La Commissione ha approfondito la situazione in cui attualmente versa la regione Basilicata, in relazione alle problematiche attinenti il ciclo dei rifiuti con particolare riferimento all'esistenza e alla natura degli illeciti riscontrati nonché alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel sistema stesso.
A tal fine ha provveduto, da un lato, all'acquisizione di documentazione utile ai fini dell'inchiesta, dall'altro, all'assunzione di informazioni con audizioni tenutesi sia presso la sede della Commissione sia in occasione delle due missioni effettuate in Basilicata.
Pare opportuno, prima di entrare nel merito delle questioni approfondite dalla Commissione, dare conto dei risultati dell'inchiesta svolta sulla regione Basilicata nell'anno 2000 dalla Commissione bicamerale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della XIII legislatura, riportando integralmente le conclusioni della relazione redatta al termine dell'inchiesta medesima:
«La situazione del ciclo dei rifiuti in Basilicata, per come è stata esaminata sin qui, presenta un panorama senz'altro meno preoccupante rispetto a quanto registrato nelle altre regioni meridionali. Sia dal punto di vista dell'amministrazione, che da quello dell'attività di prevenzione e di contrasto, la situazione mostra - ad avviso della Commissione - una buona capacità di lettura dei fenomeni da parte di tutte le istituzioni interessate.
Emergono tuttora, e sono stati in precedenza sottolineati, ritardi per quanto concerne l'adeguamento del piano regionale alla normativa nazionale: la proposta di piano in discussione mostra però caratteristiche tali per cui la Basilicata potrà gestire nel futuro in maniera efficiente ed avanzata il ciclo dei rifiuti. Ciò a condizione che anche le province, cui sono delegati gli interventi concreti, pianifichino in tempi ragionevolmente brevi le attività sul territorio.
Il medesimo discorso riguarda la gestione dei rifiuti industriali e gli interventi sulle aree da bonificare, settori per i quali sono stati già programmati quegli interventi che portano ad escludere, per il prossimo futuro, situazioni emergenziali.
Resta aperto il discorso connesso all'impianto Enea della Trisaia, ma questo andrà affrontato e risolto nell'ambito della più generale opera di gestione dei rifiuti radioattivi italiani, tema di cui la Commissione si è più volte occupata e al quale ha dedicato un documento che propone la creazione di un'agenzia nazionale ad hoc.
Ma va dato atto alla regione Basilicata di aver istituito e di aver reso funzionante, prima anche di importanti realtà del Settentrione, l'agenzia regionale di protezione dell'ambiente. E di aver individuato nel tema della protezione ambientale e del contrasto all'illegalità un settore prioritario sul quale puntare la propria azione, come dimostrato dall'istituzione dell'osservatorio su ambiente e legalità.
Nel corpo della relazione dell'anno 2000 sono state riportate, inoltre, alcune problematiche attinenti il rischio di smaltimenti illeciti cui appariva esposta la regione, evidenziate dalle diverse autorità interpellate (in particolare, prefetto e autorità giudiziaria). Allarmante era il dato relativo agli 890 siti inquinati censiti, la metà dei quali connessi alle attività di prospezione petrolifera.
Riguardo, poi, alla produzione dei rifiuti ed in particolare alla produzione di rifiuti speciali e pericolosi, sempre nel corpo della relazione si legge che:
«(...) il "rapporto sui rifiuti speciali (realizzato dall'Anpa e dall'osservatorio nazionale sui rifiuti nel 1999)" stima per il 1999 una produzione per la Basilicata di 720.594 tonnellate: i rifiuti pericolosi rappresentano il 19,6 per cento, con una produzione stimata in 145.535 tonnellate. Si tratta di un dato da evidenziare, poiché proprio in Basilicata si registra - tra le regioni italiane - la maggiore incidenza di rifiuti pericolosi sulla quantità totale di rifiuti speciali prodotti. Per quanto concerne invece la gestione dei rifiuti speciali, circa 13.000 tonnellate sono state trattate ai fini del recupero di materia, circa 4.000 tonnellate ai fini di recupero di energia, circa 5.000 tonnellate vengono indicate sotto la voce "altri trattamenti". Sono pertanto 650.000 le tonnellate che vengono inviate allo smaltimento finale: tuttavia nelle discariche regionali ne risultano smaltite solo 153.577, il che fa permanere un gap di conoscenza sulle restanti 400.000 tonnellate.»
Sul versante della criminalità, la Commissione aveva espresso apprezzamenti per l'attività di prevenzione e di contrasto esercitata sia dalle forze dell'ordine che dalla magistratura, ritenendo solo marginali le infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.
Attività svolta nell'ambito dell'inchiesta aperta dalla presente Commissione.
Nel corso dell'inchiesta svolta dalla Commissione si è approfondita la situazione in cui versa attualmente la regione Basilicata, esaminandola sotto diversi profili, ad ognuno dei quali è stato dedicato un settore della relazione, che si compone di quattro parti.
Nella prima è stata svolta un'analisi sulle singole province sia per ciò che attiene al ciclo dei rifiuti sia per ciò che attiene agli illeciti riscontrati sul territorio.
La seconda parte offre un quadro generale in ordine al ciclo dei rifiuti nell'intera regione, alle problematiche attinenti all'attuazione del nuovo piano regionale dei rifiuti, alle infrazioni contestate dalla Unione europea, ed, infine, agli illeciti riscontrati sull'intero territorio.
La terza parte riguarda le procedure di bonifica e le problematiche concernenti i siti contaminati, con specifico riferimento ai siti di interesse nazionale nelle aree di Tito e Val Basento, ove sono stati effettuati importanti studi epidemiologici di cui viene dato conto.
La quarta ed ultima parte è dedicata in modo specifico alle conclusioni e all'analisi delle questioni attinenti alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti. Quest'ultimo tema viene approfondito in quanto la Commissione ha registrato uno «scarto» tra ciò che è emerso nel corso delle indagini giudiziarie svolte sul territorio e l'intensità e la pervasività dei traffici illeciti di rifiuti in tutte le altre regioni del sud Italia, traffici dai quali la Basilicata sembrerebbe esclusa.
Ed, infatti, sebbene più volte sia stata rappresentato dagli auditi come le caratteristiche della regione (sia dal punto di vista della collocazione geografica che da punto di vista delle caratteristiche del territorio e della scarsa densità demografica) la rendano permeabile alle infiltrazioni della criminalità organizzata radicata sul territorio delle regioni vicine, tuttavia non vi sono state indagini giudiziarie né sono stati rappresentati elementi concreti da cui poter desumere come l'infiltrazione da potenziale sia divenuta reale.
E però, proprio sulla base dell'esperienza e degli elementi conoscitivi acquisiti dalla Commissione nel corso dell'intera legislatura, è possibile che vi sia una distanza tra la realtà fattuale e la realtà oggetto di accertamento giudiziario, ossia tra la situazione realmente esistente e quella che emerge attraverso le attività di indagine svolte da parte degli organi competenti.
Sul punto il procuratore della Repubblica di Bari, dottor Laudati, nel corso di un'audizione tenutasi innanzi alla Commissione (in merito all'approfondimento territoriale della regione Puglia), facendo riferimento alla Puglia quale terra particolarmente interessata dai traffici
Sono state, poi, effettuate due missioni nella regione.
La prima mirata all'approfondimento del tema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi (svolto nell'ambito dell'inchiesta sul fenomeno delle c.d. navi a perdere).
La seconda missione volta, in via più generale, ad approfondire tutte le tematiche attinenti il ciclo dei rifiuti nonché le indagini più recenti condotte dalla magistratura. Nell'ambito di quest'ultima missione, oltre ad essere state svolte una parte delle audizioni sopra indicate, sono stati effettuati sopralluoghi presso il centro Trisaia Enea
1. Il sistema di rifiuti nelle province di Potenza e Matera.
1.2 La provincia di Potenza.
Nel territorio della provincia di Potenza, sono ricompresi circa 100 comuni, per un totale di poco meno di 400.000 abitanti.
Al suo interno sono presenti vari poli industriali, il più importante dei quali è quello di San Nicola di Melfi.
Una peculiarità del territorio è data dalla presenza di giacimenti petroliferi - concentrati soprattutto nella Val d'Agri e a Tempa Rossa, in provincia di Potenza - cui sarebbero connessi fenomeni di inquinamento legati alle perforazioni, aggravati dal possibile utilizzo illecito degli scavi per l'occultamento di rifiuti tossico nocivi.
Il ciclo dei rifiuti nella provincia di Potenza.
Il ciclo dei rifiuti nella provincia di Potenza presenta diversi elementi di criticità connessi alla mancata approvazione di un piano provinciale dei rifiuti in linea con il testo unico ambientale e con le prescrizioni europee (l'ultimo piano approvato risale al 2002), agli scarsi livelli di raccolta differenziata, all'utilizzo quasi esclusivo delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti, alla grave carenza impiantistica cui solo di recente si sta ponendo rimedio.
In merito alla situazione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Potenza sono stati acquisiti i dati forniti dal presidente della provincia, Piero Lacorazza (doc. 1061/1, 1061/2, 1077/1, 1077/2), che di seguito si riportano, con riferimento all'impiantistica, alle discariche, alle cave. Nel contempo si dà atto delle informazioni acquisite dai rappresentanti degli enti locali, nonché dal prefetto e dal questore di Potenza, in merito alle questioni oggetto di approfondimento.
1.2.1 Impiantistica e discariche.
Risultano esistenti sul territorio provinciale i seguenti impianti di trattamento rifiuti:
un impianto di termovalorizzazione gestito dalla Fenice spa, ubicato all'interno del comprensorio industriale in località San Nicola di Melfi: si compone di due linee di incenerimento, una che utilizza un «forno a griglia» per il trattamento dei rifiuti di natura urbana (rifiuti solidi urbani), con potenzialità di trattamento autorizzato di 30.000 tonnellate annue, l'altra che utilizza un «forno a tamburo
Le discariche di rifiuti solidi urbani presenti sul territorio provinciale sono:
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Venosa;
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Sant'Arcangelo;
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Atella;
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Lauria (esercizio sospeso);
Vi sono poi:
tre discariche per i rifiuti non pericolosi;
due discariche per i rifiuti speciali;
7 centri di rottamazione.
Non esistono sul territorio della provincia di Potenza impianti di produzione di CDR né impianti di compostaggio.
Sono, peraltro, in atto procedure da parte della provincia per la realizzazione di impianti di compostaggio sia nella piattaforma integrata di gestione dei rifiuti di Venosa che in quella di Sant'Arcangelo.
Si riportano le relative tabelle con i dati in dettaglio (doc. 1077/2):
Secondo quanto riferito alla Commissione dal comandante provinciale dei Carabinieri di Potenza, Giuseppe Palma, nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, «le discariche di Atella, Sant'Arcangelo, Tito e Venosa, il termovalorizzatore di San Nicola di Melfi e le piattaforme di Muro Lucano, al momento, appaiono sufficienti per soddisfare le esigenze della provincia. Non si registrano inoltre situazioni particolari dal punto di vista gestionale».
Sulla questione attinente alla realizzazione dell'impiantistica necessaria per avviare un ciclo di smaltimento virtuoso dei rifiuti pare opportuno riportare quanto espresso dal prefetto di Potenza, dottor Antonio Nunziante, nella relazione trasmessa alla Commissione (doc. 1080/2):
«Nell'ambito dell'intesa istituzionale tra la regione Basilicata e le province di Potenza e Matera, approvata con D.G.R. n. 700 del
A questo proposito, il presidente della provincia, Piero Lacorazza, ha evidenziato l'esistenza di un'intesa regione-province, del 23 gennaio 2009, in ordine alla realizzazione di impianti di compostaggio nelle piattaforme integrate di gestione dei rifiuti di Venosa e Sant'Arcangelo, per dare esecuzione alla quale sono state avviate le relative procedure.
In particolare, dalla documentazione inviata alla Commissione si evince a che punto sia arrivato l'iter burocratico per la realizzazione delle opere (doc. 1077/2):
«con determinazione dirigenziale della provincia di Potenza n. 3683 del 13.12.2011 è stata effettuata l'aggiudicazione definitiva
In data 13 marzo 2012, in occasione della missione che la Commissione ha svolto in Basilicata, è stato audito il presidente della provincia di Potenza, Piero Lacorazza.
L'audizione si è incentrata principalmente sulla necessità di aggiornare (entro il 31 dicembre 2013) il piano provinciale rifiuti, fermo all'anno 2002 e non in linea con quanto previsto dal testo unico ambientale, entrato in vigore nell'anno 2006, né con la normativa comunitaria:
«Quanto al ciclo integrato dei rifiuti della nostra provincia, nel corso degli anni, abbiamo incontrato delle criticità. Noi partiamo da una legislazione che va necessariamente aggiornata e che porta in sé alcune contraddizioni. Mi riferisco alla legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2001; al successivo piano provinciale dei rifiuti del 2002, che va necessariamente aggiornato, per effetto delle mutazioni intercorse, in particolare, nel codice ambientale, il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 e nelle successive modificazioni, ma anche da un numero rilevante di direttive comunitarie, a partire dalla quella che definisce una nuova modalità, nuove priorità e nuove gerarchie nel ciclo integrato dei rifiuti.
Parto dalla legge n. 6 del 2001 e dal piano provinciale che ne scaturisce del 2002, perché per il sistema del ciclo integrato dei rifiuti il piano ha certamente rappresentato un punto di avanzamento, perché si è ridotto il numero di discariche comunali, che prima era rilevante, mentre ora sono concentrate e meccanizzate. Noi non abbiamo più discariche tradizionali; al momento abbiamo un trattamento meccanico-biologico, almeno in tutti i nostri impianti della provincia di Potenza. Va da sé che un trattamento meccanico-biologico produce almeno una riduzione dell'organico e indirettamente anche una riduzione del possibile percolato che dalle discariche può essere sversato.
Il piano del 2002 aveva tuttavia in sé, da una parte, una razionalizzazione e, dall'altra, il peso di alcune preesistenze, consistenti in discariche rilevanti ma soprattutto in due inceneritori: La Fenice di Melfi, che nasce in concomitanza con la nascita della FIAT (è una storia dell'inizio degli anni novanta), ma anche in concomitanza con l'inceneritore di Potenza città, che al momento non è in funzione.
Dico questo perché noi siamo su un piano del 2002 che razionalizzava ma manteneva le discariche e nello stesso tempo si
Riguardo l'inceneritore di Potenza, il presidente Lacorazza ha, tuttavia, specificato che lo stesso, pensato negli anni novanta per bruciare il talquale, non è ancora stato collaudato:
«Introducendo la frazione organica, il calore prodotto permetteva una certa quantità di rifiuto bruciato. Evidentemente però, riorganizzandolo rispetto alle normative che poi sono intercorse, e facendo la differenziata che porta a bruciare il secco, è chiaro che il potere calorifico aumenta, quindi bisogna mettere meno rifiuti, e riducendo la quantità si innalza anche il prezzo di conferimento, generando più di qualche problema. (...) si tratta di un impianto programmato, che ha avviato i lavori all'inizio degli anni novanta e che, per procedure diverse, ricorsi, e anche per una mole di questioni amministrative che si sono sviluppate, è arrivato ad esistere a un punto in cui quella tecnologia poteva apparire desueta. Si è però posto il tema di un investimento che era comunque già stato fatto e che doveva essere portato a conclusione, perché anche la magistratura contabile, in quel caso, avrebbe potuto verificare le ragioni di quell'investimento e il perché quell'impianto non entrava in funzione. (...)».
Con riferimento alle problematiche, emerse a livello provinciale, inerenti la carenza di impianti e l'inadeguatezza delle discariche esistenti, sono state acquisite ulteriori informazioni dal sindaco di Potenza, Vito Santorsiero, in data 14 marzo 2012, nel corso dell'audizione svolta avanti alla Commissione:
«Devo dire, per quel che riguarda la questione rifiuti nella mia città, che abbiamo avuto ed abbiamo periodicamente dei momenti di sofferenza nel settore, nel senso che in certi momenti i cassonetti sono pieni e si presentano dei piccoli accumuli in città.
Questo avviene essenzialmente perché abbiamo dei problemi di conferimento dei rifiuti presso il recapito finale. Il sistema di smaltimento dei rifiuti nella mia città prevede la raccolta e il successivo conferimento presso una stazione di trasferenza, dove conferiscono oltre al comune di Potenza anche altri venti o venticinque comuni - non conosco il numero preciso - per lo più del bacino del potentino. Dalla stazione di trasferenza, i rifiuti vengono poi portati presso il recapito finale (...) per una parte, l'inceneritore La Fenice e, per l'altra parte, le discariche di Venosa e Sant'Arcangelo. Questi sono i tre punti dove vengono portati i rifiuti per lo smaltimento finale. (...) Succede spesso che il recapito finale - generalmente rappresentato da discariche e oggi da La Fenice - si blocca, nel senso che dalla stazione di trasferenza il soggetto che la gestisce e vi trasferisce i rifiuti, trova il recapito finale con la porta chiusa, perché non accoglie, a volte per ritardi dei pagamenti. È un loro modo per pressarci e far sentire la loro voce, e capita spesso. In
Riguardo l'inceneritore, il sindaco Santarsiero ha dichiarato:
«A Potenza abbiamo anche un inceneritore, che ha una lunga storia amministrativa, iniziata negli anni novanta: è stato oggetto di
Il sindaco ha chiarito che l'inceneritore è stato realizzato con fondi pubblici e ha aggiunto che, una volta avviato l'inceneritore, che è in grado di bruciare appena 12.000 tonnellate all'anno di secco, e incentivata la raccolta differenziata, una cubatura di discarica di 95.000 metri cubi potrebbe garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti per i prossimi sette/otto anni.
La Commissione, in data 14 marzo 2012, ha audito l'attuale direttore dell'Arpab, ingegner Raffaele Vita, il quale ha riferito in merito all'attività di monitoraggio delle discariche, svolta dall'agenzia, soffermandosi in modo particolare sulle problematiche che attengono alle autorizzazioni e alla preventiva attività di verifica sull'esistenza delle condizioni per il rilascio delle stesse:
«Per il resto, la nostra funzione è di monitoraggio su alcune discariche, dove verifichiamo la funzionalità dei sistemi che garantiscono che non ci siano problemi per la Unione, solo se siamo certi che questi sistemi di monitoraggio funzionano. Oggi chiaramente l'attenzione si è moltiplicata ed è molto più intensa in merito. Su alcune discariche non l'abbiamo autorizzato perché non ritenevamo che fosse completo. Penso a Lauria o all'ultimo caso di Carpineto, di
1.2.2 Raccolta differenziata.
Secondo i dati forniti dal presidente della regione, Vito De Filippo, la raccolta differenziata nella provincia di Potenza ha raggiunto il 16,49 per cento nell'anno 2010.
La provincia di Potenza, con D.G. n. 183 del 19 maggio 2003, ha istituito l'osservatorio provinciale sui rifiuti per il monitoraggio della gestione dello smaltimento dei rifiuti.
I report sui rifiuti urbani elaborati dall'osservatorio provinciale forniscono informazioni sui dati relativi alla produzione di rifiuti, sulla raccolta differenziata effettuata, sulla destinazione dei flussi di rifiuti solidi urbani verso l'impiantistica esistente e sulla capacità residua della stessa.
I dati raccolti offrono elementi di riflessione per consentire una programmazione della gestione dei rifiuti coerente con la peculiarità delle diverse aree del territorio provinciale e costituiscono la base conoscitiva per l'aggiornamento della programmazione provinciale di organizzazione della gestione dei rifiuti.
Nella relazione trasmessa dal prefetto di Potenza (doc. 1080/2) si dà conto dei dati elaborati dall'osservatorio predetto, riportati nel «Rapporto rifiuti urbani - anno 2011», che pongono in risalto la peculiarità del territorio lucano rispetto al resto della situazione italiana.
In particolare, da un lato, viene evidenziato che la produzione totale dei rifiuti risulta in diminuzione nel corso degli anni, in ragione della corrispondente flessione della popolazione residente e dei minori consumi imposti dalla crisi economica.
Dall'altro, viene sottolineato il differente comportamento dei comuni, che porta, in alcuni casi, a percentuali di raccolta differenziata in veloce crescita e, in altri casi, a situazioni di preoccupante inerzia.
Il presidente Lacorazza ha evidenziato quelli che, secondo il suo parere, rappresentano i maggiori punti di criticità nel ciclo dei rifiuti della provincia che hanno inciso sul mancato raggiungimento degli obiettivi in tema di raccolta differenziata:
«(...) da una parte, c'è assenza di impianti di compostaggio; e, dall'altra, le caratteristiche della regione Basilicata, poco densamente abitata, con sessanta abitanti per chilometro quadrato, con un'organizzazione e un modello gestionale che sia sostenibile dal punto di vista dei costi. Faccio un paragone immediato. Da noi cento chilometri di condotta idrica, allacciano forse cento utenze. Avendo noi 600.000 abitanti, come un quartiere di Napoli o la città di Bari, in cento chilometri allacciano 100.000 utenze. Noi viviamo in una realtà che apparentemente può sembrare semplice, perché la quantità del rifiuto è ridotta, ma che porta il peso dell'organizzazione logistica, gestionale e impiantistica, che non è indifferente.
Partendo da questi presupposti - quindi organizzazione logistica e impiantistica - noi abbiamo rafforzato molto la parte delle vecchie discariche. In provincia di Potenza, gli impianti (non le discariche) hanno almeno il trattamento meccanico-biologico. Poi dirò quali sono funzionanti in questo momento e quali no, ma gli impianti previsti dal piano sono sostanzialmente sette: Lauria, Sant'Arcangelo, Venosa (in tutti e tre c'è un trattamento meccanico-biologico); Atella, dove anche è previsto il trattamento in impianto meccanico-biologico, con annessa vasca costruenda di 95.000 metri cubi, il che significa che abbiamo un ulteriore impianto che si sta rafforzando; Potenza Pallareta, un impianto chiuso, sottoposto a procedimento di caratterizzazione, sul
Stiamo poi lavorando a concludere la parte impiantistica della quale parlavo, perché per noi il ciclo virtuoso ci dovrà essere, ma servono comunque volumetrie in discarica, perché dovremo gestire questa fase e in più abbiamo già appaltato e aggiudicato il primo impianto di compost in provincia di Potenza».
Sui livelli di raccolta differenziata nella città di Potenza e nei comuni limitrofi ha riferito dettagliatamente il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, sempre nel corso dell'audizione del 14 marzo 2012, avanti alla Commissione.
