Onorevoli Colleghi! — La risoluzione n. 1887, adottata lo scorso settembre dal Consiglio di sicurezza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), prefigura un mondo senza armi atomiche, esortando i Paesi a rafforzare il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). Il documento «chiede a tutti gli Stati che non fanno parte del Tnp di entrare nel Trattato come Stati non nucleari, in modo da raggiungere l'universalità in una data prossima». Il primo pilastro del Tnp è il disarmo nucleare: ma si tratta di un Trattato discriminatorio, in quanto alcuni Paesi, i cinque che avevano effettuato un test nucleare prima del 1o gennaio 1967 e che sono anche i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, sono autorizzati a possedere le armi nucleari, mentre ciò è interdetto agli altri Paesi aderenti al Trattato, che sono perciò definiti «Paesi non nucleari» nel Trattato stesso. Nello spirito del Tnp questa discriminazione è provvisoria. I Paesi nucleari sono infatti tenuti a procedere speditamente e in buona fede alle trattative per l'eliminazione delle loro armi nucleari. Il secondo pilastro è la non-proliferazione: a nessun Paese membro del Trattato è consentito trasferire o ricevere armi o esplosivi nucleari o parti di essi. Nessun Paese nucleare può fornire assistenza per la costruzione di esplosivi nucleari a Paesi non nucleari, né affidare il controllo diretto o indiretto di armi nucleari a Paesi non nucleari. Inoltre tutti i Paesi non nucleari devono concordare con l'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) di Vienna le procedure di

 

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controllo delle proprie attività nucleari pacifiche. Infine il terzo pilastro del Tnp riguarda il diritto inalienabile dei Paesi membri del Trattato a sviluppare energia nucleare per scopi pacifici e a ricevere l'assistenza relativa. In questo scenario il Governo di coalizione tedesca ha elaborato la proposta di rimuovere le armi atomiche attualmente esistenti in Germania. Ad assumere la leadership per l'eliminazione delle armi nucleari in Europa sono poi stati i Paesi del Benelux, primo fra tutti il Belgio, sostenuti dalla Norvegia, che tuttavia non ospita armi nucleari sul suo territorio. Anche l'Olanda ha avviato un dibattito in merito. La Corte internazionale di giustizia, nel parere del 1996 sulle armi nucleari, ha affermato che il loro uso è contrario al diritto internazionale umanitario. L'Italia ha ratificato tutti i più importanti strumenti di diritto umanitario, ma, avendo sul proprio suolo armi nucleari, è stata costretta a effettuare una dichiarazione secondo cui il protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra non si applica alle armi nucleari. La dichiarazione dovrebbe essere revocata: si farebbe in questo modo un significativo passo in avanti verso il disarmo nucleare. Inoltre c’è l'obbligo di uno Stato non nucleare, membro del Tnp, di non possedere o ricevere armi nucleari. Per aggirare l'ostacolo è stato escogitato il sistema per cui l'ordigno nucleare può essere impiegato dallo Stato nucleare, purché non vi sia l'opposizione dello Stato non nucleare sul cui territorio le armi sono stanziate rischiando di andare contro lo scopo e l'oggetto del Tnp. È evidente che le armi nucleari tattiche che stazionano sul territorio italiano sono inutili e che l'Italia dovrebbe unirsi alla Germania e agli altri Paesi continentali che ne chiedono una rimozione, tranne che non voglia invece chiederne un ammodernamento. Secondo gli analisti esistono attualmente circa 200 armi nucleari tattiche americane in Europa. Francia e Regno Unito hanno il loro autonomo deterrente nucleare. Le armi nucleari americane sono stazionate in cinque Paesi della NATO: Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia. Da un rapporto dell'associazione ambientalista americana «Natural Resources Defense Council» emerge che gli Stati Uniti d'America (USA) mantengono in Italia 90 bombe nucleari: 50 ad Aviano (Pordenone) e 40 a Ghedi Torre (Brescia). Sono bombe tattiche B-61 in tre versioni, la cui potenza va da 45 a 170 kiloton (tredici volte maggiore di quella della bomba di Hiroshima). Le bombe sono tenute in speciali hangar insieme ai cacciatorpedinieri pronti per l'attacco nucleare: tra questi, i Tornado italiani che sono armati con 40 bombe nucleari (quelle tenute a Ghedi Torre). A tal fine, rivela il rapporto, piloti italiani sono addestrati all'uso delle bombe nucleari nei poligoni di Capo Frasca (Oristano) e di Maniago II (Pordenone). Tutto ciò viene confermato ufficialmente, per la prima volta, nel «Nuclear Posture Review» 2010, dove, inoltre, si afferma che «i membri non nucleari della NATO posseggono aerei specificamente configurati, capaci di trasportare armi nucleari».
      Ad aprile 2010 Barack Obama e Dmitri Medvedev firmano uno «storico» trattato per la riduzione delle armi nucleari. Annunciano «un mondo più sicuro». Parlano di una «nuova era» nelle relazioni tra le due superpotenze ex-nemiche della guerra fredda, proclamano il superamento di tensioni e diffidenze ancora recenti.
      Il 28 maggio 2010, dopo quasi un mese di lavori, si è conclusa a New York la conferenza quinquennale di revisione del Tnp: i 189 Paesi membri hanno approvato un documento finale di ventotto pagine nel quale si dettagliano i passi successivi nella strada verso il disarmo globale. In sostanza le cinque potenze nucleari riconosciute (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) si impegnano ad accelerare la riduzione degli arsenali, a diminuire l'importanza strategica delle armi nucleari e a presentare un rapporto sui progressi di tali iniziative nel 2014. Inoltre, è indetta per il 2012 una conferenza internazionale «per la denuclearizzazione del Medio Oriente» e l'eliminazione dalla regione di altre armi di distruzione di massa. Il 3 giugno 2010 è stata approvata alla Camera dei deputati la mozione unitaria
 

