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Seduta del 21/10/2009


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Audizione del Presidente della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, avv. Marco Ubertini, e del Direttore Generale, dott. Aldo Cavadini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione economico-finanziaria delle casse privatizzate, anche in relazione alla crisi dei mercati internazionali, l'audizione del presidente della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, avvocato Marco Ubertini e del direttore generale, dottor Aldo Cavadini. Inoltre, sono presenti il vice presidente, dottor Alberto Bagnoli, il vice direttore generale, dottor Michele Proietti e la dottoressa Giovanna Biancofiore, attuario della Cassa forense.
Do la parola al presidente della Cassa nazionale forense, avvocato Marco Ubertini.

MARCO UBERTINI, Presidente della Cassa nazionale forense. Saluto il presidente e gli onorevoli commissari. Ho chiesto di poter essere accompagnato, oltre che dal direttore generale, anche dal vicepresidente, dal vicedirettore e dal nostro attuario interno, per rispetto della Commissione. Un presidente di Cassa, infatti, non è in grado di rispondere tecnicamente a tutte le domande, mentre ritengo che si debba dare delle risposte esaurienti e precise su ogni eventuale domanda che i commissari vogliano porre.
Credo di dover fare una brevissima introduzione sull'attuale situazione della Cassa forense. Nel 2006, la Cassa forense approvò una riforma, allora definita riforma parametrica, che portò il contributo soggettivo dal 10 al 12 per cento, mentre non venne approvato l'aumento del contributo integrativo dal 2 al 4 per cento. Gli effetti di quella riforma parametrica si sono già visti nell'anno appena decorso, dal momento che essa ha evidentemente portato all'incremento dei contributi soggettivi incassati.
Nel 2007 è stato approvato il famoso articolo 1, comma 763, della legge finanziaria, che ha indotto la Cassa forense - che non aveva i trent'anni di sostenibilità garantiti, perché con la riforma parametrica arrivava al 2029 - ad affrontare responsabilmente il problema, credo tra le prime casse. Abbiamo dedicato più di un anno di lavoro del Comitato a questo tema, e anche grosse risorse emotive, dal momento che c'è stato un grande dibattito tra i delegati, soprattutto con la base che essi rappresentavano. All'esito di questo lungo lavoro, è stata approvata una ipotesi di riforma, che noi riteniamo - e non soltanto noi - essere tra le migliori finora portate all'attenzione dei ministeri vigilanti.


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Nel documento che vi abbiamo messo a disposizione, aggiornato al 30 settembre ultimo scorso, sono contenuti i dati richiesti dalla Commissione, sulla base dei parametri da essa stabiliti, e le notizie dei fatti avvenuti medio tempore dall'ultimo rapporto inviato.
In sostanza, questa riforma metterebbe in assoluta sicurezza la Cassa forense: il bilancio tecnico mostra un saldo previdenziale che diventa negativo nel 2031, il saldo contabile lo diventa nel 2035, mentre il patrimonio si esaurirebbe nel 2049.
A seguito delle osservazioni sollevate dai ministeri, peraltro in maniera neanche troppo ufficiale, lo schema è stato rifatto. Il vice direttore Proietti potrà rispondere più esattamente ad eventuali domande su questo tema. Conseguentemente, il nostro bilancio attuariale evidenzia che il saldo previdenziale risulterebbe essere negativo nell'anno 2040, mentre il saldo contabile sarebbe positivo per i prossimi cinquant'anni.
Noi, interpretando, non solo in maniera letterale, la norma, che parla di cinquant'anni a tendere, abbiamo pensato a questo lasso di tempo.
La riforma è particolarmente articolata. Il guaio è - e qui sta il problema - che essa è stata presentata da più di un anno, nell'ottobre 2008, ma da allora, tranne alcune richieste interlocutorie, l'ultima delle quali risalente al 29 aprile 2009 e immediatamente riscontrata il 13 maggio 2009, non abbiamo avuto nessun risposta da parte dei ministeri vigilanti.
Noi riteniamo che il rapporto della Cassa forense, nello specifico, con i ministeri vigilanti debba essere - come credo che sia - di stretta collaborazione. Quindi, ci riesce difficile capire perché dai ministeri vigilanti non arrivi nessuna risposta.
Il 17 settembre siamo stati convocati, con tutte le altre casse, dal Ministro Sacconi per ipotizzare la formazione di un tavolo tecnico con il Ministero del Lavoro, al fine di risolvere alcuni problemi che riguardano tutte le casse, in primis i criteri di individuazione dei parametri sulle gestioni patrimoniali. Inoltre, il tavolo tecnico dovrebbe affrontare il tema dell'individuazione di criteri per rendere uniformi i bilanci di tutte le casse, in modo che siano facilmente leggibili e non sorgano problemi. Su tali questioni, sulle quali siamo particolarmente d'accordo, perché si muovono nell'ottica del memorandum sottoscritto col Ministero non più tardi di due anni fa, abbiamo dato la nostra massima adesione.
La settimana scorsa siamo stati riconvocati, perché il Ministro Sacconi ha chiamato il Segretario generale del Ministero Verbaro a presiedere questo gruppo di lavoro - preferisco chiamarlo così - che raggruppa le varie casse, per risolvere i problemi comuni. In quella sede, tutte le casse lo hanno fatto, ma noi in particolare, abbiamo dichiarato che, prima di pensare a qualsiasi tavolo sul quale debbano essere affrontati parecchi problemi comuni, una pregiudiziale è rappresentata dalla soluzione del problema delle riforme pendenti.
Noi non pretendiamo l'approvazione della nostra riforma perché riteniamo di essere stati i migliori, ma semplicemente chiediamo, sommessamente ma allo stesso tempo con forza, che i ministeri vigilanti, proprio nell'ottica di collaborazione tra vigilante e vigilato, ci diano delle risposte. Noi sinceramente non sappiamo nulla. Abbiamo sentito delle voci circa il fatto che la nostra riforma presenterebbe punti di criticità su tre questioni in particolare, la prima delle quali riguarda il problema del 4 per cento, che a me pare coinvolga tutte le casse. Si sentono le voci più disparate, l'ultima delle quali - che mi auguro non vera, perché sarebbe effettivamente una notizia poco credibile - vuole che il 4 per cento venga concesso solo alle casse che ne abbiano assoluta necessità, mentre non verrebbe dato a quelle che magari hanno realizzato delle riforme più approfondite, e quindi potrebbero non averne la necessità. Una risposta simile non potrebbe essere accettata, perché noi siamo una Cassa di previdenza, ma la nostra è anche una Cassa di assistenza.
Il problema dell'assistenza, soprattutto per la categoria degli avvocati, è quanto mai grave in questo momento di sofferenza,


