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PDL 4641

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4641



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, ZAMPARUTTI

Disposizioni per l'alienazione delle chiese e degli edifici di culto appartenenti al Fondo edifici di culto

Presentata il 20 settembre 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — Presentiamo oggi questa proposta di legge costituzionale poiché, in data 26 aprile 2011, il Presidente della Camera dei deputati ci ha rappresentato il suo parere in ordine alla forma da attribuire all'iniziativa in questione, del seguente tenore:
      «Gentile Onorevole,
          mi riferisco alla proposta di legge ordinaria, da Lei presentata in data 8 marzo 2011, volta a prevedere l'alienazione delle chiese e degli altri edifici di culto appartenenti al patrimonio del Fondo edifici di culto, abrogando l'articolo 65 della legge n. 222 del 1985.
      La materia oggetto della sua iniziativa legislativa, come è noto, è disciplinata dalla citata legge che ha dato esecuzione al Protocollo del 15 novembre 1984, ratificato con legge 20 maggio 1985, n. 206, recante la disciplina in materia di enti, beni ecclesiastici e connessi impegni finanziari dello Stato concordata tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, ai sensi dell'articolo 7, comma 6, dell'Accordo del 18 febbraio 1984, che ha apportato modificazioni al Concordato lateranense del 1929.
      Ricordo in proposito che, in base ad un consolidato orientamento della Corte costituzionale, le norme interne adottate in esecuzione dei Patti lateranensi sono dotate di una specifica forza che le sottrae al potere abrogativo o modificativo della legge ordinaria, nel senso che ogni eventuale modificazione che a tale normativa si intendesse apportare dovrebbe rispettare
 

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la forma pattizia da cui la medesima è scaturita. Dal tenore dell'articolo 7 della Costituzione, secondo la Corte, deriva peraltro l'implicita possibilità che i patti possano essere “modificati per volontà unilaterale dell'Italia, ma nella forma di una legge di revisione costituzionale” (in tal senso le sentenze n. 12 del 1972, n. 175 del 1973, n. 1 del 1977 e n. 16 del 1978).
      Alla luce di tale situazione, ricordo che, sia durante la legislatura in corso sia nella precedente, iniziative normative a Sua firma, incidenti su materia concordataria, sono state presentate nella forma della legge costituzionale.
      Tanto Le rappresento per le sue conseguenti valutazioni in ordine alla forma da attribuire all'iniziativa legislativa in questione».

      A tale proposito, non possiamo non lasciare agli atti di questo Parlamento che delle quattro sentenze della Corte Costituzionale citate nella comunicazione summenzionata (concernenti sì, in senso lato, i Patti lateranensi), soltanto due investono direttamente la presunta «specifica forza che [...] sottrae al potere abrogativo o modificativo della legge ordinaria» le «norme interne adottate in esecuzione dei Patti lateranensi».
      La sentenza 27 gennaio 1972, n. 12, non riguarda affatto la questione suddetta, poiché verteva su una controversia relativa alle collette nell'interno ed all'ingresso delle chiese, disciplinate dall'articolo 2 del Concordato del 1929. La sentenza 6 dicembre 1973, n. 175, riguarda invece il sindacato di legittimità costituzionale sulle singole norme di esecuzione del Concordato dell'11 febbraio 1929, non essendovi nessun riferimento alla presunta resistenza all'abrogazione delle norme esecutive dei Patti lateranensi.
      La sentenza 4 gennaio 1977, n. 1, esplicita una distinzione importante sulle norme interne adottate in esecuzione dei Patti lateranensi: le «disposizioni delle leggi di applicazione del Concordato (nn. 847 e 848 del 1929», così come la legge n. 222 del 1985) «contengono in genere norme attuative, strutturalmente autonome, quand'anche complementari (si tratta di norme di derivazione concordataria in senso largo da tenere ben distinte dalle norme di derivazione concordataria in senso stretto o proprio, immesse nel nostro ordinamento con la legge n. 810 del 1929). Per cui, solo le norme dei Patti lateranensi e la legge n. 810 del 1929 (che ha immesso nel nostro ordinamento le prime) «godono attualmente della “copertura costituzionale” fornita dall'articolo 7», mentre tutte le disposizioni delle leggi di applicazione del Concordato (nn. 847 e 848 del 1929, ma anche n. 222 del 1985, in relazione al Concordato del 1984), «[contengono] norme che risultano da una legge “ordinaria” nel senso più proprio della espressione». Secondo questa sentenza della Corte, quindi, la «resistenza all'abrogazione» sussisterebbe soltanto nel caso delle «norme di derivazione concordataria in senso stretto o proprio», quali le leggi n. 810 del 1929 e n. 121 del 1985, che danno «piena ed intera esecuzione» ai Patti lateranensi nell'ordinamento italiano.
      La sentenza 2 febbraio 1978, n. 16 – richiamandosi proprio alla sentenza testé analizzata – ne conferma l'orientamento, stabilendo chiaramente che «la “copertura costituzionale fornita dall'articolo 7, comma secondo della Costituzione” garantisce al tempo stesso i Patti lateranensi e quell'articolo 1 della legge n. 810 del 1929 [così come la legge n. 121 del 1985], che [hanno] dato loro una “piena ed intera esecuzione”». Nessuna menzione viene fatta, tuttavia, delle cosiddette «norme di derivazione concordataria in senso largo», quale appunto la legge n. 222 del 1985 («legge “ordinaria” nel senso più proprio della espressione»).
      Peraltro, nella sentenza 6 dicembre 1973, n. 175, la Corte ha voluto sottolineare che l'articolo 7 della Costituzione, pur avendo dato rilevanza costituzionale ai Patti lateranensi, «non può avere forza di negare i principi supremi dell'ordinamento costituzionale dello Stato» e fra questi rilevano per la presente proposta di legge: l'insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio del

