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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento della Commissione, l'audizione del sindaco di Roma capitale, Gianni Alemanno, del presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e del presidente della regione Lazio, Renata Polverini, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante ulteriori disposizioni in materia di ordinamento di Roma capitale (atto n. 425).
Vi ricordo che, sulla base della scaletta degli interventi concordata, il sindaco di Roma arriverà più tardi. Ringrazio per il momento il presidente Polverini e il presidente Zingaretti per la loro presenza per due ordini di motivi, innanzitutto perché l'argomento è estremamente rilevante per tutti noi, ma in particolare per il territorio dell'area metropolitana di Roma.
È evidente che noi teniamo conto dell'intesa raggiunta in Conferenza unificata e dei singoli pareri che sono stati trasmessi da parte della regione, della provincia e del comune, ma, laddove fosse necessario - e questo è il vero significato di questa audizione - siamo disponibili ad accogliere ulteriori contributi e suggerimenti tesi a migliorare questo provvedimento. Poiché la legge delega consente alla Commissione, attraverso l'espressione del parere, di modificare il testo del provvedimento anche in maniera sostanziale e significativa, laddove emergessero esigenze nuove, diverse o meglio formulate rispetto ai precedenti pareri, siamo qui per ascoltarvi.
In secondo luogo, vista la presenza così autorevole, abbiamo chiesto ripetutamente un incontro con il Comitato delle autonomie territoriali non solo su questo decreto, in osservanza alle procedure dettate dalla legge delega, ma soprattutto sullo stato di attuazione della legge n. 42 e sui rispettivi decreti attuativi. Abbiamo avuto enormi difficoltà a organizzare questo incontro con il Comitato delle autonomie territoriali o comunque con una rappresentanza significativa di esso.
Colgo l'occasione per comunicare al presidente Polverini e al presidente Zingaretti, che di quel Comitato costituiscono una rappresentanza significativa, che siamo riusciti a fissare un incontro per il 22 febbraio, ossia tra una settimana, con qualche giorno di ritardo rispetto al termine per l'espressione del parere da parte della Commissione, che scade il 19 febbraio, domenica prossima. Al fine di tener conto delle ulteriori indicazioni che dovessero
emergere anche in quella sede abbiamo chiesto al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Patroni Griffi, di attendere qualche giorno in più per l'adozione definitiva del provvedimento da parte del Consiglio dei ministri, così come è accaduto in altre occasioni con il precedente Governo. Avendo ricevuto conferma da parte del Ministro in tal senso, contiamo di concludere il lavoro su Roma capitale in linea di massima verso i primi di marzo, così come concordato nel corso dell'Ufficio di presidenza.
Le indicazioni del Comitato delle autonomie territoriali sullo schema di decreto in esame, ma soprattutto sullo stato di attuazione della legge n. 42, saranno molto utili anche alla luce degli elementi di valutazione emersi nel corso dell'audizione svoltasi il 1o febbraio con il Ministro Patroni Griffi e il Sottosegretario Vieri Ceriani.
Do la parola al presidente della regione Lazio, Renata Polverini, che ringrazio.
RENATA POLVERINI, Presidente della Regione Lazio. Grazie a voi anche per aver rinviato l'incontro della scorsa settimana nel momento dell'emergenza neve, dalla quale siamo usciti per quanto riguarda la fase acuta delle precipitazioni nevose, ma per la quale siamo ancora in una fase di assoluta difficoltà per riportare alla normalità alcune parti del nostro territorio.
Saluto e ringrazio il Presidente La Loggia, gli onorevoli senatori e deputati che compongono la Commissione parlamentare. Li ringrazio per il lavoro che si accingono a svolgere nell'esaminare questo importante provvedimento.
Come prima ricordato dal Presidente La Loggia, gli interventi legislativi per Roma capitale rientrano nell'ambito della più ampia riforma del federalismo fiscale, recata dalla nota legge n. 42 del 2009. Con l'adozione nel settembre 2010 del primo decreto legislativo relativo all'assetto istituzionale di Roma capitale è stata delineata la cornice del nuovo status di Roma.
Ora occorre riempire di contenuti tale nuovo status, attraverso l'individuazione delle funzioni amministrative da conferire a Roma capitale, nonché dei criteri e delle modalità per il trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per rendere operativo l'esercizio delle funzioni conferite.
Così come previsto dalla legge delega, abbiamo sia espresso il parere in quanto regione interessata al provvedimento di Roma capitale, sia partecipato attivamente alle riunioni della Conferenza unificata, indirizzando la Commissione affari istituzionali della Conferenza stessa, che si è espressa positivamente rispetto al testo dello schema di decreto adottato dal Governo.
Si tratta oggi di un passaggio molto delicato e complesso, perché è di tutta evidenza che il ruolo differenziato di Roma rispetto agli altri Comuni, al di là degli aspetti più prettamente ordinamentali, sarà il risultato della qualità e della quantità delle funzioni che ad essa verranno conferite.
È proprio per questo che lo scorso novembre abbiamo sottoscritto e presentato al Governo, prima che lo stesso emanasse lo schema di decreto legislativo che stiamo esaminando oggi, un modello di protocollo di intesa, che definisce il percorso normativo e le modalità condivise che ci accingiamo a seguire al fine di rendere operativo il nuovo ordinamento. Questo protocollo è stato sottoscritto da me e dal sindaco di Roma capitale a seguito del lavoro svolto dalle due Commissioni operanti nell'ambito del Consiglio regionale, una ordinaria e l'altra speciale, che seguono il percorso di adozione dello schema di decreto. Mi riferisco in particolare alla Commissione affari costituzionali e alla Commissione speciale federalismo fiscale e Roma capitale, appositamente istituita con il compito di affiancare la Commissione affari costituzionali e la cui presidenza è stata affidata ad un componente dei gruppi di opposizione, proprio con l'intento di coinvolgere su questa grande questione tutte le forze politiche rappresentate nel Consiglio regionale. Quindi io e il sindaco di Roma
abbiamo sottoscritto questo protocollo a fronte del lavoro svolto congiuntamente dalle due Commissioni.
Tale protocollo d'intesa si muove all'interno del quadro normativo vigente, costituito in primis dalla Costituzione, che all'articolo 114 riconosce Roma come capitale della Repubblica italiana e che all'articolo 117, commi terzo e quarto, enuclea le materie riservate alla competenza legislativa regionale, nell'ambito delle quali la regione Lazio individuerà le funzioni da conferire a Roma capitale.
Con tale protocollo regione Lazio e Roma capitale hanno stabilito la costituzione di tavoli tecnici e consultivi composti da rappresentanti di entrambe le amministrazioni, che nel frattempo hanno già avuto occasione di riunirsi con profitto, occupandosi sia di esaminare, ai fini dei prescritti pareri, questo secondo decreto legislativo di conferimento delle funzioni statali, sia di procedere a individuare ambiti di intervento della proposta di legge regionale per quanto concerne le funzioni di competenza regionale.
Tengo a dire che la regione Lazio ha già conferito funzioni amministrative, nella fattispecie alle province, proprio in virtù di questo processo di devoluzione e comunque di semplificazione amministrativa.
L'iniziativa legislativa regionale, secondo quanto previsto da questo schema di decreto, dovrebbe intervenire entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo stesso, sebbene la materia, come già evidenziato, sia complessa e probabilmente necessiterebbe di tempi più lunghi.
Tenuto conto della tempistica dell'iter consiliare e delle legittime esigenze di approfondimento e discussione, che nel corso dello stesso saranno avanzate da maggioranza e opposizione, dato che la questione trascende dall'appartenenza politica, ritengo che la regione Lazio possa sicuramente impegnarsi ad approvare la legge, anche se potranno presentarsi difficoltà a farlo nei tempi prescritti. Lo dico perché la tempistica è stata inserita nel decreto dal Governo, e novanta giorni possono apparire tanti, ma chi conosce le dinamiche non tanto dei tavoli tecnici, che già stanno operando, quanto dei consigli regionali capisce che è un tempo che potrebbe non rivelarsi congruo.
Circa l'individuazione delle competenze da attribuire, ritengo che uno dei parametri più semplici da prendere in considerazione sia rappresentato dalle province, anche in considerazione della futura istituzione della città metropolitana, non per semplificare o banalizzare l'importante compito che ci aspetta, ma proprio perché ci muoviamo all'interno dei princìpi fissati dalle leggi statali, che disciplinano i processi di organizzazione delle funzioni a livello locale.
Mi riferisco ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, che ci impongono di conferire le diverse funzioni tenendo in considerazione non solo la prossimità territoriale e funzionale dei centri decisionali ai cittadini interessati, ma anche l'idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente e le caratteristiche associative, demografiche, territoriali e strutturali della stessa.
La regione Lazio ha finora conferito le funzioni ai livelli provinciali proprio in applicazione di tali princìpi, ed è in questa prospettiva che appare corretto riservare a Roma capitale un nucleo minimo di funzioni nel quale siano necessariamente ricomprese quelle trasferite dalla legislazione regionale di settore in capo alle province.
L'intendimento regionale è, però, reso problematico dalle novità legislative. Adesso ho sentito il presidente, che parlava della presentazione, in una conferenza stampa, di una proposta di legge sul nuovo status delle province, e questo naturalmente inciderà sull'attività sia della Commissione, sia del consiglio regionale. Adesso vedremo che cosa succede...
PRESIDENTE. Non per interromperla, ma la proposta di legge poco influirà su Roma capitale in quanto tale, perché sul suo territorio vi sono oltre 500.000 abitanti e inoltre è area metropolitana.
RENATA POLVERINI, Presidente della Regione Lazio. In realtà, ho richiamato la
questione delle province, perché rispetto all'attuale assetto e al confronto già avviato anche con gli altri presidenti delle regioni all'interno della Conferenza, l'evoluzione della disciplina relativa alle province condizionerà le regioni che dovranno riorganizzarsi e riorganizzare il proprio territorio e di conseguenza le funzioni che in questo momento sono di competenza provinciale. Quindi, da questo punto di vista restiamo in attesa di capire quali saranno i futuri assetti istituzionali.
Al di là delle questioni di costituzionalità che le previsioni adottate possono suscitare, risulta difficile delineare il ruolo di Roma capitale nel sistema delle autonomie locali del Lazio, dovendo ripensare completamente l'organizzazione delle funzioni a livello locale. Adesso vedremo cosa succederà.
Per quanto riguarda specificamente il testo di questo schema di decreto legislativo, rilevo, come ben evidenziato nel dossier della Camera dei deputati che accompagna il decreto, la formulazione equivoca circa l'ordinamento della Polizia locale, attraverso l'improprio richiamo all'articolo 118, comma terzo, della Costituzione.
Nel ricordare che la competenza legislativa in materia di Polizia amministrativa locale, come da ultimo ribadito da recentissime pronunce della Corte costituzionale, rientra in quella residuale e quindi esclusiva della regione, vorrei invitare i competenti organi a meglio precisare tale passaggio normativo in coerenza con le rispettive competenze.
