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Seduta del 15/2/2012


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Audizione di rappresentanti di Parmacotto Spa.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente di Parmacotto Spa, cavaliere Marco Rosi, del dottor Nino Battilani, direttore affari generali e dell'avvocato Guido Inzaghi.
L'audizione odierna è stata convocata su richiesta pervenuta a questa Commissione lo scorso 31 gennaio del gruppo Parmacotto, che intende fornire chiarimenti in merito ad alcune dichiarazioni rese dal presidente della Coldiretti, Sergio Marini, durante l'audizione del 13 aprile 2011, riguardante il coinvolgimento del gruppo medesimo in operazioni di Italian sounding e concorrenza sleale verso il made in Italy.
Appena ricevuto la sua nota l'abbiamo convocata perché, ovviamente, ci interessa molto conoscere la sua versione dei fatti. Tenga presente che abbiamo concluso la relazione sulla pirateria e sulla contraffazione nel settore agroalimentare. Preciso che tale relazione di settore costituisce una parte dell'attività di indagine svolta da questa Commissione, la quale, al termine dei suoi lavori, dovrà predisporre un'unica relazione finale.
Pertanto, tutto ciò che ci viene fornito ad integrazione di quanto ci è già stato detto, diventa parte integrante dell'attività della Commissione. Come abbiamo già avuto modo di spiegare ai rappresentanti di Simest e ad altri soggetti che ci hanno chiesto di essere auditi, la Commissione prosegue il ciclo delle audizioni, nonostante, di fatto, la relazione presentata ed approvata sia chiusa, ma con l'intento che quelle successive diventino parte integrante del lavoro complessivo svolto, che sarà oggetto di una relazione finale da rendere al Parlamento. Le do quindi la parola in modo che lei abbia la possibilità di spiegarci la sua posizione. I colleghi potranno, al termine della sua illustrazione, farle eventualmente delle domande alle quali lei potrà replicare. Comunico che abbiamo a tempo disposizione fino alle 16.15, perché i lavori in Assemblea inizieranno alle 16.00 con la discussione generale. Abbiamo quindi una ventina di minuti di tolleranza rispetto a quel termine.


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La invito a contenere in 15-20 minuti la sua esposizione in modo da riuscire a renderla esaustiva oggi, evitandole di dover tornare a Roma appositamente. Do la parola al presidente di Parmacotto Spa, Marco Rosi.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Innanzitutto, ringrazio il presidente e tutti i membri della Commissione per avermi concesso questa audizione. Sarò, di fatto, molto più breve di 15-20 minuti, perché risponderò semplicemente a ciò che è stato detto dal presidente Sergio Marini durante la sua audizione di aprile. Parmacotto è un'azienda che produce in cinque stabilimenti in Italia e che, contrariamente a quanto affermato dal presidente Sergio Marini, non ha alcun sito produttivo all'estero, Simest partecipando nel nostro capitale, in Parmacotto America, per la distribuzione dei prodotti. In Parmacotto America, infatti, vi è l'attività di distribuzione dei prodotti italiani - che esportiamo dall'Italia - ma sia siamo anche l'unica azienda che ha fatto un negozio ristorante a Manhattan, in Amsterdam Avenue, che rappresenta il made in Italy per definizione. Adesso, tra aprile e maggio dovremmo aprire il secondo.
Tutto ciò che produciamo, quindi, lo produciamo in Italia e, negli Stati Uniti, esportiamo 450 tonnellate di salumi all'anno (prevalentemente prosciutti Dop, San Daniele, Parma, poi c'è anche il nostro prosciutto cotto, la mortadella, lo zampone, il cotechino, cioè i salumi). Tuttavia, non esportiamo, in quanto ciò non è possibile per ragioni sanitarie, i salami, le coppe e le pancette. Si tratta però di prodotti per i quali soltanto l'Italia, tra tutti i paesi europei, sconta l'inibizione ad esportare negli Stati Uniti, in quanto nel nostro paese tre regioni hanno ancora la cosiddetta «malattia vescicolare». Si tratta di Sardegna, Campania e Calabria, anche se la Calabria sembra che ne stia uscendo proprio in questi giorni (anche se poi devono decorrere ventiquattro mesi prima che possa essere considerata indenne). Detto ciò, a fronte delle 450 tonnellate all'anno che esportiamo dall'Italia, comperiamo alcuni salumi, per un totale di 1.437 chili, sul mercato americano, da produttori americani. Anche tali prodotti, per i quali è rigorosamente indicato in etichetta made in USA, vengono venduti nella nostra salumeria.
La legge per l'import negli Stati Uniti di prodotti della salumeria permette l'esportazione dei medesimi soltanto se trattati con almeno 400 giorni di stagionatura oppure sottoposti a procedimento di cottura, affumicatura e via dicendo. I salami, naturalmente, non possono avere 400 giorni di stagionatura, altrimenti esporteremmo del legno, ma poiché una salumeria non può non avere un minimo di salami in esposizione e in vendita, comperiamo sul mercato americano, da ditte americane, dei prodotti che ci servono per la salumeria, per un totale di 1.437 chili nel 2011. Può darsi che sbagli di 10 chili, ma nella nota è stato precisato bene: 1.437 chili di salame contro i 450.000 chili che esportiamo all'anno. Si tratta di piccole quantità, però siamo una salumeria e non possiamo non avere questa rappresentanza.
Diverso è il discorso della bresaola, cui il dottor Marini ha fatto riferimento. Provenendo dal bovino, la bresaola ha l'inibizione da parte delle autorità americane ad essere esportata negli Stati Uniti da tutta Europa, dopo l'evento mucca pazza del 2001-2002.
Peraltro, preciso che, anche in Italia, la bresaola consumata è prevalentemente di provenienza sudamericana, non italiana. Negli Stati Uniti, quindi, comperiamo da un produttore uruguaiano, che ha il suo distributore a Manhattan, quei 25 chili di bresaola all'anno che ci servono per servire i clienti.
Un altro punto a cui ha fatto riferimento il dottor Marini è quello del Salumificio biellese, che riecheggia l'italian sounding. Si tratta di un salumificio dal quale comperiamo merce, sempre all'interno di quei 1.400 chili, i cui proprietari, da quattro generazioni, risiedono negli Stati Uniti, a New York, ma provengono da Biella: di qui il nome di salumificio biellese. D'altronde, non voglio fare della facile


