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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto, dottor Franco Sebastio, che ringraziamo della presenza. Peraltro, è un nostro ospite oramai abituale. Ricordo, infatti, che il dottor Sebastio è già stato sentito dalla Commissione il 21 febbraio 2012.
L'audizione odierna rientra nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione sta svolgendo sulla regione Puglia, in particolare sui recenti sviluppi relativi allo stabilimento Ilva di Taranto.
Avverto il nostro ospite che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che se lo riterrà opportuno i lavori della Commissione proseguiranno in seduta segreta, invitandolo comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
Abbiamo acquisito nell'immediatezza alcuni documenti processuali, a partire da un provvedimento cautelare sia personale che reale e abbiamo, ovviamente, seguito con molta attenzione i fatti sulla stampa. Peraltro, la Commissione si è occupata a fondo dell'Ilva e, nel corso di un sopralluogo avevamo anche visto lo stabilimento e il quartiere Tamburi arrossato dalle polveri. Vi sono ulteriori notizie, anche di oggi, sui problemi che nascono in questa situazione, nella quale è in gioco sia il lavoro sia, naturalmente, la salute. Le chiederei, quindi, di aggiornarci sullo sviluppo della questione.
Tra l'altro, ho visto che vi sono indagini epidemiologiche ancora in corso che riportano dati relativi alla mortalità che mi sembrano molto preoccupanti. Mi pare anche - mi permetto di dirlo a titolo personale - irragionevole che ci sia qualcuno che non voglia bloccare una situazione che provoca un 10 per cento di mortalità in più rispetto alla situazione ordinaria. Comunque, questa è una valutazione che sarà fatta nella nostra relazione.
Cedo la parola al dottor Franco Sebastio.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Innanzitutto, saluto i presenti. Come diceva il presidente Pecorella, mi avvio a diventare un recidivo specifico di questi incontri che, comunque, ritengo utilissimi, a parte per la doverosa necessità di informazione nei confronti degli organi parlamentari, anche perché discutendo di queste problematiche può diventare più concreta la speranza che si possa arrivare, alla fine di questo lungo percorso, a una definizione che possa soddisfare tutte le esigenze.
Ci siamo già visti a febbraio, in questa stessa sede, e già in quell'occasione esposi i passaggi attraverso i quali si era pervenuti alla situazione prospettata all'epoca. Tuttavia, per qualcuno che non era presente, debbo ricordare che nacquero, più o meno nello stesso periodo, tra la fine del 2009 e gli inizi 2010, precisamente tre indagini, originariamente separate e distinte tra loro, riguardanti vari episodi di presumibile inquinamento a opera dello stabilimento in questione, che poi sono state riunite in un unico procedimento.
Nel corso di quelle verifiche ritenemmo necessario svolgere un'approfondita indagine tecnica e, d'accordo con i miei colleghi, decidemmo di seguire la via dell'incidente probatorio.
Nel precedente incontro depositai una copia della nostra richiesta, nella quale, per motivare la richiesta di indagine tecnica mediante incidente probatorio, dicevamo espressamente ai nostri contraddittori, cioè ai soggetti indagati, che auspicavamo si facesse un accertamento tecnico, possibilmente risolutivo, nel rispetto del pieno contraddittorio. Infatti, sostenemmo che la questione poteva assumere una connotazione di così rilevante gravità che era assolutamente indispensabile, per i soggetti interessati, difendersi per quanto possibile, anche in vista di eventuali sviluppi che avrebbero potuto esserci in seguito, ove le risultanze tecniche fossero state particolarmente negative.
Venne, dunque, espletata una complessa indagine tecnica, che si articolo in due consulenze, una di carattere chimico e un'altra di tipo sanitario-epidemiologico. Penso che siano agli atti, quindi le potete consultare.
Queste consulenze, peraltro, non vennero - stranamente - contrastate nella sede logica, cioè in quella dell'esperimento dell'incidente probatorio, dove furono solo in minima parte oggetto di contestazioni difensive da parte dei soggetti indagati. Ricordo che questo destò anche un certo stupore in me e nei colleghi perché ci saremmo aspettati ben altro tipo di resistenza. Del resto, si tratta di scelte strategiche difensive, sulle quali certamente non possiamo interloquire.
Concluso l'incidente probatorio, abbiamo approfondito a lungo il contenuto di queste indagini e lo abbiamo integrato con ulteriori elementi, non dico di prova perché sarebbe tecnicamente improprio parlare di prova, ma a sostegno della nostra istanza accusatoria. Vi erano, in particolare, numerosissime relazioni provenienti dall'ARPA e un'approfondita e minuziosa indagine svolta dai carabinieri del NOE (Nucleo operativo ecologico) di Lecce, i quali installarono una rete di telecamere ad altissima risoluzione ad alcuni chilometri dallo stabilimento e monitorarono l'area per 40 giorni.
La documentazione visiva ricavata evidenziò un elevato numero di episodi di slooping, cioè emissioni fuggitive che partivano dalle zone più disparate dello stabilimento e che superarono nelle ore diurne - se ricordo bene - oltre 200 casi nel giro di 40 giorni. Parlo solamente - ripeto - delle ore diurne. Siccome si tratta di un impianto a ciclo continuo, che funziona sia di giorno che di notte, se nelle ore diurne gli episodi verificati visivamente sono stati così numerosi, è presumibile che il numero complessivo fosse nettamente superiore.
Successivamente, ci sono stati diversi esposti. Pensate che abbiamo ricevuto circa 150 denunzie singole di proprietari di edifici e di appartamenti che denunziavano l'azienda per diversi reati, quali danneggiamento, imbrattamento, articolo 674 del codice penale e così via. Abbiamo ricevuto anche una corposa denuncia da parte del sindaco di Taranto che, nel suo esposto di una ventina di pagine, elencava minuziosamente lo stato della dottrina e della giurisprudenza, evidentemente ritenendo che ne avessimo bisogno, e concludeva invitandoci a darci da fare perché la gente muore e c'è una situazione di estremo pericolo.
Insomma, abbiamo avuto una massa di elementi indiziari che ci indusse ad avanzare una duplice richiesta, sia di sequestro
preventivo sia di provvedimenti di custodia cautelare personale nei confronti dei soggetti più direttamente coinvolti in questa vicenda.
Come sapete, sono reati gravissimi, che hanno quasi tutti la stessa caratteristica. Si tratta, cioè, di reati di pericolo, non di danno. Ciò significa che se si contesta un reato di danno, per esempio - mi perdonerà il professor Pecorella se invado il suo settore specifico - l'omicidio colposo o doloso, l'inquirente deve dimostrare che si è verificato un omicidio in danno di una persona che deve essere indicata, individuando il nesso di causalità, cioè deve dimostrare che la morte di quella persona è stata determinata da quel determinato comportamento ascrivibile al soggetto indagato. Questi sono i reati di danno.
