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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Unione industriale pratese e di R.E.T.E. Imprese Italia Prato.
Sono presenti il dottor Giovanni Moschini, vicedirettore dell'Unione industriale pratese e, in rappresentanza di R.E.T.E. Imprese Italia Prato il dottor Marco Pieragnoli, responsabile dell'area sviluppo economico e categorie di Confartigianato Imprese Prato, nonché coordinatore della Federazione moda regionale, accompagnato dal signor Claudio Bettazzi, vicepresidente del CNA di Prato.
L'audizione odierna prosegue il ciclo di approfondimenti che la Commissione sta svolgendo in merito ai fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale nel settore della moda e del tessile. L'audizione segue quelle svolte a Prato, alle quali i signori oggi presenti erano stati invitati a prendere parte, ma che per ragioni organizzative e operative indipendenti dalla volontà della Commissione non si sono potute svolgere in quella sede. Ho già avuto modo di scusarmi con loro posto che nessuno aveva inteso annullare l'incontro con voi: si è trattato solo di un difetto di comunicazione.
A questo punto darei la parola agli auditi per la loro relazione introduttiva, cui seguirà un giro di domande da parte dei colleghi che intenderanno intervenire; infine, darò nuovamente la parola ai nostri ospiti per una replica conclusiva. Ricordo che alle 16 iniziano i lavori in Assemblea, dunque dovremmo concludere per quell'ora. Do subito la parola al dottor Moschini.
GIOVANNI MOSCHINI, vicedirettore dell'Unione industriale pratese. Signor presidente, innanzitutto ringrazio la Commissione per averci dato la possibilità di questa audizione. In primo luogo, ci preme presentare il nostro distretto, perché in questo contesto svilupperemo gli argomenti del nostro intervento. Quello pratese è un distretto a vocazione tessile - meccanotessile - che, recentemente, si sta orientando anche sul settore abbigliamento e moda. Si compone della provincia di Prato e di alcuni comuni limitrofi nelle province di Firenze e Pistoia. Vi fornisco qualche dato.
La sola provincia di Prato conta un totale di 250.000 abitanti; con i suoi 188.000 abitanti, il comune di Prato rappresenta la terza città dell'Italia centrale, dopo Roma e Firenze. Sono 29.000 le aziende attive iscritte alla Camera di commercio al termine del 2011, di cui quasi 11.000 nell'artigianato e oltre 6.000 nel commercio.
Le imprese si aggirano intorno alle 7.500 unità, di cui il 40 per cento industriali e il 60 per cento artigiane, producendo un fatturato per il settore tessile di circa 3 miliardi di euro. Unitamente al fatturato di maglieria e abbigliamento, che si stima intorno a 1,3 miliardi di euro, raggiungono un fatturato totale di 4,3 miliardi di euro, il 50 per cento destinato all'export. Gli addetti al solo settore tessile sono circa 18.700, di cui 14.500 dipendenti e i restanti imprenditori e lavoratori autonomi. Se consideriamo anche il settore abbigliamento - sebbene, come vedremo meglio, si registri un'aleatorietà legata alla presenza di imprese cinesi con elevati livelli di sommerso - si arriva a circa 29.000 dipendenti. Come accennato in precedenza, il tema della contraffazione, così come della pirateria e del contrabbando sta acquistando una crescente rilevanza negli ultimi anni. Vi sono pesanti conseguenze, dirette e indirette, per un sistema industriale come il nostro, che basa la propria capacità competitiva soprattutto sulla qualità della produzione. È evidente che il progressivo affermarsi sulla scena del commercio internazionale di operatori di paesi emergenti, competitivi quanto ai costi di produzione ed estremamente aggressivi nei comportamenti di mercato, mette a dura prova la capacità delle imprese manifatturiere nazionali - ma anche europee - di stare sul mercato. Di qui l'esigenza di una maggiore tutela del made in Italy, sia dal punto di vista dei processi, sia dell'etichettatura dei prodotti, unitamente ad una maggiore reciprocità nell'accesso ai mercati. In un momento di crisi economica generalizzata come quella attuale, è evidente che il danno causato dai prodotti contraffatti assume contorni ancora più preoccupanti per le nostre imprese. Gli effetti negativi si ripercuotono, peraltro, non solo sul settore industriale e sui consumatori ma, più in generale, sul sistema economico, provocando perdita di posti di lavoro, fuga degli investimenti esteri e vanificazione degli sforzi compiuti in termini di innovazione e ricerca.
Bisogna premettere che le stime sull'entità del fenomeno sono complesse, induttive e sovente approssimate per difetto; altrettanto difficili da valutare sono i danni, anche indiretti, della contraffazione, ma si tratta di cifre comunque rilevanti. Probabilmente, conoscete già questi dati ma ci sembrava importante elencarli. Secondo le stime fornite dal Wto (World Trade Organization), i beni contraffatti ammontano all'8 per cento del commercio mondiale, mentre nel 2009 l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) quantificava in 250 miliardi di dollari il giro d'affari della contraffazione a livello globale.
Stime effettuate da Confindustria in un recente rapporto evidenziano come, solo in Italia, il falso valga tra i 3,5 e i 7 miliardi di euro nel 2010, senza contare la quota di merci contraffatte che partono dal nostro paese. Sempre lo stesso rapporto evidenzia che in Italia, nel 2009, l'Agenzia delle dogane ha sequestrato oltre dodici milioni di prodotti, costituiti soprattutto da articoli di abbigliamento, tabacchi e merci del settore audiovisivo. Nello stesso anno, la Guardia di finanza ha requisito un totale di più di 112 milioni di pezzi, di cui oltre 69 milioni per contraffazione, più di 13 milioni per la tutela del made in Italy e circa 30 milioni per la violazione di norme sulla sicurezza dei prodotti.