Il sindaco ha parlato di un progetto redatto dal Conai con il quale si intende raggiungere l'obiettivo del 65 per cento di raccolta differenziata. Tale progetto prevede investimenti cospicui per l'acquisto di mezzi contenitori e per la realizzazione della raccolta domiciliare, per la quale, peraltro, vi sono difficoltà derivanti dall'estensione del territorio e dalla distribuzione della popolazione:
«La mia città, in termini di rifiuti, produce un totale - posso darvi i dati dello scorso anno - di circa 29.000 tonnellate in un anno. Abbiamo un dato di raccolta differenziata annuo nell'ordine del 26,5 per cento, anche se abbiamo avuto anche punte più alte. Sulla raccolta differenziata abbiamo approvato in consiglio comunale un progetto, che è stato redatto dal Conai, con il quale puntiamo a raggiungere l'obiettivo del 65 per cento. Un progetto che, per la verità, prevede investimenti cospicui in mezzi contenitori, nell'ordine dei 7 milioni di euro, rispetto ai quali speriamo di poter cogliere un finanziamento dedicato attraverso la regione Basilicata e di poter già entro la fine dell'anno attivare questo modello di raccolta differenziata di tipo domiciliare. Va considerato che quello attuale - un modello che opera attraverso contenitori presenti sul territorio comunale - ci consente,
Sulla base dei dati acquisiti si evince che il ciclo dei rifiuti si esaurisce nel conferimento in discarica o presso l'inceneritore Fenice, mentre si attesta su livelli bassissimi la raccolta differenziata, rispetto alla quale, come evidenziato dal sindaco di Potenza, esistono problematiche per la sua concreta attuazione legate alla difficoltà di organizzare una raccolta porta a porta in ragione della bassa densità di abitanti distribuiti su una superficie di territorio molto estesa.
1.2.3 Il termovalorizzatore la Fenice di San Nicola di Melfi.
1.2.3.1 Descrizione dell'impianto.
L'impianto, denominato «Fenice» è stato costruito nel settembre del 1999 (nell'area di San Nicola di Melfi) ed è diventato operativo nel 2000, come impianto di termodistruzione di rifiuti tossici e nocivi.
Dalla relazione allegata al rapporto di aggiornamento trasmesso a questa Commissione dal presidente della regione Basilicata Vito De Filippo, redatto in data 9 dicembre 2011, risulta che:
«La piattaforma per il trattamento dei rifiuti urbani e speciali mediante termovalorizzazione denominato "ITM - Impianto di termovalorizzazione di Melfi", di proprietà della società Fenice ambiente s.r.l., è ubicata all'interno del comprensorio industriale in località San Nicola di Melfi. (...)Nella piattaforma ITM viene effettuata l'attività di trattamento/smaltimento dei rifiuti urbani e speciali (pericolosi e non) mediante termovalorizzazione, nonché l'operazione di recupero energia.
La suddetta piattaforma concorre al raggiungimento degli obiettivi del "piano provinciale di organizzazione della gestione dei rifiuti", con particolare riferimento allo smaltimento dei rifiuti provenienti dall'area Vulture Melfese.
L'impianto si compone di due linee di incenerimento, una che utilizza un forno a tamburo rotante per la termodistruzione dei rifiuti
Le emissioni in atmosfera dell'impianto sono costituite dai prodotti di combustione dei due forni di incenerimento rifiuti.
Entrambe le linee di combustione sono dotate di un sistema di trattamento dei fumi, costituito da un filtro a maniche per l'abbattimento delle polveri, di uno scrubber per l'abbattimento ad umido dei gas acidi e di un reattore per l'abbattimento degli NOx, nonché di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni.
In accordo a quanto stabilito dalla normativa di settore per gli inceneritori viene effettuato il monitoraggio in continuo dei seguenti inquinanti CO, S02, NOx, polveri totali, TOC, HCI e con cadenza periodica trimestrale misure degli inquinanti acido fluoridrico, idrocarburi non metanici, acido nitrico, formaldeide, acido cianidrico, IPA, PCB+PCT+PCN, Cd+TI, Hg, metalli pesanti (Sb, As, Pb, Cr, Co, Cu, Mn, Ni, V), PCDD+PCDF.»
L'impianto di termovalorizzazione presenta due punti di scarico finale delle acque reflue prodotte: uno, quello principale, riguardante i reflui tecnologici, quelli di prima pioggia e quelli civili che ha come ricettore finale l'impianto di trattamento acque reflue (TAR) ubicato nel vicino stabilimento SATA, di proprietà e gestione Fenice, e l'altro relativo alle acque meteoriche che dilavano lungo i tetti dei fabbricati presenti all'interno della piattaforma e vengono recapitate direttamente all'impianto di depurazione di proprietà del Consorzio ASI.
Dal punto di vista delle emissioni sonore le campagne di monitoraggio acustico effettuate dalla società Fenice (da ultima quella del 24-25 febbraio 2010) hanno evidenziato il rispetto dei limiti assoluti di immissione diurni e notturni previsti dalla normativa vigente in tutte le postazioni di misura (sono stati individuati 5 punti di misura ubicati lungo i confini della piattaforma)....
1.2.3.2 L'inquinamento provocato dall'inceneritore Fenice.
Riguardo l'inquinamento provocato dall'inceneritore Fenice, si illustra di seguito quanto accaduto dall'acquisizione della notizia relativa all'inquinamento medesimo, alla fase di caratterizzazione fino allo stato attuale della contaminazione ambientale, secondo i dati contenuti nella relazione allegata al rapporto di aggiornamento già citato (doc. 989/1 e 989/2):
«la regione ha notizia del possibile inquinamento delle acque di falda, per la prima ed unica volta, nel gennaio 2009 a seguito di comunicazione Arpab, a mezzo nota prot. n. 1933 del 3 Marzo 2009, in cui si accerta l'avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), previste dalla tabella 2, dell'allegato 5 alla parte IV del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, per le sostanze Nichel, Mercurio, Fluoruri, Nitriti, Tricloroetano, Tricloroetilene, Tetracloroetilene, Bromodiclorometano e Dibromoclorometano.
La fase di caratterizzazione:
«La caratterizzazione ha individuato alcune delle possibili sorgenti di contaminazione e determinato i parametri sito specifici per l'analisi di rischio sanitario ambientale.
Le possibili sorgenti individuate, già isolate dal soggetto obbligato nell'ambito della messa in sicurezza d'emergenza, sono ascrivibili a perdite provenienti dalle reti di gestione dei reflui e vasche di contenimento.
I risultati ottenuti comportano l'obbligo di bonifica delle acque sotterranee e la valutazione del rischio sanitario ambientale per la verifica del superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).»
La contaminazione ambientale: risultati della caratterizzazione suolo/sottosuolo (approvati CdS dell'11 gennaio 2010), la matrice suolo/sottosuolo è risultata esente da contaminazione.
Lo stato attuale della contaminazione ambientale:
«Il rapporto del monitoraggio Arpab inerente i campioni prelevati in data 8-9 marzo 2011 in sei dei nove pozzi di monitoraggio indicano il superamento di n. 4 specie chimiche, mentre i restanti tre pozzi non sono stati campionati per assenza di acqua.
1. Nichel 12,1 volte eccedenti i limiti normativi;
2. manganese 22,56 volte eccedenti i limiti normativi;
3. tricloroetilene 1,33 volte eccedenti i limiti normativi;
4. -1.2 dicloropropano 1,2 volte eccedenti i limiti normativi.
Il rapporto del monitoraggio Arpab inerente i campioni prelevati in data 11 maggio 2011 nei 9 pozzi di monitoraggio indicano il superamento di n. 6 specie:
1. Nichel 12,1 volte eccedenti i limiti normativi;
2. Arsenico 1,8 volte eccedenti i limiti normativi;
1.2.3.3 Gli interventi attuati in seguito all'accertamento della contaminazione ambientale.
Anche con riferimento agli interventi attuati in seguito all'accertamento della contaminazione ambientale, in particolare per ciò che riguarda la messa in sicurezza di emergenza e l'analisi di rischio sanitario ambientale, si riporta il contenuto della relazione trasmessa dal presidente della regione (doc. 989/1 e 989/2):
«A seguito della comunicazione di avvenuto superamento delle CSC l'ufficio prevenzione e controllo ambientale, con nota prot. n. 67833/75AA del 3 aprile 2009, ha chiesto alla Fenice Spa l'immediata messa in sicurezza della falda e la comunicazione degli interventi adottati ed in corso di attuazione. Nel prosieguo si è resa necessaria l'emanazione di specifica ordinanza sindacale che il sindaco di Melfi, grazie al coordinamento degli enti, ha emesso per specificare al soggetto obbligato tempi e modalità di intervento.
I primi interventi hanno consentito di limitare la propagazione dello stato di contaminazione all'esterno del sito. Questo obiettivo è stato ottenuto utilizzando i piezometri, costituenti la rete di monitoraggio delle acque sotterranee, come punti di emungimento delle acque di falda.
Allo scopo di migliorare l'intercetto e riduzione dei pennacchi di contaminazione si è chiesta la realizzazione di una barriera idraulica indipendente dalla rete piezometrica di monitoraggio del Vulture-Melfese posta a monte della stessa. L'attività di emungimento è passata dalle 9 postazioni piezometriche iniziali ai 28 pozzi costituenti la barriera idraulica, grazie agli ulteriori interventi di ampliamento richiesti dalla regione. Tutte le attività di emungimento si sviluppano in condizioni controllate da specifici sistemi di monitoraggio, attualmente in corso di ulteriore perfezionamento come richiesto dalla regione durante l'istruttoria dell'AdR.
Allo stato attuale il sistema di emungimento e monitoraggio è così composto:
n. 9 pozzi di monitoraggio rete di monitoraggio Vulture melfese;
n. 28 pozzi barriera idraulica a monte idrogeologico; barriera idraulica utilizzata sia per l'emungimento che per il monitoraggio;
n. 9 pozzi hot spot finalizzati all'emungimento delle acque sotterranee nelle aree a maggiore contaminazione.
Le sorgenti di contaminazione sono state individuate in vasche/serbatoi, condotte di acque di processo e di reti fognarie; da ultima comunicazione Arpab prot. 6596 del 18 luglio 2011 risulta che tratti della rete fognaria sono ubicati a valle della barriera idraulica; si sono eseguiti interventi di ripristino di alcune vasche di contenimento ed interventi di relining di alcuni tratti delle reti interrate.
1.2.3.4 Analisi di rischio sanitario ambientale.
In data 10 febbraio 2011 si è conclusa la fase istruttoria dell'analisi del rischio con la richiesta di integrazioni. I risultati presentati da Fenice SpA indicano livelli di rischio, per tutte le sostanze, per tutti i processi di trasporto e per tutti i possibili bersagli, inferiori ai livelli di accettabilità di vari ordini di grandezza.
Le integrazioni richieste sono finalizzate ad escludere anche rischi sanitari ed ambientali meno probabili, rispetto a condizioni simulate ancora più conservative di quelle sviluppate dal soggetto obbligato e più gravose rispetto alle condizioni attuali. I livelli di contaminazione oggetto di AdR, infatti, sono quelli approvati come risultati della caratterizzazione che risultano ben più numerosi per numero di sostanze e ben più intensi come livelli di concentrazione rispetto allo stato attuale.
Tali risultati dimostrano che nel sito in esame tutti i rischi oggetto di valutazione rispettano sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno per singola sostanza fissato dal decreto legislativo n. 152 del 2006 pari a lx E-6 e sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno cumulato fissato dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 pari lx E-5.
Il rischio cumulato per la contaminazione dei sito Fenice è pari a 1,28 su 100 milioni, cioè 1000 volte inferiore al criterio di accettabilità rischio cancerogeno cumulato fissato dal decreto legislativo n. 152 del 2006. Si tratta, evidentemente, di grandezze di tipo probabilistico. Il dato tecnico dimostra l'esistenza di rischi largamente inferiori ai limiti di accettabilità stabiliti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, ma trattandosi di rischi potenzialmente subiti in modo involontario, ovvero secondo processi di esposizione indipendenti dalla volontà dei soggetti potenzialmente esposti, questi vengono percepiti e devono essere considerati come rischi inaccettabili. Per questi motivi la regione, superando gli obblighi imposti dalla legge, ha proposto nella CdS del 31 marzo 2011 come obiettivo di bonifica il ripristino dello stato ambientale originario del sito con la totale eliminazione delle sostanze inquinanti. La CdS ha effettivamente fissato questi obbiettivi di bonifica laddove tecnicamente conseguibili, utilizzando le migliori tecnologie disponibili.
Si rileva, inoltre, che il dipartimento ambiente con nota prot. n0161058/75AA del 26 settembre 2011 ha chiesto a Fenice di adeguare il sistema di monitoraggio della messa in sicurezza del sito allo specifico disciplinare Ispra. Gli adempimenti dovuti da Fenice consentiranno a breve l'acquisizione dei dati in tempo reale da parte di Arpab che dovrà verificare dalla propria sede l'efficienza della MISE (barriera idraulica).
I risultati ottenuti hanno portato l'Arpab nella CDS del 20 settembre 2011 convocata dalla provincia di Potenza a confermare parere positivo all'esercizio dell'impianto ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 240, comma 1, lettera n (messa in
La regione ha richiesto di:
decontaminare tutte le aree contaminate indipendentemente dall'allocazione rispetto al limite di proprietà, ossia, anche interni al sito;
adottare come tecnica di bonifica quella più efficace anche per le aree contaminate sottostanti gli impianti;
fissare come obiettivi di bonifica volontari concentrazioni di contaminazioni inferiori ai limiti normativi mediante utilizzo delle migliori tecnologie a costi sopportabili e tali da avvicinare i risultati allo stato ecologico originario.
Fenice EDF ha aderito alle richieste della regione mediante specifica dichiarazione confermata a verbale della conferenza di servizi. Sebbene il procedimento di bonifica del sito non sia ultimato, risulta chiaro che l'azione congiunta della regione e degli enti coinvolti ha finora assicurato la migliore salvaguardia possibile degli interessi ambientali, sanitari e sociali. (...)».
In grande sintesi, secondo quanto risulta dalla relazione, le azioni condotte dal dipartimento nel corso del 2010-2011 sulla vicenda Fenice sono state costituite in primo luogo dalla gestione delle fasi previste per il procedimento di caratterizzazione, analisi del rischio e bonifica; sono state inoltre accertate le cause della contaminazione del sito e sono state rimosse le cause di inquinamento attraverso il monitoraggio di Arpab.
Proprio con riferimento all'Arpab, l'agenzia ha ricevuto il compito di ripristinare il corretto flusso informativo dei dati di monitoraggio
1.2.3.5 Le dichiarazioni del presidente della regione e del presidente della provincia di Potenza sull'impianto Fenice.
Sulla vicenda dell'impianto Fenice, il presidente della regione, dottor Vito De Filippo, nel corso della sua audizione del 14 marzo 2012, ha reso una serie di dichiarazioni che, di seguito, si riportano:
«(...) Su La Fenice abbiamo istituito un tavolo della trasparenza e un comitato di alta sorveglianza, chiamando professionalità di livello internazionale, costringendoli, anche per ragioni di sobrietà e di rigore finanziario, ad avere compensi bassissimi, pari a un gettone di presenza di cento euro per ogni seduta. (...) Ho citato Ispra e Istituto superiore di sanità, che collaborano con noi su molti fronti. Pensiamo che alcuni fenomeni e anche alcune scoperture, soprattutto sull'impianto La Fenice, quindi alcuni problemi che abbiamo avuto in precedenza, siano oggi sotto il nostro totale governo, in questa fase, grazie al tavolo della trasparenza, al comitato di alta sorveglianza e al centro di monitoraggio regionale che abbiamo inaugurato qualche settimana fa. Quest'ultimo è dotato dei più avanzati sistemi (...) che sono stati messi in campo, su tutte le varie matrici ambientali (acqua, suolo, aria). Tale sistema sofisticatissimo ed avanzato di monitoraggio dei dati a governo regionale, con possibilità di accertamento, anche simultaneo, in molti territori della nostra regione, ci fa pensare che vi sarà qualche elemento di difficoltà soprattutto per l'impianto di La Fenice, su cui è in corso un'indagine della magistratura fino alla cui conclusione non esprimo alcun giudizio. (...)».
Il presidente della regione ha evidenziato l'opposizione della Unione rispetto all'impianto, che viene percepito come una fonte di inquinamento. Ha, però, precisato come tale impianto sia di fondamentale importanza nel ciclo regionale dei rifiuti e, al tempo stesso, garantisca - soprattutto oggi grazie al sistema di monitoraggio
1.2.3.6 Le indagini giudiziarie segnalate dalla magistratura in merito all'inceneritore Fenice.
La procura della Repubblica di Potenza ha recentemente concluso un'indagine in merito alla contaminazione ambientale provocata dall'impianto Fenice di San Nicola di Melfi (procedimento penale n. 414/09 RGNR, assegnato al sostituto procuratore dottor Colella).
Nel corso dell'indagine, secondo quanto riferito, è stata accertata l'emissione di sostanze nocive, in misura altamente pericolosa per la salute pubblica e superiore rispetto ai valori previsti dai protocolli e dalle disposizioni di legge.
Tali circostanze, seppur conosciute dagli organi di controllo preposti (segnatamente l'Arpab), sarebbero state per lungo tempo sottaciute alle autorità locali e nazionali.
In particolare, gli elementi acquisiti nel corso dell'indagine avrebbero consentito di accertare che le analisi chimiche eseguite, sia dal gestore dell'impianto Fenice che da Arpa Basilicata, indicavano, senza alcun dubbio, che il sito fosse potenzialmente contaminato.
Nonostante nei referti di Arpab il tenore di Nichel di alcuni pozzi superasse le concentrazioni massime già dal primo prelievo in atti (10 gennaio 2002) e nonostante il consistente peggioramento anche con il superamento dei limiti delle sostanze organiche clorurate a partire dal campionamento del 10 dicembre 2007, l'Arpab non avrebbe inviato alcuna comunicazione, ai sensi dell'articolo 244 del testo unico ambientale, alla procura della Repubblica sino al 3 marzo 2009.
Anche i responsabili della piattaforma Fenice di Melfi, che erano a conoscenza dell'eccessiva presenza di inquinanti in falda sin dal 29 giugno 2000 (o dal maggio 2002), non avrebbero mai informato della situazione di potenziale contaminazione gli enti competenti.
La comunicazione di Fenice ai sensi dell'articolo 242 del testo unico porta la data del 12 marzo 2009, nove giorni dopo la nota di Arpab.
Nel corso delle indagini è stata reperita - presso il dipartimento Arpab di Matera - copiosa documentazione relativa ad analisi effettuate sulle falde sottostanti l'inceneritore, che avrebbero attestato una contaminazione in atto, analisi mai protocollate e mai inviate agli enti competenti. Ciò avrebbe di fatto impedito agli enti preposti di intervenire per attivare le procedure previste dalla normativa di settore per la messa in sicurezza e la bonifica, favorendo, di fatto, il prosieguo dell'attività a discapito dell'ambiente e della salute pubblica
Nell'ordinanza applicativa delle misure cautelari emessa dal Gip dottoressa Michela Tiziana Petrocelli, in data 11 ottobre 2011, nei confronti di alcuni degli indagati, (doc. 1035/3), si legge:
«Sintetizzando quanto accertato dal consulente tecnico nominato dalla procura della Repubblica di Melfi si può sostenere che:
Dal punto di vista tecnico, fino al maggio 2009, gli inquinanti prescelti per le analisi non erano assolutamente idonei ad evidenziare fenomeni di inquinamento connessi con l'attività in corso nel sito (trattamento di rifiuti) e, tra l'altro previsti dalla normativa di riferimento (471/99 successivamente 152/06);
Fenice era a conoscenza del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione o concentrazioni limite accettabili (vecchia dizione del d.m. 471/99) già dai prelievi del febbraio 2000, seppur sulla base di pochi parametri, quando il tenore di piombo nei pozzi p8 e p9 (0,020 mg/1) era maggiore della CSC di 0.010 mg/;
Sulla scorta di rilievi tecnici è possibile asserire che anche l'inquinamento da clorurati risale a molti anni fa e che, anche in questo caso i responsabili FENICE ne erano a conoscenza sin dal 2000.
Stante quanto sopra, si può affermare con certezza che i responsabili della SOCIETÀ FENICE s.p.a. (susseguitisi nel tempo), non hanno ottemperato ai principi fondamentali del piano di monitoraggio del melfese, in quanto finalizzato ad individuare repentinamente situazioni di contaminazione nell'ottica della celerità finalizzata in prima istanza al contenimento del fenomeno e successivamente alla risoluzione dello stesso.
Si rimarca che l'accordo tra regione (successivamente Arpab) e FENICE per la realizzazione e successiva gestione della rete di monitoraggio, nasce appunto per fronteggiare tali problematiche.
Ancor più rilevante risulta la mancanza di comunicazione, protratta negli anni, di avvenuto superamento dei limiti come dettato dalle normative di settore succedutesi negli anni (decreto ministeriale 471/99 e decreto legislativo 152/06), nonché l'omessa attivazione delle procedure (messa in sicurezza d'emergenza) per il contenimento e la successiva eliminazione della fonte.
Per quanto si indicherà innanzi risulterà dimostrata la compiacenza dell'agenzia regionale per la Protezione ambientale (Arpab), ente di controllo preposto, che, ad opera dei responsabili avvicendatisi nel corso degli anni, hanno celato il fenomeno di contaminazione della falda posta in essere da FENICE omettendo di comunicare quanto dovuto ai fini delle procedure ed attestando falsamente uno stato di fatto non confacente alla reale situazione. Difatti, alla base del disegno criminoso, vi è un atteggiamento favorevole al prosieguo dell'attività FENICE a discapito non solo dell'ambiente ma anche della salute pubblica considerato che, negli anni, Arpab, seppur a conoscenza del fenomeno, non ha mai indagato gli effetti dell'inquinamento in falda sulla salute umana fino all'anno 2009.»
Nel provvedimento richiamato, il Gip riporta le considerazioni svolte dal ctu nominato dalla procura:
«Le analisi chimiche in atti, eseguite sia da Fenice S.p.A. che da Arpab Basilicata, indicano senza alcun dubbio che il sito è potenzialmente contaminato. Il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione per mercurio e sostanze organiche alogenate è tale che l'eventuale analisi di rischio sito specifica sicuramente dimostrerebbe che il sito è anche contaminato.
Nonostante nei referti di Arpab il tenore di Nichel di alcuni pozzi superasse le concentrazioni massime già dal primo prelievo in atti (10 gennaio 2002) e nonostante il consistente peggioramento anche con il superamento dei limiti delle sostanze organiche clorurate a partire dal campionamento del 10 dicembre 2007, non risulta che sino al 3 marzo 2009 Arpab abbia inviato alcuna comunicazione ai sensi dell'articolo 244 testo unico o alla procura della Repubblica di Melfi.
Anche i responsabili della piattaforma Fenice di Melfi, che erano a conoscenza dell'eccessiva presenza di inquinanti in falda sin dal 29 giugno 2000 (o dal maggio 2002), non hanno mai informato della situazione di potenziale contaminazione gli enti competenti o la procura della Repubblica di Melfi. La comunicazione ai sensi dell'articolo 242 del testo unico porta la data del 12 marzo, nove giorni dopo la nota di Arpab. È il caso anche di richiamare quanto riportato nella sezione 6.1 di questa relazione tecnica, in merito alla scelta di Fenice di riportare nei rapporti di prova la sommatoria degli
Chiarificatrici, quanto al caso concernente i controlli sull'inceneritore Fenice, sono state le dichiarazioni rese dal dottor Giovanni Colangelo, nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, allorquando era a capo dell'ufficio della procura della Repubblica di Potenza:
«(...). In realtà, da quanto è stato accertato, un tecnico dipendente dell'Arpab, sentito a sommarie informazioni, affermò che sebbene l'Arpab avesse da tempo effettuato delle analisi che segnalavano il superamento delle concentrazioni soglia, dal gennaio 2008 si era limitata a indire tavoli di discussione con La Fenice e con docenti universitari. La Fenice venne a conoscenza di questo problema in quel momento e segnalò quindi tali dati.