Mi avvio alle conclusioni, sottolineando come questo secondo decreto legislativo sia rispettoso delle competenze regionali, limitandosi a conferire funzioni esclusivamente nelle materie di competenza statale, sebbene la legge delega avesse individuato ambiti di materie molto ampi, tanto da includere materie di competenza regionale anche esclusiva.
Con la definizione dell'iter di questo schema di decreto, si compie un ulteriore passo in avanti verso una riforma di Roma capitale, su cui continueremo a operare con senso di responsabilità.
Concludo, quindi, ribadendo il totale assenso della regione sullo schema di decreto su Roma capitale adottato dal Governo, ricordando che i tavoli tecnici, istituiti sulla base di quanto previsto dal citato protocollo d'intesa, sono già operativi e arriveranno alla formulazione di una legge regionale condivisa in ordine al conferimento delle funzioni amministrative. Accettiamo il termine di novanta giorni nella consapevolezza che comunque i tempi legislativi di adozione del provvedimento da parte del Consiglio regionale devono essere tenuti nella dovuta considerazione.
PRESIDENTE. Grazie, presidente Polverini. Do la parola al presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti.
NICOLA ZINGARETTI, Presidente della Provincia di Roma. La ringrazio, presidente. Ringrazio la Commissione per questa opportunità. Anche la provincia ha seguito, non solo nell'Aula consiliare ma in una apposita Commissione presieduta da un rappresentante dell'opposizione, il procedimento di adozione sia dei decreti relativi a Roma capitale, sia degli altri decreti attuativi del federalismo fiscale.
Il Consiglio provinciale nel mese di dicembre ha approvato a larghissima maggioranza una mozione di sostegno rispetto alla scelta compiuta di adottare il secondo decreto, e di supporto allo sviluppo del processo di devoluzione a Roma, sulla base del riconoscimento delle specifiche funzioni di capitale.
Pur se il decreto non incide in alcuna forma sulle prerogative e sulle competenze relative alla provincia, abbiamo valutato l'adozione del secondo decreto su Roma capitale da parte del Governo come un fatto positivo, perché ha permesso il prosieguo di un'azione di riforma, che altrimenti rischiava di arenarsi e non riaprirsi più per molti anni. È stato un fatto sul quale comunque esprimiamo un giudizio positivo, perché non ha chiuso il processo di riforma.
Detto questo, guardiamo con grande interesse e confidiamo molto nel lavoro
della Commissione per migliorare il testo e rafforzarlo, perché a nostro giudizio appare ancora troppo proiettato a proporre nuove procedure, che dovrebbero permettere a Roma di procedere o concorrere all'assunzione di decisioni, piuttosto che prevedere direttamente il conferimento o il trasferimento effettivo di funzioni.
Da quello che abbiamo appreso e sulla base di quanto previsto nello schema di decreto, il trasferimento delle funzioni è in gran parte delegato all'attività, ai protocolli e alle scelte che farà la regione Lazio per ciò che rientra nella competenza regionale. Segnalo tuttavia che anche con riferimento alle funzioni di competenza statale, da trasferire a Roma capitale, il provvedimento non sembra contenere scelte concrete in tal senso.
Seguiremo quindi lo sviluppo dell'azione riformatrice con grande interesse e sostenendo il processo di devoluzione di funzioni e poteri nei confronti della capitale, che impegnerà, da un lato, la regione e, dall'altro, la Commissione parlamentare, con l'auspicio che il lavoro svolto da quest'ultima possa essere indirizzato a rafforzare alcune prerogative della città di Roma. Anche se non è nostro compito fornire indicazioni in tal senso, ne cito due a titolo di esempio.
È stata avanzata l'ipotesi - da valutare come un fatto positivo - di consentire la partecipazione di rappresentanti della capitale alle riunioni del CIPE, dove il comune di Roma rappresenterebbe gli interessi dell'intero Paese, quale capitale della Repubblica. Oppure, se ci riferiamo a un processo di riforma legato alle competenze peculiari connesse alla funzione di capitale, perché non pensare di conferire al comune di Roma una maggiore autonomia in termini di gestione e di utilizzazione delle risorse umane ampliando la potestà regolamentare? Mi riferisco ad esempio al Corpo dei vigili urbani, la cui attività è molto spesso condizionata dalle funzioni proprie di Roma, per la presenza delle istituzioni dello Stato, delle sedi diplomatiche e degli organismi internazionali.
Prevedere forme di rafforzamento dell'autonomia, che permettono di intervenire su questi temi sarebbe, a nostro giudizio, assolutamente auspicabile.
Infine, come in parte ha ricordato il presidente Polverini, reputo utile una riflessione su una novità legata all'approvazione del decreto Salva Italia, che all'articolo 23 segna l'apertura di un nuovo processo di riforma, che riguarda in particolare le Province. Ricordo infatti che l'articolo 23 - la cui formulazione ritengo sia da rivedere in quanto presenta alcuni elementi di dubbia costituzionalità - ha avviato a un'azione riformatrice, che prevede entro il mese di dicembre 2013 l'adozione di una legge statale che definisca l'assetto dei nuovi livelli di Governo degli enti di area vasta.
Come si incrocia questo processo di riforma con quello di cui stiamo discutendo? Ovviamente si aprirà in quel processo di riforma un confronto sul conferimento di competenze ora proprie delle province ad altri livelli di Governo, regioni o comuni, quindi anche all'ente speciale Roma capitale.
In secondo luogo, vi è una questione di carattere prettamente politico relativa al modello di governo delle aree metropolitane. È evidente che il superamento o l'indebolimento dei livelli di Governo di area vasta, che a mio giudizio costituirà un problema per tutto il Paese, pone anche sul tema di Roma capitale una nuova criticità.
Il processo di conferimento di poteri e funzioni amministrative a Roma capitale determinerà un nuovo assetto al momento circoscritto negli attuali confini del comune di Roma. Tale processo, unitamente al progressivo indebolimento del livello di Governo di area vasta che si verificherebbe a decorrere 2013, in assenza di azioni correttive, rischia di amplificare tutte quelle disfunzioni in termini di sviluppo del territorio, che già abbiamo in altre occasioni discusso in questa sede. Mi riferisco, ad esempio, alla pianificazione urbanistica, alla viabilità e alla mobilità.
In questo processo rafforziamo e ristrutturiamo quindi un'area attualmente
coincidente con i confini del comune di Roma, e indeboliamo tutti gli strumenti di Governo di area vasta che, già fragili, nell'attuale assetto delle competenze sono attribuiti alla provincia.
Da questo punto di vista è molto importante richiamare i punti essenziali della legge delega, non solo per l'esame di questo decreto ma anche e soprattutto nell'ambito più generale dell'analisi del processo di riforma federalista. Nel processo disegnato dalla legge delega, la devoluzione dei poteri a Roma capitale è collocata all'interno del percorso di definizione dell'ente città metropolitana, sia nella fase transitoria, nella quale i confini del nuovo ente coincidono provvisoriamente con quelli di Roma capitale, sia nella fase a regime, dove il legislatore, immaginando un progressivo ampliamento territoriale del nuovo ente, prevede espressamente che tutti i poteri e le funzioni devoluti a Roma capitale saranno assegnati in prospettiva anche alle altre città metropolitane che verranno via via istituite.
Non so come si svilupperanno i livelli dei diversi processi riformatori, ma mi preme ricordare che sin dal primo momento abbiamo chiarito che a nostro avviso il dibattito in corso sulle città metropolitane non può essere vincolante o condizionare negativamente l'avvio di un processo di riforma.
È però evidente che le peculiarità che caratterizzano l'area metropolitana della città di Roma - alcune ore fa l'emergenza neve ha riproposto il tema di come Roma sia ormai un continuum con la sua area metropolitana - in presenza di un processo di riforma dell'ente provinciale, che inevitabilmente indebolirà tutti i livelli di Governo di area vasta d'Italia, rende ancora più urgente l'avvio e la conclusione di un percorso che individui nell'area metropolitana l'unico livello di Governo, sostitutivo dell'attuale provincia e dell'attuale Roma capitale, come dimensione omogenea per lo sviluppo.
Segnalo, peraltro, che nel decreto Salva Italia, all'articolo 27, è lo stesso Governo che individua nelle aree metropolitane e nella dimensione provinciale gli ambiti ottimali per lo sviluppo locale del Paese.
Abbiamo quindi diversi processi di riforma, che individuano in queste dimensioni territoriali gli ambiti ottimali per lo sviluppo, per cui credo sia opportuno accelerarli per evitare che, dimenticandocene alcuni, creiamo poi delle discrepanze.
Come ho detto all'inizio del mio intervento, valutando come fatto positivo il prosieguo del processo di riforma federalista in atto il nostro auspicio è che nell'ambito della discussione che impegnerà innanzitutto il Parlamento si possano rafforzare tutti quegli aspetti finalizzati alla devoluzione delle competenze oggi spettanti allo Stato.
PRESIDENTE. Grazie per la vostra relazione. Do ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.
LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Sull'ordine dei lavori. Presidente, credo che ci sia un problema evidente: l'assenza del sindaco probabilmente per ragioni serie...
PRESIDENTE. Come ho ricordato all'inizio della seduta, l'incontro con il sindaco di Roma, a causa di impegni precedenti, era già stato pianificato per le 14,30. Comunque ci ha assicurato che non arriverà più tardi delle 15.
LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Non sfugge, con il rispetto che dobbiamo al presidente Polverini e al presidente Zingaretti, che non ascoltare il sindaco di Roma capitale, che si chiama già Roma capitale, almeno a noi come Partito Democratico crea un po' di imbarazzo.
PRESIDENTE. Noi sappiamo che sta per arrivare, ma d'altro canto non voglio neanche trattenere più del necessario il presidente Polverini e il presidente Zingaretti. Se quindi nel frattempo avete qualche domanda da fare, andiamo avanti. Diversamente, sospendiamo per qualche minuto la seduta sino a quando arriva il sindaco Alemanno.
I rappresentanti dei gruppi mi indicano che non ci sono problemi, per cui credo si possa proseguire in attesa del sindaco.
MARCO CAUSI. Grazie, presidente. Ringrazio molto il presidente Polverini e il presidente Zingaretti e anch'io sento per dovere istituzionale di scusarmi con loro per l'assenza del sindaco di Roma. Spero veramente che arrivi, perché un'occasione come questa, soprattutto dopo quello che è successo ieri e l'altro ieri sulla questione Olimpiadi, è un'occasione d'oro per discutere serenamente di cose importanti.
PRESIDENTE. Onorevole Causi, realmente non c'è un problema. Chiarisco che sono stato io a tentare di fare un'audizione nella quale fossero presenti contemporaneamente i tre soggetti istituzionali interessati. Il massimo che siamo riusciti a fare, compatibilmente con gli impegni di tutti, è stato di mettere insieme i Presidenti Polverini e Zingaretti, ma non siamo riusciti a mettere insieme il sindaco Alemanno. Originariamente avremmo dovuto sentirli addirittura singolarmente, quindi non c'è problema.