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ironia ma mi sembra evidente per tutti che se Biella è nota nel mondo per tante cose, non lo è certo per i salumi. Questi signori sono però italiani di quarta generazione: vivono là e ognuno di noi riecheggia la propria provenienza. Cosa si potrebbe fare per ovviare a questo?
Noi saremmo i primi e i più felici se si potessero esportare tutti i prodotti della salumeria italiana negli Stati Uniti: ovviamente, non vediamo l'ora che sia così. Ciò che dispiace è vederci coinvolti o mescolati in situazioni che hanno caratteristiche diverse dalle nostre, ma per le quali siamo chiamati in causa insieme ad altri. Ho quindi provato a darvi una spiegazione che spero sia sufficiente (comunque sono a vostra disposizione per qualsiasi chiarimento). Simest ha quindi partecipato a questo progetto negli Stati Uniti.
Tuttavia, permettetemi di ritornare sull'argomento perché per noi è motivo di orgoglio: il nostro è l'unico esempio di un'azienda industriale ad avere aperto un negozio che rappresenta il made in Italy alimentare nel mondo: lo rappresenta a livello di qualità e di cibi. Non ci sono soltanto i nostri salumi ma anche tutti i vini sono italiani, così come italiani sono l'acqua minerale, il caffè, le marmellate, le mostarde e i panettoni, che vendiamo a Natale: è tutto italiano. Solo i salami non si possono esportare: cosa ci possiamo fare? Questo è lo stato di fatto. Per la nostra azienda - ci tengo a sottolinearlo - è fondamentale chiarire queste posizioni, a salvaguardia della propria immagine ma anche di quello che facciamo con sforzo e intensa dedizione da parte di tutti. Grazie.

PRESIDENTE. Mi sembra che la sua spiegazione accorata sia stata abbastanza esaustiva però i colleghi nutrono ancora qualche dubbio su questa vicenda, perché abbiamo sentito diverse versioni, quindi ritengo giusto dare libera possibilità a tutti di confrontarsi.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

FILIPPO ASCIERTO. L'ho ascoltata attentamente, presidente, quindi ho compreso che c'è una grandissima produzione di salumi, in modo particolare il riferimento è ai prosciutti, vanto della nostra produzione nel mondo.
Vorrei chiederle a quanto ammontano numericamente le cosce che producete e se siano tutte italiane. Sentendo citare numeri così enormi riferiti ai prosciutti, penso che dovremmo essere pieni di maiali qui in Italia. In realtà, ne vedo invece un numero limitato. Negli Stati Uniti c'è anche una produzione non di salumi, ma di prosciutti. Vorrei sapere se questo sia vero o falso, visto che prima ha detto che è falso.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Non ho detto che è falso: negli Stati Uniti c'è una produzione di prosciutti domestici, che noi non trattiamo, non comperiamo, però sul mercato c'è. È una produzione che fanno sia aziende italiane, sia americane: è prosciutto, come etimologicamente si può chiamare un prodotto che da un punto di vista anatomico proviene dal suino. Questo è quanto. Noi esportiamo negli Stati Uniti circa 27.000 prosciutti crudi all'anno e sono tutti Parma osso disossati e San Daniele. Esportiamo anche il nostro prosciutto cotto, Parmacotto. Con molto orgoglio vi dico anche che la nostra è stata l'unica azienda, a novembre, durante l'ultima visita dell'AFIS, l'ente di controllo americano veterinario e sanitario, ad essere autorizzata ad esportare anche il prosciutto toscano. Noi abbiamo uno stabilimento a San Gimignano, dove produciamo prosciutto toscano Dop, di cui siamo i maggiori produttori e, a novembre, abbiamo avuto l'autorizzazione per esportare questo prodotto negli Stati Uniti, il che significa che, da novembre, possiamo immettere le cosce, autorizzate dopo quattrocento giorni, negli Stati Uniti.

FILIPPO ASCIERTO. Sono cosce suine tutte italiane?

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Sì, sono cosce del circuito Dop. Non siamo certamente il primo paese di allevamento


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suino ma, comunque, in Italia ne abbiamo tra i 9 e i 10 milioni. Questi prosciutti vengono tutti, prevalentemente, immessi nel circuito del Dop. Il Parma da solo fa circa 9 milioni di cosce, il San Daniele ne fa circa 2.7 milioni, quindi, tenuto conto che 10 milioni di suini sono circa 20 milioni di cosce, il resto viene distribuito fra i vari Dop, come il toscano e via dicendo.