I reati di pericolo, invece, si concretizzano nel momento in cui si accerta che una certa condotta del soggetto indagato, che può essere sia commissiva che omissiva, ha esposto, in maniera concreta, non generica, un numero indeterminato di persone a un pericolo per la propria incolumità personale. Teoricamente, potrebbe anche verificarsi, per assurdo, che nessuna persona sia morta a seguito di questa attività. Il reato di pericolo sarebbe ugualmente concreto e applicabile.
Nel nostro caso, è importante che il pericolo sia concreto. A ogni modo, noi pubblici ministeri inquirenti abbiamo ritenuto che tutti gli elementi acquisiti nel corso di questa indagine molto complessa e molto approfondita - poc'anzi ho indicato alcuni degli elementi a carico - potessero consentirci di far ritenere sussistenti i reati di pericolo, cioè la famosa questione del pericolo concreto, al quale ho appena fatto riferimento, prescindendo dall'accertamento sul numero dei soggetti che potrebbero essersi ammalati o addirittura deceduti. Infatti, nei capi di importazione contestati - lo dico in maniera impropria; mi perdonerete questa sgrammaticatura giuridica - non c'è mai alcun riferimento a decessi.
Quando sento dire oggi che i decessi superano del 10 o del 15 per cento quelli ordinari, dico che bisogna verificare il nesso di casualità, ma comunque questi sono elementi di conoscenza che non attengono alla nostra indagine. Poi, eventualmente potremmo ritornare sull'argomento.
ALESSANDRO BRATTI. Per capire, la parte epidemiologica, che fa riferimento a eventuali conseguenze per la salute dei cittadini, non ha nulla a che fare con i capi di imputazione?
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. No, ha certamente a che fare. Tuttavia, come ho detto prima - forse le è sfuggito o non mi sono espresso bene - non basta un pericolo generico, ma ci deve essere un pericolo concreto. L'indagine epidemiologica aveva quella finalità, altrimenti avremmo fatto delle chiacchiere al bar. Parliamo di procedimenti penali, quindi era fondamentale l'indagine epidemiologica.
Riguardo alla richiesta di provvedimento di custodia cautelare anche personale, poi accolta dal GIP, ci siamo trovati di fronte ai soggetti responsabili di questa azienda che erano recidivi specifici reiterati. I processi giudiziari - l'ho detto l'altra volta e lo ribadisco anche oggi - che hanno visto coinvolto quello stabilimento, prima come Italsider di Stato e poi come Ilva privata, sono stati numerosi nel corso degli anni. Io stesso feci, da pretore, nel 1982, il primo procedimento con il quale i vertici dell'allora stabilimento Italsider di Stato venivano condannati per le polveri dei parchi minerari sul quartiere Tamburi.
PRESIDENTE. Ecco, è proprio questo che ci si sorprende. Visto che nel 1982 c'era già conoscenza di una situazione di pericolo, come mai non ci sono stati, prima del vostro intervento, provvedimenti adeguati per incidere in modo che si potesse procedere quando forse era più semplice di oggi? Ovviamente, ha la facoltà di non rispondere.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Per quanto riguarda noi, vi ho detto che abbiamo iniziato nel 1982. Dopodiché, vi sono stati almeno altri quattro procedimenti penali da parte nostra, con la caratteristica che, in ogni procedimento, saliva il livello qualitativo dei reati. Infatti, nel primo processo del 1982 veniva contestato - penso per la prima volta in Italia, nella giurisprudenza dell'epoca - l'articolo 674 del codice penale. Negli altri processi, si è via via saliti di livello perché, man mano che si andava avanti, ci rendevamo conto che la situazione cominciava a manifestare segni di maggiore gravità.
Quindi, dopo quel primo processo con la banale contravvenzione di cui vi dissi, negli altri processi - potete vedere le sentenze, che, peraltro, abbiamo allegato al procedimento penale in corso - noterete che i reati salgono gradualmente di livello.
Quando, poi, si arriva al punto accertato che si cominciano ad abbattere 1.500-2.000 capi di bestiame perché si scopre che le loro carni sono inquinate dalla diossina; quando si comincia a scoprire che il latte di alcune gestanti presenta tracce di diossina; quando il sindaco di Taranto inibisce l'utilizzazione dei giardinetti pubblici del quartiere Tamburi ai bambini e ai possessori di cani perché ha accertato che nell'erba ci sono tracce di berillio, di PCB (policlorobifenili) e di diossina; quando poi si accerta che nella scuola elementare «Grazia Deledda», situata in quel quartiere, i bambini calpestano polveri di diossina e i tecnici dell'incidente probatorio individuano la matrice genetica di quella diossina come di provenienza siderurgica (infatti, le molecole di diossina hanno dei rivelatori interni, come un'impronta digitale, per cui il tecnico è in condizione, facendo un'analisi, di stabilire la provenienza); insomma, quando si arriva a questa situazione, è chiaro che siamo costretti a contestare reati.
A quel punto, c'è stato - ripeto - un progressivo innalzamento. Adesso, con il senno di poi, qualcuno potrebbe rimarcare la necessità di una maggior presa di coscienza in occasione di tutti questi processi che hanno avuto una caratteristica costante: sono stati tutti celebrati in aule deserte. La stampa ha dato la notizia il giorno dopo la sentenza. Dopodiché, via con un altro processo e man mano siamo saliti di livello, arrivando a questa situazione oramai estrema e ineluttabile.
Pertanto, le misure di custodia personale sono dovute al fatto che abbiamo avuto di fronte soggetti che erano già stati condannati, anche se non per gli stessi reati, visto che questi salivano via via di livello. Per esempio, in occasione dell'ultimo processo, quello delle cokerie, nel corso del quale sequestrammo quattro cokerie perché scoperte inquinanti, contestammo l'articolo 437 del codice penale, che è un reato grave. I soggetti imputati si presero una condanna - mi pare - di due anni, due anni e mezzo di reclusione. Poi, ci fu l'amnistia, o meglio il processo si prescrisse in Cassazione per quindici giorni. Purtroppo, succede.
L'episodio dei parchi minerari è emblematico. La diffusione delle polveri dei parchi minerari è più percepibile perché si vede. La diossina, invece, non si vede, ma è chiaro che la diffusione di diossina è molto più pericolosa della diffusione delle polveri (PM10, PM5 e così via).
Ricapitolando, la prima sentenza è del 1982. Nel 1983, l'Italsider di Stato inaugurò il sistema di irrorazione dei parchi minerari. Difatti, le famose lance che buttano fissante sui parchi minerari non sono una scoperta degli ultimi tempi, ma furono installate nel 1983. Da quell'epoca in poi ci sono stati almeno quattro procedimenti penali, nei quali puntualmente l'azienda si è difesa dicendo che sui parchi minerari si può buttare il fissante e non si può fare altro. Questa tesi, però, è stata abbondantemente smentita dai consulenti d'ufficio in quei quattro procedimenti penali. Basta andare a leggere le motivazioni di oltre una decina di sentenze, tra primo grado, appello e Cassazione, che hanno fatto strami della tesi
secondo la quale il problema veniva risolto buttando il fissante sui parchi minerari.