MARCO CAUSI. Presidente, me ne dispiaccio comunque perché si manca un'occasione. Due domande secche. Qui è inutile fare un discorso accademico. C'è un'amplissima letteratura costituzionalistica, che tra l'altro si è anche arricchita negli ultimi mesi e con la quale si potrebbe arredare un intero scaffale, sulla questione se sia lo Stato o la regione a dover intervenire nell'attuazione dell'articolo 114 della Costituzione concernente l'ordinamento di Roma capitale.
È stata scelta la strada che molto efficacemente e puntualmente il presidente Polverini ha illustrato. Rimangono tuttavia alcuni dubbi, ma può anche darsi che - vediamo anche come la pensa il relatore Leo -, nonostante tali dubbi, la Commissione possa condividere la soluzione dell'accordo interistituzionale firmato da comune, provincia e regione.
A tale proposito andrebbe valutata la possibilità di introdurre una clausola di salvaguardia, che intervenga, anche attraverso un futuro decreto integrativo e correttivo da adottare in conformità a quanto dettato dalla legge n. 42, nel caso in cui non dovesse essere attuato entro un congruo periodo di tempo quanto previsto nell'intesa raggiunta fra comune, provincia e regione. Vorrei quindi conoscere la vostra opinione su un'eventuale introduzione di una clausola di salvaguardia di questo tipo.
Sulla questione di Roma capitale bisogna pensare alle modalità di finanziamento delle grandi infrastrutture per l'area metropolitana di Roma, e penso soprattutto al settore dei trasporti indipendentemente da quello che è successo ieri. Tuttavia dopo l'esperienza di ieri la questione dei trasporti e della viabilità sembra, a mio avviso, assolutamente dirimente. Un ente come Roma capitale e in generale gli enti di area vasta, che ad esso probabilmente in futuro si accosteranno o succederanno, dovrebbero essere messi in condizione dal punto di vista ordinamentale - non pensiamo adesso alla copertura finanziaria - di giocare un ruolo di primo piano nelle decisioni sulle scelte infrastrutturali prioritarie per il Paese dei prossimi vent'anni. Ciò dovrebbe essere realizzato attraverso un'attività di investimento ordinaria e non straordinaria, che non richieda di ricorrere ai grandi eventi o a interventi urgenti, come sarebbe stato il caso dei giochi olimpici.
Dato che il problema finanziario emerso nella giornata di ieri riguarda essenzialmente il finanziamento pubblico destinato per metà alla rete metropolitana e per l'altra metà al trasporto regionale, non possiamo pensare che la decisione di ieri implichi che nessuno più si occuperà nei prossimi vent'anni di come sistemare le metropolitane e il trasporto su ferro dell'area metropolitana più importante d'Italia.
Questo decreto è l'occasione per fare qualcosa che, anche senza copertura finanziaria, attrezzi il territorio ad affrontare nell'ordinario i rilevanti impegni di
investimento che lo attendono nei prossimi anni. Anche su questo vorrei un parere di province e regioni.
PAOLO FRANCO. Ringrazio il presidente Polverini e il presidente Zingaretti per la loro presenza.
La mia è una preoccupazione, non una domanda, che deriva anche dall'intervento dell'onorevole Causi. Presidente, dicono che noi del gruppo della Lega siamo secessionisti, ma quando c'era da discutere dei decreti su Roma capitale, avremmo voluto dare il nostro contributo e volevamo darlo modestamente, ma non l'avete voluto (non lei, presidente, ovviamente i partiti), quindi vuol dire che non ci volete, che ci allontanate, non che ci volete coinvolgere nel processo di riforma del Paese.
Vi assumete quindi anche queste responsabilità. È la verità: ci avete respinti, non ci avete voluto in dispregio del Regolamento della Commissione, comunque non importa. Noi avremmo voluto dare il nostro contributo, che penso sarebbe stato anche equilibrato.
La mia preoccupazione deriva dal fatto che giustamente il presidente Polverini nel suo intervento ha sottolineato come questo secondo decreto legislativo sia rispettoso delle competenze regionali, ma contemporaneamente mi pare di aver sentito che qualcuno vorrebbe modificare in maniera strutturale il decreto, nei confronti del quale la regione Lazio ha espresso il proprio parere favorevole.
Ritengo che, prima di proporre e apportare queste modifiche radicali, dovrebbe esserci un nuovo confronto con la regione, per evitare che un parere favorevole espresso sul testo iniziale del decreto venga vanificato da un intervento di ampia modifica di quel testo, tutto da valutare, che possa far sorgere possibili profili di incompatibilità del decreto e del parere che andremo a formulare, rispetto alla legge delega e alla Costituzione stessa.
MAURIZIO LEO. Anch'io desidero ringraziare il presidente Polverini e il presidente Zingaretti per gli elementi che ci hanno fornito.
Desidero soffermarmi in particolare su una considerazione puntuale svolta dal presidente Polverini, quella legata ai tempi di attuazione del conferimento delle funzioni amministrative da parte della regione a Roma capitale.
Il presidente Polverini sostiene che il termine di novanta giorni, previsto dallo schema di decreto, risulta piuttosto breve, anche perché l'intero iter che verrà avviato sarà poi subordinato a una definitiva decisione da parte del consiglio regionale.
Vorrei sapere quindi se lei ritiene opportuno un ampliamento dei tempi previsti per l'adozione della legge regionale oppure, fermo restando il termine di novanta giorni fissato nel testo del provvedimento, si possa dare a tale termine una valenza ordinatoria e non perentoria, in modo che lo stesso Consiglio abbia un tempo più ampio per completare tutto l'iter.
Per quanto attiene agli aspetti tecnici del trasferimento delle funzioni amministrative vorrei sapere se le Commissioni al lavoro in sede regionale su queste tematiche si stiano già occupando dello sviluppo urbano, del problema dell'edilizia pubblica e privata, dell'organizzazione dei servizi di trasporto e della mobilità, come poc'anzi ha detto il collega Causi.
Al presidente Zingaretti, che ha accennato alle questioni collegate alla compatibilità della normativa recata dai recenti provvedimenti con le disposizioni sulle città metropolitane, chiedo se ritiene che nella Carta delle autonomie, attualmente all'esame della Commissione affari costituzionali del Senato, si possa realizzare quella stanza di compensazione e mediazione delle diverse esigenze, che sono state rappresentate. Grazie.
LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Ringrazio i nostri autorevoli interlocutori, però ribadisco ancora che l'assenza del sindaco è un problema serio, presidente. So che lei non ci può fare niente, presidente, però, siccome stiamo facendo ragionamenti politici, stiamo discutendo di una normativa di attuazione dell'articolo 114 della Costituzione, che recita che il comune di Roma
è la capitale della Repubblica, vorrei che rimanesse agli atti che stiamo discutendo di Roma capitale senza il sindaco della capitale.
Anch'io rafforzo il quesito posto dal relatore Leo per tre ordini di motivi. Bisogna capire se non convenga fare una pausa di riflessione e se questa pausa di riflessione non debba essere politicamente chiesta anche dai rappresentanti delle istituzioni che oggi ascoltiamo, perché il quadro politico è profondamente mutato.
Fino a ieri abbiamo lavorato non senza difficoltà, a volte anche con molta fatica, considerata la più rigida contrapposizione tra maggioranza e opposizione, al fine di costruire le condizioni per realizzare la più ampia condivisione possibile sulle decisioni della Commissione, come è accaduto quando è stato approvato il primo decreto, Diversamente oggi c'è un vasto aggregato che sostiene il Governo e quindi possiamo anche ragionare con una diversa sensibilità.
Secondo punto. Con riferimento ai recenti interventi legislativi riguardanti le province, ha ragione indubitabilmente il presidente Polverini che ciò in qualche misura modifica il quadro di riferimento. Terza e ultima considerazione, la più rilevante anche per i colleghi della Lega: in questi giorni stiamo ragionando su modifiche costituzionali, che dovrebbero soprattutto riguardare il numero dei rappresentanti di Camera e Senato, ma questo apre un percorso che all'occorrenza, se volessimo, potrebbe anche consentirci di puntualizzare qualcosa che fino ad ora non abbiamo puntualizzato e che ci costringe a ragionare all'infinito, ma sempre dentro un recinto.
Del resto, gira e gira, come abbiamo visto ieri, presidente, quando andiamo a toccare le competenze del comune di Roma, anche se la chiamiamo Roma capitale, anche se ci inorgogliamo, ci mettiamo come gli americani con il braccio sul cuore, è sempre un comune, quindi rimane all'interno del perimetro dell'ordinamento proprio dei comuni.
Se vogliamo ampliare le competenze da assegnare all'ordinamento comunale di Roma, dobbiamo intervenire sulla Costituzione. Io sono contrario, ma questo non conta. Però, se stiamo dentro la Costituzione, tutto il nostro ragionare è faticoso. Propongo con più forza quindi la mia domanda: è utile prenderci un tempo più congruo per riflettere e capire il processo di riforma in atto, sollecitando, compatibilmente con la programmazione dei lavori di Camera e Senato, un più ampio esame parlamentare, oppure vogliamo proseguire a occhi chiusi, sapendo che questo decreto poco aggiunge e poco modifica la sostanza attuale delle cose?
MARCO MARSILIO. La mia sollecitazione va nel senso esattamente opposto a quella del senatore D'Ubaldo. Penso che dopo parecchi decenni l'Italia abbia bisogno di una capitale con funzioni adeguate, e l'auspicio è che i tempi siano certi e rispettati.
Come prima cosa, ringrazio il presidente Polverini e il presidente Zingaretti per la loro relazione. Ritengo che lo schema che abbiamo di fronte risponda in maniera razionale a un quadro dato, che è quello della Costituzione, per cui sarebbe un errore tentare forzature rispetto all'attuale assetto costituzionale delle competenze.
Com'è noto alla base di questo decreto vi è un'intesa tra gli enti territoriali e locali interessati, che - con il pieno assenso della regione Lazio e seppure con delle osservazioni da parte della provincia di Roma - hanno correttamente individuato le rispettive competenze attribuendo alla regione Lazio il compito di attuare il trasferimento a Roma capitale delle funzioni amministrative che riterrà opportuno e adeguato nell'ambito delle proprie attribuzioni, quindi attraverso l'esame da parte del Consiglio regionale.
Bene ha fatto prudentemente il presidente Polverini a dire che l'approvazione della legge da parte del Consiglio regionale dovrà necessariamente richiedere tempi congrui. Raccomando comunque al presidente Polverini di esercitare fino in fondo la sua autorità e anche la sua capacità di mediazione politica, per consentire il rispetto
del termine di novanta giorni, affinché si realizzi il passaggio di dette funzioni amministrative a Roma capitale.
I limiti che vedo in questo decreto si riassumono nello scarso coraggio e determinazione in particolare dello Stato nel trasferire a Roma capitale competenze e risorse, perché, come viene giustamente sottolineato nella documentazione predisposta dagli Uffici della Camera dei Deputati, nello schema di decreto in esame non sono attuati tutti i criteri di delega recati dall'articolo 24 della legge n. 42 - che ricordo con una larga maggioranza abbiamo approvato nel 2009 - con particolare riferimento alla specifica previsione riguardante l'attribuzione di adeguate risorse finanziarie per Roma capitale.