Occorre però dire, come feci nell'audizione precedente, che da La Fenice il problema non è mai stato ammesso integralmente, tant'è vero che non ha mai confermato il disastro ambientale, pur ammettendo un inquinamento la cui esistenza credo sia abbastanza pacifica, perlomeno per come è stato accertata dal nostro consulente.
Le cause dell'inquinamento, secondo il nostro consulente, potrebbero essere individuate, non con caratteristiche di assoluta certezza, nella perdita della vasca di stoccaggio e nella cattiva tenuta della vasca di contenimento delle acque di processo per l'abbattimento delle emissioni in atmosfera. La società è poi intervenuta su entrambi gli aspetti.
La consulenza tecnica del professor Fracassi non esclude tuttavia altre cause e tale dato sembra al momento confortato anche da ulteriori comunicazioni della procura generale per cui potrebbe essere stata individuata la presenza di ulteriori inquinanti non del tutto compatibili con le cause indicate».
Il procuratore Colangelo era stato audito dalla Commissione anche il 6 marzo 2012. In tale occasione, in merito all'indagine sull'impianto Fenice, aveva dichiarato:
«Quello che è singolare è che, secondo quanto si rileva da una relazione, un dato di inquinamento emergeva dal 2009 o addirittura dal 2007. Se non ricordo male il fatto emerge da atti della pubblica amministrazione e ciò di fatto non ha determinato alcun intervento. Si tenga conto che al capo 23 il collega ha contestato un concorso in truffa aggravata in danno non soltanto dei responsabili dell'Arpab, ma anche dei responsabili dell'ente, ai quali contesta (e questo forse può contenere la risposta alle vostre domande): »con artifici o raggiri consistiti nel trasmettere all'ente regione i risultati di analisi chimiche senza indicazione dei limiti tabellari previsti per ciascun inquinante,
1.2.4 Gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti riscontrati nel territorio della provincia di Potenza.
La Commissione ha dedicato ampio spazio agli approfondimenti degli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti riscontrati nella provincia di Potenza.
Come sempre avviene, anche in questo caso le problematiche attinenti all'inefficacia dei controlli, difficili per le caratteristiche del territorio, si riverberano sull'entità degli illeciti perpetrati.
Sebbene non siano stati segnalati episodi di particolare allarme (salvo quello concernente l'inceneritore Fenice, di cui si è già trattato), tuttavia sul territorio vengono realizzate numerose discariche abusive, non sempre riconducibili a soggetti individuati, il che rende decisamente preoccupante il dato testè menzionato.
È evidente, infatti, che occorrerebbe verificare e monitorare le discariche illecite, individuando la tipologia di rifiuti, accertandone le caratteristiche, al fine di risalire, sia pure presuntivamente, al luogo di produzione.
Nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012 del presidente della provincia di Potenza, Piero Lacorazza, è stata sottolineata l'importanza, in un territorio circondato da regioni ove la presenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, di un'azione di monitoraggio particolarmente attenta:
«Con la responsabilità che rivesto, io non ho mai avuto pressioni dirette o indirette rispetto al ciclo integrato dei rifiuti. Anche per
1.2.4.1 Le informazioni acquisite dagli uffici delle procure.
Come già rappresentato, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza, Giovanni Colangelo, è stato audito dalla Commissione in data 6 marzo 2012.
Nel corso di tale audizione, ha evidenziato le principali criticità riscontrate sul territorio della provincia di Potenza, illustrando alcune tra le indagini di maggiore rilievo effettuate dall'ufficio di procura.
Il procuratore ha chiesto, peraltro, la segretazione dell'audizione nelle parti in cui si è fatto riferimento ad indagini ancora in corso, coperte da segreto istruttorio e di cui non si può dare conto.
Si riportano i passi salienti (non segretati) dell'audizione:
«sin dall'inizio abbiamo posto una particolare attenzione alle problematiche dell'ambiente, atteso che la regione Basilicata si caratterizza per un territorio estremamente variegato, dal mare alle montagne, e per un patrimonio naturalistico di particolare importanza. Nello stesso tempo, sullo stesso territorio insistono insediamenti di tipo industriale e, in particolare, quelli notissimi di tipo estrattivo. Ovviamente le indagini non sempre sono state agevoli e anche quelle che sono partite subito dopo hanno avuto necessità di sviluppi particolarmente elaborati e complessi. Per questo motivo gran parte delle indagini delle quali il mio ufficio si sta occupando in questo periodo sono ancora in una fase istruttoria o riservata e talune di esse sono addirittura nello stadio ultimativo della fase delle indagini, ossia nella fase in cui il magistrato si trova a tirare le fila e a dover decidere in merito alle richieste conclusive da formulare al giudice. Per questi complessi motivi, mi scuso sin d'ora se dovrò chiedere la segretazione o dovrò essere necessariamente un po' più vago su quelle parti che, per motivi facilmente intuibili, sono particolarmente sensibili e/o riservate. Ho portato brevissimi dati statistici, segnalando che le violazioni che hanno determinato l'iscrizione a modello 21 - il Registro delle notizie di reato contro noti - sono state, per le violazioni al decreto legislativo n. 152 del 2006, 60 nel 2009, 40 nel 2010 e 56 nel 2011. Per la stessa tipologia di reati a carico di ignoti abbiamo avuto un numero pressoché costante: 16, 16 e 10 nei tre anni
Con riferimento specifico al problema dello smaltimento illecito dei fanghi di perforazione, il procuratore Colangelo ha riferito in merito ad un'indagine riguardante un terreno in agro di Corleto Perticara, relativa ad un presunto inquinamento del suolo dovuto a sostanze e metalli pesanti, probabilmente derivanti da pozzi di perforazione per ricerche di idrocarburi:
«Le analisi condotte sul punto hanno confermato che effettivamente il terreno, che in quel momento era coltivato a uso agricolo, era fortemente inquinato da fanghi di perforazione. Il terreno è stato sottoposto a sequestro e recintato. Attualmente non è più coltivato. È stata poi avviata la pratica di bonifica, ma il procedimento non è ancora materialmente concluso perché ci sono alcune difficoltà, in quanto la gestione di quella zona era affidata a una società che attualmente non esiste più e i cui rappresentanti non sono di certa dimora. Sono in corso le indagini per la definizione di questo aspetto. (...)».
Il procuratore Colangelo ha trasmesso, tra i diversi provvedimenti emanati dall'ufficio di procura, anche il decreto di sequestro probatorio emesso nel procedimento suindicato in relazione ai reati di cui agli articoli 441 del codice penale, 589 del codice penale, articolo 256, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 nel quale si evidenzia che (doc. 1035/2):
la vicenda nasce a seguito delle dichiarazioni rese dal proprietario di un terreno di circa 12 ettari, sito a Corleto Perticara, destinato ad ospitare il centro Oli Tempa Rossa della compagnia petrolifera Total Italia, il quale segnalava una serie di fatti e circostanze idonee a delineare l'esistenza di reati in materia ambientale e di salute pubblica conseguente all'attività derivante dai fanghi di perforazione;
le analisi effettuate sul campione prelevato su uno dei terreni (sito B) hanno rilevato un superamento del valore limite per la presenza di idrocarburi pesanti (...) evidenziando che si tratta di un sito contaminato;
detto sito è stato utilizzato dalla Total Mineraria per la realizzazione di una discarica per fanghi e detriti di perforazione;
un altro terreno (sito A) è stato utilizzato dalla Total Mineraria come area sia per lo stoccaggio momentaneo del terreno vegetale rinveniente dallo scavo dell'area pozzo, sia per lo stoccaggio momentaneo dei detriti e/o fanghi derivanti dalla perforazione per il loro
Il sequestro è stato, dunque, disposto al fine di effettuare le analisi atte a verificare il livello, la profondità e l'estensione della contaminazione del terreno e, di conseguenza, se la contaminazione abbia interessato solo l'area già oggetto di campionamento ed analisi o anche i terreni adiacenti dovendosi - al predetto fine - impedire che terzi possano mutare lo stato dei luoghi, pregiudicando l'espletamento dell'attività di approfondimento investigativo.
La procura di Potenza ha trasmesso a questa Commissione copia dei principali provvedimenti adottati in materia di rifiuti. In particolare, ha trasmesso, oltre che la copia degli atti riguardanti l'indagine sull'inceneritore Fenice (copia dell'avviso ex articolo 415-bis del codice di procedura penale, dell'ordinanza cautelare emessa dal Gip e della richiesta di rinvio a giudizio), anche provvedimenti di sequestro nonché atti di esercizio dell'azione penale relativi a reati ambientali (doc. 1035/1, 1035/2, 1035/3, 1035/4).
Altre indagini di rilievo segnalate dai magistrati della procura di Potenza sono quelle relative ai depuratori localizzati in prossimità dell'invaso del Pertusillo. Secondo quanto riferito dai sostituti procuratori dottor Colella e dottor Marotta nella relazione del 13 gennaio 2012 trasmessa al procuratore Giovanni Colangelo, sono state disposte consulenze tecniche per individuare situazioni di inquinamento dell'invaso e per stabilire le cause della moria di pesci registrata. Si è in attesa del deposito delle relazioni dei consulenti (doc. 1035/4).
Su tale vicenda ha riferito lo stesso procuratore Colangelo nel corso dell'audizione del 6 marzo 2012, affermando che:
«problematica di particolare entità, dal momento che lo stesso invaso serve gran parte della Basilicata e gran parte della Puglia, come rifornimento di risorse idriche potabili. Dopo le prime notizie di reato, abbiamo ritenuto di fare un monitoraggio completo, costituendo un gruppo investigativo misto tra Corpo forestale dello Stato e NOE. (...) Nel corso dei controlli venne stabilito che si dovesse operare in maniera congiunta: il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che ha una maggiore conoscenza con le stazioni dei comandi forestali del territorio e delle dislocazioni degli insediamenti agricoli, industriali, avrebbe dovuto fare un monitoraggio sul territorio, mentre il NOE si sarebbe dovuto occupare della parte più squisitamente di polizia giudiziaria. A seguito di questa mappatura degli insediamenti e dei comuni che effettuavano scarichi fognari e che gestivano direttamente, o per il tramite dell'acquedotto, impianti di depurazione, venne in un primo tempo individuato subito uno stabilimento industriale dismesso, già di proprietà della società a responsabilità
Con riferimento alle indagini svolte dalla procura di Melfi nel settore dei rifiuti, con nota trasmessa alla Commissione il 24 febbraio 2012, è stato comunicato che, negli ultimi due anni, non è stata emessa nessuna richiesta di rinvio a giudizio, né sono state richieste misure cautelari, patrimoniali e personali, relative ai procedimenti più rilevanti riconducibili ad attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (doc. 1083/1).
Nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, innanzi alla Commissione, tuttavia, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Malfi, Domenico De Fancendis, ha parlato di un'indagine di particolare rilievo concernente lo smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali presso l'inceneritore Fenice nel corso della quale sono stati sequestrati più di 50 vagoni ferroviari individuati nelle stazioni di San Nicola di Melfi, Foggia e Cesena, contenenti rifiuti ospedalieri a rischio infettivo, raccolti sul territorio nazionale dalla società «Mengozzi» di Forlì che si era aggiudicata i relativi appalti di raccolta e non disponeva di impianti sufficienti per lo smaltimento. Le indagini hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio di circa 20 persone.
Di tale indagine ha parlato diffusamente anche il questore di Potenza nella relazione trasmessa alla Commissione, già richiamata (doc. 1060/1). Si riporta il passo di interesse:
«Poiché i rifiuti non potevano essere stoccati ma dovevano essere smaltiti entro cinque giorni dalla raccolta, i titolari dell'impresa in
Circa l'esito del procedimento, il procuratore della Repubblica di Melfi, dottor De Facendis, ha dichiarato:
«(...) venne compiuta un'attività di indagine abbastanza estesa che, per quanto ne so, coinvolse varie procure d'Italia e che, alla fine, ha visto imputati sia taluni responsabili di varie divisioni di Trenitalia, sia il responsabile dell'epoca de La Fenice, sia i responsabili di tre società: la Mengozzi Srl di Forlì e altre due società locali. Proprio questa Mengozzi Srl era infatti l'unico stabilimento in Italia, all'epoca quanto meno - torno a dire, ho ricostruito la vicenda attraverso gli atti di archivio, quindi non per conoscenza personale, ma ho cercato di sentire anche gli investigatori dell'epoca, per documentarmi meglio - che effettuava esclusivamente la distruzione di rifiuti sanitari ospedalieri a rischio infezione, quindi con delle modalità particolari. Tra giugno e luglio del 2001 il vecchio stabilimento della Mengozzi era chiuso e quello nuovo non era stato ancora consegnato. Nel frattempo questa società aveva però assunto degli impegni e, per evitare lo stoccaggio, avrebbe quindi usato l'escamotage di convogli ferroviari che giravano il Paese per stazionare poi in determinati posti. Questo procedimento ha avuto processualmente un pessimo esito perché, da parte del pubblico ministero dell'epoca, c'è stata la citazione a giudizio davanti al tribunale di Melfi, che ha però dichiarato la sua incompetenza per territorio. La citazione a giudizio è del 2004, mentre la sentenza di incompetenza è del 2006. Questa sentenza ha dichiarato l'incompetenza a favore del tribunale di Forlì, il quale ha fatto una serie di modifiche di imputazione, ha poi revocato in sede di udienza preliminare e, alla fine, la faccio breve, il GUP del tribunale di Forlì ha dichiarato la prescrizione per taluni reati, rinviando gli atti per
Con riferimento alle indagini concernenti l'inceneritore Fenice, il procuratore De Facendis ha spiegato come sono nate le indagini, avviate proprio dalla procura di Melfi e successivamente trasmesse alla procura di Potenza:
«(...) si verificò che noi, procura di Melfi, stavamo conducendo delle indagini sui dati inerenti l'eventuale inquinamento in senso stretto prodotto da La Fenice; contestualmente la procura della Repubblica di Potenza - lo posso dire perché c'è ormai la richiesta di rinvio a giudizio, quindi si tratta di dati ostensibili - stava conducendo indagini su altre vicende riguardanti il circondario di Potenza e, in particolare, su eventuali coperture, connivenze, imprecisioni e omissioni da parte di organi amministrativi aventi sede in Potenza; in particolare, mi riferisco all'Arpab, che aveva il compito di verificare e controllare i dati.
Proprio in virtù di questa attività di coordinamento, alla fine, previo reciproco scambio di informazioni sulle risultanze delle rispettive indagini, il procedimento della procura della Repubblica di Melfi venne trasmesso, il 15 ottobre 2010, alla procura della Repubblica di Potenza, affinché, come poi è avvenuto, fosse riunito al procedimento lì pendente.
Tutto il coacervo di questa attività ha portato all'emissione di alcuni provvedimenti restrittivi da parte della procura e, da ultimo, alla richiesta di rinvio a giudizio. Per la parte inerenti i "reati fine" di questa assunta associazione è stata utilizzata anche l'attività di indagine che era stata espletata dalla procura di Melfi. Mi riferisco, in particolare, alle relazioni redatte su nostro incarico dal professor Francesco Fracassi dell'università degli studi di Bari, che ha espletato due consulenze tecniche, espletate le quali da noi è stato sentito a chiarimenti per due volte».
1.2.4.2 La relazione del questore di Potenza.
Il questore di Potenza, il 2 febbraio 2012, ha trasmesso alla Commissione una relazione sugli illeciti in materia di rifiuti riscontrati nella provincia (doc 1060/01), evidenziando che il «fenomeno di una evidente infiltrazione malavitosa nel contesto della raccolta e smaltimento dei rifiuti, che in altre regioni ha allarmato le istituzioni pubbliche, non sembra essere tale anche in questa realtà geografica». Ciò grazie anche al continuo monitoraggio da parte delle unità operative specializzate in seno alla sezione criminalità organizzata della squadra mobile, unita alla irrilevante infiltrazione, nel tessuto socio culturale, di una mentalità mafiosa.
Si riporta il testo della relazione, che offre un quadro completo sulla situazione della provincia e sulle azioni di monitoraggio, prevenzione e repressione messe in atto dalle forze dell'ordine:
«La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e industriali, rappresenta, da diversi anni e in diverse realtà geografiche, un settore di particolare interesse per la criminalità organizzata, in considerazione degli elevati profitti realizzabili, a fronte di costi di "esercizio" modesti e di rischi limitati. Le carenze infrastrutturali nei servizi pubblici (smaltimento dei rifiuti, depurazione delle acque etc.) ed i possibili perversi legami tra consorterie criminali ed imprenditori senza scrupoli, rappresentano alcune delle condizioni favorevoli, per azioni di infiltrazione e di aggressione al patrimonio ambientale e naturalistico. Sulla scorta di tali considerazioni ed in aderenza alle specifiche disposizioni ministeriali, integrate anche di recente in relazione al protocollo di cooperazione ed interscambio informativo sottoscritto da codesta Commissione parlamentare d'inchiesta e la Polizia di Stato, sono attive in seno alla sezione criminalità organizzata della squadra mobile, fin dal maggio 2001, unità operative specializzate che svolgono coordinate azioni di monitoraggio e di contrasto al fenomeno delittuoso in esame.
L'attività info-investigativa condotta da tali unità (...) ha portato ad escludere la presenza di infiltrazioni da parte di organizzazioni criminali locali nello smaltimento dei rifiuti in questa provincia.
La circostanza, concreta e reale, è suffragata dalle risultanze investigative e processuali emerse nel corso delle attività di indagini condotte in questi anni sul conto delle organizzazioni criminali operanti sul territorio provinciale, significativamente disarticolate anche grazie alla collaborazione con la giustizia assunta piuttosto di recente da diversi esponenti di vertice delle stesse.
L'assenza di eventuali infiltrazioni mafiose è peraltro da escludersi anche con riferimento ad organizzazioni malavitose a carattere extraregionale, almeno per quel che riguarda il territorio della provincia di Potenza e sempre con riferimento agli anni scorsi.
Anche in questo caso, la circostanza trova sostanziale conferma negli esiti di attività di indagini condotte dalla squadra mobile, con l'ausilio della polizia provinciale di Potenza, sotto la direzione della
Nella relazione del questore è stata illustrata, seppur sinteticamente, l'indagine relativa alla vicenda «Daramic srl», società impegnata nella produzione di separatori per batterie di veicoli. In quel caso, è stata accertata la fuoriuscita, dalle linee di produzione, di quantità elevate di trielina, con conseguente inquinamento della falda acquifera sottostante. Sono state svolte indagini da parte della sezione criminalità organizzata della squadra mobile, in collaborazione con personale del Corpo forestale dello Stato di Potenza, all'esito delle quali è stata depositata una dettagliata informativa alla procura della Repubblica di Potenza. Della vicenda si è occupato anche il Ministero dell'ambiente al quale la società interessata si è autodenunciata, chiedendo interventi di bonifica nell'ambito della conferenza di servizi «decisoria» convocata ai sensi della legge 241/90 (doc. 1060/1).
1.2.4.3 Le informazioni fornite dal prefetto di Potenza.
Sul tema della criminalità è stato audito anche il prefetto di Potenza, Antonio Nunziante, in data 13 marzo 2012, nel corso della missione che la Commissione ha effettuato in Basilicata.
Il prefetto ha dichiarato che, allo stato, non vi sono infiltrazioni delle criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, seppure in passato vi sono stati tentativi di infiltrazione tempestivamente neutralizzati. Ha, comunque, precisato che sono in corso indagini su questo specifico tema sulle quali non ha potuto fornire dettagli, in quanto coperte da segreto istruttorio:
«(...) Al momento, anche se vi posso dire che sono in corso delle indagini, sembra che non vi sia una presenza della criminalità
1.2.4.4 Indagini effettuate dal Noe di Potenza.
Le principali operazioni condotte dai Carabinieri del NOE di Potenza nel settore dei rifiuti (doc 1049/2), oltre a quella già illustrata riguardante il termovalorizzatore Fenice, hanno consentito di accertare, nell'ultimo biennio, numerose fattispecie di reato.
In particolare, in Tito (PZ), in occasione del controllo effettuato sulla stazione di trasferenza dei rifiuti solidi urbani, asservita ai comuni del «bacino centro» della provincia di Potenza, si è accertato che:
1. erano stati smaltiti in discarica rifiuti contraddistinti dal C.E.R. 19.12.12, nonostante fossero privi dei requisiti per l'ammissibilità;
2. era stata effettuata un'attività di trattamento rifiuti, per mezzo del trituratore, in assenza di autorizzazione;
3. era stato realizzato un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi e non;
4. vi era stata fuoriuscita di liquido, verosimilmente «percolato», risultato contenere valori superiori a quelli di legge per alluminio, ferro, manganese, mercurio, rame, zinco, BOD e COD.
In Corleto Perticara (PZ) sono stati sequestrati i due terreni agricoli sui quali vi era un'attività non autorizzata di smaltimento di fanghi di perforazione petrolifera. Le analisi di laboratorio hanno attestato la presenza di piombo, vanadio e idrocarburi leggeri e pesanti oltre la soglia consentita (di questa indagine ha riferito anche il procuratore Colangelo, come sopra illustrato).
In Lauria (PZ), a conclusione dell'attività d'indagine avviata sul «sistema integrato di gestione dei rifiuti solidi urbani ed assimilati» in occasione di una sospetta fuoriuscita di percolato di discarica dal bacino di contenimento, è emerso che:
nella gestione dell'impianto non erano state rispettate le prescrizioni contenute nell'autorizzazione ambientale;
era stato omesso di comunicare agli enti competenti il verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito;
i lavori di realizzazione del bacino di discarica erano stati eseguiti in parziale difformità rispetto al progetto approvato ed altri reati.
Sono stati, poi, accertati diversi illeciti riguardanti il deposito incontrollato nonché l'attività non autorizzata di raccolta, trasporto e recupero di rifiuti speciali pericolosi e non, la non corretta tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti.
1.2.4.5 Indagini effettuate dal Corpo forestale dello Stato.
Secondo quanto riportato nella relazione redatta dal comandante provinciale di Potenza del Corpo forestale dello Stato (doc 1059/4) nella provincia in esame è stata riscontrata, da parte del Nipaf, l'esistenza di imprese che acquistano rifiuti ferrosi anche da soggetti non autorizzati al fine di immetterli nel settore metallurgico, avendone fatta cessare la qualifica di rifiuto:
«La provenienza sconosciuta di tale materiale ferroso, evidentemente, determina un vulnus nella sicurezza del recupero stesso, nonché un pregiudizio per il corretto e leale esercizio del commercio nel settore. Infatti, tale situazione ha certamente incrementato il numero dei produttori che non conferiscono più i propri rifiuti a ditte autorizzate e specializzate, potendo trovare sul mercato gestori occasionali che raccolgono a domicilio i rifiuti e li trasportano agli impianti di recupero anzidetti. Ciò, evidentemente, determina un vantaggio economico, in termini di diminuzione dei costi, sia per i produttori che non pagano più per disfarsi dei propri rifiuti, sia per i trasportatori abusivi, che per i destinatari finali. Il listino prezzi di tale materiale, infatti, dipende in modo considerevole dal valore iniziale di smaltimento.
