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Seduta del 29/6/2011


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Audizione di rappresentanti del Consorzio aceto balsamico di Modena, del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop e del Consorzio vino Chianti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti del Consorzio aceto balsamico di Modena, del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop e del Consorzio vino Chianti. L'audizione odierna rientra nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione svolgerà in merito all'analisi dell'impatto che la contraffazione e la pirateria producono sotto il profilo delle conseguenze e dei costi sul settore agroalimentare.
Faccio presente ai nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, all'occorrenza, i lavori della Commissione possono procedere in seduta segreta.
Al fine di dare un ordine ai nostri lavori, ricordo ai nostri ospiti che dopo una breve illustrazione dell'attività svolta dal Consorzio, relativamente agli argomenti che sono oggetto di interesse da parte della Commissione, seguirà un giro di interventi da parte dei colleghi parlamentari, i quali potranno rivolgervi quesiti ed eventualmente formulare delle osservazioni rispetto alle vostre dichiarazioni. Do ora la parola al presidente del Consorzio aceto balsamico di Modena, dottor Cesare Mazzetti, accompagnato dal vicepresidente, dottoressa Mariangela Grosoli, che ringrazio per la loro presenza.

CESARE MAZZETTI, presidente del Consorzio aceto balsamico di Modena. Ringrazio il presidente e tutti i componenti la Commissione per l'opportunità che ci avete dato di parlare di questo prodotto. L'aceto balsamico di Modena è un prodotto molto antico - se ne hanno tracce fin dall'epoca di Virgilio - ma è relativamente nuovo nel campo della protezione perché ha ottenuto l'Igp nel luglio del 2009, dopo un iter che è durato 15 anni e che è stato particolarmente travagliato.
Il prodotto (abbiamo preparato una relazione che possiamo lasciare agli atti) gode di una notevole diffusione, soprattutto all'estero: è uno dei primi dieci prodotti entrati nella registrazione tra Igp e Dop per volumi e valore. Il volume produttivo è di 90 milioni di litri - di tutto rispetto - per un valore al consumo di 240 milioni di euro (ma anche di più). Il prodotto è esportato in più di cento nazioni. Tale esportazione rappresenta più dell'80 per cento e questo è un record per tutte le Dop e le Igp italiane. Il prodotto costituisce quindi una bandiera dell'agroalimentare di qualità italiano all'estero, tant'è che l'aceto balsamico italiano, secondo una recente ricerca, viene spesso individuato, anche dagli chef americani, come


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prodotto tipicamente italiano ed è in seconda posizione soltanto rispetto all'olio extravergine, il quale, in realtà, non è completamente italiano perché sapete che esiste un'importazione notevole dall'estero.
Per quanto riguarda il nostro successo, che come ho detto è di tutto interesse, si tratta di un prodotto che ha iniziato ad essere esportato addirittura dal 1860. Oggi è esportato soprattutto negli Stati Uniti, in Germania, in Australia, in Francia e altrove, per un totale di oltre cento nazioni (quelle che ho citato sono solo le principali). Il problema è che il prodotto offre una marginalità interessante.

PRESIDENTE. Quello non è un problema!

CESARE MAZZETTI, presidente del Consorzio aceto balsamico di Modena. No, il problema è che ce lo copiano per quello! Come dicevo, il prodotto offre una marginalità interessante e si posiziona in un campo - quello degli aceti - che invece è caratterizzato da marginalità bassissime essendo considerato un prodotto piuttosto industriale negli altri paesi, contenente una grandissima quantità di aceto di alcool, che costa davvero poco (si trovano delle bottiglie a 30 centesimi al litro).
Per questo motivo tantissimi produttori stranieri hanno iniziato a manifestare un notevole interesse a produrre questo prodotto avvalendosi dell'aggettivo balsamico per poterlo smerciare con un utile interessante, in questo danneggiando fortissimamente le nostre esportazioni.
Per esempio, negli Stati Uniti, c'è un dato di Nomisma secondo il quale il valore dell'aceto balsamico - è anche riportato nella relazione - rappresenta il 20 per cento dell'intero segmento aceti, mentre il 25 per cento dei 55 milioni di valore del prodotto è copiato (sto parlando di paesi extra europei, nei confronti dei quali possiamo fare poco). Per l'Europa, invece, abbiamo inteso dare una protezione al prodotto mediante l'ottenimento dell'Igp ma purtroppo la procedura per ottenerla è durata 15 anni e in questo periodo gli altri paesi ne hanno approfittato muovendo numerose obiezioni (tant'è che nel corso della procedura abbiamo registrato obiezioni dalla Grecia, dalla Francia e dalla Germania). Successivamente, tali paesi sono riusciti ad inserire un «considerando» nel testo del Regolamento europeo che ci ha concesso l'Igp, il quale è stato male interpretato. Da parte nostra, abbiamo inteso quel «considerando» nel senso che la parola balsamico poteva essere utilizzata liberamente, intendendo con ciò sciroppi e pastiglie balsamiche (quindi non era nostra intenzione assegnare una protezione completa alla parola balsamico), mentre gli altri paesi hanno invece interpretato l'aggettivo balsamico nel senso di poterlo utilizzare per produrre anche un aceto balsamico di copia. In questo senso, il «considerando» è suscettibile di interpretazione perché si afferma che i singoli termini non geografici della denominazione composta possono essere adoperati sul territorio comunitario nel rispetto dei principi e delle norme applicabili all'ordinamento giuridico comunitario: ciò vuol dire, nel rispetto della non evocazione e della non imitazione. Tuttavia, gli altri paesi ne hanno fatto una bandiera e, come potrete vedere dalle foto che ho portato - e che volentieri vi mostro -, non solo all'estero ma addirittura in Italia, abbiamo avuto dei produttori che hanno iniziato ad utilizzare liberamente la parola balsamico per un prodotto esattamente uguale all'aceto balsamico di Modena, procurandoci un danno enorme. Dagli esempi riportati, potete vedere campioni della Germania, della Grecia, campioni italiani e spagnoli, laddove dove la parola balsamico, anche se nella fattispecie non presente nella radice lessicale greca o tedesca, viene utilizzata addirittura in italiano dai tedeschi. Questi ultimi, per esempio, chiamano il loro prodotto aceto balsamico quando la traduzione letterale sarebbe balsam essig, quindi capite che si tratta proprio di un attentato diretto al nostro prodotto.
Da parte nostra, stiamo agendo sulla Commissione europea per ottenere un pronunciamento in tal senso. Gli ultimi sviluppi sono stati abbastanza positivi perché