Ad oggi, a parte il trasferimento di personale che segue le competenze, quindi gli uffici che vengono trasferiti, non c'è alcuna particolare risorsa aggiuntiva, che possa consentire alla capitale della Repubblica, che è un unicum in Europa per dimensioni territoriali, demografiche e stratificazioni storiche, di affrontare le difficoltà e le complessità del governo del proprio territorio, della propria popolazione e delle proprie funzioni con risorse adeguate. Affronteremo questa mancanza di coraggio in sede di discussione alla presenza del Governo, che dovrà principalmente rispondere di questo.
Nel frattempo, ringrazio gli enti territoriali che hanno portato avanti questo percorso, anche se con qualche difficoltà. Poiché è un percorso che ha alle spalle oltre cinquanta anni di dibattito, penso che sia tempo di porre un limite e arrivare finalmente alla definizione di un obiettivo da lungo tempo auspicato. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola al presidente della regione Lazio, Renata Polverini, per la replica.
RENATA POLVERINI, Presidente della Regione Lazio. Posso convenire sulla dichiarazione del senatore D'Ubaldo, perché Roma capitale forse la fa più lo Stato che la regione, per essere chiari. Credo che debba essere in primo luogo lo Stato a credere nello status di Roma capitale, altrimenti noi possiamo semplicemente trasferire, come stiamo facendo, funzioni amministrative per accelerare la definizione delle competenze di natura burocratica e amministrativa.
Su questo aspetto abbiamo raggiunto un'intesa tra gli enti interessati, partendo dal presupposto che la regione Lazio aveva già effettuato un processo di devoluzione a favore delle province.
Per quanto riguarda la clausola di salvaguardia, io stessa ho voluto inserire nel protocollo una previsione, in base alla quale nella legge regionale di conferimento delle funzioni amministrative sarà inserita una clausola di salvaguardia per la regione, perché le esperienze di devoluzione non sempre hanno velocizzato i tempi, ma a volte hanno complicato i processi. Quindi al fine di evitare ulteriori passaggi, ho chiesto che nel protocollo fosse previsto l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della regione Lazio nel caso in cui l'amministrazione di Roma capitale non eserciti le funzioni trasferite entro un tempo congruo che sarà stabilito dalla citata legge regionale. Pertanto, in caso di inerzia di Roma capitale protratta oltre un certo termine la regione sarà legittimata ad adottare gli atti che la situazione richiede.
Lo dico perché - il presidente Zingaretti lo può confermare - l'esperienza con le province non in tutti i casi ha funzionato bene. Quindi facendo di esperienza virtù e per evitare di creare un danno alla collettività, al di là delle istituzioni che rappresentiamo oggi, dobbiamo offrire ai cittadini un assetto diverso, che ci consenta di velocizzare e migliorare i servizi erogati sul territorio.
È vero che sono romana e ho sempre vissuto in una città che pensavo fosse già capitale d'Italia, come tutti, mentre oggi stiamo scoprendo che la dobbiamo costruire, ma questo appartiene alla storia del nostro Paese. Vorrei aggiungere inoltre che la regione Lazio, almeno da quando la guido io, non è stata di ostacolo ai processi infrastrutturali, tutt'altro.
Forse è anche il rapporto anomalo che negli anni passati c'è stato fra l'ente regione e il comune di Roma che ha generato meccanismi che non hanno agevolato o velocizzato i tempi di realizzazione di interventi infrastrutturali. Adesso ci siamo riappropriati del nostro ruolo di ente di programmazione, e sulla base di questo alcune grandi questioni stanno trovando una soluzione concreta anche dal punto di vista infrastrutturale. Se comunque si tratta di trovare un meccanismo, che garantisca processi più chiari e trasparenti attraverso un coinvolgimento più diretto degli enti interessati, non sarò certo io a impedirlo.
L'unica cosa che non potete chiedere è che la regione distrugga se stessa. Sono assolutamente consapevole del ruolo della regione, ma credo anche che Roma capitale debba avere tutto quanto è necessario per esercitare al meglio questo ruolo. L'intesa che abbiamo raggiunto rappresenta un punto di equilibrio tra queste due esigenze, nella consapevolezza del ruolo che la regione ricopre, ruolo che sto cercando di esercitare nel migliore dei modi, confrontandomi anche con il resto del territorio, al quale poi devo dare uguali risposte. Da questo punto di vista, quindi, vi è grande disponibilità da parte nostra.
Sui tempi dico con franchezza che chi vive in un'Assemblea legislativa come questa, chi ha esperienza di assemblee legislative come quelle regionali sa perfettamente che novanta giorni sono pochi. Da questo punto di vista non spetta a me dire se ne serviranno di più o se i tempi dovranno essere articolati meglio, però non ci prendiamo in giro: siamo persone mature e abbiamo tutti lo stesso obiettivo, per cui sappiamo che novanta giorni potrebbero non rivelarsi sufficienti.
PRESIDENTE. Grazie, presidente Polverini. Do la parola al presidente Zingaretti.
NICOLA ZINGARETTI, Presidente della Provincia di Roma. Solo un minuto, in primo luogo per chiarire che il protocollo siglato riguarda non tre enti, ma due enti ossia la regione Lazio e Roma capitale. Ci tenevo a precisare questo aspetto non per una polemica o perché vi siano problemi particolari, ma solo per dire che, essendo le materie in discussione di stretta competenza regionale, abbiamo condiviso tale soluzione anche per snellire le procedure. Abbiamo quindi convenuto insieme di promuovere un protocollo che coinvolga solo questi due livelli istituzionali.
Sul tema del finanziamento a Roma capitale, condivido totalmente il tema posto. Essendo pacifico che lo strumento attuativo dell'ordinamento di Roma capitale sia la legge statale, uno degli aspetti più qualificanti della fase di riforma in atto, non solo per la città ma per l'intero Paese, è rappresentato dal processo di modernizzazione della capitale, anche alla luce del fallimento del progetto delle olimpiadi che conteneva al suo interno anche un sostegno per importanti opere infrastrutturali.
Anche in momenti di ristrettezza economica-finanziaria, questo è un tema di assoluta rilevanza non solo per i cittadini Roma, ma per la funzione propria che Roma svolge nei confronti dell'Italia.
Non sta a me dire come risolvere questo problema, ma ho citato il caso del CIPE perché dobbiamo immaginare di incanalare le decisioni di investimento nell'ambito di un procedimento ordinario che garantisca nelle situazioni di normalità la realizzazione di progetti infrastrutturali e non solamente in momenti straordinari, come potevano essere le olimpiadi del 2020 con tutto il dibattito che ne è seguito.
Anch'io credo che la discussione sulla Carta delle autonomie possa essere un luogo utile per affrontare questi problemi. L'ho segnalato in questa sede perché è evidente che il problema non riguarda i singoli progetti di riforma, né i luoghi nei quali queste discussioni si affrontano, ma si tratta di volontà politica.
Con riferimento all'altro processo di riforma intrapreso dal legislatore, con l'articolo 23 del decreto Salva Italia, ritengo che tale processo, tra l'altro promosso con la totale contrarietà degli enti di cui stiamo
discutendo, le province, indebolisce, se non addirittura a mio giudizio elimina, gli enti di Governo e di gestione di area vasta del Paese, paralizzando l'attività amministrativa a livello statale.
Siamo infatti immersi in uno stato di incertezza sia sugli investimenti per il futuro, sia per dal punto di vista elettorale, dal momento che ci saranno enti eletti dai cittadini che nel 2013 verranno sciolti. Quindi, in una situazione di totale caos, volevo segnalare alla Commissione che c'è un altro grande problema aperto, che andrebbe affrontato e che avrà delle conseguenze sul tema, che stiamo discutendo oggi anche con il nostro sostegno, del rafforzamento di poteri e funzioni alla capitale.
Ciò renderà non più differibile affrontare la questione del Governo di area vasta, perché ad esempio con riferimento ai servizi aeroportuali della capitale, il problema dell'aeroporto di Roma, che si trova nel comune di Fiumicino, non riguarda solamente i cittadini di Fiumicino. Inoltre, i porti di Roma sono situati a Civitavecchia e a Fiumicino, i nuovi luoghi della produzione e dell'intrattenimento con Zoomarine si trovano nel comune di Pomezia, e potrei continuare con altri esempi.
Come ci è stato ricordato da autorevoli personalità politiche, quando a Roma nevica il traffico si può bloccare perché 600.000 persone la mattina entrano nella capitale e la sera tornano verso le loro case, non nel comune di Roma, ma nei 40-50 comuni limitrofi.
Il tema della mobilità, di cui abbiamo molto discusso, deve essere affrontato in una dimensione metropolitana, che è la dimensione naturale della vita delle persone, perché la dimensione della mobilità non è più dentro una città, ma riguarda ormai un'area più vasta che comprende i comuni limitrofi. Quindi, emerge la necessità di una concertazione e pianificazione del territorio e della mobilità, che noi abbiamo denunciato essere già debole con l'attuale assetto istituzionale e che a questo punto diventerà ancora più complessa, perché inevitabilmente scomparirà la forza o debolezza delle province (se si decide di superarle, si immagina una debolezza), in capo alle quali sono concentrate alcune importanti funzioni di pianificazione del territorio, per non parlare dell'urbanistica e via dicendo. Segnalavo questo aspetto perché credo sia importante e caratterizzato da una forte valenza politica.
Non ho espresso critiche negative sull'articolo di cui siamo discutendo, ma intendevo sottolineare esattamente ciò che ha affermato l'onorevole Marsilio nel suo intervento, ovvero l'assenza di coraggio dello Stato in relazione agli interventi che avrebbe potuto e dovuto attuare nell'ambito del processo di riforma in atto, con la consapevolezza del dibattito aperto sin dall'inizio su tali questioni. Alcuni ritengono che bisogna fare attenzione perché con la strada scelta della legge e dei decreti attuativi di più non si può fare e che il processo che si è aperto è sbagliato; altri, invece, sostengono che in questo processo di riforma vi sia solo un problema di volontà politica nell'assumere decisioni finalizzate a modificare l'attuale assetto delle competenze amministrative.
Questo però è un tema aperto sin dai nastri di partenza, sul quale ognuno ha detto la propria opinione. L'ente che rappresento a un certo punto ha deciso, visto che il processo era stato avviato, di impegnarsi per ottenere il massimo risultato possibile, ma leggendo il secondo decreto su Roma capitale non posso fare a meno di notare la sua fragilità e la pochezza di intervento, che inducono a riflettere su quanto ciò invece fosse un problema originario, che ci porterebbe a rimettere le lancette indietro, ma non è questo il mio obiettivo.
PRESIDENTE. Non credo che sia possibile. Ringraziamo il presidente Polverini e il presidente Zingaretti perché le argomentazioni svolte sono per noi estremamente utili.
Sospendiamo minuti brevemente la seduta, in attesa del sindaco.
La seduta, sospesa alle ore 15,05, è ripresa alle ore 15,10.
PRESIDENTE. Saluto il sindaco Alemanno. Colgo l'occasione per salutare e presentare ai colleghi che non la conoscessero l'assessore Rosella Sensi, che è proprio l'assessore, tra l'altro, all'assetto istituzionale di Roma capitale della giunta del sindaco Alemanno, e il segretario generale del comune, dottor Liborio Iudicello.
