Onorevoli Colleghi! — Riteniamo sia interesse del Paese riportare all'attenzione della pubblica opinione la buia stagione vissuta dall'Italia tra i primi anni ’70 e i primi anni ’80 nel segno dello IOR, l'Istituto opere di religione, ente centrale della Chiesa cattolica, e della loggia massonica P2, una loggia «coperta», cioè segreta, di cui fecero parte esponenti di tutti i poteri possibili e immaginabili, a cominciare da quelli dell'economia, della politica e, in senso lato, dell'amministrazione dello Stato.
      Tra gli avvenimenti che contraddistinsero quel periodo e la convergenza tra gli interessi della P2 e dello IOR vi fu la perdita, da parte della famiglia Rizzoli, del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera (RCS), il più importante gruppo editoriale italiano e tra i primi a livello europeo ed editore del più venduto e tra i più autorevoli quotidiani italiani, il Corriere della Sera.
      Il 12 luglio 1974 il gruppo Rizzoli, primo gruppo editoriale italiano, acquisì la proprietà dell'Editoriale Corriere della Sera, una vera e propria corazzata editoriale che, oltre ad essere l'editrice del Corriere della Sera, pubblicava anche un quotidiano del pomeriggio, il Corriere d'informazione, e diversi settimanali. La società venne rinominata Rizzoli-Corriere della Sera (RCS). Andrea Rizzoli, figlio del fondatore Angelo Rizzoli e guida dell'omonimo gruppo editoriale, comprò anche le

 

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quote di Angelo Moratti e Gianni Agnelli così da raggiungere il 100 per cento della società editrice.
      «È il 1975, Natale, quando, tramite Ortolani (gentiluomo di Sua Santità, tessera P2 n. 1622 nda), Licio Gelli aggancia i Rizzoli: organizza un incontro tra loro ed eminenti personaggi del mondo bancario, tra i quali Alberto Ferrari (tessera P2 n. 1625), direttore generale della Banca nazionale del lavoro, Giovanni Cresti (tessera P2 n. 1626) provveditore del Monte dei Paschi di Siena e Roberto Calvi (tessera P2 n. 1624), presidente del Banco Ambrosiano, banca privata legata allo IOR, Istituto opere di religione, ente centrale della Chiesa cattolica. E subito si intrecciano importanti relazioni di finanziamento destinate a rinsaldarsi ben di più nell'anno successivo con l'acquisto delle azioni Ambrosiano da parte del gruppo Rizzoli. Da questo momento il «gruppo» sarà sempre più condizionato dall'appoggio finanziario del Banco. Verso la fine del ’76, con una spericolata operazione, il controllo della “Editoriale del Corriere della Sera” passa anche formalmente sotto il controllo di Calvi. Ma è nel luglio ’77 che la scalata va in porto: i mezzi finanziari per estinguere il debito verso Agnelli, ancora pendente per i Rizzoli, vengono forniti dalle banche del gruppo Ambrosiano. Ormai il dominio della P2 sulla Rizzoli appare completo» («Così conquistò banche e giornali» di Silvana Mazzocchi – La Repubblica, 11 maggio 1984).
      Come conseguenza entrò a far parte del gruppo dirigente della RCS Bruno Tassan DIN (tessera P2 n. 534), che diventò il braccio destro di Angelo Rizzoli junior (tessera P2 n. 532), subentrato nel 1978 nella gestione del gruppo al posto del padre Andrea.
      Nel 1979 il gruppo RCS era saldamente il maggiore gruppo editoriale italiano: ogni giorno pubblicava 1.380.000 copie di quotidiani e quasi due milioni di copie di periodici. Il fatturato pubblicitario (della sola Rizzoli Editore nda) si aggirava sui 60 miliardi di lire annuali, a fronte di 3.500 dipendenti, 700 dei quali giornalisti (Paolo Morando, Dancing Days, Laterza, 2009, pagg. 33-36.).
      Nel 1980 l'indebitamento del gruppo raggiunse la cifra di 150 miliardi di lire.
      Nei primi mesi del 1981, scadendo il pegno contratto nel luglio del 1977, quando una nuova ricapitalizzazione divenne inevitabile, Roberto Calvi decise di rivelare pubblicamente il suo soccorso alla casa editrice tacendo però di un conferimento, nascosto, dello IOR, la banca della Città del Vaticano.
