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Doc. XXIII n. 17


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Premessa.

La Commissione ha approfondito la situazione in cui attualmente versa la regione Basilicata, in relazione alle problematiche attinenti il ciclo dei rifiuti con particolare riferimento all'esistenza e alla natura degli illeciti riscontrati nonché alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nel sistema stesso.
A tal fine ha provveduto, da un lato, all'acquisizione di documentazione utile ai fini dell'inchiesta, dall'altro, all'assunzione di informazioni con audizioni tenutesi sia presso la sede della Commissione sia in occasione delle due missioni effettuate in Basilicata.
Pare opportuno, prima di entrare nel merito delle questioni approfondite dalla Commissione, dare conto dei risultati dell'inchiesta svolta sulla regione Basilicata nell'anno 2000 dalla Commissione bicamerale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della XIII legislatura, riportando integralmente le conclusioni della relazione redatta al termine dell'inchiesta medesima:
«La situazione del ciclo dei rifiuti in Basilicata, per come è stata esaminata sin qui, presenta un panorama senz'altro meno preoccupante rispetto a quanto registrato nelle altre regioni meridionali. Sia dal punto di vista dell'amministrazione, che da quello dell'attività di prevenzione e di contrasto, la situazione mostra - ad avviso della Commissione - una buona capacità di lettura dei fenomeni da parte di tutte le istituzioni interessate.
Emergono tuttora, e sono stati in precedenza sottolineati, ritardi per quanto concerne l'adeguamento del piano regionale alla normativa nazionale: la proposta di piano in discussione mostra però caratteristiche tali per cui la Basilicata potrà gestire nel futuro in maniera efficiente ed avanzata il ciclo dei rifiuti. Ciò a condizione che anche le province, cui sono delegati gli interventi concreti, pianifichino in tempi ragionevolmente brevi le attività sul territorio.
Il medesimo discorso riguarda la gestione dei rifiuti industriali e gli interventi sulle aree da bonificare, settori per i quali sono stati già programmati quegli interventi che portano ad escludere, per il prossimo futuro, situazioni emergenziali.
Resta aperto il discorso connesso all'impianto Enea della Trisaia, ma questo andrà affrontato e risolto nell'ambito della più generale opera di gestione dei rifiuti radioattivi italiani, tema di cui la Commissione si è più volte occupata e al quale ha dedicato un documento che propone la creazione di un'agenzia nazionale ad hoc.
Ma va dato atto alla regione Basilicata di aver istituito e di aver reso funzionante, prima anche di importanti realtà del Settentrione, l'agenzia regionale di protezione dell'ambiente. E di aver individuato nel tema della protezione ambientale e del contrasto all'illegalità un settore prioritario sul quale puntare la propria azione, come dimostrato dall'istituzione dell'osservatorio su ambiente e legalità.


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Sul versante dell'attività di contrasto la Commissione ha registrato l'attenzione che la magistratura della regione dedica a questo tema, rilevando che - per il momento - sono marginali le infiltrazioni della criminalità organizzata.
La scoperta di numerose discariche abusive conferma tuttavia come l'imprenditoria deviata consideri la Basilicata un territorio adatto ad attività illegali in tale settore. Anche da questo punto di vista, però, la Commissione segnala positivamente l'iniziativa della magistratura materana, che ha condotto un censimento delle aree a rischio di sversamenti illegali.
Da questo punto di vista particolare preoccupazione desta la presenza di numerosi pozzi di prospezione petrolifera abbandonati, in alcuni dei quali è stata già accertata la presenza di rifiuti smaltiti illecitamente. A tale proposito, la Commissione richiama l'attenzione di tutti gli organismi interessati affinché su tali aree esista la massima vigilanza, evitando il rischio di atti che avrebbero gravi ripercussioni sull'ambiente e sulla salute dei cittadini.
In linea generale, infine, la Commissione esprime apprezzamento per l'azione delle istituzioni amministrative, di polizia e giudiziarie che hanno individuato nel momento della prevenzione il caposaldo della loro azione, non delegando il contrasto al mero momento della repressione».

Nel corpo della relazione dell'anno 2000 sono state riportate, inoltre, alcune problematiche attinenti il rischio di smaltimenti illeciti cui appariva esposta la regione, evidenziate dalle diverse autorità interpellate (in particolare, prefetto e autorità giudiziaria). Allarmante era il dato relativo agli 890 siti inquinati censiti, la metà dei quali connessi alle attività di prospezione petrolifera.
Riguardo, poi, alla produzione dei rifiuti ed in particolare alla produzione di rifiuti speciali e pericolosi, sempre nel corpo della relazione si legge che:
«(...) il "rapporto sui rifiuti speciali (realizzato dall'Anpa e dall'osservatorio nazionale sui rifiuti nel 1999)" stima per il 1999 una produzione per la Basilicata di 720.594 tonnellate: i rifiuti pericolosi rappresentano il 19,6 per cento, con una produzione stimata in 145.535 tonnellate. Si tratta di un dato da evidenziare, poiché proprio in Basilicata si registra - tra le regioni italiane - la maggiore incidenza di rifiuti pericolosi sulla quantità totale di rifiuti speciali prodotti. Per quanto concerne invece la gestione dei rifiuti speciali, circa 13.000 tonnellate sono state trattate ai fini del recupero di materia, circa 4.000 tonnellate ai fini di recupero di energia, circa 5.000 tonnellate vengono indicate sotto la voce "altri trattamenti". Sono pertanto 650.000 le tonnellate che vengono inviate allo smaltimento finale: tuttavia nelle discariche regionali ne risultano smaltite solo 153.577, il che fa permanere un gap di conoscenza sulle restanti 400.000 tonnellate.»

Sul versante della criminalità, la Commissione aveva espresso apprezzamenti per l'attività di prevenzione e di contrasto esercitata sia dalle forze dell'ordine che dalla magistratura, ritenendo solo marginali le infiltrazioni da parte della criminalità organizzata.


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Ciononostante, si evidenziava che «(...) la stessa conformazione del territorio, peraltro caratterizzato da una bassissima densità di popolazione e, quindi, scarsamente presidiato da quest'ultima, fa della Basilicata il luogo ideale per tali smaltimenti e la rende appetibile ai trafficanti di rifiuti, attratti dalla possibilità di lucrare cospicui profitti».

Attività svolta nell'ambito dell'inchiesta aperta dalla presente Commissione.

Nel corso dell'inchiesta svolta dalla Commissione si è approfondita la situazione in cui versa attualmente la regione Basilicata, esaminandola sotto diversi profili, ad ognuno dei quali è stato dedicato un settore della relazione, che si compone di quattro parti.
Nella prima è stata svolta un'analisi sulle singole province sia per ciò che attiene al ciclo dei rifiuti sia per ciò che attiene agli illeciti riscontrati sul territorio.
La seconda parte offre un quadro generale in ordine al ciclo dei rifiuti nell'intera regione, alle problematiche attinenti all'attuazione del nuovo piano regionale dei rifiuti, alle infrazioni contestate dalla Unione europea, ed, infine, agli illeciti riscontrati sull'intero territorio.
La terza parte riguarda le procedure di bonifica e le problematiche concernenti i siti contaminati, con specifico riferimento ai siti di interesse nazionale nelle aree di Tito e Val Basento, ove sono stati effettuati importanti studi epidemiologici di cui viene dato conto.
La quarta ed ultima parte è dedicata in modo specifico alle conclusioni e all'analisi delle questioni attinenti alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti. Quest'ultimo tema viene approfondito in quanto la Commissione ha registrato uno «scarto» tra ciò che è emerso nel corso delle indagini giudiziarie svolte sul territorio e l'intensità e la pervasività dei traffici illeciti di rifiuti in tutte le altre regioni del sud Italia, traffici dai quali la Basilicata sembrerebbe esclusa.
Ed, infatti, sebbene più volte sia stata rappresentato dagli auditi come le caratteristiche della regione (sia dal punto di vista della collocazione geografica che da punto di vista delle caratteristiche del territorio e della scarsa densità demografica) la rendano permeabile alle infiltrazioni della criminalità organizzata radicata sul territorio delle regioni vicine, tuttavia non vi sono state indagini giudiziarie né sono stati rappresentati elementi concreti da cui poter desumere come l'infiltrazione da potenziale sia divenuta reale.
E però, proprio sulla base dell'esperienza e degli elementi conoscitivi acquisiti dalla Commissione nel corso dell'intera legislatura, è possibile che vi sia una distanza tra la realtà fattuale e la realtà oggetto di accertamento giudiziario, ossia tra la situazione realmente esistente e quella che emerge attraverso le attività di indagine svolte da parte degli organi competenti.
Sul punto il procuratore della Repubblica di Bari, dottor Laudati, nel corso di un'audizione tenutasi innanzi alla Commissione (in merito all'approfondimento territoriale della regione Puglia), facendo riferimento alla Puglia quale terra particolarmente interessata dai traffici


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illeciti, sia come luogo di destinazione dei rifiuti sia come luogo di transito degli stessi, ha sottolineato come gli accertamenti operati dall'autorità giudiziaria non sempre riescano a coprire la sfera di illiceità che avvolge un territorio.
Dunque, la Commissione intende, in questa quarta parte della relazione, riesaminare criticamente tutti gli elementi emersi nel corso dell'inchiesta dai quali poter desumere se il pericolo astratto di infiltrazione della criminalità organizzata si sia tradotto in un pericolo concreto ovvero in un fenomeno già in atto.
Nel corso dell'inchiesta svolta sono stati auditi:
il presidente della regione Basilicata, Vito de Filippo;
il presidente della provincia di Potenza, Franco Stella;
il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, Giovanni Colangelo (all'epoca in cui era procuratore delle Repubblica presso il tribunale di Potenza);
il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, Celestina Gravina;
il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Melfi, Domenico De Facendis;
il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lagonegro, Vittorio Russo;
il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza, Francesco Basentini;
il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero;
il prefetto di Potenza, Antonio Nunziante;
l'ex direttore Arpab, Vincenzo Sigillito;
l'assessore all'ambiente della provincia di Matera, Giovanni Bonelli;
il direttore dell'Arpab, Raffaele Vita;
il comandante provinciale dei Carabinieri di Potenza, T. Col. Giuseppe Palma;
il comandante del NOE di Potenza, cap. Luigi Vaglio;
il dottor Bolognetti, autore del dossier sui «Veleni industriali e politici della Basilicata».

Sono state, poi, effettuate due missioni nella regione.
La prima mirata all'approfondimento del tema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi (svolto nell'ambito dell'inchiesta sul fenomeno delle c.d. navi a perdere).
La seconda missione volta, in via più generale, ad approfondire tutte le tematiche attinenti il ciclo dei rifiuti nonché le indagini più recenti condotte dalla magistratura. Nell'ambito di quest'ultima missione, oltre ad essere state svolte una parte delle audizioni sopra indicate, sono stati effettuati sopralluoghi presso il centro Trisaia Enea


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di Rotondella e presso il termovalorizzatore Fenice in San Nicola di Melfi.
È stata, poi, acquisita documentazione dalle diverse autorità interpellate, quali presidente della regione, presidenti delle comandanti delle varie forze di polizia giudiziaria, procuratori della Repubblica.

1. Il sistema di rifiuti nelle province di Potenza e Matera.

1.2 La provincia di Potenza.

Nel territorio della provincia di Potenza, sono ricompresi circa 100 comuni, per un totale di poco meno di 400.000 abitanti.
Al suo interno sono presenti vari poli industriali, il più importante dei quali è quello di San Nicola di Melfi.
Una peculiarità del territorio è data dalla presenza di giacimenti petroliferi - concentrati soprattutto nella Val d'Agri e a Tempa Rossa, in provincia di Potenza - cui sarebbero connessi fenomeni di inquinamento legati alle perforazioni, aggravati dal possibile utilizzo illecito degli scavi per l'occultamento di rifiuti tossico nocivi.

Il ciclo dei rifiuti nella provincia di Potenza.

Il ciclo dei rifiuti nella provincia di Potenza presenta diversi elementi di criticità connessi alla mancata approvazione di un piano provinciale dei rifiuti in linea con il testo unico ambientale e con le prescrizioni europee (l'ultimo piano approvato risale al 2002), agli scarsi livelli di raccolta differenziata, all'utilizzo quasi esclusivo delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti, alla grave carenza impiantistica cui solo di recente si sta ponendo rimedio.
In merito alla situazione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Potenza sono stati acquisiti i dati forniti dal presidente della provincia, Piero Lacorazza (doc. 1061/1, 1061/2, 1077/1, 1077/2), che di seguito si riportano, con riferimento all'impiantistica, alle discariche, alle cave. Nel contempo si dà atto delle informazioni acquisite dai rappresentanti degli enti locali, nonché dal prefetto e dal questore di Potenza, in merito alle questioni oggetto di approfondimento.

1.2.1 Impiantistica e discariche.

Risultano esistenti sul territorio provinciale i seguenti impianti di trattamento rifiuti:
un impianto di termovalorizzazione gestito dalla Fenice spa, ubicato all'interno del comprensorio industriale in località San Nicola di Melfi: si compone di due linee di incenerimento, una che utilizza un «forno a griglia» per il trattamento dei rifiuti di natura urbana (rifiuti solidi urbani), con potenzialità di trattamento autorizzato di 30.000 tonnellate annue, l'altra che utilizza un «forno a tamburo


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rotante» per la termodistruzione dei rifiuti speciali pericolosi e non, con potenzialità di trattamento autorizzato di 35.000 tonnellate annue (nel prosieguo della relazione si approfondiranno le indagini che hanno avuto ad oggetto il termovalorizzatore gestito dalla Fenice spa);
due impianti di rigenerazione e trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non;
tre impianti di recupero in procedura ordinaria;
due impianti di stoccaggio di rifiuti pericolosi e non;
un solo impianto per il trattamento dei rifiuti liquidi con sede a Viggiano;
57 impianti di recupero rifiuti non pericolosi ex articolo 216 decreto legislativo n. 152 del 2006.

Le discariche di rifiuti solidi urbani presenti sul territorio provinciale sono:
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Venosa;
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Sant'Arcangelo;
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Atella;
discarica di rifiuti solidi urbani con sede in Lauria (esercizio sospeso);

Vi sono poi:
tre discariche per i rifiuti non pericolosi;
due discariche per i rifiuti speciali;
7 centri di rottamazione.

Non esistono sul territorio della provincia di Potenza impianti di produzione di CDR né impianti di compostaggio.
Sono, peraltro, in atto procedure da parte della provincia per la realizzazione di impianti di compostaggio sia nella piattaforma integrata di gestione dei rifiuti di Venosa che in quella di Sant'Arcangelo.
Si riportano le relative tabelle con i dati in dettaglio (doc. 1077/2):


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Secondo quanto riferito alla Commissione dal comandante provinciale dei Carabinieri di Potenza, Giuseppe Palma, nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, «le discariche di Atella, Sant'Arcangelo, Tito e Venosa, il termovalorizzatore di San Nicola di Melfi e le piattaforme di Muro Lucano, al momento, appaiono sufficienti per soddisfare le esigenze della provincia. Non si registrano inoltre situazioni particolari dal punto di vista gestionale».
Sulla questione attinente alla realizzazione dell'impiantistica necessaria per avviare un ciclo di smaltimento virtuoso dei rifiuti pare opportuno riportare quanto espresso dal prefetto di Potenza, dottor Antonio Nunziante, nella relazione trasmessa alla Commissione (doc. 1080/2):
«Nell'ambito dell'intesa istituzionale tra la regione Basilicata e le province di Potenza e Matera, approvata con D.G.R. n. 700 del


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22 aprile 2009, è stata prevista la realizzazione di un impianto per la produzione di compost di qualità delle frazioni compostabili provenienti dai sistemi di raccolta differenziata da realizzarsi in Loc.tà Notarchirico del comune di Venosa.
La realizzazione di tale struttura risulta indispensabile per dare risposta alle esigenze dei comuni del bacino nord del P.P.O.G.R. in ordine al trattamento della frazione umida dei rifiuti solidi urbani raccolta in modo differenziato.
La realizzazione della struttura impiantistica è stata affidata alla provincia di Potenza che in collaborazione con il comune di Venosa ne ha curato altresì l'elaborazione progettuale.
Nella provincia di Potenza, al momento, non esistono impianti per il trattamento della frazione umida per la produzione di compost di qualità. Tale carenza ha concorso al mancato raggiungimento degli obiettivi alla base della programmazione provinciale vigente in materia di gestione dei rifiuti.
Con la realizzazione dell'impianto nel territorio del comune di Venosa si intende avviare un nuovo percorso per modificare un trend negativo.
La localizzazione dell'impianto è stata determinata dalla preesistente presenza nell'area scelta della piattaforma polifunzionale di rifiuti solidi urbani del comune di Venosa con la quale la nuova struttura impiantistica, da realizzarsi in adiacenza, interagirà nelle diverse fasi del processo e dello smaltimento finale.
L'area oggetto dell'intervento avrà un'estensione pari a mq. 21.731, ricade nel comune di Venosa (Pz) in località Notarchirico ad una quota compresa tra 400 e 430 m circa sul livello del mare, ed è situata a circa 9 Km dal centro abitato.
Il sito è distante da insediamenti abitativi e produttivi ed è limitrofo a terreni prevalentemente incolti. Inoltre, nel raggio di 1 km non è riscontrabile la presenza di attività produttive, abitazioni, scuole, ospedali, impianti sportivi e ricreativi, infrastrutture di grande comunicazione, opere di presa destinate al consumo umano, corsi di acqua, riserve naturali, aree protette, fognature, metanodotti, acquedotti, oleodotti, gasdotti, elettrodotti di potenza maggiore o uguale a 15 kw.
Per quanto precede, ne deriva che le interferenze del futuro impianto di compostaggio con attività e infrastrutture di natura antropica sono molto contenute».

A questo proposito, il presidente della provincia, Piero Lacorazza, ha evidenziato l'esistenza di un'intesa regione-province, del 23 gennaio 2009, in ordine alla realizzazione di impianti di compostaggio nelle piattaforme integrate di gestione dei rifiuti di Venosa e Sant'Arcangelo, per dare esecuzione alla quale sono state avviate le relative procedure.
In particolare, dalla documentazione inviata alla Commissione si evince a che punto sia arrivato l'iter burocratico per la realizzazione delle opere (doc. 1077/2):
«con determinazione dirigenziale della provincia di Potenza n. 3683 del 13.12.2011 è stata effettuata l'aggiudicazione definitiva


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dell'appalto pubblico per la progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori concernenti l'impianto di compostaggio nella piattaforma integrata di gestione dei rifiuti a Venosa. Dovranno, dunque, essere, di seguito, acquisiti, tutti i pareri e le necessarie autorizzazioni prima dell'avvio dei lavori. Con deliberazione di giunta provinciale n. 4 del 19.01.2012 è stato, poi, approvato il progetto preliminare dell'impianto di compostaggio previsto nella piattaforma integrata di gestione dei rifiuti a Sant'Arcangelo. Dovrà, dunque, procedersi alla sottoscrizione di un accordo di programma tra gli enti interessati prima della pubblicazione, da parte della provincia di Potenza, del bando di gara per la progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori citati».