Nell'attuale indagine, l'ARPA ha ribadito più volte che l'unica maniera per porre fine allo spolverio - parlo di centinaia di tonnellate di polveri che si riversano sui quartieri, come avrete visto nei programmi televisivi, con la gente che passa la mano...
PRESIDENTE. Lo abbiamo visto personalmente.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Allora non aggiungo altro. L'ARPA e i consulenti dell'incidente probatorio hanno detto che non è più il caso di parlare di acqua o di fissante perché, per porre fine al fenomeno dello spolverio, occorre fare la copertura dei parchi minerari.
Qualcuno di voi avrà visto su alcuni giornali di 10-15 giorni fa le due fotografie a confronto, una dei parchi minerari dell'Ilva e l'altra dei parchi minerari dello stabilimento siderurgico della Hyundai in Corea del Sud, che ha più o meno la stessa capacità produttiva. Sono il giorno e la notte. Malgrado ciò, si continua ancora oggi a parlare ex adverso, sostenendo di aver messo le lance e di voler irrorare il fissante 24 ore su 24.
Sotto questo aspetto, sono stato anche costretto a dover far presente all'attuale amministratore, il dottor Ferrante, di fare attenzione perché in questa maniera si espongono al rischio di commettere un ulteriore reato. Infatti, se scaricano 24 ore su 24 liquidi sui parchi, si verificherà un effetto di percolamento nel sottosuolo. Siccome la base sulla quale poggiano i parchi minerari non è stata, a suo tempo, impermeabilizzata e non è mai stato realizzato un sistema di allontanamento dei liquidi, in questo modo, commetterebbero un ulteriore reato perché non è consentito scaricare in quella maniera.
Tornando alle indagini, abbiamo suggerito un provvedimento di custodia cautelare personale, ovvero gli arresti domiciliari. Il GIP ha accolto le nostre richieste, ha emesso il provvedimento di sequestro preventivo, senza facoltà d'uso - che, peraltro, non era mai stata richiesta da nessuno dei controinteressati - e ha disposto la custodia cautelare personale agli arresti domiciliari per i tre maggiori responsabili dello stabilimento e per altri cinque dirigenti dei vari reparti presi in considerazione.
Nel suo provvedimento, il GIP diceva di porre fine alla produzione e di chiudere gli impianti, rinviando la questione. Il ricorso al tribunale del riesame è stato sviluppato in tempi molto contenuti. Anche in quel caso la difesa - per carità, non voglio fare critiche - si è basata essenzialmente sulla questione delle emissioni convogliate in atmosfera, sostenendo che c'è un camino (il 312) che scarica in atmosfera, ma non sono state rilevate tracce di diossina, dimenticando che il 90 per cento delle emissioni in atmosfera derivavano non da emissioni convogliate, cioè quelle che escono dai camini (in particolare da quell'unico camino, perché degli altri l'azienda non ha parlato), ma da emissioni diffuse, come quelle dei parchi minerari, che non escono da camini, e da emissioni fuggitive, quelle che non ci dovrebbero proprio essere (ho già detto dello slooping, delle telecamere e così via).
Il tribunale del riesame ha depositato il dispositivo, che poi è stato chiarito sotto parecchi punti di vista con la successiva motivazione. In sostanza, il provvedimento del tribunale del riesame ha ribadito ancor di più l'ipotesi accusatoria per quanto riguarda i vari reati. Difatti, se considererete quel provvedimento, troverete una «puntigliosa» valutazione fatta dal tribunale del riesame su tutti i reati oggetto di contestazione. Sembra quasi la motivazione di una sentenza di condanna.
Tralasciando questi aspetti, per quanto riguarda le misure cautelari personali il tribunale del riesame ha revocato la custodia domiciliare per i cinque responsabili dei reparti interessati e ha confermato, invece, il provvedimento di arresti domiciliari per i tre recidivi. Per quanto riguarda, invece, il provvedimento cautelare
reale, cioè il sequestro, il riesame ha aggiunto qualcosa in più rispetto al provvedimento del GIP, che diceva di chiudere gli impianti e bloccare la produzione perché è l'unico modo per eliminare l'inquinamento, dopodiché si sarebbe valutato cosa fare. Il riesame ha integrato questo provvedimento, sostenendo di essere pienamente d'accordo perché l'inquinamento e il pericolo sono inaccettabili; quindi, l'unica maniera è bloccare la produzione, dal momento che gli impianti determinano, una volta attivati, inevitabilmente dei fenomeni di inquinamento.
Tuttavia, aggiunge che non è detto che per evitare l'inquinamento si renda necessario chiudere i vari reparti. Saranno i tecnici già nominati a valutare se vi sono misure alternative e, in ogni caso, si raccomanda loro di adottare tutte le cautele necessarie per cercare di non distruggere gli impianti, in vista di una loro eventuale successiva riutilizzazione, una volta effettuate le operazioni di bonifica che li renderanno ecocompatibili, ovviamente, se l'azienda, o chi per essa, sarà disponibile a farlo.
Inoltre, il tribunale del riesame confermava la nomina, fatta dal GIP, degli amministratori quali custodi tecnici e sostituiva la persona del quarto amministratore custode, cioè il presidente del Consiglio dell'ordine dei commercialisti di Taranto, che aveva funzioni di carattere contabile-amministrativo, con il dottor Ferrante che, nel frattempo, era stato nominato amministratore delegato dell'Ilva. Questo è avvenuto per una precisa motivazione. Infatti, il tribunale dice che siccome è necessario che ci siano anche dei collegamenti da un punto di vista contabile e amministrativo, è più utile che questo incarico sia conferito al dottor Ferrante.
Questi provvedimenti sono, ovviamente, esecutivi. Tra l'altro, sentivo dire che gli interessati non avrebbero presentato ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di custodia cautelare reale, ma avrebbero impugnato solamente la misura personale.
Dopo qualche giorno da questa decisione del tribunale, il GIP di Taranto adottava un provvedimento con il quale specificava meglio agli amministratori custodi da lui nominati quali erano le loro competenze. Poi, emetteva un secondo provvedimento con il quale, preso atto di notizie dalle quali si desumeva che il dottor Ferrante avesse manifestato l'intenzione di impugnare il provvedimento del GIP e rilevando che si era venuta a creare una sorta di incompatibilità tra la funzione di amministratore delegato, presidente del consiglio di amministrazione dell'azienda e la posizione di amministratore custode, revocava la nomina del dottor Ferrante disposta dal tribunale del riesame, sostituendolo con il quarto amministratore, cioè il presidente del Consiglio dell'ordine dei commercialisti, che aveva già in precedenza nominato.