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soprattutto per quelli che cominciano la professione, o che vorrebbero iniziare ad esercitarla, ma che si trovano in condizioni di non poterlo fare. Quindi, noi abbiamo chiesto al Ministero di non darci una risposta di questo tipo. Sul contributo modulare, che abbiamo introdotto nella nostra ipotesi di riforma, come prima apertura verso un sistema contributivo che vada incontro anche alle richieste delle generazioni più giovani, non credo che ci possano essere delle obiezioni, anche se qualcuno pare averle sollevate.
Infine, l'ultima obiezione - che noi siamo stati tra i primi a ritenere fondata - riguarda il cosiddetto «scalone», ovvero il tempo troppo lungo che prevediamo perché la riforma arrivi a regime. Abbiamo già avuto occasione di spiegare qual è stata la motivazione del cosiddetto «scalone». Noi approviamo le modifiche dei regolamenti con un sistema simile a quello parlamentare e quindi con gli emendamenti, i sub emendamenti e quant'altro. Nel caso specifico, il risultato è stato il frutto di un sistema perverso di votazioni, per cui è venuta fuori questa ipotesi. Abbiamo detto subito che su tale ipotesi siamo disponibili, nel giro di quindici giorni, ad apportare le modifiche che i ministeri riterranno eventualmente necessarie, e lo ribadiamo. Tuttavia, lo ripetiamo, e lo abbiamo posto come pregiudiziale, non possiamo rimanere in questa situazione, perché questa stasi e questa incertezza ci creano dei grandissimi problemi. Questo lo abbiamo verificato subito, perché venerdì scorso in Consiglio di amministrazione abbiamo approvato il bilancio preventivo 2010 e l'asset allocation triennale, ma siamo stati costretti a farlo con i vecchi dati. Ciò vuol dire che noi a regime perdiamo, anzi non incassiamo, più 300 milioni di euro all'anno. Lo abbiamo scritto nella relazione introduttiva del bilancio e lo ribadiremo in tutte le sedi.
Abbiamo, inoltre, ribadito al Ministero che, siccome a fine 2009 dovremo fare il bilancio attuariale triennale, esso inevitabilmente sarà peggiore di quello del 2006. Questo è un fatto talmente evidente, che non merita neanche di essere spiegato. Tuttavia, lo abbiamo voluto dire in tutte le sedi - e lo dico qui oggi, perché so benissimo che risulterà a verbale, e lo dico appositamente perché risulti a verbale - che questa situazione non è di nostra responsabilità. Ci dicono che il 4 per cento non va bene, ma allora ci spieghino perché la norma prevede che possiamo portarlo fino al 5 per cento e non va bene portarlo fino al 4 per cento.
Il Ministro Sacconi a me personalmente, davanti a venti presidenti di cassa, ha risposto che avevamo ragione e che, quanto meno, avevamo il diritto di impugnare un eventuale provvedimento negativo o di qualsiasi altro genere.
Nell'ultima riunione - quella che ha costituito questo tavolo tra tutte le casse - il Segretario generale Verbaro, ha pubblicamente dichiarato che, siccome pare che i problemi per la nostra riforma riguardino difficoltà di contatto tra i vari ministeri vigilanti, avrebbe, nel giro di otto giorni, a partire da martedì scorso, provveduto a convocare una conferenza di servizi tra i vari ministeri, per consentire almeno di darci una risposta.
Io mi auguro che l'impegno che abbiamo profuso nell'approvare questa riforma - che non è neppure stato facile far «digerire» agli iscritti, in questo momento - non venga frustrato per mancanza di attenzione da parte di chi non intende, come intendiamo noi, lo spirito di collaborazione tra vigilanti e vigilati, senza il quale evidentemente non si va da nessuna parte. L'approvazione della nostra riforma consentirebbe l'assoluta messa in sicurezza della Cassa. Per fare questo, noi abbiamo lavorato negli ultimi due anni e, in particolare, in relazione ai problemi che sono oggetto di indagine da parte di questa Commissione, proprio sul problema della gestione della finanza.
Noi siamo l'unica o comunque tra le poche casse a non avere in portafoglio titoli sospetti di tossicità. Abbiamo avuto un'obbligazione di Lehman Brothers che è stata comprata quando era una tripla A. Sfido chiunque a dire che quella obbligazione fosse sospetta o non dovesse essere


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comprata. Non abbiamo derivati, non abbiamo hedge funds, assolutamente nulla di quel tipo di prodotti. In più, da due anni a questa parte, abbiamo lavorato per adottare - e lo abbiamo fatto - delle regole assolutamente stringenti per la gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare, che diano soprattutto la sicurezza di controlli, sia durante, sia ex post.
Io sono presidente da tre mesi, però ho lavorato nella Cassa forense prima, presso la Commissione bilancio, e posso dire che il primo atto realizzato dal nuovo consiglio di amministrazione, il 23 luglio, è stato quello di adottare le regole per la gestione del patrimonio, affinché non ci fossero dubbi. Tali regole sono state adottate e fatte proprie dal consiglio di amministrazione all'unanimità. Naturalmente, se qualche commissario lo desidera, noi siamo pronti a mettere a disposizione queste informazioni.
Stiamo svolgendo un lavoro di riorganizzazione dell'ente assolutamente importante, perché stiamo pensando alla Cassa forense dei prossimi dieci anni, non a domani mattina.
Dobbiamo pensare all'assistenza, che rappresenterà il tema della prossima riforma. Credo che l'assistenza, non intesa come assegno per i funerali o quant'altro, ma come mezzo per aiutare e far crescere soprattutto chi oggi è in difficoltà, rappresenti un tema molto importante per le casse di previdenza. Tuttavia, non possiamo occuparci di questa questione fino a quando non sappiamo dove siamo, e non sapremo dove siamo, fino a quando il Ministero non ci dirà cosa intende fare.
Mi auguro veramente, prima della fine di quest'anno - perché un ritardo di quindici giorni vuol dire una perdita di un anno, e quindi per noi di 300 milioni di euro - di potere ringraziare pubblicamente anche questa Commissione, se avrà dato un contributo per risolvere questi nostri problemi. Naturalmente, resto a disposizione per tutte le domande che i commissari vogliano rivolgermi. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie, presidente, per questa puntuale e precisa relazione, e soprattutto per aver chiarito le criticità che vi trovate ad affrontare e sulle quali credo dibatteremo.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