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la Commissione ha riconosciuto che il termine non può essere utilizzato in modo evocativo e che la parola balsamico è un aggettivo, quindi, deve essere utilizzato con attenzione rispetto agli altri termini (benché in una prima lunga fase, dal 2009 ad oggi, la Commissione sia stata piuttosto restia a rilasciare tale tipo di interpretazione).
Anche in campo italiano ci stiamo muovendo perché vi sono produttori - italiani - che non utilizzano le parole aceto balsamico insieme, bensì l'aggettivo balsamico da solo - come nella prima foto che vi ho mostrato - e, quindi, di fatto, inventano un condimento «balsamico». Tuttavia, tale parola rimane un aggettivo e non può essere usato come unico nome di un prodotto, peraltro al fine di commercializzare prodotti che sono la copia del nostro.
Stiamo cercando di sollecitare, da parte delle autorità di controllo in Italia, un'attività repressiva e sanzionatoria. Di recente, c'è stata un'azione da parte del Corpo forestale dello Stato (a questo proposito sarà interessante vedere ciò che potrà fare la Commissione) ma purtroppo ci sono state una serie di discordanze tra tale attività di controllo (messa in campo dai forestali) e quella dispiegata da altri organi come, per esempio, l'Icq (Ispettorato controllo qualità del Ministero), il quale interpreta un po' diversamente la situazione. In questo «scollamento» tra le due posizioni si è inserita l'azione forte della difesa, che ha portato il tribunale del riesame al rilascio - speriamo temporaneamente - dei prodotti sequestrati. Da parte nostra, abbiamo fatto ricorso in appello però, sicuramente, questa atmosfera di difficile coordinamento tra le attività dei due enti non ha giovato.
Da ultimo voglio segnalare il fatto che alcuni paesi, in particolare la Grecia e ultimamente la Spagna, proprio perché l'interpretazione da parte della Commissione di quel «considerando 10» è diventata più rigida, hanno inserito delle norme nazionali che permettono di chiamare aceto balsamico un prodotto. Ciò è avvenuto per la prima volta nel 2009 in Grecia e il 20 maggio di quest'anno, in Spagna. Questi paesi hanno fatto una norma che specifica cosa sia il vinagre balsamico (in Spagna) e cosa sia il balsamic vinegar (in Grecia), permettendo così ai loro produttori di utilizzare tale nome. Questi paesi hanno utilizzato la procedura 9834, cioè la procedura di segnalazione delle variazioni di norme tecniche (in pratica, la stessa procedura che si usa per segnalare agli altri Stati che, per esempio, le prese elettriche devono avere una certa misura), quindi, una procedura che va al di là di tutto ciò che riguarda il Regolamento 510 sui prodotti agroalimentari e le specialità (essi hanno insomma bypassato il Regolamento 510). A fronte di ciò, la Commissione è stata piuttosto inattiva perché ha riconosciuto il diritto di fare ciò, stabilendo un precedente pericolosissimo, perché ora si potrebbe passare per la stessa strada al fine di avere, ad esempio, il Grana danese se solo i danesi presentassero una legge per farsi il Grana!
Le leggi spagnola e greca sono identiche a quella italiana ma inseriscono degli elementi che sono gravemente lesivi per la nostra competitività. Per esempio, da noi, il prodotto «invecchiato» diviene tale dopo una permanenza nelle botti di 36 mesi, mentre da loro un prodotto può chiamarsi «invecchiato» quando permane nelle botti per soli 6 mesi.
Ora, se in Grecia non c'è un grande consumo di aceto balsamico - né di Modena, né di quello locale -, all'estero, dove tutti lo chiamano balsamic vinegar, questo fatto ci dà un grandissimo fastidio. In particolare, negli Stati Uniti vi è un'esportazione di aceto balsamico greco che è di notevole fastidio. Stiamo ora studiando delle procedure di difesa, anche tramite giudici nazionali greci o tedeschi e abbiamo in corso un'analisi, condotta da Nomisma, su ciò che pensa il consumatore (per la feta è stata seguita questa via). Infine, stiamo cercando di ottenere la non applicabilità della legge greca, così come di quella spagnola, che è proprio dell'altro giorno. Speriamo di riuscire a fare pressione in tal senso.


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In questo quadro serve anche l'attività politica. È stata presentata un'interrogazione europarlamentare alla Commissione europea sull'applicabilità della procedura 9834 nel caso dei nostri prodotti ma c'è stata una risposta piuttosto sibillina - che vi possiamo mandare - da parte del commissario Ciolos. Ritengo che facendo pressione si riuscirà ad ottenere qualcosa: la pressione politica è assolutamente indispensabile.
L'ultima interpretazione - quella più restrittiva - che ha rilasciato la Commissione è avvenuta proprio in seguito alle pressioni fatte (che quindi sono state positive). Auspichiamo che anche da parte vostra vi sia la possibilità di fare pressione politica.

PRESIDENTE. Ringrazio il presidente. Più che pressione politica, in questa fase possiamo fare un'attività di ricognizione per poi passare alla fase immediatamente successiva, che è ormai prossima posto che siamo arrivati quasi alla conclusione del nostro lungo tour sulla contraffazione all'interno del settore agroalimentare in particolare. Vi ringraziamo per la vostra relazione e vi invito a restare perché, al termine della successiva audizione, sarete con ogni probabilità oggetto di domande o richieste di integrazione sulle questioni che ci avete segnalato.
Do ora la parola al direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop, il dottor Antonio Lucisano, che ringrazio per la sua presenza e che invito ad esporci la sua relazione sulla vicenda riguardante il vostro Consorzio.

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Ringrazio lei, signor presidente e tutti gli onorevoli per l'invito. Il nostro prodotto ha ottenuto la registrazione nazionale nel 1993 e quella comunitaria - come Dop - nel 1996. È pertanto uno dei più vecchi prodotti a denominazione di origine protetta italiana ed è tra i primi cinque prodotti per volume d'affari: parliamo di un comparto che vale circa 500 milioni di euro al consumo e poco più di 300 milioni alla produzione.
Questo comparto vanta il 20 per cento circa di esportazione, malgrado le caratteristiche del prodotto, che sono quelle di un prodotto fresco e deperibile, dunque, con problematiche logistiche complesse.
Dal punto di vista del tema che interessa questa Commissione, abbiamo due ordini di problemi. Uno è quello della pura contraffazione del marchio mozzarella di bufala campana, della quale ho portato qui alcune esemplificazioni (vi sono prodotti australiani, americani ma anche olandesi o indiani) che si qualificano testualmente come buffalo mozzarella, con sotto la dicitura mozzarella di bufala campana, in deroga a qualunque normativa internazionale.
Al di là di questo scenario esiste poi una problematica molto complessa - che vorremmo la Commissione tenesse in considerazione - riguardante la grande confusione esistente in merito alla denominazione perché, a differenza di altri prodotti che hanno una univocità della propria denominazione - come i colleghi dell'aceto balsamico ci hanno appena raccontato - noi, invece, soffriamo del problema per cui il termine mozzarella fu giudicato, a suo tempo, certamente per insipienza di chi gestiva questo comparto, come termine generico. Per questa ragione, in tutto il mondo, il termine mozzarella può essere usato liberamente. Il problema sorge quando alla parola mozzarella si accompagna la parola bufala: da qui nascono i problemi (aggravati dal fatto che il termine bufala si presta anche ad un equivoco, essendo automaticamente sinonimo di qualcosa di equivoco, di non chiaro).
Esiste un decreto ministeriale, del 1998, dell'allora ministro Pinto, nel quale si legge testualmente che il termine mozzarella di bufala, anche senza l'aggettivo campana, è una denominazione riservata esclusivamente al prodotto a denominazione d'origine protetta, mentre tutti i prodotti ottenuti da latte di bufala, non in conformità al disciplinare, devono essere chiamati in una maniera particolarmente