Avverso questi due provvedimenti, gli interessati proponevano contemporaneamente incidente di esecuzione e appello davanti al tribunale. L'udienza per l'appello veniva fissata a epoca successiva al periodo di sospensione dei termini che, secondo quel collegio, inibiva quella trattazione in periodo feriale. Invece, il tribunale al quale si erano rivolti i ricorrenti in sede di incidente di esecuzione fissava la discussione dell'incidente di esecuzione stesso e all'esito della discussione dichiarava - usando una terminologia un po' strana - l'inefficacia dei provvedimenti del GIP. Probabilmente per mia pochezza intellettuale, mi sembra di ricordare che la dichiarazione di inefficacia riguarda gli atti amministrativi. Prescindiamo, comunque, da queste sottigliezze. Sostanzialmente, il tribunale poneva nel nulla i due provvedimenti adottati dal GIP dopo il provvedimento del tribunale del riesame e ripristinava, quindi, la funzione conferita al dottor Ferrante.
Nello stesso provvedimento, il tribunale stabiliva, una volta per tutte, che l'organo competente per l'esecuzione era la procura della Repubblica e non il GIP, visto che, nelle more, in quei giorni si era verificata un'incertezza. Infatti, la normativa sui custodi amministratori parla genericamente
di «autorità giudiziaria», non di «pubblico ministero», per cui erano sorti dei dubbi circa l'organo giudiziario competente a curare l'esecuzione. È il GIP o il pubblico ministero? Noi ritenevamo fosse il pubblico ministero. Comunque, il tribunale del riesame prima e il tribunale in sede di incidente di esecuzione poi hanno tagliato la testa al toro, dicendo che è il pubblico ministero.
Successivamente, quindi, le carte sono arrivate a noi e abbiamo convocato più volte i custodi amministratori, compreso il dottor Ferrante. Siccome l'attività dei custodi non era affatto semplice perché non si trattava di chiudere e basta, ma bisognava anche salvaguardare, per quanto possibile, l'integrità degli impianti al fine di una possibile eventuale successiva riutilizzazione, ciò ha comportato dei problemi tecnici maggiori per - lo dico in modo improprio - i consulenti. Tuttavia, ci hanno fatto pervenire delle relazioni tecniche e alla fine hanno detto che erano pronti a procedere. Pertanto, il 1 settembre, abbiamo impartito una prima direttiva con la quale abbiamo detto di procedere perché il provvedimento è chiaro.
Poi, siccome abbiamo constatato che nelle more erano sorte delle imprecisioni e si erano generate delle voci improprie nelle quali si parlava, soprattutto sulla stampa, anche in dichiarazioni rese da organi dell'azienda, di una possibile trattativa in corso, addirittura con la procura, per prevedere una forma di riduzione della produzione (cosa che non poteva essere e che comunque mai avrebbe potuto disporre la procura, che è organo solamente di esecuzione), dopo qualche giorno, abbiamo fatto un'ulteriore direttiva rivolta ai custodi con la quale abbiamo detto che i provvedimenti sono chiari e dicono che deve cessare l'inquinamento, che per cessare l'inquinamento occorre fermare la produzione e che non è prevista alcuna facoltà d'uso - anzi, non viene neppure espressamente negata perché non è stata mai richiesta da parte dei soggetti direttamente interessati - per cui bisogna procedere, cercando di salvaguardare, per quanto tecnicamente possibile, l'integrità degli impianti.
A seguito di questo fatto, i custodi amministratori si sono attivati e stanno cominciando a mettere concretamente mano ai vari impianti. Per esempio, stanno intervenendo su alcune cokerie e su alcuni altiforni. Tra l'altro, dei cinque altiforni, due non potrebbero comunque funzionare perché hanno superato i limiti massimi temporali di utilizzabilità, quindi sarebbero già «fuorilegge». Poi, via via, adotteranno gli altri provvedimenti tecnici necessari.
Noi PM, parlando con il dottor Ferrante nella sua qualità, oltre che di custode amministratore, anche di amministratore dell'azienda, siccome agiamo in base al codice penale e al codice di procedura penale, abbiamo fatto presente di avanzare, se vi fossero, eventuali proposte da parte dell'azienda finalizzate, semmai, a ottenere una sia pur limitata facoltà d'uso. Peraltro, hanno un collegio difensivo in gamba. Possono fare le loro richieste, documentarle e dare una dimostrazione di concretezza.
Dopodiché, siccome con una richiesta del genere si tenderebbe a ottenere una modifica del provvedimento di sequestro, che è, per definizione, senza facoltà d'uso, io e i miei colleghi, a prima vista, riteniamo che competente a decidere debba essere il GIP e poi, nel caso, il tribunale del riesame in sede di impugnazione. Il PM dovrà esprimere il suo parere, che è obbligatorio, ma non vincolante. A prima vista - ripeto - mi sembra sia così, perché non parliamo di modalità di attuazione, ma di modifica del provvedimento.
È vero che il codice prevede la possibilità che il pubblico ministero possa revocare il provvedimento di sequestro preventivo, se ritiene che non sussistano più i presupposti che ne giustificavano l'emanazione, ma in questo caso non si parlerebbe di revoca, bensì di modifica. Faccio un esempio banale. Su richiesta del PM, il GIP dispone la custodia cautelare in carcere dell'indagato. La difesa chiede un'attenuazione di questa misura, cioè gli arresti
domiciliari. Competente a decidere non è il pubblico ministero, ma il GIP. Tuttavia, quando e se dovessero esserci richieste in questi termini, valuteremo la questione della competenza a decidere. Qualcuno, comunque, deciderà.
Questa è, insomma, la situazione. Apprendo dalla stampa di questi giorni che l'azienda starebbe presentando una proposta. Probabilmente, si tratta di qualcosa che è collegato a quel discorso che si è fatto. Io sono qui, poi domani valuteremo, se è vero. Qualcuno, comunque, deciderà sul punto.
Prima di concludere, aggiungo che ho depositato un dischetto con tutti gli atti che ho citato. Potete, quindi, averne contezza, se volete.
PRESIDENTE. Vorrei far presente che il procuratore ci ha portato un documento molto importante che riguarda l'esportazione illecita di rifiuti. Se riuscissimo a contenere l'illustrazione delle domande, ci resterebbe ancora un quarto d'ora per affrontare anche questo tema.
Cedo ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
ALESSANDRO BRATTI. Vorrei fare tre domande secche. La prima è se il Ministero dell'ambiente, durante tutti i procedimenti che lei ha narrato, si è mai costituito parte civile.
Inoltre, vorrei sapere se esiste un'inchiesta riguardo all'assegnazione dell'autorizzazione ambientale integrata precedente.
Infine, vorrei sapere se è chiaro quali sono eventuali finanziamenti pubblici che possono essere erogati in alcune operazioni e quali sono, invece, a carico dell'azienda. Infatti, essendo un disposto di legge, non è che lo Stato debba pagare un'omissione. Peraltro, ciò riguarda la discussione che abbiamo tra poco in Aula.