In data 13 marzo 2012, in occasione della missione che la Commissione ha svolto in Basilicata, è stato audito il presidente della provincia di Potenza, Piero Lacorazza.
L'audizione si è incentrata principalmente sulla necessità di aggiornare (entro il 31 dicembre 2013) il piano provinciale rifiuti, fermo all'anno 2002 e non in linea con quanto previsto dal testo unico ambientale, entrato in vigore nell'anno 2006, né con la normativa comunitaria:
«Quanto al ciclo integrato dei rifiuti della nostra provincia, nel corso degli anni, abbiamo incontrato delle criticità. Noi partiamo da una legislazione che va necessariamente aggiornata e che porta in sé alcune contraddizioni. Mi riferisco alla legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2001; al successivo piano provinciale dei rifiuti del 2002, che va necessariamente aggiornato, per effetto delle mutazioni intercorse, in particolare, nel codice ambientale, il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 e nelle successive modificazioni, ma anche da un numero rilevante di direttive comunitarie, a partire dalla quella che definisce una nuova modalità, nuove priorità e nuove gerarchie nel ciclo integrato dei rifiuti.
Parto dalla legge n. 6 del 2001 e dal piano provinciale che ne scaturisce del 2002, perché per il sistema del ciclo integrato dei rifiuti il piano ha certamente rappresentato un punto di avanzamento, perché si è ridotto il numero di discariche comunali, che prima era rilevante, mentre ora sono concentrate e meccanizzate. Noi non abbiamo più discariche tradizionali; al momento abbiamo un trattamento meccanico-biologico, almeno in tutti i nostri impianti della provincia di Potenza. Va da sé che un trattamento meccanico-biologico produce almeno una riduzione dell'organico e indirettamente anche una riduzione del possibile percolato che dalle discariche può essere sversato.
Il piano del 2002 aveva tuttavia in sé, da una parte, una razionalizzazione e, dall'altra, il peso di alcune preesistenze, consistenti in discariche rilevanti ma soprattutto in due inceneritori: La Fenice di Melfi, che nasce in concomitanza con la nascita della FIAT (è una storia dell'inizio degli anni novanta), ma anche in concomitanza con l'inceneritore di Potenza città, che al momento non è in funzione.
Dico questo perché noi siamo su un piano del 2002 che razionalizzava ma manteneva le discariche e nello stesso tempo si


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basa su due inceneritori preesistenti che complessivamente avrebbero dovuto trattare circa 50.0000 tonnellate annue, mentre parliamo oggi di circa 30.000 tonnellate su La Fenice - perché l'AIA autorizza 30.000 tonnellate sul forno che tratta rifiuti solidi urbani - e circa 20.000 sull'inceneritore di Potenza».

Riguardo l'inceneritore di Potenza, il presidente Lacorazza ha, tuttavia, specificato che lo stesso, pensato negli anni novanta per bruciare il talquale, non è ancora stato collaudato:
«Introducendo la frazione organica, il calore prodotto permetteva una certa quantità di rifiuto bruciato. Evidentemente però, riorganizzandolo rispetto alle normative che poi sono intercorse, e facendo la differenziata che porta a bruciare il secco, è chiaro che il potere calorifico aumenta, quindi bisogna mettere meno rifiuti, e riducendo la quantità si innalza anche il prezzo di conferimento, generando più di qualche problema. (...) si tratta di un impianto programmato, che ha avviato i lavori all'inizio degli anni novanta e che, per procedure diverse, ricorsi, e anche per una mole di questioni amministrative che si sono sviluppate, è arrivato ad esistere a un punto in cui quella tecnologia poteva apparire desueta. Si è però posto il tema di un investimento che era comunque già stato fatto e che doveva essere portato a conclusione, perché anche la magistratura contabile, in quel caso, avrebbe potuto verificare le ragioni di quell'investimento e il perché quell'impianto non entrava in funzione. (...)».

Con riferimento alle problematiche, emerse a livello provinciale, inerenti la carenza di impianti e l'inadeguatezza delle discariche esistenti, sono state acquisite ulteriori informazioni dal sindaco di Potenza, Vito Santorsiero, in data 14 marzo 2012, nel corso dell'audizione svolta avanti alla Commissione:
«Devo dire, per quel che riguarda la questione rifiuti nella mia città, che abbiamo avuto ed abbiamo periodicamente dei momenti di sofferenza nel settore, nel senso che in certi momenti i cassonetti sono pieni e si presentano dei piccoli accumuli in città.
Questo avviene essenzialmente perché abbiamo dei problemi di conferimento dei rifiuti presso il recapito finale. Il sistema di smaltimento dei rifiuti nella mia città prevede la raccolta e il successivo conferimento presso una stazione di trasferenza, dove conferiscono oltre al comune di Potenza anche altri venti o venticinque comuni - non conosco il numero preciso - per lo più del bacino del potentino. Dalla stazione di trasferenza, i rifiuti vengono poi portati presso il recapito finale (...) per una parte, l'inceneritore La Fenice e, per l'altra parte, le discariche di Venosa e Sant'Arcangelo. Questi sono i tre punti dove vengono portati i rifiuti per lo smaltimento finale. (...) Succede spesso che il recapito finale - generalmente rappresentato da discariche e oggi da La Fenice - si blocca, nel senso che dalla stazione di trasferenza il soggetto che la gestisce e vi trasferisce i rifiuti, trova il recapito finale con la porta chiusa, perché non accoglie, a volte per ritardi dei pagamenti. È un loro modo per pressarci e far sentire la loro voce, e capita spesso. In


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questo momento, ad esempio, abbiamo un problema di questo tipo, con uno dei tre recapiti, quello di Sant'Arcangelo.
Il recapito finale si blocca per mandare a regime il sistema dopo che scade l'ordinanza regionale o provinciale. Quando si cambia casomai il recapito finale e si passa da una discarica ad un'altra, ci sono dieci giorni per mettere a posto tutta la documentazione necessaria e avviare il nuovo flusso. In questa fase di transizione, con una stazione di trasferenza che ha una capacità di accumulo molto limitata, si va in crisi. Chiaramente quando la stazione di trasferenza ci chiude i cancelli, si accumulano i rifiuti per strada. Abbiamo quindi periodicamente delle situazioni di sofferenza determinate essenzialmente da questa situazione.
È evidente che, se ci fosse stata una discarica direttamente a servizio della città e del bacino del potentino, la situazione sarebbe stata per noi sostanzialmente risolta, trattandosi di venti comuni. In genere la nostra pianificazione prevede situazioni di questo tipo. Per la verità, la programmazione regionale ha previsto la collocazione di una discarica prevista propria a Potenza, dove abbiamo un sito in cui, in questo momento, sono accumulate 500.000 tonnellate di rifiuti. Si chiama la Pallareta ed è il sito storico del recapito dei rifiuti della città di Potenza (...) Noi abbiamo lì un impianto che raccoglie tutti i gas emessi da questo bacino, da questo condominio di discariche, e trasformandoli in energia, produciamo qualcosa come 500 kw/h.
La regione, all'inizio del 2008, ha previsto un ampliamento di quest'area, per realizzare un'ulteriore discarica di 95.000 metri cubi. La procedura per la realizzazione di questa discarica è ancora oggi in corso, perché durante l'iter di approvazione, di verifica e di analisi della progettazione è stata chiesta la caratterizzazione ambientale del sito - attualmente in corso - che, come ben sapete, è una procedura estremamente lunga e complessa, per i tipi di analisi e di verifiche ambientali che richiede. (...) Quella a cui stiamo lavorando con la procedura è una discarica pubblica, gestita dal pubblico. Per noi è la condizione ottimale, come comprenderete. I 500.000 metri cubi di condominio di discariche di cui ho parlato erano tutti di proprietà del comune, e li abbiamo gestiti con una società interamente del comune, l'ACTA, che fa raccolta e pulizia e che gestiva anche la discarica. Il nostro obiettivo è di completare questo percorso. (...) Circa la carenza di discariche in questo contesto del bacino Potenza centro, devo dire anche che altre ipotesi ed altre soluzioni provvisorie in questo momento sono tutte quante al vaglio degli uffici competenti, ma si tratterebbe comunque di soluzione tampone, in vista di quella che viene considerata la soluzione madre, ossia la realizzazione della discarica da 95.000 metri cubi nella città di Potenza, presso questo sito di cui vi ho parlato che si chiama Pallareta (...) Circa le dimensioni, nella nostra regione una discarica di 100.000 metri cubi viene considerata enorme. (...) quei 95.000 metri cubi vanno considerati non tanto in funzione della cubatura che produciamo, bensì in funzione di una previsione che considera la raccolta differenziata».

Riguardo l'inceneritore, il sindaco Santarsiero ha dichiarato:
«A Potenza abbiamo anche un inceneritore, che ha una lunga storia amministrativa, iniziata negli anni novanta: è stato oggetto di


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una gara, ci sono state ricorsi tra le ditte, è subentrata una successiva ditta, nel momento del subentro c'è stata una serie di problematiche e l'inceneritore, in questo momento, ancora non è partito; dopo una fase di avvio negli scorsi anni, abbiamo ancora un problema di rapporti con la società che deve portarlo a collaudo. Speriamo nelle prossime settimane di poter addivenire a qualche momento di maggiore chiarezza. Tenete conto che la società che opera è un'Ati, ma al suo interno il peso maggiore è di Veolia, questa multinazionale che pare abbia deciso di lasciare l'Italia come attività, il che potrebbe semplificare la chiusura di un rapporto mettendoci nelle condizioni, come comune, di poter chiudere autonomamente la vicenda dell'inceneritore. (...) vivevamo una situazione di contenzioso strisciante e non si arrivava al collaudo. Sa perché non si arrivava al collaudo? Noi abbiamo questo impianto nato negli anni novanta su cui, di volta in volta, per i continui adeguamenti imposti dalla normativa vigente negli ultimi cinque o sei anni, abbiamo avuto necessità di dover intervenire con risorse ingenti per adeguarlo.
La contesa nasceva dal fatto che, siccome la ditta è arrivata nella fase terminale, rivendicava situazioni non adeguate oppure usura in pezzi da parte della gestione precedente, per cui noi, nell'ultimo periodo, abbiamo detto che non volevamo più sborsare un euro. Eravamo addivenuti alla decisione che comunque, al di là della scelta di Veolia di lasciare l'Italia, avremmo bloccato tutto, facendo una gara nella quale chiedere ai soggetti partecipanti di portare a collaudo l'impianto e partire. Lo avremmo fatto comunque, perché all'ultimo resoconto economico, in cui ci chiedevano ulteriori risorse per l'adeguamento, abbiamo detto che non volevamo più mettere un euro. A questo punto facciamo una gara e se c'è qualcuno che ce lo porta a collaudo, gli diamo la gestione per un certo numero di anni, ma anche l'adeguamento alle ultime norme va fatto attraverso una gara, che quindi avevamo previsto a prescindere».

Il sindaco ha chiarito che l'inceneritore è stato realizzato con fondi pubblici e ha aggiunto che, una volta avviato l'inceneritore, che è in grado di bruciare appena 12.000 tonnellate all'anno di secco, e incentivata la raccolta differenziata, una cubatura di discarica di 95.000 metri cubi potrebbe garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti per i prossimi sette/otto anni.
La Commissione, in data 14 marzo 2012, ha audito l'attuale direttore dell'Arpab, ingegner Raffaele Vita, il quale ha riferito in merito all'attività di monitoraggio delle discariche, svolta dall'agenzia, soffermandosi in modo particolare sulle problematiche che attengono alle autorizzazioni e alla preventiva attività di verifica sull'esistenza delle condizioni per il rilascio delle stesse:
«Per il resto, la nostra funzione è di monitoraggio su alcune discariche, dove verifichiamo la funzionalità dei sistemi che garantiscono che non ci siano problemi per la Unione, solo se siamo certi che questi sistemi di monitoraggio funzionano. Oggi chiaramente l'attenzione si è moltiplicata ed è molto più intensa in merito. Su alcune discariche non l'abbiamo autorizzato perché non ritenevamo che fosse completo. Penso a Lauria o all'ultimo caso di Carpineto, di


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cui avrete parlato. (...) mi riferisco alle discariche per cui sono in corso le autorizzazioni, come nel caso di Lauria. Tutto il sistema si predispone al rilascio della cosiddetta autorizzazione integrata ambientale (AIA), il cui pezzo principale, per quella che è la nostra funzione, è il sistema di monitoraggio. (...). Prima di poter mettere in funzione una discarica o qualsiasi altra cosa (...) il sistema di monitoraggio deve essere garantito con sicurezza, (...) dobbiamo essere certi che non ci sia percolati, inquinamenti di falda eccetera (...) nel caso di Lauria, si tratta di undici o dodici piezometri profondissimi, che intercettano a monte e a valle, le falde, in modo tale che si possa avere un punto di riferimento di quello che accade, per poter valutare gli effetti. Sono strumenti molto costosi, sui quali è però opportuno non derogare (...). La prima cosa, che non è un dato scontato, è che ogni discarica sia ben controllata nel suo normale esercizio. Questa è una funzione che spetta a noi. Farlo significa anche, se ci sono problemi nella matrice acque, circondarla di idonei sistemi per la loro misurazione, che devono funzionare in continuo e non devono avere interruzioni.».

1.2.2 Raccolta differenziata.

Secondo i dati forniti dal presidente della regione, Vito De Filippo, la raccolta differenziata nella provincia di Potenza ha raggiunto il 16,49 per cento nell'anno 2010.
La provincia di Potenza, con D.G. n. 183 del 19 maggio 2003, ha istituito l'osservatorio provinciale sui rifiuti per il monitoraggio della gestione dello smaltimento dei rifiuti.
I report sui rifiuti urbani elaborati dall'osservatorio provinciale forniscono informazioni sui dati relativi alla produzione di rifiuti, sulla raccolta differenziata effettuata, sulla destinazione dei flussi di rifiuti solidi urbani verso l'impiantistica esistente e sulla capacità residua della stessa.
I dati raccolti offrono elementi di riflessione per consentire una programmazione della gestione dei rifiuti coerente con la peculiarità delle diverse aree del territorio provinciale e costituiscono la base conoscitiva per l'aggiornamento della programmazione provinciale di organizzazione della gestione dei rifiuti.
Nella relazione trasmessa dal prefetto di Potenza (doc. 1080/2) si dà conto dei dati elaborati dall'osservatorio predetto, riportati nel «Rapporto rifiuti urbani - anno 2011», che pongono in risalto la peculiarità del territorio lucano rispetto al resto della situazione italiana.
In particolare, da un lato, viene evidenziato che la produzione totale dei rifiuti risulta in diminuzione nel corso degli anni, in ragione della corrispondente flessione della popolazione residente e dei minori consumi imposti dalla crisi economica.
Dall'altro, viene sottolineato il differente comportamento dei comuni, che porta, in alcuni casi, a percentuali di raccolta differenziata in veloce crescita e, in altri casi, a situazioni di preoccupante inerzia.


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Si riporta il passo della relazione del prefetto sull'argomento:
«bassa produzione pro capite di rifiuto e trend in diminuzione della popolazione sono le specificità che contraddistinguono la provincia. La produzione totale dei rifiuti risulta tendenzialmente in diminuzione nel corso degli anni, assieme ad una corrispondente flessione della popolazione residente.
Tale ultimo dato però - in considerazione della modesta quantità pro capite prodotta e non proporzionata al calo dei rifiuti registrata - non sembra essere l'unico parametro determinante il comportamento rilevato. La tendenza è parzialmente attribuibile ai minori consumi imposti dalla crisi economica che si traducono in un minor ricorso all'acquisto di beni e, come conseguenza, ad una minore produzione di rifiuti. Tuttavia, un'analisi territoriale più dettagliata, effettuata mediante la disaggregazione dei parametri a livello di bacini e comuni, evidenzia l'esistenza sul territorio di realtà ampiamente diversificate per quanto attiene sia alla produzione dei rifiuti sia alle quantità di raccolta differenziata effettuata. La situazione riscontrata mette in risalto una diversità nell'approccio della problematica da parte dei vari comuni fatta di luci e ombre. Infatti, tra comuni anche con medesime caratteristiche demografiche, ambientali ed economiche si registrano comportamenti molto divergenti soprattutto in tema di raccolta differenziata; a fronte di pratiche di gestione che determinano percentuali di raccolta in veloce crescita si registrano situazione di preoccupante inerzia».

Il presidente Lacorazza ha evidenziato quelli che, secondo il suo parere, rappresentano i maggiori punti di criticità nel ciclo dei rifiuti della provincia che hanno inciso sul mancato raggiungimento degli obiettivi in tema di raccolta differenziata:
«(...) da una parte, c'è assenza di impianti di compostaggio; e, dall'altra, le caratteristiche della regione Basilicata, poco densamente abitata, con sessanta abitanti per chilometro quadrato, con un'organizzazione e un modello gestionale che sia sostenibile dal punto di vista dei costi. Faccio un paragone immediato. Da noi cento chilometri di condotta idrica, allacciano forse cento utenze. Avendo noi 600.000 abitanti, come un quartiere di Napoli o la città di Bari, in cento chilometri allacciano 100.000 utenze. Noi viviamo in una realtà che apparentemente può sembrare semplice, perché la quantità del rifiuto è ridotta, ma che porta il peso dell'organizzazione logistica, gestionale e impiantistica, che non è indifferente.
Partendo da questi presupposti - quindi organizzazione logistica e impiantistica - noi abbiamo rafforzato molto la parte delle vecchie discariche. In provincia di Potenza, gli impianti (non le discariche) hanno almeno il trattamento meccanico-biologico. Poi dirò quali sono funzionanti in questo momento e quali no, ma gli impianti previsti dal piano sono sostanzialmente sette: Lauria, Sant'Arcangelo, Venosa (in tutti e tre c'è un trattamento meccanico-biologico); Atella, dove anche è previsto il trattamento in impianto meccanico-biologico, con annessa vasca costruenda di 95.000 metri cubi, il che significa che abbiamo un ulteriore impianto che si sta rafforzando; Potenza Pallareta, un impianto chiuso, sottoposto a procedimento di caratterizzazione, sul


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quale è stato chiesto un ampliamento di ulteriori 100.000 metri cubi; Moliterno, che va a chiusura con una colmatura di circa ulteriori 30.000 metri cubi, ma è sottoposto anche quello a caratterizzazione. Avrebbe poi dovuto esserci il settimo impianto, di Genzano, per il quale è molto probabile che non si procederà per un'opposizione della Unione ad un impianto già autorizzato, con vasca annessa di ulteriori 95.000 metri cubi. Questioni sono i sette impianti previsti nel piano. Ce ne sono al momento due funzionanti, Venosa e Sant'Arcangelo, e il terzo impianto funzionante che sta ospitando i rifiuti del bacino centro, della provincia di Potenza, è La Fenice, fino alla decorrenza di 30.000 tonnellate all'anno, così come autorizzate da procedura AIA. Questa è la condizione degli impianti disponibili. (...) stiamo lavorando al rafforzamento degli impianti esistenti. Abbiamo tra l'altro chiuso - lo dico come informazione - la parte relativa all'infrazione comunitaria. Noi abbiamo sottoposto tutte le nostre discariche a controlli, depositati in regione, quindi partirà la parte eventuale sanzionatoria. Mi riferisco sia a quelle in esercizio, sia a quelle che da decreto legislativo n. 36 del 2003, devono assicurare la post-gestione rispetto alla chiusura. Tutti i controlli sono stati eseguiti, con tutte le verifiche sul posto. Laddove dovranno partire, partiranno dei meccanismi sanzionatori.

Stiamo poi lavorando a concludere la parte impiantistica della quale parlavo, perché per noi il ciclo virtuoso ci dovrà essere, ma servono comunque volumetrie in discarica, perché dovremo gestire questa fase e in più abbiamo già appaltato e aggiudicato il primo impianto di compost in provincia di Potenza».

