A.C. 1415-C


QUESTIONI PREGIUDIZIALI

Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato).

N. 3.

Seduta del 5 ottobre 2011

(Il fascicolo non contiene le questioni pregiudiziali ritirate)

QUESTIONI PREGIUDIZIALI DI COSTITUZIONALITÀ

   La Camera,
   premesso che:
    il testo del disegno di legge reca rilevanti aporie di carattere costituzionale oltre che logico, esso accomuna, infatti, sotto lo stesso trattamento giuridico, che si caratterizza per essere irragionevolmente penalizzante, strumenti tecnici diversi come la ripresa televisiva pubblica, le intercettazioni di conversazioni e l'acquisizione dei tabulati telefonici;
    il disegno di legge in oggetto si rivela palesemente improntato ad un singolare e paradossale disfavore verso l'intercettazione tout court, sebbene essa, nel diritto processuale penale vigente, costituisca un mezzo di ricerca della prova tipico, previsto e regolato dal codice di procedura penale, il quale detta a tal fine particolareggiate disposizioni volte a garantire la legittimità formale e sostanziale dell'attività d'indagine che dell'intercettazione si avvale. Il testo proposto dal Governo, appare ictu oculi volto a restringere gravemente i presupposti stessi nonché le concrete modalità di esperimento di un utile strumento procedurale danneggiando, in tal modo, l'individuazione delle fonti di prova e perseguendo con ciò un fine obiettivamente contrario all'agevole accertamento della verità, obiettivo finale del processo penale;
    le molteplici e significative restrizioni – di carattere sia oggettivo che soggettivo – poste al corretto e legittimo utilizzo di un fondamentale strumento investigativo, quale l'intercettazione, si pongono in stridente contrasto col mantenimento di un opportuno e doveroso sistema di equilibri ed armonie tra vari diritti costituzionalmente garantiti: diritto alla riservatezza, obbligatorietà dell'azione penale, diritto alla difesa processuale, diritto alla libertà di stampa e di comunicazione e diritto alla manifestazione del pensiero;
    il provvedimento dispone, al comma 33, un illogico tetto di spesa, senza incidere efficacemente sulla problematica dei costi di noleggio delle apparecchiature e sulla paradossale situazione per la quale il canone sulle utenze intercettate viene pagato integralmente anche dallo Stato, con una conseguente duplicazione dei guadagni da parte dei gestori, mentre dalla gestione delle risorse sono incredibilmente escluse sia le procure distrettuali che il procuratore nazionale antimafia, che potrebbe trovarsi privo delle necessarie risorse per effettuare le intercettazioni;
    in contrasto con le norme di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione risultano le norme che prevedono la necessità di un giudizio collegiale (di un particolare collegio, poi, ossia quello costituito
presso il Tribunale distrettuale) per l'autorizzazione ad intercettazioni, riprese visive e acquisizioni di tabulati, quando lo stesso codice, per questioni di certamente maggiore rilievo, ritiene sufficiente il giudizio del giudice monocratico secondo le ordinarie regole di competenza territoriale. Ci si riferisce alla circostanza che, mentre per il disegno di legge in materia di intercettazioni per autorizzare intercettazioni (o atti ancora meno invasivi come riprese e tabulati) è stabilita la competenza del Tribunale collegiale distrettuale, per il codice di procedura penale esistono ipotesi ordinarie per le quali un giudice monocratico può condannare all'ergastolo (si pensi all'ipotesi del giudizio abbreviato per un omicidio). Tale stato determina una irragionevole disparità di trattamento tra indagati/imputati e realizza un pessimo esempio di amministrazione pubblica, apparendo inutilmente sovradimensionata la regola di competenza per le intercettazioni;
    il testo in oggetto risulta pertanto contrastante anche con il principio di obbligatorietà dell'azione penale ex articolo 112 della Costituzione, dal momento che il pubblico ministero e le forze di polizia potrebbero trovarsi a svolgere indagini di stampo ottocentesco, mediante l'utilizzo prevalente di testimonianze e di raccolta di prove documentali che non appaiono più congrue con i moderni sistemi di azione della criminalità, in particolare quella organizzata ed economica, che opera attualmente nel nostro Paese;
    la libertà dell'informazione, ricompresa in quella più ampia della manifestazione del pensiero, ex articolo 21 della Costituzione, viene in più punti gravemente compromessa dal presente disegno di legge;
    come rilevato quasi unanimemente dai direttori, dagli editori e dalle associazioni dei giornalisti italiani, le norme contenute nel presente disegno di legge violano il diritto fondamentale dei cittadini a conoscere e sapere, cioè, ad essere informati. È un diritto vitale irrinunciabile, da
cui dipende il corretto funzionamento del circuito democratico e a cui corrisponde il dovere della stampa ad informare, mentre la formulazione recata dal testo finisce per colpire, oltre alle pubblicazioni a mezzo stampa, non solo le riprese televisive, ma tutta una serie di mezzi di ripresa o registrazione fino al punto di incidere sul diritto di cronaca solennemente riconosciuto e tutelato dall'articolo 21 della Costituzione;
    anche la disciplina proposta sugli obblighi di segretezza e di divieto di pubblicazione prevista ai commi 6 e 7, continua a mantenere, i caratteri di incostituzionalità già più volte sottolineati dagli operatori del mondo del diritto e della comunicazione, poiché limita in modo sproporzionato il diritto di cronaca e non consente il «controllo» della pubblica opinione né sui titolari di cariche pubbliche eventualmente oggetto d'indagine né sui pubblici ufficiali che conducono le indagini, con grave e irreparabile danno per la trasparenza dell'esercizio delle pubbliche funzioni (sia quelle politico-amministrative, sia quelle giudiziarie) ed in contrasto, dunque, con l'articolo 21 della Costituzione;