Do la parola al sindaco Alemanno.
GIANNI ALEMANNO, Sindaco di Roma capitale. Grazie, presidente, signori parlamentari, chiedo scusa, ma il mio intervento era stato programmato per le 15.
Questo secondo decreto legislativo su Roma capitale è chiaramente un passaggio molto importante per la nostra città. Sostanzialmente, questa importanza deve essere misurata anche in relazione con il contenuto del primo decreto legislativo, e dei criteri di delega della legge n. 42 approvata ormai da molto tempo dal Parlamento.
Il primo decreto legislativo ha affrontato i temi della organizzazione interna della città, disciplinando il passaggio della denominazione da comune di Roma a Roma capitale. Il 20 settembre 2010, pochi giorni dopo l'emanazione del decreto legislativo n. 156 del 2010, la cerimonia tenutasi in Campidoglio con la presenza solenne del Capo dello Stato, testimonia l'importanza di questo passaggio.
Con lo schema di decreto in esame si entra nel tema più delicato dei poteri, di quali siano gli elementi necessari affinché si possano realizzare nel concreto i presupposti per l'esercizio delle funzioni proprie di Roma capitale, ossia una governance adeguata alla complessità della nostra città.
Il tema della complessità - permettetemi di ricordarlo, anche se lo conoscete bene - è dato da due elementi. Innanzitutto le dimensioni. Roma è di gran lunga il comune più grande d'Italia, è il doppio rispetto al secondo comune in termini di popolazione ed è ancora più grande in termini di estensione. Quindi, si tratta di una realtà geografica, territoriale e demografica estremamente importante.
Insieme a questo ha la funzione di capitale, una funzione che di per sé determina una serie di costi, di problemi, di difficoltà di funzionamento, che rappresentano un ulteriore onere rispetto a una città che nel corso degli anni dall'unità nazionale ad oggi è cresciuta in maniera non regolata.
La caratteristica di Roma sin dal momento in cui assunse il ruolo di capitale della Repubblica è proprio quella di crescere senza una vera pianificazione, non solo a causa al fenomeno dell'abusivismo, ma per ragioni di carattere generale, dal momento che l'espansione territoriale della città non è mai stata realmente pianificata dal 1870 ai giorni nostri. Si tratta quindi di una città complessa, vasta, che deve confrontarsi con i problemi associati a una dimensione territoriale molto estesa.
Non solo: permettetemi di concludere questa premessa, ricordando che Roma è tra i principali poli diplomatici del mondo (il terzo dopo New York e forse Ginevra), sul quale si trovano tre Ambasciate per ogni Paese, vi è la presenza di uno Stato estero come la Città del Vaticano e sul quale si svolgono molte funzioni legate alle attività del polo agroalimentare dell'ONU che ha sede a Roma, con un impatto veramente significativo.
Questo schema di decreto legislativo in termini di risorse e di poteri non si traduce nel riconoscimento di privilegi per la città di Roma, ma significa esigere un equilibrio reale tra le funzioni, i costi oggettivi del funzionamento di questa città e i compiti che essa svolge come capitale dello Stato italiano. Questo riequilibrio rientra pienamente nei parametri e negli obiettivi della riforma federalista, il cui scopo finale è quello di abbandonare il criterio della spesa storica, uscendo dal tracciato tradizionale del rapporto fra enti locali e Stato per entrare in una fase nuova, in cui i poteri e le strutture di ogni realtà locale siano adeguate e dimensionate in base alle sue reali funzioni.
Siamo stati tra i primi ad accettare di collaborare con l'IFEL per la sperimentazione sull'individuazione dei costi standard di ogni funzione, di ogni servizio presente nella nostra città con l'obiettivo di superare la spesa storica, in quanto riteniamo che questa rappresenti la strada giusta. Il percorso intrapreso non è finalizzato a innescare prove di forza o creare tensioni fra le diverse realtà territoriali, ma a individuare esattamente i costi, i problemi e le difficoltà di ogni città, con il fine ultimo di formulare risposte sia dal punto di vista ordinamentale, sia sotto il profilo delle risorse.
Fatte tutte queste premesse, osserviamo che lo schema di decreto in esame, così come è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, è assolutamente definito e condivisibile, e deve essere completato con una legge regionale che stabilisca le funzioni amministrative che dovranno essere trasferite a Roma capitale da parte della regione Lazio.
La regione ha giustamente rivendicato - penso che il presidente Polverini lo abbia già detto nella sua audizione - la propria autonomia legislativa, costituzionalmente garantita. Quindi, il trasferimento delle funzioni amministrative di competenza regionale avverrà con una legge approvata dal Consiglio regionale, anche sulla base delle risultanze del tavolo di lavoro già istituito tra Roma capitale e la regione Lazio, in maniera tale che non ci sia un'interferenza statale nei rapporti tra i due enti.
Alcune cose devono però essere riviste o ritoccate nell'assetto delle competenze fra Roma capitale e lo Stato, e su questo vorrei concentrare l'aspetto propositivo del mio intervento. Voglio innanzitutto sottolineare un fatto, che in realtà è una conferma. Sul versante dei beni storici e artistici, fluviali e ambientali, a mio avviso, è stato trovato un giusto equilibrio, perché non si interferisce sulla tutela dei beni artistici, ma nello schema di decreto si fa riferimento alla valorizzazione, da realizzare in modo adeguato attraverso un coordinamento fra sovrintendenze.
Vorrei tuttavia porre l'attenzione su alcuni aspetti paradossali, che chi vive a Roma conosce, fra la parte di patrimonio gestito da Roma capitale e la parte gestita dallo Stato. Questi paradossi sono evidenti nel fatto ad esempio che i Fori Romani sono gestiti dallo Stato e i Fori imperiali, che stanno al di là di via dei Fori imperiali, vengono gestiti dal comune, e queste due realtà non comunicano fra di loro. Un turista che entrava da una parte, poi doveva uscire e rientrare dall'altra senza alcun coordinamento fra le due realtà. Da qualche anno abbiamo superato questa anomalia, abbattendo il muretto che li divideva, però l'abbiamo fatto per volontà comune di Roma capitale e del Ministero, ma sono tante le situazioni di questo genere e tante sono le difficoltà che si incontrano per realizzare una valorizzazione con una strategia comune.
L'istituzione della Conferenza delle soprintendenze non significa sottrarre qualcosa al potere statale, che noi riconosciamo in termini di tutela, ma creare il luogo dove stabilmente condividere una strategia comune di valorizzazione, garantendo che questo enorme patrimonio della città venga giustamente non solo valorizzato, ma anche tutelato attraverso un coordinamento che per Roma rappresenta un fatto assolutamente decisivo.
Confermo quindi la validità di questo organismo di coordinamento, che tra l'altro è stato definito insieme al Ministero dei beni culturali e non incontra vere difficoltà, al di là di polemiche fra apparati diversi dello Stato o funzioni diverse.
Sottolineo anche un altro aspetto che invece va integrato: quello relativo al Teatro dell'Opera di Roma. Recependo tra l'altro un'istanza che veniva non solo dalla Sovrintendenza del Teatro dell'Opera di Roma, ma anche dai lavoratori del teatro stesso, abbiamo previsto che si riconosca un ruolo e una referenza di carattere nazionale al Teatro dell'Opera di Roma.
Questo però ci ha esposto all'osservazione relativa all'Accademia nazionale di Santa Cecilia, secondo cui analoga prerogativa dovrebbe essere riconosciuta al medesimo ente. Roma ha la fortuna di avere
due grandi fondazioni lirico-sinfoniche in città, e bisogna che a entrambe venga riconosciuto un ruolo e una referenza nazionale nello svolgere la loro attività.
Si tratta di fare in modo che sia l'Accademia di Santa Cecilia che il Teatro dell'Opera di Roma possano essere aiutate, supportate e riconosciute nella loro funzione dal momento che svolgono anche attività di carattere statale. Spesso, infatti, il Capo allo Stato e il Capo del Governo si avvalgono di queste grandi realtà anche per manifestazioni ufficiali e interventi che rivestono carattere internazionale. Occorre quindi trovare il modo di tenere in considerazione le due realtà dell'Accademia di Santa Cecilia e del Teatro dell'Opera di Roma, come evidenziato dall'Accademia stessa.
Per quanto concerne la definizione dei costi necessari per finanziare le funzioni proprie della capitale, propongo che nel testo del decreto sia previsto un sistema trasparente che permetta attraverso l'attività di un soggetto indipendente di stabilire scientificamente, in maniera oggettiva quali siano i costi che la capitale deve sostenere anche al fine di verificare se i trasferimenti storici, che rispecchiano l'attuale equilibrio economico-finanziario fra Stato e Roma capitale, siano sufficienti per coprire questi costi.
Se infatti, in base ai principi dettati dal federalismo fiscale, Roma, in quanto comune con un determinato numero di abitanti, ha diritto a un certo livello di trasferimenti al pari di tutti gli altri Comuni, bisogna domandarsi se queste risorse siano in grado di finanziare le funzioni che la città svolge come capitale, anche a prescindere dalla variabile demografica. Questo è un tema da affrontare non in chiave politica, ma in chiave tecnica, effettuando precise verifiche.
Sotto il profilo finanziario solleciterei una riflessione sulla legge n. 396 del 1990, la prima legge su Roma capitale, che dal punto di vista legislativo ha compensato il vuoto normativo circa il un riconoscimento di uno status speciale per Roma. Si tratta della legge, che esiste ormai da più di vent'anni, in base alla quale sono stati riconosciuti finanziamenti aggiuntivi a Roma capitale.
Oggi questa legge dovrebbe essere rivista, facendo due cose, riconoscendo in primo luogo che i finanziamenti di questa legge non possono essere conteggianti nel Patto di stabilità interno, perché, se traggono il loro fondamento dal riconoscimento del ruolo di Roma capitale e del fatto che essa deve essere dotata di infrastrutture adeguate, questi finanziamenti devono rientrare nel computo del Patto di stabilità nazionale.
Anche sul versante procedurale, la cosa più semplice per fare in modo che ci sia un coordinamento fra le procedure locali e quelle nazionali è riconoscere una partecipazione diretta di Roma capitale alle riunioni del CIPE, in maniera tale che vi sia un rapporto diretto sul versante della programmazione. Questa idea, sulla quale ci siamo già confrontati anche con l'onorevole Causi, mi sembra giusta, con la precisazione che siamo disponibili anche ad altre soluzioni che abbiano l'obiettivo di snellire questo tipo di procedimenti.
Poi c'è il problema del cosiddetto «federalismo patrimoniale», che negli anni passati ha generato un lungo dibattito sul trasferimento dei beni demaniali statali non utilizzati. Alcuni di questi sono stati effettivamente trasferiti, e adesso si tratta di fare un passaggio anche in consiglio comunale. È stato uno scambio alla pari: abbiamo dato alcuni beni nostri che non venivano utilizzati per caserme e altre funzioni statali e in cambio lo Stato ci ha trasferito dei beni che non utilizzava.