Sui livelli di raccolta differenziata nella città di Potenza e nei comuni limitrofi ha riferito dettagliatamente il sindaco di Potenza, Vito Santarsiero, sempre nel corso dell'audizione del 14 marzo 2012, avanti alla Commissione.
Il sindaco ha parlato di un progetto redatto dal Conai con il quale si intende raggiungere l'obiettivo del 65 per cento di raccolta differenziata. Tale progetto prevede investimenti cospicui per l'acquisto di mezzi contenitori e per la realizzazione della raccolta domiciliare, per la quale, peraltro, vi sono difficoltà derivanti dall'estensione del territorio e dalla distribuzione della popolazione:
«La mia città, in termini di rifiuti, produce un totale - posso darvi i dati dello scorso anno - di circa 29.000 tonnellate in un anno. Abbiamo un dato di raccolta differenziata annuo nell'ordine del 26,5 per cento, anche se abbiamo avuto anche punte più alte. Sulla raccolta differenziata abbiamo approvato in consiglio comunale un progetto, che è stato redatto dal Conai, con il quale puntiamo a raggiungere l'obiettivo del 65 per cento. Un progetto che, per la verità, prevede investimenti cospicui in mezzi contenitori, nell'ordine dei 7 milioni di euro, rispetto ai quali speriamo di poter cogliere un finanziamento dedicato attraverso la regione Basilicata e di poter già entro la fine dell'anno attivare questo modello di raccolta differenziata di tipo domiciliare. Va considerato che quello attuale - un modello che opera attraverso contenitori presenti sul territorio comunale - ci consente,


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di avere una raccolta differenziata al 26 per cento, che non ci soddisfa ma è abbondantemente superiore alla media regionale, pari al 16 per cento. Tra le città capoluogo del Mezzogiorno è un dato significativo. Con questo modello, comunque, più del 35 per cento noi non potremmo raggiungerlo, per cui puntiamo al domiciliare, per arrivare a questo 65 per cento. (...)
Va considerato che si punta ad una raccolta differenziata che possa, nel giro di un anno, già solo nella città di Potenza, produrre numeri molto alti. Il dato complessivo è di 29.000 tonnellate ma, al netto della differenziata, quello che noi oggi portiamo in discarica sono 21.000 tonnellate. (...) La differenziata, come vi dicevo, la stiamo attuando con una modello di raccolta che prevede la presenza di contenitori per il vetro, contenitori multimateriale, contenitori per il talquale; abbiamo poi una diffusa presenza presso uffici, strutture della ristorazione ed altro, di contenitori per intercettare tutto il materiale che può essere recuperato o riciclato. Un meccanismo che oggi ci porta ad oltre il 26 per cento e che, spinto ulteriormente, ci può portare, nella migliore delle ipotesi, al 35 per cento, perché noi non intercettiamo l'umido.
Da noi è questo il sistema della raccolta differenziata; è quello compatibile con le nostre risorse, con i mezzi e gli uomini dell'ACTA. Il progetto Conai, che abbiamo già approvato, che ci porterà al 65 per cento, si basa su un modello di tipo domiciliare, che è stato oggetto di uno studio molto attento, perché la mia città ha un territorio molto vasto. (...) La città di Salerno, che ha un risultato straordinario nell'ordine del 70 per cento, è una città che ha 170.000 abitanti in 50 chilometri quadrati. Noi abbiamo 70.000 abitanti in 160 chilometri quadrati e il 20 per cento della mia popolazione è distribuita sul territorio rurale, dove peraltro ci sono 400 chilometri di strade. Abbiamo quindi problemi gestionali molto forti, di tipo ordinario, per tutti i sistemi a rete che dobbiamo offrire, a parte quelli legati all'orografia del territorio, che come avete visto è piuttosto complessa.
Questo determina, anche nel settore dei rifiuti, un costo notevole e abbiamo quindi una situazione di questo tipo. La tassa per i rifiuti solidi urbani da noi è mediamente del 40 o 50 per cento inferiore a quella di Salerno, dove il risultato viene colto anche attraverso una tassa per i rifiuti solidi urbani molto alta. Vi faccio un esempio per far comprendere le proporzioni. Per un'abitazione di 110 metri quadrati, a Potenza, si spendono in un anno 278 euro di tassa per i rifiuti solidi urbani. A Salerno, per la stessa abitazione, se ne spendono 423.
È evidente quindi che, potendo io dare alla mia azienda, 15 milioni di euro invece di 10, allora la raccolta differenziata, con questo modello, si potrebbe portare immediatamente al 35 o 40 per cento. L'obiettivo è comunque di andare verso un modello molto più forte e molto più spinto.
Devo dire che, sotto questo aspetto, non ho avuto sollecitazioni o pressioni da parte di privati interessati a contenere la raccolta differenziata o a rafforzarla. Non avendo un problema di questo tipo, non ho ben compreso quale potrebbe essere l'obiettivo di chi, in questo momento, potrebbe essere interessato ad evitarla; forse qualcuno che voglia aumentare il flusso dei rifiuti verso le discariche? Noi

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invece spingiamo per alzare i numeri della raccolta differenziata e su questo il problema è solo nostro, organizzativo, ma devo dire che in questa direzione scontiamo le cose che vi ho detto, sia la parte economica, sia il fatto che abbiamo un'azienda che, per una serie di motivi storici, e per lo più propri del nostro Mezzogiorno, ha un numero molto alto di persone che operano nel settore amministrativo.
Su 131 persone addette, ben 27 o comunque circa una trentina, sono amministrativi. Negli ultimi dieci anni, sono aumentati di una decina. Ci troviamo di fronte a situazioni di dipendenti con certificati medici che attestano che non possono stare su strada e questo è un problema che subiamo. Ripeto, che subiamo. Quando vengono confermati, purtroppo capite bene che un sindaco non può andare da una di queste persone e dirle che è idonea, perché potrebbe prendere persino una denuncia. Si scontano anche situazioni di questo tipo, presenti in percentuale piuttosto alta. Stiamo cercando ovviamente in tutti i modi di contenere e indirizzare il fenomeno, però scontiamo una situazione che si è determinata nel passato».

Sulla base dei dati acquisiti si evince che il ciclo dei rifiuti si esaurisce nel conferimento in discarica o presso l'inceneritore Fenice, mentre si attesta su livelli bassissimi la raccolta differenziata, rispetto alla quale, come evidenziato dal sindaco di Potenza, esistono problematiche per la sua concreta attuazione legate alla difficoltà di organizzare una raccolta porta a porta in ragione della bassa densità di abitanti distribuiti su una superficie di territorio molto estesa.

1.2.3 Il termovalorizzatore la Fenice di San Nicola di Melfi.

1.2.3.1 Descrizione dell'impianto.

L'impianto, denominato «Fenice» è stato costruito nel settembre del 1999 (nell'area di San Nicola di Melfi) ed è diventato operativo nel 2000, come impianto di termodistruzione di rifiuti tossici e nocivi.
Dalla relazione allegata al rapporto di aggiornamento trasmesso a questa Commissione dal presidente della regione Basilicata Vito De Filippo, redatto in data 9 dicembre 2011, risulta che:
«La piattaforma per il trattamento dei rifiuti urbani e speciali mediante termovalorizzazione denominato "ITM - Impianto di termovalorizzazione di Melfi", di proprietà della società Fenice ambiente s.r.l., è ubicata all'interno del comprensorio industriale in località San Nicola di Melfi. (...)Nella piattaforma ITM viene effettuata l'attività di trattamento/smaltimento dei rifiuti urbani e speciali (pericolosi e non) mediante termovalorizzazione, nonché l'operazione di recupero energia.
La suddetta piattaforma concorre al raggiungimento degli obiettivi del "piano provinciale di organizzazione della gestione dei rifiuti", con particolare riferimento allo smaltimento dei rifiuti provenienti dall'area Vulture Melfese.
L'impianto si compone di due linee di incenerimento, una che utilizza un forno a tamburo rotante per la termodistruzione dei rifiuti


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speciali della capacità autorizzata di 35.000 t/a e l'altra che impiega un forno a griglia per rifiuti di natura urbana della potenzialità di 30.000 t/a.
Le sezioni che compongono la piattaforma sono in sintesi le seguenti:
1. accettazione rifiuti: area destinata al controllo dei rifiuti in ingresso ed alla pesatura degli stessi. L'accettazione del carico avviene solo a seguito di un controllo radiometrico, mediante portale fisso (in grado di discriminare sorgenti di radioattività comparabili al fondo ambientale), e ad un'omologazione dello stesso;
2. aree di stoccaggio rifiuti: una volta omologato e controllato dal punto di vista radiometrico, il carico di rifiuti in ingresso all'impianto, distinto per tipologia, viene temporaneamente stoccato in apposite fosse dedicate. Le aree di movimentazione e scarico dei rifiuti, opportunamente impermeabilizzate, sono dotate di una rete per il collettamento dei reflui tecnologici in fognatura. Al fine di evitare la diffusione di polveri ed odori all'esterno, le fosse di stoccaggio sono dotate di appositi portoni, che ne consentono l'accesso durante le operazioni di scarico e sono mantenute in leggera depressione attraverso l'aspirazione di aria che successivamente viene inviata in camera di combustione;
3. linea incenerimento forno a tamburo rotante: durante il processo di combustione, il movimento rotatorio del cilindro combinato alla leggera inclinazione (2 per cento) di cui è dotato il forno favoriscono l'avanzamento e la miscelazione del materiale da incenerire nonché l'evacuazione delle scorie che si originano. Il forno è inoltre dotato di tre bruciatori di post combustione a gas metano e di un ulteriore bruciatore di fusione scorie per fondere i residui eventualmente depositati intorno alle pareti del forno;
4. linea incenerimento forno a griglia: durante il processo di combustione il movimento di cinque rulli consente il rimescolamento dei rifiuti, favorisce la miscelazione con l'aria comburente e spinge in avanti le scorie. Il forno è inoltre dotato di due bruciatori ausiliari a gas metano collocati rispettivamente sulla volta del forno e prima dell'ingresso nella camera di post combustione;
5. impianto di inertizzazione ceneri: le ceneri leggere che si originano dalle caldaie e dalle linee di trattamento fumi vengono convogliate mediante nastri trasportatori a due sili di stoccaggio, per essere successivamente trattate attraverso un processo di inertizzazione e smaltite presso centri autorizzati. Tale processo ha la funzione di ottenere un rifiuto perfettamente stabile e che non presenti rischi di rilascio di inquinanti per contatto con acqua di dilavamento. Il processo di stabilizzazione delle ceneri è stato temporaneamente affidato a siti autorizzati esterni. Il conferimento delle ceneri all'esterno è stato autorizzato dall'ufficio ambiente dalla provincia di Potenza con la determinazione dirigenziale n. 3065 del 14.10.2010 e con la nota prot. n. 15288 del 14 aprile 2011;
6. recupero energetico: il vapore generato dalle caldaie a servizio delle due linee di combustione si espande in turbina

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generando energia elettrica che, in parte viene utilizzata per gli usi interni alla piattaforma ed in parte viene ceduta in rete.

Le emissioni in atmosfera dell'impianto sono costituite dai prodotti di combustione dei due forni di incenerimento rifiuti.
Entrambe le linee di combustione sono dotate di un sistema di trattamento dei fumi, costituito da un filtro a maniche per l'abbattimento delle polveri, di uno scrubber per l'abbattimento ad umido dei gas acidi e di un reattore per l'abbattimento degli NOx, nonché di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni.
In accordo a quanto stabilito dalla normativa di settore per gli inceneritori viene effettuato il monitoraggio in continuo dei seguenti inquinanti CO, S02, NOx, polveri totali, TOC, HCI e con cadenza periodica trimestrale misure degli inquinanti acido fluoridrico, idrocarburi non metanici, acido nitrico, formaldeide, acido cianidrico, IPA, PCB+PCT+PCN, Cd+TI, Hg, metalli pesanti (Sb, As, Pb, Cr, Co, Cu, Mn, Ni, V), PCDD+PCDF.»

L'impianto di termovalorizzazione presenta due punti di scarico finale delle acque reflue prodotte: uno, quello principale, riguardante i reflui tecnologici, quelli di prima pioggia e quelli civili che ha come ricettore finale l'impianto di trattamento acque reflue (TAR) ubicato nel vicino stabilimento SATA, di proprietà e gestione Fenice, e l'altro relativo alle acque meteoriche che dilavano lungo i tetti dei fabbricati presenti all'interno della piattaforma e vengono recapitate direttamente all'impianto di depurazione di proprietà del Consorzio ASI.
Dal punto di vista delle emissioni sonore le campagne di monitoraggio acustico effettuate dalla società Fenice (da ultima quella del 24-25 febbraio 2010) hanno evidenziato il rispetto dei limiti assoluti di immissione diurni e notturni previsti dalla normativa vigente in tutte le postazioni di misura (sono stati individuati 5 punti di misura ubicati lungo i confini della piattaforma)....

1.2.3.2 L'inquinamento provocato dall'inceneritore Fenice.

Riguardo l'inquinamento provocato dall'inceneritore Fenice, si illustra di seguito quanto accaduto dall'acquisizione della notizia relativa all'inquinamento medesimo, alla fase di caratterizzazione fino allo stato attuale della contaminazione ambientale, secondo i dati contenuti nella relazione allegata al rapporto di aggiornamento già citato (doc. 989/1 e 989/2):
«la regione ha notizia del possibile inquinamento delle acque di falda, per la prima ed unica volta, nel gennaio 2009 a seguito di comunicazione Arpab, a mezzo nota prot. n. 1933 del 3 Marzo 2009, in cui si accerta l'avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), previste dalla tabella 2, dell'allegato 5 alla parte IV del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, per le sostanze Nichel, Mercurio, Fluoruri, Nitriti, Tricloroetano, Tricloroetilene, Tetracloroetilene, Bromodiclorometano e Dibromoclorometano.


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L'entità dei superamenti iniziali, rispetto al decreto legislativo n. 152 del 2006, Ali.5, Parte IV Tab. 2, era pari a 57 volte il limite per il Nichel, 100 volte per il Mercurio e da 1,5 volte a circa 4 per il tricloroetilene, tetracloroetilene, bromodiclorometano, dibromoclorometano.
A seguito di specifica richiesta della CdS rivolta all'Arpab, ribadita dal sindaco pro tempore del comune di Melfi con nota prot. 0203/09 del 14 marzo 2009, sono acquisiti agli atti del procedimento i risultati delle determinazioni analitiche in precedenza accertati dall'agenzia. L'Arpab con nota prot. n. 2741 del 27 marzo 2009 ha comunicato i superamenti preesistenti a tale data e che risalivano fino al dicembre 2007. Gli unici dati trasmessi finora da Arpab, afferenti al primo ed unico procedimento di bonifica, sono quelli dell'avvio del procedimento di cui alla nota 4 3:inoltre le analisi di validazione Arpab (nota prot. n. 0012782 del 30 dicembre 2009) hanno evidenziato necessità di tener conto delle variazioni delle concentrazioni nelle acque di falda dei seguenti analiti: alluminio arsenico boro; selenio solfati».

La fase di caratterizzazione:
«La caratterizzazione ha individuato alcune delle possibili sorgenti di contaminazione e determinato i parametri sito specifici per l'analisi di rischio sanitario ambientale.
Le possibili sorgenti individuate, già isolate dal soggetto obbligato nell'ambito della messa in sicurezza d'emergenza, sono ascrivibili a perdite provenienti dalle reti di gestione dei reflui e vasche di contenimento.
I risultati ottenuti comportano l'obbligo di bonifica delle acque sotterranee e la valutazione del rischio sanitario ambientale per la verifica del superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).»

La contaminazione ambientale: risultati della caratterizzazione suolo/sottosuolo (approvati CdS dell'11 gennaio 2010), la matrice suolo/sottosuolo è risultata esente da contaminazione.
Lo stato attuale della contaminazione ambientale:
«Il rapporto del monitoraggio Arpab inerente i campioni prelevati in data 8-9 marzo 2011 in sei dei nove pozzi di monitoraggio indicano il superamento di n. 4 specie chimiche, mentre i restanti tre pozzi non sono stati campionati per assenza di acqua.
1. Nichel 12,1 volte eccedenti i limiti normativi;
2. manganese 22,56 volte eccedenti i limiti normativi;
3. tricloroetilene 1,33 volte eccedenti i limiti normativi;
4. -1.2 dicloropropano 1,2 volte eccedenti i limiti normativi.

Il rapporto del monitoraggio Arpab inerente i campioni prelevati in data 11 maggio 2011 nei 9 pozzi di monitoraggio indicano il superamento di n. 6 specie:
1. Nichel 12,1 volte eccedenti i limiti normativi;
2. Arsenico 1,8 volte eccedenti i limiti normativi;


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3. Nichel 19,65 volte eccedenti i limiti normativi;
4. Manganese 25 volte eccedenti i limiti normativi».

1.2.3.3 Gli interventi attuati in seguito all'accertamento della contaminazione ambientale.

Anche con riferimento agli interventi attuati in seguito all'accertamento della contaminazione ambientale, in particolare per ciò che riguarda la messa in sicurezza di emergenza e l'analisi di rischio sanitario ambientale, si riporta il contenuto della relazione trasmessa dal presidente della regione (doc. 989/1 e 989/2):
«A seguito della comunicazione di avvenuto superamento delle CSC l'ufficio prevenzione e controllo ambientale, con nota prot. n. 67833/75AA del 3 aprile 2009, ha chiesto alla Fenice Spa l'immediata messa in sicurezza della falda e la comunicazione degli interventi adottati ed in corso di attuazione. Nel prosieguo si è resa necessaria l'emanazione di specifica ordinanza sindacale che il sindaco di Melfi, grazie al coordinamento degli enti, ha emesso per specificare al soggetto obbligato tempi e modalità di intervento.
I primi interventi hanno consentito di limitare la propagazione dello stato di contaminazione all'esterno del sito. Questo obiettivo è stato ottenuto utilizzando i piezometri, costituenti la rete di monitoraggio delle acque sotterranee, come punti di emungimento delle acque di falda.
Allo scopo di migliorare l'intercetto e riduzione dei pennacchi di contaminazione si è chiesta la realizzazione di una barriera idraulica indipendente dalla rete piezometrica di monitoraggio del Vulture-Melfese posta a monte della stessa. L'attività di emungimento è passata dalle 9 postazioni piezometriche iniziali ai 28 pozzi costituenti la barriera idraulica, grazie agli ulteriori interventi di ampliamento richiesti dalla regione. Tutte le attività di emungimento si sviluppano in condizioni controllate da specifici sistemi di monitoraggio, attualmente in corso di ulteriore perfezionamento come richiesto dalla regione durante l'istruttoria dell'AdR.
Allo stato attuale il sistema di emungimento e monitoraggio è così composto:
n. 9 pozzi di monitoraggio rete di monitoraggio Vulture melfese;
n. 28 pozzi barriera idraulica a monte idrogeologico; barriera idraulica utilizzata sia per l'emungimento che per il monitoraggio;
n. 9 pozzi hot spot finalizzati all'emungimento delle acque sotterranee nelle aree a maggiore contaminazione.

Le sorgenti di contaminazione sono state individuate in vasche/serbatoi, condotte di acque di processo e di reti fognarie; da ultima comunicazione Arpab prot. 6596 del 18 luglio 2011 risulta che tratti della rete fognaria sono ubicati a valle della barriera idraulica; si sono eseguiti interventi di ripristino di alcune vasche di contenimento ed interventi di relining di alcuni tratti delle reti interrate.


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Le reti tecnologiche, oggetto di intervento, sono state collaudate mediante prove di tenuta ad alta pressione.

