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CAMERA DEI DEPUTATI
| N. 4469 |
sanzioni solo amministrative per lo sfruttamento della manodopera irregolare o penali contro l'utilizzo di lavoro nero e la somministrazione illecita di manodopera; si tratta, però, di sanzioni piuttosto lievi e solo pecuniarie, salvo il caso di sfruttamento di lavoro di minori per cui è previsto l'arresto;
considerare il caporalato alla stregua della riduzione in schiavitù e applicare il grave regime sanzionatorio corrispondente. Occorre, però, rilevare che nella quasi totalità dei casi il caporalato si svolge senza alcuna coercizione e violenza nei confronti dei lavoratori i quali vedono il loro sfruttatore come l'unica figura in grado di procurare i mezzi per tentare di uscire dallo stato di bisogno in cui versano.
In conclusione, si ritiene che gli strumenti che l'ordinamento vigente offre per la repressione del caporalato siano inadeguati perché non tengono debitamente in considerazione l'essenza del fenomeno ed i suoi risvolti economici e sociali.
La diffusa pratica del caporalato presenta due aspetti, che devono essere considerati nel loro insieme per comprendere appieno il fenomeno e per poterlo efficacemente contrastare: un primo, più specifico e settoriale, attinente al mondo del lavoro, un secondo aspetto, più generale, attinente alla società e alla convivenza democratica e pacifica.
Per quanto attiene al primo aspetto, si osserva che il caporalato è riconducibile al lavoro, non essendo null'altro, da questo punto di vista, che un «servizio», seppur illecito.
I caporali sono infatti coloro che, con profonda conoscenza della realtà economica e produttiva di un territorio e con estrema duttilità e rapidità, soddisfano esigenze di datori di lavoro privi di scrupoli nel reperire manodopera. Non a caso il fenomeno si localizza maggiormente nell'ambito delle attività edilizie, oltre che agricole, in quanto queste sono attività del tutto peculiari nelle quali i cicli produttivi sono frammentati, temporanei e dislocati in varie parti del territorio e, quindi, vi può essere il maggior interesse nell'utilizzare persone per periodi brevi, anche solo giornalieri, con minima se non nulla specializzazione.
Il caporale è quindi colui che intermedia esigenze: da un lato vi è l'esigenza dell'imprenditore di reperire velocemente manodopera a basso costo e senza alcun vincolo. Dall'altro lato vi è un'esigenza da parte della manodopera: la persona che si presta al caporale, solitamente, non è costretta a farlo. Può quindi non essere corretto incasellare il caporalato in un regime di sfruttamento, costrizione o violenza, come ad esempio avviene nell'ambito della prostituzione, ma anzi può capitare che la persona speri di entrare nel «giro» del caporale giusto, ovvero del soggetto in grado di procurare più lavoro e meglio pagato.
In questa veste il caporalato mostra la sua portata distorsiva della leale concorrenza tra imprese, in quanto porta ad avvantaggiare, in termini di minori spese, i soggetti che ricorrono all'illegalità, al lavoro nero, al lavoro non sicuro e privo di tutele. Inoltre, si realizza un danno per la collettività determinato dall'evasione fiscale e contributiva.
Il caporalato, quando diviene fenomeno organizzato e ripetuto fino a divenire parte del tessuto economico e sociale di un territorio, genera episodi che compromettono la civile e pacifica convivenza tra le persone, come i fatti di cronaca più o meno recenti dimostrano.
Da questo punto di vista il caporalato deve essere inteso come fenomeno strettamente
a) vi è un caporalato che si sostanzia in una schiavitù vera e propria, ossia imposta: il caporale con minacce, violenza o inganno, sottopone i lavoratori all'obbligo fisico di svolgere l'attività lavorativa, contro la loro stessa volontà: in questi casi è il caporale a limitare la libertà dei lavoratori;
b) vi è un caporalato che si sostanzia in una schiavitù «chiesta» dai lavoratori e non imposta dal caporale: la sottomissione dei lavoratori al caporale non è determinata da violenza o da minaccia da parte del caporale, ma è determinata da circostanze ambientali di necessità e di bisogno. In queste circostanze, il caporale non ha bisogno di prelevare i lavoratori da collocare nei cantieri della zona utilizzando minacce o violenza, sono loro stessi a radunarsi mestamente al fine di farsi prelevare. Chi non viene scelto dal caporale è disperato, perché ha perduto l'occasione di guadagnare i pochi euro che avrebbe fruttato la giornata. Chi, al contrario, è a bordo del furgone diretto al luogo di lavoro, anche se è spesso consapevole dei rischi di sicurezza che correrà nel corso della giornata, sa di non avere alternative.
Si ritiene, quindi, che l'introduzione di una figura di reato specifica, unitamente all'adozione di politiche efficaci di informazione e di integrazione dei soggetti maggiormente esposti, sia il modo più adeguato per colpire il caporalato sia come fenomeno sociale, reprimendo un inaccettabile approfittamento dello stato di bisogno altrui, sia come fenomeno economico, contrastando le imprese che ricorrono a questo strumento e favorendo le imprese che scelgono la legalità.
Nella fattispecie di reato devono però essere considerate queste due «anime» del caporalato, ossia quello imposto dal caporale ai lavoratori, e quindi direttamente determinato dal caporale stesso, e quello imposto invece dalla società stessa agli stessi lavoratori, situazione di cui il caporale coglie solo gli illegittimi frutti.