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complicata: mozzarella....di latte di bufala, laddove i puntini di sospensione stanno per il nome del produttore. Questa denominazione è, come comprenderete, estremamente complicata per il consumatore. In altre parole, se producessi personalmente una mozzarella non Dop di latte di bufala, dovrei chiamarla «mozzarella Lucisano di latte di bufala».
Questo tipo di disposizione è sistematicamente disattesa, per cui troviamo delle denominazioni, più o meno di fantasia, sulle quali come Consorzio abbiamo difficoltà ad esercitare direttamente un ruolo di vigilanza e meno che mai di repressione. Per forza di cose, dobbiamo affidarci ad organismi terzi.
Ultimamente, abbiamo fatto un'operazione con il Corpo forestale dello Stato molto interessante e relativa al sequestro di incarti contraffatti con un marchio del Consorzio che non era di quest'ultimo. Tuttavia, c'è un problema più generale dato da denominazioni che sono molto confuse e, per il consumatore, estremamente poco chiare.
Il problema si aggrava quando usciamo dal nostro paese posto che, ovviamente, l'Italia non può impedire ad altri paesi di chiamare il prodotto, realizzato magari in Italia e non Dop, buffalo mozzarella (oppure, in francese, mozzarella de bouflon). Questo è infatti l'unico modo per tradurre in inglese - o in francese - i due termini previsti dalla legislazione italiana: mozzarella di bufala e mozzarella di latte di bufala.
C'è quindi un problema di univocità, di difficoltà per il consumatore e di non riconoscibilità piena della Dop. Per far ciò, servirebbero risorse ingenti da un punto di vista di comunicazione e di spiegazione al consumatore delle peculiarità della mozzarella Dop e dell'estremo rigore previsto dal disciplinare per la produzione di questo prodotto. In altre parole, è molto più facile fare una mozzarella di latte di bufala non Dop piuttosto che Dop, perché nella prima non ci sono tutti i controlli previsti per la seconda e perché il latte con cui si produce il prodotto non Dop, evidentemente, costa molto meno dell'altro.
Purtroppo, devo segnalare dei problemi, ultimamente anche in Italia, perché esistono - come è noto - degli allevamenti bufalini che cominciano a diventare molto consistenti in termini quantitativi in area non Dop, il che porta ad una concorrenza da parte di questi allevamenti in area esclusa dalla Dop e ciò costituisce un problema di turbativa non indifferente del mercato, perché parliamo di un prodotto fatto con latte di bufala non Dop, che costa tra il 30 e il 40 per cento in meno del latte di bufala Dop.
Ultimamente - faccio un esempio di cui lascerò copia - nella giornata di domenica 29 maggio 2011, abbiamo dovuto prendere atto dell'organizzazione di una festa della mozzarella di bufala della terra veneta: per intenderci, come se a Caserta si organizzasse la festa del gorgonzola casertano! Evidentemente, questi sono solo alcuni dei problemi.
Parliamo di un comparto che vale tantissimo, che ha vissuto in passato una serie di vicende molto pesanti e che oggi, per fortuna, si è completamente liberato da quelle problematiche e merita veramente di essere difeso, contrastando in modo adeguato una contraffazione che, anno dopo anno, è sempre più fastidiosa, pesante e, soprattutto, sempre più dannosa per il consumatore. Quest'ultimo, infatti, non riesce a distinguere il prodotto Dop da quello non Dop perché l'apposizione dei marchi - come voi mi insegnate - non è uno strumento sufficiente: il consumatore non può controllare queste marchiature. Si tratta di una problematica che attiene alla denominazione e speriamo che su questo si possa arrivare velocemente ad un'univocità di rappresentazione dei nostri prodotti.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Lucisano per la sua illustrazione. Passiamo ora al Consorzio vino Chianti. Do la parola al presidente del Consorzio vino Chianti, il dottor Giovanni Busi, accompagnato dal direttore del Consorzio, dottor Marco Alessandro Bani.


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GIOVANNI BUSI, presidente del Consorzio vino Chianti. Ringrazio il presidente e tutti gli onorevoli dell'invito.
Per la nostra denominazione è abbastanza fondamentale potere avere un certo tipo di protezione. Il Chianti rappresenta in pratica la Toscana: esclusa la provincia di Grosseto e di Livorno, tutto fa parte del territorio del Chianti (partiamo da Arezzo per arrivare fino a Pisa).
La denominazione del Chianti è una delle più grandi, se non la più grande d'Italia. Da un'indagine di mercato che abbiamo fatto proprio nei mese di aprile e maggio, è stato dimostrato che il Chianti rappresenta il made in Italy nel mondo. La denominazione comprende circa 15.500 ettari; produciamo oltre 800.000 ettolitri di vino, per un totale di oltre 100 milioni di bottiglie che vanno in tutto il mondo con la nostra denominazione.
Abbiamo iniziato a registrare il nostro marchio sia in Italia, sia negli altri paesi. Il problema di tutto questo è che negli altri paesi si può confezionare, imbottigliare - in qualsiasi tipo di confezione - il Chianti scrivendoci sopra Chianti. Ho addirittura lasciato al presidente delle fotografie di bag in box (una cosa che i nostri disciplinari proibiscono), cioè il confezionamento in involucri interni al cartone che poi vengono tranquillamente posti sul mercato e venduti in Argentina, Brasile e California, senza che nessuno gli possa dire niente.
Ritengo che per denominazioni come la nostra ci debba essere una protezione che passi attraverso accordi bilaterali. Quando si tratta di denominazioni così antiche, così rappresentative di uno Stato, deve esistere una qualche sorta di protezione!
Per quanto riguarda il settore italiano, in questo caso, onestamente, delle contraffazioni possono pure esserci ma si tratta di un altro tipo di argomento, per il quale abbiamo già in essere delle strutture come la Sezione repressione frodi, la Guardia di finanza e la Toscana certificazione agroalimentare (Tca), un ente che provvede a fare i controlli sia nelle aziende del settore vitivinicolo, sia nelle cantine (quindi, sia in vigna, sia in cantina).
Il Tca, che è composto da Pro.Agri.To. (un consorzio di altri Consorzi più la Camera di commercio), ha già controllato oltre il 50 per cento - siamo al 52-53 per cento - dell'intera superficie. Speriamo, nei prossimi due o tre anni, di potere completare il controllo, anche perché per quanto riguarda il Consorzio del Chianti è indubbio che si tratta di una denominazione molto vecchia, per cui anche i vigneti hanno un certo numero di anni (per il 40 per cento almeno si tratta di vigneti che hanno oltre 30-40 anni, quindi sono vecchi). Tutto ciò può portare a delle problematiche che vanno dalle frodi ad altro. I controlli, quindi, da questo punto di vista, vanno avanti. Il nostro problema però rimane sull'estero, dove vendiamo oltre il 60 per cento della nostra produzione. Per noi il comparto estero è importante: il 60 per cento della nostra produzione va all'estero!
Andando a falsificare la nostra denominazione, viene falsificato anche il prodotto, perché se da noi si utilizza il San Giovese, da un minimo, come prevede il disciplinare, che parte dal 70 per cento fino ad un massimo del cento per cento, è chiaro che negli altri paesi, non essendovi il San Giovese - magari non sanno neanche che cosa è - imbottigliano Chianti con un altro tipo di vitigno e, di conseguenza, con un altro tipo di prodotto, che quindi avrà un altro profumo e un altro aroma. Ciò può creare senza dubbio una confusione di qualità sul mercato, oltre che un danno economico per le nostre aziende. In questi casi infatti diventa difficile per noi comunicare la qualità legata al territorio e per il Chianti questa è un'operazione già difficile di per sé, perché quando si investe tutta una regione diventa difficile andare sulle peculiarità del prodotto. Faccio un esempio: se anziché il San Giovese usassimo del Merlot, il vino che ne risulta sarebbe completamente diverso. Questo è quindi un ulteriore problema.
Attraverso le varie strutture veniamo tassati per fare tutti i controlli del caso, tuttavia, possiamo arrivare fino ad un certo punto: oltre non riusciamo. Abbiamo la registrazione del marchio della parola


