle patologie più significative, rispetto alle violazioni episodiche. Abbiamo forze limitate e non possiamo andare a perseguire ogni minima infrazione. Procederemo con equilibrio.
La novità cui ho auspicabilmente collegato l'adozione del regolamento è, come ho detto al Senato, che veda la luce una norma di legge predisposta dalla Presidenza del Consiglio: una norma di interpretazione autentica che renda leggibile per tutti, e non solo per i giuristi, il combinato disposto delle norme che prima ho citato, sulle quali si fonda la nostra legittimazione ad intervenire.
Il combinato disposto, peraltro, non è un artifizio interpretativo, ma un canone base dell'interpretazione giuridica. Dice un vecchio e sempre valido brocardo che incivile est, nisi tota lege perspecta, una aliqua particula eius proposita, iudicare vel respondere.
Siamo, insomma, su un terreno solido, perfettamente in linea con gli obiettivi e gli strumenti individuati dalla Commissione europea. Il Parlamento avrà un importante ruolo nella ratifica in Italia del trattato multilaterale ACTA, già sottoscritto dal Governo. L'ACTA non si pone, peraltro, come obiettivo quello di modificare la normativa attualmente vigente negli Stati aderenti, ma nasce con lo scopo dichiarato di incentivare il coordinamento tra questi in relazione all'enforcement.
Sembrava imminente, a tal riguardo, una richiesta di parere alla Corte di Giustizia della Ue per la valutazione della compatibilità dell'accordo con i principi fondamentali dell'Unione in materia di libertà di informazione. Gli ultimi sviluppi lasciano però intendere che il Parlamento europeo voglia invece accelerare i tempi per un voto definitivo sul Trattato - la richiesta di parere avrebbe comportato infatti uno slittamento dei tempi per la decisione finale sino ai 18 mesi - ed è pertanto da attendersi il voto finale sull'adesione dell'Unione europea per giugno, come inizialmente previsto.
Il nostro compito, intanto, è quello di applicare le leggi vigenti con sensibile e dinamica attenzione alla realtà, effettiva e virtuale, del mondo in cui viviamo, che cambia in modo travolgente. Tenere il passo è difficile per il regolatore quasi quanto per il legislatore - malgrado noi possiamo procedere in quindici giorni - e non c'è modo più sicuro di perdere il contatto con la realtà in trasformazione che stare seduti aspettando Godot. Grazie.
PRESIDENTE. Bene, presidente. Prima di passare la parola ai colleghi, vorrei fare alcune considerazioni personali sulla vicenda. Non voglio entrare nel merito della proposta di legge che portava il mio nome, perché diventerebbe una questione autocelebrativa e questa è una Commissione d'inchiesta. Mi sento, però, di dissentire leggermente dalla sintesi che avete tratto della stessa. Secondo me siete stati anche voi un po' condizionati dalla disinformazione che ha imperato e che ha viaggiato dilagante, perché in realtà il meccanismo, comunque non prescindeva dalla scelta dell'autorità giudiziaria, anzi era un meccanismo completamente diverso.
In ogni caso, il Parlamento ha compiuto delle scelte nella propria autonomia, anche se tra loro un po' confliggenti, perché dopo l'approvazione iniziale all'unanimità, con tanto di parere favorevole da parte del Governo, siamo passati ad un voto contrario dell'Assemblea con il parere contrario del Governo nello spazio di qualche giorno, quindi, ritengo che la questione si commenti da sola.
Detto questo, però, penso che lei abbia giustamente preso atto della questione, quantomeno come di un tentativo da parte del Parlamento, nella sua potestà legislativa, di cercare di normare un ambito che, di fatto, non era stato normato nei tempi e nei modi che ci aspettavamo.
La prima domanda che le rivolgo, prima di dare la parola ai colleghi - lei potrà poi rispondermi nella sua replica finale - è legata alla tempistica del vostro regolamento, che ormai da oltre due anni ci attendiamo che veda la luce. Sappiamo che siamo giunti quasi in «zona Cesarini», per usare una metafora calcistica, perché l'Autorità si avvia verso la conclusione del proprio mandato, quindi, le chiedo se lei ritenga, o voi riteniate che (a prescindere dall'attesa per vedere se il Parlamento si attivi per sgomberare il campo in via definitiva da equivoci sul tema) ci sia una competenza specifica dell'Autorità in tal senso, per poi muoversi di conseguenza.