Quanto detto sin qui evidenzia l'inadeguatezza dell'attuale regime sanzionatorio del caporalato e l'esigenza di introdurre una specifica figura di reato. Negli ultimi anni sono state avanzate proposte in tal senso le quali, però, non si sono ancora concretizzate.
Si ritiene che, anche se il fenomeno riguarda spesso lavoratori immigrati (per lo più irregolari) sarebbe necessario introdurre una fattispecie specifica di reato per il caporalato a prescindere dal fatto che questo coinvolge italiani o stranieri, uomini o donne, ma che invece si concentri sugli sfruttatori, siano essi gli utilizzatori finali o gli intermediari.
Per fare questo, come già accennato, può non essere corretto incasellare il caporalato solo in un regime di violenza e di minaccia, in quanto esso affonda le sue profonde radici anche nello stato di bisogno e di necessità.
Proprio l'approfittarsi di tale stato di bisogno, ponendo in essere condotte altamente distorsive del mercato del lavoro e della concorrenza tra imprese, si ritiene dovrebbe essere al centro dell’ azione del legislatore.
Pertanto, le finalità della presente proposta di legge (articolo 1) sono la prevenzione e la repressione di ogni fenomeno di intermediazione illecita di manodopera basato sullo sfruttamento dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori interessati,
1. Al fine di garantire l'effettività del diritto riconosciuto dalla Costituzione a un'esistenza libera e dignitosa, la presente legge reca disposizioni per la prevenzione e la repressione dell'intermediazione illecita di manodopera e dello sfruttamento dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori interessati.
1. La presente legge promuove l'integrazione dei lavoratori stranieri e dei lavoratori di lunga disoccupazione o svantaggiati, con particolare riferimento ai settori dell'edilizia e dell'agricoltura.
2. Lo Stato, le regioni, gli enti territoriali, le prefetture-uffici territoriali del Governo, nonché ogni altra autorità competente provvedono a stipulare protocolli d'intesa con le organizzazioni imprenditoriali e con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale al fine di promuovere l'integrazione dei lavoratori di cui al comma 1, di garantire la tutela e la sicurezza del lavoro nonché di prevedere incentivi per le imprese virtuose.
1. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con i servizi e con i centri per l'impiego, promuove l'istituzione di corsi di lingua italiana per lavoratori stranieri e sostiene iniziative e campagne
1. All'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
«1-bis. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, l'esercizio non autorizzato delle attività di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), posto in essere con approfittamento dello stato di bisogno o di necessità in cui i lavoratori reclutati versano oppure usando nei confronti degli stessi violenza, minaccia o inganno, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.500 a 7.500 euro per ciascun lavoratore reclutato.
1-ter. Le pene di cui al comma 1-bis sono aumentate da un terzo alla metà nei seguenti casi:
a) se il numero di lavoratori reclutati è superiore a tre;
b) se tutti o alcuni dei soggetti reclutati sono minori in età non lavorativa;
c) se si espongono i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo con riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro»;
b) dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
«2-bis. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque impieghi o utilizzi lavoratori reclutati con le modalità di cui al comma 1-bis è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da 300 a 800 euro per ciascun lavoratore impiegato.
2-ter. Le pene di cui al comma 2-bis sono aumentate da un terzo alla metà nei seguenti casi:
a) se il numero di lavoratori impiegati è superiore a tre;
b) se tutti o alcuni dei soggetti impiegati sono minori in età non lavorativa;
c) se i lavoratori impiegati sono sottoposti a condizioni di lavoro caratterizzate da violazioni di norme di legge o contrattuali ovvero da un trattamento personale degradante».
1. Al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 38, comma 1, lettera c), dopo le parole: «incidono sulla moralità professionale» sono inserite le seguenti: «nonché per i reati di cui ai commi 1-bis e 2-bis dell'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni»;
b) all'articolo 135, comma 1, dopo le parole: «comunque interessati ai lavori,» sono inserite le seguenti: «o per i reati di cui ai commi 1-bis e 2-bis dell'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni».
2. I soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i reati di cui ai commi 1-bis e 2-bis dell'articolo 18 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, non possono fruire di benefìci, contributi o agevolazioni a carico dello Stato o di altri enti pubblici.
1. Al comma 2 dell'articolo 380 del codice di procedura penale è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
«m-bis) delitti di partecipazione, promozione, direzione e organizzazione di attività finalizzata a grave sfruttamento del lavoro per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni; delitti di impiego e utilizzo di lavoratori oggetto di grave sfruttamento per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni».
2. Al comma 1 dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e successive modificazioni, dopo le parole: «D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309,» sono inserite le seguenti: «ovvero nel caso di condanna per uno dei delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettera m-bis), del codice di procedura penale in materia di sfruttamento del lavoro,».
1. Dopo l'articolo 25-nonies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, è inserito il seguente:
«Art. 25-decies. – (Delitti contro la tutela del lavoro e della leale concorrenza tra imprese). – 1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettera m-bis), del codice di procedura penale, si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
a) se il delitto è punito con la pena della reclusione inferiore a sei anni, la sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote;
b) se il delitto è punito con la pena della reclusione non inferiore a sei anni, la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1 del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.
3. Se l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o di agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1 del presente articolo, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ai sensi dell'articolo 16, comma 3».
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