In alcuni casi, i raccoglitori abusivi di rifiuti ferrosi realizzano centri di smaltimento non autorizzati, in realtà di modeste dimensioni, ovvero abbandonano i rifiuti in zone non autorizzate. In tale contesto, ed occasionalmente, si è registrato anche il traffico illecito di rifiuti
Con riferimento al traffico illecito di rifiuti ferroviari contenenti creasoto, smaltiti con vendita di materiale pulito, ma con documenti falsi, il prefetto Nunziante ha dichiarato che allo stato attuale, tali traffici, che pure ci sono stati in passato, non sembra proseguano ancora.
La relazione trasmessa dal comandante provinciale di Potenza del Corpo forestale dello Stato (doc 1059/4), conclude affermando che il contesto socio economico lucano si presta piuttosto ad inquadrare il territorio come recettore per lo smaltimento dei rifiuti, in quanto i soggetti residenti rappresentano il punto di riferimento di più ampie organizzazioni extraregionali («si è rilevata la presenza, nella zona del melfese, di imprese al recupero di rifiuti ferrosi, note per essere vicine alla criminalità organizzata campana»).
Proprio su quest'ultimo tema, in data 2 marzo 2012, è stata trasmessa alla Commissione, una relazione illustrativa redatta dal comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Potenza, Angelo Vita (doc. 1118/1 e 1118/2), nella quale vengono riferiti ulteriori dettagli relativi all'indagine svolta, risalente all'anno 2009:
«(...) Gli accertamenti hanno interessato un'azienda attiva nella zona industriale di San Nicola di Melfi dedita al recupero di rifiuti costituiti da materiale ferroso. A carico della medesima, oltre a violazioni urbanistiche legate alla costruzione dello stabilimento, furono riscontrate le violazioni di cui all'articolo 256, commi 1, 4 e 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per aver effettuato attività di recupero di rifiuti speciali pericolosi in mancanza della prescritta autorizzazione, per aver effettuato un'attività di gestione di un impianto di recupero di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da rottami ferrosi in carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni e per aver effettuavo un'attività non consentita di miscelazione di rifiuti speciali pericolosi con rifiuti speciali non pericolosi. Durante tale attività non sono emersi dati certi di collegamenti con la criminalità extraregionale, sebbene la ditta in parola avesse sede legale in San Giuseppe Vesuviano (NA) e sia l'amministratore unico che il direttore tecnico risiedevano rispettivamente nei comuni di Somma Vesuviana e San Giuseppe Vesuviano. In ogni caso, fonti confidenziali hanno riferito circa la vicinanza degli indagati alla criminalità organizzata.».
Il modus operandi è stato quello di costituire società nelle quali i poteri decisionali erano in capo a soggetti diversi da quelli apparenti. In questo caso, il gestore di fatto della società era vicino ad esponenti del «clan dei Casalesi» e già imputato in procedimenti per reati associativi e ambientali.
Ad oggi il procedimento risulta essere in carico alla procura della Repubblica di Melfi.
In data 13 marzo 2012, la Commissione ha audito il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Potenza, Angelo Vita, il
Alla domanda circa l'esistenza di qualche elemento di collegamento tra i fusti individuati nel 2008 e i fusti oggetto di recenti dichiarazioni da parte di un pentito, il comandante Vita ha risposto che, secondo quanto gli risulta, i fusti di cui si parla oggi sarebbero stati sepolti nell'area centrale della Basilicata, in Val d'Agri, a Sinni, mentre quelli del 2008 nell'area nord, quindi non vi dovrebbe essere corrispondenza.
Riguardo i reati collegati alla zona industriale della Val d'Agri e al centro Oli, il comandante Vita ha dichiarato che la maggior parte delle fattispecie rilevate hanno natura contravvenzionale, anche se la
1.2.4.6 Indagini effettuate dalla Guardia di finanza nella provincia di Potenza.
Come risulta dalla nota inviata alla Commissione il 2 febbraio 2012, dal Generale B. Gaetano Barbieri del Comando regione Basilicata
Considerazioni di sintesi.
La provincia di Potenza si caratterizza, quanto alla gestione del ciclo dei rifiuti, per la mancata attuazione, ad oggi, del nuovo piano provinciale dei rifiuti, in linea con il testo unico ambientale e con le direttive europee, atteso che l'ultimo piano approvato risale a ben dieci anni fa (2002).
Come si evince dai dati sopra riportati, lo smaltimento dei rifiuti si esaurisce nel conferimento in discarica o presso l'inceneritore La Fenice, mentre i livelli di raccolta differenziata si attestano su percentuali molto basse, circa il 16 per cento.
Il punto critico del ciclo dei rifiuti è costituito dalla carenza di un'adeguata impiantistica che consenta di produrre compost di qualità, e di riutilizzare l'umido proveniente dalla raccolta differenziata, nonché dalla difficoltà di avviare efficacemente la raccolta differenziata su un territorio poco densamente abitato.
Si deve dare atto dell'avanzamento della procedura finalizzata alla realizzazione di un impianto di compostaggio, ritenuto indispensabile per una corretta gestione del ciclo dei rifiuti.
Per ciò che concerne la città di Potenza è stata sottolineata la necessità di aprire una nuova discarica a servizio della città in località «Pallareta», con una volumetria di circa 95.000 metri cubi, ritenuta più che sufficiente per la gestione dei rifiuti nel bacino di riferimento. Ma è più che evidente come la ricerca di nuove volumetrie per discariche debba necessariamente essere accompagnata dalla previsione di una più generale programmazione, altrimenti non si farà altro che cercare nuovi siti ove allocare i rifiuti, in totale dispregio di quelle che sono le prescrizioni che provengono, prima ancora che dalla legislazione italiana, dalle norme europee.
Con specifico riferimento al tema degli illeciti ambientali consumati nella provincia, il procedimento che certamente ha più attirato l'attenzione della Commissione è quello riguardante l'inquinamento prodotto dall'inceneritore La Fenice.
Il dato che colpisce in questa vicenda attiene all'ampio periodo di tempo (dal 2001 al 2010) entro il quale si sarebbero consumate le condotte oggetto di contestazione.
Il che significa, in sostanza, che per tutti quegli anni i controlli da parte degli organi a ciò deputati o non sono stati effettuati o non ne sono stati comunicati i risultati a chi di dovere.
Più volte, nel corso delle audizioni, è stato rappresentato alla Commissione come i controlli in materia ambientale in Basilicata siano più difficili che in altre regioni in quanto la popolazione è distribuita in modo disomogeneo su un territorio certamente troppo esteso rispetto al numero di abitanti.
1.3 La provincia di Matera.
1.3.1 Il sistema di gestione dei rifiuti nella provincia di Matera.
Il sistema di gestione dei rifiuti nella provincia di Matera si basa, essenzialmente, sul conferimento in discarica. Le discariche attive per i rifiuti solidi urbani, secondo quanto comunicato alla Commissione, sono tre, mentre altre due già esistenti hanno esaurito le volumetrie disponibili. Tre sono, inoltre, le discariche per i rifiuti speciali.
Si è registrata, quindi, l'esigenza di ricavare ulteriori volumetrie nelle discariche, tenuto conto del flusso di rifiuti conferiti e del fatto che anche parte dei rifiuti prodotti nella provincia di Potenza sembrerebbe essere smaltita nella provincia di Matera.
I livelli di raccolta differenziata si attestano su percentuali bassissime.
Poiché le discariche, come è evidente, non sono «eterne» mentre il flusso di rifiuti da smaltire è continuo, si impone l'adozione di un sistema di gestione del ciclo dei rifiuti che contempli, da un lato, una minore produzione degli stessi, dall'altro, un'efficace attuazione della raccolta differenziata con il conseguente riciclo dei materiali.
Il 15 febbraio 2012 il Consiglio provinciale ha approvato il nuovo piano provinciale dei rifiuti, come si evince dal sito internet della provincia.
Gli obiettivi principali del piano sono:
massimizzare le opportunità di recupero di materia dai rifiuti, attraverso lo sviluppo della raccolta differenziata, finalizzata sia al reinserimento nei cicli produttivi di materie prime sia alla produzione di compost di qualità idoneo all'impiego agronomico (compost verde);
Tali obiettivi si intendono perseguire attraverso un sistema di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti, prima ancora del riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico.
Il piano provinciale prevede una serie di interventi volti alla massima riduzione dei flussi di rifiuti da destinarsi a discarica, in modo che tali impianti assumano un ruolo puramente residuale.
Il piano prevede, quindi, la riduzione delle piattaforme comprensoriali da otto a due, tre stazioni di trasferenza e nessun inceneritore. Sono previste, poi, sei centrali a biomasse.
Come spesso si è osservato, però, il problema non è quello di redigere un documento intitolato «piano provinciale dei rifiuti», adempimento questo certamente importante, ma meramente prodromico rispetto ad una concreta attuazione di quanto in esso prescritto, ma di attuarlo.
Si tratterà, dunque, di verificare come nel tempo la provincia riuscirà a dare concreta attuazione al piano attraverso un'oculata distribuzione delle risorse per la realizzazione degli impianti, l'incentivazione della raccolta differenziata e il riciclo.
Sia il prefetto di Matera, dottor Luigi Pizzi, che il questore di Matera, dottor Franco Stella, hanno inviato alla Commissione relazioni concernenti la situazione del ciclo dei rifiuti nella provincia (doc. 1039/1, 1039/2, 1034/1, 1181/1).
Di seguito vengono riportati i dati forniti con riferimento alle discariche, all'impiantistica e alla raccolta differenziata, temi evidentemente connessi, in quanto le problematiche attinenti al reperimento di nuove volumetrie di discarica sono inversamente proporzionali allo sviluppo impiantistico ed all'incentivazione della raccolta differenziata.
1.3.1.1 Discariche.
Secondo i dati contenuti nelle relazioni citate, risultano attive sul territorio provinciale sei discariche autorizzate contenenti rifiuti solidi urbani nei comuni di Matera, Pisticci, Colobraro, Salandra, Pomarico, Tricarico. Le prime tre sono dotate di impianto biomeccanico.
Vi sono poi altre due discariche non più attive per avere esaurito le volumetrie.
La disponibilità impiantistica complessiva, a gennaio 2012, è risultata pari a 78.500 metri cubi, ripartiti come segue:
Agli attuali ritmi di colmata, pari a circa 6.000 m3/mese, la disponibilità volumetrica complessiva è stata stimata (a gennaio 2012) in 13 mesi.
A seguito dell'ordinanza n. 7 del 23 luglio 2009 e della delibera della giunta regionale di Basilicata n. 156/2010 di ripartizione delle suddette volumetrie, nell'avvenire potranno essere disponibili ulteriori volumi per un totale di 180.000 metri cubi presso gli impianti di Pisticci, Colobraro Salandra e Tricarico.
Per assicurare ulteriori volumetrie, la regione Basilicata ha, inoltre, autorizzato - con delibera di giunta regionale n. 1987/2011 - un totale di 80.000 metri cubi ripartiti in egual misura tra l'impianto di Ferrandina e l'impianto di San Mauro Forte.
Deve tenersi presente che, nella provincia di Matera, affluiscono anche parte dei rifiuti provenienti dalla provincia di Potenza.
Sul territorio provinciale sono presenti, inoltre, discariche ove confluiscono rifiuti speciali (doc. 1039/2).
In particolare, nei comuni di Matera, Pomarico e Salandra sono presenti tre discariche contenenti, oltre che rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali non pericolosi (quelle di Pomarico e Salandra con una capacità residua rispettivamente ridotta al 13 per cento e al 5 per cento).
Nel comune di Ferrandina vi è una discarica, con capacità residua del 10 per cento, contenente rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi dove vengono smaltiti, oltre a materiale inerte proveniente da attività edile, rifiuti contenenti amianto.
Nel comune di Pisticci è presente una discarica, con capacità residua del 14 per cento, contenente rifiuti speciali pericolosi dove vengono smaltiti fanghi di perforazione.
Nel comune di Tursi è presente una discarica contenente, oltre che rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali pericolosi. Tale impianto, peraltro, non risulta attivo né bonificato (nell'anno 2009 il Corpo forestale dello Stato di Matera ha sequestrato tale discarica dopo aver riscontrato una perdita di percolato).
Vi sono, infine, quattro discariche contenenti rifiuti speciali non pericolosi nei comuni di Tricarico (isola ecologica), Calciano (isola ecologica), Aliano e Pomarico.
Il sindaco di Matera, Salvatore Aducce, ha esposto alla Commissione, nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, lo stato della discarica sita sul territorio comunale:
«Matera è una città di 61.000 abitanti, che dispone di un impianto di trattamento dei rifiuti dislocato a sei o sette chilometri dal centro abitato, vicino ad un borgo particolarmente importante, non soltanto per la città. L'impianto dista soltanto un chilometro e mezzo dal borgo La Martella, che appartiene alla storia dell'architettura italiana, essendo stato costruito nell'epoca in cui i Sassi di Matera furono avviati allo svuotamento, attraverso una legge dello Stato, nel 1952. Il borgo fu progettato nel 1951, ad opera di un grande dell'architettura, l'urbanista professor Quaroni. Nel borgo La Martella, tra l'altro, hanno operato con alcune riflessioni importanti, che sono rimaste appunto nella nostra letteratura, persone del calibro di Adriano Olivetti, che ha avuto lì una funzione e un ruolo importanti, perché lì fu costruito un borgo per i contadini che erano nei Sassi e che vennero fatti trasferire nelle abitazioni a ridosso delle terre dove lavoravano.
Importanti informazioni sono state fornite con riferimento alle modalità attuali di smaltimento del percolato prodotto dalle discariche ed agli impianti di smaltimento da realizzare a servizio delle discariche medesime:
«per realizzare un impianto di trattamento in loco del percolato, frutto di una sperimentazione e di una ricerca dell'Enea di Trisaia, dove fortunatamente non c'è solamente la storia delle problematiche che voi avete potuto rilevare. Con l'Enea stiamo per raggiungere un'intesa, perché monteremo questo impianto presso la nostra discarica, la quale nell'immediato servirà a trattare il percolato del quinto settore in esercizio, che attualmente viene trattato con le modalità ordinarie; e anche perché abbiamo all'attenzione della regione il progetto per sigillare i quattro saturi, con una risagomatura della copertura, e quindi avremo la necessità e l'onere di gestire, nel senso proprio e più alto del termine, quei quattro settori nei trent'anni prossimi.
Se riusciamo a chiudere questo accordo con l'Enea ovvero se riusciremo a far funzionare questo impianto, sperimenteremo una cosa particolarmente interessante, perché avremo a portata di mano uno strumento utile per risolvere uno dei grandi problemi delle nostre discariche, il percolato, che costituisce naturalmente un pericolo grande, ma anche un costo enorme per la collettività.
Abbiamo all'attenzione questi progetti e speriamo che tutto possa funzionare secondo i nostri programmi, potendo anche offrire un esempio di collaborazione tra un grande centro di ricerca e un'amministrazione locale, il che sarebbe una buona cosa per tutti quanti.
(...) Attualmente lo trattiamo ( il percolato prodotto dalla discarica di Matera) con il conferimento presso i centri autorizzati a trattare il
1.3.1.2 Impiantistica.
Per quanto attiene il trattamento dei rifiuti, nella provincia di Matera risultano presenti 40 impianti.
Si riporta, di seguito, lo schema tratto dalla relazione inviata dal prefetto di Matera, nel quale sono elencati gli impianti e il tipo di rifiuto trattato (doc. 1039/2):
Produzione di CDR. Sono presenti n. 2 impianti, n. 1 a Colobraro, che utilizza rifiuti solidi urbani, e n. 1 a Ferrandina, che utilizza carta e cartone.
Recupero. Sono presenti 34 impianti. Tre a Stigliano (rifiuti solidi urbani, ferro, pneumatici), due a Policoro (autoveicoli, inerti), quattro a Ferrandina (carta e vetro), uno a Salandra (carta e vetro), uno a Nova Siri (inerti), uno a Montalbano Jonico (inerti), quattro a Pisticci (inerti, percolato di discarica, oli esausti, rifiuti liquidi pericolosi), uno a Bernalda (autoveicoli), due a Montescaglioso (inerti, vetro, elettrodomestici, carta), undici a Matera (inerti, ferro, carta, cartone, ceneri leggere, legno), due a Irsina (rifiuti solidi urbani, oli esausti, catrame), due a Grassano (inerti, oli esausti).
Stoccaggio e trasporto. Sono presenti due impianti, di cui uno a Rotondella (rifiuti solidi urbani) e uno a Tricarico (amianto).
Compostaggio. È presente un impianto a Tricarico (rifiuti solidi urbani).
Termovalorizzazione. È presente un impianto presso lo stabilimento Italcementi di Matera che utilizza pneumatici per la produzione di energia.
L'impianto di trattamento e smaltimento ubicato in Valbasento gestito da Tecnoparco, società di servizi per l'intera area industriale, tratta rifiuti liquidi sia di provenienza regionale che extraregionale, non essendo gli stessi contingentati come i rifiuti solidi urbani. L'impianto, dotato di potenzialità di trattamento superiore a 1.000.000 di mc/anno, risulta approvato in procedura AIA con D.G.R. n. 1387 del 1o settembre 2010.
L'impianto di depurazione è dotato di un sistema di controllo con sensori di processo on line e di un sistema automatico di campionamento in continuo per la predisposizione di campioni medi da avviare ad analisi nei laboratori interni per il controllo degli analiti ricompresi nell'allegato 5, tab. 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
La società di gestione dell'impianto determina «preventivamente» l'accettabilità del rifiuto con analisi chimico-fisiche eseguite su ogni
Nella relazione inviata dal presidente della provincia di Matera, Franco Stella, (doc. 1181/1) si evidenzia che:
«Sul territorio della provincia di Matera risultano attivi circa 170 impianti di recupero in procedura semplificata (articolo 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006) che si occupano principalmente di rifiuti provenienti da demolizioni di manufatti edilizi e stradali, di plastiche e gomme e rottami metallici.
Risulta altresì presente un impianto di recupero materia autorizzati in procedura ordinaria, per effetto delle maggiori quantità annue rispetto ai limiti quantitativi imposti dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 per rientrare nelle procedure semplificate.
Si segnala infine la presenza sul territorio provinciale di dieci centri di rottamazione autoveicoli (previsti dal vigente piano provinciale di organizzazione e gestione dei rifiuti) autorizzati al recupero delle singole frazioni provenienti dallo smontaggio.
Da quanto riportato nel corpo della presente relazione si evince chiaramente che la dotazione impiantistica esistente è del tutto adeguata ad accogliere la produzione dei rifiuti provinciali ed a scongiurare fenomeni di abbandono degli stessi da parte dei produttori. Ciò nonostante vanno segnalati episodi di abbandono di rifiuti ad opera di ignoti, soprattutto sui margini stradali con riferimento a rifiuti ingombranti (mobili e suppellettili dimessi, RAEE, pneumatici, inerti da demolizione eccetera).
Questi fenomeni, dovuti a singoli odiosi comportamenti, sono anche frutto di mancata conoscenza degli obblighi in capo ai produttori/venditori a cui il singolo cittadino può rivolgersi. In conclusione, in attesa che si concludano le verifiche in corso, attivate dalle autorità preposte in ordine ad occultamenti di rifiuti, non si segnalano particolari criticità riconducibili a smaltimenti incontrollati di rifiuti sul territorio di questa provincia.
Un ulteriore elemento di razionalizzazione e controllo dei flussi di rifiuti prodotti localmente o di lecita provenienza extraregionale è sicuramente costituito dal nuovo atto di pianificazione e gestione di rifiuti già adottato dalla provincia di Matera ed in attesa di approvazione regionale.
Nel nuovo piano, pienamente condiviso dalle Unione locali, sono stati introdotti elementi di razionalizzazione importanti quali la riduzione degli impianti (solo due piattaforme di trattamento e smaltimento su base provinciale, stazioni di trasferenza per ottimizzare il flusso dei rifiuti, anche in ordine all'economicità del sistema, strutture locali per spingere la raccolta differenziata verso percentuali accettabili considerato il valore fissato al 65 per cento per il 2012 dalla normativa vigente)».
In merito alle problematiche attinenti alla gestione del ciclo dei rifiuti è stato audito, il 13 marzo 2012, l'assessore all'ambiente della provincia di Matera, Giovanni Bonelli, accompagnato da Eustachio Montemurro, direttore dell'ufficio ambiente della provincia di Matera.
Con riferimento al fatto che l'impianto di trattamento di rifiuti speciali liquidi, gestito dalla società Tecnoparco in Val Basento, riceva rifiuti speciali provenienti da tutte le regioni d'Italia, il direttore ufficio ambiente della provincia di Matera, Eustachio Montemurro, ha spiegato:
«Prima la zona industriale era molto popolata di industrie chimiche e quindi c'era bisogno di impianti di depurazione abbastanza grossi. Nel momento in cui c'è stata la crisi chimica e le aziende hanno chiuso, non si riusciva più a gestire l'impianto con i soli rifiuti della regione.
Un provvedimento aveva vietato le importazioni dall'esterno della regione, ma è stato poi dichiarato incostituzionale, per cui la ditta è oggi libera di accogliere rifiuti da fuori. C'è comunque la vigilanza della provincia, che controlla le quantità e la qualità della depurazione. Essendo un impianto ad hoc, lavora in una certa maniera ed è tarato per trattare grossi volumi di rifiuti liquidi».
1.3.1.3 Raccolta differenziata.
Secondo i dati forniti dal prefetto di Matera (doc. 1039/2), la percentuale di raccolta differenziata nel territorio della provincia è
1.3.2 Gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nel territorio della provincia di Matera.
In linea di massima, secondo quanto appreso dalle autorità interpellate, nella provincia di Matera (e più in generale nell'intero territorio regionale), nonostante il gran numero di reati perpetrati nel settore, non sono state registrate infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella gestione del ciclo del rifiuti.
Il territorio appare, comunque, esposto al rischio di tali infiltrazioni, come riferito dal comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, Raffaele Manicone, secondo il quale «la provincia di Matera sia per la sua particolare collocazione territoriale, sia per la particolare conformazione orografica e sia per la scarsa antropizzazione rilevabile in ampi tratti del proprio territorio, è oggetto di nuove attenzioni da parte di sodalizi criminali organizzati provenienti dalle regioni confinanti, Puglia, Calabria e soprattutto dalla Campania» (doc. 1104/2).