Conoscendo, infatti, i tempi del legislatore italiano, non so se questi ultimi coincideranno con il vostro mandato, o perlomeno con questo mandato (non voglio porre limiti per mandati futuri). Pertanto, secondo lei, nel corso del suo mandato, il regolamento vedrà la luce una volta per tutte, oppure no? Questa è una domanda secca, abbastanza confacente al tema della giornata.
In subordine, vorrei fare anche una considerazione di tipo personale. Faccio parte, insieme ai colleghi - questo tema è stato molto discusso, anche in questa Commissione - di quella corrente di pensiero secondo cui voi siete assolutamente legittimati a fare quello che state facendo, senza alcun dubbio in merito. In altre parole, non possiamo, tutte le volte, farci condizionare da quattro improvvisati che hanno messo in piedi qualche attività per «tirare a campare» - sia pure legittima, per carità - ma che non ha nulla a che vedere con l'attività istituzionale. Noi ci saremmo aspettati e ci aspettiamo ancora che voi facciate quanto è di vostra competenza, quindi, che produciate questo regolamento e che esso vada nella direzione che lei, di fatto, ha auspicato nella sua relazione. Mi sembra abbastanza evidente che, da questo punto di vista, le finalità siano condivise.
Lei ha citato prima il tema della libertà e dei confini di tale libertà, un tema assolutamente condiviso da una Commissione come la nostra che, di fatto, si occupa di tutela dei marchi e della possibilità di riconoscimento dei diritti che derivano dalla proprietà intellettuale (tutte cose che giustamente lei citava nella relazione stessa).
Stiamo giungendo rapidamente - perché il tempo è inclemente, da questo punto di vista - verso la fine del suo mandato: riusciremo, prima della fine del mandato, ad avere almeno una bozza di regolamento sul quale confrontarci e ragionare una volta per tutte, che non sia solo il frutto di indiscrezioni giornalistiche? Le consegno questa mia riflessione, che è anche una domanda. Do ora la parola all'onorevole Sanga.
GIOVANNI SANGA. Grazie, presidente. Mi associo alla domanda che ha posto il presidente Fava. Sarebbe importante capire se tutto il lavoro al quale lei ha fatto riferimento - che ha riportato anche nella relazione - riuscirà a trovare una sua conclusione, oppure se è un lavoro consegnato da parte vostra alla luce della scadenza, ormai vicina, del vostro mandato, un lavoro, quindi, senza una conclusione su questo punto, che secondo me, secondo noi, è molto delicato e molto complesso, come è emerso anche nei confronti avuti sul piano internazionale.
La difficoltà è proprio quella di operare una sintesi tra le esigenze della tutela della proprietà intellettuale e le esigenze di quello che ormai siamo soliti chiamare «popolo della rete», di cui facciamo un po' parte tutti noi, come utilizzatori.
Addirittura, questa rete è divenuta in alcuni momenti non soltanto uno strumento di scambio di natura commerciale, ma anche uno strumento che aiuta l'affermazione delle democrazie nel mondo (perlomeno, così è stata esaltata). Tutto questo rende quindi molto difficili e complesse le questioni, anche quella relativa ad eventuali interventi limitativi di alcune situazioni e alcuni processi.
Noi abbiamo però anche bisogno di capire che cosa avverrà, ad esempio, nel caso di accesso a siti pirata o a siti illegali; nel caso di accesso a portali che violano i diritti dei consumatori; nel caso di accesso
a portali e a situazioni come quelli che, ad esempio, abbiamo registrato nelle settimane scorse, quando certi prodotti farmaceutici hanno comportato rischi per la vita nei casi che la stampa ha ben riportato. Mi piacerebbe avere degli elementi per capire, con riferimento a tutto ciò, in quale direzione si sta andando. Grazie.