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n. 1/00374 che ha impegnato il Governo a svolgere un ruolo attivo a sostegno delle misure di disarmo e di non proliferazione nucleare in tutte le sedi internazionali proprie, e in particolare nel processo di revisione del concetto strategico della NATO, confermando e rafforzando la visione sancita dal vertice G8 dell'Aquila per un mondo senza armi nucleari, facendo leva sull'importante passo in avanti registrato con la firma del nuovo trattato Start tra USA e Russia, ma anche sull'esigenza di favorire nuovi processi di disarmo, che includano negoziati sulla riduzione delle armi non strategiche da parte dei Paesi che le possiedono; a sostenere passi concreti per il rafforzamento del regime internazionale di non proliferazione, di cui il Tnp rappresenta la pietra angolare, per l'entrata in vigore del Trattato per la messa al bando delle sperimentazioni, per l'avvio di negoziati per la messa al bando della produzione di materiale fissile e per l'adozione universale del protocollo aggiuntivo dell'AIEA, con l'obiettivo di consolidare le capacità ispettive dell'Agenzia; a prendere parte attiva nello sviluppare ulteriormente il dibattito già avviato in seno all'Alleanza atlantica sul futuro del deterrente nucleare all'interno dei confini europei, anche nel quadro di un processo negoziale con la Federazione russa sul controllo degli armamenti; ad approfondire con gli alleati, nel quadro del nuovo concetto strategico della NATO di prossima approvazione, il ruolo delle armi nucleari sub-strategiche, e a sostenere l'opportunità di addivenire – tramite passi misurati, concreti e comunque concertati tra gli alleati – a una loro progressiva ulteriore riduzione, nella prospettiva della loro eliminazione.
      A maggio 2008, 107 nazioni hanno firmato a Dublino la Convenzione internazionale sulla messa al bando delle munizioni a grappolo, i micidiali ordigni che contengono al loro interno centinaia di bombe più piccole che si diffondono sul territorio creando molti più danni a cose e a persone. La Convenzione è stata ufficialmente firmata a Oslo a dicembre dello stesso anno e impegna i firmatari a non usare in alcuna circostanza le cosiddette «cluster bomb», né a produrre, acquistare, conservare o trasferire a chiunque, direttamente o indirettamente, questo tipo di armi. L'accordo impegna altresì i Paesi firmatari all'assistenza delle vittime e alla bonifica delle aree interessate, nonché a prevedere anche la distruzione degli arsenali nel giro di otto anni, ma lascerebbe la possibilità di impiego di munizioni a grappolo più piccole di nuova generazione in grado di colpire gli obiettivi con maggiore precisione e provviste di un sistema di autodistruzione. Sebbene l'Italia abbia firmato la Convenzione a Oslo nel dicembre 2008, essa non è tra i primi trenta Paesi che la hanno ratificato, grazie ai quali il 1o agosto 2010 è entrata in vigore la stessa Convenzione. Inoltre, da un documento di «Human Rights Watch», l'Italia risulta tra i Paesi che hanno prodotto munizioni cluster e che possono averne stoccate un'ampia quantità. Non vi è alcun dato sulla quantità e sulla tipologia di munizioni cluster in nostro possesso. Nel 2006 un rapporto dell'associazione, «Handicap International» evidenzia che sarebbero circa 100 milioni le bombe a grappolo rimaste inesplose nel mondo delle oltre 440 milioni dal 1965. Da allora oltre 100.000 persone, nella quasi totalità civili, sono state uccise o mutilate dagli ordigni a grappolo e più di un quarto sono bambini che scambiano le bombe per giocattoli o lattine. L'Italia è stata una dei maggiori esportatori mondiali di mine fino alla messa al bando della loro produzione nel 1994; la presidenza del gruppo «EveryOne», un'organizzazione al di fuori da ogni corrente politica, che opera a livello internazionale per la tutela dei diritti umani e civili, ha sottolineato che «a dispetto degli impegni assunti, il Governo italiano ha smesso da alcuni anni di destinare fondi nelle operazioni di bonifica delle mine antiuomo e ha limitato gli aiuti destinati all'assistenza alle vittime». Il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon ha definito le mine antipersona come «armi dall'utilizzo indiscriminato che causano gravi mutilazioni, uccidono ed ostacolano la ricostruzione nelle aree devastate
 