CANDIDO DE ANGELIS. Anch'io farò delle domande molte secche, a cominciare da una questione molto tecnica. Signor procuratore, a me sembra che il reato di danno, rispetto a quello che ha detto successivamente, ci sia, considerando il bestiame, la diossina, gli esami epidemiologici e via dicendo. Perché, quindi, parla di pericolo e non di danno, che potrebbe essere più consistente e attribuire maggiore responsabilità all'azienda?
La seconda domanda è più ampia. Penso che l'Ilva di Taranto sia il più grande insediamento industriale della Puglia. Dal 1982 - forse anche da prima - a oggi, la politica che cosa ha fatto? Mi riferisco al ministero, ricollegandomi alla domanda dell'onorevole Bratti, ma parlo anche della provincia, della regione, con tutte le autorizzazioni ambientali, con l'indagine dell'ARPA e soprattutto del sindaco, che è la prima autorità sanitaria della città. Non capisco perché cerchi di rimandare a voi il problema, quando toccava a lui di persona. Il sindaco - ripeto - è l'autorità sanitaria locale, per cui poteva intervenire in mille modi; al limite, poteva anche fare un'ordinanza di chiusura dell'Ilva. Penso, però, anche ai sindacati, che sono i rappresentanti dei lavoratori.
Insomma, rispetto a una situazione di ampia conoscenza - estendo la domanda del collega Bratti, che le ha chiesto se state intervenendo anche su autorizzazioni amministrative del Ministero dell'ambiente - ci sono altre indagini in tal senso? State allargando le indagini per procedere, perlomeno per omissioni, nei confronti di coloro che avevano la responsabilità diretta, cioè amministrativa, e indiretta, ovvero politica, di controllare un danno che, a questo punto, mi sembra appurato? Infatti, non si tratta più di uno studio che parla di un aumento dei tumori del 10 per cento, ma avete appurato un gravissimo danno a persone e a cose.
In America fanno le class action e probabilmente, per una cosa del genere, l'azienda sarebbe stata condannata a pagare centinaia di milioni di dollari. Non vorrei, invece, che lo Stato dovesse pagare i danni fatti dall'Ilva. Anche io vorrei, quindi, capire a cosa servono questi finanziamenti pubblici per l'Ilva, se poi è la società che dovrebbe fare gli interventi. Si
parla di 400 milioni di euro. Mi sembra, però, che si stia cominciando a buttare la palla in tribuna rispetto a questi problemi perché si parla persino di archistar che dovrebbero intervenire per fare le coperture delle cataste di materia prima.
Sarebbero tante le domande che vorrei rivolgerle perché è molto interessante quello che ha detto. Mi limito, però, a un'ultima questione. A febbraio le rivolsi una domanda, che le rifaccio. È dal 1982 che lei lavora su questo caso. Sotto questo aspetto, stiamo vedendo che in Italia, specialmente per quello che riguarda la sicurezza sul lavoro, noi, lo Stato, il ministero, le regioni, le province, i comuni siamo molto forti con i deboli e debolissimi con i forti. Ciò è stato evidente, per esempio, a Perugia o a Casal Monferrato.
Parlo, in generale, di sicurezza del lavoro. Con i deboli si interviene in maniera integerrima, cercando il pelo nell'uovo sulla disposizione comunitaria, mentre nei grandi impianti - mi riferisco anche all'Enel di Civitavecchia, dove ogni tanto muore qualche lavoratore a causa di subappalti indecenti - c'è una grandissima carenza. A febbraio le chiesi se era d'accordo in merito all'istituzione di una Procura generale nazionale sulla sicurezza. Lei mi diede una risposta che apprezzai, dicendosi contrario.
Tuttavia, oggi, con queste situazioni che si susseguono, specialmente nelle grandi locazioni industriali e nelle multinazionali, che, anche a causa dell'importanza che ha assunto oggi il lavoro in Italia, in un momento di crisi e di carenza di posti di lavoro, ricattano le amministrazioni e le comunità locali in spregio del bene massimo che è la salute, cosa ne pensa? La ringrazio e mi scuso perché ho Commissione, quindi devo allontanarmi. Leggerò le risposte nel verbale.
VINCENZO DE LUCA. Vorrei, innanzitutto, ringraziare il procuratore di averci aggiornato sulla situazione, integrando quanto ci ha detto a febbraio. Noi abbiamo verificato che le cose si sono aggravate, non solo dal punto di vista dei provvedimenti, ma soprattutto per il fatto oggettivo, come abbiamo avuto modo di verificare sul luogo quando siamo stati in missione a Taranto.
Nell'informativa che abbiamo avuto il 5 settembre al Senato dal Ministro Clini e dal Ministro Passera, i Gruppi sono intervenuti tutti. Personalmente, sono intervenuto proponendo una domanda collegata a un'azione che ritengo assolutamente positiva da parte della magistratura. In primo luogo, le chiedo a che punto è la situazione delle discariche all'interno dell'Ilva per quanto riguarda i rifiuti pericolosi e il traffico dei rifiuti. Mi riferisco alla vicenda delle traversine, che abbiamo visto sul luogo, a cielo aperto, in campi sterminati. Inoltre, le chiedo al riguardo una sua valutazione.
Dico questo perché in una dichiarazione di qualche sera fa, il Ministro Clini sottolineava che c'è un eccesso di allarmismo a Taranto, in relazione all'Ilva, cosa che, in qualche modo, contrasta con l'intervento fatto in Aula il 5 settembre. In quell'occasione si parlava delle risorse, poste a disposizione con il decreto del governo, per bonificare l'ambiente (ovviamente non per l'Ilva o per i Riva). Le chiedo se è possibile un utilizzo dei fondi strutturali dell'Unione europea per la bonifica, con un'azione del Governo, del Ministro Barca, insieme ai Ministri Passera e Clini. Infatti, i fondi strutturali aggiuntivi parlano di «sviluppo strutturale». Ora, se non è sviluppo strutturale l'Ilva di Taranto, che è il più grande impianto d'Europa, non so che cosa sia lo sviluppo strutturale.
Vorrei avere una sua opinione su questo, al di là della sua funzione, certamente meritoria, affinché ognuno si faccia carico della situazione anche rispetto ai tempi. Mi sembra, infatti, che quasi si voglia sfuggire a questa situazione che stiamo vivendo. A che punto è, quindi, l'inchiesta? Ci sono dei passi in avanti rispetto alle questioni che le ho posto e che rappresentano l'architrave di tutta la situazione? Poi, oggettivamente, prima del
lavoro, c'è la salute e, probabilmente, questo impianto andrebbe chiuso per essere bonificato.
Inoltre vorrei capire se, da parte del Governo, c'è anche un'azione di coordinamento con il territorio e in primis con la regione.
Da ultimo, le pongo una questione di cui ha parlato il dottor Ferrante. Qual è la motivazione per cui l'Ilva ha rinunciato a tutti i ricorsi che ha fatto negli anni, innanzi al TAR e quant'altro, contro tutti i provvedimenti? È per una maggiore collaborazione e un maggiore impegno?