    si segnala che il combinato disposto dei divieti di pubblicazione e delle sanzioni penali e amministrative per giornalisti ed editori previste ai commi 22, 23 e 27 deve essere valutato non solo alla luce dell'articolo 21 della Costituzione, ma anche dell'articolo 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Si ricorda che il suddetto articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo stabilisce che il diritto alla libertà d'espressione comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee, senza che vi possa essere interferenza di pubbliche autorità e senza riguardo alla nazionalità. Dunque, l'articolo 10 della Convenzione tutela il diritto dei giornalisti a comunicare informazioni su questioni d'interesse generale quando essi si esprimono in buona fede, sulla base di fatti esatti e forniscono informazioni «affidabili
e precise» nel rispetto dell'etica giornalistica;
    va inoltre considerato il fatto che la punibilità per il nuovo reato di riprese e pubblicazioni fraudolente, previste dal comma 27, verrebbe esclusa per i soli giornalisti professionisti, con esclusione quindi dei giornalisti pubblicisti, in tal modo determinando una ingiustificata disparità di trattamento sul fronte penale, nonché del tutto irrazionale è la previsione al comma 29 che pone l'obbligo di rettifica in capo a tutti i siti informatici, compresi quelli non soggetti ad obbligo di registrazione;
    il comma 36, violando palesemente l'articolo 112 della Costituzione, rappresenta una delle norme più irragionevoli recate dal disegno di legge in esame, in quanto abroga l'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, in materia di lotta alla criminalità organizzata. La disposizione in parola prevede un percorso agevolato, rispetto a quanto previsto dall'attuale formulazione dell'articolo 267 del codice di procedura penale, per l'autorizzazione a disporre le intercettazioni per lo svolgimento di indagini a delitti di criminalità organizzata o di minaccia per mezzo del telefono. In particolare, si chiede la mera necessità dell'intercettazione e non che essa sia «assolutamente indispensabile», e ci si limita a richiedere che vi siano «sufficienti indizi di reato» e non «gravi indizi». La soppressione di questa norma viene giustificata col fatto che il regime speciale viene, con il disegno di legge in esame, trasfuso nelle disposizioni codicistiche. In realtà – e la cosa è particolarmente preoccupante laddove si rifletta sul fatto che la disciplina ordinaria dei presupposti e delle modalità per l'autorizzazione delle intercettazioni viene fortemente aggravata dal testo in discussione – le fattispecie incriminatrici richiamate nell'articolo 13 avevano una portata ben più ampia di quelle cui il disegno di legge riserva la disciplina più favorevole alle intercettazioni. Si pensi a forme anche molto pericolose di criminalità organizzata che non rientrano tra quelle di natura
mafiosa di cui all'articolo 416-bis del codice penale. Va anche ricordato che la disciplina dell'articolo 13 si applica per relazione a delitti disciplinati da leggi speciali, quali la legge 11 agosto 2003, n. 228 e il decreto-legge 18 ottobre 2001, n. 374, delitti non tutti rientranti nell'elencazione di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 2-quater del codice di procedura penale. In definitiva non si potrà più intercettare con la stessa facilità ogni reato riguardante la criminalità organizzata non mafiosa, con ciò determinando un serio vulnus alla ragionevolezza del sistema;
    non appare esente da censure di incostituzionalità la disciplina transitoria prevista dal disegno di legge in esame, che ipotizza un cambiamento delle regole in corso, anche per le intercettazioni che siano già state autorizzate (alle quali si applicheranno i termini massimi previsti dalla legge di riforma). Tale apparato normativo si pone, ugualmente, in contrasto con le regole dettate dagli articoli 3 e 97 della Costituzione, non realizzando l'interesse costituzionale al buon andamento della amministrazione della Giustizia e implicando discriminazioni di trattamento contrari ai principi di uguaglianza sanciti nell'articolo 3;
    l'articolo 1, comma 33, contrasta con numerose disposizioni costituzionali. In particolare:
     a) con l'articolo 110 in rapporto all'articolo 104, in quanto, facendo dipendere esclusivamente dalla decisione del Ministro della giustizia – e cioè dall'autorità politico-amministrativa – il concreto esercizio della giurisdizione, deborda dalla semplice ipotesi di organizzazione dei servizi relativi alla giustizia per incidere sull'esercizio della giurisdizione, sostanzialmente limitando l'indipendenza e l'autonomia operativa dei giudice. Verrebbero così a cessare repentinamente intercettazioni disposte nel rispetto della legge e dei limiti di bilancio in ragione di effetti «finanziari» prodotti dall'effettuazione di altre e diverse intercettazioni;
     b) con l'articolo 112, in quanto la limitatezza dei mezzi posti a disposizione
degli inquirenti, quando venissero a mancare (ed il Ministro potrebbe teoricamente ripartirli in modo da limitare le indagini soprattutto in particolari uffici ove si svolgono delicate indagini), di fatto pone limitazioni all'esercizio dell'azione penale, dal suo inizio fino alla conclusione delle indagini;
     c) con gli articoli 1 e 2, in quanto può limitare gravemente l'esercizio di funzioni pubbliche essenziali, quali la giurisdizione e la sicurezza, in violazione dei principi di sovranità e di tutela dei diritti fondamentali delle persone, quali singoli, e nelle formazioni sociali, in modo particolare riferite alle (potenziali) vittime;
    rilevato, in definitiva, come il disegno di legge in esame si ponga in palese contrasto con numerosissimi articoli della Costituzione repubblicana, oltre che con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1415-C.
n. 1. Di Pietro, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Palomba, Cambursano, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera.