NEDO LORENZO POLI. La Cassa forense, come ente, non ha problemi riguardanti i titoli tossici, che hanno preoccupato fortemente questa Commissione. A tale proposito, qualche ente deve chiarire ancora meglio la propria posizione, quindi quello della Cassa forense è un dato positivo. Per quanto riguarda le riforme, noi chiediamo a questi enti di mettersi in linea rispetto alle disposizioni legislative. Tuttavia, questo non è il primo ente che ci conferma il ritardo dei Ministeri vigilanti nell'approvare le riforme, presentate da anni anche da altri enti. Quello che dispiace, presidente, è questa difficoltà per le casse di non poter portare avanti i propri progetti e di continuare a formulare bilanci in situazioni di estrema gravità.
Io credo che lei, presidente, debba farsi promotore presso il Ministro del Lavoro, perché queste cose non sono più tollerabili. In queste condizioni, non possiamo chiedere agli enti di rispettare le leggi e di fare tutto quello che possono per dare una certezza di stabilità ai loro iscritti, peraltro in un momento di grave difficoltà. Tutti, infatti, parliamo delle difficoltà generali, ma non di quelle che i professionisti debbono affrontare nel mondo di oggi.
Sbloccare questa situazione è fondamentale, perché la Cassa forense deve poter affrontare i prossimi bilanci e le prossime scadenze con una riforma che gli consenta di fare quello che devono per assicurare stabilità all'ente. Chi dovrebbe vigilare sul fatto che vengano realizzate le riforme, poi le lascia nel cassetto per anni, senza esaminarle. Addirittura, come in questo caso, sembra che gli enti debbano sollecitare i ministeri vigilanti, per avere una risposta, positiva o negativa che sia. Ebbene, questo non è tollerabile.


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Credo che lei, come presidente delle Commissione, debba battersi fortemente affinché questi problemi non si verifichino più, in questo caso che appare grave per il modo in cui ne ha parlato il presidente Ubertini ma anche in altri casi.
Bisogna smetterla di dire che si fanno le riforme, che si semplifica, mentre siamo sempre arenati. Lo stesso dicasi per questo tavolo tecnico che è stato formato, a cui la Commissione non partecipa e di cui non sappiamo nemmeno come si svolgono i lavori. Credo che sarebbe opportuno che la Commissione sappia in che modo intendono agire, anche per assolvere al meglio il proprio compito. Quindi, io credo che sia giusto che lei, presidente, intervenga pesantemente e fortemente su questa situazione, perché non è tollerabile.

PRESIDENTE. Onorevole Poli, prendo atto della sua richiesta e mi farò carico di riferire al presidente al riguardo. In ogni caso, nell'Ufficio di presidenza, chiederò che la Commissione prenda posizione sulla situazione oggi evidenziata dal presidente della Cassa forense, ma che mi pare riguardi altre casse, che sono in attesa di comunicazioni per le loro riforme.
Voglio, però, chiarire e sottolineare un passaggio della relazione del presidente Ubertini, nel quale ha evidenziato come lo stesso Ministro Sacconi, in una ben precisa occasione, si sia preoccupato in qualche modo di sollecitare i propri uffici, almeno del suo Ministero - perché sappiamo che poi concorrono diversi Ministeri - a pronunciarsi al più presto su queste riforme. Dunque, credo che la responsabilità sia riferibile più a un settore dell'amministrazione che ritarda nel concerto e nell'acquisizione dei pareri e sul quale credo che si debba rapidamente intervenire. Io raccolgo la sua richiesta. Evidenzierò il problema al presidente, ma io stesso come vicepresidente, insieme a tutti i componenti dell'Ufficio di presidenza, formulerò delle richieste ben precise e solleciterò ai Ministeri competenti l'esito di questa e delle altre riforme relative anche alle altre casse.

ELIO LANNUTTI. Ringrazio davvero il presidente della Cassa forense per la sua franchezza. Si tratta di una Cassa ben gestita, che non ha titoli tossici e che però lamenta certi ritardi da parte dei Ministeri. Io penso, presidente Lo Presti, che quello che lei ha detto possa essere sottoscritto, almeno per quanto mi riguarda, all'unanimità, dal momento che non si capisce perché i ritardi debbano essere addossati agli iscritti. Dal bilancio attuariale della Cassa forense - che noto che è sempre realizzato dallo studio Orrù e associati, sempre il solito - non si evince la preoccupazione espressa dal presidente Ubertini. Non so se sono io a non capire alcune dinamiche, oppure se nel breve lasso di tempo, che va dal momento in cui è stato consegnato il bilancio attuariale fino ad oggi, la situazione è precipitata. Non credo.
Dal bilancio attuariale, gli attivi iscritti, al 31 dicembre 2006, erano 118.212, la cui età media è di 42,8 anni. Sono dati rassicuranti. L'anzianità media di iscrizione è di 11,6 anni; la contribuzione per gli uomini è di 70.346 euro, mentre per le donne 47.876 euro e il reddito medio è di 49.642 euro. Questi sembrerebbero dati tali da non destare un così grande allarme, che tuttavia il presidente ha posto a noi commissari, per il mancato adeguamento e per i ritardi che determinano una perdita grave di 300 milioni di euro. Io non so, presidente Lo Presti, se secondo la prassi si possa sottoscrivere un documento per accelerare questi adeguamenti, che non vengono concessi. Certamente, se la situazione è questa, io penso che occorra agire.
Noi - il presidente Lo Presti lo ricorderà - abbiamo ascoltato anche i giovani avvocati che, da quanto ho potuto capire, lamentano il fatto che magari non avranno una pensione. Queste sono le preoccupazioni dei giovani ovvero che sarà difficile per loro, come per tante altre categorie, maturare la pensione nelle attuali dinamiche. Quindi, ripeto ancora una volta, che queste preoccupazioni, per quanto mi riguarda, sono raccolte. Vediamo le cose che si possono fare, nell'ambito delle prassi istituzionali, per accelerare questi


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adeguamenti. Trecento milioni di euro sono una cifra importante, anche rispetto a un patrimonio di circa 3,4 miliardi, e rappresentano apporti importanti per avere una garanzia di stabilità, non a dieci anni - mi permetta presidente - ma a trent'anni. Quindi, ringrazio a nome del gruppo dell'Italia dei Valori il presidente, e spero che la Commissione possa intervenire, nel rispetto delle prassi istituzionali, senza prevaricare nessuno.