PRESIDENTE. Ne fanno 1 milione solo nella mia provincia, a Mantova! Do la parola all'onorevole Zucchi.

ANGELO ZUCCHI. Ringrazio il dottor Rosi che è venuto a chiarire la vicenda, quantomeno aiutandoci a capire anche in termini quantitativi la situazione. Lei auspicava che si possa importare il prodotto negli Stati Uniti, perché in questo modo non avremo più problemi ma avanzerei anche una seconda ipotesi: potremmo scrivere in etichetta anche l'origine del prodotto, che non è esattamente il luogo di produzione. Se, per ipotesi, anziché comperare salami negli Stati Uniti e metterli in un negozio dove il 99 per cento dei prodotti venduti sono italiani (un consumatore che esce da quel negozio sarebbe sicuro di avere in busta un prodotto italiano e l'ultima cosa che andrebbe a vedere sarebbe l'etichetta, dove non si aspetterebbe mai di vedere scritto made in USA), noi importantissimo in Italia i maiali allevati negli Stati Uniti, nel suo stabilimento di San Gimignano e facessimo lì dei salami, li venderebbe come italiani?
Temo di sì, sono convinto che sia così, perché il tema non è dove produco il salame ma cosa ci metto dentro. Poiché con l'italian sounding nel settore agroalimentare si gioca molto su questo equivoco, noi potremmo chiarire definitivamente il problema affidando al consumatore la libertà di acquistare ciò che ritiene più giusto. Personalmente, penso che esista ancora una differenza fra allevare un maiale in Italia e allevare un maiale negli Stati Uniti: esiste una differenza perché esistono regole profondamente diverse a garanzia della salute dei consumatori. È una questione di sensibilità, dell'Europa e degli Stati Uniti.
La questione che abbiamo davanti potrebbe trovare una soluzione se, anche senza aspettare l'applicazione di una legge che il Parlamento italiano all'unanimità ha votato, e per la quale in tutte le etichette agroalimentari va scritta l'origine di tutti i prodotti impiegati, (legge che incontra qualche difficoltà in Europa), qualche azienda cominciasse a dare un buon esempio e a mettersi su quella strada. Questo sarebbe anche un modo di entrare in un marketing commerciale coraggioso, dando magari anche un esempio: perché no, dottor Rosi?

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Se il punto è mettere questa definizione sui prodotti che comperiamo negli Stati Uniti per venderli negli Stati Uniti, su questo non esiste assolutamente problema. Stiamo parlando di 1.400 chili, non di una concorrenza per i prodotti italiani (che non possono essere esportati). Premesso che il suo è un suggerimento, del quale la ringrazio, si tratta di capire come metterlo in atto perché, di fatto, quei prodotti non fanno concorrenza ad alcun prodotto italiano, per la semplice ragione che non riusciamo ad esportarli. Diverso sarebbe se noi li importantissimo in Italia, ma Dio ci scampi dal fare un percorso inverso per esportare dei salami in Italia! Sul resto, condivido molte delle cose che ha detto.

GABRIELE CIMADORO. Grazie al dottor Rosi. Naturalmente lei non deve sentirsi qui oggi come un imputato davanti ad un tribunale. Personalmente, ho sempre considerato Parmacotto un'eccellenza del nostro prodotto agroalimentare: tutti abbiamo mangiato il vostro prosciutto, che è di una qualità superiore! Il problema, però, nasce dal fatto che Parmacotto Spa ha ricevuto dei soldi pubblici, anche abbastanza importanti. L'attenzione è dovuta anche a questa specificità, che non è cosa da poco. In Commissione attività produttive, il presidente di Simest ci aveva anche dato la cifra del finanziamento in oggetto, che mi sembra fosse di qualche milione di


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euro il primo anno e di qualche altro milione il secondo anno. Da qui nasce allora la nostra attenzione. Sono ben felice che Parmacotto produca in Italia e venda tonnellate di prosciutti, (fermo restando che prendiamo per buono ciò che ci dice, che ci conforta anche). Ascoltando la denuncia fatta dalla Coldiretti, siamo rimasti allarmati sia per le cifre, sia per l'atteggiamento in spregio al rispetto del made in Italy e dunque non le nascondo che ci sono sorti dei forti dubbi in merito a questa vicenda. Da ultimo, vorrei che mi chiarisse ancora la vicenda della Salumeria Biellese, perché non ho capito bene come funzioni e se esista quindi un ipotesi di italian sounding.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Innanzitutto, grazie per i consumi dei nostri prodotti, una cosa che fa sempre piacere perché, soprattutto di questi tempi, a volte mancano i consumatori, quindi ci fa piacere.

PRESIDENTE. Non si lamenti di ciò, questa non è la sede giusta: si lamenti, se vuole, della relazione ma non in merito ai consumi!