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Chianti anche in altri paesi e vogliamo espanderla anche a nuovi paesi come l'Argentina, il Brasile, l'India e la Cina. Però rimane il problema: una volta che abbiamo registrato il nome, possiamo vantarci di avere raggiunto questo risultato ma non possiamo fare di più. Pertanto, se per denominazioni così importanti, che rappresentano il made in Italy - lo dico con orgoglio - non ci sono protezioni, la strada diventerà sempre più difficile, anche perché oggi viviamo in un mondo globalizzato, il che vuol dire che in tutti i posti del mondo si sa esattamente cosa si fa e cosa non si fa. A questo punto, dobbiamo difenderci.
Spesso mi sento dire che negli altri paesi si hanno prezzi più bassi e che i produttori sono più competitivi di noi. A costoro rispondo che per noi questo non è un problema perché da noi esistono delle denominazioni (non soltanto nel vino ma anche negli altri comparti dell'agroalimentare) talmente importanti e conosciute nel mondo, che proprio di questo dobbiamo farci forza. Dobbiamo portare avanti le nostre denominazioni: sono la nostra fortuna!
Se andiamo in Australia non esistono denominazioni: esiste il vino australiano. Se andiamo in Argentina non esistono denominazioni, anche se ora, in effetti, l'Argentina sta cominciando a tirare fuori le proprie denominazioni di origine. Di conseguenza, noi che possiamo vantare tutte queste denominazioni così importanti, almeno quelle più grandi, dobbiamo difenderle.

PRESIDENTE. Presidente Busi, vorrei tranquillizzarla nel senso che lo spirito che ha animato l'istituzione di questa Commissione andava proprio in questa direzione. Il Parlamento si è posto il problema e sta cercando di affrontarlo con gli strumenti che gli sono propri, anche attraverso l'istituzione di questa Commissione, al fine di avere un quadro preciso della situazione ed, eventualmente, individuare quegli strumenti normativi che, se pure da soli non risolvono nulla - è vero -, tuttavia costituiscono una buona base per la creazione di rapporti bilaterali che possono portare, nel tempo, a soluzioni stabili sui problemi evidenziati, dal vostro Consorzio come dagli altri.
Do ora la parola ai colleghi deputati che intendono porre quesiti o formulare osservazioni, iniziando io stesso con una prima domanda. Al termine degli interventi, sarà riservato un tempo congruo per permettere ai nostri ospiti di replicare. Considerando che chiuderemo i nostri lavori intorno alle ore 10, vi è tutto il tempo per approfondire alcune delle questioni poste.
In particolare, ai rappresentanti del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala, vorrei dire che abbiamo già avuto modo di audire in questa Commissione il Corpo forestale ed altri soggetti che si sono occupati ampiamente delle questioni che lei ha evocato ma su un punto non abbiamo ancora le idee chiarissime, posto che questo tema viene il più delle volte toccato solo marginalmente: esistono legami tra la contraffazione in questo settore (in particolare, abbiamo visto l'articolo che riportava la vicenda del recente sequestro del 4 giugno scorso di 7.000 confezioni di mozzarella contraffatta) e la criminalità organizzata? Si tratta di numeri importanti e, al di là dell'aspetto per certi versi quasi simpatico della produzione veneta, che penso lasci il tempo che trova, qui stiamo parlando di questioni che, invece, attengono anche ad un giro di falsificazioni, di false fatturazioni, insomma una cosa imponente. Ci chiediamo se, a vostro avviso, esistano dei rapporti diretti tra la criminalità organizzata (un fenomeno che, purtroppo, per quei territori che stanno nel disciplinare è abbastanza assodato, quindi, non inventiamo nulla) e questo tipo di attività?
In altri termini, è plausibile pensare che qualcuno, in modo assolutamente non organizzato, riesca a mettere in piedi strutture di questo tipo, che riescono a riprodurre tutto, dal marchio al packaging? È plausibile pensare che un'attività di questa importanza, di questa rilevanza possa avvenire senza che la criminalità


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organizzata, che in quei territori è presente in modo reticolare, sia coinvolta?
Vorrei sapere inoltre, dal vostro punto di vista, qual è il vostro livello di rapporti fra l'attività del Consorzio e le forze di polizia che si occupano della repressione frodi e, soprattutto, della lotta alla contraffazione.

FABIO RAINIERI. Partirei con delle domande in ordine di audizione. Sull'aceto balsamico di Modena, terra a me vicina essendo di Parma, pongo alcuni quesiti veloci.

PRESIDENTE. Mi scusi l'interruzione, ricordo ai nostri ospiti che, ovviamente, tutto ciò che non verrà affrontato nell'ambito dell'audizione odierna potrà essere comunicato anche nei prossimi giorni, dal momento che stiamo completando una relazione abbastanza corposa. Vi è quindi la possibilità di integrare successivamente i vostri interventi, posto che il tempo per affrontare in modo analitico le questioni poste oggi è limitato.

FABIO RAINIERI. La prima domanda che desidero porre al presidente riguarda il dato delle produzioni dell'aceto Dop. Lei però non ci ha comunicato i dati della produzione al di fuori della Dop, per capire, eventualmente, qual è il fenomeno che contrasta la produzione tipica dell'aceto.
La seconda questione riguarda la polemica che c'è stata recentemente - qualche mese fa - sulla produzione dell'aceto balsamico in zona e fuori zona e che poi ha influito anche sul regolamento concernente l'Igp dell'aceto. Vorrei capire qual è la vostra posizione su tale vicenda e se eventualmente non si possa migliorare: possiamo fare noi qualcosa come Commissione?
Per quanto riguarda il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala ci sarebbe tanto da dire, purtroppo. Sono anche membro della Commissione agricoltura e, l'anno scorso, ho fatto un giro negli allevamenti di bufale. Una delle cose che mi ha stupito, da allevatore di vacche, è che non esiste una rilevazione della produzione delle bufale, quindi, ognuno può dire che le proprie bufale fanno il latte che si vuole e questo punto, cioè il non avere un dato ufficiale della produzione giornaliera degli animali, è secondo me un errore da parte del Consorzio.
In secondo luogo, c'è stata un indagine dei Nac nella quale, tra l'altro, veniva accusato anche il presidente del Consorzio per il fatto che veniva utilizzato latte non di bufala per la trasformazione in mozzarella di bufala campana Dop. Cosa può dirci su questo?
Un'altra domanda riguarda la questione del latte congelato. Credo che sia chiaro a tutti il fatto che non può essere considerata mozzarella di bufala campana Dop quella fatta dopo mesi di congelazione del latte, cioè con un latte utilizzato dopo che è stato tenuto dei mesi in freezer e che quindi non dirsi fresco (per non parlare del tipo di latte che poi entra in questa lavorazione).
Un' altra questione riguarda la doppia lavorazione all'interno dei caseifici: voi siete l'unico Consorzio che permette la lavorazione, all'interno dello stesso caseificio, di prodotto Dop e non Dop. Ciò aiuta sicuramente la contraffazione, anche perché per il prodotto che non viene utilizzato come Dop, può essere utilizzato latte di qualsiasi tipo, posto che non è controllato che può poi essere invece venduto per fare della mozzarella di bufala Dop.
Tra l'altro, in Commissione agricoltura abbiamo approvato un provvedimento firmato dall'allora ministro Zaia che prevedeva tale regime ancora fino al 2013 (personalmente avevo chiesto fino al 2011 ma la data è stata posticipata per adeguare i caseifici). Non credo che ci fosse molto bisogno di adeguare i caseifici: bastava semplicemente interrompere la produzione e ciò sarebbe andato a vantaggio della filiera e, sicuramente, del consumatore.
Un'ultima domanda vorrei rivolgerla al presidente del Consorzio vino Chianti. Nel corso della sua illustrazione lei ha detto che il Chianti può essere prodotto ovunque


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senza essere fuori legge: le chiedo di spiegare meglio questa sua dichiarazione.