      Quando il creditore pignoratizio rappresentato dalla commissionaria Giammei di Roma dovette indicare un rappresentante nel consiglio di amministrazione della Rizzoli a garanzia del creditore, lo IOR indicò l'avvocato Umberto Ortolani.
      Il 29 aprile 1981 la Centrale finanziaria, società di proprietà del Banco ambrosiano, si impegnò ad acquistare il 40 per cento delle azioni del gruppo Rizzoli, possedute da Angelo Rizzoli, dietro il corrispettivo di 115 miliardi e 800 milioni di lire. Tale cifra doveva servire in parte (35 miliardi di lire) a estinguere il pegno presso il Banco ambrosiano, mentre la parte restante, circa 80 miliardi di lire, doveva essere versata alla Rizzoli editore, quale quota di aumento di capitale relativa al 50,2 per cento delle azioni rimaste in mano ad Angelo Rizzoli.
      La Centrale finanziaria si impegnava, inoltre, a versare altri 61 miliardi di lire alla Rizzoli editore, quale quota di aumento di capitale per il suo 40 per cento acquistato da Angelo Rizzoli in quell'occasione. Al termine dell'operazione la proprietà della Rizzoli editore sarebbe dovuta essere così suddivisa: 50,2 per cento ad Angelo Rizzoli e 40 per cento alla Centrale finanziaria, con l'azienda che sarebbe dovuta essere ricapitalizzata per circa 150 miliardi di lire. Tale versamento di denaro avrebbe dovuto estinguere tutti i debiti della Rizzoli editore verso gli istituti di credito, a cominciare dal Banco ambrosiano stesso. In realtà ciò non avvenne, perché questa ingente somma di denaro non fu mai versata alla Rizzoli editore, ma, una volta raccolta dalle tre banche del gruppo ambrosiano (Banco ambrosiano,
 

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Credito varesino e Banca cattolica del Veneto) fu invece trasferita, su conti esteri facenti capo a Bruno Tassan Din, amministratore delegato del gruppo Rizzoli nominato per conto di Roberto Calvi, a Licio Gelli e a Umberto Ortolani.
      Operazione confermata dalla Corte Suprema della Repubblica d'Irlanda, nel senso che una parte di questi fondi, dirottati all'estero, finiscono su una banca di Dublino e i magistrati dicono: questi soldi sono del gruppo Ambrosiano, la Suprema Corte della Repubblica d'Irlanda stabilisce che quei fondi sono di pertinenza del capitale Rizzoli (sentenza numero 171 del 1986).
      A seguito del dissesto del Banco ambrosiano, il 7 agosto 1982, il Ministero del tesoro e la Banca d'Italia crearono il Nuovo banco ambrosiano, che ereditò tutte le proprietà del vecchio, compresa la Centrale finanziaria, che possedeva il 40 per cento delle azioni della Rizzoli editore, anche se non pagate.
      Nell'agosto del 1982, il Nuovo banco ambrosiano chiese ad Angelo Rizzoli di restituire 70 miliardi di lire in due settimane, somma che rappresentava il debito della Rizzoli editore verso il Banco ambrosiano, che avrebbe già dovuto essere estinto con il mancato versamento dell'aumento di capitale.
      Nell'ottobre 1982, dopo la morte di Roberto Calvi, la RCS riesce ad evitare il fallimento ottenendo dal tribunale di Milano l'amministrazione controllata. Si procede ad un drastico ridimensionamento chiudendo o vendendo diverse testate quotidiane, settimanali e la rete televisiva. L'amministrazione controllata dura due anni e porta ad una sensibile riduzione del deficit.
      Il 18 febbraio 1983 Angelo Rizzoli fu arrestato con l'accusa di bancarotta fraudolenta, insieme al fratello Alberto e a Bruno Tassan Din, pur senza che vi fosse mai stata alcuna dichiarazione di fallimento. Angelo Rizzoli fu rimesso in libertà il 31 marzo 1984 dopo tredici mesi di detenzione.