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Spiegazione sui biellesi. Questi signori, italiani in New Jersey da tre generazioni, hanno fatto uno stabilimento nuovo, anche se modesto, lasciando Manhattan, dove avevano prima lo stabilimento.
Questi signori vengono da Biella e, come vi ho detto, sono negli Stati Uniti da tre o quattro generazioni, quindi hanno avuto la fantasia di chiamare la loro azienda Salumificio biellese. Non credo - non voglio assolutamente entrare nel merito delle vostre valutazioni - che si possa parlare di italian sounding, non fosse altro perché, per un americano, l'aggettivo biellese è un termine già complicato di per sé da pronunciare ed inoltre non evoca zone di produzione tipiche dei salumi. Più semplicemente, forse per un attaccamento alla loro terra d'origine - sto dicendo una cosa che presumo, sto parlando per loro - essi hanno scelto il nome di Salumificio biellese.
Sono onorato che mi abbiate ascoltato in questa sede perché per noi è molto importante dire le cose come stanno, proprio in quanto abbiamo utilizzato dei soldi pubblici. Di ciò ci rendiamo perfettamente conto ed è per questo che non appena abbiamo appreso delle dichiarazioni del dottor Marini, sono venuto...

PRESIDENTE. Noi pensiamo che questa sia la parte più delicata della vicenda, perché l'universo dell'italian sounding è talmente composito che non credo si possa risolvere discutendo della vicenda dei negozi di Parmacotto. Il problema, così come è emerso, la contraddizione, portata come paradosso esemplificativo da Coldiretti, nasceva da questo assunto, secondo cui si stavano usando fondi pubblici italiani per commercializzare nel mondo prodotti che sembrano italiani, ma che tali non sono.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Mi scusi, ha detto qualcosa in più, parlando di aziende italiane che hanno successivamente delocalizzato la produzione: no, nel modo più assoluto! Non produciamo un chilo di prodotto fuori dai confini italiani! Commercializziamo - non produciamo - quei prodotti che ho ricordato prima, per le ragioni che vi ho appena raccontato e che se volete ripercorriamo.

PRESIDENTE. No, è sufficiente. Ritengo che questa spiegazione sia utile anche per voi perché chiarisce molte questioni.

GABRIELE CIMADORO. Scusi, voi comunque commercializzate questi prodotti biellesi nel vostro stand?

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Nel nostro negozio, grazie: nella salumeria e ristorante che abbiamo. Se vi capita di andare a New York potrete vedere che addirittura la scenografia del ristorante è stata fatta da Dante Ferretti,


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candidato ora al terzo Oscar. Nell'ambito di quei famosi 1.437 chili da vendere in salumeria comperiamo dai biellesi alcuni prodotti, per esempio, il salame o una parte di lombo stagionato, ma ciò avviene sempre nell'ambito di quei 1437 chili da vendere in salumeria: sono stato chiaro?

PRESIDENTE. Chiarissimo. Do la parola al vicepresidente, onorevole Vico.

LUDOVICO VICO. Direi che la richiesta di Parmacotto di venire in Commissione è stata utile ma non indispensabile per la natura istituzionale di questa Commissione. Insisto però che è stata utile dal punto di vista della comprensione del fenomeno e soprattutto della relazione, che però si è già conclusa.
Nella lettura dei fenomeni che hanno riguardato la struttura della relazione ci hanno interessato fondamentalmente due cose: la vicenda dell'italian sounding, quando è legata ad eventuali finanziamenti pubblici, se violano le regole, ma soprattutto tale vicenda laddove è inserita nel fenomeno che stiamo trattando, anch'esso abbastanza complesso. Sulla specifica vicenda americana dei salumi avevamo letto con attenzione i problemi relativi all'import e all'export. Abbiamo anche chiesto quali suggerimenti le grandi imprese e associazioni potevano darci in relazione all'export del made in Italy e se alcuni ci hanno dato dei suggerimenti, altri si sono fidati della possibilità che questa Commissione, attraverso i suoi singoli commissari, potesse avanzare una serie di proposte legislative, anche in relazione all'attività di altre Commissioni permanenti, come per esempio la Commissione agricoltura.
Al fine di superare anche la questione relativa a coloro che fanno delle dichiarazioni e che poi si devono assumere la responsabilità di ciò, giacché ovviamente non è questa la sede, abbiamo più volte affermato l'esigenza di agire laddove siano ravvisati processi di finanziamenti pubblici che favoriscono la delocalizzazione e che sono in violazione della legge che la regola. Abbiamo detto ai rappresentanti di Simest che l'eventuale chiarimento legislativo, per come è strutturato il decreto-legge, convertito in legge n. 28 del 2010, al comma 12, è una necessità che il legislatore, attraverso questa Commissione, comprende di dovere assumere. Detto ciò, rimane un punto, di interesse per questa Commissione rispetto a quanto lei ci ha riferito. Esistono infatti dei negozi che utilizzano prodotti non italiani, che però si prestano in maniera fallace ad essere letti come prodotti italiani, anche se in quantità esigua. Si tratta, tuttavia, di un contributo importante per comprendere il fenomeno, a cui l'onorevole Zucchi ha già offerto una riflessione per quanto riguarda l'esportatore, più che per la circolazione in altri continenti (in cui, peraltro, sono vietate le importazioni). Mi sembra di comprendere che, al di là del profilo della vicenda tra Coldiretti e Parmacotto, esistano una serie di questioni dal punto di vista legislativo, soprattutto sul piano internazionale e che il finanziatore pubblico debba poter suggerire procedure in favore del made in Italy nelle forme più utili. Se infatti finanzio un negozio con 25 tonnellate invece che con 1.400 chili, come quello di Parmacotto, troviamo la «soluzione Zucchi»! Tale soluzione - la soluzione Zucchi - nella sua embrionalità, nella sostanza, rende proficuo l'intervento pubblico, cancella il processo di delocalizzazione e consente, sul versante della trasparenza, di rendere chiaro che la qualità di Parmacotto non è data dall'origine alimentare del maiale, bensì dalla procedura di realizzazione del prosciutto. Se è così, oggi abbiamo imparato un'altra cosa, che ci può consentire di leggere in autonomia questo fenomeno. Grazie.