PRESIDENTE. A questo punto, prendo spunto dall'intervento del collega Sanga per integrare la mia domanda. Fermo restando il tema del fronte interno, che abbiamo affrontato finora, nei confronti dei soggetti terzi si è fatta, ai tempi, molta confusione. Si era confusa la mia proposta con il SOPA ma sono due cose completamente diverse tra loro, anche per le finalità, come lei ci ha ricordato. Ad esempio, come intendiamo comportarci sul tema delle piattaforme estere, al di là del regolamento, che ovviamente norma le attività all'interno del nostro territorio? In altre parole, vi è la possibilità di normare questo aspetto? Avete in mente delle modalità, avete già pensato a come ciò possa avvenire senza necessariamente «scimmiottare» esperienze che magari hanno anche incontrato delle difficoltà ad essere applicate in paesi che, da questo punto di vista, dovrebbero invece essere dei riferimenti certi, anche culturalmente parlando?
Va bene la regolamentazione della rete, però poiché sappiamo che molti degli abusi - lei lo ricordava correttamente prima - avvengono al di fuori del nostro territorio, come possiamo, anche in quel caso, proteggere i nostri consumatori e il nostro sistema da tali fenomeni che, di fatto, si reggono poi su un punto specifico - che faceva parte anche del ragionamento fatto da Lamar Smith, a suo tempo - per cui il tema è la pubblicità? Questi siti vivono con la pubblicità e gli americani hanno pensato che inibendo quel tipo di introiti si sarebbe, probabilmente, posto fine al fenomeno, cosa che, forse, non è nemmeno del tutto vera. In ogni caso, diciamo che loro hanno fatto un tentativo, mentre da noi ciò non è ancora avvenuto. Vi chiedo, pertanto, se in merito a questo fatto abbiate svolto delle riflessioni o se abbiate delle indicazioni da darci. Do la parola al vicepresidente, onorevole Vico.
LUDOVICO VICO. Presidente Calabrò, le farò una domanda su un tema che ha già toccato, che però penso sia legittima e corretta per le funzioni che ella svolge. Attendiamo, da una parte, i regolamenti e, dall'altra, il nuovo decreto sul diritto d'autore on line. Sui giornali abbiamo anche letto che ella, nella sua funzione di presidente dell'Autorità, avrebbe dichiarato che è competenza del Consiglio dei ministri e del Governo offrire questa bozza o questa decine di bozze. Il presidente Catricalà ha avuto modo di dire che c'è una proliferazione, all'uopo, di tante bozze, che circolano liberamente, come se fossero in rete. La mia domanda è semplice ed è rivolta a due atti che, a mio parere, ma anche della Commissione - già il presidente e l'onorevole Sanga lo hanno ribadito in questa circostanza - sono da lungo tempo attesi. La mia domanda è dunque se lei, oggi, in qualità di presidente dell'Autorità, di fronte a un reato di pirateria digitale, ritiene che il Garante possa disporre dei poteri di vigilanza per la risoluzione della controversia fino alla rimozione dei contenuti illegali. Penso che questa domanda sia legittima da parte del proponente (poi il legislatore, o chi per esso, farà la regolamentazione), soprattutto in questa Commissione, che ha indagato su questa parte della pirateria digitale nel suo più recente passato e ancora meglio farà nel prossimo futuro. È importante avere l'opinione dell'Autorità, poi il legislatore dovrà svolgere la sua funzione.
PRESIDENTE. Do la parola al presidente Calabrò per la sua replica.
CORRADO CALABRÒ, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Agcom. Vorrei dapprima fare qualche osservazione di contorno, per poi rispondere alla domanda centrale. Non solo in Italia ma in tutta Europa - e nella stessa Commissione europea - si prevede
questo intervento dell'autorità amministrativa: è così in Francia, Spagna, Olanda. Così è anche il nostro schema, mentre negli Stati Uniti, come in parte prevedeva la proposta del presidente Fava, il titolare del diritto che viene violato denuncia la violazione al provider e, se questo non ci sta, si va dal giudice. Come funziona, però, la magistratura negli Stati Uniti? Prendiamo il caso della contravvenzione più semplice. Se il soggetto contesta la contravvenzione, si va davanti al giudice, che ascolta l'agente di polizia, procede all'istruttoria, poi batte il martello e stabilisce una sanzione, magari di 100 dollari, seduta stante. La cosa si risolve, dunque, in quindici giorni.
