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PDL 252

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 252



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BERNARDINI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, ZAMPARUTTI

Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di responsabilità civile dei magistrati

Presentata il 29 aprile 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - L'obiettivo della presente proposta di legge è quello di consentire al cittadino di ottenere dal magistrato il risarcimento dei danni che questi gli abbia eventualmente causato attraverso un comportamento doloso o gravemente colposo, o in caso di diniego di giustizia.
      Da questo punto di vista, occorre ricordare che già nel 1987 si tenne un referendum abrogativo (il cosiddetto «referendum Tortora») che mirava a far sì che il giudice che avesse arrecato - con dolo o colpa grave - un danno al cittafino fosse tenuto a risponderne sul piano civile: si trattava, in sostanza, di abrogare gli articoli 55, 56 e 74 del codice di procedura civile, che impedivano al magistrato di rispondere in sede civile dei suoi errori, come invece accadeva (e accade) per qualunque altro funzionario dello Stato. Oltre l'80 per cento dei cittadini votò «sì», indicando chiaramente la volontà di chiamare a rispondere, ad esempio, i giudici che emanavano mandati di cattura clamorosamente sbagliati a causa di omonimie non controllate, o che ordinavano una carcerazione preventiva con leggerezza, o che, in base a vaghi sospetti, mettevano a repentaglio i più elementari diritti dei cittadini.
      Subito dopo, però, il Parlamento «rapinò» il risultato del referendum approvando una legge, la n. 117 del 1988, che travolse il principio stesso della responsabilità personale del magistrato, per affermare quello, opposto, della responsabilità dello Stato. La legge n. 117 del 1988, infatti, prevede che il cittadino che abbia subìto un danno ingiusto a causa di un atto doloso o gravemente colposo da parte di un magistrato non possa fargli direttamente causa, ma debba invece chiamare in giudizio lo Stato e chiedere ad esso il risarcimento del danno. Se poi il giudizio sarà positivo per il cittadino, allora sarà lo Stato a chiamare a sua volta in giudizio il magistrato, che, a quel punto, potrà rispondere in prima persona, ma solo - si badi - entro il limite di un terzo di annualità di stipendio. La legge ha così raggiunto il suo scopo: ridurre al minimo le domande di risarcimento e ristabilire un regime di irresponsabilità per i magistrati.
      Attraverso l'approvazione della presente proposta di legge invece, si avrà la possibilità di chiamare in causa direttamente il magistrato che abbia errato dolosamente o per colpa grave.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Alla legge 13 aprile 1988, n. 117, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il comma 1 dell'articolo 2 è sostituito dal seguente:

      «1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro questo per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e dei danni non patrimoniali che derivano da privazione della libertà personale. L'azione civile per il risarcimento del danno è regolata dalle norme vigenti in materia»;

          b) gli articoli 4, 5, 6, 7 e 8 sono abrogati;

          c) il comma 1 dell'articolo 9 è sostituito dal seguente:

      «1. Il procuratore generale presso la Corte di cassazione, per i magistrati ordinari, o il titolare dell'azione disciplinare, negli altri casi, devono esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, salvo che non sia stata già proposta, entro due mesi dalla comunicazione che il richiedente del risarcimento deve fare, al procuratore generale o al titolare dell'azione disciplinare, contestualmente alla richiesta di risarcimento. Resta ferma la facoltà del Ministro della giustizia di cui al secondo comma dell'articolo 107 della Costituzione».


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