PRESIDENTE. Se vuole, può fare un'osservazione di replica prima che dia la parola agli altri colleghi. Sono rimasti altri tre interventi.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Solo per precisare ancora una cosa. È vero, tutto ciò può accadere, anzi, molti negozi negli Stati Uniti, a New York in particolare, usano salami localmente prodotti


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per la semplice ragione che non trovano quelli italiani. Insisto, quindi, su un punto: sarebbe molto importante che questa Commissione, che a mio avviso svolge un ruolo fondamentale, stigmatizzasse ed aiutasse, cosa che sta già facendo egregiamente, il Ministero della salute per spingere queste tre regioni ad uscire da questo «ghetto», nel quale viene tenuto tutto il sistema produttivo italiano. Non vorrei mai che, un domani, delle merci all'interno di questo potessero andare in altre direzioni. Sapete che non si può portare della carne suina dalla Sardegna all'Italia: se arrivasse, diventerebbe un problema enorme. Da anni, il Ministero della salute sta svolgendo un'azione pungente e molto importante per portare queste regioni nell'ambito della produzione europea, cioè di salubrità, tale da rendere possibile l'esportazione. Intendo, ovviamente, per salubrità quella nel mondo animale, perché la malattia vescicolare e la peste si trasmettono soltanto per via animale: non c'è trasmissione verso l'uomo, quindi, non esistono problemi per la salute. Tuttavia, dal momento che alcuni paesi, fra i quali gli Stati Uniti, temono per le produzioni locali o difendono le loro produzioni locali (dipende da come volete leggerla), noi siamo inibiti dal farlo, ma ci tengo a precisare che siamo l'unico paese in Europa. Per intenderci, il salame Sorriso spagnolo, viene regolarmente esportato dalla Spagna agli Stati Uniti, come anche tutti i salami francesi ed altri.

PRESIDENTE. Noi gli forniamo degli ottimi pretesti!

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Sì, noi gli forniamo degli ottimi pretesti. Se si andasse insieme - mi rivolgo a voi che avete l'autorità per far ciò - in quella direzione, non soltanto risolveremmo un problema, che è modesto, ma implementeremmo l'esportazione, perché non vi è dubbio che il prodotto italiano di cui noi siamo rappresentanti e testimoni - lo dico con umiltà e non con modestia - ha una straordinaria riconoscibilità da parte del pubblico nordamericano, che vuole prodotti di qualità.
Cito sempre un esempio per noi illuminante: nel nostro ristorante abbiamo applicato delle metodologie di vendita e di degustazione come quelle utilizzate in Italia, per cui facciamo degustare il prosciutto crudo di trentasei mesi, ventiquattro mesi e diciotto mesi: ci chiedono le differenze, perché sia così lunga la stagionatura e noi forniamo le spiegazioni.

PRESIDENTE. A volte perché non siete riusciti a venderlo prima! Il tema delle quantità degli stoccaggi è comunque un problema.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Se volete, apriamo un altro discorso.

PRESIDENTE. Questo, però, è un altro capitolo che ci porta lontano dalla discussione di oggi.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Lo stesso vale per il Parmigiano. Noi stiamo cercando di rappresentare, con umiltà ma anche con molto orgoglio, un'italianità di know-how, non soltanto produttivo ma anche di informazione, di acculturamento, che altrimenti viene lasciato nell'ambito del puro commercio, il che non è mai una cosa positiva.

PRESIDENTE. Ci tengo però a spiegare che una delle missioni della nostra Commissione consiste proprio nel valutare questo aspetto, cioè la dimensione del fenomeno in giro per il mondo, a prescindere dal fatto che noi abbiamo articolato il nostro dibattito e anche la relazione su due profili tra loro molto diversi, perché un conto è la contraffazione fine a se stessa, altro conto è l'italian sounding. L'italian sounding non è contraffazione, semmai è una confusione: si confondono cioè le idee al consumatore e, alla fine, purtroppo, gli effetti diretti sul mercato in termini di quantità sono di gran lunga peggiori di quelli dell'italian sounding o della contraffazione. Lasciamo stare poi il tema della salute dei cittadini: sono tutti


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prodotti ottimi e nessuno può dire che siano scadenti, ma il problema è che non sono prodotti italiani e qualche compratore è convinto che lo siano. Il fatto che si possa ingannare il mercato ci interessa, perché è un fenomeno collaterale che non è la contraffazione (che è una cosa diversa). Come vede, quando affrontiamo questo argomento in Commissione siamo già un po' fuori tema, ma dobbiamo farlo perché le dimensioni di questo fenomeno sono di gran lunga superiori rispetto all'altro e incidono in modo sensibile sul sistema. Do la parola all'onorevole Rossi.