1.2.3.4 Analisi di rischio sanitario ambientale.

In data 10 febbraio 2011 si è conclusa la fase istruttoria dell'analisi del rischio con la richiesta di integrazioni. I risultati presentati da Fenice SpA indicano livelli di rischio, per tutte le sostanze, per tutti i processi di trasporto e per tutti i possibili bersagli, inferiori ai livelli di accettabilità di vari ordini di grandezza.
Le integrazioni richieste sono finalizzate ad escludere anche rischi sanitari ed ambientali meno probabili, rispetto a condizioni simulate ancora più conservative di quelle sviluppate dal soggetto obbligato e più gravose rispetto alle condizioni attuali. I livelli di contaminazione oggetto di AdR, infatti, sono quelli approvati come risultati della caratterizzazione che risultano ben più numerosi per numero di sostanze e ben più intensi come livelli di concentrazione rispetto allo stato attuale.
Tali risultati dimostrano che nel sito in esame tutti i rischi oggetto di valutazione rispettano sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno per singola sostanza fissato dal decreto legislativo n. 152 del 2006 pari a lx E-6 e sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno cumulato fissato dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 pari lx E-5.
Il rischio cumulato per la contaminazione dei sito Fenice è pari a 1,28 su 100 milioni, cioè 1000 volte inferiore al criterio di accettabilità rischio cancerogeno cumulato fissato dal decreto legislativo n. 152 del 2006. Si tratta, evidentemente, di grandezze di tipo probabilistico. Il dato tecnico dimostra l'esistenza di rischi largamente inferiori ai limiti di accettabilità stabiliti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, ma trattandosi di rischi potenzialmente subiti in modo involontario, ovvero secondo processi di esposizione indipendenti dalla volontà dei soggetti potenzialmente esposti, questi vengono percepiti e devono essere considerati come rischi inaccettabili. Per questi motivi la regione, superando gli obblighi imposti dalla legge, ha proposto nella CdS del 31 marzo 2011 come obiettivo di bonifica il ripristino dello stato ambientale originario del sito con la totale eliminazione delle sostanze inquinanti. La CdS ha effettivamente fissato questi obbiettivi di bonifica laddove tecnicamente conseguibili, utilizzando le migliori tecnologie disponibili.
Si rileva, inoltre, che il dipartimento ambiente con nota prot. n0161058/75AA del 26 settembre 2011 ha chiesto a Fenice di adeguare il sistema di monitoraggio della messa in sicurezza del sito allo specifico disciplinare Ispra. Gli adempimenti dovuti da Fenice consentiranno a breve l'acquisizione dei dati in tempo reale da parte di Arpab che dovrà verificare dalla propria sede l'efficienza della MISE (barriera idraulica).
I risultati ottenuti hanno portato l'Arpab nella CDS del 20 settembre 2011 convocata dalla provincia di Potenza a confermare parere positivo all'esercizio dell'impianto ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 240, comma 1, lettera n (messa in


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sicurezza operativa). Allo stato degli atti, inoltre, non risulta dimostrata la contaminazione della catena alimentare, da taluni paventata, per effetto dell'utilizzo di acque contaminate. Peraltro, grazie a specifica ordinanza sindacale emessa a scopo preventivo nel rispetto del principio di precauzione, vige il divieto di utilizzo delle acque sotterranee.
In conclusione, a seguito dell'evento di contaminazione si sono messi in campo le seguenti azioni:
1. realizzazione di un presidio permanente di protezione delle acque di falda (barriera idraulica automatizzata);
2. miglioramento dell'efficienza dei nove pozzi spia di monitoraggio (manutenzione, ripristini e rifacimenti);
3. implementazione dei sistemi di controllo ed allerta dei livelli dei reflui nella vasche e bacini di protezione;
4. ripristino tenuta delle vasche, dei bacini e delle condotte;
5. realizzazione ex novo di una rete di monitoraggio di controllo continuo pozzi barriera idraulica all'interno del sito;
6. realizzati piezometri, interni al sito, di controllo degli elementi impiantistici di potenziale interferenza con suolo, sottosuolo ed acque sotterranee.

La regione ha richiesto di:
decontaminare tutte le aree contaminate indipendentemente dall'allocazione rispetto al limite di proprietà, ossia, anche interni al sito;
adottare come tecnica di bonifica quella più efficace anche per le aree contaminate sottostanti gli impianti;
fissare come obiettivi di bonifica volontari concentrazioni di contaminazioni inferiori ai limiti normativi mediante utilizzo delle migliori tecnologie a costi sopportabili e tali da avvicinare i risultati allo stato ecologico originario.

Fenice EDF ha aderito alle richieste della regione mediante specifica dichiarazione confermata a verbale della conferenza di servizi. Sebbene il procedimento di bonifica del sito non sia ultimato, risulta chiaro che l'azione congiunta della regione e degli enti coinvolti ha finora assicurato la migliore salvaguardia possibile degli interessi ambientali, sanitari e sociali. (...)».
In grande sintesi, secondo quanto risulta dalla relazione, le azioni condotte dal dipartimento nel corso del 2010-2011 sulla vicenda Fenice sono state costituite in primo luogo dalla gestione delle fasi previste per il procedimento di caratterizzazione, analisi del rischio e bonifica; sono state inoltre accertate le cause della contaminazione del sito e sono state rimosse le cause di inquinamento attraverso il monitoraggio di Arpab.
Proprio con riferimento all'Arpab, l'agenzia ha ricevuto il compito di ripristinare il corretto flusso informativo dei dati di monitoraggio


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del sito Fenice nonché di valutare criticamente i dati con formulazione costante di rapporti di qualità ambientale.
La regione, per realizzare queste finalità, ha potenziato le attività di monitoraggio di Arpab per una definizione della qualità ambientale del territorio attraverso la D.G.R. 2263/2010.
È stata altresì terminata la fase istruttoria per il rilascio dell'AIA, la cui approvazione segue necessariamente la presentazione del progetto di bonifica.
Ancora, è stato precisato che verrà monitorato lo stato di avanzamento del processo di bonifica (da eseguirsi con le migliori tecnologie disponibili) e coordinata la sottoscrizione di un protocollo di intesa tra regione, provincia, comuni e Fenice ambiente per la realizzazione e gestione del piano di monitoraggio avanzato definito con prescrizione A.I.A., nonché per la realizzazione di uno studio epidemiologico di territorio e per la definizione di un protocollo di corretta informazione e comunicazione ambientale ai cittadini. (doc. 989/1 e 989/2).

1.2.3.5 Le dichiarazioni del presidente della regione e del presidente della provincia di Potenza sull'impianto Fenice.

Sulla vicenda dell'impianto Fenice, il presidente della regione, dottor Vito De Filippo, nel corso della sua audizione del 14 marzo 2012, ha reso una serie di dichiarazioni che, di seguito, si riportano:
«(...) Su La Fenice abbiamo istituito un tavolo della trasparenza e un comitato di alta sorveglianza, chiamando professionalità di livello internazionale, costringendoli, anche per ragioni di sobrietà e di rigore finanziario, ad avere compensi bassissimi, pari a un gettone di presenza di cento euro per ogni seduta. (...) Ho citato Ispra e Istituto superiore di sanità, che collaborano con noi su molti fronti. Pensiamo che alcuni fenomeni e anche alcune scoperture, soprattutto sull'impianto La Fenice, quindi alcuni problemi che abbiamo avuto in precedenza, siano oggi sotto il nostro totale governo, in questa fase, grazie al tavolo della trasparenza, al comitato di alta sorveglianza e al centro di monitoraggio regionale che abbiamo inaugurato qualche settimana fa. Quest'ultimo è dotato dei più avanzati sistemi (...) che sono stati messi in campo, su tutte le varie matrici ambientali (acqua, suolo, aria). Tale sistema sofisticatissimo ed avanzato di monitoraggio dei dati a governo regionale, con possibilità di accertamento, anche simultaneo, in molti territori della nostra regione, ci fa pensare che vi sarà qualche elemento di difficoltà soprattutto per l'impianto di La Fenice, su cui è in corso un'indagine della magistratura fino alla cui conclusione non esprimo alcun giudizio. (...)».

Il presidente della regione ha evidenziato l'opposizione della Unione rispetto all'impianto, che viene percepito come una fonte di inquinamento. Ha, però, precisato come tale impianto sia di fondamentale importanza nel ciclo regionale dei rifiuti e, al tempo stesso, garantisca - soprattutto oggi grazie al sistema di monitoraggio


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ambientale avviato - la salvaguardia ambientale attraverso il rispetto della legge e dei provvedimenti autorizzatori.
È stata anche sottolineata l'importanza di produrre compost di qualità e di monitorare tutte le cave esistenti in modo da programmare efficacemente un'attività di controllo sui punti "sensibili" del territorio.
Il presidente della provincia, Piero Lacorazza, nel corso dell'audizione del giorno 13 marzo 2012, si è concentrato sulle autorizzazioni per l'esercizio dell'impianto La Fenice, sottolineando come siano state rilasciate dalla provincia nell'ottobre 2010, nonostante la Fenice avesse avanzato alla regione istanza per il rilascio dell'AIA fin dal 2006.
Ha, altresì, precisato che gli accertamenti funzionali al rilascio del provvedimento autorizzativo da parte della provincia sono stati reiterati anche dopo gli episodi che hanno portato all'avvio dell'attività di bonifica sul sito:
«le autorizzazioni per l'esercizio de La Fenice vengono rilasciate dall'ufficio ambiente della provincia di Potenza, quindi non è un'autorizzazione della giunta. Tengo a questa precisazione, perché nel dibattito giornalistico si fa confusione tra la funzione di indirizzo politico e la funzione tecnico amministrativa, che è in capo agli uffici e ai loro dirigenti. (...) La Fenice ha chiesto l'AIA nel 2006 alla regione Basilicata, l'ente che deve rilasciarla, ma il codice ambientale dice che, fin quando l'AIA non viene rilasciata, è la provincia del territorio competente a rilasciare questa autorizzazione. Ora, rispetto alle autorizzazioni rilasciate dal nostro ufficio, così come io stesso ho potuto vedere e leggere (...) non c'è dubbio che una procedura AIA è più forte. Il meccanismo per ottenerlo avviene anche in termini partecipativi al processo autorizzatorio, rispetto a quello della provincia.
In assenza di AIA, la legge dice esplicitamente che è la provincia del territorio competente che accerta. Gli accertamenti che sono stati fatti, anche da parte della polizia provinciale, hanno portato l'ufficio e il dirigente dell'ufficio a questa autorizzazione che (...) viene concessa nell'ottobre del 2010 ed è successiva all'incidente del marzo del 2009 che porta all'autodenuncia di La Fenice per inquinamento. Scattano le norme, a cominciare dall'articolo 242 del n. 152 del 2006 sulla messa in sicurezza di emergenza, sulla messa in sicurezza per evitare ulteriori danni, sul piano di caratterizzazione, sul piano di bonifica di cui ancora oggi, stamattina, si discute, per un contrasto tra La Fenice e autorità locali.
Successivamente all'ottobre del 2010, vengono più volte rilevati dati di contaminazione nei pozzi che costituiscono la barriera idraulica, per verificare che la messa in sicurezza non produca ulteriori effetti dannosi, in particolare sulle acque di falda. Per un anno, da ottobre 2010 fino a settembre 2011, si sono verificati più volte superamenti di soglie.
La provincia titolare dell'autorizzazione, ancora in assenza di AIA, ha richiesto più volte all'Arpab, l'organismo preposto al controllo, se esistesse ancora la condizione in cui era stata concessa l'autorizzazione dal nostro dirigente di ufficio, se cioè la messa in sicurezza ancora non funzionasse. Per tre volte l'Arpab ha risposto di stare tranquilli, fino a ulteriori superamenti di soglia che hanno portato il

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dirigente dell'ufficio, nell'ottobre del 2011, a fare un atto di sospensione dell'inceneritore La Fenice. Il TAR si è pronunciato, ha detto che la determina del dirigente dell'ufficio andava annullata perché, secondo il TAR di Basilicata, c'erano tutti i presupposti perché La Fenice continuasse l'esercizio, poiché i parametri alterati avrebbero potuto essere ricondotti sotto il limite da un progetto di bonifica ancora non realizzato e quindi l'inquinamento del marzo del 2009 avrebbe potuto o potrebbe ancora determinare fatti di questo tipo.»

1.2.3.6 Le indagini giudiziarie segnalate dalla magistratura in merito all'inceneritore Fenice.

La procura della Repubblica di Potenza ha recentemente concluso un'indagine in merito alla contaminazione ambientale provocata dall'impianto Fenice di San Nicola di Melfi (procedimento penale n. 414/09 RGNR, assegnato al sostituto procuratore dottor Colella).
Nel corso dell'indagine, secondo quanto riferito, è stata accertata l'emissione di sostanze nocive, in misura altamente pericolosa per la salute pubblica e superiore rispetto ai valori previsti dai protocolli e dalle disposizioni di legge.
Tali circostanze, seppur conosciute dagli organi di controllo preposti (segnatamente l'Arpab), sarebbero state per lungo tempo sottaciute alle autorità locali e nazionali.
In particolare, gli elementi acquisiti nel corso dell'indagine avrebbero consentito di accertare che le analisi chimiche eseguite, sia dal gestore dell'impianto Fenice che da Arpa Basilicata, indicavano, senza alcun dubbio, che il sito fosse potenzialmente contaminato.
Nonostante nei referti di Arpab il tenore di Nichel di alcuni pozzi superasse le concentrazioni massime già dal primo prelievo in atti (10 gennaio 2002) e nonostante il consistente peggioramento anche con il superamento dei limiti delle sostanze organiche clorurate a partire dal campionamento del 10 dicembre 2007, l'Arpab non avrebbe inviato alcuna comunicazione, ai sensi dell'articolo 244 del testo unico ambientale, alla procura della Repubblica sino al 3 marzo 2009.
Anche i responsabili della piattaforma Fenice di Melfi, che erano a conoscenza dell'eccessiva presenza di inquinanti in falda sin dal 29 giugno 2000 (o dal maggio 2002), non avrebbero mai informato della situazione di potenziale contaminazione gli enti competenti.
La comunicazione di Fenice ai sensi dell'articolo 242 del testo unico porta la data del 12 marzo 2009, nove giorni dopo la nota di Arpab.
Nel corso delle indagini è stata reperita - presso il dipartimento Arpab di Matera - copiosa documentazione relativa ad analisi effettuate sulle falde sottostanti l'inceneritore, che avrebbero attestato una contaminazione in atto, analisi mai protocollate e mai inviate agli enti competenti. Ciò avrebbe di fatto impedito agli enti preposti di intervenire per attivare le procedure previste dalla normativa di settore per la messa in sicurezza e la bonifica, favorendo, di fatto, il prosieguo dell'attività a discapito dell'ambiente e della salute pubblica


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(la falda acquifera è risultata contaminata dalla presenza di metalli pesanti e di solventi organici clorurati anche cancerogeni).
Gli elementi emersi nel corso dell'indagine hanno portato all'emissione di misure cautelari di natura personale a carico dell'ex direttore generale dell'Arpab, del coordinatore provinciale di Potenza, responsabile del settore monitoraggio, e di due dirigenti di Fenice s.p.a., nonché all'emissione di misure cautelari reali.
Le indagini, oltre al "filone Fenice", hanno riguardato anche le assunzioni di lavoratori interinali presso l'agenzia regionale per l'ambiente e le problematiche ambientali del complesso di discariche "Montegrosso - Pallareta", di proprietà della città di Potenza.
Il 17 febbraio 2012 il pubblico ministero titolare dell'indagine, dottor Colella, ha chiesto il rinvio a giudizio per 36 indagati. Sulla richiesta dovrà pronunciarsi il Gip al termine dell'udienza preliminare in corso (doc. 1107/1).
Le ipotesi di reato contestate dalla procura (riguardanti condotte poste in essere dal 2001 al 2010) sono l'associazione a delinquere, finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di delitti contro il patrimonio, la pubblica amministrazione, la fede pubblica e la pubblica incolumità (truffa aggravata ai danni dello Stato attraverso la realizzazione di reati di falsità ideologica, omissione/rifiuto atti d'ufficio e disastro ambientale), nonché i singoli "reati fine" dell'associazione medesima.
Si riporta, di seguito, il capo di imputazione n. 25 della richiesta di rinvio a giudizio (doc. 1035), relativo al reato di disastro ambientale, in quanto compendia tutti i fatti di inquinamento oggetto di contestazione:
«del delitto p. e p. dagli articoli 113 e 434 1o e 2o e 449 del codice penale comma del codice penale (Disastro ambientale), poiché, nelle rispettive qualità di dirigenti Arpab i primi cinque (omissis) e di procuratori Responsabili della società FENICE responsabili del termodistruttore di San Nicola di Melfi tutti gli altri (omissis), per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia consistita specificamente nella mancata tempestiva attivazione delle procedure di salvaguardia del territorio del c.d. «piano di monitoraggio ambientale del Melfese» e colpa specifica relativa alla violazione dell'articolo 242 del decreto legislativo 152/06 con la mancata comunicazione (anche allo scopo di commettere il reato di cui al capo n.6) ai competenti organi regionali dei dati relativi al grave e pericoloso inquinamento in atto per la presenza di metalli pesanti e di solventi organici clorurati anche cancerogeni, cagionava l'inquinamento della falda acquifera, sottostante il termodistruttore di San Nicola di Melfi il suddetto stabilimento industriale, creando grave pericolo per la pubblica incolumità atteso che trattandosi di falda acquifera, il veicolo di propagazione della contaminazione risulta prorompente e si sviluppa e viaggia nel sottosuolo con percorsi non regolari e soggetti a mutamenti. Inoltre la falda acquifera in presenza di strati non argillosi tende ad interessare livelli del sottosuolo profondi con interessamento, al termine del loro percorso, di corpi ricettori superficiali (mare, fiumi ecc..) e quindi con un livello di propagazione elevatissimo. Nella specie veniva riscontrata contaminazione dovuta a

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inquinanti inorganici (fluoruro, mercurio, nichel, etc.) e ad inquinanti organici (sostanze organiche clorurate e alogenate in genere), in particolare venivano riscontrati i seguenti valori oltre la soglia di contaminazione (CSC):

Nell'ordinanza applicativa delle misure cautelari emessa dal Gip dottoressa Michela Tiziana Petrocelli, in data 11 ottobre 2011, nei confronti di alcuni degli indagati, (doc. 1035/3), si legge:
«Sintetizzando quanto accertato dal consulente tecnico nominato dalla procura della Repubblica di Melfi si può sostenere che:
Dal punto di vista tecnico, fino al maggio 2009, gli inquinanti prescelti per le analisi non erano assolutamente idonei ad evidenziare fenomeni di inquinamento connessi con l'attività in corso nel sito (trattamento di rifiuti) e, tra l'altro previsti dalla normativa di riferimento (471/99 successivamente 152/06);
Fenice era a conoscenza del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione o concentrazioni limite accettabili (vecchia dizione del d.m. 471/99) già dai prelievi del febbraio 2000, seppur sulla base di pochi parametri, quando il tenore di piombo nei pozzi p8 e p9 (0,020 mg/1) era maggiore della CSC di 0.010 mg/;
Sulla scorta di rilievi tecnici è possibile asserire che anche l'inquinamento da clorurati risale a molti anni fa e che, anche in questo caso i responsabili FENICE ne erano a conoscenza sin dal 2000.