      All'inizio di ottobre 1984 il tribunale di Milano concluse il periodo di amministrazione controllata e la Rizzoli ripianò tutti i debiti. Nel frattempo le azioni facenti capo ad Angelo Rizzoli, pari al 50,2 per cento, furono poste sotto sequestro dal tribunale di Milano e affidate ai custodi giudiziari che procedettero alla loro vendita.
      Nei mesi precedenti e successivi alla vendita delle azioni di Angelo Rizzoli si susseguono tutta una serie di riunioni, incontri, minacce, preannunci di crisi di Governo; operazioni che sembrano di segno uguale e contrario a quelle del luglio 1977 quando «ormai il dominio della P2 sulla Rizzoli appare completo».
      L'11 luglio 1984 si svolge una riunione del consiglio di amministrazione della Rizzoli Editore Spa, nella quale si discute dell’«aumento di capitale da 6 miliardi (dopo la recente svalutazione da 24,4 miliardi, avvenuta con la riduzione del valore delle azioni da 2.780 a 691 lire) a circa 56 miliardi di lire, con un aumento cioè di circa 50 miliardi (...) se l'aumento di capitale sarà, come probabile da 6 a 56 miliardi, la quota di Angelo Rizzoli verrà abbondantemente “annacquata” – come si dice in questi casi – e passerà dal 40 per cento al 4 per cento (...)» (La Repubblica, 12 luglio 1984).
      Il 4 ottobre è infine possibile leggere che «La “cordata nobile” è arrivata in vetta: il Corriere della Sera, con tutta la Rizzoli, passa di mano. I nuovi proprietari che ieri pomeriggio hanno presentato la loro offerta ai giudici, sono Gemina, Me.T.A., Mittel e l'industriale siderurgico Giovanni Arvedi (gentiluomo di Sua Santità nda). (...) C’è una sola incognita ... e cioè se la “cordata” acquisterà direttamente le azioni (il 51,2 per cento di Angelo Rizzoli e della Fincoriz più il 40 per cento della Centrale) per una cifra di poco superiore ai sette miliardi (quattro miliardi per Rizzoli e Fincoriz e meno di tre miliardi e mezzo per la Centrale) o se invece in un primo tempo si limiterà ad acquistare i diritti di opzione (un miliardo per il 51,2 per cento; circa 800 milioni per la Centrale). Nel secondo caso la “cordata” acquisirebbe il controllo della Rizzoli attraverso il successivo aumento di capitale, ma nella società rimarrebbero, sia pure in
 

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condizioni di assoluta minoranza, i vecchi soci. Questa ipotesi sarebbe peraltro caldeggiata dalla Centrale, sebbene a prima vista viziata di illegittimità in quanto violerebbe ancora la disposizione della Banca d'Italia e del Ministro del tesoro relativa al divieto di partecipazione degli istituti di credito ordinario ad aziende editoriali. È stato il professor Guido Rossi a presentare ieri, poco dopo le 13, ai giudici Antonio Pizzi e Renato Bricchetti e agli avvocati conservatori Umberto Tracanella e Giuseppe Granata la proposta di acquisto delle azioni Rizzoli e Fincoriz, poste sotto sequestro nell'agosto dell'anno scorso, nei termini prima ricordati. Rossi ha anche precisato ai magistrati che i suoi rappresentati oltre al primo aumento di capitale, sono disposti a sottoscriverne un secondo di analoga entità all'inizio del 1985. Al di là della valutazione complessiva sulle disponibilità della Gemina e dei suoi soci, anche le nude cifre fanno pendere l'ago della bilancia a favore della “cordata nobile”. (...) La domanda che si pone a questo punto è legata all'identità di chi controllerà materialmente la Rizzoli. Sotto il profilo giuridico, ed in particolare in relazione alle norme della legge sull'editoria, nessun problema: gli acquirenti sono tre società quotate in borsa e una persona fisica, quel Giovanni Arvedi, grande amico del vicesegretario del Psi Claudio Martelli, che avrebbe vinto solo all'ultimo istante le sue perplessità. La presenza di Arvedi nella cordata sarebbe percentualmente molto limitata: si parla di un apporto tra i cinque e i dieci miliardi su una massa complessiva di 120. Altrettanto limitata sarebbe la partecipazione della Mittel (controllata al 20 per cento dalla Fedi Finanziaria Europea e al 25 per cento