Stime del Censis relative al 2009 rilevano inoltre che la sconfitta della contraffazione garantirebbe circa 130.000 unità di lavoro aggiuntive, mentre se si riportasse sul mercato legale il valore della contraffazione stimato in Italia - 7 miliardi di euro - si genererebbe una produzione aggiuntiva, diretta e indotta, per un valore di quasi 18 miliardi di euro e un valore aggiunto complessivo di circa 6 miliardi di euro. Da ciò emerge chiaramente la situazione attuale della contraffazione e degli altri reati ad essa correlati, che denota una crescita e un'espansione continua del problema, che si caratterizza sempre più come un fenomeno grave e capillare. La contraffazione interessa una gamma sempre più vasta di prodotti e investe praticamente
tutti i comparti industriali, ma il settore tessile e abbigliamento, unitamente alla pelletteria, è tra quelli maggiormente colpiti.
Sul territorio pratese, il fenomeno è particolarmente critico: gli articoli di stampa allegati evidenziano come, nel corso degli ultimi anni, le operazioni condotte dalla Guardia di finanza abbiano messo in luce la rilevanza del fenomeno e la sua connotazione trasversale (non solo abiti, ma anche borse, accessori e semilavorati come i tessuti). In questi anni, Prato si è trovata ad affrontare una doppia crisi: a quella generale che ha investito tutto il mondo, infatti, si è sovrapposto l'acuirsi delle difficoltà specifiche del settore tessile. Con il distretto tessile in affanno, risalta con maggiore evidenza la prosperità crescente dell'altro distretto, quello cinese delle confezioni. Le imprese cinesi sono aumentate di numero e in termini di forza economica, considerata anche l'incredibile mole delle rimesse finanziarie verso la Cina, attraverso i money transfer, che si attestano intorno a circa 500 milioni di euro annui.
Per quanto riguarda l'abbigliamento, le stime sulla dimensione del fenomeno cinese nel distretto parlano di circa 3.400 aziende, 40.000 addetti, fra regolari e clandestini, e un giro d'affari di 2 miliardi, per la metà presumibilmente sommerso. Si tratta di una produzione di circa un milione di capi al giorno che, per effetto della normativa attuale in materia di etichettatura di origine - la quale attribuisce alla cucitura e all'assemblaggio del capo la lavorazione sostanziale sufficiente per l'attribuzione dell'origine - risultano made in Italy a tutti gli effetti. In realtà, sono stati riscontrati anche casi di etichette «made in Italy» apposte in sostituzione di quelle «made in China» o inserite, ex novo, su capi importati tal quali dalla Cina e poi commercializzati in Europa sfruttando il brand nazionale. Sommerso e illegalità sono dunque elementi basilari per spiegare questa eccezionale performance delle imprese confezioniste a titolarità cinese nella commercializzazione di abiti low cost. I controlli delle autorità preposte hanno evidenziato evasione fiscale di imposte, di tasse nazionali e locali, lavoro nero o part-time - nei fatti, riscontrato oltre le previsioni contrattuali in termini di orario -, sfruttamento di manodopera clandestina e assenza pressoché totale del rispetto delle normative in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, a cui si associa una vita media delle aziende di circa diciotto mesi.
A questo quadro si associa il fatto che gli abiti confezionati dalle imprese a titolarità cinese utilizzano una mole enorme di tessuti importati dalla Cina. I dati Istat mostrano che oltre un quarto dei tessuti importati in Italia da questo paese sono assorbiti dal distretto pratese. Da sottolineare è il dato relativo alla produzione di abbigliamento primaverile estivo: si stima che circa il 90 per cento dei tessuti necessari alla realizzazione dei capi sia importato dalla Cina, dunque non è acquistato né in Italia, né in Europa. I prezzi medi al chilo di questi tessuti importati a Prato sono inferiori di circa il 15 per cento rispetto alla media nazionale, sempre di importazione.
GABRIELE CIMADORO. Il 90 per cento è importato legalmente?
GIOVANNI MOSCHINI, vicedirettore dell'Unione industriale pratese. Dipende. Come vedremo dopo, in parte legalmente, in parte illegalmente. Come dicevo, i prezzi medi al chilo di questi tessuti importati a Prato sono di circa il 15 per cento inferiori alla media nazionale e si attestano, per quanto concerne gli articoli estivi - vale a dire quelli realizzati con i materiali più leggeri, sostanzialmente a base di fibre cotoniere - circa a 60 centesimi di euro al metro. Questo dato rappresenta circa un decimo di quanto costerebbe produrre lo stesso tessuto in Italia. Sempre in termini di import, si evidenzia una cospicua dimensione del contrabbando. Sono frequenti le pratiche illegali basate sul cambio di unità di misura dei tessuti all'interno dei vari documenti presentati in dogana: su una bolletta risultano presentati in chili e su altri
documenti in metri, il che rende difficile individuare qual è la reale misura ed entità della partita importata. Questo espediente consente l'evasione dell'Iva e di altri diritti doganali. Vi è poi un altro fenomeno che però vi illustrerà meglio il collega di R.E.T.E. Imprese Italia. Io passerei a trattare il discorso dell'export dove, osservando l'analisi dei dati a partire dal 2005 in poi, la quota di Prato per i capi d'abbigliamento donna sul dato nazionale di export manifesta un'esplosione nei flussi diretti verso i mercati esteri, correlata ad una crescita in proporzione modesta dei valori. In particolare, nel 2005 la quota export di Prato sul dato export nazionale di tailleur, vestiti, gonne, giacche, pantaloni per donna non a maglia - cito una categoria specifica della nomenclatura combinata che serve a verificare anche gli aspetti di dazi e contingenti - ammontava al 2,3 per cento in valori e al 4,7 per cento in quantità. Dopo cinque anni, nel 2010, la quota cresce al 5,2 per cento in valori, ma arriva al 16,3 per cento in quantità. Un analogo confronto è stato condotto su bluse e camicette per donna non a maglia (codice 6.206 della nomenclatura combinata), dove si riscontra una quota export dell'1,7 per cento in valori e 3,2 per cento in quantità nel 2005, che nel 2010 arriva al 6,9 per cento in valori e, addirittura, al 21,7 in quantità. Si tratta di dati ufficiali Istat elaborati dal centro studi della nostra associazione. Sono dati impressionanti, che confermano la tendenza delle aziende cinesi del distretto pratese ad agire progressivamente come una piattaforma produttiva low cost per il mercato europeo.