PRESIDENTE. Poiché nessun altro collega intende intervenire, passiamo alle repliche.

CESARE MAZZETTI, presidente del Consorzio aceto balsamico di Modena. In merito alle quantità, il Consorzio dell'aceto balsamico di Modena rappresenta il prodotto Igp, quello che - per capirci - si trova sugli scaffali di quasi tutti i supermercati italiani e mondiali: ne produciamo 90 milioni di litri. Lei ha giustamente citato le Dop. Preciso che vi sono due Dop e sono le uniche che vantano praticamente lo stesso nome: aceto balsamico tradizionale di Modena e aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia. Questi due prodotti sono di estrema nicchia (tra l'altro collaboriamo con i Consorzi di tutela di entrambi, perché essendo due Dop hanno due consorzi, uno per ciascuno) e richiedono un investimento elevatissimo, soprattutto in termini di tempo, posto che l'invecchiamento minimo è di 12 anni e di 25 anni per il prodotto extravecchio.
La produzione totale di questi due prodotti è di 10.000 litri all'anno - quindi molto poco - che vengono imbottigliati e venduti in bottigliette da 100 millilitri (quindi vengono esitate 100.000 bottiglie all'anno). Anche per quanto riguarda noi, gran parte della produzione è destinata all'esportazione mentre in Italia è piuttosto raro trovare queste bottigliette (in realtà, se ne parla molto perché sui giornali vengono spesso pubblicizzate, però rimangono prodotti di difficile reperibilità anche se, evidentemente, rendono grande l'immagine del gruppo balsamico in generale).
Al di fuori di questi prodotti, in Italia, è vietato produrre qualsiasi condimento con il nome aceto balsamico perché c'è una legge molto stringente sugli aceti, che oggi è la legge n. 82 del 2006 (prima era, con lo stesso testo, il decreto del Presidente della Repubblica n.162 del 1965), che prescrive, per gli aceti, di chiamarsi sempre con il riferimento alla materia prima d'origine (in altre parole, aceto di vino, aceto di riso, aceto di mele). È vietato non fare riferimento alla materia prima d'origine. Quindi, in realtà, per l'aceto balsamico vi è una deroga propriamente prescritta. In sintesi, abbiamo l'aceto balsamico di Modena, l'aceto balsamico tradizionale di Modena, l'aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia: solo questi tre sono stati riconosciuti dai rispettivi regolamenti europei.
Al di fuori di questi, in Italia, non vi è una produzione di aceto balsamico. Vi è invece una crescente imitazione - purtroppo - di prodotti che si chiamano condimento balsamico o balsamico - come quello che vi ho mostrato nelle foto - che riportano tutti i principali richiami dell'aceto balsamico, cioè tutti quei termini che, fra l'altro, nei nostri prodotti sono vietati (come riserva, invecchiato, speciale). Questo tipo di comunicazione (come pure la comunicazione delle botti o di grandi numeri, come il 18 oppure il 25, scritti in bolli di ceralacca) richiama nella mente del consumatore il vissuto dell'aceto balsamico, soprattutto del tradizionale perché è quello a maggiore invecchiamento. Quelle cifre, in realtà, non indicano gli anni di invecchiamento, come invece potrebbe sembrare: sono solo numeri! Un produttore ha addirittura provato a mettere in circolazione un prodotto con sopra scritto 25, per poi specificare sul retro: prodotto nella stanza n.25! Insomma, avvengono cose di cui il consumatore non si rende conto. Quest'ultimo acquista, spendendo delle cifre molto elevate (posto che questi prodotti vengono commercializzati a prezzi considerevoli, in bottiglie molto piccole, come nel caso del tradizionale) e si becca delle sonore fregature, perché, in realtà, compra del mosto con un po' di aceto dentro.
Infatti, nella maggior parte dei casi, l'ingrediente principale normalmente è il mosto d'uva acetificato o mosto cotto acetificato (il che vuol dire, in poche parole, mosto e aceto).
Non sappiamo esattamente quale sia l'invecchiamento di un tale prodotto e non c'è alcun controllo sullo stesso (al di là di


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quelli sanitari che, ovviamente, vi devono essere per metterlo in commercio). Evidentemente, quindi, il nostro prodotto viene evocato ed imitato. I quantitativi, in questo caso, non sono elevatissimi (reputiamo che si tratti di meno di 100.000 bottigliette, al massimo 200.000 confezioni all'anno, rispetto ai milioni di confezioni di aceto balsamico di Modena che viene esitato), tuttavia, ciò è di grande danno al settore, soprattutto al tradizionale, che da questo fenomeno subisce forti colpi posto che nei negozi di lusso questi prodotti si vendono anche a 50 euro la bottiglia da 100 millilitri, il che vuol dire 500 euro al litro, il produttore ottenendo un notevole ricavo da questo lavoro.
In particolare, nel tradizionale, il prezzo - è importante - varia dai 400 ai 1.500 euro al litro, però dovete pensare che ci vogliono cento chili di uva per fare un litro di prodotto dopo dodici anni, quindi, questo prezzo elevato è in parte anche spiegato: la disponibilità è scarsa e i controlli sono elevatissimi. I costi di confezionamento sono infatti molto elevati (si attestano sui sei euro a bottiglia per quelli consortili) giustificando il prezzo di tale prodotto. Al contrario, ciò non può assolutamente valere per altri, perché si tratta di miscele di mosto e aceto, messe in bottiglie piccole e belle, che poi sono comunque vendute a 49-50 euro ciascuna (quindi, 500 euro al litro). Le quantità sono molto piccole ma il danno è molto grande!
All'estero, viene più spesso imitato l'aceto balsamico di Modena Igp, essendo quello che circola di più: se ne fanno 90 milioni di litri. Ho sentito parlare degli 80 milioni di litri del Chianti, quindi, ora avete un'idea quantitativa del nostro prodotto: esso vende 10 milioni di litri in più del Chianti ed è in crescita (quest'anno cresceremo del 10 per cento circa).
Il nostro prodotto viene consumato tantissimo, anche perché è confezionato in bottiglie di piccolo formato (250 o 500 millilitri). Esitiamo nel mondo circa 250 milioni di bottiglie: sono tantissime. Nel mondo, questo prodotto ci viene copiato sia in Germania, sia in Grecia, sia in Spagna, sia nei paesi extraeuropei dove il fenomeno è ancora più marcato. La stima quantitativa è stata fatta da Nomisma. Si parla, in totale, per i diversi paesi e con diverse percentuali, di una percentuale media del 25 per cento. Quindi, vi è un danno economico notevole al settore.
In Italia, il prodotto si può produrre solo a Modena e a Reggio ma si può imbottigliare in tutta Italia - anche all'estero - e questo fatto ci dà fastidio, purtroppo, perché ciò limita i controlli (ma non abbiamo potuto farci niente nella fase di stesura dell'Igp). Il nostro Consorzio si è molto opposto all'imbottigliamento fuori zona - stiamo cercando di riportarlo nei termini - perché il danno per l'Italia è notevole: un quarto del mercato ci viene sottratto.
A proposito della nostra posizione sul prodotto in zona o fuori zona, mi sono parzialmente già spiegato prima. In Italia, il fuori zona non esiste ed esistono solo prodotti imitativi sui quali, giustamente, il Corpo forestale dello Stato, in un'operazione recente - quella che lei ha richiamato - ha operato delle sanzioni e dei sequestri, assolutamente supportati dai nostri Consorzi posto che si trattava di prodotti imitativi. Purtroppo, una serie di circostanze non hanno giocato a nostro favore. Da un lato, vi è stata la non concomitante interpretazione di un altro organo di controllo (penso all'Icq del Ministero, il quale aveva assunto una posizione parzialmente differente, che ora sta rientrando, ma che ci ha fatto perdere del tempo) che ci porta ad auspicare, per il futuro, un maggiore coordinamento; dall'altro, vi è stato il ricorso al tribunale del riesame, avvenuto per decisione inaudita altera parte (quindi senza sentire la nostra parte, che avrebbe portato dei documenti a supporto), che ha determinato la liberazione del prodotto sotto accusa (ma non la conclusione del procedimento, quindi, i processi sono ancora in corso e noi ci siamo costituiti parte civile). La vicenda è molto recente e stiamo cercando, anche con l'aiuto del Corpo forestale, di fare rientrare la questione.