GENNARO CORONELLA. Signor procuratore, mi lasci affermare che la procedura seguita dall'autorità giudiziaria è stata corretta. Mi riferisco sia alla richiesta del suo ufficio, ma anche all'ordinanza del GIP, che, per alcuni versi, ritengo addirittura coraggiosa, là dove la dottoressa Todisco afferma che si sostanzia un'indifferenza da parte dell'apparato dirigenziale dell'Ilva.
A differenza dei miei colleghi, posso confermare questa affermazione perché ho fatto parte di questa Commissione anche nella XIV legislatura. Sono venuto a Taranto dieci anni fa, ma adesso ho trovato la situazione ancora più degradata. Reputo, quindi, l'ordinanza del GIP e la richiesta del suo ufficio ineccepibili, anche con la breve parentesi del tribunale in sede di incidente probatorio.
Tuttavia, si pongono dei problemi. Il primo è quello dell'esecutività del provvedimento. Infatti, nella richiesta di sequestro, avete ravvisato un pericolo per la comunità e avete anche indicato, in base delle consulenze che avete acquisito agli atti e che sono il fondamento delle vostre richieste, le misure che vanno prese per scongiurare questo pericolo. Come si concretizza, quindi, il sequestro? Come si esegue?
Per chi fa politica - aggiungo, per passione - mi sembra veramente grave che la magistratura svolga questo ruolo di supplenza. In teoria, ci sono istituzioni preposte a svolgere questi compiti. I colleghi hanno ricordato l'ARPA, la regione, il ministero, in sede di autorizzazione integrata ambientale. Ora, abbiamo visto che a Taranto si sono recati in maniera solerte il Ministro dell'ambiente e quello delle attività produttive e dello sviluppo economico. Tuttavia, nel vostro accertamento, avete ravvisato comportamenti e condotte omissive, visto che la situazione, a Taranto, è così da anni?
Infine, vorrei sapere se il Governo, attraverso il commissario straordinario che è stato nominato, si interfaccia con la procura. Chiedo, insomma, se c'è un contatto continuo tra il commissario nominato dal Governo e la procura che - sono d'accordo con voi - è titolare a eseguire il sequestro, quindi a monitorare la situazione.
PRESIDENTE. Vorrei aggiungere solo due punti. Il primo riguarda una domanda già fatta dal senatore De Angelis sul tipo di reati contestati. Infatti, nel momento in cui si stabilisce che esiste una situazione di pericolo concreto, non presunto, che ci sono dei morti o comunque delle persone che hanno subìto una lesione e che questa lesione è collegata alla presenza di una diossina - come lei ricordava - specifica, la Commissione vorrebbe capire meglio perché manca il rapporto di causalità, sapendo anche che non necessariamente questa deve essere l'unica causa, ma può essere anche una concausa.
Ora, se abbiamo il dato del pericolo concreto provocato da un evento e poi troviamo l'evento, visto che si tratta delle stesse sostanze che escono da quel famoso camino, vorremmo capire se è solo una questione di prudenza da parte vostra o non regge l'accusa. Questo si collega alla domanda che faceva il senatore Coronella in merito a eventuali omissioni. Quanti non hanno fatto quello che dovevano fare, concorrendo, sia pure dal punto di vista omissivo, a determinare la situazione attuale?
Inoltre, non so se è esatto, ma sembra che ci sia una seconda inchiesta, cosiddetta «ambiente venduto». Se l'inchiesta è
coperta dal segreto ne prendiamo atto e faremo un'altra audizione quando questo verrà meno.
Se non ci sono altre domande, cedo la parola al procuratore Sebastio per la replica.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Alcune domande si ricollegano, soprattutto quelle che riguardano possibili ipotesi di comportamenti omissivi. Quindi, taglio la testa al toro. Le indagini non sono ancora complete. Abbiamo, finora, sviluppato la parte relativa agli argomenti più impellenti. Poc'anzi, ho fatto riferimento alla denunzia che il sindaco ha fatto due anni fa e ho detto che era molto circostanziata. Non aggiungo altro perché la delicatezza non mi consente di insistere su questo punto.
PRESIDENTE. Posso aggiungere che è una specie di confessione.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Assolutamente no, evitiamo di dire queste cose. Ugualmente, quando si parla del Ministero dell'ambiente e della precedente autorizzazione integrata ambientale - mi riferisco alle domande dell'onorevole Bratti, che poi è dovuto andare via - dico che per la precedente autorizzazione ci sono voluti quattro anni, ma poi in dieci mesi è stata sostanzialmente eliminata.
Non devo dire io che il magistrato deve essere particolarmente attento in questo settore. Ci possono essere atti amministrativi che possono anche essere sbagliati. In relazione a questi atti, poi, ci sono i rimedi previsti dalle norme. Tuttavia, perché possa intervenire il magistrato penale - è banale quello che dico - occorre non solo che ci sia stato un atto in violazione alla norma di legge, ma anche che sia stato fatto apposta. Altrimenti, ogni volta che un tribunale amministrativo annulla un provvedimento amministrativo, automaticamente, dovrebbe nascere un procedimento penale.
PRESIDENTE. Certamente, ma le omissioni sono sempre fatte apposta. Le omissioni delle cautele implicano sempre il non essersi attivati. In questo c'è dolo.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Come ho detto in premessa, non abbiamo ancora completato il quadro delle imputazioni. Infatti, non abbiamo ancora fatto delle imputazioni formali. Mi perdonerà il professore se uso il termine «imputazione» in maniera impropria. A ogni modo, stiamo valutando tutti gli aspetti. Dopodiché, dobbiamo prendere in considerazione anche la competenza per territorio.
Quanto ai finanziamenti pubblici - a questo punto mi spoglio della mia veste di magistrato inquirente - da parte dello Stato per il recupero degli impianti esistenti all'interno di uno stabilimento privato, ritengo, sulla base delle mie modeste conoscenze, che non ci sia questa possibilità. Ci potrebbe essere questa possibilità per la bonifica dei territori circostanti, partendo dal concetto che, in quel caso, le cause o le concause possono essere le più disparate. Tuttavia, il presupposto per passare alla bonifica del territorio è che si sia posto fine alle fonti di inquinamento.
Sotto questo aspetto, mi riferisco alla terra, ma anche al mare. Infatti, stiamo, appunto, finendo di approfondire l'aspetto relativo alla distruzione della mitilicoltura nel primo seno del Mar Piccolo, che è stato un danno gravissimo perché si è accertato che le cozze erano inquinate da diossina. Ora stiamo cercando di appurare, con quella metodica alla quale ho fatto riferimento prima, se anche questa diossina sia di origine siderurgica o meno. Comunque, il danno è enorme.
Scherzando amaramente con degli amici, ho dovuto ricordare che mentre in passato, andando in qualche ristorante anche fuori Taranto, si leggeva «cozze di Taranto», recentemente, ho dovuto constatare che in un ristorante, quando si è parlato di pasta con le cozze, il ristoratore
ha tenuto a precisare che non erano di Taranto.