Alla luce di quanto appena descritto si può quindi affermare che, nei fatti, non c'è osmosi tra la confezione cinese e la produzione di tessuto pratese. Il tessuto pratese è fuori dalla fascia di prezzo che consente la realizzazione del capo low cost e questo rende problematico pensare che la presenza cinese possa rappresentare, in prospettiva, un'opportunità di sviluppo. Anche politiche di allungamento della filiera risultano complesse da attuare, considerato il livello di illegalità e irregolarità che contraddistingue queste realtà. Per questo motivo, si utilizza l'espressione «distretto parallelo», ovviamente in termini di rapporti commerciali. In realtà, il distretto parallelo utilizza appieno tutti i vantaggi del territorio in termini infrastrutturali, compresi quelli logistici. A Prato abbiamo un sistema di depurazione centralizzata e un acquedotto industriale, ai quali sono ovviamente collegate anche le imprese cinesi. Un esempio così massiccio di illegalità diffusa ma concentrata su un territorio sostanzialmente limitato rischia, in momenti delicati come questo, di stimolare comportamenti emulativi nelle imprese sane. Pertanto, è importante che, oltre ad azioni di contrasto, siano attivate e rafforzate a livello nazionale e locale iniziative di comunicazione che sviluppino una vera e propria cultura della legalità e del consumo consapevole.
A questo scopo, desideriamo inoltre segnalare un'ultima problematica di rilevanza attuale e prospettica sempre legata ai rapporti con la Cina, cioè con la Repubblica popolare cinese. Si tratta della problematica legata alle normative sui parametri tossicologici dei prodotti tessili, che evidenzia un paradosso altamente penalizzante per le nostre imprese.
La Cina e l'Unione europea adottano discipline sull'uso di prodotti chimici nella produzione tessile: sussiste però un'asimmetria per la quale gli standards europei, ai sensi del regolamento REACH (Registration, Evaluation and Authorization of Chemicals), di fatto, risultano meno stringenti di quelli adottati in Cina (normativa GB 18401, che prevede un codice sulla sicurezza dei prodotti tessili) per quanto riguarda l'ingresso dei prodotti tessili e abbigliamento sui rispettivi territori: paradossalmente, in Cina vigono parametri più stringenti che in Europa!
L'Unione europea pone seri vincoli normativi sulla produzione locale, sia che questa venga esportata, sia che venga collocata nel mercato interno. La Cina, invece, adotta normative più rigorose solo per i flussi di importazioni che arrivano sul proprio territorio e sono commercializzati nella propria rete di vendita, mentre lascia ampia libertà sulle produzioni
destinate a mercati terzi: per quelle non vige alcuna normativa. La rigidità delle norme sull'import e il comportamento esasperante delle dogane cinesi, che esigono numerose analisi prima di autorizzare lo sdoganamento, rappresentano una barriera non tariffaria. Occorre, dunque, un impegno forte di pressione da parte delle istituzioni italiane sull'Unione europea affinché si possa attenuare questo squilibrio e si recuperino condizioni di reciprocità negli scambi con la Cina, quanto meno introducendo i medesimi standards alle importazioni in materia ecotossicologica anche nel mercato europeo.
Sempre in quest'ottica, appare decisiva l'introduzione dell'obbligatorietà dell'etichettatura di origine sui capi importati nell'Unione europea - si consideri che quest'obbligo esiste già per il mercato cinese - come il primo passo verso l'introduzione di una forma di rintracciabilità dei prodotti che rappresenterebbe un contributo importante al contrasto delle pratiche illegali sopra descritte. Vi ringrazio dell'attenzione.
PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Marco Pieragnoli, oggi qui in rappresentanza di R.E.T.E. Imprese Italia.
MARCO PIERAGNOLI, responsabile dell'area sviluppo economico e categorie di Confartigianato Imprese Prato. Buonasera, sono Marco Pieragnoli, responsabile regionale della Federazione moda Confartigianato e rappresento R.E.T.E. Imprese Italia di Prato, insieme a Claudio Bettazzi, vicepresidente di CNA. Fondamentalmente, vorrei proporre due temi. Il primo è il tema della sottofatturazione. Non so quanti di voi conoscono questo fenomeno legato al contrabbando e al dumping internazionale, ossia all'importazione nell'Unione europea e in Italia, di prodotti il cui valore viene dichiarato, se non inferiore, per lo meno uguale al valore della materia prima impiegata, senza tenere conto alcuno di tutte le fasi di trasformazione del prodotto stesso. Questo consente di evadere l'Iva all'importazione in misura notevole, nonché di nascondere parte di quei prodotti rispetto alla vera mole di quelli importati direttamente da paesi come la Cina o il Sud-est asiatico, anche perché con questo meccanismo si fanno spesso delle triangolazioni.