dalla “Intesa Finanziaria” appartenente ad un gruppo di imprenditori cattolici bresciani, tra i quali anche Giovanni Bazoli, presidente della Centrale e del Nuovo Ambrosiano) che avrebbe messo a disposizione più o meno dieci miliardi. La parte del leone la fanno Gemina innanzitutto e subito dopo Me.T.A. La prima si è accollata un onere che si aggira sui sessanta miliardi; la seconda tra i venti e i venticinque. Gemina appartiene al 34 per cento a Mediobanca. Subito dopo, i maggiori azionisti sono la Fidis (gruppo Fiat) con il 16,67 per cento; la Invest (gruppo Bonomi) con l'11,11 per cento; la Pirelli e la Smi (gruppo Orlando) con il 4,45 per cento ciascuna. La Me.T.A. è invece di proprietà della Montedison che possiede il 76,4 per cento delle azioni. In apparenza, Gemina e Me.T.A. nulla hanno in comune: in realtà, l'elemento unificante è Mediobanca, l'istituto di credito a medio termine “governato” da Enrico Cuccia e di proprietà delle tre banche di interesse nazionale (Commerciale, Credito Italiano e Banco di Roma, vale a dire l'Iri). Mediobanca infatti, controlla la Montedison (il 17,11 per cento attraverso Gemina; il 18,15 direttamente; oltre il 20 attraverso la Spafid che è una sua fiduciaria). In questo modo Mediobanca, mentre controlla direttamente la Gemina dall'alto del suo 34 per cento, controlla anche la Me.T.A. attraverso la Montedison. La domanda, per ora senza risposta, è dunque questa: è il grande “architetto finanziario” Enrico Cuccia che ha operato o dietro di lui c’è la “mano pubblica”? Ci sono alcune forze politiche, parte delle quali non hanno fatto mistero di aver insistito con la Montedison perché partecipasse all'affare?» «Conclusa la scalata al Corriere», di Fabio Barbieri – La Repubblica, 4 ottobre 1984).
      Ma non è finita. Anche dopo la vendita pare riecheggiare il sinistro «ormai il dominio (della P2) sulla Rizzoli appare completo» nell'articolo di Eugenio Scalfari, direttore de La Repubblica – «I nuovi padroni della Rizzoli» – del 7 ottobre 1984: «Il dissesto Rizzoli si è chiuso, dopo quattr'anni di calvario, in un modo che non è il migliore di quelli possibili ma è forse il migliore di quelli probabili. Era infatti nell'ordine delle probabilità che quella casa editrice e i suoi giornali fossero conquistati da qualche cordata d'avventura, del tipo di quella patrocinata dall'ineffabile avvocato Uckmar, per non parlare dell'altra raffazzonata all'ultimo momento dall'ex patron del Casinò di San Remo. Oppure da Attilio Monti, autospogliatosi per l'occasione
 

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delle sue proprietà editoriali del Carlino e della Nazione. E c'era la probabilità che queste cordate d'avventura si muovessero con il patrocinio diretto di alcuni partiti politici e delle banche ad essi collegate, con interferenze massicce e scoperte sull'autonomia dei giornali. Tutto ciò, per fortuna, non è avvenuto. Ne sarebbe stato sconvolto non soltanto il gruppo Rizzoli-Corriere della sera, ma l'intera professione giornalistica. Sicché anche noi, concorrenti del Corriere, ne prendiamo atto con soddisfazione. E tuttavia, la sistemazione della vicenda Rizzoli è ben lungi dall'esser neutrale, sia nel campo dell'editoria sia in quello, più generale degli equilibri culturali, economici e politici italiani. Una dislocazione del potere si è verificata, una nuova mappa industriale e finanziaria ha preso corpo e peserà nei futuri rapporti di forza. Molti si sono chiesti nei giorni scorsi chi siano i veri padroni della Rizzoli-Corsera, al di là di un certo “spicciolame” che pure è presente tra i sottoscrittori dell'aumento di capitale. Lo spicciolame è lì per assicurare qualche marginale rappresentanza politica e/o per mercanteggiare qualche lucroso affare privato. Bisognerà dunque tener d'occhio questo possibile seguito della questione, ad evitare che la comproprietà dei giornali faciliti transazioni di favore in tutt'altri campi dell'attività economica e si trasformi di conseguenza in rendite di posizione alle spalle dei giornalisti e, soprattutto, degli