Credo che anche per venire incontro alle necessità e alle funzioni di Roma capitale, i beni demaniali, che stanno sul nostro territorio e hanno funzione soltanto locale e quindi un utilizzo non statale, dovrebbero essere trasferiti a Roma capitale.
In particolare, faccio riferimento all'EUR SpA, uno stranissimo organismo per il 90 per cento del Tesoro e per il 10 per cento del comune di Roma in termini di partecipazione azionaria, che comprende beni di esclusiva competenza cittadina, che
non hanno funzioni o ruolo di carattere nazionale, non escono fuori dal limite dell'EUR o comunque della città. Il trasferimento di questi beni potrebbe contribuire al riequilibrio delle risorse prima citato.
Questi sono i temi principali che ci permettiamo di rappresentare alla vostra attenzione come possibilità di correttivo dello schema di decreto legislativo in oggetto. Concludo questo mio intervento dicendo che sicuramente la fisionomia complessiva di Roma capitale si vedrà a valle della legge regionale e della definizione della Carta delle autonomie, dove è affrontato il grande tema delle città metropolitane.
In base a quello, si vedranno anche i rapporti fra Roma e la provincia di Roma, in via di scioglimento o di trasformazione, e quindi si completerà il disegno generale, anche perché non escludiamo l'idea di una Roma capitale che divenga Città metropolitana. Non vogliamo che la Città metropolitana divenga uno strumento per impedire il passaggio a Roma capitale, anzi siamo convinti che, una volta che Roma diventerà completamente Roma capitale, sarà più facile aggregare altri comuni della provincia nel progetto complessivo della Città metropolitana.
Bisogna quindi completare questo disegno: l'approvazione di questo secondo decreto ci consente di raggiungere l'obiettivo di completare questo processo con l'approvazione dello Statuto di Roma capitale entro aprile del 2013, quando si andrà a nuove elezioni.
Con le nuove elezioni, noi saremo in grado di varare definitivamente la fisionomia di Roma capitale e di consegnare a questa città, al di là di chi la governa di volta in volta, un più trasparente rapporto fra cittadini e governo della città. Questo particolare e strano rapporto tra l'aspettativa di essere capitale e il peso notevole che questo genera deve trovare un punto di equilibrio.
Spesso si afferma che Roma ha la grande fortuna di essere capitale e molti ospiti sono ormai diventati cittadini romani, ma vi posso garantire che coloro che vivono, lavorano e producono nella città, e sono tantissimi, anche a prescindere dai Ministeri e dalle funzioni statali, devono sopportare un peso notevole in termini di traffico, di vita quotidiana, di attività, e che sopportano di buon grado, consapevoli di essere nella capitale.
Dobbiamo quindi trovare un punto di equilibrio su questo versante, altrimenti questa città sarà destinata ancora per tanti anni a crescere male, e questo non conviene a nessun cittadino romano e soprattutto a nessun cittadino italiano.
PRESIDENTE. Grazie, signor sindaco, per queste puntuali precisazioni anche in ordine a possibili modifiche del decreto, di cui sicuramente faremo tesoro.
Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MAURIZIO LEO. Grazie, presidente. Anch'io ringrazio il sindaco Alemanno per le puntuali osservazioni che ha svolto in ordine ad alcuni punti, che possono formare oggetto di precisazioni e di ulteriori puntualizzazioni.
Vorrei ripercorrere le sue considerazioni. Per quanto concerne la valorizzazione dei beni di interesse storico, archeologico e artistico, nel testo normativo viene istituita questa Conferenza delle soprintendenze. Si può notare un certo sbilanciamento tra le strutture di Roma capitale e le strutture nazionali, perché, a fronte della sovrintendenza comunale, ci sono quattro o cinque sovrintendenze dello Stato centrale.
Posto che esiste un organismo all'interno della regione, che è quello del direttore regionale dei beni culturali, si potrebbe snellire questo assetto e avere come interfaccia del comune di Roma capitale solamente la struttura regionale. Ovviamente il responsabile dalla struttura regionale si avvarrà dei tecnici competenti delle altre amministrazioni statali.
Un altro aspetto segnalato dal sindaco è la differenza tra la tutela e la valorizzazione del patrimonio, perché nel dettato normativo, in conformità con la Carta
costituzionale, si fa riferimento solo alla valorizzazione, eccezion fatta per un paio di passaggi che attengono al rilascio di autorizzazioni. Anche lì forse si può venire incontro alle istanze che sono state rappresentate dal Ministero dei beni culturali, in particolare dal Presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, professor Carandini, per venire incontro alle esigenze rappresentate.
Quanto al Teatro dell'Opera e alla Fondazione musicale Santa Cecilia, è giusto che i due organismi vengano posti sullo stesso piano, quindi considero opportuno prevedere una norma in questo senso.
I costi della capitale rappresentano un tema molto rilevante, perché tutta una serie di spese e di costi non riguarda nello specifico il territorio di Roma e la realtà di Roma capitale, ma la città in quanto sede di rappresentanze diplomatiche, di organi costituzionali, per cui sono costi che riguardano l'intero territorio nazionale.
Bisogna riuscire a quantificare questi costi, e penso che l'esperienza da seguire sia quella che stanno facendo la SOSE e l'IFEL con l'individuazione dei costi standard per gli enti locali. Ci si può quindi rifare a quel meccanismo per quantificare i costi, salvo poi finanziarli, perché il problema reale è legato al finanziamento di queste spese.
La legge n. 396 del 1990 deve essere sicuramente rivista, è una legge che non viene più finanziata, che però deve subire un restyling almeno per le procedure e per i tempi di esecuzione. Per quanto riguarda infine il federalismo patrimoniale, l'articolo 24, comma 7 della legge delega non viene attuato. Questo è il convitato di pietra di tutto lo schema di decreto e dell'insieme di provvedimenti da esso previsti, perché non ci sono adeguate risorse a fronte delle funzioni e dei compiti attribuiti.
Quando parliamo di beni da trasferire, ci riferiamo sia ai beni immobili, sia a partecipazioni, come è il caso di EUR Spa. È vero che la società ha una partecipazione asimmetrica, il 90 per cento è dello Stato, il 10 per cento è del comune di Roma, quando poi gli asset sono concentrati sul territorio comunale.
Considero quindi opportuno inserire nel testo normativo la possibilità di trasferire alcuni beni e partecipazioni a Roma capitale, nel caso in cui si tratti di beni non strategici per lo Stato.
LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Ribadisco che il problema della presenza del sindaco era per noi importante, perché stiamo discutendo di questo, quindi era soltanto un problema di funzionalità del nostro dibattito.
Partiamo da punti diversi, ma adesso siamo in una fase di audizioni, quindi sintetizzo le premesse per andare rapidamente alle domande. Devo però premettere di essere molto perplesso sulla consistenza di questo secondo decreto, che conferma la fragilità di tutta questa operazione, che ha come origine un punto oggettivo che limita il nostro operare, perché la Carta costituzionale del 2001 e il dettato normativo dell'articolo 114 non ci permettono di andare oltre la definizione «ontologica» di Roma capitale come comune.
Rimane un comune e rimane all'interno dell'ordinamento comunale, quindi non credo che questa sia una questione aggredibile sul piano della nostra retorica. La domanda quindi serve a me strumentalmente, mi permetta il sindaco, per capire se nel corso di tutta questa faticosa opera di risistemazione del quadro legislativo egli si sia fatto un convincimento diverso in relazione allo status giuridico di Roma capitale. In particolare, vorrei capire se il sindaco ritiene che alla fine di questa attività si possa giungere a una realtà di Roma capitale non più classificabile come comune, perché può darsi che io non dia un giudizio corretto, ma rimanga affezionato alle mie tesi.
Per quanto riguarda il finanziamento delle funzioni di Roma, siamo tutti d'accordo, anche se sappiamo bene che in questa fase, per le scelte generali del Paese e per gli orientamenti del Governo, questo esercizio ha un valore ricognitivo, considerando
anche che come Commissione parlamentare realisticamente non abbiamo la forza di sostenere che, una volta identificati i costi, possiamo individuare gli enti cui imputarli. Faccio osservare al sindaco che, come a lui naturalmente non sfugge, identificare i costi di investimento e dire che sono fuori dal Patto di stabilità del comune, non significa che siano fuori dal Patto di stabilità tout court, perché per Bruxelles è indifferente chi faccia un investimento, che significa un debito, sia esso il comune di Roma o lo Stato.
A meno che non lo facciamo in via ricognitiva, quindi per le future generazioni, in questa fase, in cui addirittura il Governo blocca la tesoreria unica per risparmiare e per fare cassa, dobbiamo immaginare un'operazione per la quale gli investimenti sono a carico dello Stato, in un momento in cui lo Stato sia realmente in condizione di farlo. Ho l'impressione che politicamente non sia molto facile.
Su EUR Spa faccio questa osservazione, che deriva dal fatto che abito all'EUR e quindi sono informato per ragioni ambientali. L'EUR Spa è una società per azioni che ha utilizzato gli immobili come garanzia per i debiti assunti nei confronti delle banche. Si tratta quindi di un patrimonio largamente compromesso dal punto di vista finanziario, ma questo è un problema della gestione di EUR Spa. Si potrebbe anche pensare allo scioglimento della società per azioni, la cui procedura regolata dal codice civile non è immediata, e trasferire al comune di Roma un patrimonio gravato da ipoteche. In questo modo, tuttavia, si scarica sulla gestione comunale un altro debito da pagare. Oppure lasciamo il debito allo Stato? Dobbiamo chiarire questi aspetti.
La proposta non mi convince molto, perché è vero che nel decreto sulle liberalizzazioni è stata introdotta una norma, secondo me un po' bislacca, in base alla quale adesso con gli immobili dei comuni facciamo i bond. Vorrei capire bene come funziona questo meccanismo e mi affido anche alla saggezza di un segretario generale di lungo corso come Iudicello, perché fino ad oggi le decisioni di investimento sono state assunte ignorando il patrimonio del comune: infatti non viene dato a garanzia il patrimonio, ma è il comune che con la sua credibilità finanziaria può investire.
Una volta poteva investire fino al 25 per cento dei primi tre titoli del bilancio, oggi tutto questo è saltato, c'è il patto di stabilità e può investire fino a un certo punto, ma non si danno in garanzia gli immobili. Non so come funzioni, ma mi chiedo allora a che servano questi immobili che deriverebbero dall'EUR Spa.
Secondo me con lo schema di decreto in esame facciamo un'operazione che rischia di creare un pasticcio invece di risolvere ciò che non funziona, ma questo lo dico da parlamentare di questa città, da cittadino di questa città, da persona che, nei limiti del possibile, vuole concorrere a dare un futuro più importante e più degno alle sorti di questa nostra capitale.
MARCO CAUSI. Innanzitutto la ringrazio, sindaco, perché la sua relazione conferma il mio giudizio, e cioè che l'attuale testo del decreto sia molto insoddisfacente e fragile, quindi debba essere rafforzato.