VALTER ZANETTA. Voglio intanto ringraziare il presidente Ubertini per la serietà e anche per l'efficacia con cui ha presentato i problemi della sua cassa. Si tratta di una modalità che io apprezzo, perché spesso si fanno relazioni articolate ed ampie, ma non si arriva alla sostanza. Lei, presidente Ubertini - credo anche per le risposte del presidente della Commissione - certamente ha prodotto un effetto molto positivo su di me e credo anche su tutti i commissari. Il fatto che non si riesca ad attivare un tavolo di ragionamento, soprattutto in conseguenza del lavoro che voi avete prodotto, è un aspetto che evidentemente rammarica la Commissione.
Inoltre, ovviamente, chi parla da una posizione di maggioranza deve vedere anche l'azione del Governo all'interno di emergenze che sono state assolutamente alte e difficoltose, in questo ultimo anno. Qualche anno fa la previdenza sembrava essere la questione più difficile da affrontare, ma rispetto a quello che è successo nel mondo, il Governo ha collocato gli aspetti previdenziali probabilmente in una seconda fase. Quindi, proprio per l'attenzione, la serietà, l'impegno e la sensibilità che ha mostrato il Ministro Sacconi per questi temi - di cui ha dato atto anche lei, presidente - credo che non ci sia disattenzione sotto questo punto di vista, ma un ritardo dovuto ad un accavallarsi di tante situazioni e di tanti problemi. Pertanto, penso di poter dire che il Governo ha comunque attenzione verso questo tema. Tuttavia, credo che l'azione della Commissione, in questo senso, debba essere efficace, perché è proprio nello spirito di questa Commissione stimolare il Governo, affinché affronti oggi questo tema.
Sono stati definiti dei percorsi, dove è stato stabilito che il 4 per cento è un'aliquota adeguata, passata anche attraverso il vaglio consiliare e assembleare della vostra Cassa. Credo che nessuno voglia vessare gli iscritti con aliquote fuori misura, per una pura ambizione, che non sia quella di far sì che la Cassa poi abbia una sostenibilità nel tempo. Penso che questa decisione sull'aliquota sia stata più che ragionevole, e quindi, proprio perché - come lei ha detto - rientra nell'aliquota del 5 per cento, dovrà essere necessariamente accettata.
Si tratta soltanto di aprire questo canale di comunicazione e arrivare a raccogliere i frutti del grande e positivo lavoro svolto attraverso la sua azione e quella del precedente Consiglio. Quindi, mi associo sin d'ora a parte delle conclusioni che il Presidente ha fatto, a seguito delle sollecitazioni dei colleghi. Credo che questa Commissione dovrà necessariamente seguire, e nel contempo, come mi pare emerga dal dibattito di questa mattina, apprezzare il lavoro fatto. Le mie, presidente, sono più considerazioni, a seguito delle sue indicazioni. Grazie.

MARCO UBERTINI, Presidente della Cassa nazionale forense. Al senatore Lannutti rispondo che i 300 milioni non li perdiamo, ma semplicemente non li incassiamo. Avere a disposizione 300 milioni ad esempio per l'assistenza - non dico utilizzandoli tutti, ma almeno 50 - avrebbe un effetto volano, soprattutto in questo momento, in cui la nostra categoria, ma non solo, vive situazioni abbastanza pesanti e drammatiche. Sugli altri problemi più tecnici, quali il bilancio attuariale, chiederei al vicedirettore generale Proietti di rispondere, dal momento che ha seguito tutte le varie modifiche.

MICHELE PROIETTI, Vice direttore generale della Cassa nazionale forense. Se posso, vorrei fare un focus sulla riforma, per precisare alcuni aspetti. Innanzitutto, il problema dell'apparente contraddizione


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dei nostri dati attuali (numero di iscritti, numero di pensionati, età media, etc.) rispetto alla sostenibilità di lungo termine è facilmente spiegabile con un fatto storico, che purtroppo è ineludibile. Negli ultimi anni, la professione di avvocato ha avuto un'esplosione numerica.
Noi abbiamo - vado a memoria, ma non credo di sbagliarmi più di tanto - nel giro degli ultimi dieci anni, raddoppiato il numero degli iscritti.
Questo genera due effetti in un sistema previdenziale a ripartizione come il nostro. In un primo momento, abbiamo un buon rapporto iscritti-pensionati, che migliora e aumenta anche il gettito delle entrate contributive. Tuttavia, noi prendiamo impegni nei confronti dei nuovi iscritti di dovergli dare, da qui a trent'anni - che rappresentano il limite minimo per i nostri iscritti - un trattamento pensionistico. Se voi calcolate che noi oggi liquidiamo, alla classe degli iscritti di diversi anni fa, un numero di pensioni che si aggira intorno ad un migliaio all'anno, capite bene che fra dieci o quindici anni liquideremo 10 mila pensioni all'anno. In altre parole, questa proporzione genera, in prospettiva, una cosiddetta «gobba previdenziale», che gli attuari ci dicono non essere sostenibile con le attuali aliquote e con le attuali contribuzioni.
Siccome noi siamo un ente legalitario per definizione, perché siamo l'ente di previdenza degli avvocati, nel momento in cui una legge dello Stato ci ha imposto di passare, da un giorno all'altro - perché la legge Finanziaria il 31 dicembre non era in vigore, ma il primo gennaio successivo sì - da quindici anni di sostenibilità minima a trent'anni, ci siamo immediatamente attivati sul piano delle riforme, per riuscire a rispettare questo vincolo legislativo.
Siamo arrivati a una riforma che ritenevamo abbastanza equilibrata, nel senso che agisse sulla leva delle prestazioni, sul piano del calmierare l'importo delle pensioni e soprattutto - questa è una novità importante, che vorrei sottolineare - sull'età pensionabile.
Noi siamo stati anche un laboratorio, da cui alcune soluzioni potrebbero anche essere esportate nel regime generale. Questo è un tema di grossa attualità, in questo momento.
Noi, nella delibera del settembre del 2008, trasmessa ai Ministeri nell'ottobre successivo, abbiamo, come prima categoria professionale - esempio raro nel panorama previdenziale italiano - spostato in avanti, di ben cinque anni, l'età pensionabile, prevedendo di arrivare, per i nostri iscritti avvocati, da 65 a 70 anni di età. Credo che questo sia un fatto strutturale molto importante, che nobilita la nostra riforma e che deve servire al legislatore, e anche ai Ministeri che devono approvare i regolamenti, come elemento per superare quei piccoli tecnicismi, che adesso sembra abbiano bloccato per oltre un anno l'approvazione definitiva di questa riforma.
Aggiungo che, forse, in una prima fase è stato commesso un errore, sotto il profilo dell'equità generazionale. Ne ha già parlato il presidente, ma io ci tengo a sottolinearlo anche tecnicamente. Il passaggio da 65 a 70 anni era troppo diluito nel tempo - si parlava del 2027 per l'entrata a regime - il che tutelava troppo le generazioni attuali, che si avvicinavano al pensionamento, ma molto meno le giovani generazioni, perché il sistema troppo generoso del passato si perpetuava nel tempo un po' troppo a lungo.
Per questo motivo, all'obiezione dei ministeri di accorciare questo scalone noi abbiamo dato ampia disponibilità. Infatti, come ha detto il presidente, davanti a una riformulazione di questa norma transitoria, noi siamo disponibilissimi ad accorciare questo limite temporale. Chiaramente, non si può passare da 65 a 70 anni in un colpo solo, perché anche chi sta per andare in pensione deve avere una legittima tutela delle sue aspettative pensionistiche. Tuttavia, fare un anno ogni cinque, come avevamo ipotizzato noi, almeno nella prima fase, probabilmente rappresenta una entrata in vigore troppo dilazionata. Dunque, noi siamo disponibili a discutere una proposta diversa. Di questo, si era già parlato informalmente con i rappresentanti