In Italia, innanzitutto, moltissimi interventi non sembrano possibili dinanzi alla magistratura, che è oberata di lavoro; inoltre ci vorrebbero anni e anni. È per questo motivo, cioè per un intervento efficace e tempestivo, che si richiede l'intervento dell'autorità giudiziaria o amministrativa: non l'ho inventato io, c'è scritto nella direttiva, che quindi lo prevede pienamente.
Per le piattaforme estere c'è qualche difficoltà perché, per esempio, abbiamo assistito a casi di trasmissione di contenuti non solo violenti e pornografici, ma addirittura perversi. Quando abbiamo cercato di risalire alla loro origine - abbiamo, per la verità, una polizia delle comunicazioni efficiente - si è scoperto che essa era nel sud est asiatico: non abbiamo potuto fare niente.
In un altro caso, invece, dei contenuti meno sconvolgenti, ma pur sempre illegali, che configuravano dei reati, venivano dagli Stati Uniti: lo abbiamo segnalato e le autorità americane sono intervenute (un paese democratico, ma operativo) con lo stop di quel sito.
Che cosa fanno gli Stati Uniti? Inibiscono la pubblicità. Questa potrebbe non essere una misura risolutiva, perché i siti sono come le teste dell'Idra: ne spegni una e ne spunta un'altra, però, in pratica, si è visto che funziona. Noi non siamo su quella linea perché siamo in un sistema più garantista, in virtù dei principi fondanti non solo della nostra Costituzione, ma anche del Trattato europeo. Tuttavia, vogliamo fare qualcosa. Che cosa? Quello che vi ho esposto, che è veramente il minimo.
Per esempio, nel caso in cui venga trasmesso un contenuto illegittimo, possiamo certamente e sicuramente, onorevole Vico, ordinarne la rimozione. C'è poi un procedimento rapido davanti a noi e se questo contenuto non viene rimosso, c'è la nostra sanzione, che può arrivare fino a 250.000 euro, una cifra che, se moltiplicata per una, due, tre o quattro volte, può pesare: pesa nei confronti delle televisioni, che sono dei potentati, e dovrebbe dunque poter pesare anche nei confronti dei siti.
PRESIDENTE. Che sono però dei nuovi potentati! Lei ha citato prima Google...
CORRADO CALABRÒ, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Agcom. Certo, gli over the top, che tra l'altro hanno dei guadagni senza fare investimenti e sono i più potenti di tutti.
PRESIDENTE. Sa che questa confusione, per la quale sembrano tutti dei piccoli Robin Hood che portano gratuitamente informazioni in giro per il mondo, sta alla base - io credo - del problema di cui stiamo parlando? Una volta c'erano le televisioni dei potentati. Adesso ci sono ancora, ma non c'è dubbio che ci sono anche dei nuovi potentati: gli ISP.
CORRADO CALABRÒ, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Agcom. In linea di massima noi non oscuriamo il sito, a meno che non si tratti di un sito totalmente dedito alla pirateria, nel qual caso si può arrivare fino all'inibizione.
Suggerivo di aspettare di vedere il testo che già ha elaborato la Presidenza del Consiglio perché non è quello uscito sul giornale La Stampa - tanto per essere chiari - ma è diverso. Si è trattato di un'indiscrezione infondata, come è avvenuto anche per il testo nostro, che addirittura era sul sito ma, ciononostante, la
rete ne ha diffuso un altro, deformato, che è stato poi demonizzato e contro il quale si è scagliato il furore del popolo che vedeva lesa la libertà: non era quello il nostro testo, non lo è mai stato! Così è facile: deformare una cosa per poi far notare com'è deformata.
PRESIDENTE. È successo anche a me!
CORRADO CALABRÒ, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Agcom. Non ho dubbi sulla nostra legittimazione, né sulla legittimità del nostro intervento, ma sottolineo alcuni aspetti critici. Uno riguarda i rapporti tra la nostra pronuncia e l'autorità giudiziaria, non perché noi non abbiamo il potere di intervento amministrativo, ma perché permane il dubbio se debba farlo l'autorità giudiziaria amministrativa o quella ordinaria. Sono cose marginali, ma che faccio notare.