La ringrazio anche perché ho visto che ha fatto sue, citando la fonte, molte proposte emerse in un seminario dello scorso lunedì 6 febbraio, cui hanno partecipato anche altri colleghi presenti e l'assessore Lamanda, che ancora ringrazio. Si è quindi innescato un proficuo circuito di comunicazione fra gli esiti di questo seminario e le riflessioni che oggi il sindaco, con il contributo dei suoi collaboratori, ci ha proposto. Me ne compiaccio molto, perché è così che si lavora ed è anche questo il modo in cui in Commissione bicamerale abbiamo sempre lavorato. Nei giorni successivi ho distribuito i materiali di quel seminario a tutti gli interessati, anche ai funzionari della Commissione bicamerale, e sono molto contento che oggi possano diventare un terreno di lavoro per tutti.
Qui, però, presidente La Loggia, rispetto a quello che dicevamo anche poco fa, quando erano con noi il presidente Zingaretti e il presidente Polverini, forse
occorre più tempo. Se conveniamo tutti sul fatto che il testo del decreto è povero di contenuti, è fragile - soprattutto dopo quello che è successo ieri -, se conveniamo di fare uno sforzo concorde insieme al Governo, in questa fase nessuno di noi deve essere ossessionato dalla tempistica, nemmeno il Governo che dovrà darci risposte impegnative, che non possono essere liquidate in poche ore. Ritengo quindi che sia preferibile avere a disposizione qualche giorno di tempo in più e riflettere serenamente, in modo non nervoso, per cercare di rafforzare il decreto.
Sul Teatro dell'Opera e sull'Accademia di Santa Cecilia vorrei capire perché il conferimento al comune delle sole funzioni di vigilanza faciliterebbe questi organismi. L'articolo 5 conferisce infatti al comune le sole funzioni di vigilanza, creando a quel punto un problema di riforma degli Statuti di questi organismi, perché, essendo il comune anche socio fondatore delle due fondazioni, diventerebbe al tempo stesso controllore e controllato, cosa di cui poi bisognerebbe tener conto nella governance di questi organismi.
A me risulta che, ai fini dell'acquisizione della qualifica di fondazione lirico-sinfonica, sulla base delle disposizioni introdotte ai sensi del cosiddetto decreto-legge Bondi, contino vari parametri gestionali, patrimoniali e di attività. Esiste infatti una procedura attivabile presso il Ministero per i beni culturali, che se è il comune a vigilare non credo venga modificata o la Fondazione musicale Santa Cecilia e il Teatro dell'Opera abbiano maggiori probabilità di diventare fondazioni speciali. Suggerirei pertanto di approfondire questo aspetto, ma mi pare che riguardo all'obiettivo indicato dal sindaco la norma del decreto non sia adeguata.
Sulla questione dei costi di Roma capitale sono d'accordo con il relatore Leo, perché mi pare che su questo si debba lavorare. Pensavo, onorevole Leo, che per avere il massimo dell'indipendenza nella valutazione di questi costi potrebbe essere opportuno rivolgersi all'ISTAT come soggetto indipendente piuttosto che alla SOSE, che coinvolgemmo quando c'erano da fare stime econometriche, ma in questo caso non ci sono da stimare equazioni su ottomila Comuni. Visto che si tratta di fare un lavoro di ricostruzione di costi micro (quanto costa la polizia municipale, quanto l'AMA, quanto un determinato servizio pubblico), è più rilevante il carattere dell'indipendenza, quindi forse l'ISTAT. Ragioniamoci.
Infine, l'unica vera domanda, sindaco. Qualche giorno fa, il 2 febbraio, il Governo ha risposto a una mia interrogazione a risposta immediata in Commissione bilancio alla Camera sulla gestione commissariale del debito pregresso del comune di Roma. Nella risposta, che può trovare agli atti, il Governo ha ammesso che la normativa sul Piano di rientro del comune non prevede l'obbligo di pubblicare il rendiconto, e che «in ossequio a un principio generale di trasparenza amministrativa, potrebbe essere valutata l'opportunità di adottare forme di pubblicità del rendiconto». Vi informo che come relatore lo proporrò in questo provvedimento.
Sempre in risposta a quella interrogazione, il Governo ha reso noto che il commissario per la gestione del debito ante 2008 ha attualmente bisogno di un finanziamento di circa 4 miliardi di euro, di cui 3 a lungo termine e 1,4 a breve termine. Ho già posto al Governo in sede di question time la domanda che vorrei riproporre adesso Il contributo annuo su cui il commissario può contare, pari a 500 milioni di euro, di cui 300 a carico della finanza statale e 200 a carico del contribuente romano, non appare eccessivo a fronte di un fabbisogno pari a 4,4 miliardi?
Mi domando quindi e domanderò al Governo se dal punto di vista finanziario non sia più efficiente riunificare le due gestioni, fermi restando il monitoraggio e tutte le schermature in termini di calcolo dei parametri del patto di stabilità, che attualmente vigono per il piano di rientro.
L'impressione è che paradossalmente, mentre noi dovremo fare di tutto per trovare meccanismi per finanziare i costi della capitale, la gestione finanziaria del piano di rientro abbia qualche margine,
che, se riunificato con il bilancio ordinario del comune, permetterebbe al comune una gestione finanziaria più efficiente. Questo è un ulteriore tema che pongo alla riflessione della Commissione.
Mi rimetterò naturalmente alla risposta del Governo e della Ragioneria generale dello Stato, ma volevo domandare se il sindaco sia disponibile a verificare con noi questo percorso di lavoro, insieme al Governo e alla Ragioneria generale dello Stato.
MARCO MARSILIO. Signor presidente, con i nostri interlocutori precedenti avevo già fatto presente una considerazione e alcuni rilievi.
Ritengo che questo decreto sia impostato su un piano di sano e obbligato realismo. Non abbiamo modificato la Costituzione, siamo in presenza di una legge ordinaria, le competenze sono distribuite in maniera chiara e incontrovertibile tra vari livelli istituzionali, quindi è ovvio che bisogna rispettare le competenze e le autonomie dei diversi livelli di governo.
In particolare, il grosso delle questioni (trasporti, urbanistica, edilizia privata e pubblica) rientra nelle competenze della regione e ci attendiamo che la regione in tempi ragionevoli (non in novanta giorni, come realisticamente ci è stato già anticipato, perché tutti sappiamo quanto ci vuole a legiferare) porti a conclusione questo processo.
In linea generale, rispetto ad alcuni rilievi mossi dai colleghi, rivendico invece la necessità - e voglio stimolare tutte le istituzioni, compresa Roma capitale, a esercitare la propria iniziativa - di giungere entro la fine di questa Legislatura, che coincide anche con la fine della consiliatura di Roma capitale, alla definizione di questo passaggio.
Questo ovviamente non esaurisce l'argomento, perché, come sappiamo, in questo schema di decreto non c'è sostanzialmente nulla. Bene ha fatto il sindaco a chiedere alla Commissione di rafforzare questo decreto sul piano degli aspetti finanziari e patrimoniali, perché non si prevedono risorse per la capitale.
A seguito delle dichiarazioni del sindaco, faccio presente che, se dessimo davvero attuazione al principio del costo standard, Roma non solo non avrebbe debiti e non avrebbe bisogno di chiedere niente a nessuno, ma sarebbe forse l'ente territoriale più ricco d'Europa. Sarebbe infatti sufficiente fare qualche calcolo sommario delle infrastrutture presenti sul suo sterminato territorio, sul quale risiede una popolazione che è più del doppio di quella del secondo comune d'Italia in termini demografici. Occorre inoltre considerare che il secondo comune d'Italia è otto volte più piccolo della capitale in termini di estensione territoriale.
Da un rapido calcolo di cosa significhi in termini di costi di manutenzione delle infrastrutture, di chilometri quadrati di strade, di giardini, di scuole, di linee, di reti, di fognature è facile prevedere quanto lo Stato dovrebbe dare alla capitale per l'ordinaria manutenzione.
Per questo motivo penso che bene abbia fatto l'Amministrazione ad accettare la sfida del federalismo fiscale e dei costi standard e a sottoporsi a questa sperimentazione, perché è un problema strutturale che la capitale affronta da oltre cinquant'anni e che nessuno ha saputo dirimere.
Per quanto possano sempre essere condivisibili gli appelli alla prudenza, a studiare meglio, a non fare errori, a un certo punto bisogna dire «basta», perché a furia di studi, di convegni, di accademie e di discussioni non si fa mai giorno. Credo invece che bisogna giungere alla definizione di un nuovo quadro istituzionale che, per quanto imperfetto, perché questo decreto non è certo un capolavoro e siamo quasi obbligati ad accettare certi limiti, rappresenta un importante passo avanti. A tale proposito, quando avremo la possibilità di confrontarci in discussione generale sul provvedimento in esame, chiederò al Governo di essere più coraggioso per ciò che riguarda le specifiche competenze statali nel trasferire le funzioni, perché è difficile che qualcuno si spogli volentieri dei propri poteri e delle proprie prerogative.
Con riferimento ai beni culturali, i Sovrintendenti vengono qui a raccomandarci di non toccare niente della tutela del patrimonio archeologico, ma sappiamo quanto questo incida sulla gestione ordinaria della città di Roma, perché il problema vale per gran parte del territorio nazionale, ma per Roma in particolare.
Riguardo a EUR Spa, premetto che questa società produce dividendi che il Tesoro incassa su immobili presenti nel comune di Roma, per cui non capisco perché dipingerla come un'azienda piena di debiti. La gestione del patrimonio di EUR Spa è il frutto di una politica seguita negli anni Trenta e Quaranta quando in uno Stato ipercentralista un ente dello Stato realizzò quegli immobili, che ottanta anni dopo lo Stato continua a gestire, affittando uffici, organizzando fiere e congressi al Palazzo dei congressi.
Dopo settanta o ottanta anni, penso sia giunto il tempo per dire che quegli immobili sono situati nella città di Roma, hanno una funzione molto importante a livello di marketing territoriale, perché si tratta del sistema museale, espositivo, fieristico, congressuale della capitale, ed è giusto che vengano gestiti da chi è presente sul territorio, senza interferenze preponderanti, che invece si determinano in conseguenza del fatto che il Ministero dell'economia, con la partecipazione del 90 per cento, esercita il suo controllo spesso con logiche molto burocratiche, ben poco attente al dinamismo e alla flessibilità di cui necessita l'azione sul territorio, conformemente alla logica e alle prospettive del federalismo demaniale, il cui decreto è stato approvato nel 2010.
Credo che sia un modello organizzativo da cui partire e che potrebbe, qualora vi siano analoghe condizioni, trovare attuazione anche in altre città e in altri territori, spogliando lo Stato di competenze che non gli sono proprie e che non hanno alcun interesse strategico nazionale, affidandone la gestione alle realtà locali.
Dal momento che il sindaco ha fatto riferimento anche al primo decreto su Roma capitale e alla Carta delle autonomie, ricordo che abbiamo dovuto affrontare un problema con la Presidenza della Repubblica per correggere una decisione assunta con il primo decreto, con riferimento alla riduzione del numero dei componenti dell'Assemblea capitolina rispetto all'attuale composizione.