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Stante quanto sopra, si può affermare con certezza che i responsabili della SOCIETÀ FENICE s.p.a. (susseguitisi nel tempo), non hanno ottemperato ai principi fondamentali del piano di monitoraggio del melfese, in quanto finalizzato ad individuare repentinamente situazioni di contaminazione nell'ottica della celerità finalizzata in prima istanza al contenimento del fenomeno e successivamente alla risoluzione dello stesso.
Si rimarca che l'accordo tra regione (successivamente Arpab) e FENICE per la realizzazione e successiva gestione della rete di monitoraggio, nasce appunto per fronteggiare tali problematiche.
Ancor più rilevante risulta la mancanza di comunicazione, protratta negli anni, di avvenuto superamento dei limiti come dettato dalle normative di settore succedutesi negli anni (decreto ministeriale 471/99 e decreto legislativo 152/06), nonché l'omessa attivazione delle procedure (messa in sicurezza d'emergenza) per il contenimento e la successiva eliminazione della fonte.
Per quanto si indicherà innanzi risulterà dimostrata la compiacenza dell'agenzia regionale per la Protezione ambientale (Arpab), ente di controllo preposto, che, ad opera dei responsabili avvicendatisi nel corso degli anni, hanno celato il fenomeno di contaminazione della falda posta in essere da FENICE omettendo di comunicare quanto dovuto ai fini delle procedure ed attestando falsamente uno stato di fatto non confacente alla reale situazione. Difatti, alla base del disegno criminoso, vi è un atteggiamento favorevole al prosieguo dell'attività FENICE a discapito non solo dell'ambiente ma anche della salute pubblica considerato che, negli anni, Arpab, seppur a conoscenza del fenomeno, non ha mai indagato gli effetti dell'inquinamento in falda sulla salute umana fino all'anno 2009.»
Nel provvedimento richiamato, il Gip riporta le considerazioni svolte dal ctu nominato dalla procura:
«Le analisi chimiche in atti, eseguite sia da Fenice S.p.A. che da Arpab Basilicata, indicano senza alcun dubbio che il sito è potenzialmente contaminato. Il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione per mercurio e sostanze organiche alogenate è tale che l'eventuale analisi di rischio sito specifica sicuramente dimostrerebbe che il sito è anche contaminato.
Nonostante nei referti di Arpab il tenore di Nichel di alcuni pozzi superasse le concentrazioni massime già dal primo prelievo in atti (10 gennaio 2002) e nonostante il consistente peggioramento anche con il superamento dei limiti delle sostanze organiche clorurate a partire dal campionamento del 10 dicembre 2007, non risulta che sino al 3 marzo 2009 Arpab abbia inviato alcuna comunicazione ai sensi dell'articolo 244 testo unico o alla procura della Repubblica di Melfi.
Anche i responsabili della piattaforma Fenice di Melfi, che erano a conoscenza dell'eccessiva presenza di inquinanti in falda sin dal 29 giugno 2000 (o dal maggio 2002), non hanno mai informato della situazione di potenziale contaminazione gli enti competenti o la procura della Repubblica di Melfi. La comunicazione ai sensi dell'articolo 242 del testo unico porta la data del 12 marzo, nove giorni dopo la nota di Arpab. È il caso anche di richiamare quanto riportato nella sezione 6.1 di questa relazione tecnica, in merito alla scelta di Fenice di riportare nei rapporti di prova la sommatoria degli


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organoalogenati e non la concentrazione dei singoli composti, caratterizzati, questi ultimi, da limiti molto più bassi. Il professor Fracassi, rimettendo alle valutazioni del pubblico ministero l'eventuale riscontro di condotte omissive, in quanto esula dalla competenza di un consulente tecnico, specifica che in relazione alla possibilità che l'eccessivo tenore di inquinanti abbia pregiudicato o ancora pregiudichi l'uso delle acque da parte degli agricoltori della zona, non avendo Arpab eseguito le analisi richieste anche formalmente dal pubblico ministero, non è in grado di formulare alcuna valutazione.»

Chiarificatrici, quanto al caso concernente i controlli sull'inceneritore Fenice, sono state le dichiarazioni rese dal dottor Giovanni Colangelo, nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, allorquando era a capo dell'ufficio della procura della Repubblica di Potenza:
«(...). In realtà, da quanto è stato accertato, un tecnico dipendente dell'Arpab, sentito a sommarie informazioni, affermò che sebbene l'Arpab avesse da tempo effettuato delle analisi che segnalavano il superamento delle concentrazioni soglia, dal gennaio 2008 si era limitata a indire tavoli di discussione con La Fenice e con docenti universitari. La Fenice venne a conoscenza di questo problema in quel momento e segnalò quindi tali dati.
Occorre però dire, come feci nell'audizione precedente, che da La Fenice il problema non è mai stato ammesso integralmente, tant'è vero che non ha mai confermato il disastro ambientale, pur ammettendo un inquinamento la cui esistenza credo sia abbastanza pacifica, perlomeno per come è stato accertata dal nostro consulente.
Le cause dell'inquinamento, secondo il nostro consulente, potrebbero essere individuate, non con caratteristiche di assoluta certezza, nella perdita della vasca di stoccaggio e nella cattiva tenuta della vasca di contenimento delle acque di processo per l'abbattimento delle emissioni in atmosfera. La società è poi intervenuta su entrambi gli aspetti.
La consulenza tecnica del professor Fracassi non esclude tuttavia altre cause e tale dato sembra al momento confortato anche da ulteriori comunicazioni della procura generale per cui potrebbe essere stata individuata la presenza di ulteriori inquinanti non del tutto compatibili con le cause indicate».

Il procuratore Colangelo era stato audito dalla Commissione anche il 6 marzo 2012. In tale occasione, in merito all'indagine sull'impianto Fenice, aveva dichiarato:
«Quello che è singolare è che, secondo quanto si rileva da una relazione, un dato di inquinamento emergeva dal 2009 o addirittura dal 2007. Se non ricordo male il fatto emerge da atti della pubblica amministrazione e ciò di fatto non ha determinato alcun intervento. Si tenga conto che al capo 23 il collega ha contestato un concorso in truffa aggravata in danno non soltanto dei responsabili dell'Arpab, ma anche dei responsabili dell'ente, ai quali contesta (e questo forse può contenere la risposta alle vostre domande): »con artifici o raggiri consistiti nel trasmettere all'ente regione i risultati di analisi chimiche senza indicazione dei limiti tabellari previsti per ciascun inquinante,


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e nell'indicare nella valutazione dello stato di inquinamento solo la sommatoria degli organi alogenati senza esplicare il tenore dei singoli componenti, di guisa da non rendere possibile una verifica del superamento delle CSC, nel selezionare parametri non idonei a monitorare l'inquinamento [...] consentivano quindi la gestione del termovalorizzatore" con il compenso erogato dall'ente pubblico nei termini che sappiamo. In sostanza, in questo capo di imputazione si dice che taluni dati sono stati forniti in maniera incompleta o confusa, in modo tale da non farmi rendere conto di queste circostanze. Certo è che i responsabili dell'Arpab comunque non hanno fatto nulla, e non per niente sono stati contestati sia il reato di cui all'articolo 328, sia, in un caso a carico del responsabile dell'Arpab che è stato recentemente sostituito, anche la violazione del segreto, perché sentito in un primo tempo dal procuratore di Melfi su alcuni aspetti da tenersi segreti nell'indagine, avrebbe riferito aspetti da tacere. (...) La misura cautelare è stata emessa e rilasciata per la gravità dei fatti nella loro oggettività, tant'è che il disastro ambientale è contestato dal 2001 al 2010, quindi per un periodo di tempo molto ampio, con alcuni superamenti macroscopici che sono stati evidenziati dallo stesso professor Fracassi di cui ho parlato a proposito delle indagini sul Pertusillo. Non sono emersi elementi che inducano all'inquinamento atmosferico per quanto riguarda le emissioni, e le specifiche cause potrebbero essere ravvisate nella gestione del termovalorizzatore in certi modi o negli scarichi, perché è risultata inquinata la falda quindi qualcosa è andato in falda».

1.2.4 Gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti riscontrati nel territorio della provincia di Potenza.

La Commissione ha dedicato ampio spazio agli approfondimenti degli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti riscontrati nella provincia di Potenza.
Come sempre avviene, anche in questo caso le problematiche attinenti all'inefficacia dei controlli, difficili per le caratteristiche del territorio, si riverberano sull'entità degli illeciti perpetrati.
Sebbene non siano stati segnalati episodi di particolare allarme (salvo quello concernente l'inceneritore Fenice, di cui si è già trattato), tuttavia sul territorio vengono realizzate numerose discariche abusive, non sempre riconducibili a soggetti individuati, il che rende decisamente preoccupante il dato testè menzionato.
È evidente, infatti, che occorrerebbe verificare e monitorare le discariche illecite, individuando la tipologia di rifiuti, accertandone le caratteristiche, al fine di risalire, sia pure presuntivamente, al luogo di produzione.
Nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012 del presidente della provincia di Potenza, Piero Lacorazza, è stata sottolineata l'importanza, in un territorio circondato da regioni ove la presenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, di un'azione di monitoraggio particolarmente attenta:
«Con la responsabilità che rivesto, io non ho mai avuto pressioni dirette o indirette rispetto al ciclo integrato dei rifiuti. Anche per


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quanto riguarda le persone che mi stanno intorno sono pronto ad escluderle. Non sono pronto ad escludere un'altra cosa, che riguarda tutti. Noi siamo una regione piccola, con tanto territorio, circondata - non lo dico come giudizio, ma come descrizione - e tuttavia per noi il livello di attenzione è massimo.
Aggiungo che, leggendo dei faldoni di inchieste giudiziarie che sono state fatte anche sul nostro territorio, ci sono state dichiarazioni di pentiti, seguite poi da verifiche che non hanno riscontrato nulla o solo qualcosa. È chiaro ed evidente che c'è il massimo livello di attenzione e penso che proprio il ciclo integrato dei rifiuti, organizzato in maniera virtuosa, può essere di impedimento ad una tentativo di aggressione che ci può essere. Non escludo quindi che questo possa accadere, ma rispondo per ciò che in qualche modo avverto sulla mia pelle, sento con le mie orecchie e vedo con i miei occhi».

1.2.4.1 Le informazioni acquisite dagli uffici delle procure.

Come già rappresentato, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Potenza, Giovanni Colangelo, è stato audito dalla Commissione in data 6 marzo 2012.
Nel corso di tale audizione, ha evidenziato le principali criticità riscontrate sul territorio della provincia di Potenza, illustrando alcune tra le indagini di maggiore rilievo effettuate dall'ufficio di procura.
Il procuratore ha chiesto, peraltro, la segretazione dell'audizione nelle parti in cui si è fatto riferimento ad indagini ancora in corso, coperte da segreto istruttorio e di cui non si può dare conto.
Si riportano i passi salienti (non segretati) dell'audizione:
«sin dall'inizio abbiamo posto una particolare attenzione alle problematiche dell'ambiente, atteso che la regione Basilicata si caratterizza per un territorio estremamente variegato, dal mare alle montagne, e per un patrimonio naturalistico di particolare importanza. Nello stesso tempo, sullo stesso territorio insistono insediamenti di tipo industriale e, in particolare, quelli notissimi di tipo estrattivo. Ovviamente le indagini non sempre sono state agevoli e anche quelle che sono partite subito dopo hanno avuto necessità di sviluppi particolarmente elaborati e complessi. Per questo motivo gran parte delle indagini delle quali il mio ufficio si sta occupando in questo periodo sono ancora in una fase istruttoria o riservata e talune di esse sono addirittura nello stadio ultimativo della fase delle indagini, ossia nella fase in cui il magistrato si trova a tirare le fila e a dover decidere in merito alle richieste conclusive da formulare al giudice. Per questi complessi motivi, mi scuso sin d'ora se dovrò chiedere la segretazione o dovrò essere necessariamente un po' più vago su quelle parti che, per motivi facilmente intuibili, sono particolarmente sensibili e/o riservate. Ho portato brevissimi dati statistici, segnalando che le violazioni che hanno determinato l'iscrizione a modello 21 - il Registro delle notizie di reato contro noti - sono state, per le violazioni al decreto legislativo n. 152 del 2006, 60 nel 2009, 40 nel 2010 e 56 nel 2011. Per la stessa tipologia di reati a carico di ignoti abbiamo avuto un numero pressoché costante: 16, 16 e 10 nei tre anni


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di rispettiva pertinenza. Decisamente inferiore il numero dei procedimenti instaurati per la violazione dell'articolo 137 del decreto legislativo citato, quello cioè relativo ad eventuali fenomeni di inquinamento delle acque: rispettivamente 4, 12 e 13 per il registro contro noti e un numero veramente esiguo (1, 1 e 4) a carico di ignoti. I numeri sono sì esigui, ma a mio parere non possono indurre a sottovalutare l'entità del fenomeno, considerato che la regione Basilicata non è tra le più popolose, quindi il numero dei procedimenti va visto in relazione proporzionale alla popolazione che insiste sullo stesso territorio. (...)»

Con riferimento specifico al problema dello smaltimento illecito dei fanghi di perforazione, il procuratore Colangelo ha riferito in merito ad un'indagine riguardante un terreno in agro di Corleto Perticara, relativa ad un presunto inquinamento del suolo dovuto a sostanze e metalli pesanti, probabilmente derivanti da pozzi di perforazione per ricerche di idrocarburi:
«Le analisi condotte sul punto hanno confermato che effettivamente il terreno, che in quel momento era coltivato a uso agricolo, era fortemente inquinato da fanghi di perforazione. Il terreno è stato sottoposto a sequestro e recintato. Attualmente non è più coltivato. È stata poi avviata la pratica di bonifica, ma il procedimento non è ancora materialmente concluso perché ci sono alcune difficoltà, in quanto la gestione di quella zona era affidata a una società che attualmente non esiste più e i cui rappresentanti non sono di certa dimora. Sono in corso le indagini per la definizione di questo aspetto. (...)».

Il procuratore Colangelo ha trasmesso, tra i diversi provvedimenti emanati dall'ufficio di procura, anche il decreto di sequestro probatorio emesso nel procedimento suindicato in relazione ai reati di cui agli articoli 441 del codice penale, 589 del codice penale, articolo 256, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 nel quale si evidenzia che (doc. 1035/2):
la vicenda nasce a seguito delle dichiarazioni rese dal proprietario di un terreno di circa 12 ettari, sito a Corleto Perticara, destinato ad ospitare il centro Oli Tempa Rossa della compagnia petrolifera Total Italia, il quale segnalava una serie di fatti e circostanze idonee a delineare l'esistenza di reati in materia ambientale e di salute pubblica conseguente all'attività derivante dai fanghi di perforazione;
le analisi effettuate sul campione prelevato su uno dei terreni (sito B) hanno rilevato un superamento del valore limite per la presenza di idrocarburi pesanti (...) evidenziando che si tratta di un sito contaminato;
detto sito è stato utilizzato dalla Total Mineraria per la realizzazione di una discarica per fanghi e detriti di perforazione;
un altro terreno (sito A) è stato utilizzato dalla Total Mineraria come area sia per lo stoccaggio momentaneo del terreno vegetale rinveniente dallo scavo dell'area pozzo, sia per lo stoccaggio momentaneo dei detriti e/o fanghi derivanti dalla perforazione per il loro


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successivo e definitivo smaltimento, fanghi per i quali non si è ancora accertato se siano stati definitivamente asportati e che non può escludersi che abbiano determinato una contaminazione del terreno sottostante;
conseguentemente il sito B è stato oggetto di un'attività non autorizzata di smaltimento di rifiuti riconducibili ai fanghi di perforazione dei pozzi petroliferi e il sito A è stato oggetto di stoccaggio dei detriti e/o fanghi derivanti dalla perforazione per il loro successivo e definitivo smaltimento.

Il sequestro è stato, dunque, disposto al fine di effettuare le analisi atte a verificare il livello, la profondità e l'estensione della contaminazione del terreno e, di conseguenza, se la contaminazione abbia interessato solo l'area già oggetto di campionamento ed analisi o anche i terreni adiacenti dovendosi - al predetto fine - impedire che terzi possano mutare lo stato dei luoghi, pregiudicando l'espletamento dell'attività di approfondimento investigativo.
La procura di Potenza ha trasmesso a questa Commissione copia dei principali provvedimenti adottati in materia di rifiuti. In particolare, ha trasmesso, oltre che la copia degli atti riguardanti l'indagine sull'inceneritore Fenice (copia dell'avviso ex articolo 415-bis del codice di procedura penale, dell'ordinanza cautelare emessa dal Gip e della richiesta di rinvio a giudizio), anche provvedimenti di sequestro nonché atti di esercizio dell'azione penale relativi a reati ambientali (doc. 1035/1, 1035/2, 1035/3, 1035/4).
Altre indagini di rilievo segnalate dai magistrati della procura di Potenza sono quelle relative ai depuratori localizzati in prossimità dell'invaso del Pertusillo. Secondo quanto riferito dai sostituti procuratori dottor Colella e dottor Marotta nella relazione del 13 gennaio 2012 trasmessa al procuratore Giovanni Colangelo, sono state disposte consulenze tecniche per individuare situazioni di inquinamento dell'invaso e per stabilire le cause della moria di pesci registrata. Si è in attesa del deposito delle relazioni dei consulenti (doc. 1035/4).
Su tale vicenda ha riferito lo stesso procuratore Colangelo nel corso dell'audizione del 6 marzo 2012, affermando che:
«problematica di particolare entità, dal momento che lo stesso invaso serve gran parte della Basilicata e gran parte della Puglia, come rifornimento di risorse idriche potabili. Dopo le prime notizie di reato, abbiamo ritenuto di fare un monitoraggio completo, costituendo un gruppo investigativo misto tra Corpo forestale dello Stato e NOE. (...) Nel corso dei controlli venne stabilito che si dovesse operare in maniera congiunta: il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che ha una maggiore conoscenza con le stazioni dei comandi forestali del territorio e delle dislocazioni degli insediamenti agricoli, industriali, avrebbe dovuto fare un monitoraggio sul territorio, mentre il NOE si sarebbe dovuto occupare della parte più squisitamente di polizia giudiziaria. A seguito di questa mappatura degli insediamenti e dei comuni che effettuavano scarichi fognari e che gestivano direttamente, o per il tramite dell'acquedotto, impianti di depurazione, venne in un primo tempo individuato subito uno stabilimento industriale dismesso, già di proprietà della società a responsabilità


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limitata CIA, Commerciale internazionale agricola, per la quale su un certo terreno insistevano dei silos che contenevano sostanze visibilmente maleodoranti e potenzialmente inquinanti. Venne quindi fatta un'analisi ed eseguito un approfondimento di questo aspetto che portarono a questi risultati: nei silos vi erano rifiuti speciali non pericolosi, però con alta concentrazione di idrocarburi altamente pericolosi nella zona circostante. Tuttavia, gli approfondimenti che furono svolti in termini molto accurati esclusero qualsivoglia interazione tra questo deposito di sostanze altamente inquinanti e l'invaso del Pertusillo. La zona venne sottoposta a sequestro. È stata già avviata la bonifica ed è stata esercitata l'azione penale nei confronti del legale rappresentante. Se non ricordo male, abbiamo trasmesso a questa Commissione anche la copia della richiesta di rinvio a giudizio. Terminata questa fase ritenemmo di dover proseguire nell'attività investigativa e in quella sede furono stabilite due linee prioritarie che avevano riguardo alle segnalazioni che destavano maggiore allarme: quella del possibile inquinamento chimico dell'invaso e quella che avrebbe potuto determinare una segnalata moria di pesci nelle acque dello stesso invaso. Fu pertanto dato un doppio incarico di consulenza, uno al direttore del dipartimento di chimica dell'Università di Bari, esperto di provata fama, il professor Fracassi, l'altro a un biologo e ittiopatologo che verificasse gli esami sui campioni di pesci prelevati. Devo dire che l'indagine non è conclusa, dunque fornisco questi dati soprattutto perché è opportuno tranquillizzare l'opinione pubblica e questa Commissione in ordine agli elementi emersi a seguito di queste consulenze. Poiché l'indagine non è conclusa e le valutazioni conclusive devono essere ancora assunte, pregherei di segretare l'audizione da questo momento in avanti».