LUCIANO ROSSI. Vorrei affermare che come Gruppo del Popolo della Libertà troviamo esplicativa e condivisa la relazione che è stata fornita, ricca di contenuti e di conoscenze, che, onestamente molti di noi, a iniziare dal sottoscritto, non avevano. Dunque, per noi il lavoro fatto finora va molto bene. D'altro canto, accolgo alcune sollecitazioni emerse dal dibattito. A parte questa forma di autolimitazione, che noi italiani abbiamo con riguardo all'esportazione a differenza di altri paesi come la Spagna, è opportuno favorire e sollecitare, nel percorso della certificazione la qualità perché, di fatto, se ci investiamo di un ruolo e altri ne approfittano furbescamente, ne pagheremmo le conseguenze. Vorremmo capire se questi prodotti, questi 1.437 chili, vengono venduti con un marchio, o un'etichetta che fa esplicito riferimento alla vostra azienda, seppure in maniera marginale, se insomma emerge questa immagine, cosa che vorremmo evitare perché noi difendiamo convintamente il made in Italy.
Su questo punto, sulla tracciabilità, sull'origine, siamo d'accordo con il collega Zucchi. Arrivare a questo percorso certamente non è facile, però, comunque, bisognerebbe poter certificare questa cosa. Su questo aspetto vorremmo capire meglio come stanno le cose, perché, effettivamente, anche se si tratta di una quantità modesta, ci troviamo su un percorso che noi comunque non condividiamo.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Ovviamente, c'è il nome dell'azienda sopra. Quindi, dal momento che il retail, il negozio si chiama Salumeria Rosi Parmacotto - nell'etichetta si riporta nome, cognome e azienda - c'è quello e l'altro, su cui è scritto, non in piccolo ma ben visibile, made in USA. Perché noi non ci siamo mai posti il problema nei termini in cui, giustamente, lo state ponendo voi oggi? Per la semplice ragione che nella mia concezione, non c'è una concorrenza sleale verso dei produttori italiani, per la semplice ragione che tali prodotti non sono esportabili. Se su questo si deve lavorare, io un nome lo debbo pur mettere. È ovvio che, anziché metterci Burger King, un nome americano, per quelle poche cose, ci mettiamo il nostro. Inoltre, ormai, sullo scontrino c'è sempre scritto «prodotto domestico»: non c'è mai scritto prodotto d'importazione, mentre invece sugli altri prodotti esportabili c'è scritto «prodotti di importazione dall'Italia». Negli Stati Uniti il prodotto «domestico» è quello che si produce in loco, ciò vale per i prosciutti crudi, i cotti, per i salami, per tutto.

PRESIDENTE. Do la parola al vicepresidente, onorevole Bergamini.

DEBORAH BERGAMINI. La ringrazio perché penso che sia stato importantissimo ascoltarla, innanzitutto perché abbiamo potuto fare una verifica su affermazioni fatte da altri. Ciò è sempre utile per evitare di farsi un'idea sbagliata, cosa che non possiamo permetterci. Questa esperienza del vostro ristorante a Manhattan incarna esattamente il paradosso con il quale noi, Commissione d'inchiesta, senza eccessivamente semplificare o complicare la vita, dobbiamo però combattere. Il paradosso è che per un'inefficienza interna nostra - che conosciamo bene - si rischia che una società creata per valorizzare il made in Italy si trovi, per garantire completezza alla propria offerta, a dover ottemperare ad un'inefficienza italiana, valorizzando ciò che made in Italy non è. Vi è quindi la possibilità che ci si trovi a fare italian sounding senza volerlo, semplicemente per rimediare ad un'inefficienza.


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Come Commissione d'inchiesta, dobbiamo aiutare il sistema paese a evitare questo rischio. Volevo poi approfittare della sua presenza per porle alcune domande. Immagino che gli Stati Uniti siano il vostro mercato di esportazione più importante. Vorrei chiederle quale sia la sua esperienza di imprenditore che esporta negli Stati Uniti un prodotto tipicamente made in Italy, che deve quindi affrontare una politica «difensiva» degli Stati Uniti, quale sia il livello di protezionismo per quanto riguarda prodotti di questo tipo, quali potrebbero essere i correttivi da apportare per venire incontro alle necessità incontrate da chi esporta in un paese come gli Stati Uniti un prodotto agroalimentare tipico italiano. Vorremmo sapere come possiamo essere di supporto in questo scenario, tenendo presente che il problema della contraffazione agroalimentare oggi sta diventando, fortunatamente e sfortunatamente allo stesso tempo, un punto primario di attenzione. Ieri, tutti i giornali hanno diffuso la notizia del calo del 15 per cento dell'esportazione di olio extravergine d'oliva - parlo di quello toscano, perché sono toscana - sui mercati europei, a causa della larga diffusione della notizia che in Toscana si produrrebbe olio mescolato. Tutto questo, come il caso delle uova cinesi che rimbalzano, sta obbligando gli Stati a diventare più efficienti nel favorire lo sviluppo di una legislazione che tuteli, prima di tutto la salute, e poi anche le aziende con i loro marchi.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Grazie, onorevole. L'aiuto che potreste dare, sicuramente enorme, è quello di aiutare gli altri Ministeri, in particolare quello della salute e delle politiche agricole, a far sì che queste regioni escano dal limbo descritto. A quel punto, risolveremmo i problemi che incontriamo nell'export dei nostri prodotti negli Stati Uniti, che è il mercato estero sul quale facciamo più affidamento e che adesso sta diventando il nostro primo mercato (a parte, ovviamente, l'Italia). Il tema più caldo, più forte è rappresentato dalle asprezze fra l'Europa e gli Stati Uniti, per cui la dogana diventa più «impegnativa». Tranne un anno, quando Clinton era Presidente, in cui si discuteva del GATT tra l'Europa e gli Stati Uniti, dove abbiamo avuto processi un po' lunghi nelle fasi di sbarco del prodotto, per il resto, abbiamo molti controlli sia in Italia, sia negli Stati Uniti ma niente di più, cioè, non vi è un ostacolo forte.
Potremmo, come sistema paese Italia, sicuramente incrementare il nostro export alimentare, che è ancora poco rispetto al potenziale. Il sistema industria alimentare italiano è il primo comparto produttivo del paese, non il secondo. Per statistica, quello meccanico è considerato il primo ma, nella realtà, è nel sistema dell'industria alimentare che si produce la ricchezza dei prodotti e dove c'è una costruzione molto importante: non produciamo dei prodotti in Romania che vengono fatturati dall'Italia per poi essere esportati da un'altra parte. Qui siamo di fronte ad un prodotto italiano che viene esportato...