Intendo sottolineare che questo fenomeno è difficilmente controllabile, intanto perché è complesso stare al passo con il valore delle materie prime. Fermo restando che le categorie economiche, come anche chi vi parla, hanno collaborato con l'Agenzia delle dogane e il dottor Peleggi per il monitoraggio di taluni prodotti importati in Italia, è comunque complicatissimo stare al passo con questi fenomeni perché, non appena si pone l'occhio su determinati prodotti, ne scappano dieci da altre parti. Emerge, quindi, la necessità di rafforzare la rete europea delle dogane e anche la rete italiana - peraltro perennemente sotto organico - anche grazie alla messa a punto di uno strumento, magari informatico, per controllare le importazioni. Le categorie economiche qui presenti sono disponibili a rendere standardizzabile questo tipo di metodologia, però dobbiamo farlo insieme, perché da soli non ci riusciamo. A questo proposito, dobbiamo stringere i rapporti tra istituzioni e categorie economiche, mettendo a punto una metodologia grazie alla quale tutte le volte che un prodotto sospetto entra in Italia, scatti l'alert per l'Agenzia delle dogane.
La mia seconda riflessione, cui ha già accennato il collega Moschini, riguarda la questione ecotossicologica. Purtroppo, i prodotti che arrivano non sempre sono in linea con le nostre normative in termini igienico-sanitari, pertanto, è necessario trovare dei sistemi di reciprocità - purché stringenti - che impediscano l'ingresso, in Italia o in Europa, di prodotti che possono provocare malattie, soprattutto dermatiti. Magari, si potrebbe ricorrere - sicuramente avrete già affrontato la questione con l'Associazione tessile e salute - a certificati igienico-sanitari o a qualcosa del genere. La mia non vuole essere una proposta perentoria ma semplicemente uno spunto di riflessione. È necessario fare qualcosa poiché l'aumento delle dermatiti
da contatto inizia ad essere preoccupante. Non ho altro da aggiungere. Rimango a disposizione della Commissione per eventuali approfondimenti. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ANNA TERESA FORMISANO. Signor presidente, mi scuso per aver chiesto la parola per prima ma dovrò allontanarmi per partecipare ad un'altra riunione già programmata da tempo. Confermo, da parte mia, come componente di questa Commissione e della Commissione attività produttive, la totale disponibilità - credo che faranno altrettanto tutti i colleghi - a ragionare in prospettiva su ciò che noi, come legislatori, possiamo fare per darvi una mano. Come ha detto il presidente, purtroppo a Prato non ci siamo visti ma avevamo tempi strettissimi. Comunque sia, abbiamo fatto molto volentieri quella missione a Firenze e Prato, la quale ci ha dato una percezione diretta del fenomeno (al quale avevamo avuto modo di avvicinarci in occasione dell'audizione, qui a Roma, di tutti gli attori preposti al monitoraggio e impegnati nel cercare di eliminare le incresciose situazioni che si verificano).
Esprimo il mio impegno a continuare a occuparci di questo fenomeno in maniera determinata rispetto alle normative che metteremo in campo - o che proporremo di mettere in campo - per venire incontro agli evidenti bisogni che abbiamo certificato. Vi chiedo ancora scusa ma, purtroppo, non posso trattenermi oltre perché questa mattina sono chiamata anche in altre Commissioni e riunioni riguardanti i decreti che dobbiamo attuare. Da parte mia, dunque, ribadisco la massima disponibilità. Grazie.
RAFFAELLO VIGNALI. Innanzitutto, vi ringrazio per le informazioni che ci avete dato. Vorrei esprimere alcune riflessioni e avanzare una proposta al presidente. Riguardo alla questione della sottofatturazione, conosciamo il fenomeno, anche perché l'Agenzia delle dogane ce lo ha illustrato abbondantemente. Peraltro, devo dire che questo è uno dei settori in cui la nostra Agenzia delle dogane lavora con particolare assiduità: essendo un'agenzia sostanzialmente fiscale, quando c'è evasione di Iva si muove. Mi esprimerei, invece, diversamente per quanto riguarda i quantitativi delle merci sequestrate dall'Agenzia delle dogane. Dai dati che ci hanno fornito mi sembra - è una mia considerazione personale - che per il 70 per cento essa lavori più per le imprese straniere che per quelle italiane: se il primo marchio sequestrato è «Nike» e il secondo è «Unilever» significa che, forse, ci sarebbe qualcosa in più da fare per la tutela delle nostre imprese. La questione dell'aspetto sanitario, secondo me, è un tema assolutamente rilevante e, a questo riguardo, vorrei chiedere un parere. Dal punto di vista delle dogane abbiamo regolamenti europei. Peraltro, a questo proposito ho qualche osservazione da fare, come feci già a suo tempo al direttore dell'Agenzia delle dogane. Ad esempio, il Trattato di Schengen stabilisce che alle frontiere dello spazio Schengen non si possono fare controlli invasivi ma, tra questo assunto e il togliere le dogane, secondo me, c'è una via di mezzo che si potrebbe percorrere. Peraltro, in dogana non riusciamo a fare controlli di tipo sanitario perché in tre giorni è difficile prendere un capo di abbigliamento - penso al vostro caso -, portarlo in laboratorio e farlo esaminare. La tutela della salute, però, è una competenza nazionale e se prendiamo le merci a destinazione possiamo tenerle quanto vogliamo. Su questo lavorerei molto perché penso che il vero contrasto alla contraffazione lo si faccia in campo sanitario, anche in altri settori: alimentare, tessile, calzaturiero, rubinetteria e via dicendo. Su questo, l'Europa non può dire nulla perché è una nostra competenza.