ignari lettori. Ci auguriamo che i colleghi del Corriere siano vigili su questo terreno. Noi comunque non saremo certo distratti. Spicciolame a parte, il nucleo della nuova proprietà ha l'apparente figura del quadrato e vede schierati in bell'ordine la Mediobanca di Enrico Cuccia, la cosiddetta finanza laica con casa Agnelli in testa e ai fianchi Pirelli e Luigi Orlando, il gruppo cattolico di Brescia guidato dallo stesso presidente dell'Ambrosiano, Bazoli, e la Montedison di Schimberni. Il tutto opportunamente confezionato dalla sapiente cosmesi di avvocati e finanzieri di grido, e messo in capaci scatole societarie: la Gemina, la Me.T.A., la Mittel, tutte quotate in Borsa come la legge sull'editoria prescrive affinché vi sia almeno trasparenza finanziaria quando manca la trasparenza dei nomi delle persone fisiche. Vediamole più da vicino, queste scatole confezionate con nastri e fiocchi di sgargianti colori. Sulla Mittel non c’è molto da dire: rappresenta gli interessi della Curia di Brescia e dei suoi immediati dintorni. Fa un po’ senso assistere all'ingresso di una Curia vescovile nel giornale che fu di Albertini. Ma anche questa storia di Albertini e del Corriere organo della borghesia laica è diventata da un pezzo un luogo comune. I fratelli Crespi erano borghesia laica? C’è da dubitarne. Del resto, dopo la tempesta Rizzoli-Tassan Din-Ortolani-Calvi-Ior, la Curia di Brescia è certamente un progresso. Il discorso diventa più serio per quanto riguarda gli altri tre lati del quadrato, che in realtà si configura piuttosto come un triangolo, e cioè Mediobanca, Fiat, Montedison, i veri padroni nuovi che sono entrati in via Solferino. C’è una marcata differenza tra il primo ingresso di Agnelli nel Corriere undici anni fa e il reingresso odierno. Allora il presidente della Fiat acquistò le azioni dei Crespi attraverso l'Ifi, la finanziaria di famiglia; poi prese paura di fronte al disavanzo dell'azienda e all'offensiva “corazzata” di Eugenio Cefis, e si ritirò di corsa nel suo ridotto torinese. Erano tempi duri per la Fiat e l'Avvocato proclamò che chi si occupa di fabbricare automobili non deve interessarsi di giornali (Stampa ovviamente esclusa) per ragioni di pubblica “moralità”. Adesso ritorna, ma non attraverso l'Ifi, bensì attraverso la Gemina, in cui la Fiat ha una partecipazione del 16 per cento ma una funzione determinante in sede di sindacato azionario. La Gemina, dal canto suo, è un crocevia, dove Fiat, Bonomi, Pirelli, Orlando, confluiscono con Mediobanca e con la Spafid, fiduciaria di Mediobanca. Mediobanca e quindi Spafid sono controllate dalle tre banche d'interesse nazionale (Commerciale, Credito Italiano, Banco di Roma) le quali sono a loro volta controllate dall'Iri. È un bel gioco
 

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di scatole cinesi. Al vertice c’è l'Iri, poi si passa per le tre Bin, poi per Mediobanca e infine si arriva a Gemina, col risultato che il capitale iniziale si annacqua sempre di più. La stessa tecnica vale anche per gli altri azionisti di Gemina. Alla fine, ciascuno di loro partecipa a Gemina avendo messo una lira e controllandone dieci, fornite dalle banche e dalla Borsa. Miracoli del capitalismo, ai quali è giusto inchinarsi. Gemina e Spafid, a loro volta, hanno di fatto il controllo della Montedison; sicché tutte queste forze sono le sfaccettature d'un solo centro operativo, in cui la maggior parte del capitale è fornito da enti pubblici e da banche pubbliche, mentre le decisioni sono prese da un ristretto comitato d'affari sostanzialmente privato. Tant’è che il presidente dell'Iri, che in teoria è il “superiore” di Enrico Cuccia, ha appreso la notizia dell'acquisto della Rizzoli attraverso i giornali. Questo Prodi – diciamolo – non lo informa mai nessuno. Ora il punto è questo: l'ingresso dei nuovi padroni nella Rizzoli-Corsera realizza una macroscopica violazione della legge sull'editoria. Quella legge infatti stabilisce due divieti fondamentali a garanzia del pluralismo dell'informazione. Primo divieto: gli enti pubblici