   La Camera,
   premesso che:
    la previsione della competenza ad autorizzare le intercettazioni del tribunale del distretto in composizione collegiale (nuovo comma 1 dell'articolo 267 del codice di procedura penale) è assolutamente irragionevole e rischia di avere un impatto organizzativo disastroso sul sistema giustizia. Per ogni intercettazione telefonica, per ogni utenza, per ogni proroga, per ogni captazione ambientale, per ogni convalida di atto urgente adottato dal pubblico ministero
sarà necessario riunire un collegio di tre persone nella sede del distretto di corte d'appello. Una misura assurda se si considera, ad esempio, che un solo giudice ha per legge il potere di disporre non solo custodie cautelari in carcere e altre limitazioni della libertà personale ma anche di irrogare pene detentive compreso l'ergastolo, in sede di giudizio abbreviato. Sul piano organizzativo, inoltre, si porrà il problema della disponibilità di risorse umane (giacché saranno necessari più magistrati); le operazioni saranno più complicate, poiché sarà competente il tribunale nella sede della corte d'appello, plausibilmente anche lontano dalla sede delle indagini: per questi motivi tale norma si pone in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione per irragionevolezza dovuta ad illogicità intra ius e intra legem nonché con il principio del buon andamento previsto dall'articolo 97 della Costituzione per la pubblica amministrazione ma ritenuto applicabile anche alla funzione giurisdizionale, in seguito a consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 177 del 1973, n. 86 del 1982 e n. 18 del 1989);
    quanto agli strumenti investigativi diversi dalle intercettazioni, le ispezioni, le perquisizioni e i sequestri – vale a dire i tipici mezzi a sorpresa di ricerca della prova – un emendamento del Governo ha introdotto un'ulteriore incredibile limite alle indagini (comma 3 del nuovo articolo 268-bis del codice di procedura penale). Viene infatti richiesto che, se l'atto di ispezione o perquisizione viene disposto in seguito a notizie apprese da intercettazioni, l'atto deve essere preceduto dal deposito delle intercettazioni nella cancelleria del giudice collegiale nella sede del distretto con contestuale informazione alla parte: tale norma si pone in contrasto con l'articolo 112 della Costituzione come chiarito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 34 del 1973, n. 24 del 1992, n. 255 del 1992 e n. 361 del 1998, nelle quali è stata sottolineata l'ovvia dignità costituzionale dell'interesse alla repressione dei reati;