PRESIDENTE. Non credo che il suo riferimento sia casuale!

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. No, l'ho detto casualmente. Ci tengo a sottolineare che noi italiani abbiamo questa grande forza, ma abbiamo anche la grande debolezza di essere lenti nelle decisioni che vengono assunte a livello legislativo. Mi riferisco alle tre regioni famose, di cui al capitolo precedente, perché da anni si va avanti con questa storia e sarebbe opportuno risolverla. Il problema dell'olio toscano, che conosco indirettamente, è noto da anni: basterebbe prevedere una norma specifica su questo problema, che non riguarda soltanto la Toscana ma anche la Puglia (tutti tagliano l'olio e lo mescolano con oli che costano meno). Credo che la soluzione di questo problema ricada nell'ambito europeo.

PRESIDENTE. Su questo ritengo che ci sia stata una copiosa produzione legislativa in Italia. In realtà, abbiamo difficoltà a farla recepire dall'Unione europea che,


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come lei sa meglio di me, sulla tracciabilità, sull'etichettatura e su altre questioni ha dimostrato una sensibilità non simile alla nostra, ma molto più blanda.

ANNA TERESA FORMISANO. Ringrazio il presidente Rosi per questa sua richiesta. Aprirei una parentesi: dovremmo risentire chi ha affermato alcune cose alla luce dell'incontro di oggi.

GABRIELE CIMADORO. Non possiamo fare i processi!

ANNA TERESA FORMISANO. Non faccio i processi, però, quando si fanno delle affermazioni importanti, è bene poi sottolineare alcuni passaggi. Credo che questo vada fatto: per iscritto o a voce sono dell'avviso che ciò vada fatto! Siamo una Commissione parlamentare: non stiamo per strada o al bar a raccontare le favole! Questa è una mia opinione personale, di cui faccio partecipe i colleghi.

PRESIDENTE. Va bene, sarà argomento del prossimo Ufficio di presidenza.

ANNA TERESA FORMISANO. Perfetto. Inoltre, sulla scia delle considerazioni dell'onorevole Bergamini, poiché lo spirito primario di questa Commissione, al di là del settore agroalimentare piuttosto che tessile, è quello di aiutare gli imprenditori che fanno grande il made in Italy nel mondo e di tutelare tale marchio, non sarebbe male se lei, come rappresentante autorevole di questo settore, ci facesse pervenire una nota in cui siano evidenziate le criticità su cui intervenire. In un momento di crisi come questo, sarebbe importante una risposta da parte di chi tutti i giorni cerca di tutelare i prodotti made in Italy. Vorrei chiederle, infine, quale percezione lei abbia relativamente alla differenza di esportazione verso il mercato americano e verso il mercato europeo, laddove, ovviamente, voi esportate anche all'interno del mercato europeo. Quali sono le diverse difficoltà che incontrate? Infine, saremmo lieti di visitare lo stabilimento della Parmacotto: è sufficiente che ci inviti!

PRESIDENTE. Abbiamo già da tempo l'idea di una visita a Parma, quindi, nell'ambito di una missione da quelle parti, vedere i vostri stabilimenti potrebbe essere utile. Ci autoinvitiamo.

GABRIELE CIMADORO. Sul prodotto USA che vendete nel vostro negozio c'è il logo Parmacotto?

MARCO ROSI, presidente della Parmacotto Spa. Il logo Parmacotto c'è stato - da un anno non c'è più - soltanto sulla bresaola, altrimenti è «Salumeria Rosi Parmacotto». Vorrei dire due cose: sarò ben lieto, onorevole, di stendere una pagina che dia un significato almeno ai sentimenti, come suggerito dall'onorevole Bergamini. Penso, inoltre, che sul tema dell'export alimentare ci sia da scrivere ancora molto. Come ho detto prima, è un comparto straordinario, di cui non conosciamo bene il potenziale.
Differenze fra Europa e Stati Uniti. Noi esportiamo in Norvegia, in Svezia e siamo felicissimi. Per fortuna che abbiamo preso la strada dell'esportazione, perché i consumi interni, da un paio di anni, languono e abbiamo marginalità ormai cadute in basso. Il mercato europeo sta però diventando un «pollaio» di produttori, che confliggono fra di loro per il prezzo. Il mercato statunitense è un mercato più selettivo, non fosse altro perché occorrono delle autorizzazioni che sono impegnative da ottenere. Si deve poi tenere conto di spese che l'azienda deve affrontare per tenere in regola, in manutenzione questi permessi all'esportazione negli Stati Uniti. In più, occorre una struttura in loco. Insomma, vi è un rinvio continuo degli utili, ma è un modo positivo per fare in modo di avere mercati alternativi importanti. L'importanza del mercato americano nasce dal fatto che c'è un consumatore che - non offendo assolutamente nessuno - pur non capendo niente di prodotti alimentari, non ha preconcetti, quindi è