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PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola al dottor Lucisano, per il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala.

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Signor presidente, è ovvio che come Consorzio non possiamo escludere - saremmo degli sciocchi - la possibilità che la criminalità organizzata abbia o possa avere in futuro degli interessi in questo comparto. Certamente, ciò che possiamo e dobbiamo garantire, come lei giustamente sollecitava, è un rapporto assolutamente stretto ed efficace con tutti gli organi di polizia e di controllo.
Stiamo impostando la nostra attività - personalmente sono in carica nel Consorzio da nove mesi - su due parole d'ordine che sono la trasparenza e l'intransigenza: non ce n'è per nessuno! Tutte le volte che veniamo a conoscenza di qualsiasi fatto che non sia completamente alla luce del sole, informiamo gli organi di polizia.
Esistono però dei problemi, anche di ordine legislativo. Vi faccio degli esempi. Mentre un associato che paghi con 15 giorni di ritardo i contributi al Consorzio, subisce un danno patrimoniale ingente, perché è costretto a pagare il 300 per cento di sanzione al Ministero per il ritardato pagamento, ho preso atto, da quando ricopro questo incarico, della sostanziale impossibilità di cacciare via a pedate quei soggetti che non meritano né di produrre un prodotto Dop, né tanto meno di stare all'interno di un Consorzio come il nostro che si pone quegli obiettivi che ho prima ricordato.
Purtroppo, siamo in una condizione per la quale, anche di fronte alla reiterazione del reato, noi, come Consorzio, non abbiamo la possibilità di assumere delle iniziative per liberarci di certi soggetti. Speriamo che, in futuro, questo fatto sia compreso come un problema obiettivo, al quale bisognerà trovare una soluzione. Spero di avere risposto alla sua domanda.

PRESIDENTE. Sì, parzialmente. Una precisazione: lei, in pratica, ci sta dicendo che esiste un problema all'interno del Consorzio? Se così è, questa è già una cosa abbastanza atipica perché, normalmente, i soggetti che sono parte integrante dei consorzi sono quelli, che nella maggior parte dei casi, rispettano le regole. Lei invece ci sta dicendo che vi sono dei soggetti, che rientrano nel Consorzio - poiché sono soci - ma con i quali avete delle difficoltà a fare rispettare i disciplinari: ho capito bene?

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. No, la logica è questa: premetto che al nostro Consorzio sono associati il 90 per cento dei trasformatori che producono secondo il disciplinare Dop, ed il restante 10 per cento è comunque controllato dal Consorzio, in quanto fruisce del marchio del medesimo. In altre parole, tutto il prodotto Dop ha anche il marchio del Consorzio e, quindi, inevitabilmente, quest'ultimo è interessato al prodotto marchiato Dop, sia che si tratti di soci, sia che non si tratti di tali. Abbiamo poi una base allevatoriale che è fatta da circa 1.900 allevamenti, di cui circa 200 sono associati, per un 25 per cento del totale di latte bufalino Dop certificato.
Nel momento in cui si verificano dei casi di non conformità del prodotto (abbiamo un organismo di certificazione, il Csqa di Thiene, con il quale collaboriamo sistematicamente, nei limiti delle nostre possibilità, per la prevenzione e la repressione di qualunque non conformità), anche banali, quali per esempio il tenore di umidità piuttosto che - ed è già più grave - la presenza di latte bufalino non Dop all'interno del prodotto, al di là del sequestro, al di là della procedura sia civile, sia penale alla quale viene sottoposto colui che ha infranto la legge, non c'è oggi per il Consorzio la possibilità di assumere dei provvedimenti al fine di non consentire, come nella fattispecie appena illustrata, a quel soggetto l'utilizzo del marchio in futuro.

PRESIDENTE. D'accordo, però la mia domanda - mi scusi se insisto - era un


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po' diversa. Può esserci, come è normale che accada, qualche associato che fa il furbo o che gioca con la qualità della materia prima o dei prodotti: questo purtroppo è quasi fisiologico e quindi la cosa ci stupisce fino a un certo punto. Tuttavia, la mia domanda era diversa e lei mi ha risposto parzialmente: lei crede che esista un rapporto organico tra alcuni di questi produttori (non pongo la questione che siano associati o meno), che vanno sul mercato con il tipo di impostazione che ho citato nel mio esempio e la criminalità organizzata? Mi è parso di capire che lei abbia detto di non essere in grado di escludere ciò, ma non ha riscontri oggettivi su questo. Ho capito bene?

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Temo di dovere confermare questa risposta. Non sono in grado di escluderlo. Evidentemente, andrei oltre quelle che sono le mie esperienze e le mie competenze escludendolo a priori.

PRESIDENTE. La nostra è una Commissione d'inchiesta, quindi lei capirà che per noi questo è un elemento abbastanza importante, quasi dirimente su questa vicenda. Molto spesso abbiamo sentito dire che esistono dei rapporti abbastanza torbidi fra un certo tipo di criminalità e una certa distribuzione dei prodotti.
In particolare, è chiaro che il livello di attenzione aumenta laddove si concentrano le produzioni in territori che hanno una vocazione di un certo tipo dal punto di vista proprio della criminalità organizzata. Quindi, le avevo fatto una domanda molto semplice, lei mi ha risposto e ho capito.

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Posso risponderle, poiché per esperienza....

PRESIDENTE. Tenga presente che qualora dovesse rendere dichiarazioni che non vuole vengano rese pubbliche, lei ha anche la facoltà di rispondere segretando la risposta. In tal caso, in questa Commissione, siamo tutti tenuti al vincolo.