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dai conflitti». Il gruppo «EveryOne» denuncia, inoltre, che l'Italia «ha proseguito nella produzione dei componenti che servono per assemblare le mine». L'associazione chiede che «apposite commissioni internazionali effettuino controlli presso le aziende di componenti elettronici e di produzione armamenti – per esempio, in provincia di Brescia – per limitare un traffico di morte che non si è mai fermato». Le schede che permettono il funzionamento delle mine sembra che siano prodotte ufficialmente per altri usi, poi finiscono all'estero, dove rientrano nella fabbricazione dei micidiali ordigni. Una tecnica – quella della produzione di componenti e di assemblaggio in diversi Paesi – già in uso per aggirare alcune proibizioni in atto prima dell'entrata in vigore della messa al bando delle mine antipersona. Va ricordato che la mina Valmara 69 o V-69, di fabbricazione della ditta bresciana Valsella, non è più prodotta in Italia ma tuttora numerose copie sono prodotte in altri Paesi, tra cui Singapore. In quest'ambito altrettanto importante è il controllo degli investimenti nei settori delle mine antiuomo e delle munizioni a grappolo effettuati dai gruppi bancari e finanziari internazionali. Infatti BNP Paribas, gruppo di cui fa parte l'italiana BNL, è tra i maggiori finanziatori di aziende che producono bombe a grappolo. Nel nostro Paese la banca è al secondo posto della graduatoria, preceduta solo da Unicredit e seguita a ruota da Intesa SanPaolo. Non si tratta però di investimenti diretti: Bnp opera sul mercato delle cluster bomb tramite fondi di investimento e società di investimento a capitale variabile (Sicav). I Fondi e le Sicav in cui investe Bnp Paribas sono molteplici. Il rapporto supera le 500 pagine e in 34 di queste compare la parola «difesa» a qualificare gli investimenti. Inoltre, nel rendiconto è possibile individuare più volte i nomi di Lockheed Martin e di L-3 Communications, due aziende accreditate come produttrici di munizioni a grappolo dalle maggiori associazioni umanitarie del mondo. Bnp Paribas non è l'unico gruppo bancario italiano che propone questi fondi ai suoi risparmiatori. Dal 28 al 30 maggio 2010 è stato presentato a Firenze a «Terra Futura» da Ires Toscana il rapporto sulle connessioni tra la finanza e le industrie che producono armamenti, «Finanza e armamenti: le connessioni di un mercato globale». Tra il 2008 e il 2009 l'esportazione italiana di armamenti ha raggiunto un picco del +74 per cento. Nell'ultimo decennio, attesta il rapporto, sono state autorizzate agli istituti di credito italiani operazioni relative a esportazioni di armamenti italiani per un valore di 15,5 miliardi di euro. Per l'esportazione, le imprese italiane si appoggiano in molti casi alle banche italiane. Nel solo 2009 gli istituti di credito del nostro Paese si sono ripartiti operazioni di incasso da vendite dell'industria italiana di prodotti per la «sicurezza e difesa» pari a 3,79 miliardi di euro, su un totale di commesse autorizzate alle aziende pari a 4,9 miliardi che, con una crescita del 61 per cento rispetto al 2008, rappresentano il record ventennale dell'esportazione del settore. Negli ultimi tre anni Intesa SanPaolo e Unicredit hanno limitato e contenuto le loro operazioni soprattutto Intesa, mentre BNL-BNP ha comunque una policy piuttosto rigorosa, in quanto restringe le operazioni a Paesi della NATO e dell'Unione europea. Quali siano però le altre banche che si contendono le operazioni di appoggio all'esportazione delle imprese italiane non è dato saperlo in quanto da tre anni è sparito l'elenco di dettaglio degli istituti di credito che dal 1990 veniva pubblicato a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri. Quindi è necessario basarsi sui dati delle operazioni autorizzate e su autocertificazioni delle banche. Un altro campo d'indagine del rapporto è quello dei fondi comuni d'investimento venduti ai risparmiatori dalle banche: il 70 per cento contiene azioni di aziende a produzione militare. L'unica società d'intermediazione italiana che non ha alcun coinvolgimento in materia è Etica Sgr (banca etica). Al primo posto, emerge dal rapporto, si colloca Unicredit (478 milioni di euro investiti in aziende produttrici di armi), seguono Mediolanum (207 milioni di euro) e
 

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Intesa SanPaolo (189 milioni di euro). La grande maggioranza dei fondi comuni d'investimento contiene partecipazioni in aziende che producono armi e qualche investimento di questo tipo è stato rilevato dai ricercatori anche nell'ambito dei fondi pensione. La Convenzione di Oslo, però, prevede la proibizione dell'uso, produzione, commercio e stoccaggio delle munizioni a grappolo e impegna i Governi a distruggere gli stock, a bonificare i territori infestati e a fornire assistenza alle vittime.
      Per le motivazioni citate e nel pieno rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, la presente proposta di legge si pone come obbiettivo primario la promozione e la disciplina di misure concernenti il disarmo e la non proliferazione nucleare sul territorio italiano al fine di adempiere a tutti gli impegni assunti a livello nazionale e internazionale.
 

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