1.3.2.1 Le informazioni acquisite dagli uffici di procura.
Nel corso dell'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, Celestina Gravina, tenutasi in data 28 febbraio 2012, sono stati affrontati diversi temi, tutti attinenti ai dati oggetto dell'inchiesta della Commissione. Il procuratore non ha dato atto di procedimenti particolarmente importanti in materia ambientale, evidenziando come, peraltro, procedimenti attinenti al traffico illecito di rifiuti siano ormai di competenza della procure distrettuali antimafia:
«Tutti sanno che la provincia di Matera è indicata come ideale, direi la più idonea nell'ambito del territorio nazionale per ipotizzarvi l'insistenza di traffici illeciti inerente ai rifiuti. I dati sono eloquenti di per se stessi. Abbiamo un territorio molto vasto, 2446 chilometri quadrati, con una media di abitanti per chilometro quadrato di 59 abitanti su tutta la provincia, ovviamente concentrati in Matera e in alcuni altri centri. In realtà, ci sono comuni con agro estesissimo. Penso a Irsina, Craco, Pisticci, che hanno 10 abitanti per chilometro quadrato, quindi spopolati, con un assetto morfologico del territorio
Il procuratore Gravina ha, poi, riferito in merito alla vicenda, riportata da organi di stampa, relativa alla paventata pericolosità per l'ambiente dell'attività di estrazione petrolifera gestita da Total Italia SpA, in località Tempa Rossa, (con pozzi situati anche in provincia di Matera, nel comune di Gorgoglione), dichiarando:
«... abbiamo diverse segnalazioni provenienti da comitati di cittadini e da privati: pochi giorni fa ho archiviato il primo di questi procedimenti con un accertamento del NOE che escludeva qualsiasi sversamento pericoloso in ordine a certi liquidi che erano stati rilevati. Ho avuto, inoltre, assicurazioni e documenti circa un monitoraggio da parte di tutte le autorità responsabili, a livello regionale e di ASL. Ciononostante, non è emerso nessun fatto, nessun input preciso. Monta l'argomento, per i giornali locali, per i comitati. È una delle cose di cui si parla di più. Si parla, fatti nessuno. Notizie, input criminali seri, notizie "vestite" nessuna...».
In sostanza, sono stati evidenziati fenomeni diffusi di illegalità, ma non episodi di particolare allarme sociale in merito ad illeciti traffici di rifiuti.
La dottoressa Gravina ha segnalato, quali fattispecie di reato più frequentemente contestate nell'ultimo biennio, quelle relative alla realizzazione di discariche non autorizzate, all'abbandono di rifiuti speciali pericolosi, alla non corretta gestione dei rifiuti e degli imballaggi, alla mancata bonifica dei siti inquinati.
Un dato rilevante è che nel periodo di 1o gennaio 2010 - 30 gennaio 2012 non vi sono state - da parte della procura - richieste di misure cautelari personali (doc. 1041/1).
Tuttavia, dai documenti trasmessi dalla dottoressa Gravina si evince che, in numerosi casi, sono state richieste ed applicate misure cautelari reali (doc. 1041/2).
A testimonianza di quanto il procuratore Gravina ha esposto nel corso dell'audizione, vi sono i documenti relativi ai processi avviati con l'esercizio dell'azione penale in materia ambientale.
Ed infatti, dall'esame della documentazione trasmessa (doc 1041/3), si ricava l'esistenza di un gran numero di procedimenti penali, tutti, però, sostanzialmente attinenti ad episodi singoli, non riconducibili a più ampie strategie criminali in materia ambientale.
Il procuratore della Repubblica di Lagonegro, dottor Vittorio Russo, audito dalla Commissione in data 13 marzo 2012, ha riferito
1.3.2.2 Attività svolta dal NOE e dal Comando provinciale dei Carabinieri di Matera.
In data 13 marzo 2012 è stato audito dalla Commissione Luigi Vaglio, comandante del NOE di Potenza.
«Le indagini condotte dal NOE alle dipendenze delle procure territorialmente competenti, ad oggi - lo sottolineo, ad oggi - non hanno palesato coinvolgimenti della criminalità organizzata in reati che riguardano il ciclo dei rifiuti. Deve però essere chiaro anche che negli ultimi anni noi abbiamo avuto diversi episodi che hanno segnalato tale presenza e attenzione. Parlo, per esempio, dei fanghi di cartiera e dei fanghi di primo lavaggio dell'industria conserviera campana, smaltiti illecitamente in Agro di Tursi, in provincia di Matera. Mi riferisco anche - non volevo citarlo, ma mi sembra opportuno farlo - ai famosi fusti trovati alcuni anni fa, sempre in provincia di Matera. O ancora a un'indagine dei colleghi del NOE di Catanzaro e della procura di Lamezia Terme che è arrivata a misure cautelari - non entro nel merito perché non l'ho condotta io - e ha evidenziato che proprio a Potenza c'era uno dei siti finali per rifiuti ferrosi per cui è stato ipotizzato il delitto di cui all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Devo anche dire che quelle indagini non hanno palesato un coinvolgimento diretto dell'impianto potentino nel suddetto delitto. Un dato di fatto è però che quei rifiuti ferrosi, provenienti dalla Calabria, e per cui è stato appunto configurato il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, avessero come punto di smaltimento finale questo impianto di Potenza (... )».
In risposta alla richiesta di informazioni in merito all'esistenza di indagini relative a irregolarità negli appalti per il conferimento di incarichi per la gestione degli impianti, il comandante Vaglio ha dichiarato:
«Abbiamo fatto un'attività che aveva come oggetto la gestione dei rifiuti solidi urbani (rifiuti solidi urbani) nella città di Matera. Devo dire, per precisione, che quell'attività è stata condotta insieme al nucleo investigativo del comando provinciale di Matera: noi abbiamo seguito per lo più l'aspetto ambientale, mentre loro si sono occupati degli appalti e degli affidamenti dei lavori. Con quest'indagine noi abbiamo riscontrato delle irregolarità anche abbastanza consistenti, dal punto di vista ambientale, che ci hanno portato poi a dover sequestrare la discarica comunale della città di Matera, per impedire che il reato fosse portato a ulteriori conseguenze, dato che vi venivano smaltiti degli rifiuti solidi urbani in volumetrie eccedenti le quantità autorizzate. Naturalmente questo comportava non solo una violazione dal punto di vista autorizzativo, ma anche il fatto che, non essendo la discarica stata pensata e adeguata a sopportare quelle volumetrie residue, esse si ergevano ormai in altezza, anche portando un po' fuori controllo la produzione di percolato eccetera.
Tornando alla sua domanda, la nostra indagine del NOE di Potenza non ha palesato infrazioni penalmente rilevanti, dal punto di vista degli appalti legati alla gestione dei rifiuti».
Importanti dichiarazioni sono state, poi, rese dall'audito in merito allo smaltimento illecito dei fanghi di perforazione per le attività petrolifere. Tuttavia, essendo ancora in corso le indagini, tali dichiarazioni sono state segretate.
Riguardo l'attività svolta dai Carabinieri del NOE di Potenza nel territorio della provincia di Matera, è stata trasmessa alla Commissione una nota contenente le principali operazioni di servizio condotte nell'ultimo biennio nello specifico settore dei rifiuti (doc 1049/2).
Dalla stessa si evince che sono state accertate fattispecie di reato legate alla fuoriuscita di percolato dalla discarica comunale di Ferrandina sita in località Casaleni (con conseguente sequestro preventivo dell'impianto), alla non corretta gestione del centro di raccolta rifiuti solidi urbani di Grassano, alla mancata realizzazione delle opere di chiusura dell'impianto per rifiuti solidi urbani di San Mauro Forte. In questa ultima indagine si è accertato che, nonostante l'impianto di smaltimento fosse chiuso per colmatura dal maggio 2009, avendo esaurito la capacità recettiva massima, non erano mai state realizzate le opere di chiusura definitiva della discarica e conseguentemente avviata la fase di «post-gestione», in violazione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione. È stata accertata la fuoriuscita di percolato dal bacino di discarica e per tale motivo sono state avviate le procedure per i siti potenzialmente contaminati.
Un'importante indagine è stata svolta in relazione al sito di bonifica di interesse nazionale «Valbasento», in Pisticci: è stata sequestrata l'intera area di cantiere (26 ettari) per i lavori di trasformazione in aeroporto civile dell'aviosuperficie «E. Mattei»,
Riguardo questa specifica indagine, deve darsi conto che il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, dottoressa Celestina Gravina, nel corso dell'audizione del 28 febbraio 2012, ha dichiarato che le analisi svolte successivamente sul terreno sequestrato hanno dato esiti negativi. È stata, pertanto, chiesta l'archiviazione del procedimento e disposto il dissequestro dell'area.
L'attività investigativa e giudiziaria svolta dal Comando provinciale dei Carabinieri di Matera nell'ambito delle operazioni di controllo del territorio per la prevenzione e la repressione delle violazioni in materia ambientale è stata sinteticamente riportata nella relazione trasmessa alla Commissione dal prefetto di Matera (doc. 1039/2):
«Nel 1994 fu condotta una attività investigativa circa la gestione e lo stoccaggio di cospicui quantitativi di rifiuti e materiali nucleari provenienti dal centro ricerche Enea di Rotondella, che ospita a sua volta l'impianto Itrec (impianto di trattamento e rifabbricazione elementi di combustibile) che custodisce 84 elementi di combustibile uranio-torio irraggiato, proveniente dal reattore sperimentale Elk River sito negli Stati Uniti d'America. Il procedimento penale avviato nel confronti dei direttori del centro avvicendatisi nella titolarità della licenza d'esercizio dell'impianto, che erano accusati di aver effettuato lo smaltimento di rifiuti radioattivi non pertinenti all'esercizio dell'impianto ed alla ordinaria attività del centro, si concluse con sentenza di assoluzione.
Nel 2003, in Marconia di Pisticci, località Lavandaio, su un terreno comunale di circa 700 mq., già sottoposto a sequestro perché adibito a discarica non autorizzata, sono stati rinvenuti, a due metri dal sottosuolo, numerosi fusti metallici contenenti scarti industriali e varie sostanze pericolose, presumibilmente scaricate nei primi anni Novanta. Detti fusti, in totale 127, sono stati successivamente smaltiti presso l'inceneritore "La Fenice" di Melfi ed il sito è stato bonificato.
1.3.2.3 Attività svolta dal Corpo forestale dello Stato, Comando provinciale di Matera.
Con nota del 26 gennaio 2012, il Corpo forestale dello Stato, Comando provinciale di Matera (doc. 1059/3) ha trasmesso alla Commissione un rapporto concernente le irregolarità riscontrate nel corso dei controlli aventi ad oggetto le discariche e gli impianti di trattamento.
In particolare, risultano essere state rilevate 18 discariche abusive, la maggior parte delle quali costituite da rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali non pericolosi (materiali provenienti da attività edili, parti di elettrodomestici, ecc.). In quattro situazioni si sono rilevati anche rifiuti pericolosi quali amianto e pneumatici. In dieci casi sono stati individuati i responsabili che sono stati deferiti all'autorità giudiziaria.
Nella nota suindicata viene evidenziata, altresì, l'esistenza di discariche esaurite nella vigenza della precedente normativa in base alla quale era previsto solo il tombamento del sito (dunque una mera copertura dei rifiuti con uno strato di terreno) e non una vera e propria bonifica, secondo le moderne tecniche di messa in sicurezza.
Tali situazioni, secondo quanto si legge nella nota, costituiscono un potenziale pericolo di inquinamento della falda acquifera per perdita di percolato, come avvenuto nel comune di Tursi nell'anno 2009.
In via più generale, gli illeciti più frequentemente rilevati negli ultimi anni dal Corpo forestale dello Stato nella provincia di Matera riguardano semplici abbandoni sul terreno di rifiuti (non riconducibili per dimensione e gestione nella definizione di discarica), a volte anche pericolosi, ma non collegabili a sodalizi criminali. Tali fenomeni si registrano, peraltro, in numero rilevantissimo soprattutto nei pressi delle aree artigianali ed industriali del comune di Matera e della Valbasento così come sui bordi delle strade delle aree interne della
1.3.2.4 Attività svolta dal Comando provinciale della Guardia di finanza di Matera.
Infine, sempre nell'ambito delle operazioni di controllo del territorio per la prevenzione e la repressione delle violazioni in materia ambientale, si riporta la sintesi dell'attività svolta dal Comando provinciale della Guardia di finanza, raccolta nella relazione, già richiamata, del prefetto di Matera (doc. 1039/2) nonché nella nota inviata dal comandante regionale della Guardia di finanza della Basilicata (doc. 1040/1):
«In data 18 febbraio 2010: sequestro penale di un'area di mq. 137.000 in agro di Pisticci, caratterizzata dalla presenza di più opifici con copertura in fibrocemento d'amianto per complessivi mq. 9.000, con denuncia alla locale autorità giudiziaria di un responsabile per violazione agli articoli 192, commi 1 e 2, 255, comma 3, 245 e 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e articolo 677 del codice penale; la proprietà del sito ha attivato la procedura per l'individuazione di una ditta specializzata per effettuare la bonifica dei luoghi.
In data 22 febbraio 2010: sequestro penale di un ex capannone industriale nelle immediate adiacenze di civili abitazioni a Ferrandina, con tetto in fibrocemento d'amianto per mq, 1.200. Denuncia alla locale autorità giudiziaria di sei responsabili per violazione agli articoli 192, commi 1 e 2, 255, comma 3, 245 e 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e articoli 674 e 677 del codice penale. La proprietà del sito, avvalendosi di una ditta specializzata, ha provveduto ad effettuare la bonifica del luoghi in data 31 maggio 2010.
In data 14 giugno 2011: sequestro penale di un'area di mq. 9.505, in agro di Montescaglioso, caratterizzata dalla presenza di un capannone industriale con copertura in fibrocemento d'amianto avente un estensione di mq. 2.015. Denuncia alla locale autorità giudiziaria di un responsabile per violazione agli articoli 192, comma 1 e 256,
1.3.2.5 Questioni attinenti alle infiltrazioni della criminalità organizzata.
Le dichiarazioni acquisite in merito ad episodi di infiltrazione della criminalità organizzata nel territorio della provincia dal procuratore di Matera danno conto, da un lato, dell'utilizzo, a partire dagli anni novanta, del territorio per il tombamento di rifiuti pericolosi, dall'altro dell'assenza di indagini significative sul punto.
Sebbene non siano riconoscibili sul territorio materano associazioni criminali di stampo mafioso, o comunque non siano emerse a livello investigativo e/o processuale, tuttavia certamente possono rinvenirsi strutture organizzate per il traffico illecito dei rifiuti con le caratteristiche previste dalla fattispecie di reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Le evidenze investigative non si riscontrano, tuttavia, presso la procura della Repubblica di Matera, in quanto la competenza per lo svolgimento delle indagini in materia di traffico illecito organizzato di rifiuti spetta alla procura della Repubblica distrettuale di Potenza.
Queste le dichiarazioni del procuratore:
«Nel nostro territorio sono stati rinvenuti rifiuti tombati, fusti, morchie, vernici. Sono tutte vicende che risalgono almeno alla prima metà degli anni Novanta, sebbene alcuni dei ritrovamenti e degli scavi siano stati esauriti negli anni 2000. La nostra regione ha avuto anche quella vicenda di accertamenti, approfondimenti sull'ipotesi dello smaltimento illecito di scorie radioattive, per esempio, gestita sempre dalla direzione distrettuale antimafia di Potenza, non da Matera, ancorché il territorio fosse quello materano, che mi risulta essersi esaurita con un'archiviazione pochi mesi fa. Questo era quello che intendevo riferendomi a esiti non positivi di attività di indagine anche molto lunghe. Riguardo all'esistenza di strutture di criminalità organizzata in Basilicata - premesso che non vengono alla mia attenzione
Va segnalato che, secondo quanto riferito dal questore di Matera, con nota trasmessa a questa Commissione in data 15 febbraio 2012 (doc 1063/1), tutte le indagini svolte dalla Squadra Mobile, delegate dalla direzione distrettuale antimafia di Potenza, tese ad accertare la veridicità di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia riguardo
Va sottolineata l'importanza di effettuare dette indagini geofisiche prima di realizzare qualsiasi operazione di scavo che potrebbe contaminare l'area rendendola inaccessibile ad operatori e strumentazioni.
Inoltre l'esecuzione di indagini geofisiche di dettaglio permette di stimare le profondità reali degli oggetti sepolti e definire un protocollo da seguirsi per le operazioni di scavo».
Il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, dottor Raffaele Manicone, è stato audito dalla Commissione il 28 febbraio 2012. In tale occasione, con specifico riferimento ai fenomeni di tombamento di rifiuti tossico-nocivi e, più in generale, all'esistenza di gruppi criminali di stampo mafioso operanti nel settore dei rifiuti, ha dichiarato:
«al netto delle vicende note avvenute intorno alla metà degli anni Ottanta fino a tutta la metà degli anni Novanta, che hanno determinato sicuramente dei fenomeni di tombamento di rifiuti tossico-nocivi, recentemente non si sono più verificate situazioni particolarmente gravi. (...) Nel tempo, infatti, abbiamo cercato e trovato i rifiuti dei quali conoscevamo l'esistenza, come i famosi fusti di morchie di verniciatura presso il Fosso Lavandaio di Pisticci, i 270 big bag nello zuccherificio abbandonato di Policoro e altri sotterramenti durante la fase delle indagini per i pozzi di reiniezione dell'AGIP anche abbastanza complessi. Al netto, però, di queste situazioni, non abbiamo più riscontrato attività criminose collegabili ad associazioni mafiose. Come ricordava il procuratore, in questo momento in Basilicata ci sono numerose discariche autorizzate, che però, purtroppo, sono in fase di esaurimento (...); quest'accelerazione nell'esaurimento delle discariche è collegata, probabilmente, anche al ritardo della Basilicata riguardo alla raccolta differenziata (...) Essendoci una bassa percentuale di raccolta differenziata, è chiaro che c'è tutto questo indifferenziato che arriva presso le discariche, che quindi si colmano in pochissimo tempo. Soprattutto nella zona della Valle del Basento, in alcune zone abbastanza inaccessibili, ci sono alcune discariche che accettano rifiuti tossico-nocivi. Essenzialmente, abbiamo una discarica che accetta amianto, una che accetta, oltre all'amianto, anche residui di verniciatura, morchie e così via, costantemente monitorate dalle forze di polizia presenti sul territorio. Chiaramente, questo non significa che non possano esserci ancora attività di tombamento. Non possiamo escluderlo data la conformazione del territorio, la difficoltà di raggiungere le diverse zone e la difficoltà di controllo. Per quello che ci riguarda, l'attività di monitoraggio del territorio è costante. Cerchiamo di mantenerla sempre alta. Abbiamo avuto degli ottimi risultati in passato con dei piccoli elicotteri, ai quali sono collegati dei rilevatori all'infrarosso fotografico, non all'infrarosso termico. Non si vede la differenza di temperatura, ma è possibile notare proprio se ci sono stati movimenti del terreno. Avere la possibilità di utilizzare questi tipi di strumenti sicuramente potrebbe essere un aiuto riguardo al discorso dei tombamenti. (...)».
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lagonegro ha concluso, in merito all'esistenza nel territorio di fenomeni di infiltrazione da parte della criminalità organizzata (con particolare riferimento all'attività di interramenti di rifiuti), nei seguenti termini:
«Posso dire che al momento non ho potuto verificare qualcosa del genere. Aggiungo anche che l'indagine su Castrocucco, sull'impianto di Tortora di cui parlavo, si è conclusa con misure cautelari ma anche
Le dichiarazioni rese dai procuratori della Repubblica di Matera e di Lagonegro in merito al fatto che nel settore ambientale non sia emersa la presenza di gruppi criminali organizzati e alla necessità, comunque, di presidiare attentamente il territorio, risultano confermate da quelle rese dal prefetto e dal presidente della provincia di Matera.
Il prefetto ha, infatti, dichiarato: «non sono al momento emerse infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nel ciclo del rifiuti di questa provincia. Al riguardo, poiché il territorio risulta, per la stessa conformazione e per la scarsa antropizzazione, difficilmente presidiabile e tenuto conto della presenza di sodalizi criminali nelle limitrofe Regioni di Puglia e Calabria non può escludersi che l'attenzione di organizzazioni criminali possa rivolgersi anche a questo territorio. Per quanto sopra, le forze di polizia assicurano una continua attività di controllo diretta a prevenire ogni possibile ingerenza della criminalità nella gestione dell'ambiente in questa provincia» (doc. 1039/2).
Dello stesso tenore sono le affermazioni del presidente della provincia di Matera, Franco Stella, contenute nella nota trasmessa alla Commissione del 26 gennaio 2012 (doc. 1034/1) nella quale afferma sinteticamente che in detta provincia «Non sono state rilevate attività illecite che possano essere riconducibili alla criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti».
1.3.3 Il centro Ricerche Enea Trisaia.
1.3.3.1 L'impianto Itrec di Rotondella.
L'impianto Itrec è situato nel centro ricerche Enea della Trisaia, nel comune di Rotondella (MT), sulla costa ionica della Basilicata. L'impianto venne costruito alla fine degli anni '60 nell'ambito di un accordo di cooperazione tra il CNEN (che nel 1982 assumerà la denominazione di Enea) e l'americana Atomic Energy Commission, l'ente che, analogamente al CNEN in Italia, svolgeva allora negli Stati Uniti le funzioni di ricerca, promozione e controllo dell'energia nucleare. L'accordo aveva per oggetto gli studi sul ciclo uranio-torio, alternativo al ciclo uranio-plutonio che è quello utilizzato in tutte le centrali nucleari esistenti. Negli Stati Uniti era allora in esercizio il reattore di Elk River, l'unico che abbia mai utilizzato combustibile del ciclo uranio-torio, e l'impianto Itrec era stato studiato e realizzato per riprocessare quel tipo di combustibile (cioè per estrarre dal combustibile irraggiato l'uranio e il torio ancora utilizzabili, separandoli dai prodotti di fissione che costituiscono i rifiuti radioattivi ad alta attività) e per rifabbricare con le materie estratte nuovo combustibile fresco. Da queste funzioni deriva la denominazione dell'impianto, acronimo di impianto per il trattamento e la rifabbricazione di elementi di combustibile.
1.3.3.1.1 Le attività.
Sino al 2003 l'impianto Itrec, come gli altri impianti dell'Enea, è stato gestito dall'Enea stesso. L'ente, dopo la chiusura, non aveva prodotto un preciso programma per il suo decommissioning e l'attività svolta è consistita essenzialmente nel condizionamento dei rifiuti radioattivi liquidi tramite cementazione, prima, tra il 1995 e il 1997, di quelli a bassa attività, successivamente, nel periodo 1999-2000, di quelli ad alta attività.
Queste operazioni hanno portato alla produzione di 433 fusti di rifiuti per il condizionamento dei liquidi a bassa attività, e 307 fusti per il condizionamento di quelli ad alta attività, oltre a 30 fusti di rifiuti dal condizionamento dei liquidi di lavaggio.
Negli stessi anni vennero effettuate operazioni di «supercompattazione» (riduzione di volume tramite pressatura) di rifiuti solidi a bassa attività, che hanno portato alla produzione di 841 manufatti (detti over-pack).
È stato inoltre necessario effettuare operazioni di bonifica a seguito di perdite di liquidi debolmente radioattivi che si erano verificate nel 1993 all'esterno dell'impianto a causa di rotture di tubazioni della condotta di scarico a mare, nonché gestire un versamento di rifiuti liquidi all'interno dell'impianto, causato dalla rottura di uno dei serbatoi ove i rifiuti erano stoccati. Questi eventi sono stati oggetto di un procedimento penale sul quale si tornerà nel seguito.