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dei ministeri, dal momento che questa obiezione è da noi assolutamente condivisa, quindi siamo pronti a recepirla - come ha detto il presidente - in tempi brevissimi.
Diverso sarebbe, se saltassero altre parti importanti della riforma, soprattutto il pilastro contributivo. Gli aumenti fino al 14 per cento del contributo soggettivo - pensate che solo nel 2006-2007 eravamo al 10 per cento, quindi aumentiamo di 4 punti in pochi anni - e dal 2 al 4 per cento di quello integrativo, secondo noi rappresentano pilastri ineludibili di una qualsiasi riforma che si rispetti.
Noi con questa riforma - lo sottolineo - andremmo praticamente a regime, sotto il profilo della legalità, nel senso del rispetto dei trent'anni, ma allo stesso tempo metteremmo anche al sicuro l'ente, che vive dei soli contributi degli iscritti, dal momento che non riceve alcun contributo statale di nessun genere, né diretto, né indiretto. In tal modo, il saldo contabile non diventerebbe mai negativo, né tanto meno si annullerebbe il patrimonio. Quindi, ci sembra una riforma bene equilibrata, salvo questo errore di inesperienza, o frutto di una serie di emendamenti incrociati, legato all'eccessiva diluizione dell'entrata in vigore.
Quello dell'aumento dell'età pensionabile in particolare, è un tema che non è stato ben compreso e ben valutato dai ministeri vigilanti. Oggi, si parla di dubbi su piccoli aspetti tecnici e non si pone in risalto questo aspetto, per noi molto importante. Anzi, per noi questo dovrebbe costituire un paletto e potrebbe rappresentare un precedente importante per tutti gli altri sistemi previdenziali, pubblici e privati. Se ciò fosse stato compreso e anche la valenza politica di questa riforma fosse stata chiaramente apprezzata, il tempo che abbiamo atteso sarebbe stato molto più breve. Comunque, oggi per noi è assolutamente prioritario non superare il 31 dicembre, perché ogni anno di ritardo nell'entrata in vigore genera ovviamente uno slittamento dei tempi e perdite secche, che già nel primo anno abbiamo quantificato in 300 milioni di euro. Credo di non dover aggiungere altro.

ADRIANO MUSI. Ringrazio il presidente e il vice direttore generale della Cassa forense per il quadro che ci hanno mostrato. Io personalmente ricordo anche l'audizione fatta con i giovani avvocati.
Credo che qualche considerazione in più debba essere svolta da parte della Cassa, perché indubbiamente la relazione dello studio Orrù crea qualche preoccupazione, perché rileva questo tendenziale squilibrio della Cassa da qui a 24 anni. Tale squilibrio è generato non tanto per il fatto che si possano aumentare i contributi e le aliquote rispetto alla ricerca dell'equilibrio sostanziale della Cassa, ma soprattutto in virtù dell'andamento degli occupati e dei relativi redditi, dell'andamento della mortalità e infine di come è stato calcolato il tasso tendenziale per i trent'anni, tenendo conto che esso è calcolato intorno al 4 per cento.
Ora, mi auguro che vada sempre tutto bene, ma in ogni caso lo studio fa una valutazione positiva fermandosi al 2008, dopodiché nel 2009-2010 credo che avrete qualche problema a riconfermare il 3 o 4 per cento. Quindi, forse c'è una sopravalutazione rispetto al dato tendenziale. Ecco perché credo che voi dobbiate fare una riflessione anche sul sistema di calcolo della pensione. La questione, infatti, non riguarda soltanto il metodo che potrebbe entrare in vigore da qui al 2027, ma è chiaro che occorre riflettere con anticipo sul sistema contributivo, proprio perché credo che l'equilibrio della Cassa qualche problema lo crei. Il problema si pone soprattutto per le nuove generazioni, ovvero quelle che oggi contribuiscono al pagamento delle pensioni dei pensionati in essere, ma indubbiamente avvertono una certa preoccupazione circa la certezza dell'esigibilità del loro diritto. Lo stesso Orrù fa riferimento all'ipotesi di un patrimonio che può garantire la sostenibilità da qui al 2045, ma si tratta pur sempre di ipotesi ottimali. Pertanto, credo che dobbiate fare una riflessione attenta su queste considerazioni