Approfitto per avanzare una proposta: a mio avviso, sarebbe opportuno invitare in questa Commissione il comandante dei Nas. Se, oltre al lavoro dell'Agenzia delle dogane, che però interviene soprattutto sul
lato fiscale, il più efficace strumento di contrasto possiamo applicarlo sul versante sanitario, forse potremmo ascoltare il comandante dei Nas, anche per sostenerlo in un impegno un po' più intenso su questo fronte.
PRESIDENTE. Onorevole Vignali, forse le è sfuggito ma, soprattutto sul versante del tessile, abbiamo già tenuto una serie di audizioni, compresa quella con l'Associazione tessile e salute, che si sta adoperando per portare avanti una serie di protocolli - in questo momento, si tratta di protocolli regionali - per mezzo dei quali si sta valutando la possibilità di intervenire su questo fronte. Senza meno, si potrebbe prevedere anche un'audizione dei Nas - le rispondo subito vista la sollecitazione alla presidenza della Commissione - e nulla vieta di muoverci in questa direzione, ma le dimensioni della problematica sono, purtroppo, molto più grandi rispetto alla tematica della salute. L'aspetto sanitario è un segmento importante ma non esaustivo della tematica. Peraltro, i dati che ci sono stati forniti, soprattutto riguardo a Prato, evidenziano questioni in cui il tema della qualità del prodotto è quasi irrilevante, nel senso che i prodotti, a volte, sono di buona qualità, ma ciò non toglie che siano contraffatti. Do ora la parola al collega, il vicepresidente Vico.
LUDOVICO VICO. Saluto e do il benvenuto ai nostri ospiti. Dottor Moschini, nella sua relazione lei ha fatto un'asserzione - secondo la mia opinione - molto importante: «Il dato è impressionante e conferma la tendenza delle aziende cinesi nel distretto pratese ad agire progressivamente come piattaforme produttive low cost per il mercato europeo». Partirò da questa affermazione - ognuno di noi segue segmenti diversi di lettura del fenomeno - perché quella pratese, probabilmente, dal punto di vista plastico, è l'esperienza più avanzata di un fenomeno già superato, che noi continuano a chiamare «contraffazione». In verità, siamo dentro un percorso parallelo di mercato illegale. La vicenda di Prato è testimonianza di una «convivenza», se si può usare questo termine. Parto, dunque, da questa sua affermazione per dire che in Commissione abbiamo compreso abbastanza bene i processi di sottofatturazione e di sovrafatturazione, che sono abbastanza complicati - come voi sapete sicuramente molto meglio di me - per il profilo delle indagini che l'intelligence ha avviato.
La mia personale convinzione è che siano troppi gli organismi - Agenzia delle dogane, Guardia di finanza, Direzione nazionale antimafia, Carabinieri, Polizia di Stato - che si occupano della stessa materia e sarebbe opportuna una semplificazione. Noi stessi, abbiamo audito una pletora di soggetti: il presidente e la Commissione ne sono testimoni. Questo elemento di monitoraggio è in corso d'opera ed è interessante. Mi permetta, poi, di riprendere una dichiarazione del dottor Peleggi per la quale, in fondo, se in un porto non si sequestrano container, il problema è dei doganieri. Tuttavia, non è questo che ci interessa: ci interessa, invece, sapere se la struttura è disposta ad operare in tal senso e lo è. Nonostante questo, il fenomeno, con sottofatturazione o sovrafatturazione - che equivale ad evadere l'Iva - in qualche modo è presente. Lei afferma inoltre: «Alla luce di quanto sopra, si può quindi affermare come non ci sia, nei fatti, osmosi tra confezione cinese e produzione di tessuto pratese», ovvero l'uno non vale l'altro, stando a quello che ha detto. Questo conferma alcune delle intuizioni che avevamo avuto. Inoltre, per avere un punto di vista indigeno della specificità della questione, è tra noi l'onorevole Lulli, che ci aiuterà nella comprensione. Nelle proposte conclusive probabilmente non c'è la compiutezza di un quadro relativo a come affrontare il problema nazionale, Prato compresa. Per ciò che riguarda la materia tossicologica, una proposta di legge del PD è bloccata in Parlamento.
Quando si parla di obbligatorietà dell'etichettatura di origine sui capi importati nell'Unione europea, vorrei ricordare che è in corso una battaglia che fa il conto con
il Codice delle dogane: finora si è aggirato l'ostacolo, rendendola materia ecotossicologica. Aggirare l'ostacolo non ci consente di rendere il quadro del lavoro della Commissione. Serve dunque qualcos'altro e io mi permetto, sulla scorta delle audizioni che abbiamo fatto e della relazione finale che comporremo, di chiedervi di dirci qualcosa che ci metta nella condizione di prevedere cosa sta per accadere o cosa è accaduto nel resto del paese: diteci qualcosa, con le associazioni in loco e con le associazioni nazionali, sapendo che la Commissione ha fatto un lavoro che può consentire di perseguire questa linea di coordinamento e di sinergia, non solo per chi deve reprimere ma soprattutto per l'economia nazionale.
GIOVANNI SANGA. La ringrazio per l'intervento, che considero importante, perché si tratta di una realtà particolarmente significativa, che fa notizia da anni e che riguarda un fenomeno che si è determinato in modo molto visibile e molto radicato. Visto che la situazione non è nuova, anzi è ormai datata rispetto ad alcune realtà e ad alcuni fenomeni, mi interessa capire, richiamandomi a quanto appena detto dall'onorevole Vico, quali sono stati i punti - se ce ne sono stati - che in questi anni hanno consentito di determinare un cambiamento, quali i segni di innovazione, quali i comportamenti e le situazioni nuove rispetto al passato. Partendo da questi segni di cambiamento e d'innovazione si potrebbe avviare un'iniziativa non soltanto ulteriormente migliorativa della realtà pratese, ma estendibile anche in larga misura sul resto del territorio nazionale.