    ancora in violazione dell'articolo 112 della Costituzione, che non solo prevede l'obbligatorietà dell'azione penale ma – per costante giurisprudenza costituzionale – reca anche un principio di necessaria efficacia dell'azione penale stessa, il disegno di legge in discussione prevede solo per delitti commessi con finalità di terrorismo, delitti di associazione mafiosa e talune ipotesi di associazione per delinquere, che le intercettazioni siano possibili anche con requisiti meno severi come gli «indizi di reato sufficienti» (invece di «gravi»). Con l'abrogazione dell'articolo 13 della cosiddetta «legge Falcone», (decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203), prevista dal comma 36 dell'articolo 1, restano fuori però da questo elenco, per cui alle intercettazioni si può far ricorso più agevolmente, il reato di costituzione di organizzazioni criminose stabili (articolo 416 del codice penale) volte a perpetrare gravi reati comuni tra cui usura, bancarotta, truffe aggravate e non, corruzione, concussione, peculato, abuso d'ufficio, sfruttamento della prostituzione e della manodopera agricola e in genere tutti i reati commessi dalla criminalità organizzata,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1415-C.
n. 2. Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Lenzi, Boccia, Quartiani, Giachetti, Rosato, Ferranti, Andrea Orlando, Bressa, Zaccaria.