Mi si chiedeva se l'oscuramento dei siti sia possibile o meno. No, il nostro regolamento non lo prevede e credo non lo faccia nemmeno la versione ultima della Presidenza del Consiglio. Ci siamo anche consultati, senza esserne necessariamente vincolati, con la Commissione europea e il WIPO. Abbiamo, insomma, cercato di fare in modo che il regolamento vedesse la luce, non che venisse necessariamente approvato: ci basta un segnale, che ci dica che siamo sul binario giusto. Noi non abbiamo dubbi, ma dato che è stato tanto contestato, ci basta che il regolamento della Presidenza del Consiglio veda la luce. Quanto tempo attenderemo? Giustamente, è stato ricordato che siamo agli sgoccioli: tra un mese ce ne andiamo via. La mia propensione personale risulta chiaramente dalla mia esposizione qui e al Senato, ma quand'anche non ci fosse la mia propensione personale - diciamo che non c'è - quattro componenti del consiglio su otto mi hanno chiesto di mettere all'ordine del giorno l'approvazione del regolamento. Sono obbligato a far ciò quando lo chieda un terzo dei componenti: ora lo ha chiesto la metà! Aspetterò finché possibile ma, prima di andare via, metterò certamente all'ordine del giorno questo regolamento e lo adotteremo!
PRESIDENTE. Bene, presidente, per quanto mi riguarda questa è una buona risposta alla domanda che le avevo fatto. Visto che abbiamo ancora qualche minuto, le vorrei invece consegnare un'altra riflessione sul tema dell'autoregolamentazione degli ISP, pensando alla fase successiva.
Noi possiamo continuare a svolgere funzioni da Stato di polizia finché vogliamo ma, come sappiamo, molto spesso, le misure di repressione non sono mai completamente efficienti da questo punto di vista. Sappiamo bene che, a questo punto, servirebbe una maggior collaborazione da parte degli ISP. Lei sa che in molte occasioni sono state sollevate obiezioni circa la possibilità pratica e concreta di intervenire, da parte loro, stante la mole enorme di contenuti che quotidianamente vengono immessi in rete. Parlo soprattutto, in questo caso, dei cosiddetti social networks, che ricevono e ritrasmettono quotidianamente milioni e milioni di dati. Qui ci è stato detto che diventa tecnicamente difficile riuscire veramente ad intercettare quei contenuti, che possono portare con sé delle forme di violazione dei diritti dal punto di vista commerciale (...), perché noi di questo ci stiamo occupando. Lungi chiaramente dalla Commissione, da me in particolare, l'idea che si voglia andare a sindacare su questioni diverse. La libera circolazione delle idee deve essere sempre garantita. Noi ci stiamo però preoccupando che sugli stessi canali dove dovrebbero liberamente circolare le idee, possano liberamente circolare anche merci o contenuti che hanno un proprietario ben definito (che non è lo stesso che le mette in commercio) o che, come nella gran parte dei casi, siano di fatto opere frutto dell'ingegno ma che non vengono riconosciute in quanto tali.
Fino a quando non metteremo in discussione il tema del diritto d'autore una volta per tutte, resta un principio fondante il fatto che questo debba essere tutelato, non solo dalle forze dell'ordine ma da tutte le istituzioni. In questi mesi, insieme
ai colleghi, ci siamo domandati se gli operatori riuscirebbero, tecnicamente, ad intervenire. Devo dire che, da parte dei providers, la risposta è sempre stata negativa; ci è sempre stato detto, cioè, che non sono in grado di farlo, o perché è troppo costoso (questa, però, è una risposta che mi soddisfa fino a un certo punto), o perché è tecnicamente molto difficile riuscire ad avere delle fonti o delle parole chiave che possano inibire direttamente i contenuti considerati illeciti.
In queste settimane è balzato all'onore delle cronache un caso minore, che ovviamente non ha occupato le prime pagine, ma che è emblematico da questo punto di vista. Parlo di quel signore italiano che si è visto inibire il sito di Facebook dopo avere pubblicato una foto del proprio bambino piccolo nudo in spiaggia, al mare: tale sito è stato oscurato automaticamente perché dagli indicatori di Facebook il contenuto era considerato pedopornografico. Chiaramente, quello non era l'obiettivo del papà, che aveva semplicemente diffuso la foto della sua famigliola. Ciò però vuol dire che, tecnicamente, esistono dei meccanismi e delle modalità che danno queste garanzie, quindi, penso - questa è una mia riflessione - che sia più una questione di volontà.