GABRIELE CIMADORO. Abbiamo, ormai, tutti i dati, dati che voi ci confermate. Non siamo venuti a Prato per caso: Prato è l'epicentro di un sistema che si è diffuso - e che continua a diffondersi - non solo in Italia, ma anche in tutta Europa. Noi possiamo fare poco se l'Europa non ci dà una mano, ne sono convinto. Penso anche che il paese più coinvolto in questa vicenda sia proprio l'Italia: siamo noi che produciamo il made in. Il made in delle altre nazioni in Europa - al di là di qualcosa che viene dalla Francia - non può competere con il made in Italy o, in seconda battuta, con il made in France. Pertanto, penso che lo sforzo maggiore che dovremmo fare sia quello di coinvolgere l'Unione europea, ad esempio in merito alle dogane, il cui apporto sicuramente va incentivato, anche in termini di numero dei controlli. Oltre alla sottofatturazione, infatti, probabilmente ci sarà anche la sottomisurazione di tanti prodotti. Questi sono i dati che siamo riusciti a mettere insieme ma se avessimo il complesso dei dati, compresi quelli che non riusciamo a fare emergere o a controllare, probabilmente, i dati sarebbero esplosivi.
In una delle audizioni tenute a Prato - forse con il prefetto, ma non ricordo bene - si era parlato, forse a mo' di provocazione - ma una provocazione condivisa anche dalle istituzioni - di un'iniziativa «speciale» per Prato. L'onorevole Vico chiede qualche notizia in più e, probabilmente, è il caso di sapere qualcosa di più per cercare di arginare questo fenomeno che, come è scritto nella relazione, non porta alcun vantaggio - perlomeno, ne porta pochissimi - alle aziende italiane. Le aziende italiane, anzi, sono state di fatto soppiantate e non c'è alcun ritorno di economia diffusa sul territorio, o meglio, la diffusione sul territorio riguarda la malavita. In questa provincia e su tutto il territorio nazionale abbiamo avuto un'esplosione di criminalità. La vicenda della legge eccezionale per Prato è stata male interpretata, dunque non voglio insistere su questo, tuttavia, vi chiedo di darci qualche spunto in più. Voi conoscete meglio di noi il territorio e forse conoscete personalmente anche le aziende cinesi di cui noi - le istituzioni - non riusciamo ad avere notizie: c'è sempre una «testa di legno» che rappresenta qualcun altro. Il massimo di vita di un'azienda è di diciotto mesi e quando alla fine si arriva in tribunale o interviene la polizia non c'è più né azienda, né titolare, né «testa di
legno». Pertanto, pur trattandosi di una provocazione, per Prato essa ha un significato.
DEBORAH BERGAMINI. Vi ringrazio molto. Noi vi dovevamo questa audizione e credo che sia stata utilissima. Mi ha molto colpito - come nel caso dell'onorevole Vico - la definizione che lei ha dato di «piattaforma produttiva low cost». Al pari di quanto accade nelle linee aeree, è come se si stessero creando due mercati del made in Italy: uno normale, mainstream, e uno low cost. A mio parere, quest'ultimo rappresenta un pericolo enorme - e i dati ce lo confermano - non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sotto il profilo culturale. Questo dualismo è molto interessante e, alla luce di ciò, mi interessa molto conoscere la vostra esperienza sul campo riguardo a due elementi. Un aspetto, cui abbiamo accennato, è quello della pletora di enti o istituzioni che, a diverso titolo, si occupano di contrasto al fenomeno della contraffazione o dell'economia low cost, se vogliamo chiamarla così. Secondo la vostra esperienza, è efficace il contrasto che viene fatto in loco alle aziende cinesi illegali che commettono i vari reati che ci avete elencato? Ci sono margini di miglioramento e se sì, quali?
In secondo luogo, in questi anni sono stati fatti dei tentativi da parte delle istituzioni locali - anche da parte della regione - per capire se fosse possibile produrre un dialogo tra le due comunità produttive, che - immagino - siano estremamente differenziate. Questi tentativi di natura istituzionale, a vostro parere, sono serviti o sono stati un fallimento? È una strada percorribile o assolutamente da escludere?
ANDREA LULLI. Come vedete, il presidente della Commissione d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale non snobba le categorie produttive pratesi. Personalmente, conosco da tempo questi temi, tuttavia vorrei far notare quanto segue: non c'è dubbio che la realtà pratese rappresenti un aspetto particolarmente acuto. La mia lettura è legata al fatto che questa è una delle realtà più addentro i processi di globalizzazione rispetto ad altre. Quindi, non è una punta arretrata, ma una punta avanzata, con tutti i problemi che questo comporta: non vi sono tutti elementi positivi, come ci avete illustrato. Bisogna fare attenzione: la linea low cost non è presente solo a Prato e non solo nel tessile, nell'abbigliamento e nella moda, ma ormai rappresenta una situazione molto stratificata nell'economia europea e italiana. Io traggo la conferma che la questione della contraffazione - come è stato reso evidente anche da alcuni sequestri avvenuti a Prato, ma non solo a Prato - ha una certa contiguità con il mercato legale. Un punto su cui bisogna indagare è la mancata trasparenza del processo produttivo. Non vi è solo un problema di mancata etichettatura del made in in ingresso: c'è un problema di tracciabilità!