QUESTIONE PREGIUDIZIALE DI MERITO

   La Camera,
   premesso che:
    dopo l'esame del provvedimento da parte della Camera e del Senato, nonché della Commissione giustizia in sede referente,
troppe sono ancora le norme che mantengono le mani legate ai magistrati e alle forze dell'ordine nella lotta alla criminalità;
    per quanto riguarda il giudice che deve autorizzare le intercettazioni, la previsione della competenza del tribunale del distretto in composizione collegiale è assolutamente irragionevole e rischia di avere un impatto organizzativo disastroso sul sistema giustizia. Per ogni intercettazione telefonica, per ogni utenza, per ogni proroga, per ogni captazione ambientale, per ogni convalida di atto urgente adottato dal pubblico ministero sarà necessario riunire un collegio di tre persone nella sede del distretto di corte d'appello. Una misura assurda, se si considera che un solo giudice ha per legge il potere di disporre non solo custodie cautelari in carcere e altre limitazioni della libertà personale ma anche di irrogare pene detentive compreso l'ergastolo, in sede di giudizio abbreviato. Sul piano organizzativo, inoltre, si porrà il problema della disponibilità di risorse umane (giacché saranno necessari più magistrati); le operazioni saranno più complicate, giacché sarà competente il tribunale nella sede della corte d'appello, verosimilmente lontano dalla sede delle indagini. Che senso ha ?
    in relazione alla possibilità di effettuare operazioni di intercettazione per reati gravi di criminalità organizzata, è stato abrogato l'articolo 13 della «legge Falcone» (decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203). Per delitti commessi con finalità di terrorismo, delitti di associazione mafiosa e talune ipotesi di associazione per delinquere, le intercettazioni sono possibili anche con requisiti meno severi come gli «indizi di reato sufficienti» (invece di «gravi»). Resta però fuori da questo elenco, rispetto a quanto previsto dalla «legge Falcone», il reato di costituzione di organizzazioni criminose stabili (articolo 416 del codice penale) volte a perpetrare gravi reati comuni tra cui usura, bancarotta, truffa aggravate e
non, corruzione, concussione, peculato, abuso d'ufficio, sfruttamento della prostituzione e della manodopera agricola e in genere tutti i reati commessi dalla criminalità organizzata. Perseguire questi reati e proteggere i cittadini sarà dunque più difficile;
    quanto alle intercettazioni ambientali, il testo – pur lievemente migliorato – resta confuso e gravemente limitativo dei poteri investigativi. Si dice infatti che per disporle occorre che nel luogo che si vuole sottoporre a controllo deve essere in corso l'attività criminosa. Già questo requisito è un paletto assurdo, giacché si richiede in sostanza la flagranza del reato, la quale da sola consentirebbe l'arresto! È stata introdotta, con un emendamento della maggioranza, la possibilità di svolgere le intercettazioni ambientali anche in carenza della flagranza solo se dalle indagini già esperite emerga che la captazione potrebbe consentire l'acquisizione di elementi fondamentali per l'accertamento del reato. Tale possibilità però vale solo per gli ambienti diversi dalla privata dimora, per la quale resta valida la regola della flagranza. Si tratta nel complesso di un ostacolo irragionevole e talora determinante sul risultato delle indagini. L'intercettazione ambientale non potrà quindi essere il mezzo di ricerca della prova adoperato per primo ma dovrà essere un elemento di conferma;
    quanto ai tabulati telefonici, essi vengono irragionevolmente accomunati alle intercettazioni. Si tratta di un grave errore logico e giuridico. Il tabulato è solo l'elenco dei contatti telefonici stabiliti tra due utenze. Può rivelare una frequenza di contatti ma non il contenuto delle conversazioni. È dunque meno di un'agenda. Sicché è spesso usato dagli inquirenti per svolgere le prime verifiche e per scartare le piste più improbabili. Sottoporre questo strumento agli stessi gravosi requisiti previsti per le intercettazioni, significa lasciare gli investigatori a brancolare nel buio. Con il testo approvato dalla Commissione sarà possibile utilizzarli quando lo stato delle indagini
è già in fase avviata. Ad esempio, per il reato di truffa non sarà possibile estrarre il tabulato dell'indagato per dimostrare il legame con la vittima;
    quanto agli strumenti investigativi diversi dalle intercettazioni, le ispezioni, le perquisizioni e i sequestri – vale a dire i tipici mezzi a sorpresa di ricerca della prova – è stato da ultimo introdotto un'ulteriore incredibile limite alle indagini. Viene infatti richiesto che – se l'atto di ispezione o perquisizione viene disposto in seguito a notizie apprese da intercettazioni – l'atto deve essere preceduto dal deposito delle intercettazioni nella cancelleria del giudice collegiale nella sede del distretto con contestuale informazione alla parte. In pratica, per esempio, se da un'intercettazione emerge che la persona sequestrata è tenuta presso un certo luogo, il pubblico ministero dovrà depositare le intercettazioni e poi andare a svolgere la perquisizione per liberare il sequestrato, avendo però messo in guardia i rapitori;
    infine il provvedimento prevede gravose limitazioni alla libera espressione dei nuovi strumenti di comunicazione, dai social network ai blog. Stiamo per diventare il primo e l'unico Paese al mondo nel quale un blogger rischia più di un giornalista ma ha meno libertà,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1415-C.
n. 1. Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Lenzi, Boccia, Quartiani, Giachetti, Rosato, Ferranti, Andrea Orlando.