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desideroso di conoscere e di sapere. Questa è un'opportunità unica per i prodotti italiani, perché non v'è dubbio che i prodotti italiani e la cucina italiana sono apprezzatissimi negli Stati Uniti e sono sicuramente i primi nel mondo. Per ciò che riguarda l'invito presso lo stabilimento è fatto, così come l'invito nel nuovo negozio di Madison Avenue - quando lo apriremo - con una scenografia spettacolare di Dante Ferretti - perdonatemi questo spot - che sarà bellissima e straordinariamente rappresentativa dell'Italia. Naturalmente, sarei ben lieto di avervi.

PRESIDENTE. Do la parola per l'ultimo intervento all'onorevole Lulli.

ANDREA LULLI. Desidero intanto ringraziare per la chiarezza, che certamente ci sarà utile e che testimonia l'eccellenza della vostra azienda, che era conosciuta ma che fa piacere vedere confermata. Mi associo alle considerazioni dell'onorevole Formisano, perché noi siamo una Commissione d'inchiesta, signor presidente, e non c'è solo un problema politico nella differenza delle dichiarazioni del presidente di Coldiretti e del presidente di Parmacotto: c'è un problema anche di altra natura, che va approfondito.

PRESIDENTE. Mi scusi, su questo punto sono assolutamente d'accordo, tanto che con altri colleghi sono firmatario di un'interrogazione su questo argomento. Che ci sia un problema politico e tecnico che riguarda il Parlamento e che non riguarda direttamente Parmacotto ma Simest e le sue attività, siamo d'accordo.

ANDREA LULLI. Il problema è che ci sono dichiarazioni difformi, molto nette, da una parte e da un'altra. Noi siamo una Commissione d'inchiesta, quindi c'è un problema: poi ne discuteremo in sede di Ufficio di presidenza. Lo dico per serietà.
Un'informazione: vorrei chiederle se può darci o indicarci dove possiamo trovare un dato sulla quantità di maiali italiani macellati in Italia ogni anno.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Posso sicuramente farvi fornire il dato attraverso ASSICA, la nostra associazione di categoria. Verrà fornito il numero sia dei maiali nel circuito Dop, sia di quelli fuori dal circuito Dop. Nel circuito non Dop finiscono quei suini che, all'atto della macellazione, non vengono ritenuti idonei per gli standards imposti dai consorzi. Ripeto: noi siamo i maggiori produttori - lo dico con orgoglio e non con presunzione - di prosciutti toscani Dop in San Gimignano. Oltretutto, abbiamo il piacere di essere...

PRESIDENTE. Chiedo scusa, per completare: le audizioni - lo dico anche ai suoi consulenti e collaboratori - possono essere integrate e completate con documenti e dati successivi, quindi, le chiederemmo di farci gentilmente pervenire questi dati attraverso ASSICA e la dottoressa Ferrarini. Sono dati per noi interessanti da un punto di vista dello studio del fenomeno. Detto questo, ci rendiamo conto che la sua posizione è chiaramente in assoluta contrapposizione rispetto a quanto ci era stato segnalato da soggetti terzi. Nel rispetto del principio evocato prima dall'onorevole Vico, per cui ognuno si fa carico delle proprie affermazioni, la nostra è una Commissione d'inchiesta e la cosa ovviamente avrà ripercussioni di altra natura, che esulano anche dalle nostre intenzioni in merito al dibattito odierno. In conclusione, penso che sia stato molto utile ascoltarla. Come ha visto, lei è stato convocato non appena ci ha segnalato questa sua necessità. Mi permetta però un appunto, che non vuole essere polemico: l'audizione di Coldiretti risale ad aprile dell'anno scorso. È passato quasi un anno: forse sarebbe stato utile chiederci prima di essere audito. C'è stato anche un comunicato stampa sull'argomento, che evidentemente vi è sfuggito. Sarebbe stato utile avere la vostra graditissima presenza in audizione prima della conclusione della relazione finale. Ciò non toglie che, secondo le modalità che ho ricordato, per quanto ci riguarda ciò sia indifferente da questo punto di vista.


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MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. La ringrazio. Prendo nota di quello che mi ha detto. Non è stata latitanza la nostra, semplicemente, siamo venuti a conoscenza di questo documento esattamente venti giorni fa, anzi venticinque!

PRESIDENTE. Come lei avrà modo di vedere, tutte le nostre audizioni sono pubbliche, tanto è vero che vengono riportate a verbale e spesso trasmesse anche da Radio radicale o con altri strumenti di informazione. Probabilmente il problema vi è sfuggito.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Sicuramente ci è sfuggito. Chiedo ammenda per questo, che è una mancanza nostra. Come ho letto la notizia, però, non le nascondo che la pressione è salita a duemila!

PRESIDENTE. Lei mi ha scritto e noi l'abbiamo convocata subito. Speriamo di rivederla in circostanze diverse, più auliche, magari in visita al suo stabilimento.

MARCO ROSI, presidente di Parmacotto Spa. Questo sarà molto gradito.

PRESIDENTE. Nel ringraziare il presidente di Parmacotto Spa, Marco Rosi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,25.

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