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Così come non ho escluso che questo possa accadere, nello stesso identico modo non escludo che anche la distribuzione del prodotto delle grandi multinazionali, alimentari e non nella nostra area, possa essere afflitta dallo stesso problema. Traduco in maniera ancora più chiara.
Se il problema è endemico in un territorio, questo non riguarda solo ciò che si produce nel territorio ma anche ciò che si distribuisce ad una popolazione che, nella sola regione Campania, è di quasi 6 milioni di persone. Dunque, non escludo nessuna delle due cose. Non vedo perché, nel caso specifico della mozzarella di bufala campana, il problema debba essere maggiore rispetto a quello della distribuzione di gelati, di salumi o di formaggi provenienti dalle grandi multinazionali, italiane ed estere. Dico ciò sulla base di esperienze pregresse, dirette: questa possibilità non sono in grado di escluderla.

PRESIDENTE. Mi scusi - poi non la interrompo più - vorrei solo chiarire la domanda e contestualizzarla. In altri comparti, come per esempio nel tessile, abbiamo svolto delle audizioni nell'ambito delle quali ci è stato detto, molto chiaramente, che la criminalità organizzata non è interessata alle produzioni del marchio falsificato bensì alla commercializzazione. Questo ci è stato detto in modo molto chiaro ed evidente. Chiedevo se, anche in questo caso, il meccanismo è più o meno analogo o se non dobbiamo pensare a qualcosa che si spinge anche più in là, cioè che il controllo sia così reticolare al punto che avviene anche per le produzioni.

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Posso escludere che nello specifico comparto ci sia un'incidenza


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maggiore di quanto non avvenga in altri comparti distributivi e produttivi.
Per quanto ci riguarda, comunque, la cosa fondamentale è che l'approccio sia di massima collaborazione con gli organi di polizia per la prevenzione e la repressione di queste problematiche.
Per rispondere all'onorevole Rainieri, invece, devo dire che qualche informazione non coincide con l'esperienza di lavoro che abbiamo tutti i giorni.
La produzione del latte è certificata da un organismo di controllo tra i più autorevoli italiani. Nel 2010 è stata di circa 186 milioni e 400 chili di latte bufalino Dop certificato, idoneo per la produzione di mozzarella di bufala Dop.
A questo proposito, vorrei sottolineare un dato che, sorprendentemente, nessuno ha. Se compariamo la produzione di latte certificato Dop con la produzione di prodotto Dop, otteniamo uno strano risultato perché, a fronte di 186 milioni di chili di latte Dop certificato, abbiamo una produzione di «appena» 36 milioni di chili di prodotto Dop, il che significa, considerato il fattore di conversione latte-mozzarella di 4 a 1, che circa il 25 per cento di latte Dop non riesce a trovare collocazione nel prodotto Dop e non viceversa.
Dunque il problema non è - mi creda - quello di latti non Dop che finiscono nel prodotto Dop, bensì quello - come affermava correttamente lei - di questa eccedenza di prodotto Dop, che inevitabilmente subisce il destino di andare al congelamento per essere utilizzato nel prodotto non Dop nel periodo di massima richiesta dal mercato (che, guarda caso, è il periodo estivo), laddove si gioca sul famoso equivoco mozzarella di bufala Dop, mozzarella di latte di bufala, un equivoco che il consumatore non è in grado di apprezzare e che è fonte inequivocabile di problemi.
Da questo punto di vista, come Consorzio, siamo assolutamente dalla sua parte, onorevole Rainieri, ma speriamo, veramente, che a livello politico non si assista all'ennesimo rinvio dell'applicazione di quel decreto al quale lei faceva riferimento sulla separazione fisica delle linee di produzione del prodotto Dop e del prodotto non Dop, non perché questo modifichi di molto la situazione attuale (le garantisco infatti che oggi esiste comunque una dichiarazione di separazione spazio temporale che viene inviata precedentemente all'organismo di certificazione e agli enti, i quali possono in qualsiasi momento controllare se ciò che si sta producendo è prodotto Dop o non Dop), ma proprio perché ciò servirebbe a fare chiarezza anche nei confronti del mercato e dei tanti dubbi che questa situazione comporta.
Auguriamoci, quindi, che nel 2013 sia possibile non arrivare alla separazione delle unità produttive, il che significherebbe per i produttori un carico spaventoso da un punto di vista finanziario (è inimmaginabile che si possa realizzare un nuovo stabilimento per fare due prodotti diversi) ma, come tutti fanno in altre realtà, separare fisicamente le linee con delle valvole che non possono essere manomesse, al fine di avere due materie prime diverse e due prodotti diversi in qualsiasi momento.
Mi consentirà di non rispondere sulla vicenda che ha riguardato il ministro Zaia con il presidente del Consorzio, sia perché non sono il presidente del Consorzio, sia perché, per quanto ne so, il ministro Zaia, in separata sede, ha poi riconosciuto al presidente del Consorzio che si è trattato di un abbaglio o comunque di una situazione che non era esattamente nei termini riportati dai giornali. Questa vicenda non è di mia competenza, quindi mi consentirà di non andare oltre. Tuttavia, posso informarla della disponibilità del presidente quando riterrete opportuno ascoltarlo.
Spero di avere risposto alle sue domande.

FABIO RAINIERI. Una precisazione: prima di rispondere al presidente lei ha parlato della impossibilità da parte dei Consorzi di espellere i soci che non rispettano il disciplinare. Questo è dovuto a che cosa? Dico ciò perché nei Consorzi del Parmigiano, ad esempio, se il socio - che non è l'azienda agricola bensì il caseificio - non rispetta determinati canoni, il Consorzio


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ha assolutamente l'autorità per espellere il socio. Perché nel caso del Consorzio della mozzarella di bufala - se non ho capito male - questo non può avvenire?

ANTONIO LUCISANO, direttore generale del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana Dop. Perché ancora oggi non abbiamo dei regolamenti, quindi dei documenti di riferimento, ai quali appellarci per potere mettere in atto questo tipo di provvedimenti. Ci auguriamo che ciò possa accadere a breve.
In questi ultimi mesi abbiamo modificato completamente lo statuto e abbiamo dato vita ad un comitato paritetico - che sarà nominato l'8 luglio - tra allevatori e trasformatori che dovrà modificare il disciplinare e con esso i regolamenti relativi all'uso del marchio e anche al comportamento degli associati.
Allo stato, purtroppo, questo strumento ancora non lo abbiamo e quindi dobbiamo sempre fare riferimento alle forze di polizia (che naturalmente sono impegnate anche su altri fronti).
Ci riproponiamo, a brevissimo, di assumere questi provvedimenti che - sono d'accordo con lei - sono fondamentali per il buon nome del prodotto e del Consorzio.

PRESIDENTE. La ringrazio. Mi rivolgo ora al presidente del Consorzio del Chianti, dottor Busi. Al di là delle domande fatte dal collega, c'è una cosa che mi ha un po' stupito. Mi sembra che ci siano dei casi di contraffazione conclamata. Le pongo un quesito da consumatore più che da presidente di Commissione: mi chiedo se esista anche un mercato del contraffatto interno, cioè sul territorio nazionale. Non frequento abitualmente i supermercati, però, capita ogni tanto di dare un'occhiata agli scaffali e di vedere dei prodotti marchiati Chianti a prezzi che, francamente, sono difficili da comprendere, perché se veramente si dovesse rispettare il disciplinare, facendo il lavoro da questo previsto, è abbastanza singolare che una bottiglia di Chianti possa finire sugli scaffali del supermercato della grande distribuzione a 1,50 o 1,80 euro.
Si tratta solo di una dinamica di mercato che deprime molto il prezzo, vista la quantità e la produzione elevata di cui lei ci parlava o può darsi che ci siano anche casi di contraffazione interni al mercato italiano?