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avanzate dallo studio Orrù, al di là delle giuste valutazioni che esprimete sulle responsabilità pubbliche e sui ritardi dell'autorità vigilante, che comunque ha dato una risposta ridicola, rispetto ad esempio al fatto che il 4 per cento viene accettato solo in presenza di una drammaticità della situazione.
Le riflessioni sui sistemi pensionistici non si fanno su 5 o 10 anni, ma su trent'anni, e già si tratta di un lasso di tempo ottimale, tenendo conto che molti le fanno su 50 anni. Dunque, credo che se il Ministero avesse provveduto ad una lettura più attenta, non solo delle prime pagine, ma anche delle ultime, della relazione dello studio Orrù, forse vi avrebbe dato una risposta più attenta, rispetto a quella che invece ha fornito. Comunque, come ricordava giustamente l'onorevole Poli, non è accettabile che è un'autorità vigilante non dia, anche ai sensi della legge n. 241 del 1990, nei tempi dovuti una risposta a chi pone un certo tipo di quesito. Il Ministero, proprio ai sensi di quella legge, avrebbe dovuto individuare dei tempi certi di risposta ai contribuenti, ai cittadini e alle associazioni.
Pertanto, potrebbe essere tranquillamente fatta una riflessione anche sul danno provocato alla Cassa, proprio ai sensi di una legge che il ministro Brunetta ricorda, a piè sospinto, nei suoi interventi pubblici. Tuttavia, detto questo sulle responsabilità pubbliche, io vi invito a fare un'attenta riflessione su cosa accade anche rispetto ai giovani avvocati. Le dichiarazioni forse eccessivamente polemiche fatte da loro qui in Commissione, si possono capire rispetto alle loro preoccupazioni. Ebbene, voi, come Cassa, dovete fare una valutazione su come garantire anche a loro questa certezza di diritto, rivedendo con più rapidità non solo lo scalone, ma anche il metodo di calcolo del sistema pensionistico. Voi richiamate giustamente la responsabilità di una legge dello Stato, ebbene essa ha realizzato il passaggio dal sistema retributivo al contributivo.
Quindi, credo che anche voi dobbiate fare questa riflessione, poiché altrimenti si corre il rischio di far pagare oggi, ai giovani, delle pensioni giustamente concesse a persone che hanno lavorato una vita intera, mentre loro non percepiranno affatto la pensione. Le previsioni ottimistiche fatte dallo studio Orrù debbono essere lette attentamente, forse anche in chiave pessimistica.

CARMEN MOTTA. Intanto, ringrazio anch'io il presidente Ubertini per questa ampia illustrazione. Condividendo l'intervento che ha fatto il collega Musi e le preoccupazioni che ha espresso, aggiungo solo qualche dato numerico, affinché poi nelle risposte ci possa essere un'indicazione più chiara.
Al 31 dicembre 2008, mi risulta che siano iscritti agli ordini forensi territoriali 198.041 avvocati. C'è un primo dato singolare, perché solo 144.072 di questi sono anche iscritti alla Cassa forense, ovvero pagano i contributi per poi avere diritto alla pensione e agli altri trattamenti previdenziali finora riconosciuti, come ad esempio la maternità. In sostanza, risulterebbero 53.969 avvocati, che sicuramente esercitano la professione - perché devono essere iscritti all'albo e diversamente non lo potrebbero fare - che non sono nel circuito del trattamento previdenziale. Pongo questa questione perché si tratta di numeri importanti, tenuto conto che tutte le casse hanno un problema di sostenibilità nel lungo periodo. Non ce n'è una che non ce l'abbia. Questo, se è un problema - e ve lo chiedo - intacca il principio solidaristico su cui si regge la possibilità di una previdenza autonoma e che credo abbia anche una conseguenza sul costo professionale delle prestazioni.
Se pensiamo che c'è un avvocato ogni 303 persone e che per quanto riguarda la popolazione carceraria - che sappiamo essere in un numero molto elevato - ogni detenuto ha almeno 3 avvocati a disposizione, capiamo bene come questo ponga un altro tema, che non è oggetto della nostra discussione, ma che riguarda l'intera categoria. In altre parole, forse c'è un surplus e forse bisognerebbe interrogarsi sulle modalità di accesso alla professione anche se queste problematiche, pur interessanti,


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per il momento non ci riguardano.
Il tema che a me interessa è quello di cui parlavo prima, cioè i numeri che, se fossero in qualche modo recuperati, potrebbero dare ovviamente una maggiore tranquillità e che riflettono il fatto che anche all'interno della categoria evidentemente ci sono problemi tra chi esercita la professione da lungo tempo e chi è appena entrato, che devono essere sicuramente affrontati.
Come ultima riflessione, confesso di non aver approfondito la lettura del bilancio attuariale e anche delle considerazioni del professor Orrù, ma mi sembra di aver capito che voi siete ancora in un sistema sostanzialmente retributivo.
Anche con le correzioni apportate, io penso che la riflessione di prevedere un sistema contributivo sia ineludibile. Capisco che questo può comportare qualche sacrificio e rinuncia per chi sta per arrivare a fine carriera e quindi deve veder riconosciuti i diritti acquisiti. Tuttavia, si tratta, secondo me, di una strada ineludibile, se vogliamo da un lato mantenere l'autonomia della previdenza della Cassa, e dall'altro garantire la sostenibilità e le pensioni alle nuove generazioni.