Sempre sui finanziamenti pubblici, mi ricollego a un'altra domanda che mi è stata posta, a proposito dell'Unione europea. Per quel poco che so, da parte dell'Unione europea, c'è la possibilità di un intervento di innovazione. Non credo, però, che lo Stato possa finanziare il recupero degli impianti esistenti all'interno dello stabilimento, non solo per non andare contro il dettato della Corte dei conti, ma anche perché sarebbe sottoposto a una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea.
PRESIDENTE. Infatti la legge che viene approvata oggi è per un intervento esterno.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Insomma, lo Stato non potrebbe intervenire perché commetterebbe, tra l'altro, un'infrazione della normativa dell'Unione europea; sarebbe, infatti, illecita concorrenza, come sapete meglio di me. Invece, l'Unione europea potrebbe fare qualcosa.
Mi è stato chiesto da qualcuno come mai si tratta di reati di pericolo e non di danno. Quando si parla di disastro ambientale, colposo o doloso che dir si voglia; quando si parla di adulterazione o addirittura avvelenamento di sostanze alimentari; quando si parla di articolo 437 del codice penale, cioè di inosservanza delle norme a tutela e a salvaguardia dei lavoratori; sono tutti reati di pericolo. Non possiamo escludere che, a parte questi reati di pericolo, per i quali stiamo già procedendo, il prosieguo delle indagini possa evidenziare anche reati di danno. A questo proposito, mi ricollego alle indicazioni che provenivano dal professor Pecorella. Dico professore perché parliamo di diritto penale, quindi mi rivolgo a lei come professore in materia.
Nel prossimo mese di ottobre, a Taranto, si aprono due distinti procedimenti penali che saranno poi riuniti in uno solo, a dibattimento. Per ognuno di questi procedimenti, si procede per il reato di omicidio colposo per il decesso di 15 più 15 operai per esposizione a fibre di amianto. Quindi, quando si è potuto accertare il nesso di causalità, quanto meno in fase di prospettazione, stiamo andando avanti anche in quell'ottica. Abbiamo, però, preferito separare la questione inquinamento, quindi i reati di pericolo, dai possibili accertati danni a persone.
Peraltro, se parliamo, per esempio, di mesotelioma pleurico, cioè di malattie connesse all'esposizione all'amianto, già esiste un punto di partenza indiscutibile per rintracciare il nesso di causalità. Il mesotelioma pleurico è, infatti, determinato solo ed esclusivamente da inalazione di fibre di amianto. Il problema è che, purtroppo, i tempi di latenza sono anche maggiori di trent'anni, quindi diventa difficile individuare la persona fisica da far sedere sul banco degli imputati.
Del resto, non è per combinazione che in questi due procedimenti per omicidio colposo plurimo i soggetti imputati - perché sono stati rinviati a giudizio - sono anche i vertici dell'Italsider di Stato. Il famoso dottor Sergio Noce, che ho nominato prima (non me ne vorrà) e che da giovane pretore ebbi la ventura di condannare per l'articolo 674 del codice penale, cioè per la diffusione delle polveri dei parchi minerari dell'Italsider di Stato, è nuovamente imputato in questi due procedimenti penali. Questa è un'ulteriore dimostrazione che da parte degli organi giudiziari di Taranto non c'è mai stato un occhio di riguardo per l'azienda di Stato. Se andate a vedere l'elenco, troverete una trentina di imputati, tra i quali ci sono tutti i vertici dell'Italsider di Stato.
In quel caso abbiamo potuto procedere perché il reato non si è prescritto, visto che nell'omicidio il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno dell'avvenuto decesso, che si è verificato in un lasso temporale che impedisce la prescrizione del reato. Le condotte che hanno determinato il decesso risalgono, invece, anche a trent'anni fa. Per questa ragione, abbiamo imputato anche i vertici dell'Italsider di Stato. Ci auguriamo, poi,
che il processo possa fare chiarezza sulle responsabilità. L'istanza penale viene, infatti, condotta nei confronti di persone fisiche che devono salire sul banco degli imputati.
Invece, non è facile accertare il nesso di causalità quando si parla di altro tipo di malattie tumorali o addirittura di malattie dell'apparato cardiovascolare. In quel caso, la difesa - giustamente - comincerà a chiedere quante sigarette al giorno fumava la persona morta per un tumore al polmone. Banalizzo la questione proprio per farvi comprendere la difficoltà di questo tipo di indagini, delle quali siamo pronti, però, a farci carico. Poi, se avremo elementi concreti, andremo avanti; altrimenti archivieremo.
Rispondo anche alla domanda del presidente Pecorella sui decessi. Non li stiamo trascurando, ma siamo una procura relativamente piccola (qualcuno, in altri tempi, ha detto «di frontiera»), quindi pensare di poter gestire procedimenti di dimensioni enormi, diventerebbe velleitario. Preferiamo, allora, procedere separando le varie questioni perché in questo modo avremo dei processi gestibili, che potremmo portare a termine in maniera concreta, salvaguardando anche i termini di prescrizione. Se noi, piccola procura periferica, ci andiamo a «ingolfare» con indagini pachidermiche, corriamo il rischio di non arrivare a conclusioni concrete. Procediamo, dunque, per gradi e vediamo se riusciamo a ottenere dei risultati.
Riguardo alla politica, ai sindacati, al sindaco e quant'altro, stiamo valutando. Tuttavia, non è che si possano fare contestazioni di tipo penale alla politica, salvo casi particolari. Lo stesso vale per i sindacati che hanno taciuto. La nostra sensazione è che, purtroppo, nella nostra terra - lo debbo dire amaramente perché la mia terra è il mio sangue, la mia carne - c'è stata disattenzione per tanti anni. Per quanto ci riguarda, abbiamo cercato di fare quello che potevamo, con i nostri limiti e con le nostre deficienze. Noi autorità giudiziaria non siamo perfetti; abbiamo anche delle colpe e abbiamo commesso delle negligenze. Del resto, la perfezione non esiste. Tuttavia, sarebbe opportuno che anche altri si facessero un esame di coscienza. Rimane il fatto che una cosa è l'esame di coscienza, un'altra è il fatto penale.
PRESIDENTE. Non ho nulla da suggerire, ma l'articolo 40 dice che non impedire un evento equivale a cagionarlo.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Professore quell'articolo ci è ben presente. Lo stiamo valutando. Non aggiungo altro.
Riguardo ai danni, in teoria, dovrebbe pagarli l'imputato nel momento in cui viene condannato. Non scopro niente di nuovo. Il Ministero dell'ambiente ha anticipato la sua intenzione di costituirsi parte civile. È prevedibile che ci saranno decine e decine di parti lese che si costituiranno parti civili e via dicendo.