Con riferimento alle indagini svolte dalla procura di Melfi nel settore dei rifiuti, con nota trasmessa alla Commissione il 24 febbraio 2012, è stato comunicato che, negli ultimi due anni, non è stata emessa nessuna richiesta di rinvio a giudizio, né sono state richieste misure cautelari, patrimoniali e personali, relative ai procedimenti più rilevanti riconducibili ad attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (doc. 1083/1).
Nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, innanzi alla Commissione, tuttavia, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Malfi, Domenico De Fancendis, ha parlato di un'indagine di particolare rilievo concernente lo smaltimento non autorizzato di rifiuti speciali presso l'inceneritore Fenice nel corso della quale sono stati sequestrati più di 50 vagoni ferroviari individuati nelle stazioni di San Nicola di Melfi, Foggia e Cesena, contenenti rifiuti ospedalieri a rischio infettivo, raccolti sul territorio nazionale dalla società «Mengozzi» di Forlì che si era aggiudicata i relativi appalti di raccolta e non disponeva di impianti sufficienti per lo smaltimento. Le indagini hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio di circa 20 persone.
Di tale indagine ha parlato diffusamente anche il questore di Potenza nella relazione trasmessa alla Commissione, già richiamata (doc. 1060/1). Si riporta il passo di interesse:
«Poiché i rifiuti non potevano essere stoccati ma dovevano essere smaltiti entro cinque giorni dalla raccolta, i titolari dell'impresa in


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questione, avevano individuato nel "circuito ferroviario" la possibilità di stoccaggio e di continuo movimento degli stessi che così non apparivano rischiosi per le Unione interessate, atteso che la permanenza nei territori e centri abitati era limitata a poche ore o comunque ad aree periferiche.
Con questo sistema i rifiuti in questione hanno girovagato per diverse settimane sull'intero territorio nazionale, in attesa di essere smaltiti nell'inceneritore "La Fenice" di San Nicola di Melfi che al riguardo aveva stipulato un accordo con la società emiliana.
Si tratta di un inceneritore (il più grande della regione) di proprietà della società "E.D.F. - Energie De France", che recupera energia termica dai rifiuti e produce energia elettrica; smaltisce rifiuti urbani di numerosi comuni del "vulture-Melfese" e dell'"Alto-Bradano", territori situati a nord della Basilicata, nonché rifiuti industriali prodotti dallo stabilimento Fiat-Sata di San Nicola di Melfi ed aziende dell'indotto, ed ancora di fuori regione. È autorizzato per 65.000 t all'anno di cui 30.000 t per rifiuti urbani e 35.000 t per rifiuti industriali. Ha allo stato 50 dipendenti tra operai ed amministratori.
Con l'inchiesta in questione, sono stati individuate violazioni anche di carattere penale nella raccolta dei rifiuti in capo a centinaia di soggetti pubblici e privati: le loro posizioni, stralciate dal procedimento penale originario, sono state segnalate alle procure della Repubblica di diverse regioni italiane, interessate in proposito».

Circa l'esito del procedimento, il procuratore della Repubblica di Melfi, dottor De Facendis, ha dichiarato:
«(...) venne compiuta un'attività di indagine abbastanza estesa che, per quanto ne so, coinvolse varie procure d'Italia e che, alla fine, ha visto imputati sia taluni responsabili di varie divisioni di Trenitalia, sia il responsabile dell'epoca de La Fenice, sia i responsabili di tre società: la Mengozzi Srl di Forlì e altre due società locali. Proprio questa Mengozzi Srl era infatti l'unico stabilimento in Italia, all'epoca quanto meno - torno a dire, ho ricostruito la vicenda attraverso gli atti di archivio, quindi non per conoscenza personale, ma ho cercato di sentire anche gli investigatori dell'epoca, per documentarmi meglio - che effettuava esclusivamente la distruzione di rifiuti sanitari ospedalieri a rischio infezione, quindi con delle modalità particolari. Tra giugno e luglio del 2001 il vecchio stabilimento della Mengozzi era chiuso e quello nuovo non era stato ancora consegnato. Nel frattempo questa società aveva però assunto degli impegni e, per evitare lo stoccaggio, avrebbe quindi usato l'escamotage di convogli ferroviari che giravano il Paese per stazionare poi in determinati posti. Questo procedimento ha avuto processualmente un pessimo esito perché, da parte del pubblico ministero dell'epoca, c'è stata la citazione a giudizio davanti al tribunale di Melfi, che ha però dichiarato la sua incompetenza per territorio. La citazione a giudizio è del 2004, mentre la sentenza di incompetenza è del 2006. Questa sentenza ha dichiarato l'incompetenza a favore del tribunale di Forlì, il quale ha fatto una serie di modifiche di imputazione, ha poi revocato in sede di udienza preliminare e, alla fine, la faccio breve, il GUP del tribunale di Forlì ha dichiarato la prescrizione per taluni reati, rinviando gli atti per


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competenza al tribunale di Melfi quando le ipotesi di reato erano definitivamente prescritte. In sintesi, da una parte Melfi aveva dichiarato la sua incompetenza, in quanto il trasporto era iniziato a Forlì. D'altra parte Forlì "si è tenuta" questa parte di processo e ha rimandato a Melfi, dopo tre anni, la parte di processo che riguardava i trasportatori locali.».

Con riferimento alle indagini concernenti l'inceneritore Fenice, il procuratore De Facendis ha spiegato come sono nate le indagini, avviate proprio dalla procura di Melfi e successivamente trasmesse alla procura di Potenza:
«(...) si verificò che noi, procura di Melfi, stavamo conducendo delle indagini sui dati inerenti l'eventuale inquinamento in senso stretto prodotto da La Fenice; contestualmente la procura della Repubblica di Potenza - lo posso dire perché c'è ormai la richiesta di rinvio a giudizio, quindi si tratta di dati ostensibili - stava conducendo indagini su altre vicende riguardanti il circondario di Potenza e, in particolare, su eventuali coperture, connivenze, imprecisioni e omissioni da parte di organi amministrativi aventi sede in Potenza; in particolare, mi riferisco all'Arpab, che aveva il compito di verificare e controllare i dati.
Proprio in virtù di questa attività di coordinamento, alla fine, previo reciproco scambio di informazioni sulle risultanze delle rispettive indagini, il procedimento della procura della Repubblica di Melfi venne trasmesso, il 15 ottobre 2010, alla procura della Repubblica di Potenza, affinché, come poi è avvenuto, fosse riunito al procedimento lì pendente.
Tutto il coacervo di questa attività ha portato all'emissione di alcuni provvedimenti restrittivi da parte della procura e, da ultimo, alla richiesta di rinvio a giudizio. Per la parte inerenti i "reati fine" di questa assunta associazione è stata utilizzata anche l'attività di indagine che era stata espletata dalla procura di Melfi. Mi riferisco, in particolare, alle relazioni redatte su nostro incarico dal professor Francesco Fracassi dell'università degli studi di Bari, che ha espletato due consulenze tecniche, espletate le quali da noi è stato sentito a chiarimenti per due volte».

1.2.4.2 La relazione del questore di Potenza.

Il questore di Potenza, il 2 febbraio 2012, ha trasmesso alla Commissione una relazione sugli illeciti in materia di rifiuti riscontrati nella provincia (doc 1060/01), evidenziando che il «fenomeno di una evidente infiltrazione malavitosa nel contesto della raccolta e smaltimento dei rifiuti, che in altre regioni ha allarmato le istituzioni pubbliche, non sembra essere tale anche in questa realtà geografica». Ciò grazie anche al continuo monitoraggio da parte delle unità operative specializzate in seno alla sezione criminalità organizzata della squadra mobile, unita alla irrilevante infiltrazione, nel tessuto socio culturale, di una mentalità mafiosa.


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Il questore ha segnalato un particolare aspetto negativo relativamente alla «gestione amministrativa di alcuni impianti di stoccaggio e di trasformazione dei rifiuti sia urbani che industriali, dove ultime indagini hanno messo in evidenza preoccupanti fenomeni ambientali».
Nella relazione sono individuate le aree ed i contesti dai quali derivano le maggiori preoccupazioni dal punto di vista ambientale:
area industriale di San Nicola di Melfi, ove è ubicato lo stabilimento del gruppo Fiat con annesso indotto ed inceneritore della società «La Fenice»;
area petrolifera della «Val d'Agri», con annesso centro oli di Viggiano;
zona industriale di Tito, dove risultano installati opifici industriali che utilizzano materie pericolose, come la trielina.

Si riporta il testo della relazione, che offre un quadro completo sulla situazione della provincia e sulle azioni di monitoraggio, prevenzione e repressione messe in atto dalle forze dell'ordine:
«La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e industriali, rappresenta, da diversi anni e in diverse realtà geografiche, un settore di particolare interesse per la criminalità organizzata, in considerazione degli elevati profitti realizzabili, a fronte di costi di "esercizio" modesti e di rischi limitati. Le carenze infrastrutturali nei servizi pubblici (smaltimento dei rifiuti, depurazione delle acque etc.) ed i possibili perversi legami tra consorterie criminali ed imprenditori senza scrupoli, rappresentano alcune delle condizioni favorevoli, per azioni di infiltrazione e di aggressione al patrimonio ambientale e naturalistico. Sulla scorta di tali considerazioni ed in aderenza alle specifiche disposizioni ministeriali, integrate anche di recente in relazione al protocollo di cooperazione ed interscambio informativo sottoscritto da codesta Commissione parlamentare d'inchiesta e la Polizia di Stato, sono attive in seno alla sezione criminalità organizzata della squadra mobile, fin dal maggio 2001, unità operative specializzate che svolgono coordinate azioni di monitoraggio e di contrasto al fenomeno delittuoso in esame.
L'attività info-investigativa condotta da tali unità (...) ha portato ad escludere la presenza di infiltrazioni da parte di organizzazioni criminali locali nello smaltimento dei rifiuti in questa provincia.
La circostanza, concreta e reale, è suffragata dalle risultanze investigative e processuali emerse nel corso delle attività di indagini condotte in questi anni sul conto delle organizzazioni criminali operanti sul territorio provinciale, significativamente disarticolate anche grazie alla collaborazione con la giustizia assunta piuttosto di recente da diversi esponenti di vertice delle stesse.
L'assenza di eventuali infiltrazioni mafiose è peraltro da escludersi anche con riferimento ad organizzazioni malavitose a carattere extraregionale, almeno per quel che riguarda il territorio della provincia di Potenza e sempre con riferimento agli anni scorsi.
Anche in questo caso, la circostanza trova sostanziale conferma negli esiti di attività di indagini condotte dalla squadra mobile, con l'ausilio della polizia provinciale di Potenza, sotto la direzione della


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procura distrettuale antimafia di Potenza, durante la quale sono stati escussi numerosi collaboratori di giustizia appartenenti alle più note "famiglie" camorristiche campane, tra i quali Carmine Alfieri, Pasquale Galasso, Raffaele Giuliano, Pasquale Loreto e Carmine Schiavone di Casal di Principe (Ce), quest'ultimo capo di una consorteria mafiosa notoriamente impegnata nel traffico dei rifiuti solidi urbani ed anche in quelli radioattivi.
L'audizione dei predetti collaboratori di giustizia e le risultanze investigative complessivamente assunte, non escludono, tuttavia, per il futuro, l'interesse delle organizzazioni criminali locali ed extraregionali allo smaltimento dei rifiuti in Basilicata. (...).
Una diversa valutazione deve essere fatta per le attività svolte, nell'ambito provinciale, da società applicate allo smaltimento dei rifiuti industriali e tre risultano, in particolare, le aree sub-provinciali ritenute "a rischio" o perché registrano la presenza di imprese che svolgono attività di smaltimento dei rifiuti o perché hanno impianti di produzione industriali che impiegano sostanze pericolose o tossiche di non sempre facile smaltimento.
Si tratta dell'area industriale di San Nicola di Melfi, ove è ubicato lo stabilimento del gruppo Fiat con annesso indotto ed inceneritore della società "La Fenice", dell'area petrolifera della "Val d'Agri" con annesso centro oli di Viggiano e della zona industriale di Tito dove risultano installati opifici industriali che utilizzano materie pericolose, come la trielina. (...)».

Nella relazione del questore è stata illustrata, seppur sinteticamente, l'indagine relativa alla vicenda «Daramic srl», società impegnata nella produzione di separatori per batterie di veicoli. In quel caso, è stata accertata la fuoriuscita, dalle linee di produzione, di quantità elevate di trielina, con conseguente inquinamento della falda acquifera sottostante. Sono state svolte indagini da parte della sezione criminalità organizzata della squadra mobile, in collaborazione con personale del Corpo forestale dello Stato di Potenza, all'esito delle quali è stata depositata una dettagliata informativa alla procura della Repubblica di Potenza. Della vicenda si è occupato anche il Ministero dell'ambiente al quale la società interessata si è autodenunciata, chiedendo interventi di bonifica nell'ambito della conferenza di servizi «decisoria» convocata ai sensi della legge 241/90 (doc. 1060/1).

1.2.4.3 Le informazioni fornite dal prefetto di Potenza.

Sul tema della criminalità è stato audito anche il prefetto di Potenza, Antonio Nunziante, in data 13 marzo 2012, nel corso della missione che la Commissione ha effettuato in Basilicata.
Il prefetto ha dichiarato che, allo stato, non vi sono infiltrazioni delle criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, seppure in passato vi sono stati tentativi di infiltrazione tempestivamente neutralizzati. Ha, comunque, precisato che sono in corso indagini su questo specifico tema sulle quali non ha potuto fornire dettagli, in quanto coperte da segreto istruttorio:
«(...) Al momento, anche se vi posso dire che sono in corso delle indagini, sembra che non vi sia una presenza della criminalità


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organizzata. C'è stato in passato un suo tentativo di radicamento - faccio un quadro di carattere generale - però grazie all'intervento della magistratura e alle indagini, essa non ha preso piede. Attualmente alcuni dei boss sono in carcere. (...) la provincia di Potenza confina con zone ad altissimo rischio: il Vulture-Melfese confina a nord proprio con il Foggiano, a sud con la Calabria e la Campania, una parte si inserisce poi nell'area del Materano, e infine c'è la parte del Metapontino, confinante con Taranto, dove c'è stato un tentativo di infiltrazione di carattere generale. Attualmente, per quanto riguarda gli illeciti ambientali, non sembra ci sia nulla. Siamo in attesa di avere gli esiti delle ultime indagini, che sono in corso, però posso dire che, al momento, non mi sembra vi siano condizionamenti da parte della criminalità organizzata. Ci sono state vicende legate a piccole discariche per lo smaltimento illecito che si sono però concluse con delle contestazioni di carattere amministrativo. Anche gli arresti che la stampa ha evidenziato - del direttore e di alcuni dirigenti dell'Arpab - sono dovuti a violazioni più riguardanti reati contro la pubblica amministrazione, ma mi sembra di poter escludere al momento una connivenza e la presenza di condizionamenti.(...) C'è stato un tentativo, di carattere generale, di entrare nel nostro territorio ad opera del clan Modeo-Scarcia, che operava ed era stanziale nel Tarantino, che confina con il Metapontino. C'è quindi stato anche un tentativo di arrivare qui, che è stato fermato. Questi episodi sono però datati, senatrice, tant'è vero che i boss sono stati tutti arrestati, si sono svolti i processi, non c'è stata nessuna scarcerazione per decorrenza dei termini, e quindi sono andati a buon fine».

1.2.4.4 Indagini effettuate dal Noe di Potenza.

Le principali operazioni condotte dai Carabinieri del NOE di Potenza nel settore dei rifiuti (doc 1049/2), oltre a quella già illustrata riguardante il termovalorizzatore Fenice, hanno consentito di accertare, nell'ultimo biennio, numerose fattispecie di reato.
In particolare, in Tito (PZ), in occasione del controllo effettuato sulla stazione di trasferenza dei rifiuti solidi urbani, asservita ai comuni del «bacino centro» della provincia di Potenza, si è accertato che:
1. erano stati smaltiti in discarica rifiuti contraddistinti dal C.E.R. 19.12.12, nonostante fossero privi dei requisiti per l'ammissibilità;
2. era stata effettuata un'attività di trattamento rifiuti, per mezzo del trituratore, in assenza di autorizzazione;
3. era stato realizzato un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi e non;
4. vi era stata fuoriuscita di liquido, verosimilmente «percolato», risultato contenere valori superiori a quelli di legge per alluminio, ferro, manganese, mercurio, rame, zinco, BOD e COD.


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In Corleto Perticara (PZ) sono stati sequestrati i due terreni agricoli sui quali vi era un'attività non autorizzata di smaltimento di fanghi di perforazione petrolifera. Le analisi di laboratorio hanno attestato la presenza di piombo, vanadio e idrocarburi leggeri e pesanti oltre la soglia consentita (di questa indagine ha riferito anche il procuratore Colangelo, come sopra illustrato).
In Lauria (PZ), a conclusione dell'attività d'indagine avviata sul «sistema integrato di gestione dei rifiuti solidi urbani ed assimilati» in occasione di una sospetta fuoriuscita di percolato di discarica dal bacino di contenimento, è emerso che:
nella gestione dell'impianto non erano state rispettate le prescrizioni contenute nell'autorizzazione ambientale;

era stato omesso di comunicare agli enti competenti il verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito;
i lavori di realizzazione del bacino di discarica erano stati eseguiti in parziale difformità rispetto al progetto approvato ed altri reati.

Sono stati, poi, accertati diversi illeciti riguardanti il deposito incontrollato nonché l'attività non autorizzata di raccolta, trasporto e recupero di rifiuti speciali pericolosi e non, la non corretta tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti.

1.2.4.5 Indagini effettuate dal Corpo forestale dello Stato.

Secondo quanto riportato nella relazione redatta dal comandante provinciale di Potenza del Corpo forestale dello Stato (doc 1059/4) nella provincia in esame è stata riscontrata, da parte del Nipaf, l'esistenza di imprese che acquistano rifiuti ferrosi anche da soggetti non autorizzati al fine di immetterli nel settore metallurgico, avendone fatta cessare la qualifica di rifiuto:
«La provenienza sconosciuta di tale materiale ferroso, evidentemente, determina un vulnus nella sicurezza del recupero stesso, nonché un pregiudizio per il corretto e leale esercizio del commercio nel settore. Infatti, tale situazione ha certamente incrementato il numero dei produttori che non conferiscono più i propri rifiuti a ditte autorizzate e specializzate, potendo trovare sul mercato gestori occasionali che raccolgono a domicilio i rifiuti e li trasportano agli impianti di recupero anzidetti. Ciò, evidentemente, determina un vantaggio economico, in termini di diminuzione dei costi, sia per i produttori che non pagano più per disfarsi dei propri rifiuti, sia per i trasportatori abusivi, che per i destinatari finali. Il listino prezzi di tale materiale, infatti, dipende in modo considerevole dal valore iniziale di smaltimento.
In alcuni casi, i raccoglitori abusivi di rifiuti ferrosi realizzano centri di smaltimento non autorizzati, in realtà di modeste dimensioni, ovvero abbandonano i rifiuti in zone non autorizzate. In tale contesto, ed occasionalmente, si è registrato anche il traffico illecito di rifiuti


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ferroviari contenenti creosoto che venivano smaltiti, attraverso vendita del materiale "ripulito" solo documentalmente della qualifica di rifiuto, da un'azienda del nord.»