MARCO UBERTINI, Presidente della Cassa nazionale forense. Ringrazio l'onorevole Motta, proprio per l'aspetto che ha sottolineato, ovvero il problema relativo agli iscritti all'albo a agli iscritti alla Cassa. Si tratta di un problema oggettivamente molto grave. La Cassa ha i dati, ovvero la «fotografia» dello stato dell'avvocatura italiana. Ovviamente, il primo dato che viene all'esame è il seguente: circa 190 mila iscritti agli albi - poi nessuno sa bene se siano 190 o 213 mila - e circa 143 mila iscritti quest'anno alla Cassa.
Ebbene, come prima cosa c'è da chiedersi chi sono i mancanti, anche perché si tratta di una domanda attualissima, visto che è di questi giorni la riforma dell'ordinamento professionale dell'avvocatura. Dunque, chiediamoci quelli che tipo di avvocati sono e cosa fanno. Sappiamo, per esempio, dal momento che sono obbligati a comunicarlo alla Cassa, che una buona parte di essi non raggiunge il minimo per l'iscrizione obbligatoria alla Cassa. Ciò è possibile per una serie di motivi. Ad esempio, perché quel gran numero di avvocati che esercita e che vive di gratuito patrocinio a spese dello Stato, e da due anni non viene pagato, non può iscriversi alla Cassa perché non incassa, quindi non fattura e non evade neppure, perché lo Stato non può non fatturare. Ebbene, sembra dunque che quell'avvocato non esista, ma esiste eccome.
Per quanto riguarda, invece, i grossi studi professionali, si può dire che essi oggi pagano dei salariati che fanno gli avvocati, non degli avvocati. Dunque, questi che futuro avranno? Ebbene, noi queste cose ce le stiamo domandando da tempo e stiamo ragionando sulla possibilità di un'emersione accompagnata di questo tipo di soggetti. Con la riforma approvata non abbiamo solo pensato ad aumentare le aliquote, ma prevediamo, nei primi cinque anni, proprio per favorire l'iscrizione, il dimezzamento dei contributi minimi. In un'ottica di assistenza allungata per queste situazioni, tale aspetto potrebbe anche essere ulteriormente rafforzato. Tuttavia, oggettivamente, il problema esiste. Forse - lo dico come ipotesi - tutti quei soggetti che non sono iscritti alla Cassa, ma sono iscritti agli albi, teoricamente dovrebbero essere iscritti alla gestione separata INPS.
Se qualcuno ci volesse aiutare a fare una semplice verifica, vedremmo chi sono gli avvocati e chi invece i non avvocati. È anche vero che ci sono albi che iscrivono soggetti che non svolgono la professione. Noi abbiamo chiesto, in sede di riforma, che ci sia uniformità tra la professione, così come prevista dall'ordinamento professionale, e i requisiti per essere iscritti alla Cassa. Io mi auguro che questo passi, perché una volta approvato questo punto, noi saremmo in grado di dire esattamente chi sono gli avvocati, cosa fanno, e soprattutto di pensare agli interventi necessari, perché realizzare degli interventi basandosi sul sentito dire, rischia di portare dei


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risultati insoddisfacenti. Sui problemi tecnici sollevati, potrebbe ancora rispondere il vice direttore generale Proietti.

MICHELE PROIETTI, Vice direttore generale della Cassa nazionale forense. Sul tema altrettanto importante del sistema contributivo, vorrei aggiungere delle riflessioni.
Tali riflessioni sono state da noi approfondite in seno ai nostri organi deliberanti, e poi portate nel successivo confronto con la base, dal momento che è ormai un anno che ci confrontiamo sulla riforma, quindi con le associazioni e con i nostri iscritti sul territorio, i quali hanno mostrato di capirla, compresi i giovani avvocati. Noi avevamo la possibilità, nel quadro di una riforma strutturale, di passare al sistema contributivo. Tale passaggio era addirittura agevolato, perché la legge n. 335 del 1995 prevedeva la possibilità di un'opzione per i nostri enti. Quindi, se avessimo fatto ciò probabilmente non avremmo avuto neanche discussioni sull'approvazione della riforma. Al contrario, abbiamo cercato un metodo che fosse un po' più elaborato e complesso, che si avvicinasse molto al sistema contributivo, ma che fosse un po' più adeguato alla storia passata della Cassa forense.
A nostro parere, ci sono due problemi relativi al sistema contributivo. Innanzitutto, rispetto alle pensioni che noi oggi eroghiamo, le proiezioni attuariali che abbiamo svolto mostrano come il sistema contributivo, una volta a regime - quindi proprio per i giovani che si vanno ad iscrivere oggi - avrebbe portato ad un dimezzamento, come minimo, dell'importo delle pensioni da erogare. In altre parole, avremmo erogato pensioni, che erano meno della metà di quelle attuali.
Con la riforma che abbiamo fatto, abbiamo sì calmierato le pensioni, lavorando sulle aliquote, che abbiamo ridotto da 4 a 2, però in proiezione futura coloro che si iscrivono oggi prenderanno un 20- 25 per cento di pensione in meno e non un 50 per cento. Il secondo motivo, a nostro avviso, è ancora più importante. Teniamo sempre presente che il passaggio al sistema contributivo avrebbe dovuto prevedere necessariamente il famoso discorso del pro rata, ci sono sentenze di Cassazione che ce lo impongono. Questo significa, di fatto, che si sarebbe riverberato l'effetto dilatorio dei settant'anni. In altri termini, chi va in pensione tra uno, due o tre anni ha gli effetti del contributivo minimali, perché, rispetto ai trent'anni che ha maturato, prende uno, due o tre anni col contributivo e il resto col vecchio sistema. Quindi, in realtà, saremmo andati a regime col contributivo solo fra trent'anni, e a pagare sarebbero state comunque le giovani generazioni.
Questo è stato uno dei motivi per i quali abbiamo scartato il contributivo. Tuttavia, voglio aggiungere un elemento. Il contributivo non è totalmente fuori dalla nostra riforma, ma c'è per una parte che abbiamo aggiunto. Infatti, c'è una parte della nostra riforma, la cosiddetta «pensione modulare», che è un'aliquota in parte obbligatoria, 1 per cento, e in parte facoltativa, fino al 9 per cento, che il nostro iscritto può scegliere di pagare, aggiungendola alla quota base. Questo serve a formare un montante contributivo, che darà luogo ad uno spezzone di pensione con il contributivo. Se attraverso questa strada si riuscisse a favorire un aumento delle aliquote contributive, da parte dei nostri iscritti liberi professionisti, e il consolidamento di una quota di pensione con il calcolo contributivo, la nostra riforma avrebbe due gambe, una retributiva e una contributiva.
Aggiungo un'ultima considerazione. Quando si parla di sistema retributivo all'interno dei nostri enti, in particolare nel nostro, non si deve dimenticare una cosa: non si tratta del retributivo né del pubblico impiego, né del lavoro dipendente. Con l'ultima riforma, il nostro sistema retributivo è calcolato sì sui redditi dichiarati, ma non degli ultimi anni, come era all'inizio, ma di tutta la vita lavorativa dei nostri iscritti, esclusi i peggiori cinque anni.
Vi assicuro che non c'è tanta differenza tra fare un calcolo di tipo retributivo,