Mi chiedo, allora: se c'è la possibilità tecnica - come mi pare evidente ci sia - ma manca la volontà, lei ritiene possibile da parte vostra - ovviamente, questo non rientra specificatamente nelle vostre competenze - promuovere magari una serie di incontri con gli over the top - come lei li ha definiti - in modo che, partendo da lì, si possa insieme costruire un percorso di autoregolamentazione? Lei crede che su determinati temi questo possa essere uno strumento efficace, oppure è una soluzione che lascia il tempo che trova? Ritiene che sia possibile ipotizzare un percorso di condivisione con questi soggetti intorno ad un processo di autoregolamentazione condivisa, che possa servire a noi, come soggetti istituzionali, per avere degli interlocutori che si sono presi degli impegni, e a loro, evidentemente, per metterci a disposizione le loro possibilità e capacità, nella misura in cui questo sia tecnicamente fattibile?
CORRADO CALABRÒ, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - Agcom. Una difficoltà per la contraffazione commerciale diventa una difficoltà anche maggiore per quanto riguarda il diritto d'autore: anche se gli accessi a un social network non fossero centinaia di migliaia ma solo qualche decina, la difficoltà ci sarebbe lo stesso, perché è difficile sapere se la tal opera è plagiata o se riporta, tale e quale, un testo coperto da copyright.
In generale, noi non prevediamo una responsabilità preventiva degli ISP, che non sono tenuti a un filtraggio preventivo (anche se ora le dirò cosa fanno in concreto). Tuttavia, una volta che ci sia una segnalazione da parte di qualcuno, l'ISP deve valutare il caso: se vuole, lo risolve direttamente, rimuovendo il contenuto, altrimenti, si ha un procedimento dinanzi a noi in cui entrambe le parti possono far valere le proprie ragioni, sia il titolare del diritto, sia l'ISP che eventualmente dicesse che poteva trasmettere quel contenuto. In seguito a ciò, se noi diamo un ordine, questo deve essere eseguito.
Come rilevava il presidente, effettivamente, gli ISP si sono già autoimposti alcune regole, che non coprono però il nostro problema. Rispetto alla pedopornografia, per esempio, intervengono già automaticamente, magari anche sbagliando (come in tutte le cose massive si sbaglia): non accettano, per esempio, fotografie di bambini, perché in tanti casi è successo che poi arrivava la polizia delle comunicazioni, l'autorità giudiziaria penale e via dicendo; vi sono anche delle parole chiave che vietano certi ingressi, un'altra cosa che hanno fatto spontaneamente. Noi intendiamo valorizzare questa propensione e il nostro regolamento favorisce l'adozione di codici di condotta che gli ISP si autoimpongono.
Per il resto, come dicevo, un filtraggio preventivo non è possibile, perché ciò bloccherebbe i siti, essendo anche vietato
in seguito alla sentenza Sabam, che cito anche in una mia nota, secondo cui in campo europeo non si può imporre preventivamente il filtraggio. Non c'è, quindi, alcun filtraggio preventivo generalizzato. A seguito di segnalazione del titolare del diritto, se il contenuto viene tolto, bene, altrimenti si viene dinanzi a noi per un procedimento breve, in seguito al quale l'Autorità decide se questo vada tolto o meno. C'è quindi un ordine, al quale il soggetto deve sottostare, altrimenti esso viene sanzionato, sempre fatta salva la facoltà di ricorrere all'autorità giudiziaria, sia dall'una sia dall'altra parte. Favoriamo, inoltre, l'adozione dei codici di autocondotta, che già gli ISP si sono autoimposti, posto che hanno loro stessi questa propensione. Forniremo loro anche tutto il supporto tecnico, informativo e statistico che abbiamo.
PRESIDENTE. Bene, per quanto mi riguarda sono molto soddisfatto delle risposte. Ringrazio il presidente e i suoi collaboratori per la disponibilità e puntualità con la quale ha voluto argomentare le questioni che erano di interesse della Commissione. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9,30.
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