Con riferimento al traffico illecito di rifiuti ferroviari contenenti creasoto, smaltiti con vendita di materiale pulito, ma con documenti falsi, il prefetto Nunziante ha dichiarato che allo stato attuale, tali traffici, che pure ci sono stati in passato, non sembra proseguano ancora.
La relazione trasmessa dal comandante provinciale di Potenza del Corpo forestale dello Stato (doc 1059/4), conclude affermando che il contesto socio economico lucano si presta piuttosto ad inquadrare il territorio come recettore per lo smaltimento dei rifiuti, in quanto i soggetti residenti rappresentano il punto di riferimento di più ampie organizzazioni extraregionali («si è rilevata la presenza, nella zona del melfese, di imprese al recupero di rifiuti ferrosi, note per essere vicine alla criminalità organizzata campana»).
Proprio su quest'ultimo tema, in data 2 marzo 2012, è stata trasmessa alla Commissione, una relazione illustrativa redatta dal comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Potenza, Angelo Vita (doc. 1118/1 e 1118/2), nella quale vengono riferiti ulteriori dettagli relativi all'indagine svolta, risalente all'anno 2009:
«(...) Gli accertamenti hanno interessato un'azienda attiva nella zona industriale di San Nicola di Melfi dedita al recupero di rifiuti costituiti da materiale ferroso. A carico della medesima, oltre a violazioni urbanistiche legate alla costruzione dello stabilimento, furono riscontrate le violazioni di cui all'articolo 256, commi 1, 4 e 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per aver effettuato attività di recupero di rifiuti speciali pericolosi in mancanza della prescritta autorizzazione, per aver effettuato un'attività di gestione di un impianto di recupero di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da rottami ferrosi in carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni e per aver effettuavo un'attività non consentita di miscelazione di rifiuti speciali pericolosi con rifiuti speciali non pericolosi. Durante tale attività non sono emersi dati certi di collegamenti con la criminalità extraregionale, sebbene la ditta in parola avesse sede legale in San Giuseppe Vesuviano (NA) e sia l'amministratore unico che il direttore tecnico risiedevano rispettivamente nei comuni di Somma Vesuviana e San Giuseppe Vesuviano. In ogni caso, fonti confidenziali hanno riferito circa la vicinanza degli indagati alla criminalità organizzata.».

Il modus operandi è stato quello di costituire società nelle quali i poteri decisionali erano in capo a soggetti diversi da quelli apparenti. In questo caso, il gestore di fatto della società era vicino ad esponenti del «clan dei Casalesi» e già imputato in procedimenti per reati associativi e ambientali.
Ad oggi il procedimento risulta essere in carico alla procura della Repubblica di Melfi.
In data 13 marzo 2012, la Commissione ha audito il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Potenza, Angelo Vita, il


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quale ha offerto un quadro generale della provincia sotto il profilo della perpetrazione dei reati in materia ambientale, soffermandosi in modo particolare su alcune inchieste più significative e chiedendo, al contempo, la segretazione sulle dichiarazioni concernenti fatti coperti da segreto istruttorio. Si riporta il contenuto non segretato dell'audizione:
« In sintesi direi che la provincia di Potenza può essere suddivisa in tre o quattro macro-aree: quella settentrionale del Vulture Melfese; quella centrale di Potenza, con la zona industriale di Tito; quella centrale dell'area della Val d'Agri, nota per la presenza di numerosi pozzi petroliferi e del centro oli; e poi quella meridionale del Lagonegrese. Suddividerei pertanto questa mia mini-relazione in quattro parti.
La parte settentrionale, il Vulture Melfese, è molto interessata dagli interscambi tra le province di Foggia e quelle campane, per cui è una zona vocata agli interessi della criminalità organizzata in senso generale.
Per quanto riguarda il traffico illecito dei rifiuti, ci sono delle situazioni di carattere puntuale, non riconducibili, per quanto ne sappiamo noi, a sodalizi criminali consolidati sul territorio. Abbiamo avuto varie attività di indagine nella zona, per esempio su situazioni - faccio riferimento a una che si è svolta un paio d'anni fa - riguardanti impianti di smaltimento di rifiuti ferrosi da parte di soggetti in qualche modo legati o comunque vicini al clan dei Casalesi. Nel caso specifico si trattava di una serie di reati contravvenzionali, sanciti dal testo unico ambientale. Non si è però rilevato niente che potesse dar luogo a qualcosa di più grande e impegnativo, come per esempio attività organizzate di traffico illecito di rifiuti ex articolo 260 del testo unico ambientale, nonostante una serie di indizi lasciasse comprendere che l'attività del soggetto operava su larga scala. Questa società a responsabilità limitata aveva infatti, come unico socio, una società per azioni inglese, che a sua volta aveva come unico socio una società per azioni sudamericana, in una sorta di scatola cinese il cui unico scopo era di rendere difficile riconoscere la vera titolarità dell'azienda. Il vero titolare dell'azienda era in realtà il responsabile tecnico. L'amministratore delegato era una cosiddetta "testa di legno": ci siamo accorti poi che questo soggetto era un mero dipendente di un'altra società a questa collegata. Tra le altre cose, la vicinanza ad ambienti camorristici era riscontrabile anche nel fatto che il papà di costui era stato ammazzato dalla camorra e aveva già avuto problemi giudiziari in altre regioni. Il pericolo è pertanto che in quella zona ci sia un ingresso della criminalità organizzata di questo tipo (...) Nel Vulture Melfese, durante questa indagine, ci è capitato di imbatterci nella vicenda dei rifiuti ferrosi, che spiego in termini generali perché è la stessa in tutta Italia e funziona nel modo seguente. I rifiuti ferrosi arrivano all'interno di un impianto, dove bisogna fare una selezione, una cernita, in modo tale da renderli fruibili negli impianti tipo quelli di Italsider o tipo ferriera, cioè negli impianti che lavorano il ferro.
La normativa prevede una diversa procedura a seconda che i rifiuti trattati siano sotto o sopra una certa soglia, che nel caso di specie dovrebbe essere 500 tonnellate all'anno. Generalmente tutti si

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mantengono sotto questa soglia limite, perché in tal caso l'autorizzazione è più semplice da ottenere, non si devono fare tante carte e si ha un minor controllo da parte degli enti autorizzativi. Cosa succede? Nella realtà, come avviene per tutti i traffici illeciti di rifiuti, si utilizza la tecnica del "giro bolla", cioè questi rifiuti ferrosi entrano nell'impianto come rifiuti comuni, all'interno non si fa nessuna operazione di recupero e di lavorazione, e ne escono poi tal quali, ma come materiale che non è più rifiuto pericoloso: questo lo fanno tutti. Tra l'altro, spesso, entra materiale di cui non si conosce la provenienza, che potrebbe essere contaminato, radioattivo eccetera.
Faccio un esempio semplice: se entra la carcassa di un'auto, perché essa non sia più considerata rifiuto pericoloso, bisogna levarle il radiatore, le parti in plastica, l'olio dentro il radiatore eccetera. In realtà questo spesso non viene fatto e allora quello che esce è materiale inquinante. Generalmente, se le fabbriche che prendono questo materiale sono accorte, allora non lo accettano, altrimenti va in lavorazione del materiale contenente delle sostanze tossiche, che casomai vengono messe in alto forno, comportando quindi emissioni inquinanti in atmosfera».
L'audizione è proseguita trattando l'argomento del tombamento dei rifiuti, con particolare riferimento al rinvenimento, nel 2008, di fusti nella zona di Potenza, sottoposti successivamente ad analisi mirate a verificarne il contenuto sotto il profilo della tossicità e radioattività. Sul punto, il comandante ha dichiarato:
«(...) verso Potenza, noi abbiamo trovato nel 2008 una serie di fusti intombati, per i quali sono intervenuti sia dei nostri nuclei specializzati, sia i nuclei anti nucleare batteriologico e chimico (NBC) dei vigili del fuoco, per verificare se fossero tossici o comunque se avessero delle sostanze radioattive al loro interno. Dalle analisi non abbiamo però ancora avuto risposta su questo, per cui non sappiamo quello che è successo. Questo è il quadro generale per quanto riguarda l'area settentrionale (...) Questi fusti sono stati rintracciati a Filiano, in agro di Filiano, un paesino a trenta chilometri da Potenza. Francamente io non ho avuto modo di rintracciare notizie più approfondite in merito perché l'accaduto risale al 2008, quando non ero ancora comandante provinciale, e perché mi riferiscono che si è ancora in attesa delle analisi del contenuto dei fusti che avrebbe fatto questo gruppo specializzato NBC dei vigili del fuoco. Mi sono attivato per conoscere gli esiti di queste analisi ma, a tutt'oggi, non ne sono ancora a conoscenza».

Alla domanda circa l'esistenza di qualche elemento di collegamento tra i fusti individuati nel 2008 e i fusti oggetto di recenti dichiarazioni da parte di un pentito, il comandante Vita ha risposto che, secondo quanto gli risulta, i fusti di cui si parla oggi sarebbero stati sepolti nell'area centrale della Basilicata, in Val d'Agri, a Sinni, mentre quelli del 2008 nell'area nord, quindi non vi dovrebbe essere corrispondenza.
Riguardo i reati collegati alla zona industriale della Val d'Agri e al centro Oli, il comandante Vita ha dichiarato che la maggior parte delle fattispecie rilevate hanno natura contravvenzionale, anche se la


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presenza dei pozzi petroliferi e del centro Oli, evidentemente, desta notevoli preoccupazioni.
«Per quanto riguarda l'area centrale, quella dell'attività estrattiva, io dividerei il problema dei pozzi petroliferi dall'altro. In generale, i reati ambientali sono numerosi ma sono tutti di tipo contravvenzionale, legati all'attività agricola (come l'utilizzazione in violazione delle norme agronomiche degli affluenti di allevamento oppure delle acque di vegetazione dei frantoi) ovvero alla dismissione di parecchi siti opifici in quella che doveva essere l'area industriale della Val d'Agri, che però non è mai decollata. Abbiamo fatto vari interventi al riguardo. Evidentemente destano molta preoccupazione la presenza di pozzi petroliferi e del centro oli. È noto a tutti quanto è successo proprio nei giorni scorsi circa lo sversamento di oli però, tutto sommato, al di là delle voci che circolano, noi non abbiamo riscontrato nulla di rilevanza penale, salvo in un caso, a Brindisi di Montagna, dove si è rilevato uno sversamento di gas liquidi provenienti dai fanghi di perforazione. Le società petrolifere, per agevolare la discesa dei loro materiali utilizzano delle sostanze particolari, che non solo sono inquinanti ma anche cancerogene, secondo scienza, pur non essendo inserite tra le sostanze pericolose nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, per cui si ha una certa difficoltà a contestare l'inquinamento relativo. A parte questo episodio, sul quale poi si è indagato e c'è stato un rinvio a giudizio per falso e per la violazione di altre norme accessorie, come Corpo forestale non abbiamo rilevato altro».
A domanda specifica della Commissione riguardo il monitoraggio dell'area delle estrazioni petrolifere in Val d'Agri, l'audito ha risposto che dalle centraline non risultano problemi.
Riguardo l'area di Potenza, il comandante Vita ha accennato alla vicenda della Daramic, di cui si è già parlato, e ad un altro procedimento, ancora in itinere, chiedendo peraltro, per quest'ultimo, la segretazione dell'audizione.
Con riferimento all'area meridionale della regione, ha poi dichiarato:
«Anche nell'area meridionale della regione, il Lagonegrese, ci sono numerosi reati ambientali, ma di carattere contravvenzionale, cioè di piccolo calibro e comunque legati all'attività agricola: utilizzazione agronomica degli affluenti di allevamento, come ho detto prima, oppure delle acque di vegetazione.
C'è una questione riguardante l'inquinamento del fiume Noce, però da informazioni che ho se ne stanno occupando i NOE, per cui avrete già avuto notizia al riguardo. L'area meridionale va evidentemente attenzionata, perché lì passa l'unico asse viario che collega l'Italia del sud e Napoli con il nord, la famosissima Salerno - Reggio Calabria, che passa proprio di là, per cui potrebbe essere un punto di snodo del traffico illecito di rifiuti. Ad oggi a noi non risulta però nient'altro, se non cose di piccolo conto».

1.2.4.6 Indagini effettuate dalla Guardia di finanza nella provincia di Potenza.

Come risulta dalla nota inviata alla Commissione il 2 febbraio 2012, dal Generale B. Gaetano Barbieri del Comando regione Basilicata


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della Guardia di finanza (doc. 1040/1), l'attività di controllo del territorio espletata, relativamente al biennio 2010-2011, ha portato al sequestro di 9 aree per un totale di 9.225 mq, tutte adibite a discariche abusive di rifiuti speciali pericolosi e non. Le ipotesi di reato contestate ai diversi responsabili sono state quelle di cui agli articoli 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, articoli 6 e 13, comma 5, del decreto legislativo n. 209 del 2003 (modificato dal decreto legislativo n. 149 del 2006), articolo 674 del codice penale.

Considerazioni di sintesi.

La provincia di Potenza si caratterizza, quanto alla gestione del ciclo dei rifiuti, per la mancata attuazione, ad oggi, del nuovo piano provinciale dei rifiuti, in linea con il testo unico ambientale e con le direttive europee, atteso che l'ultimo piano approvato risale a ben dieci anni fa (2002).
Come si evince dai dati sopra riportati, lo smaltimento dei rifiuti si esaurisce nel conferimento in discarica o presso l'inceneritore La Fenice, mentre i livelli di raccolta differenziata si attestano su percentuali molto basse, circa il 16 per cento.
Il punto critico del ciclo dei rifiuti è costituito dalla carenza di un'adeguata impiantistica che consenta di produrre compost di qualità, e di riutilizzare l'umido proveniente dalla raccolta differenziata, nonché dalla difficoltà di avviare efficacemente la raccolta differenziata su un territorio poco densamente abitato.
Si deve dare atto dell'avanzamento della procedura finalizzata alla realizzazione di un impianto di compostaggio, ritenuto indispensabile per una corretta gestione del ciclo dei rifiuti.
Per ciò che concerne la città di Potenza è stata sottolineata la necessità di aprire una nuova discarica a servizio della città in località «Pallareta», con una volumetria di circa 95.000 metri cubi, ritenuta più che sufficiente per la gestione dei rifiuti nel bacino di riferimento. Ma è più che evidente come la ricerca di nuove volumetrie per discariche debba necessariamente essere accompagnata dalla previsione di una più generale programmazione, altrimenti non si farà altro che cercare nuovi siti ove allocare i rifiuti, in totale dispregio di quelle che sono le prescrizioni che provengono, prima ancora che dalla legislazione italiana, dalle norme europee.
Con specifico riferimento al tema degli illeciti ambientali consumati nella provincia, il procedimento che certamente ha più attirato l'attenzione della Commissione è quello riguardante l'inquinamento prodotto dall'inceneritore La Fenice.
Il dato che colpisce in questa vicenda attiene all'ampio periodo di tempo (dal 2001 al 2010) entro il quale si sarebbero consumate le condotte oggetto di contestazione.
Il che significa, in sostanza, che per tutti quegli anni i controlli da parte degli organi a ciò deputati o non sono stati effettuati o non ne sono stati comunicati i risultati a chi di dovere.
Più volte, nel corso delle audizioni, è stato rappresentato alla Commissione come i controlli in materia ambientale in Basilicata siano più difficili che in altre regioni in quanto la popolazione è distribuita in modo disomogeneo su un territorio certamente troppo esteso rispetto al numero di abitanti.


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Ebbene, nel caso di specie, nessun alibi può essere invocato, in quanto in Basilicata vi è solo un inceneritore attivo e, dunque, dovrebbe essere scontata la capacità degli enti di controllo ad effettuare monitoraggi, sopralluoghi, verifiche in modo efficace e puntuale.
Quanto agli altri dati acquisiti in merito agli illeciti ambientali, si tratta di vicende che si pongono in linea con quanto già rappresentato nella relazione sulla Basilicata effettuata dalla Commissione di inchiesta nell'anno 2000.
Quello che si vuole evidenziare è che, da un lato, permane il problema della realizzazione di numerose discariche abusive, senza che ben si comprenda da dove provengano i rifiuti, dall'altro, si continua ad affermare che il pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata, in Basilicata, per ciò che concerne il settore dei rifiuti, pur essendo sempre attuale, non si è tradotto in un «ingresso» di quelle stesse organizzazioni sul territorio lucano per l'utilizzo illecito dello stesso.
Su questo specifico aspetto si ritornerà nel prosieguo della relazione.

1.3 La provincia di Matera.

1.3.1 Il sistema di gestione dei rifiuti nella provincia di Matera.

Il sistema di gestione dei rifiuti nella provincia di Matera si basa, essenzialmente, sul conferimento in discarica. Le discariche attive per i rifiuti solidi urbani, secondo quanto comunicato alla Commissione, sono tre, mentre altre due già esistenti hanno esaurito le volumetrie disponibili. Tre sono, inoltre, le discariche per i rifiuti speciali.
Si è registrata, quindi, l'esigenza di ricavare ulteriori volumetrie nelle discariche, tenuto conto del flusso di rifiuti conferiti e del fatto che anche parte dei rifiuti prodotti nella provincia di Potenza sembrerebbe essere smaltita nella provincia di Matera.
I livelli di raccolta differenziata si attestano su percentuali bassissime.
Poiché le discariche, come è evidente, non sono «eterne» mentre il flusso di rifiuti da smaltire è continuo, si impone l'adozione di un sistema di gestione del ciclo dei rifiuti che contempli, da un lato, una minore produzione degli stessi, dall'altro, un'efficace attuazione della raccolta differenziata con il conseguente riciclo dei materiali.
Il 15 febbraio 2012 il Consiglio provinciale ha approvato il nuovo piano provinciale dei rifiuti, come si evince dal sito internet della provincia.
Gli obiettivi principali del piano sono:
massimizzare le opportunità di recupero di materia dai rifiuti, attraverso lo sviluppo della raccolta differenziata, finalizzata sia al reinserimento nei cicli produttivi di materie prime sia alla produzione di compost di qualità idoneo all'impiego agronomico (compost verde);


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garantire il pretrattamento dei rifiuti non intercettati dalle raccolte differenziate;
valorizzare le opportunità di recupero energetico dei rifiuti;
contenere i costi di gestione attraverso la razionalizzazione dei sistemi di raccolta e trattamento;
perseguire il principio di prossimità nello smaltimento dei rifiuti;
migliorare i controlli ambientali.

Tali obiettivi si intendono perseguire attraverso un sistema di prevenzione e riduzione della produzione dei rifiuti, prima ancora del riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico.
Il piano provinciale prevede una serie di interventi volti alla massima riduzione dei flussi di rifiuti da destinarsi a discarica, in modo che tali impianti assumano un ruolo puramente residuale.
Il piano prevede, quindi, la riduzione delle piattaforme comprensoriali da otto a due, tre stazioni di trasferenza e nessun inceneritore. Sono previste, poi, sei centrali a biomasse.
Come spesso si è osservato, però, il problema non è quello di redigere un documento intitolato «piano provinciale dei rifiuti», adempimento questo certamente importante, ma meramente prodromico rispetto ad una concreta attuazione di quanto in esso prescritto, ma di attuarlo.
Si tratterà, dunque, di verificare come nel tempo la provincia riuscirà a dare concreta attuazione al piano attraverso un'oculata distribuzione delle risorse per la realizzazione degli impianti, l'incentivazione della raccolta differenziata e il riciclo.
Sia il prefetto di Matera, dottor Luigi Pizzi, che il questore di Matera, dottor Franco Stella, hanno inviato alla Commissione relazioni concernenti la situazione del ciclo dei rifiuti nella provincia (doc. 1039/1, 1039/2, 1034/1, 1181/1).
Di seguito vengono riportati i dati forniti con riferimento alle discariche, all'impiantistica e alla raccolta differenziata, temi evidentemente connessi, in quanto le problematiche attinenti al reperimento di nuove volumetrie di discarica sono inversamente proporzionali allo sviluppo impiantistico ed all'incentivazione della raccolta differenziata.