GIOVANNI BUSI, presidente del Consorzio vino Chianti. Rispondo seguendo l'ordine delle domande. Purtroppo, vediamo in paesi dove non abbiamo neppure la registrazione come denominazione che vengono addirittura fatti (è in allegato alla documentazione consegnata) dei kit in polvere che, diluiti con l'acqua, permettono di ottenere del Chianti, del Barolo o altri vini simili.

FABIO RAINIERI. Se mi permette la battuta, questo conferma che allora il vino si può fare anche con l'uva!

GIOVANNI BUSI, presidente del Consorzio vino Chianti. Esatto! Però il problema è che noi lo facciamo con l'uva e quindi abbiamo dei costi, gli altri lo fanno con le polveri industriali e hanno dei costi completamente diversi, il che comporta poi dei problemi sul mercato dove - mi ricollego alla sua domanda - si ritrovano miscele come il «Cianti» o addirittura il Key Auntie vendute in bottiglie, bag in box o involucri in plastica.
Tutto questo comporta la presenza sul mercato di prodotti a basso prezzo, che incidono sull'intera filiera vitivinicola Toscana del Chianti. Per quanto riguarda il problema del prezzo (anche ieri sera, a cena con il direttore, ci stavamo scervellando per trovare delle soluzioni proprio su questo problema), è la cosa che in questo momento sta portando alla rovina una denominazione come questa. Abbiamo vissuto, dal 2001 in avanti, una crisi economica pazzesca. Le vendite sono crollate e abbiamo quindi accumulato giacenze di vino. Naturalmente, quando ciò accade, è chiaro che la speculazione parte in quarta. Le aziende agricole, dal canto loro, chiedono costantemente e continuamente di


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poter vendere il proprio prodotto. Lei che è anche membro della Commissione agricoltura sarà sicuramente ben informato: le aziende agricole hanno bisogno di ingenti investimenti ma i ricavi sono molto limitati e diluiti nel tempo.
L'agricoltura, quindi, è un settore dove vi è necessità di fondi cospicui, con dilazioni di restituzione degli stessi molto lunghe. Tutto ciò fa sì che le aziende indebitate (in realtà, l'intero comparto agricolo è molto indebitato) abbiano necessità di liquidità per poter pagare i finanziamenti, i mutui, la manodopera, gli acquisti di materie prime e quindi siano costantemente, soprattutto nei confronti degli imbottigliatori, impegnati per cercare di vendere il proprio prodotto.
Partiamo dal concetto che il mercato è come una piramide: più si va in su, più il prezzo aumenta, più si scende più il prezzo diminuisce. Tuttavia, più si scende e più, naturalmente, si amplia la fascia di mercato. Ciò premesso, oggi il Chianti ha un costo di produzione medio di circa 110-120 euro l'ettolitro (in realtà, ciò dipende anche dalle zone perché, per esempio, nell'empolese abbiamo costi di un certo tipo, mentre magari nelle colline Rufina troviamo costi completamente diversi, però, mediamente il costo è quello) ma viene venduto a 75-80 euro l'ettolitro: siamo quindi nettamente sotto il costo di produzione!
Se calcolate che il secco - così in gergo vengono chiamati la bottiglia, il tappo, la capsula, il cartone e quant'altro - costa all'imbottigliatore circa 40-45 centesimi l'uno, è facile fare il seguente calcolo: prendiamo come prezzo 80 euro, dividiamo tale cifra per 4, moltiplichiamo quanto ottenuto per 3 e avremo come risultato 60 centesimi di vino all'interno di quella bottiglia, più il costo del secco di 40 centesimi. Il risultato finale è di un costo, per bottiglia, pari a 1,05 euro. Quindi, quando lei trova le bottiglie a 1,70-1,80 euro sullo scaffale, da agricoltore, vi dico che mi scambierei molto volentieri con quegli imbottigliatori, che sicuramente portano a casa un margine non indifferente.

PRESIDENTE. Mi scusi presidente, tutto questo però fa parte di una triste dinamica di mercato. Rispetto ai temi che trattiamo noi, lei esclude che ci siano problemi.....

GIOVANNI BUSI, presidente del Consorzio vino Chianti. Arrivo anche lì. Personalmente, mi preoccupo anche perché abbiamo saputo che in Germania sono state addirittura vendute bottiglie a 95 centesimi l'una: siamo veramente allo sparo! Tutto questo si riflette sulla produzione.
Detto ciò, naturalmente, negli anni le varie vicende sono finite anche su tutti i giornali e ci sono stati molti problemi relativi alle frodi. Per questo motivo stiamo intensificando i controlli, attraverso la Sezione repressione frodi, con la quale manteniamo un ottimo rapporto, continuo e costante, con il Tca, che il è nostro organo di controllo. Continuiamo, insomma, a mantenere un controllo sull'intero territorio, sia dalla parte produttiva, sia dalla parte delle cantine (quindi imbottigliamento e quant'altro).
Infatti, per quanto riguarda le frodi, la colpa non sta mai da una parte sola (ma sempre da tutte e due), quindi bisogna controllare sia la parte produttiva (soprattutto quelle aziende che hanno impianti molto vecchi e che magari possono avere una produzione anche inferiore rispetto al carico riconosciuto dal disciplinare), sia le cantine, verificando che le quantità acquistate poi corrispondano alle quantità vendute.

PRESIDENTE. Mi scusi, in ogni caso si tratta di un fenomeno italiano: non c'è anche un problema di importazione di uve o di cose di questo tipo?

GIOVANNI BUSI, presidente del Consorzio vino Chianti. No, si tratta solo di un fenomeno italiano.

PRESIDENTE. Ringrazio i tre Consorzi presenti. Stiamo cercando di ottimizzare i tempi di lavori della Commissione perché abbiamo intenzione di concludere la nostra


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relazione, che ci siamo impegnati a presentare in bozza perlomeno entro l'estate. Se poi, in virtù del dibattito odierno e sulla base delle domande poste dai colleghi e dal sottoscritto, ritenete di poterci fornire ulteriori elementi materiali e documentali utili per completare meglio la nostra relazione, vi rinnovo l'invito a far ciò. Il nostro lavoro è rivolto nella direzione della tutela e dell'interesse dei prodotti del cosiddetto made in Italy (soprattutto dei prodotti che in questo ambito rappresentano le nicchie più qualificate).
Vi ringrazio per la vostra presenza. Spero che avremo ulteriori occasioni per incontrarci, magari in una situazione di mercato migliore. Sappiamo bene che il tema dell'agricoltura è diventato complicato a tutti i livelli (non tutti hanno la marginalità dell'aceto balsamico).
Quando si ha un equilibrio di mercato, tutto il resto si affronta meglio. Questa è una considerazione personale che prescinde dal ruolo che svolgo in questa Commissione.
Dichiaro conclusa l'audizione odierna.

La seduta termina alle 10,05.

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