Dall'agosto 2003 la gestione dell'impianto è passata alla Sogin. Da allora le attività prevalenti hanno riguardato la sistemazione generale del sito e la prosecuzione della gestione dei rifiuti radioattivi, in particolare per quanto attiene a quelli solidi conservati, insieme a materiali contaminati di vario tipo, in alcuni container collocati in un'area del sito stesso.
1.3.3.1.2 I programmi.
Propedeutiche allo smantellamento dell'impianto Itrec sono principalmente due operazioni: la sistemazione del combustibile, oggi ospitato nella piscina dell'impianto stesso, e la solidificazione dei 2,7 m3 di soluzione uranio-torio, il prodotto finito frutto del riprocessamento dei venti elementi di combustibile effettuato durante la fase di prove nucleari.
Per quanto attiene al combustibile, si tratta dei 64 elementi Elk River rimasti degli 84 originariamente ricevuti dagli Stati Uniti, per un quantitativo di 1,7 tonnellate circa.
Come è noto, per tutto il combustibile irraggiato ancora presente in altri impianti italiani (le centrali di Trino e di Caorso e il deposito Avogadro) la Sogin ha stipulato nel 2007 un accordo con la società francese AREVA per il suo riprocessamento presso gli impianti di La Hague, in Normandia, dove la gran parte è stata già spedita e dove dovrebbero essere inviati a breve anche i quantitativi residui stoccati nella piscina di Trino e nel deposito Avogadro, pur se le ultime spedizioni stanno subendo ritardi e non appaiono ancora chiaramente riprogrammabili. Il combustibile di Itrec, invece, proprio per la sua natura di combustibile del ciclo uranio-torio, non può essere riprocessato in un normale impianto di riprocessamento, come quello della stessa AREVA o quelli inglesi di Sellafield, destinati a trattare combustibile del ciclo uranio-plutonio, ma avrebbe potuto essere
1.3.3.1.3 Procedimenti giudiziari.
Il centro della Trisaia e l'impianto Itrec sono stati a lungo, e continuano ad essere, oggetto di voci che li hanno posti in relazione a traffici internazionali di materie fissili e di rifiuti radioattivi. Ad alimentare quelle voci, fondate o infondate che siano, ha probabilmente contribuito il fatto che, nell'ambito di un accordo bilaterale di collaborazione stabilito nel 1978 tra l'Enea (allora CNEN) e l'omologo ente dell'Iraq, in quel periodo il centro era stato frequentato da tecnici iracheni. Nello stesso periodo erano stati peraltro stipulati contratti da parte di industrie italiane per la fornitura all'Iraq di apparecchiature del ciclo del combustibile nucleare.
Quella possibile relazione con traffici internazionali è stata oggetto di indagini da parte della magistratura, delle quale si parlerà in modo approfondito nel prosieguo della relazione.
Altre indagini e procedimenti giudiziari hanno riguardato fatti certi, per la verifica della loro eventuale rilevanza penale.
Un primo procedimento, che risale all'inizio degli anni '80, riguardò la presenza rilevata nel centro della Trisaia di alcuni fusti di rifiuti radioattivi di origine ospedaliera e di parti di parafulmini radioattivi rimossi, materiale che non rientrava tra quelli che l'impianto Itrec era autorizzato a detenere. Il processo presso la pretura di Matera, a carico del direttore dell'impianto dell'epoca in cui i rifiuti erano stati ricevuti nell'impianto stesso, si concluse con la sua assoluzione.
Nel secondo procedimento, a carico di cinque imputati, tra direttori del dipartimento Enea da cui Itrec dipendeva, direttore del centro Trisaia e direttore dell'impianto (le due figure erano state già da qualche tempo distinte), le contestazioni hanno riguardato:
lo smaltimento non autorizzato di rifiuti ospedalieri (probabilmente quelli già oggetto del primo procedimento);
la perdita di liquidi radioattivi dalla condotta degli scarichi a mare e dal serbatoio rifiuti liquidi, delle quali si è detto sopra;
la mancata ottemperanza alle prescrizioni concernenti il condizionamento dei rifiuti liquidi e al pericolo di gravi eventi di inquinamento ambientale che da tale inottemperanza sarebbero potuti derivare.
La vicenda processuale, apertasi di fronte al pretore di Rotondella nel 1998, si concluse, a seguito di rinvio da parte della Cassazione, con una sentenza della Corte di appello di Salerno, depositata nell'anno 2001. Tra assoluzioni e accertamento di decorrenza di termini di prescrizione, vi fu un'unica condanna, a quindici giorni di arresto, a carico del direttore di impianto, per la mancata ottemperanza alla prescrizione relativa al condizionamento dei rifiuti radioattivi liquidi.
Tale prescrizione, impartita nel 1975, al tempo delle prove nucleari, richiedeva che, entro il termine di cinque anni, venisse realizzato un sistema per la solidificazione dei rifiuti liquidi ad alta attività che le prove nucleari stesse avrebbero prodotto. Il termine di tale prescrizione venne prorogato due volte, la prima di un ulteriore quinquennio, la seconda di dieci anni, facendo così giungere la scadenza al 1995. A quella data, sull'impianto non vi era ancora un sistema come quello richiesto dalla prescrizione che fosse comunque pronto per operare, ma vi era un sistema di condizionamento dei rifiuti liquidi a bassa attività che, con alcuni successivi adattamenti, fu ritenuto idoneo anche per l'alta attività e che fu poi utilizzato per effettuare le operazioni, come già detto, nel periodo 1999-2000.
1.3.3.2 Il monitoraggio sulla radioattività.
In risposta alle richieste di informazioni inoltrate dalla Commissione, il direttore dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente di Basilicata, ingegner Raffaele Vita, ha trasmesso, il 7 dicembre 2011, la relazione dell'ufficio CRR dell'Arpab, a firma della dirigente, dottoressa Carmela Fortunato (doc. 974/1, 1061/1 e 1062/2).
Secondo quanto si legge nella relazione, nell'anno 2006 è stato istituito presso il dipartimento provinciale Arpab di Matera il laboratorio CRR (centro regionale radioattività) che svolge un «controllo/monitoraggio della radioattività ambientale sul territorio regionale ed in particolare nella zona interessata dalla presenza dell'Itrec di Trisaia-Rotondella, con un piano di campionamento e analisi delle matrici ambientali ed alimentari più rappresentative ai fini del controllo dell'andamento spaziale e temporale della radioattività e dell'impatto dell'Itrec sull'ambiente».
È stato poi riferito che - sulla base del protocollo operativo sottoscritto, nel giugno 2006, tra APAT (ora Ispra, già organo di vigilanza sugli impianti nucleari, ai sensi del decreto legislativo n. 230 del 1995) ed Arpab - sono stati effettuati campionamenti all'interno del centro Itrec (con relative analisi presso i laboratori del CRR), in particolare su campioni connessi a lavori straordinari eseguiti da SOGIN e sugli effluenti liquidi radioattivi contenuti nelle vasche di raccolta dell'impianto e predisposti per lo scarico a mare.
Con delibera del 19 settembre 2008, la direzione Arpab «ha approvato soltanto parzialmente il suddetto programma di monitoraggio, in particolare ha approvato i campionamenti e le analisi di matrici prelevate all'esterno dell'impianto Itrec, prevedendo la disponibilità dell'agenzia ad analizzare eventuali campioni prelevati da SOGIN all'interno dell'Itrec (effluenti liquidi, effluenti aeriformi e altre matrici interessate da eventuali lavori straordinari) e consegnati
Dalla relazione risulta che l'attività di monitoraggio svolta dal CRR prosegue nei seguenti termini:
«Attualmente il CRR di questa agenzia, oltre a continuare l'attuazione del programma di monitoraggio »esterno« con campionamenti periodici e analisi delle matrici ambientali più rappresentative, di matrici marine prelevate tramite sommozzatore convenzionato con Arpab e di matrici alimentari prodotte in zona (prelevate e consegnate dai vigili sanitari della AUSL territorialmente competente), ha recentemente riavviato la collaborazione con Ispra per le analisi sui campioni di effluenti liquidi prelevati all'interno dell'impianto - prima dello scarico a mare - e si sta procedendo all'aggiornamento del protocollo operativo Ispra-Arpab con un atto di convenzione concordata».
Un'ulteriore attività del CRR, di cui si dà conto nella relazione, è stata quella di fornire un supporto tecnico nell'ambito di indagini
1.3.3.3 L'indagine sul presunto traffico di rifiuti radioattivi.
La direzione distrettuale antimafia presso il tribunale di Potenza si è occupata del presunto traffico di rifiuti tossici provenienti dal centro Itrec di Rotondella, con una lunga indagine nata dalle dichiarazioni di Francesco Fonti e conclusasi, il 19 maggio 2009, con una richiesta di archiviazione, accolta dal Gip in data 24 dicembre 2009 (procedimento penale n. 1180/99/21 RGNR-DDA).
L'indagine, secondo quanto dichiarato dal titolare dell'inchiesta, sostituto procuratore Francesco Basentini, era finalizzata alla verifica di possibili coinvolgimenti di strutture statali o para statali nel presunto traffico di rifiuti tossici all'interno del centro Itrec nonché ad accertare l'esistenza di eventuali legami di cointeressenza con nuclei di criminalità organizzata operanti sul territorio o nelle regioni limitrofe.
Le indagini relative alla gestione dei rifiuti presso il centro Enea di Rotondella furono avviate dal dottor Pace, allorquando era in servizio presso la procura della Repubblica di Matera nei primi anni 90.
Il dottor Pace, a un certo punto dell'inchiesta, si coordinò a livello investigativo con il dottor Neri, sostituto procuratore in servizio presso la procura circondariale di Reggio Calabria, il quale aveva aperto un fascicolo processuale a seguito di una denuncia presentata da Legambiente, relativa a presunti interramenti di materiale radioattivo in Aspromonte.
Le indagini coordinate riguardavano il traffico di rifiuti radioattivi e l'affondamento in mare di navi con carichi contenenti rifiuti radioattivi o comunque tossici.
In merito a tale indagine il dottor Pace è stato sentito sia dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall'On. Russo (in data 10 marzo 2005) sia dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (audizione segretata).
Nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall'On. Russo, il dottor Pace ha, in sintesi, dichiarato quanto segue:
di avere svolto unitamente al dottor Neri indagini in merito all'ipotesi di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi;
di essersi occupato presso la procura di Matera di indagini relative al centro Enea di Rotondella, ove era stata riscontrata una situazione di grave pericolo, in quanto giacevano rifiuti radioattivi liquidi ad alta attività all'interno di contenitori che già all'epoca avevano esaurito il tempo massimo previsto dal progetto;
l'anomalia dell'Enea era relativa alla mancanza di controlli esterni. La tenuta di materiali pericolosi all'interno di contenitori
Il dottor Pace è stato sentito anche da questa Commissione in data 20 gennaio 2009 e sostanzialmente ha confermato le stesse dichiarazioni precedentemente rese innanzi alle altre commissioni.
In particolare, ha confermato che non vi era alcuna regolarità nella tenuta dei registri per quel che riguardava il materiale in entrata ed in uscita dal centro e che il sistema dei controlli non poteva funzionare in quanto non c'erano controlli esterni.
Il fascicolo aperto a Matera dal dottor Pace, relativo al centro Enea di Rotondella-Trisaia, è stato poi trasmesso per competenza alla procura della Repubblica di Potenza, essendo stata rilevata la competenza della procura distrettuale antimafia. Le indagini furono seguite dapprima dalla dottoressa Felicia Genovese e, poi, dal dottor Basentini.
La dottoressa Genovese è stata sentita da questa Commissione il 21 ottobre 2009 (ma era stata già sentita dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel mese di gennaio 2005).
L'indagine dalla stessa condotta era costituita, innanzi tutto, dagli atti già raccolti dal dottor Pace. In più la dottoressa Genovese fece espletare una consulenza tecnica in merito al centro Enea di Rotondella, dalla quale risultò che si erano verificate delle irregolarità nella gestione del centro, in particolare:
venne rilevata la presenza di plutonio, mentre l'attività autorizzata in quel sito era relativa a lavorazioni di torio ed uranio naturale (La presenza di plutonio era da ricollegarsi alla irregolare attività di riprocessamento di materiale radioattivo, pare avvenuto anche con riferimento ad 84 barre di Elk River, provenienti dagli Stati Uniti);
venne accertata la mancanza di controlli presso il centro («il dato sicuro che è emerso è che vi era una situazione di difficile comprensione. Sembrava infatti che in un centro Enea, in cui si trattava materiale pericoloso, non ci fossero controlli; che ci fossero contrasti tra la vigilanza e la dirigenza e che non si capisse bene quanto materiale era entrato e quanto materiale era uscito» - dichiarazioni testuali rese dalla dottoressa Genovese);
la contabilità non era tenuta in modo regolare, e quindi non si poteva accertare quanto materiale fosse entrato e quanto materiale fosse uscito dal centro (questo dato fu rilevato con certezza dalla consulenza tecnica espletata).
Con riferimento alle dichiarazioni del pentito Francesco Fonti, sono stati acquisiti parziali riscontri solo in relazione al movimento anomalo di camion presso il centro, ma, come precisato dalla dottoressa Genovese più volte nel corso dell'audizione, si è trattato di un riscontro solo a livello dichiarativo.
Deve, infatti, evidenziarsi che la riapertura del procedimento penale relativo al presunto smaltimento illecito di rifiuti radioattivi
1.3.3.3.1 L'archiviazione del procedimento.
In data 29 maggio 2009 il dottor Basentini ha depositato una richiesta di archiviazione in merito al procedimento summenzionato, esaminando separatamente la vicenda relativa al presunto interramento di rifiuti radioattivi in Basilicata rispetto a quella concernente il traffico di rifiuti radioattivi in Africa.
I passaggi fondamentali della richiesta di archiviazione, con riferimento al primo aspetto, possono essere così riassunti:
le ispezioni dei luoghi avviate a seguito delle dichiarazioni di Fonti Francesco (che aveva individuato il sito di stoccaggio dei fusti contenenti rifiuti radioattivi in una località a ridosso della Basentana 407, a cavallo tra i comuni di Pisticci, Bernalda e Craco) non hanno sortito esito positivo, né Fonti ha prodotto le mappe cui aveva fatto riferimento nel corso di alcuni interrogatori e che, a suo dire, avrebbero contenuto le indicazioni precise della località ove sarebbero stati interrati i fusti in questione;
presso centro il centro ENEA di Rotondella erano state depositate, tra la fine degli anni 60 e l'inizio degli anni 70, diverse decine di barre di uranio provenienti dalla centrale Elk River negli Usa, per il riprocessamento con il ciclo uranio-torio;
nel corso degli anni '80 e '90 diversi tecnici del Medio Oriente (in particolare iracheni) avevano frequentato il centro Trisaia per acquisire la tecnologia ivi sviluppata;
l'impianto di Rotondella, sebbene obsoleto e non più attivo, è rimasto nella sede in cui si trovava e le barre provenienti dalla centrale Elk River si trovano ancora nella stessa piscina ove erano state collocate.
Ulteriori indagini sono state avviate a seguito della trasmissione di copia degli atti di indagine del procedimento n. 1073/03 mod. 44 pendente presso la procura della Repubblica di Matera. In questo procedimento era stata conferita delega per effettuare accertamenti nella frazione Marconia di Pisticci e si era proceduto all'individuazione di un'area interessata dall'interramento di un consistente numero di fusti metallici contenenti rifiuti pericolosi. La zona era distante circa 20 km rispetto al luogo indicato da Fonti quale
Dalle relazioni non sono emersi dati allarmanti in merito alla salubrità dell'ambiente.
Un profilo di particolare interesse evidenziato nella richiesta di archiviazione concerne la relazione redatta dai consulenti tecnici Mezzanotte e Pelliccioni, dalla quale risulta che il registro «merci in lavorazione», relativo alle barre di uranio naturale metallico lavorato dalla Combustibili nucleari era tenuto in modo non intellegibile.
Il giudice per le indagini preliminari ha disposto l'archiviazione del procedimento con provvedimento depositato in data 24 dicembre 2009, concludendo nei seguenti termini:
«Nelle aree sottoposte a indagine magnetometrica si può escludere la presenza di masse ferromagnetiche interrate, con l'unica eccezione per il rilievo eseguito in corrispondenza del torrente dove le anomalie sono da mettere quasi sicuramente in relazione ad una struttura ferrosa di forma allungata. In tutte e quattro le aree investigate si può escludere la presenza di fusti interrati. L'ipotesi investigativa originaria è stata vagliata con particolare scrupolo, data la sua indiscutibile ed oggettiva gravità, sia sotto il profilo penale, sia sotto il profilo della sicurezza pubblica in generale. Le indagini eseguite a seguito dell'ordinanza ex articolo 409 comma 4 del codice penale. (...) sono risultate utili per poter affermare, con ragionevole certezza, che, allo stato, alla luce del materiale investigativo acquisito, le dichiarazioni rese da Fonti e Garelli su presunti interramenti di
Il 18 marzo 2010 è stato audito dalla Commissione il sostituto procuratore della Repubblica della procura distrettuale antimafia di Potenza, dottor Francesco Basentini, in relazione alla questione delle navi a perdere e, più in generale, allo smaltimento di rifiuti tossici o radioattivi. In tale occasione, il dottor Basentini ha chiarito alcuni aspetti in relazione alla richiesta di archiviazione formulata.
Si riportano, di seguito, i passaggi più significativi dell'audizione del 18 marzo 2010:
«L'ipotesi di reato era legata alle indicazioni fornite da Francesco Fonti, il quale faceva riferimento a un presunto traffico di sostanze o scorie radioattive che venivano trattate anche abusivamente presso il centro Itrec di Rotondella e da lì poi trasportate, altrettanto illecitamente, verso la Somalia. (...) Fonti non ci è stato utile e non ci ha riferito nulla di rilevante; o, perlomeno, nulla di ciò che ha riferito è stato riscontrato. Abbiamo, invece, riscontrato - per certi aspetti, è l'unico elemento, anche piuttosto inquietante - svolgendo una verifica sulla contabilità delle scorie, dei materiali trattati dal centro Itrec, alcune anomalie. Mi spiego meglio. Il centro nasce alla fine degli anni Sessanta e riceve materiale radioattivo - le barre di Elk River e altro materiale dall'Inghilterra - ed era abilitato a lavorare con un determinato ciclo tecnologico, il ciclo uranio-torio. Questo metodo di lavorazione diventa poi obsoleto, ragion per cui il centro Itrec perde la sua valenza strategica; inoltre, si svolge un referendum e l'energia nucleare diventa di scarso interesse. Nel
Circa il riscontro alle dichiarazioni di Fonti riguardanti le modalità di pagamento alla famiglia Musitano (che si sarebbe occupata dello smaltimento illecito) e alle banche indicate (una parte dei soldi sarebbe arrivata tramite la Cyprus Popular Bank di Nicosia e un'altra tramite la Beogradska sempre di Cipro; poi il denaro sarebbe stato versato a Belgrado) il magistrato ha affermato di non aver effettuato accertamenti, avendo dato precedenza ed avendo ritenuto determinanti i risultati delle indagini finalizzate al rinvenimento dei rifiuti presuntivamente interrati.
1.3.3.3.2 Il sopralluogo della Commissione in agro di Pisticci con Francesco Fonti.
La Commissione ha ritenuto di convocare il collaboratore di giustizia Francesco Fonti in agro di Pisticci, in provincia di Matera (località dal medesimo indicata quale sito in cui sarebbero stati interrati bidoni contenenti rifiuti radioattivi provenienti dal centro Enea di Rotondella) al fine di verificare se lo stesso fosse in grado di individuare con esattezza i luoghi di cui aveva ripetutamente parlato con le autorità.
Pertanto, in data 9 marzo 2010, è stato effettuato un sopralluogo nella località anzidetta da parte della Commissione, alla presenza di militari della Compagnia dei Carabinieri di Pisticci, del collaboratore suindicato e dell'architetto Tonino D'Onofrio, responsabile del settore tecnico del comune di Craco allo scopo di fornire il suo apporto tecnico per l'individuazione dei luoghi.
Del sopralluogo è stato redatto apposito processo verbale da parte della Commissione, che di seguito si riporta, e dal quale si evince che nessuno dei luoghi visitati è stato riconosciuto da Fonti quale luogo di interramento dei bodoni in questione (doc. 355/1).
«La Commissione, su indicazione del Fonti, si porta in località Madonna della Stella dove - a suo dire - all'atto del suo passaggio notturno insieme ai camion di rifiuti vi era una statua della Madonna.
Il primo dato che occorre sottolineare in relazione alla provincia di Matera è la recente approvazione del piano provinciale dei rifiuti, i cui principali obiettivi appaiono in linea con la normativa vigente sia per ciò che attiene alla riduzione della produzione dei rifiuti, sia per ciò che concerne il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero energetico degli stessi.
Allo stato, si deve rilevare come risulti ancora urgente il reperimento di ulteriori volumetrie per le discariche. Il che si pone in evidente contrasto con quanto rappresentato nel piano provinciale dei rifiuti. Vero è che il piano è stato approvato di recente e, dunque, sono necessari dei tempi tecnici per la sua attuazione; deve, però, osservarsi che le nuove volumetrie da ricavare per il conferimento dei rifiuti in discarica dovrebbero essere contenute e dimensionate alle effettive esigenze della provincia, tenuto conto della concreta progettualità avviata con l'approvazione del piano.
Certamente, la provincia di Matera subisce il carico dei rifiuti proveniente in parte dalla città di Potenza, non autosufficiente.
In sostanza, laddove solo una provincia adotti ed attui un piano dei rifiuti (questo discorso evidentemente vale per qualsiasi regione)
2. Il ciclo dei rifiuti nella regione Basilicata.
2.1. Il piano regionale rifiuti.
Legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2001, modificata dalla legge regionale n. 28 del 2008. La conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti.
La Basilicata è una regione di 586.690 abitanti, concentrati per lo più nei grossi centri urbani.
Il 2 febbraio 2001, il Consiglio regionale della Basilicata ha approvato il piano regionale rifiuti con la legge regionale n. 6, successivamente modificata dalla legge regionale 24 novembre 2008 n. 28.
I principi ispiratori del piano, enunciati nell'articolo 2, sono:
a) prevenire e ridurre la produzione e la pericolosità dei rifiuti;
b) favorire la raccolta differenziata, la selezione e la valorizzazione delle frazioni di rifiuti urbani raccolte separatamente;
c) promuovere il recupero anche energetico dei rifiuti, al fine di ridurre lo smaltimento finale degli stessi;
d) assicurare la gestione integrata dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali, superando la frammentazione delle gestioni secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità;
e) realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani attraverso una rete integrata di impianti di recupero e di smaltimento;
f) favorire lo smaltimento dei rifiuti negli impianti più vicini al luogo di produzione, al fine di ridurre la movimentazione degli stessi, tenuto conto delle esigenze di carattere geografico o della necessità di smaltimento in impianti specializzati;
g) tenere conto della pianificazione territoriale salvaguardando i valori naturali e paesaggistici;
h) garantire il rispetto delle esigenze igienico sanitarie al fine di tutelare la salute della collettività, evitando possibili fonti di inquinamento dell'ambiente, mediante l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili a costi non eccessivi;
i) ridurre progressivamente le discariche come sistema ordinario di smaltimento.