o le società da essi controllate non possono possedere giornali quotidiani. Secondo divieto: nessun editore può possedere giornali quotidiani in numero tale da superare il 20 per cento della tiratura nazionale complessiva. Ebbene, il primo divieto è sostanzialmente violato a causa della presenza pubblica sia in Mediobanca che nella Montedison (il fatto che tale presenza sia “dormiente” non ha nessun rilievo agli effetti del rispetto della legge). Il secondo divieto è altrettanto sostanzialmente violato per il fatto che i quotidiani della Rizzoli sono già al di là del 20 per cento della diffusione nazionale complessiva e che ad essi vanno ora ad aggiungersi la Stampa, di proprietà interamente della Fiat, e il Messaggero, di proprietà interamente della Montedison. I nuovi padroni del Corriere, si trovano cioè a possedere, oltre allo stesso Corriere della sera, il principale giornale sportivo italiano, la Gazzetta dello Sport, il principale giornale del Piemonte, il principale giornale del Lazio, il principale giornale di Napoli e della Campania. Il tutto facente capo a Gemina, che controlla Montedison ed è a sua volta controllata dall'Iri e dalla Fiat. Ripetiamolo: in questi tempi da basso impero, questa è comunque la migliore delle soluzioni temute. Ma è la peggiore di quelle possibili. Infatti, in barba alla legge, essa realizza la più formidabile concentrazione editoriale che mai sia esistita nel nostro Paese. Con tanti saluti alla libera concorrenza, alla trasparenza e all'autonomia dei giornali di fronte agli interessi della finanza, delle banche, dell'automobile, della chimica ed anche dei bellissimi tubi prodotti dal signor Arvedi, siderurgico di Cremona. Il tutto, con la benedizione e l'attiva partecipazione di monsignor Bruno Foresti vescovo di Brescia. Orate fratres».
      Alla luce di quanto esposto, si ritiene necessario presentare una proposta di legge diretta ad istituire una Commissione parlamentare di inchiesta.
      Onde evitare inutili e ingiustificate preoccupazioni, val la pena qui riaffermare che la Commissione non ha l'obiettivo di rivedere sentenze. Il fatto che Angelo Rizzoli sia stato assolto dopo 26 anni e 13 mesi di carcerazione preventiva è di per sé una sentenza inappellabile sullo stato della «giustizia» in Italia. Non sarà certo quanto potrà acclarare questa Commissione a restituire ad Angelo Rizzoli né il patrimonio né i ventisei anni trascorsi in condizioni facilmente immaginabili.
      La Commissione ha il solo obiettivo di ripercorrere tutte le tappe della vicenda intercorse tra il 12 luglio 1974 e il 4 ottobre 1984 e incrociarle con le storie dei protagonisti al fine di fare luce sull'intera vicenda che ha portato alla vendita del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera e in particolare sul ruolo avuto da iscritti alla loggia massonica coperta P2 e da sodali non iscritti e su quello avuto dall'Istituto opere di religione, ente centrale della
 

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Chiesa cattolica, e da personaggi ad essa legati. Prima e dopo la vendita.
      La proposta di legge è così articolata.
      L'articolo 1 dispone l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che indaghi sui passaggi di proprietà del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera dal 12 luglio 1974 al 4 ottobre 1984.
      L'articolo 2 stabilisce la composizione e la durata della Commissione.
      L'articolo 3 definisce i compiti fondamentali della Commissione sintetizzabili nel fare chiarezza sulla correttezza del suddetto passaggio di proprietà del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera.
      L'articolo 4 disciplina i poteri e i limiti di azione della Commissione.
      L'articolo 5 impone l'obbligo del segreto ai componenti la Commissione, al personale addetto alla stessa e ad ogni persona che collabora con la stessa e sanziona l'eventuale violazione di tale obbligo.
      L'articolo 6 disciplina l'organizzazione dei lavori della Commissione.
 

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