Del resto, quando si parla di controlli tossicologici - che sarebbero i benvenuti - penso che l'Italia su questo fronte potrebbe anche normare, non essendovi vincoli europei; tuttavia, non sono sicuro - mi assumo la responsabilità di quello che dico - che il sistema delle imprese sia del tutto convinto di arrivare ad una normazione di questo tipo, poiché essa implicherebbe, ovviamente, una maggiore trasparenza e tracciabilità nel processo produttivo. Non sempre questa titubanza è dettata da logiche negative. Il problema è complicato, in quanto sono tanti gli aspetti che fanno il successo di un'azienda. Tuttavia, se vogliamo sconfiggere l'illegalità e la contraffazione, mi convinco sempre di più che è necessaria una maggiore trasparenza nel processo produttivo.
Naturalmente, si possono affinare i controlli, si può semplificare il discorso degli enti che operano sul campo, si può aumentare la repressione e così via. Tutto è importante, ma mi sto convincendo - lo abbiamo visto anche dalle audizioni fatte con Guardia di finanza, l'Agenzia delle dogane e via dicendo - dell'importanza di questo punto, un punto delicato del quale il sistema paese deve essere consapevole in
pieno, perché normare in certe direzioni vuol dire assumersi delle responsabilità, per tutti, non solo per la politica.
Sulla questione della diffusione di fenomeni criminosi bisogna fare attenzione - spero che le indagini in corso vadano avanti - all'esistenza di una rete di connivenze che non è etnica, o comunque non lo è esclusivamente. Chi viene in un paese straniero non ha la cultura delle leggi e delle tradizioni di quel paese ed è chiaramente aiutato a «muoversi» - diciamo così - borderline. Questo fatto comporta un rapporto molto delicato con chi è indigeno. Questo è un punto sul quale noi, come Commissione d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, ben poco possiamo fare. Forse, possiamo sollecitare le altre Commissioni d'inchiesta - in modo particolare la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, ma non solo - perché facciano qualcosa. Come già visto, anche in altri settori questa contiguità, questo low cost dell'economia, è una chiave di penetrazione eccezionale dei fenomeni di illegalità, che non riguarda più solo alcune zone del paese, come tradizionalmente eravamo abituati a pensare ma, purtroppo, sta contaminando l'intera penisola. Mi fermo qui e ringrazio i miei cari amici pratesi.
PRESIDENTE. Abbiamo solo una decina di minuti perché alle ore 16 iniziano i lavori in Assemblea. Do la parola al dottor Bettazzi.
CLAUDIO BETTAZZI, vicepresidente CNA Prato. Buonasera, sono qui in rappresentanza di R.E.T.E. Imprese Italia Prato. Condivido questo documento che, senz'altro, dimostra la gravità del problema che si vive sul territorio di Prato, ma che riguarda, come già diceva l'onorevole Lulli, tutto il territorio nazionale. Certo, da noi il fenomeno è più accentuato perché i numeri dell'immigrazione - in particolar modo cinese - sono molto alti. In questa sede ho indosso la veste di imprenditore, a differenza dei miei colleghi che sono direttamente dipendenti della struttura, e quindi soffro direttamente delle importazioni massicce del mio prodotto, vivendo il problema sulla mia pelle. Ugualmente, vivo sulla mia pelle la reciprocità che c'è fra il mercato cinese e quello italiano: molto spesso i nostri prodotti sono bloccati in Cina, mentre dalla nostra parte entra un po' di tutto. Nella mia seconda veste, però, voglio fare la parte del buono, anche perché è difficile farla fare ad un imprenditore. Io ho delega, all'interno della mia associazione, per stabilire - è il punto sollevato dall'onorevole Bergamini - un contatto diretto con la comunità cinese e, negli ultimi tre o quattro mesi, abbiamo fatto un buon lavoro in tal senso. Abbiamo contattato almeno una ventina di aziende cinesi (ve ne do notizia in anteprima), abbiamo attivato alcuni circoli di studio legati a una serie di informative e, come si sa, tutto questo porta a un normale scambio. Siamo andati al di là del discorso repressivo - per quanto utile e importante e, naturalmente, non si può pensare di escluderlo - e abbiamo voluto attivare un percorso di dialogo per capire il fenomeno dall'interno. La comunità cinese è una comunità molto chiusa. Noi abbiamo pensato di fare questo lavoro anche nel loro interesse, perché abbiamo capito che ci sono una serie di imprese che al proprio interno sarebbero disposte ad attivare un certo percorso, però la questione è molto delicata perché, molto spesso, dipende anche dal clima politico che si vive in una città. Quando si verificano fenomeni come quelli che sono stati già descritti, questa reazione è naturale.
Abbiamo analizzato la struttura delle imprese cinesi. Sono d'accordo con l'onorevole Lulli quando diceva che questi fenomeni avvengono se c'è una forte connivenza, altrimenti resta difficile. Noi questa connivenza l'abbiamo trovata in tanti settori. Abbiamo visto molte griffe che vengono a Prato a produrre: ho toccato questa realtà personalmente con mano, quindi non vengo a raccontare notizie lette sui giornali. Si fanno capi a partire da due o tre euro e si parla di firme importanti, ma è tutto legale. Vi racconto un fatto curioso: una settimana fa un'azienda importante
che ha quasi seicento negozi sul territorio nazionale - non faccio nomi per una questione di privacy - ha telefonato all'associazione chiedendo un'azienda cinese...
PRESIDENTE. Scusi, questa è una Commissione d'inchiesta. Se adesso noi le chiediamo il nome, lei deve farlo. Tutt'al più, può chiedere che venga segretato il contenuto della sua deposizione.