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calcolato su una media di reddito di trent'anni, e uno di tipo contributivo. Quindi, attraverso questi due espedienti, allargare il periodo di riferimento all'intera vita lavorativa e creare un pilastro contributivo, comunque da incentivare nel prosieguo del periodo di osservazione, noi pensiamo di aver creato un equilibrio, anche a tutela delle giovani generazioni. Su questo tema ci siamo confrontati sul territorio, con gli ordini e con le associazioni, e credo che adesso il problema sia stato correttamente impostato nelle sue dimensioni.
Resta l'altro problema, ovvero quello di non mantenere troppo a lungo un sistema passato, che è stato troppo generoso e quindi di ridurre lo scalone previsto per il 2027, perché le pensioni con i vecchi criteri devono essere il più possibile ridotte nel tempo. Questo è possibile farlo.
Tuttavia, al di là di ciò, noi crediamo che il discorso del sistema contributivo sia stato valutato approfonditamente al nostro interno. Ci siamo anche confrontati con autorevoli studiosi, quando si scelse la strada del sistema contributivo o retributivo corretto. Ne è nato un sistema misto, che mantiene l'impianto del retributivo, ma che aggiunge anche dei forti connotati di contributivo.
Del resto, i conti che avete visto, quelli dell'ultimo bilancio tecnico, sono a normativa costante, mentre i conti in proiezione che abbiamo mandato al Ministero a corredo della nostra riforma, ci garantiscono risultati, magari attraverso un'altra strada, più articolata e studiata a tavolino. In questo senso, a volte insisto sul fatto che le nostre casse, gestendo numeri relativamente piccoli, possono essere anche un volano di idee per il sistema nazionale.
Noi abbiamo cercato di realizzare un sistema misto tra sistema retributivo e contributivo, secondo me più idoneo per garantire, anche nel lungo periodo, la sostenibilità e l'adeguatezza delle prestazioni, che altrimenti con il semplice passaggio al sistema contributivo, non sarebbero tutelate.

ELIO LANNUTTI. Avrei solo una curiosità, anche su ciò che ha detto il vice direttore generale Proietti. Noi sappiamo che come con tutte le professioni - anch'io sono iscritto ad un ordine, quello dei giornalisti - i vecchi hanno stipendi e salari ancora decenti, mentre per le nuove generazioni questi stipendi sono decrescenti. Abbiamo ascoltato anche l'INPGI, i colleghi giornalisti, e sappiamo che c'è la tendenza di molti quotidiani importanti a prepensionare le grandi firme, senza assumere nessun altro. Prepensionare queste persone, vuol dire che esse continuano a scrivere, e magari gli si fa un contratto di consulenza, appunto per risparmiare.
Ebbene, non convince tanto, dottor Proietti, questo aspetto del pro rata, nel senso che questa è una riforma che magari garantirà quelli che ci sono, però penalizzerà, secondo il mio modesto avviso, i giovani.
Vengo alla domanda e concludo. Io ho lavorato in banca, e ricordo che gli avvocati interni all'azienda avevano uno strano status. Oggi mi pare che questa figura non esista più. Volevo un chiarimento su questo, ovvero sapere se sono iscritti all'ordine e alla Cassa forense.

MARCO UBERTINI, Presidente della Cassa nazionale forense. Gli avvocati interni delle banche, in realtà erano dipendenti delle banche. Negli enti pubblici ci sono ancora gli avvocati iscritti all'albo speciale, ma che non sono iscritti alla Cassa, perché è una situazione di incompatibilità.
Certamente, il problema è che mentre prima le banche, il più delle volte, si rivolgevano agli avvocati esterni, oggi quella figura non esiste più. Le banche impongono - lo so per esperienza diretta, perché lo vedo tutti i giorni - delle convenzioni, che sono assolutamente non dignitose, ma non per un avvocato, ma per qualunque persona. Ottanta euro per portare dal deposito fino alla fine un decreto ingiuntivo, di qualsiasi importo, è una cosa vergognosa, perché con 80 euro non si paga neanche la benzina per andare in tribunale a depositare l'atto. Questa purtroppo


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è una conseguenza perversa e distorta di certe situazioni.

PRESIDENTE. E del fatto che sono state abolite le tariffe minime. Bisogna dirle certe cose e chiamarle con nome e cognome.

MARCO UBERTINI, Presidente della Cassa nazionale forense. Io sono cauto...

PRESIDENTE. Va bene, ma la realtà oggettiva è questa.

MICHELE PROIETTI, Vice direttore generale della Cassa nazionale forense. Voglio fare solo una considerazione sul pro rata. Il pro rata non piace neanche a noi, ma ci sono fior di sentenze di Cassazione che ci obbligano a rispettarlo, quindi non possiamo farne a meno.
Per coloro, invece, che vanno in pensione o che sono andati in pensione con i regimi più favorevoli, abbiamo applicato - la Cassazione dice che questo è legittimo - un contributo di solidarietà, che aumenta con questa riforma e arriva al 5 per cento del reddito che si continua a dichiarare. Quindi, anche i più agevolati dalle vecchie norme, contribuiscono, in qualche modo, alla sostenibilità del sistema.

PRESIDENTE. Grazie a tutti i colleghi e soprattutto ai vertici della Cassa forense per questa interessante audizione. In conclusione, volevo sottolineare come questa audizione abbia evidentemente fornito importantissimi chiarimenti, non soltanto sullo stato economico e finanziario della Cassa degli avvocati, ma anche sulla situazione più generale che coinvolge tutti gli enti di previdenza. Soprattutto, essa ha fornito importanti chiarimenti sui gravissimi ritardi con i quali questi enti si trovano a dover lottare, per poter avviare riforme, progetti e tutto quanto sia necessario per una corretta ed efficiente amministrazione.
Io credo di avere raccolto il senso di tutti gli interventi dei colleghi che hanno seguito questa audizione, e che va nella direzione di un intervento autorevole di questa Commissione presso i Ministeri vigilanti, affinché questa situazione si sblocchi. Interpretando, dunque, la volontà di tutta la Commissione, io riferirò immediatamente alla presidenza, e fin da ora chiedo agli uffici di predisporre gli atti necessari affinché il presidente, che interpreterà la volontà di tutti noi, possa rapidamente trasmettere i verbali di questa Commissione ai Ministeri vigilanti, con una nota di accompagnamento che in qualche modo evidenzi la gravità della situazione, sollecitando i Ministeri a dare una risposta, qualunque essa sia.
Naturalmente, la Commissione si augura che la risposta vada nel senso dell'approvazione delle riforme che sono state proposte, ma pur tuttavia è certo che una risposta deve essere fornita, perché uno stato di incertezza può provocare solo danni, che graveranno sugli interessi dei singoli iscritti e dei quali qualcuno dovrà essere chiamato a rispondere.
Nel ringraziare gli auditi, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 9,40.

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