 

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mandato parlamentare (articolo 68, primo comma); l'iniziativa legislativa appartenente a ciascun membro delle Camere (articolo 71, primo comma).
      Per quanto riguarda il merito della proposta: il Fondo edifici di culto (FEC) – istituito dall'articolo 55 della legge 20 maggio 1985, n. 222 – è costituito da un patrimonio immobiliare, diffuso su tutto il territorio nazionale, di circa settecentocinquanta edifici sacri, fra cui circa settecento chiese di particolare interesse storico-artistico. Il patrimonio è amministrato in sede centrale dal Ministro dell'interno (a mezzo della Direzione Centrale per l'Amministrazione del Fondo edifici di culto), coadiuvato da un consiglio di amministrazione composto di nove membri. Le circa settecento chiese appartenenti al FEC vengono solitamente concesse in uso gratuito per fini di culto all'Autorità ecclesiastica; i proventi del patrimonio derivanti da locazioni di immobili adibiti ad uso di civile abitazione sono utilizzati per la conservazione, il restauro, la tutela e la valorizzazione degli edifici di culto.
      Considerando l'ingente valore storico-artistico, nonché immobiliare, del suddetto patrimonio, rammentando l'urgenza di addivenire a soluzioni efficaci per una seppur parziale riduzione dell'ammontare di debito pubblico statale e, in ossequio all'impegno assunto dalla Repubblica italiana e dalla Santa Sede per la collaborazione nella «tutela del patrimonio storico ed artistico» (articolo 12, comma primo, dell'Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana che apporta modificazioni al Concordato lateranense, reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121), la presente proposta è volta a disporre la vendita, frazionata o in blocco, con diritto di prelazione in favore della Santa Sede, degli edifici di culto e delle chiese appartenenti al FEC, previa stima del valore di mercato degli immobili e del prezzo di vendita da parte di una commissione tecnica. In base a quanto previsto dall'articolo 1, comma 5, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, i proventi dell'alienazione dovranno essere destinati alla riduzione del debito pubblico, che a luglio 2011 è risultato pari a 1.911,8 miliardi di euro, secondo quanto risulta dal Supplemento al Bollettino statistico della Banca d'Italia sulla finanza pubblica del 14 febbraio 2011.
      Oltre al patrimonio costituito da chiese ed edifici di culto, affluiscono al FEC anche aree forestali, opere d'arte e arredi di pertinenza degli edifici sacri, aree museali e un fondo librario antico. L'alienazione di questa parte del patrimonio non sarà contemplata, poiché – essendo molti di questi beni di grande interesse storico, artistico ed archeologico – si impone una attenzione particolare nel loro affidamento a strutture che ne garantiscano una adeguata valorizzazione e tutela.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.
(Vendita delle chiese e degli edifici di culto).

      1. Con la presente legge è disposta la vendita, entro un anno dalla data della sua entrata in vigore, delle chiese e degli edifici di culto appartenenti al patrimonio del Fondo edifici di culto (FEC) di cui all'articolo 55 della legge 20 maggio 1985, n. 222.
      2. La Santa Sede può avvalersi della facoltà di acquistare con diritto di prelazione i beni immobili da alienare ai sensi del comma 1. La Santa Sede comunica allo Stato l'intenzione di avvalersi di tale facoltà entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      3. I proventi derivanti dall'alienazione del patrimonio di cui al comma 1 sono destinati alla riduzione del debito pubblico ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

Art. 2.
(Stima del valore di mercato del patrimonio immobiliare del Fondo edifici di culto).

      1. Ai fini dell'articolo 1 l'Agenzia del territorio fornisce al Ministero dell'interno la opportuna consulenza tecnica nella stima del valore di mercato del patrimonio immobiliare del FEC di cui al comma 1 dell'articolo 1.
      2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro dell'interno, è istituita una commissione di esperti, dotati della necessaria professionalità tecnica, per la stima del valore di mercato del patrimonio immobiliare del FEC, da alienare ai sensi della presente legge.

 

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      3. La Commissione è composta da esperti nominati con decreto del Ministro dell'interno. Gli esperti sono nominati per un terzo d'intesa con l'Agenzia del territorio, per un terzo di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali e per un terzo d'intesa con l'Agenzia del demanio. La Commissione entra nell'esercizio delle sue funzioni alla data di entrata in vigore del decreto di nomina dei suoi componenti e, entro sei mesi dalla medesima data, sottopone all'approvazione del consiglio di amministrazione del FEC un documento di stima del valore di mercato del patrimonio immobiliare del FEC medesimo, da alienare ai sensi della presente legge. Il documento, approvato ai sensi del precedente periodo, è sottoposto all'approvazione del Ministro dell'interno.

Art. 3.
(Patrimonio boschivo e forestale, opere d'arte e raccolte librarie).

      1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, il patrimonio boschivo e forestale appartenente al FEC, è assoggettato alle norme previste per i beni del demanio pubblico.
      2. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le opere d'arte e gli arredi di pertinenza degli edifici sacri, sono sottoposti alla verifica prevista dall'articolo 12, comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Il Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell'interno, dispone il trasferimento, presso adeguate strutture museali, dei beni culturali di cui sia stato riscontrato l'interesse di cui all'articolo 12, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
      3. Restano ferme le norme vigenti per le raccolte librarie custodite presso la Biblioteca della Direzione Centrale per l'amministrazione del Fondo edifici di culto. Il consiglio di amministrazione del FEC può chiedere alla Camera dei deputati

 

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di trasferire i volumi riguardanti materie giuridiche presso la Biblioteca della Camera dei deputati.

Art. 4.
(Abrogazione).

      1. Il Titolo III della legge 20 maggio 1985, n. 222, è abrogato.


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