CLAUDIO BETTAZZI, vicepresidente CNA Prato. Svolgo il mio lavoro con serenità, ci mancherebbe altro!
PRESIDENTE. Lo ripeto, se vuole può chiedere la segretazione di questa parte di audizione, ma se noi adesso le chiediamo il nome, lei deve dirci qual è l'azienda. Questa è una Commissione d'inchiesta, non è il bar!
CLAUDIO BETTAZZI, vicepresidente CNA Prato. È la Yamamay. Non è un problema. Sapendo che noi abbiamo dei contatti, ci è stato chiesto se conoscevamo un'azienda cinese. Noi abbiamo chiesto come mai si fossero rivolti a noi - non pensavamo che un'azienda del genere avesse bisogno di far ciò, posto che, fra l'altro, a Prato ha anche un negozio - e ci è stato risposto che si temeva, qualora l'azienda cinese non fosse stata in regola, il sequestro della merce. Questo episodio dimostra, secondo me, che se c'è un controllo serio sul territorio, che prevede il sequestro e la distruzione delle merci, questo fatto, di per sé, è un deterrente molto forte. Tuttavia, un controllo di questo tipo non è stato molto praticato a Prato negli ultimi tempi. Bisogna entrare nel merito delle questioni del fenomeno cinese, altrimenti è difficile operare. Si possono anche mettere cancelli alle frontiere ma non sarà sufficiente. Alla fine, bisogna operare all'interno delle aziende cinesi, con un controllo serio, mirato: ciò non significa gridare «al lupo, al lupo» così, dopo tre giorni, qualcuno scappa da un'altra parte.
La struttura delle aziende cinesi è molto particolare e noi l'abbiamo conosciuta dall'interno: è guidata da sette, otto o dieci individui e non si capisce mai chi sia il titolare. Quando si colpisce una parte, molto spesso tutto il resto si sposta altrove: si chiude un'azienda e ne nascono altre tre. Credo, quindi, che il fenomeno vada affrontato secondo varie modalità.
Ora, stiamo lavorando ad un altro step, cioè quello mirante a non fare chiudere le imprese. Vogliamo stabilire - i tempi non saranno brevi perché c'è un grosso lavoro da fare - un contatto con le istituzioni locali e, a meno che non ci si trovi di fronte a fenomeni gravissimi (di fronte a tali fenomeni l'azienda deve essere chiusa e la merce sequestrata e distrutta), una volta individuata l'azienda cinese, le si devono dare due o tre mesi di tempo, per evitare di farla chiudere, anche comminando multe salatissime, purché la stessa attivi un percorso che venga incontro al rapporto della legalità. Noi ci preoccupiamo di curare gli aspetti degli adempimenti burocratici perché, molto spesso, gli studi commerciali hanno lucrato su questa storia. Quella che riferisco è un'esperienza personale. Parlo di una figura diversa di imprenditore, che spesso si strappa la camicia perché si trova di fronte a fenomeni che lo colpiscono direttamente. Da questo punto di vista sono molto colpito, perché appartengo a un settore - quello dei filati - nel quale mi occupo di un articolo molto particolare: filati per aguglieria, filati fantasia, filati fatti a mano. Dalla Cina arrivano prodotti che spesso ho testato ma, il giorno dopo, il colore si scioglie. Il costo, però, è il criterio che domina. Ritornando al discorso della Yamamay, non ho nulla da nascondere...
PRESIDENTE. Se lei vuole che segretiamo questa parte possiamo farlo.
CLAUDIO BETTAZZI, vicepresidente CNA Prato. Assolutamente no. In questo incontro, fra l'altro, alla luce del sole, ho cercato di mettere insieme un'azienda italiana e un'azienda cinese, per stabilire un rapporto di collaborazione anche nuovo,
anche in termini di spirito. Ho chiesto loro se si fossero posti il problema di non pagare più un capo 5, 3 o 2 euro. Come si fa ad alzare l'asticella del fenomeno dell'illegalità se poi si pretende di venire sul territorio e pagare un capo 2 euro? Ci si trova poi di fronte a questi fenomeni, tutti veri, di cui noi paghiamo il prezzo. Si verificano fenomeni incredibili nell'ambito dell'illegalità, ma che credo debbano essere affrontati a trecentosessanta gradi, creando una situazione di controllo serio, mirato, all'interno delle imprese, distruggendo tutto ciò che è illegale, denunciando le connivenze, che spesso vedono coinvolta anche qualche firma, concedendo degli steps a chi cerca di entrare nella legalità.
Infine, credo che dovremmo affrontare anche il discorso della clandestinità se vogliamo sanare la situazione. Chiudere un'azienda - scelta sacrosanta - e lasciare liberi i dipendenti per ritrovarseli dopo qualche giorno da un'altra parte è realisticamente - sono un imprenditore e mi piace essere realista - una soluzione ai limiti, per quanto possa essere utile. È possibile toccare anche questo tasto, per arrivare a pensare di togliere queste persone dai capannoni e metterle a dormire in appartamenti, legalizzando così una parte di questo fenomeno?
Mi rendo conto che, come imprenditore, dico qualcosa di forte. Siamo abituati a condannare il fenomeno ma esso rimane. A chi ci chiedeva se abbiamo ottenuto dei risultati rispondo che forse, da questo punto di vista, la comunità è un po' più impaurita. Abbiamo visto che questi controlli hanno avuto una qualche efficacia ma in limiti ristretti. Bisogna affrontare steps successivi.
PRESIDENTE. Mi scusi l'interruzione ma dobbiamo interrompere la seduta essendo iniziati i lavori in Assemblea. Sperando di avere sanato l'anomalia di due settimane fa. Ringrazio gli auditi per la loro presenza e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.
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