Stiamo valutando anche la possibilità di applicare la legge sulla responsabilità delle persone giuridiche, ma, purtroppo, la normativa che ha esteso quel tipo di responsabilità anche ai reati ambientali è entrata in vigore da un anno appena. Mi pare ad agosto scorso. La maggior parte dei reati per i quali stiamo procedendo non rientrano, però, fra questi perché, stranamente, l'estensione della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche, che è interessante, non prevede il disastro ambientale, l'avvelenamento di acque e via dicendo, ma solo le normative in materia di traffici transfrontalieri di rifiuti o qualche contravvenzione alla normativa antinquinamento, ai sensi del decreto legislativo n. 152. Siamo riusciti, quindi, a trovare un'unica contravvenzione che ci può consentire di fare qualcosa e la stiamo valutando, come stiamo vagliando anche la possibilità di misure patrimoniali. Non voglio parlare, però, di questi aspetti, ma voglio dire che non li stiamo trascurando.
Rispetto alle discariche all'interno dell'Ilva, siamo davanti a un altro grosso problema. Sotto questo punto di vista, l'indagine non è conclusa. Vi sono due discariche all'interno dell'Ilva sulle quali
abbiamo puntato la nostra attenzione. Qualcuno ha parlato della questione delle traversine. Su questo, c'è l'avviso di conclusione delle indagini che ho allegato. Insomma, cerchiamo di arrivare a tutto.
Stiamo, infatti, approfondendo le indagini in diverse direzioni. Per esempio, per quanto riguarda i cumuli di polveri provenienti dagli elettrofiltri, ci sono dei filmati - che ho allegato - girati all'interno dello stabilimento riguardo alle procedure di svuotamento degli stessi elettrofiltri che sono raccapriccianti. Non so se qualcuno di voi ha avuto occasione - qualcosa è stato pubblicato anche su internet - di vedere le modalità di eliminazione delle polveri degli elettrofiltri, che sono impregnate di diossina. Al momento, stiamo cercando di capire dove sono andati a finire questi cumuli. L'indagine - ripeto - non è ancora completa. Anche per quanto riguarda le discariche, stiamo verificando. Cerchiamo di definire tutto quello che è definibile per non perdere tempo, ma la nostra attività non è esaustiva. Insomma, cerchiamo di andare avanti.
PRESIDENTE. Ha dimenticato di rispondere alla domanda sulla procura nazionale.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Su questo, mi riporto a quanto già dichiarato nella mia precedente audizione. Ho delle perplessità per i motivi che ho detto allora. All'epoca dissi che il fenomeno mafioso ha identiche connotazioni a Palermo, a Milano, a Napoli o in America. Quella è la modalità operativa, quindi vedrei bene un unico centro investigativo che agisce. Se parliamo, invece, di attività in materia di inquinamento, le peculiarità variano da zona a zona, per cui avrei delle perplessità nel pensare di poter creare un unico centro che, a livello nazionale, dovrebbe calarsi nelle realtà delle singole zone, tenendo conto delle caratteristiche dell'ENEL di Brindisi, dei parchi minerari di Taranto, di Venezia, di Voghera e via dicendo. Questa, però, è una mia idea che vale quello che può.
Per quanto riguarda, invece, le misure indicate, allo stato attuale, abbiamo un provvedimento di sequestro preventivo che esclude qualunque facoltà d'uso, cioè qualunque utilizzazione degli impianti a fini produttivi. L'unica prescrizione per i tecnici è quella di cercare di salvaguardare l'integrità degli impianti. Allo stato attuale, quello è - ripeto - il provvedimento che siamo chiamati a far eseguire, altrimenti andremmo, a nostra volta, incontro a responsabilità. Del resto, se il GIP fa un provvedimento con il quale ordina la cattura di un indagato e la Procura lo mette nel cassetto, commette un reato. È chiaro, quindi, che dobbiamo far eseguire il provvedimento, con tutte le cautele e gli accertamenti tecnici che sono stati fatti e che si continueranno a fare. Poi, se ci saranno richieste di attenuazioni - come dicevo prima e come ho anche accennato a chi di competenza - il giudice competente valuterà e deciderà.
In merito all'interfaccia con la procura, a Taranto abbiamo la commissione che sta studiando per la predisposizione della nuova autorizzazione integrata ambientale. A questo proposito, abbiamo avuto degli incontri con la dottoressa Sepe, che dirige la commissione, la quale ha avuto anche degli incontri con i nostri custodi amministratori, ma sempre nel rispetto delle rispettive competenze. Questi sono, infatti, i tecnici che devono provvedere all'attuazione di un provvedimento penale di sequestro, mentre la commissione ha un altro tipo di funzione. A ogni modo, premesso il rispetto per le rispettive competenze, sono sempre stato dell'idea che parlarsi e valutare le questioni sia sempre un fatto positivo e utile. Poi, ognuno fa quello che deve. Peraltro, proprio stamattina ho avuto un cordialissimo incontro con il Ministro Clini. Ci siamo visti e abbiamo chiacchierato in maniera approfondita. Quando ci si parla - sempre nel rispetto dei rispettivi ruoli - è sempre positivo.
Ecco, mi sembra di aver toccato tutte le domande che mi sono state rivolte.
PRESIDENTE. Non so se ha omesso volutamente quella sull'inchiesta bis.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. No, non l'avevo segnata. Devo dire che è nata un'ulteriore indagine, che si è sviluppata separatamente. Un troncone di questa indagine è stato poi stralciato e riunito a quella in corso sull'Ilva. Mi riferisco a quel pezzo che ha riguardato la vicenda di un rappresentante dell'Ilva e di un consulente della procura che era stato chiamato da noi e che già in passato aveva fatto numerose altre perizie, debbo dire estremamente positive. Comunque, quella parte di indagine è stata stralciata e inserita nell'indagine Ilva.
È vero che c'è altro materiale, ma debbo dire che forse è stato anche enfatizzato da certa stampa. Per quanto ci riguarda, noi abbiamo seguito e continuiamo a seguire una linea di assoluta riservatezza. Vi sono diverse intercettazioni telefoniche e altre problematiche che sono emerse. Noi, però, siamo magistrati, quindi dobbiamo accertare le ipotesi di reato. Tutto ciò che non è ipotesi di reato non ci deve interessare, anche se, da un punto di vista sociale, debbo dire che certi quadri sono deludenti. A ogni modo, l'indagine è in fase di completamento. Non posso dire altro.
PRESIDENTE. La ringraziamo molto. Purtroppo non possiamo dedicarci all'altro argomento al quale pure ci siamo interessati molto, anche con un viaggio in Cina nei giorni scorsi, proprio sul traffico illecito, perché alle 15,00 riprendono i lavori d'Aula e abbiamo l'obbligo di interrompere la seduta.
FRANCO SEBASTIO, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto. Su questo ho depositato un interessante promemoria, che abbiamo compilato con il Comando provinciale della Guardia di finanza.
PRESIDENTE. Ho visto che ci sono molti spunti di grande interesse. Temo, quindi, che dovrà fare un altro viaggio a Roma. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.
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