Precedentemente, la normativa regionale demandava alla regione ogni aspetto pianificatorio in materia di rifiuti, mentre alle province spettavano compiti di controllo e i comuni avevano il compito di individuare i siti ove localizzare gli impianti di smaltimento.
Nel piano regionale del 2001, secondo quanto si legge nella relazione della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti approvata nell'anno 2000, era stata prevista una notevole autonomia per le province che dovevano gestire e organizzare i due ambiti territoriali ottimali in cui la Basilicata era allora divisa, coincidenti con i territori delle province di Potenza e Matera.
Con la legge regionale 24 novembre 2008 n. 28 il piano è stato modificato prevedendosi un unico ATO in luogo dei due già previsti.
Infine, con legge regionale n. 33 del 30 dicembre 2010 «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e
Sulla riorganizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, il presidente della regione Basilicata dottor Vito De Filippo, nel corso dell'audizione del 14 marzo 2012, ha dichiarato:
«La Basilicata ha deciso già da tempo, come vi è stato riferito anche nella documentazione, di abolire e di cancellare gli "ATO rifiuti", che noi non abbiamo più. Abbiamo invece una conferenza interistituzionale, quindi non un ente, pertanto a costo zero. I comuni si stanno costituendo e puntano ad avere un luogo sostenibile nel quale poter ragionare sul piano d'ambito, sul sistema delle tariffe. Abbiamo dunque deciso di cancellare gli ATO, le Unione montane e ci siamo trovati di fronte ad una modificazione sostanziale dell'assetto delle amministrazioni provinciali».
È un dato evidente, a parere della Commissione, il fallimento delle società d'ambito che hanno operato nelle varie regioni italiane (basti pensare agli ATO Sicilia nonché a quelli di altre regioni del sud).
Al tempo stesso, si è avuto modo di constatare, in altre realtà territoriali, come la modifica della "struttura organizzativa" nella
2.2 La gestione dei rifiuti urbani nella regione Basilicata.
Sulla base dei dati resi disponibili nel «Rapporto rifiuti urbani 2012» dell'Ispra e riferiti al 2010, la Basilicata è tra le quattro regioni del mezzogiorno, insieme a Molise, Calabria e Campania, ad essere caratterizzata dai valori di produzione pro-capite di rifiuti più bassi d'Italia (377 kg/abitante per anno, -5 kg/abitante per anno rispetto al 2009).
La percentuale di raccolta differenziata a livello regionale è ancora molto bassa e si colloca al 13,3 per cento, ben al di sotto degli obiettivi nazionali.
In riferimento al trattamento dei rifiuti, si riporta di seguito una tabella comparativa, recante le quantità di totali di rifiuti trattati e la quantità di rifiuti indifferenziati, dalla quale si evince un trend negativo regionale rispetto al 2009 (-72,2 per cento di rifiuti trattati e -95,9 per cento di rifiuti indifferenziati).
In Basilicata vi è un unico impianto di incenerimento.
Il totale di rifiuti urbani, frazione stabilizzata e CDR avviati ad incenerimento, costituisce lo 0,5 per cento del totale dei rifiuti trattati (vedi tabella seguente).
In Basilicata la discarica viene ancora utilizzata come forma prioritaria di gestione dei rifiuti (83 per cento).
In termini di pianificazione della gestione dei rifiuti (vedi figura seguente), la Basilicata si è dotata di un piano regionale della gestione dei rifiuti urbani e speciali, di un programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili, di piani per lo smaltimento di apparecchi
2.2.1 La raccolta differenziata.
In merito alla raccolta differenziata, sono stati auditi il presidente della regione Basilicata, Vito De Filippo, il 14 marzo 2012 e il direttore dell'Arpab, ingegner Raffaele Vita, il 13 marzo 2012.
Il presidente De Filippo, pur dando atti dei bassi livelli di raccolta differenziata, si è mostrato ottimista in quanto le percentuali sono in rialzo e vi sono progetti già avviati che permetteranno di migliorare la situazione:
«Noi abbiamo un sistema che era stato pensato per una situazione, anche in termini quantitativi (...) di 230.000 tonnellate di produzione di rifiuti all'anno. (...) Nel corso degli anni si è così costruita un'organizzazione basata sostanzialmente sulle discariche, con una percentuale di raccolta differenziata (...) che fino a qualche tempo fa era sicuramente molto bassa (...). Nel corso degli anni, come ho riferito anche nella scorsa audizione, noi abbiamo finanziato, per molte parti del territorio regionale, progetti di raccolta differenziata con i fondi FESR. Alcuni di questi sono andati avanti, altri si sono in qualche modo implementati con una tempistica che direi non rigorosa.
2.2.2 Impiantistica.
Per quanto riguarda lo stato dell'impiantistica nel territorio regionale, la Commissione ha utilizzato sia i dati trasmessi dal presidente della regione Basilicata, Vito De Filippo (cfr. «Stato di attuazione delle politiche regionali per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti urbani - rapporto di aggiornamento del 9 dicembre 2011, doc. 989/1, 989/2), sia le informazioni raccolte nel corso delle audizioni effettuate.
Nel rapporto del 9 dicembre 2011 e nelle dichiarazioni del presidente De Filippo vengono evidenziati, da un lato, i problemi connessi alla mancanza e all'inadeguatezza degli impianti esistenti di trattamento e di recupero, dall'altro, la bassa percentuale di raccolta differenziata. Vengono, poi, elencate le iniziative già adottate e quelle in corso di adozione.
Nel gennaio 2011, la regione ha sottoscritto con il Conai un accordo per la promozione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio e per l'attuazione di studi, al fine di promuovere il recupero e il riciclo dei materiali.
Un altro accordo è stato sottoscritto dalla regione con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Conai, in forza del quale il Ministero si impegna a fornire finanziamenti sempre finalizzati ad implementare la raccolta differenziata.
Importanti determinazioni sono state, poi, assunte dalla regione in merito alla realizzazione dell'impiantistica e ai relativi finanziamenti, con particolare riferimento agli impianti di compostaggio.
Quanto alle discariche e agli impianti di stabilizzazione meccanico biologica si è sottolineato il loro attuale funzionamento, sicché con la realizzazione dei tre impianti di compostaggio, due nella provincia di Potenza e uno nella provincia di Matera, si potrà trattare la maggior parte della frazione umida che si produce in Basilicata.
La raccolta differenziata, come detto in precedenza sta segnando il passo, e registra le seguenti percentuali per l'anno 2010:
provincia di Potenza: 16,49 per cento;
provincia di Matera: 12,53 per cento.
(...) Sul fronte più generale nell'anno 2011 sono state implementate alcune importanti azioni che non solo delineano la chiara volontà di puntare ad una gestione più virtuosa della filiera dei rifiuti urbani da parte della regione Basilicata, ma soprattutto consentiranno di ottenere risultati nel breve periodo.
Le principali azioni sono le seguenti.
In data 25 gennaio 2011 la regione Basilicata ha sottoscritto con il Conai (consorzio nazionale imballaggi) un accordo di programma quadro inteso come supporto e parte integrante al piano di gestione dei rifiuti urbani della regione Basilicata. Gli obiettivi principali di tale accordo sono:
la promozione sul territorio regionale della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio provenienti sia da superficie pubblica che da superficie privata; il supporto tecnico nell'individuazione delle più adeguate modalità di raccolta in relazione alle caratteristiche specifiche delle diverse realtà territoriali lucane;
l'attuazione di analisi e studi per lo sviluppo di sistemi di recupero di materia nel territorio regionale al fine di promuovere il mercato dei materiali recuperati dai rifiuti e dai prodotti riciclati (...).
In data 31 marzo 2011 la regione Basilicata ha sottoscritto un accordo di programma con il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e il Conai i cui obiettivi principali sono del tutto analoghi all'accordo di programma regione Basilicata-Conai prima
2.2.3 Giacimenti petroliferi.
Numerose sono le questioni sollevate dai privati nonché dagli organi di stampa in merito alle possibili situazioni di inquinamento collegate con l'attività estrattiva, sia per quanto riguarda le modalità stesse dell'attività, sia per quanto riguarda l'illecito utilizzo, ai fini dell'occultamento di rifiuti tossici e pericolosi, delle buche scavate per l'attività estrattiva, sia ancora per quanto riguarda il non corretto smaltimento dei fanghi di perforazione.
A fronte di tutto ciò le informazioni fornite degli organi inquirenti non hanno dato atto dell'acquisizione di elementi di prova di una sistematica attività illecita in questo settore.
Vero è che, laddove vi siano problemi anche per la gestione corretta delle discariche nonché per il controllo del territorio, permeato da un diffusissimo fenomeno di discariche abusive, non possono che ritenersi quantomeno legittime le preoccupazioni di quanti temono che possa essere strumentalizzata, a fini illeciti, un'attività ben più complessa, qual è l'attività estrattiva.
Stante la delicatezza dell'argomento, sono state richieste specifiche informazioni al presidente della regione, Vito De Filippo, il quale, nel corso dell'audizione del 14 marzo, si è espresso nei seguenti termini:
«Credo che la materia ambientale sia diventata esattamente il campo anche delle denunce e delle accuse verso un'aspettativa
2.3 Le procedure di infrazione avviate dalla Unione europea.
Il 28 febbraio 2012 la Commissione europea ha inviato alla Rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione europea un atto di costituzione in mora (infrazione n. 2011/2215) da trasmettere al Ministero degli affari esteri (doc. 1129/1).
In tale atto viene richiamata l'attenzione del Ministro all'applicazione della direttiva 1999/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999 relativa alle discariche di rifiuti, dettata al fine di prevenire o ridurre
Nella citata lettera di costituzione in mora si dà atto, poi, delle ripetute richieste di informazioni inviate dalla Commissione alle autorità italiane, cui sono seguite le risposte da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Si dà atto, inoltre, che proprio sulla base delle informazioni ricevute, la Commissione europea ha ritenuto che ben 102 discariche, su tutto il territorio italiano, non siano state ancora chiuse o, comunque, rese conformi ai dettami della direttiva europea.
Si riporta il testo della lettera di costituzione in mora nella parte di interesse:
« Le autorità italiane hanno risposto tramite lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 maggio 2011 (inviata il 18 maggio 2011) nella quale sono fornite informazioni dettagliate sulla base delle quali si fonda la presente analisi. (...).
In base alle informazioni ricevute, emerge che sul territorio italiano vi sono almeno 102 discariche "esistenti" (3 delle quali per rifiuti pericolosi) che non sono ancora state né oggetto di provvedimenti di chiusura, né rese conformi alla direttiva».
Viene, poi, specificato che le discariche di rifiuti cui si fa riferimento, ritenute non conformi alla direttiva, sono presenti in numerose regioni, tra cui la Basilicata che ne annovera 19 non in regola.
Pertanto, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia sia venuta meno agli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE e ha invitato il governo a trasmetterle osservazioni su quanto rilevato nel termine di due mesi, riservandosi il diritto di emettere il parere motivato previsto dall'articolo 258 dei trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dopo avere preso conoscenza di tali osservazioni, oppure in caso di omesso inoltro delle osservazioni entro il termine fissato.
Il dato emerso a livello della contestazione europea, relativo alla non conformità delle discariche della regione Basilicata alle direttive vigenti, rappresenta il segno di un duplice fallimento.
Il primo attiene alle modalità di smaltimento dei rifiuti totalmente in dispregio delle direttive europee in quanto fondato prevalentemente sul conferimento in discarica, come risulta dai dati Ispra sopra illustrati.
Il secondo fallimento, del tutto ingiustificabile, riguarda la cattiva gestione delle discariche. E, tenuto conto del numero di quelle oggetto di contestazione, si deve ritenere che le discariche non in regola siano non solo le discariche attualmente operative, ma anche quelle che si trovano nella fase di gestione post mortem.
Il tutto si traduce in una sostanziale indifferenza per la tutela dell'ambiente nella fase dello smaltimento dei rifiuti nonché in quella successiva di gestione dei siti esauriti.
Le buone intenzioni espresse nei piani regionali e provinciali devono, a questo punto, essere messe in atto anche perché è l'Europa che lo impone attraverso procedure di infrazione che colpiscono inesorabilmente, sotto il profilo sanzionatorio, tutta la Nazione.
2.4 Situazioni di maggiore criticità riscontrate sul territorio.
Come già evidenziato nella parte dedicata alle province, pur essendosi registrati nella regione Basilicata numerosi illeciti inerenti le attività connesse al ciclo dei rifiuti e, più in generale, in danno dell'ambiente e del territorio, non sono emerse infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella gestione di questo settore.
Le attività illecite registrate in questo campo sembrerebbero, pertanto, configurarsi come fenomeni singoli e slegati fra loro, non riconducibili ad organizzazioni radicate sul territorio né facenti capo a clan operanti nelle regioni limitrofe.
Le autorità interpellate hanno, comunque, sottolineato tre fattori che rendono concreto il rischio che il settore rifiuti sia oggetto di attenzioni da parte della criminalità organizzata, quali:
la particolare conformazione del territorio;
le conseguenti difficoltà a presidiarlo nella sua interezza;
la ben nota esistenza di sodalizi criminali nelle regioni confinanti quali Puglia, Calabria e soprattutto Campania.
Dunque, in considerazione di ciò, l'attività di controllo, seppur già presente, necessiterebbe di essere ulteriormente potenziata.
Con riferimento alla sufficienza dei mezzi a disposizione per contrastare la perpetrazione di illeciti in campo ambientale, il procuratore Colangelo ha così risposto:
«devo dire che la Basilicata non è una grande regione e non è molto popolata ma è una regione che ha un grande patrimonio naturalistico, boschivo e ambientale. Qualsiasi lesione a questo patrimonio può essere irreparabile. È una regione difficilmente percorribile. Non ero mai stato prima in Basilicata, ma devo dire che ci sono dei comuni come Viggiano che distano due ore di auto da Potenza e in cui il controllo del territorio è estremamente disagevole. Ci sono dei piccoli comuni arroccati sulle montagne dove il controllo è difficilissimo e i mezzi e le risorse disponibili, come voi sapete meglio di me, per definizione sono esigui. Non ho elementi per ritenere che la Basilicata sia al momento una zona di smaltimento, un territorio utilizzato dalle criminalità organizzate limitrofe. Ho diretto per otto anni la direzione distrettuale antimafia di Bari prima di andare a Potenza, e quindi avevo un'esperienza di criminalità organizzata che mi induceva a nutrire forti perplessità sulla possibile presenza di una criminalità organizzata. Abbiamo trovato certamente della criminalità organizzata con sporadiche influenze su taluni comportamenti criminali, con contestazione del reato di cui all'articolo 416-bis, ma al momento non abbiamo uno specifico collegamento tra un'organizzazione malavitosa e la gestione del ciclo dei rifiuti».
Ulteriori dati relativi alle criticità ambientali riscontrate nella regione possono trarsi nelle parti della relazione relative alle singole province nonché, ancor di più, nella parte relativa alle bonifiche.
In Basilicata la discarica è ancora utilizzata come forma prioritaria di smaltimento dei rifiuti. La percentuale di rifiuti inviati in discarica, che si ricava dal «rapporto rifiuti urbani 2012» dell'Ispra (riferiti però all'anno 2010), è dell'83 per cento.
Questo dato, di per sé, sarebbe sufficiente per dimostrare l'arretratezza della regione nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Da parte degli organi di governo regionali vi è la consapevolezza della necessità di realizzare un'impiantistica adeguata attraverso la realizzazione di almeno tre impianti di compostaggio in grado di trattare la gran parte dell'umido prodotto dalla regione.
Questo obiettivo si unisce a quello di un rafforzamento della raccolta differenziata in modo da potere perseguire una duplice finalità:
separare il secco dall'umido per la produzione di compost;
diminuire il quantitativo dei rifiuti da destinare in discarica.
Deve tenersi conto del fatto che in Basilicata vi è un unico impianto di incenerimento, che però non incide sulla gestione del ciclo
3. La gestione dei siti contaminati nella regione Basilicata.
3.1 I siti contaminati.
La Commissione ha approfondito, per la verità con riferimento a tutte le regioni italiane, lo stato di attuazione delle anagrafi relative ai siti contaminati.
Sul punto, la regione Basilicata, con nota pervenuta il 14 maggio 2012 (cfr doc. 1220/1, 1220/2), ha fornito le seguenti informazioni in merito alla gestione dei siti contaminati.
L'anagrafe dei siti contaminati sarà attivata sulla base di uno specifico progetto attualmente posto all'attenzione della giunta regionale.
La struttura dell'anagrafe, in corso di progettazione, comprende un sistema informativo territoriale, un modulo web per il data entry, un modulo di accesso alle informazioni, un sistema di protezione, elaborazione, rappresentazione e pubblicazione dei dati.
È prevista l'acquisizione di tutte le informazioni anagrafiche attestanti la posizione geografica del sito e lo stato avanzamento dei vari procedimenti amministrativi di cui alla Parte IV, Titolo V, del decreto legislativo n. 152 del 2006, a cui saranno associati i dati georiferiti sulle indagini ambientali e sugli interventi di bonifica.
La sezione sugli interventi di bonifica consentirà di registrare i dati sui risultati dell'analisi di rischio, sulle tecniche di intervento adottate, sui costi e risorse finanziarie, sulla tempistica di esecuzione, produzione e destino dei rifiuti, eventuali limitazioni d'uso, sistemi e risultati di monitoraggio. Si presume che il sistema possa entrare in funzione entro il 2012.
Nella tabella seguente si riportano le informazioni fornite sui siti contaminati e sulle bonifiche.
La regione Basilicata ha, inoltre, precisato che i dati forniti comprendono siti effettivamente soggetti all'obbligo di caratterizzazione e bonifica, già censiti come siti potenzialmente inquinati dal piano regionale di bonifica approvato contestualmente alla legge regionale n. 6 del 2001 secondo la previgente normativa.
I restanti siti riportati nel citato piano devono considerarsi esclusi dai procedimenti di che trattasi, in quanto compresi nella procedura di infrazione comunitaria n. 2003/4506, «Attuazione della direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti», archiviata dalla Commissione europea nella seduta del 30 settembre 2010, mentre i siti di abbandono rifiuti sono stati risolti nell'ambito della gestione ordinaria, compatibilmente con le risorse disponibili in bilancio.
Si sottolinea che la regione Basilicata non ha fornito i dati richiesti dalla Commissione in merito alla produzione e alla gestione di rifiuti provenienti da attività di bonifica, dati importanti perché consentono di monitorare effettivamente le attività compiute anche con riferimento agli smaltimenti e/o recuperi di rifiuti.
3.2 I siti di interesse nazionale: aree di Tito e Val Basento.
Il sito di Tito è stato inserito tra gli interventi di interesse nazionale individuati dal programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale elaborato ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della Legge n. 426 del 1998.
Con decreto ministeriale 8 luglio 2002 è stato definito, dopo una serie di riunioni con i comuni, la regione e l'Arpa della regione Basilicata, il perimetro del sito di interesse nazionale.
Le principali criticità ambientali presenti sul sito riguardano sia il suolo che la falda. In particolare si segnala:
con riferimento al suolo: presenza di rifiuti di diversa natura (speciali, pericolosi, assimilabili agli urbani) tra i quali amianto, fosfogessi, scorie e polveri derivanti dall'attività siderurgica, materie prime, prodotti e residui di lavorazione derivanti dalla produzione di concimi a base di fosforo;
con riferimento alle acque di falda: contaminazione da triclotroetilene, ferro, manganese.
In alcuni monitoraggi delle acque sotterranee sono stati evidenziati superamenti anche per i parametri: cloruro di vinile, cloroformio, 1,2-dicloroetilene, 1,1,2-tricloroetano, 1,2-dicloropropano, dibromoclorometano, bromodiclorometano e benzene.
Il sito dell'area industriale della Val Basento è stato individuato come sito di interesse nazionale con decreto ministeriale n. 179 del 2002.
È stato perimetrato con decreto ministeriale 26 febbraio 2003.
Nel polo industriale sono presenti 67 aziende che svolgono diverse tipologie di attività; in particolare, quelle rientranti nel comparto industriale di Pisticci sono legate alle lavorazioni precedentemente ivi svolte dall'ANIC/Enichem.
3.2.1 Lo stato di attuazione degli interventi e le principali problematiche riscontrate.
Il procedimento di bonifica relativo ai Sin di Tito e Val Basento è ben lontano dall'essersi concluso per ragioni riconducibili, secondo quanto riferito alla Commissione dagli auditi, alla mancanza di fondi per effettuare gli interventi necessari o, comunque, per dare impulso al procedimento stesso.
Inoltre, per quanto riguarda il sito di Val Basento, sono state segnalate problematiche attinenti ad un contenzioso per l'individuazione del soggetto tenuto all'attività di bonifica.
Il presidente della regione Basilicata, Vito De Filippo, nel corso dell'audizione del 14 marzo 2012, ha evidenziato come la regione abbia investito notevoli somme nelle attività di caratterizzazione e nella predisposizione dei progetti per avviare la bonifica ma, ciononostante, il procedimento abbia subito un rallentamento, attesa l'incertezza dei finanziamenti statali per le opere da realizzare.
Queste difficoltà erano state già evidenziate dal presidente della regione in una precedente audizione, in data 18 maggio 2010.
Proprio in quella occasione il presidente aveva delineato in maniera molto chiara il quadro dello stato della bonifica dei SIN di Tito e Val Basento, condizionato dalla mancanza di fondi statali e dall'insufficienza dei fondi regionali utilizzati.
In particolare, aveva dichiarato: «Stiamo realizzando un lavoro di bonifica e di caratterizzazione con le possibilità economiche che possiamo ricavare dalle risorse del nostro programma operativo regionale e da poche risorse che ancora sono state garantite a livello centrale. Abbiamo sottoscritto anche un accordo di programma per quanto riguarda il sito della Val Basento, che è storicamente noto e il primo riconosciuto come sito di interesse nazionale.