In base al ragionamento precedente, è difficile pensare che la città di Roma debba avere gli stessi consiglieri degli altri comuni, pur avendo un territorio, oltre che una popolazione, almeno doppio rispetto a qualunque altro comune, con le conseguenti difficoltà di rappresentare la complessità e l'estensione di questo territorio.
Poiché temo che questa decisione sia stata presa sull'onda di un malinteso sul taglio dei costi, di una polemica troppo demagogica rispetto a questo aspetto, credo che - mi appello anche ai relatori che devono affrontare questa riflessione - l'adozione di un secondo decreto possa essere utilizzato anche come strumento per apportare le opportune correzioni al primo decreto, nel rispetto della legge delega che lo consente.
Siccome credo che aspettare un terzo decreto o un altro atto sarebbe una pia illusione e abbiamo questa locomotiva che sta percorrendo la strada della riforma, sarebbe opportuno fare una riflessione seria, non demagogica, realistica sulle esigenze della città ed eventualmente correggere gli errori compiuti.
PRESIDENTE. Do la parola al sindaco di Roma, Gianni Alemanno, per la replica.
GIANNI ALEMANNO, Sindaco di Roma capitale. Vi ringrazio innanzitutto delle osservazioni e dei ragionamenti che sono emersi negli interventi.
Con la prima domanda sicuramente molto sofisticata e seria si chiedeva se Roma capitale rimanga un comune o diventi un'altra cosa. Credo che la lettura costituzionale e dottrinale più corretta imponga di dire che rimane un comune anche se acquisisce una funzione speciale.
Nell'elencare le diverse autonomie funzionali, la Costituzione parla anche delle città metropolitane e non di Roma capitale
come una realtà a parte. Sicuramente rimane un comune, anche se il richiamo del Titolo V a Roma capitale, il cui funzionamento è regolato con una legge dello Stato, le assegna una qualificazione di carattere speciale.
Rimane un comune, ricade sotto tutte le leggi previste per i comuni, salvo quelle esplicitamente derogate dalla legge richiamata dalla Costituzione. Questa credo che sia l'impostazione corretta.
D'altra parte, Roma capitale aderisce all'ANCI, è interna a questo sistema, condivide molti dei problemi di tutti i comuni, anche di quelli di qualche centinaia di abitanti. E qui vengo all'altro aspetto, quello del patto di stabilità, che è oggetto di una critica serrata da parte di tutti i comuni italiani.
Questi lamentano infatti di avere nei loro bilanci circa 11 miliardi per investimenti, che non possono spendere a causa del patto di stabilità interno, che, così come è articolato, non ha paragoni negli altri Stati europei. Proprio oggi il presidente dell'ANCI ci ricordava che nei giorni scorsi il Presidente Sarkozy ha ricevuto una delegazione dei comuni francesi, che al timido accenno all'introduzione di norme simili a quelle del patto stabilità interno italiano hanno opposto un secco rifiuto, perché in un momento tendenzialmente recessivo si metterebbe un ulteriore peso sulle spalle di tutti i comuni che possono spendere, cantierare rapidamente, fare piccole opere con un grande effetto di volano sullo sviluppo.
A mio avviso il patto di stabilità interno è stato concepito in un momento in cui c'era una spesa crescente anche in termini di investimenti, ma nel suo complesso non è adeguato a un momento recessivo. Credo che debba essere profondamente rivisto nel suo complesso, come penso sia meglio, o riformato con l'introduzione di una serie di deroghe. Sicuramente tra le deroghe dovranno essere ricompresi gli interventi finalizzati alla stabilità del suolo, quelli necessari per contrastare le conseguenze del maltempo e quelli specifici connessi al ruolo di Roma capitale.
Un'infrastruttura come il Ponte dei congressi, che permette anche a voi parlamentari di arrivare in Parlamento dall'aeroporto di Fiumicino senza quella tragica strozzatura, è stata realizzata nell'interesse non solo dei romani, ma di tutti i cittadini italiani, di tutti i turisti che vengono nella nostra città, fermo restando che tutto questo rientra nel finanziamento complessivo.
Credo però che queste deroghe rappresentino una strada da verificare attentamente, altrimenti si rischia di porre condizioni finanziariamente insopportabili per tutti i comuni, compresa Roma capitale.
Condivido che debba essere l'ISTAT a valutare i costi, ossia un soggetto terzo (quale IFEL o, appunto, ISTAT) il quale possa occuparsi della definizione delle metodologie per il calcolo dei costi standard e in particolare dei costi necessari al finanziamento di Roma capitale, garantendo la massima trasparenza. Conosciamo le critiche, le osservazioni ingenerose e offensive che vengono mosse non appena si affrontano questi argomenti, per cui vorremmo offrire a tutti coloro che in buona fede portano avanti queste critiche un terreno più chiaro e trasparente come quello dell'oggettività dei conti e dei numeri, perché qui non c'è nulla da nascondere.
Il problema dell'EUR Spa si pone non tanto per quanto riguarda le proprietà immobiliari, buona parte delle quali è rappresentata da proprietà inalienabili come il Palazzo dei congressi, il Palazzo della civiltà italiana o il Museo Pigorini. Un bel fast-food nel Palazzo della civiltà italiana sarebbe inaccettabile. L'EUR Spa sta progressivamente assumendo ruolo sempre più importante non solo nella gestione del patrimonio immobiliare, ma anche nell'organizzazione congressuale e fieristica. Ricordo che la «Nuvola» di Fuksas, vale a dire il nuovo Centro congressi, uno dei più grandi d'Europa, è di proprietà dell'EUR Spa.
Sono testimone del fatto che una delle grandi difficoltà incontrate nella gestione del Centro congressi risieda anche nel
necessario coordinamento con il Ministero dell'economia, che costituisce comunque una dimensione amministrativa avulsa dal territorio e dalla programmazione delle attività della città. Queste difficoltà devono essere affrontate e risolte, e questo vale anche per altri interventi. È quindi necessario ricondurre la «Nuvola» ad un modello di gestione simile a quello adottato per l'Auditorium della musica a Roma, che è di proprietà comunale e sta dando ottime performance. Si tratta di eliminare un cappello burocratico, fermo restando che buona parte di questo patrimonio è inalienabile.
Per quanto riguarda la questione dell'Accademia di Santa Cecilia e del Teatro dell'Opera, condivido l'esigenza di inserire un nuovo articolo, che sostituisca integralmente quello contenuto nello schema di decreto all'esame della Commissione. Noi avevamo proposto un testo diverso, ma il Governo ha inserito un articolo, a mio avviso, incompleto, per certi versi criptico, che andrebbe riformulato in modo da riconoscere espressamente la funzione di queste due fondazioni.
Mi permetto di suggerire al Presidente della Commissione e ai Commissari, se non di audire, almeno di acquisire il parere dei due Sovrintendenti del Teatro dell'Opera e di Santa Cecilia, così da capire esattamente quello che serve, perché nessuno è così pazzo da ipotizzare di togliere dal FUS il Teatro dell'Opera o Santa Cecilia, perché sarebbe un clamoroso autogol.
Si tratta di regolamentare meglio l'operazione di valorizzazione che Roma capitale già effettua, attraverso la concessione di contributi all'Accademia di Santa Cecilia e al Teatro dell'Opera di Roma. La fondazione di Santa Cecilia ha espresso le proprie preoccupazioni in merito al fatto che nello schema di decreto all'articolo 5 non sia contemplata espressamente l'Accademia, ma venga disciplinato esclusivamente il Teatro dell'Opera di Roma.
Poi c'è il tema relativo alla gestione straordinaria del debito del comune di Roma. Credo che si debba fare un approfondimento molto attento su questo aspetto e che non bisogni addentrarsi in una serie di considerazioni scivolose, tenuto conto che quello che è stato detto dal Governo in sede di audizione rappresenta solo parzialmente la situazione reale.
Oggi la gestione commissariale ha aperto un fondo di 4 miliardi di euro, ma solo per far fronte alla prima tranche di pagamenti. La dimensione del debito è molto più ampia e per certi versi inesplorata, perché assomma una serie di contenziosi e di debiti fuori bilancio che risalgono alla fine degli anni Sessanta. Molti di questi si riveleranno inesigibili, altri potranno essere affrontati e ci sono alcuni crediti che devono essere riscossi.
Da questo punto di vista, non siamo in grado di definire l'esatta cifra che il commissario ha quantificato in 12 miliardi e 450 milioni di euro. Probabilmente poteva essere una cifra diversa, però va oltre i 4 miliardi che servono oggi per pagare i mutui.
Toccare questa gestione e soprattutto mettere in discussione la separatezza è un fatto molto rischioso, perché il Commissario esiste per tutti i comuni che vanno in default, che hanno difficoltà dal punto di vista finanziario.
Si è voluto preservare Roma capitale dal default e si è ricorso alla strumento del commissariamento, per cui è opportuno mantenere questa separazione e avere estrema chiarezza anche fuori dalle polemiche politiche, per garantire un intervento equilibrato, che permetta di andare verso il risanamento, anche perché grazie all'attività del Commissario il debito si è ridotto di circa 3 miliardi in questa fase, quindi siamo passati da 12 a più di 9 miliardi.
Voglio sottolineare che in origine la normativa prevedeva un apporto da parte dello Stato attraverso la fiscalità generale pari a 500 milioni di euro da destinare alla riduzione del debito, importo che è stato poi ridotto a 300 milioni a seguito di interventi normativi successivi. Oggi, per pagare questo debito i cittadini romani hanno l'addizionale IRPEF più alta d'Italia e le tasse aeroportuali più alte, e lo
sottolineo per far capire bene che questo debito non è sopportato da tutti gli italiani, ma specificamente dai romani.
È questo il punto su cui ci sarà un dibattito politico: questo debito non nasce dai romani che vivono straordinariamente bene, al Casilino, al Prenestino, al Laurentino o a Tor Bella Monaca, ma deriva dal fatto che Roma ha dovuto fronteggiare spesso con le gestioni di bilancio e organizzative - gli onorevoli Leo e Causi, che hanno fatto gli assessori al bilancio, lo sanno bene - problemi superiori a quelli di un semplice comune, per quanto grande.
Dobbiamo affrontare ogni giorno problemi seri perché siamo la capitale d'Italia e i cittadini romani oggi pagano questo debito, anche se probabilmente non hanno quasi nessuna responsabilità delle cause che lo hanno generato, perché derivano da funzioni, problemi e situazioni che sono proprie del ruolo di capitale.
Tutti i Paesi europei, quasi nessuno escluso, hanno statuti speciali, regolamenti speciali e bilanci speciali per quanto riguarda la propria capitale. Addirittura Parigi ha tre livelli: il comune di Parigi, l'Ile de France e un membro di governo appositamente delegato alla funzione di capitale. Potrei fare lo stesso discorso per Londra, Madrid o Berlino.
Questo tema non è una nostra invenzione per prendere qualche euro in più o assumere ulteriore potere: è un problema reale, che serve a fare in modo che la nostra città possa essere un motore di sviluppo per tutta la nazione e non una capitale in affanno, che finisce per pesare in maniera impropria.
PRESIDENTE. Grazie, signor sindaco, per questo incontro estremamente utile. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 16.
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