Fino a qualche mese fa, si era avviato un virtuoso programma nazionale per bonifica dei siti di interesse nazionale, che era dotato di 3 miliardi di euro, e c'era stata già una lunga e positiva discussione sul programma, che era inserito in una più generale iniziativa di sostegno dei nostri settori produttivi. La bonifica dei siti è infatti una misura propedeutica e molto interessante in termini di investimento produttivo industriale, una misura di accompagnamento formidabile
Il presidente ha anche parlato del centro regionale di monitoraggio, che raccoglie tutti i dati delle varie matrici, compresi quelli collegati all'attività estrattiva, affermando:
«Devo dare un'informazione su questa rete e questo centro regionale di monitoraggio, che noi prima non avevamo. Ci sono inoltre poche regioni in Italia che hanno un unico sistema regionale, nel quale arrivano tutti i dati delle varie matrici, che sono poi valutabili, consultabili, fruibili in maniera costante, permanente; anche con un'organizzazione di punti fissi, di centraline e di laboratori mobili o di sensori che calcolano anche la velocità e il calore dell'aria, sì da consentirci anche una valutazione diacronica di quello che succede in termini ambientali sul nostro territorio. (...) Voi sapete che per ogni 250.000 abitanti (credo che questo sia il parametro) deve essere presente una centralina per la misurazione dell'aria. Noi non siamo in una regione super industrializzata. Nell'area del petrolio avevamo due centraline, ora credo ce ne siano sei, di cui alcune mobili. Nel corso degli anni abbiamo fatto una costante attività di studio e di monitoraggio di tutte le principali matrici, con carotaggi, biomonitoraggi, prelievi di acqua, centraline che misuravano l'aria, affidata a Metapontum Agrobios, una società regionale che si occupa esattamente di ricerca, di studio e di monitoraggio ambientale. Sull'area del petrolio abbiamo costruito per un decennio una quantità enorme di documenti, per decine di migliaia di pagine, dove venivano segnalate tutte le attività che erano state sviluppate. Intorno ai pozzi c'era un sistema di carotaggio o impianti di biomonitoraggio, piantine che venivano impiantate nelle parti più interessanti, quelle dei pozzi o del centro oli, che registrano modificazioni anche le più lievi, in termini ambientali. Abbiamo poi fatto indagini - come è noto, quelle sono le più qualificanti - anche sui corsi d'acqua e sui giacimenti fluviali, che sono la memoria più antica, anche in termini ambientali. Abbiamo fatto prelievi, abbiamo valutato e in un solo tratto del fiume Agri, in questi dieci anni, c'è stato un lievissimo aumento di una delle quaranta o quarantadue molecole di policiclici aromatici, secondo Metapontum Agrobios determinato più dall'attività agricola e da carburanti, che non dall'attività estrattiva.
Il presidente della regione ha, infine, evidenziato le problematiche ambientali connesse alle discariche abusive e al tombamento di rifiuti, attività illecite facilitate dalle caratteristiche orografiche del territorio lucano.
È, dunque, concreto il pericolo che il territorio della Basilicata venga utilizzato dalle organizzazioni criminali quale luogo di destinazione dei rifiuti, sicché è particolarmente importante, in questa zona, che gli organi di controllo siano presenti e vigili sul territorio.
Sempre con riferimento alle bonifiche ed allo stato di attuazione degli interventi, si segnala quanto riferito dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, dottoressa Celestina Gravina, e dal comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, Raffaele Manicone, auditi dalla Commissione in data 28 febbraio 2012.
La dottoressa Gravina, oltre a sottolineare le problematiche attinenti ai finanziamenti per i Sin, ha evidenziato situazioni di inquinamento riconducibili alla presenza di amianto nella copertura delle costruzioni:
«Nell'area industriale della Valle del Basento è in corso un'azione assolutamente monitorata dal Ministero dell'ambiente. Si tratta di un'antica controversia credo non ancora risolta tra il Consorzio per lo sviluppo industriale materano e la Syndial, società del gruppo Eni. La questione è chi è responsabile e chi deve fare cosa. Si tratta di una questione tuttora aperta, ma certamente ci sono riunioni continue nell'ambito del Ministero dell'ambiente, quindi credo che la situazione sia monitorata e spero che vada a soluzione. Ovviamente, la base è quella delle risorse finanziarie. Quanto alle bonifiche ambientali, l'amianto è un problema di tutto il territorio nazionale, la legislazione è quella che è. Naturalmente, il problema penale sorge soltanto nel momento in cui ci sia uno smaltimento illecito, ma sono molti i capannoni con i tetti d'amianto nel nostro territorio e ogni tanto ci sono le lamentele. Ci sono stati, ad esempio, un paio di casi a Policoro, risolti, a mio avviso, positivamente con il sindaco che ha dato disposizione di bonificare e privati che hanno adempiuto. Anche in quel caso, ho privilegiato, a fronte delle lamentele di pericolosità, questo tipo di approccio, ossia di responsabilizzare i sindaci per valutare l'opportunità di un'ordinanza contingente piuttosto che procedere a sequestri, con strutture che rimangono sequestrate per lustri, con nessuno che può più assumersene la responsabilità e la gestione. Un paio di casi si sono risolti in questo modo, con ordinanze
Con riferimento al medesimo tema è stato interpellato il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, Raffaele Manicone, il quale, in merito all'entità degli interventi di bonifica, ha confermato la lentezza delle procedure e le difficoltà amministrative:
«(...) Parliamo di piccole bonifiche quando è in atto nelle zone rurali qualche piccola ristrutturazione che comprende la demolizione di manufatti con tetti in amianto. L'amianto è prelevato dai tecnici specializzati di queste società che trattano l'amianto e lo portano in discarica. L'unica attività di grosse dimensioni di bonifica di un sito vero e proprio è quella della Valle del Basento, che però in questo momento, proprio per questi problemi amministrativi tra chi deve fare cosa, è ferma. Si tratta del famoso sito della Liquichimica, la cui bonifica fu cominciata negli anni Novanta. Nel sito ci sono una serie di inquinanti anche di un certo livello, però in questo momento l'attività di bonifica è ferma (...) Il problema è proprio su chi ha omesso. La diatriba è tra l'ASI e la Syndial, società di Eni. È in corso un contenzioso».
A fronte della eccessiva lentezza dei procedimenti di bonifica, la situazione di inquinamento pare decisamente grave ed è stata oggetto di approfondimento da parte del dottor Bolognetti, audito dalla Commissione in qualità di esperto ambientale per la regione Basilicata, autore del dossier intitolato «Veleni ambientali e politici della regione Basilicata», nel quale viene definita la Val Basento quale «bomba ecologica». In sede di audizione innanzi alla Commissione, il dottor Bolognetti ha descritto un quadro particolarmente drammatico, soprattutto perché sottovalutato dagli organi competenti:
«(...) falde acquifere inquinate; amianto a Ferrandina, con la ex Materit, con quello che questo significa in termini di incidenza anche sulla salute delle popolazioni di quell'area; decine di siti contaminati da IPA, metalli pesanti e composti cancerogeni. A fine dicembre 2009, non io, ma la provincia di Matera, parla di inquinamento indotto delle aree agricole della Val Basento. Sarei curioso di sapere che cosa si intende per "inquinamento indotto delle aree agricole", visto che quella è una vasta area perimetrata dal Ministero come sito di bonifica, ma è anche un'area a vocazione agricola. Speriamo che un giorno ci spieghino, quindi, cosa significa inquinamento indotto.
Direi che non meno preoccupante è la situazione di Tito Scalo, dove, oltre alla vicenda Daramic, che si autodenuncia nel 2005 per lo sversamento di 15 tonnellate di trielina nella falda, c'è la questione dei rifiuti ferrosi della Siderpotenza, ma anche la famigerata vasca fosfogessi. Siccome immagino che si sia parlato molto di navi in questa Commissione, direi che quella è una "grossa nave" di 27.500 metri quadrati a pochi chilometri in linea d'aria da Potenza, che ha determinato l'inquinamento della falda, del terreno e del torrente Tora, il quale, essendo uno dei sette affluenti del principale fiume
3.2.2 I controlli effettuati dall'Arpa.
Come sopra evidenziato, in Basilicata sono particolarmente importanti i controlli sul territorio, perché le caratteristiche orografiche dello stesso lo rendono permeabile alla ricezione illecita di rifiuti, tenuto conto delle ampie aree disabitate che caratterizzano la regione.
Problematiche sono state riscontrate con riferimento all'attività di controllo dell'Arpab.
Il 18 maggio 2010 è stato audito l'allora direttore dell'Arpa Basilicata, dottor Vincenzo Sigillito, il quale aveva descritto una situazione «abbastanza buona» e «sotto controllo» in merito alla gestione degli impianti di discarica nella regione.
Il dottor Sigillito, dopo avere precisato che l'Arpa Basilicata disponeva di solo due ufficiali di polizia giudiziaria, ha riferito in merito ai controlli effettuati sull'inceneritore Fenice:
«I controlli dell'inceneritore sono stringenti. Tre centraline situate sul posto controllano tutti i valori. È stata inoltre stipulata una
Il dottor Sigillito risulta imputato nel procedimento (di cui si è trattato nella parte prima della relazione, cui si rinvia) che attiene alla carenza dei controlli e alle omissioni con riferimento all'inceneritore La Fenice in San Nicola di Melfi.
Il dato da segnalare in questa sede, di carattere generale, è proprio quello concernente il ruolo dei funzionari dell'Arpa e il loro rapporto con l'autorità giudiziaria, questioni queste che hanno assunto connotati di problematicità in diverse regioni italiane.
In particolare, numerosi magistrati hanno evidenziato una certa difficoltà nei rapporti con i funzionari dell'Arpa che non rivestono la qualifica di ufficiali di PG, in quanto i controlli effettuati non sempre vengono comunicati all'autorità giudiziaria e, comunque, anche quando ciò si verifica, si tratta di comunicazioni non contestualizzate, e quindi poco significative per l'autorità giudiziaria.
Sempre con riferimento alla posizione dei funzionari Arpa nell'ambito dei controlli ambientali, si segnala una sentenza della Corte di cassazione che ha configurato la possibilità di un concorso omissivo dei funzionari dell'Arpa nei reati ambientali di cui abbiano notizia e per i quali non formulino alcuna comunicazione all'autorità giudiziaria, nè si attivino per interrompere l'inquinamento in atto (Cassazione sez. III, sent. 3634/2011).
Successivamente, in data 13 marzo 2012, è stato audito dalla Commissione l'attuale direttore dell'Arpab, l'ingegner Raffaele Vita, il quale ha riferito sia in merito ai compiti dell'agenzia e alle difficoltà connesse all'espletamento degli stessi sia in merito ai rapporti tra l'agenzia e le procure:
«Il compito di un'agenzia regionale per l'ambiente, com'è noto, è più che altro quello di essere di sostegno alle amministrazioni e alle istituzioni con la conoscenza tecnico-scientifica del territorio e anche su questo tema particolare delle discariche e dei rifiuto. Questa dovrebbe essere la nostra mission principale: avere un bagaglio di conoscenze attraverso il monitoraggio e l'esplorazione, da mettere a disposizione del sistema istituzionale in genere. Molto spesso il nostro lavoro è invece non tanto preventivo, quanto soprattutto repressivo, perché andiamo a sostegno delle attività delle procure, dei NOE, del Corpo forestale e questa è una delle ragioni per cui - lo dico come riflessione un po' amministrativa e un po' politica - dal mio punto
3.3 Interventi effettuati in seguito alla contaminazione determinata dall'inceneritore La Fenice.
Con riferimento all'inchiesta condotta dalla procura di Potenza in merito alla contaminazione ambientale provocata dall'impianto La Fenice di San Nicola di Melfi, di cui si è parlato nella parte prima della relazione, il prefetto di Potenza, Antonio Nunziante, ha trasmesso alla Commissione una relazione sulla situazione complessiva del ciclo dei rifiuti in ambito provinciale, allegando un documento relativo all'audizione sul funzionamento dell'impianto Fenice - del 24 gennaio 2012 - dell'assessore regionale all'ambiente innanzi all'apposita Commissione regionale di inchiesta.
In tale documento si dà conto dello stato della procedura che è conseguita all'accertamento della contaminazione ambientale provocata
Si rileva agli atti del dipartimento ambiente della regione, la nota del 6 marzo 2007 di trasmissione dei certificati di analisi relativi al monitoraggio ambientale del Melfese nel periodo gennaio - dicembre 2006. Si evidenzia che nessun ulteriore dato risulta comunicato dall'Arpab al dipartimento ambiente, relativamente ai periodi precedenti ed inoltre nella nota di trasmissione non viene evidenziato nessun superamento. Peraltro, i certificati analitici (che risultano privi delle unità di misura, metodiche analitiche utilizzate e limiti di determinazione analitica) non consentono alcuna interpretazione del dato. In ogni caso, si rileva come tutti i test di biotossicità non indicano stati tossici in atto».
Nel documento sono riportati i risultati della caratterizzazione delle acque di falda.
In particolare, si afferma che, subito dopo l'avvio del procedimento ex articolo 244 decreto legislativo n. 152 del 2006, il soggetto obbligato Fenice ha messo in campo le misure di sicurezza d'emergenza (MISE), a seguito delle quali si sono ottenuti effettivi miglioramenti:
«La caratterizzazione ha individuato alcune delle possibili sorgenti di contaminazione e determinato i parametri sito specifici per l'analisi di rischio sanitario-ambientale. Le possibili sorgenti individuate, già isolate dal soggetto obbligato nell'ambito della messa in sicurezza d'emergenza, sono ascrivibili a perdite provenienti dalle reti di gestione dei reflui e dalle vasche di contenimento. I risultati ottenuti comportano l'obbligo di bonifica delle acque sotterranee».
Le sorgenti di contaminazione, sono state individuate in vasche/serbatoi, condotte di acque di processo e di reti fognarie: da ultima comunicazione Arpab (18 luglio 2011) risulta che su alcuni tratti della rete fognaria, ubicati a valle della barriera idraulica, si sono eseguiti interventi di ripristino di alcune vasche di contenimento ed interventi di relining di alcuni tratti delle reti interrate. Le reti tecnologiche, oggetto di intervento, sono state collaudate mediante prove di tenuta ad alta pressione.»
Infine, nel documento si dà atto che il 10 febbraio 2011 si è conclusa la fase istruttoria dell'analisi del rischio sanitario-ambientale:
«i risultati presentati da Fenice indicano livelli di rischio, per tutte le sostanze, per tutti i processi di trasporto e per tutti i possibili
3.4 Gli approfondimenti sanitari.
La Commissione ha dedicato una particolare attenzione alle problematiche di carattere sanitario nei SIN.
Su tale aspetto sono stati auditi rappresentanti dell'ISS e del CNR.
Nel corso dell'audizione del 20 ottobre 2011, la dottoressa Loredana Musmeci ha riferito sui risultati dello studio denominato Sentieri.
Il progetto Sentieri (studio epidemiologico nazionale territori e insediamenti esposti a rischio da inquinamento), coordinato dall'Istituto superiore di sanità tra il 2007 e il 2010 nell'ambito del programma strategico ambiente e salute, promosso dal Ministero della salute, è stato realizzato in collaborazione con il centro europeo ambiente e salute dell'Organizzazione mondiale della sanità, il dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa e l'Università di Roma La Sapienza.
Lo studio Sentieri ha valutato la mortalità della popolazione residente in 44 siti di interesse nazionale (SIN) per le bonifiche in un periodo di otto anni.
Sono stati selezionati 295 comuni, 5.534.492 abitanti, circa il 10 per cento del totale della popolazione italiana al censimento 2001; 21 siti sono situati al Nord, 8 al centro e 15 al Sud e sono classificati in base alla presenza di una o più delle seguenti esposizioni: produzione/uso di sostanza/e chimica/he (C), impianto petrolchimico o raffineria (P/R), centrale termoelettrica (CE), industria siderurgia (S),
Sintesi delle problematiche riscontrate.
Le questioni emerse nel corso dell'inchiesta permettono di formulare una serie di considerazioni in merito alle principali problematiche esistenti nella regione Basilicata:
i procedimenti di bonifica dei Sin di Tito e Val Basento sono, sostanzialmente, fermi per ragioni riconducibili alla mancanza di finanziamenti statali ed all'insufficienza di quelli regionali;
esistono numerose aree altamente inquinate che necessitano di interventi di bonifica; i fenomeni di inquinamento sono particolarmente diffusi, soprattutto se si tiene conto delle dimensioni territoriali della regione;
i controlli appaiono carenti e/o inadeguati a coprire efficacemente l'intero territorio, che risulta dunque esposto a rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, particolarmente presente nelle regioni limitrofe;
le indagini giudiziarie danno conto, allo stato, di un inquinamento provocato per lunghi anni dall'inceneritore La Fenice, inquinamento protrattosi nel tempo con effetti disastrosi per l'ambiente e reso possibile da condotte illecite poste in essere da parte degli stessi organi deputati al controllo ambientale;
sono state caratterizzate le acque di falda che necessitano di attività di bonifica e, allo stato, sempre con riferimento all'inquinamento
La Basilicata, nel quadro generale della gestione dei rifiuti in Italia, presenta delle caratteristiche del tutto peculiari.
Rappresenta l'esempio lampante di quanto possa essere inefficiente la gestione dei rifiuti anche in una regione ove vi è una produzione contenuta degli stessi per ragioni riconducibili sia al numero di abitanti sia alla crisi economica che porta, evidentemente, ad un contenimento dei consumi e, quindi, della produzione dei rifiuti.
Il problema, dunque, in questo caso, non è tanto quello relativo ai quantitativi di rifiuti prodotti, che sono infatti in diminuzione, quanto piuttosto quello della razionale predisposizione di un sistema di gestione idoneo a consentire lo smaltimento e/o il riciclo dei rifiuti in ossequio alle prescrizioni imposte a livello europeo e nazionale.
Ancora una volta si assiste ad un'attività amministrativa imperniata principalmente sulla ricerca di nuove volumetrie per le discariche ove conferire i rifiuti, e ciò pur nella piena consapevolezza che il conferimento in discarica, lungi dall'essere un sistema di smaltimento, è il criterio assolutamente residuale nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Il dato sorprendente, ma che poi non sorprende più di tanto alla luce delle altre inchieste fino ad oggi effettuate dalla Commissione, è la sovrapponibilità tra la situazione così come fotografata nella relazione sulla Basilicata approvata nel 2000 dalla Commissione sul ciclo dei rifiuti della XIII legislatura e i risultati dell'inchiesta che questa Commissione ha svolto a dodici anni di distanza.
Ed, infatti, all'esito delle numerose audizioni, acquisizioni documentali, sopralluoghi effettuati, le problematiche riscontrate appaiono pressocché le stesse, se non aggravate.
La provincia di Potenza si caratterizza, quanto alla gestione del ciclo dei rifiuti, per la mancata attuazione, ad oggi, del nuovo piano provinciale dei rifiuti, in linea con il testo unico ambientale e con le direttive europee, atteso che l'ultimo piano approvato risale a ben dieci anni fa (2002).
Come si evince dai dati sopra riportati, lo smaltimento dei rifiuti si esaurisce nel conferimento in discarica o presso l'inceneritore Fenice di Melfi, mentre i livelli di raccolta differenziata si attestano su percentuali molto basse, circa il 16 per cento.
Il punto critico del ciclo dei rifiuti è costituito dalla carenza di un'adeguata impiantistica che consenta di produrre compost di qualità, in tal modo riutilizzando l'umido proveniente dalla raccolta differenziata, nonché dalla difficoltà di avviare efficacemente la raccolta differenziata su un territorio poco densamente abitato.
Si deve dare atto dell'avanzamento della procedura finalizzata alla realizzazione di un impianto di compostaggio, ritenuto indispensabile per una corretta gestione del ciclo dei rifiuti.
Per ciò che concerne la città di Potenza, è stato sottolineata la necessità di aprire una nuova discarica a servizio della città in località «Pallareta», con una volumetria di circa 95.000 metri cubi, ritenuta più che sufficiente per la gestione dei rifiuti nel bacino di riferimento. Ma è più che evidente come la ricerca di nuove volumetrie per discariche non può non essere accompagnata dalla previsione di una più generale programmazione, altrimenti non si farà altro che cercare nuovi siti ove allocare i rifiuti, in totale dispregio di quelle che sono le prescrizioni che provengono, prima ancora che dalla legislazione italiana, dalle norme europee.
Con specifico riferimento al tema degli illeciti ambientali consumati nella provincia, il procedimento che certamente ha più attirato l'attenzione della Commissione è quello riguardante l'inquinamento prodotto dall'inceneritore Fenice.
Il dato che colpisce in questa vicenda attiene all'ampio periodo di tempo (dal 2001 al 2010) entro il quale si sarebbero consumate le condotte oggetto di contestazione.
Il primo dato che occorre sottolineare in relazione alla provincia di Matera è la recente approvazione del piano provinciale dei rifiuti, i cui principali obiettivi appaiono in linea con la normativa vigente sia per ciò che attiene alla riduzione della produzione dei rifiuti, sia per ciò che concerne il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero energetico degli stessi.
Allo stato si deve rilevare come risulti ancora urgente il reperimento di ulteriori volumetrie per le discariche. Il che si pone in evidente contrasto con quanto rappresentato nel piano provinciale dei rifiuti. Vero è che il piano è stato approvato di recente e, dunque, sono necessari dei tempi tecnici per la sua attuazione; deve, però, osservarsi che le nuove volumetrie da ricavare per il conferimento dei rifiuti in discarica dovrebbero essere contenute e dimensionate alle effettive esigenze della provincia, tenuto conto della concreta progettualità avviata con l'approvazione del piano.
Certamente, la provincia di Matera subisce il carico dei rifiuti proveniente in parte dalla città di Potenza, non autosufficiente.
In sostanza, laddove solo una provincia adotti ed attui un piano dei rifiuti (questo discorso evidentemente vale per qualsiasi regione) inevitabilmente le carenze organizzative e gestionali delle province limitrofe si ripercuotono sui territori più «virtuosi» che devono dare la loro disponibilità per fronteggiare le situazioni di difficoltà.
La regione Basilicata.
In Basilicata la discarica è ancora utilizzata come forma prioritaria di gestione dei rifiuti. La percentuale di rifiuti inviati in
Deve tenersi conto del fatto che in Basilicata vi è un unico impianto di incenerimento, che però non incide sulla gestione del ciclo dei rifiuti, tenuto conto del dato fornito da Ispra, secondo cui solo lo 0,5 per cento dei rifiuti viene destinato all'incenerimento.
Il presidente della regione si è a lungo soffermato sulla questione dei giacimenti petroliferi che - allo stato - non rappresentano una fonte di ricchezza per la popolazione della regione, in quanto le royalty previste ammontano solo al sette per cento.
Per quanto riguarda il profilo degli illeciti ambientali in questo settore, sebbene la Commissione abbia ripetutamente formulato domande agli auditi in merito a questo tema, non sono riferiti casi di inquinamento e/o di sfruttamento illecito, salvo taluni episodi segnalati che non paiono comunque espressione di un fenomeno sistematico e continuativo.
Le questioni emerse nel corso dell'inchiesta permettono di formulare una serie di considerazioni in merito alle principali problematiche esistenti nella regione Basilicata:
i procedimenti di bonifica dei Sin di Tito e Val Basento sono, sostanzialmente, fermi per ragioni riconducibili alla mancanza di finanziamenti statali ed all'insufficienza di quelli regionali;
esistono numerose aree altamente inquinate che necessitano di interventi di bonifica; i fenomeni di inquinamento sono particolarmente diffusi, soprattutto se si tiene conto delle dimensioni territoriali della regione;
i controlli appaiono carenti e/o inadeguati a coprire efficacemente l'intero territorio, che risulta dunque esposto a rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, particolarmente presente nelle regioni limitrofe;
le indagini giudiziarie danno conto, allo stato, di un inquinamento provocato per lunghi anni dall'inceneritore La Fenice, inquinamento protrattosi nel tempo con effetti disastrosi per l'ambiente e