1.3.1.1 Discariche.

Secondo i dati contenuti nelle relazioni citate, risultano attive sul territorio provinciale sei discariche autorizzate contenenti rifiuti solidi urbani nei comuni di Matera, Pisticci, Colobraro, Salandra, Pomarico, Tricarico. Le prime tre sono dotate di impianto biomeccanico.
Vi sono poi altre due discariche non più attive per avere esaurito le volumetrie.


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Si riporta la tabella trasmessa:

La disponibilità impiantistica complessiva, a gennaio 2012, è risultata pari a 78.500 metri cubi, ripartiti come segue:

Agli attuali ritmi di colmata, pari a circa 6.000 m3/mese, la disponibilità volumetrica complessiva è stata stimata (a gennaio 2012) in 13 mesi.


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A seguito dell'ordinanza n. 7 del 23 luglio 2009 e della delibera della giunta regionale di Basilicata n. 156/2010 di ripartizione delle suddette volumetrie, nell'avvenire potranno essere disponibili ulteriori volumi per un totale di 180.000 metri cubi presso gli impianti di Pisticci, Colobraro Salandra e Tricarico.
Per assicurare ulteriori volumetrie, la regione Basilicata ha, inoltre, autorizzato - con delibera di giunta regionale n. 1987/2011 - un totale di 80.000 metri cubi ripartiti in egual misura tra l'impianto di Ferrandina e l'impianto di San Mauro Forte.
Deve tenersi presente che, nella provincia di Matera, affluiscono anche parte dei rifiuti provenienti dalla provincia di Potenza.
Sul territorio provinciale sono presenti, inoltre, discariche ove confluiscono rifiuti speciali (doc. 1039/2).
In particolare, nei comuni di Matera, Pomarico e Salandra sono presenti tre discariche contenenti, oltre che rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali non pericolosi (quelle di Pomarico e Salandra con una capacità residua rispettivamente ridotta al 13 per cento e al 5 per cento).
Nel comune di Ferrandina vi è una discarica, con capacità residua del 10 per cento, contenente rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi dove vengono smaltiti, oltre a materiale inerte proveniente da attività edile, rifiuti contenenti amianto.
Nel comune di Pisticci è presente una discarica, con capacità residua del 14 per cento, contenente rifiuti speciali pericolosi dove vengono smaltiti fanghi di perforazione.
Nel comune di Tursi è presente una discarica contenente, oltre che rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali pericolosi. Tale impianto, peraltro, non risulta attivo né bonificato (nell'anno 2009 il Corpo forestale dello Stato di Matera ha sequestrato tale discarica dopo aver riscontrato una perdita di percolato).
Vi sono, infine, quattro discariche contenenti rifiuti speciali non pericolosi nei comuni di Tricarico (isola ecologica), Calciano (isola ecologica), Aliano e Pomarico.
Il sindaco di Matera, Salvatore Aducce, ha esposto alla Commissione, nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012, lo stato della discarica sita sul territorio comunale:
«Matera è una città di 61.000 abitanti, che dispone di un impianto di trattamento dei rifiuti dislocato a sei o sette chilometri dal centro abitato, vicino ad un borgo particolarmente importante, non soltanto per la città. L'impianto dista soltanto un chilometro e mezzo dal borgo La Martella, che appartiene alla storia dell'architettura italiana, essendo stato costruito nell'epoca in cui i Sassi di Matera furono avviati allo svuotamento, attraverso una legge dello Stato, nel 1952. Il borgo fu progettato nel 1951, ad opera di un grande dell'architettura, l'urbanista professor Quaroni. Nel borgo La Martella, tra l'altro, hanno operato con alcune riflessioni importanti, che sono rimaste appunto nella nostra letteratura, persone del calibro di Adriano Olivetti, che ha avuto lì una funzione e un ruolo importanti, perché lì fu costruito un borgo per i contadini che erano nei Sassi e che vennero fatti trasferire nelle abitazioni a ridosso delle terre dove lavoravano.


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Dico questo perché ancora oggi noi soffriamo di una difficoltà: la discarica di cui disponiamo è fatta di quattro vasche, che attualmente sono sature, due delle quali sono già state oggetto di sequestro da parte della magistratura, a causa di un'iniziativa che vide il sovrabbanco di rifiuti. Abbiamo poi un'altra vasca, il quinto settore, attualmente in esercizio, che viene utilizzata per l'indifferenziata. (...) Per il resto, il settore delle discariche è funzionante e ci siamo resi disponibili - non appena si è insediata la mia amministrazione - nell'ambito della collaborazione a livello regionale, ad accogliere i rifiuti del gruppo di comuni del circondario che fa capo a Potenza, che a un certo punto si è trovato in difficoltà e ha avuto un po' di problemi. Ci sono state conferite 3.500 tonnellate di rifiuti, a partire dall'autunno del 2010 e per alcuni mesi, nell'ottica della collaborazione e anche della gestione integrata del problema.
Abbiamo anche superato, in questo caso, qualche comprensibile difficoltà di tipo municipalistico, perché è difficile accettare i rifiuti di un'altra città, e tra Potenza e Matera siamo come Siena e Pisa, non corre cioè ottimo sangue. Siamo riusciti tuttavia a rispettare la consegna.
Rispettavamo, tra l'altro, un'ordinanza del presidente della regione ed era anche un dovere istituzionale oltre che, per quanto mi riguarda, anche un dovere di tipo etico. (...) La quinta vasca serve solo il comune di Matera».

Importanti informazioni sono state fornite con riferimento alle modalità attuali di smaltimento del percolato prodotto dalle discariche ed agli impianti di smaltimento da realizzare a servizio delle discariche medesime:
«per realizzare un impianto di trattamento in loco del percolato, frutto di una sperimentazione e di una ricerca dell'Enea di Trisaia, dove fortunatamente non c'è solamente la storia delle problematiche che voi avete potuto rilevare. Con l'Enea stiamo per raggiungere un'intesa, perché monteremo questo impianto presso la nostra discarica, la quale nell'immediato servirà a trattare il percolato del quinto settore in esercizio, che attualmente viene trattato con le modalità ordinarie; e anche perché abbiamo all'attenzione della regione il progetto per sigillare i quattro saturi, con una risagomatura della copertura, e quindi avremo la necessità e l'onere di gestire, nel senso proprio e più alto del termine, quei quattro settori nei trent'anni prossimi.
Se riusciamo a chiudere questo accordo con l'Enea ovvero se riusciremo a far funzionare questo impianto, sperimenteremo una cosa particolarmente interessante, perché avremo a portata di mano uno strumento utile per risolvere uno dei grandi problemi delle nostre discariche, il percolato, che costituisce naturalmente un pericolo grande, ma anche un costo enorme per la collettività.
Abbiamo all'attenzione questi progetti e speriamo che tutto possa funzionare secondo i nostri programmi, potendo anche offrire un esempio di collaborazione tra un grande centro di ricerca e un'amministrazione locale, il che sarebbe una buona cosa per tutti quanti.
(...) Attualmente lo trattiamo ( il percolato prodotto dalla discarica di Matera) con il conferimento presso i centri autorizzati a trattare il


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percolato, in particolare Tecnoparco della Val Basento, dove c'è un impianto all'uopo funzionante. La cosa che noi lamentiamo sono i costi consistenti. Dal punto di vista ambientale, la mia riflessione personale, ma credo condivisa anche dalla gran parte di noi, è che dovremmo provare a far camminare il meno possibile questo materiale, in largo e in lungo».

1.3.1.2 Impiantistica.

Per quanto attiene il trattamento dei rifiuti, nella provincia di Matera risultano presenti 40 impianti.
Si riporta, di seguito, lo schema tratto dalla relazione inviata dal prefetto di Matera, nel quale sono elencati gli impianti e il tipo di rifiuto trattato (doc. 1039/2):
Produzione di CDR. Sono presenti n. 2 impianti, n. 1 a Colobraro, che utilizza rifiuti solidi urbani, e n. 1 a Ferrandina, che utilizza carta e cartone.
Recupero. Sono presenti 34 impianti. Tre a Stigliano (rifiuti solidi urbani, ferro, pneumatici), due a Policoro (autoveicoli, inerti), quattro a Ferrandina (carta e vetro), uno a Salandra (carta e vetro), uno a Nova Siri (inerti), uno a Montalbano Jonico (inerti), quattro a Pisticci (inerti, percolato di discarica, oli esausti, rifiuti liquidi pericolosi), uno a Bernalda (autoveicoli), due a Montescaglioso (inerti, vetro, elettrodomestici, carta), undici a Matera (inerti, ferro, carta, cartone, ceneri leggere, legno), due a Irsina (rifiuti solidi urbani, oli esausti, catrame), due a Grassano (inerti, oli esausti).
Stoccaggio e trasporto. Sono presenti due impianti, di cui uno a Rotondella (rifiuti solidi urbani) e uno a Tricarico (amianto).
Compostaggio. È presente un impianto a Tricarico (rifiuti solidi urbani).
Termovalorizzazione. È presente un impianto presso lo stabilimento Italcementi di Matera che utilizza pneumatici per la produzione di energia.
L'impianto di trattamento e smaltimento ubicato in Valbasento gestito da Tecnoparco, società di servizi per l'intera area industriale, tratta rifiuti liquidi sia di provenienza regionale che extraregionale, non essendo gli stessi contingentati come i rifiuti solidi urbani. L'impianto, dotato di potenzialità di trattamento superiore a 1.000.000 di mc/anno, risulta approvato in procedura AIA con D.G.R. n. 1387 del 1o settembre 2010.
L'impianto di depurazione è dotato di un sistema di controllo con sensori di processo on line e di un sistema automatico di campionamento in continuo per la predisposizione di campioni medi da avviare ad analisi nei laboratori interni per il controllo degli analiti ricompresi nell'allegato 5, tab. 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
La società di gestione dell'impianto determina «preventivamente» l'accettabilità del rifiuto con analisi chimico-fisiche eseguite su ogni


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singolo carico e provvede ad inviare alla provincia di Matera con cadenza annuale, così come prescritto, oltre alle notizie relative ai rifiuti trattati, i report di analisi allo scarico (doc. 1181/1).

Nella relazione inviata dal presidente della provincia di Matera, Franco Stella, (doc. 1181/1) si evidenzia che:
«Sul territorio della provincia di Matera risultano attivi circa 170 impianti di recupero in procedura semplificata (articolo 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006) che si occupano principalmente di rifiuti provenienti da demolizioni di manufatti edilizi e stradali, di plastiche e gomme e rottami metallici.
Risulta altresì presente un impianto di recupero materia autorizzati in procedura ordinaria, per effetto delle maggiori quantità annue rispetto ai limiti quantitativi imposti dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 per rientrare nelle procedure semplificate.
Si segnala infine la presenza sul territorio provinciale di dieci centri di rottamazione autoveicoli (previsti dal vigente piano provinciale di organizzazione e gestione dei rifiuti) autorizzati al recupero delle singole frazioni provenienti dallo smontaggio.
Da quanto riportato nel corpo della presente relazione si evince chiaramente che la dotazione impiantistica esistente è del tutto adeguata ad accogliere la produzione dei rifiuti provinciali ed a scongiurare fenomeni di abbandono degli stessi da parte dei produttori. Ciò nonostante vanno segnalati episodi di abbandono di rifiuti ad opera di ignoti, soprattutto sui margini stradali con riferimento a rifiuti ingombranti (mobili e suppellettili dimessi, RAEE, pneumatici, inerti da demolizione eccetera).
Questi fenomeni, dovuti a singoli odiosi comportamenti, sono anche frutto di mancata conoscenza degli obblighi in capo ai produttori/venditori a cui il singolo cittadino può rivolgersi. In conclusione, in attesa che si concludano le verifiche in corso, attivate dalle autorità preposte in ordine ad occultamenti di rifiuti, non si segnalano particolari criticità riconducibili a smaltimenti incontrollati di rifiuti sul territorio di questa provincia.
Un ulteriore elemento di razionalizzazione e controllo dei flussi di rifiuti prodotti localmente o di lecita provenienza extraregionale è sicuramente costituito dal nuovo atto di pianificazione e gestione di rifiuti già adottato dalla provincia di Matera ed in attesa di approvazione regionale.
Nel nuovo piano, pienamente condiviso dalle Unione locali, sono stati introdotti elementi di razionalizzazione importanti quali la riduzione degli impianti (solo due piattaforme di trattamento e smaltimento su base provinciale, stazioni di trasferenza per ottimizzare il flusso dei rifiuti, anche in ordine all'economicità del sistema, strutture locali per spingere la raccolta differenziata verso percentuali accettabili considerato il valore fissato al 65 per cento per il 2012 dalla normativa vigente)».
In merito alle problematiche attinenti alla gestione del ciclo dei rifiuti è stato audito, il 13 marzo 2012, l'assessore all'ambiente della provincia di Matera, Giovanni Bonelli, accompagnato da Eustachio Montemurro, direttore dell'ufficio ambiente della provincia di Matera.


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In merito alla situazione impiantistica l'assessore ha dichiarato:
«(...) abbiamo approvato ultimamente un aggiornamento del piano dei rifiuti soldi urbani, che era riferito al 2002. Il piano è stato inoltrato al dipartimento ambiente della regione Basilicata, per essere sottoposto a VIA ed a VAS. Nella provincia di Matera abbiamo otto discariche, di cui sei attive e due no, e abbiamo una disponibilità di circa 70.000 metri cubi, per circa tredici mesi. Ci sono poi delle ordinanze del presidente della giunta regionale che nel 2009 hanno autorizzato altre volumetrie, per circa 180.000 mila metri cubi. Sono attività per cui i gestori, in molti casi i comuni, stanno seguendo tutte le procedure per gli ampliamenti. In ultimo, un altro provvedimento della giunta regionale ha autorizzato altri 80.000 metri cubi, di cui 40.000 a Ferrandina e altri 40.000 a San Mauro Forte. (...) D'accordo con il dipartimento ambiente della regione Basilicata, nel giro di sette o otto mesi al massimo noi pensiamo di riuscire ad avere un piano operativo con cui puntiamo all'eliminazione delle discariche sul territorio. Proprio per questo abbiamo infatti previsto due piattaforme, una a Colobraro e un'altra sull'asse Basentana-Pisticci-Ferrandina, in aree già compromesse sotto questo aspetto, e con tre aree di trasferenza.
Per quanto riguarda invece la situazione dei rifiuti speciali, abbiamo due impianti - la ditta Giuzio Antonio e Raffaele Srl, ad Aliano, e la Ecobas Srl, a Pisticci - che stanno ultimando la loro disponibilità, tant'è vero che con la regione stiamo vedendo di tracciare in tempi brevi delle linee guida sul piano dei rifiuti speciali, per poter eventualmente individuare altre volumetrie.
Come abbiamo fatto per il piano dei rifiuti solidi urbani, abbiamo incaricato l'ATO rifiuti, in collaborazione con il dipartimento dell'università di Basilicata, di redigere anche il piano dei rifiuti speciali».

Con riferimento al fatto che l'impianto di trattamento di rifiuti speciali liquidi, gestito dalla società Tecnoparco in Val Basento, riceva rifiuti speciali provenienti da tutte le regioni d'Italia, il direttore ufficio ambiente della provincia di Matera, Eustachio Montemurro, ha spiegato:
«Prima la zona industriale era molto popolata di industrie chimiche e quindi c'era bisogno di impianti di depurazione abbastanza grossi. Nel momento in cui c'è stata la crisi chimica e le aziende hanno chiuso, non si riusciva più a gestire l'impianto con i soli rifiuti della regione.
Un provvedimento aveva vietato le importazioni dall'esterno della regione, ma è stato poi dichiarato incostituzionale, per cui la ditta è oggi libera di accogliere rifiuti da fuori. C'è comunque la vigilanza della provincia, che controlla le quantità e la qualità della depurazione. Essendo un impianto ad hoc, lavora in una certa maniera ed è tarato per trattare grossi volumi di rifiuti liquidi».

1.3.1.3 Raccolta differenziata.

Secondo i dati forniti dal prefetto di Matera (doc. 1039/2), la percentuale di raccolta differenziata nel territorio della provincia è


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pari, complessivamente, al 16,81 per cento. Tale valore percentuale risulta ottenuto essenzialmente grazie ai comuni di Montescaglioso e di Montalbano Jonico, nei quali la percentuale di raccolta differenziata è, rispettivamente, pari al 62,30 per cento e al 57,13 per cento. Negli altri comuni, invece, detta percentuale si assesta su valori nettamente inferiori.
In data 13 marzo 2012 è stata audito il sindaco di Matera, Salvatore Aducce, il quale ha descritto la situazione del comune con riferimento allo stato di attuazione della raccolta differenziata, evidenziando le cause che ne hanno determinato un rallentamento:
«Abbiamo un servizio di raccolta differenziata del rifiuto che partì molti anni fa, ma adesso non voglio riprendere cose troppo antiche. In maniera organica è partita nell'autunno del 2009, quando dopo l'espletamento di una gara d'appalto fu organizzato il servizio di raccolta differenziata che ha iniziato a funzionare, anche se abbiamo avuto alcune di difficoltà, perché esattamente dopo un anno il Consiglio di Stato ha annullato l'aggiudicazione a questa ditta e, dopo pochi mesi, ad aprile 2011, abbiamo dovuto affidare il servizio al secondo e ultimo classificato.
Abbiamo sofferto un po' perché il cambio di treno in corsa non è stato affatto semplice e peraltro l'amministrazione che io presiedo si è ritrovata l'appalto già espletato dalla precedente gestione e a dover attendere il passaggio al nuovo gestore.
La percentuale di differenziata è attualmente intorno al 30-35 per cento (...) È un raggruppamento, peraltro capeggiato dalla ditta che attualmente gestisce la raccolta. In una prima fase, nell'autunno del 2009, vinse l'appalto la ATI Aimeri ambiente. Ci fu poi un ricorso da parte del secondo e ultimo classificato, che ha infine vinto davanti al consiglio di Stato: il Consorzio nazionale servizi (CNS), che alla fine si è aggiudicato l'appalto, per l'importo a base d'asta, che all'epoca era di 3 milioni al netto di IVA all'anno. In verità devo aggiungere che, dai nostri calcoli, la cifra è assolutamente insufficiente. (...) Noi calcoliamo che per 60.000 abitanti abbiamo una media di 50 euro ad abitante. Pensiamo che, almeno in quella fase, avrebbe dovuto essere almeno il doppio. Abbiamo infatti problemi non soltanto per la percentuale di differenziata, ma anche per la pulizia delle strade, perché gli addetti della ditta che gestisce il servizio sono soltanto una cinquantina e, dai nostri calcoli, avrebbero dovuto essere almeno il doppio.
Noi abbiamo però trovato questa situazione con una procedura già espletata, definita, appaltata e con il servizio funzionante già da diversi mesi, quindi impossibilitati a operare in ogni altro modo. Dobbiamo semplicemente attendere la scadenza del contratto e, nel frattempo, riorganizzare tutto quanto il servizio) (...) Abbiamo qualche sofferenza dovuta alla vetustà dell'impianto di cosiddetto "compostaggio", che risente della sua progettazione risalente a circa ventidue anni fa, e che non offre un risultato apprezzabile, tanto che nell'ultimo periodo abbiamo pensato di trasferire la frazione umida in un impianto funzionante regolarmente, e calcoliamo persino di poter risparmiare qualcosa.
Qualche segnale lo abbiamo avuto l'estate scorsa, quando è accaduto un episodio un po' strano. Con una pala meccanica che viene

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utilizzata all'interno dell'impianto è stata buttata a terra la centralina elettrica della discarica, che serve l'intero impianto; sono inoltre stati buttati giù una cancellata e un po' di recinzione; e questa pala è stata persino sottratta e poi ritrovata dai Carabinieri.
Segnali particolari di interessi sospetti non ne abbiamo, non ne rileviamo, non ci sembra di poter apprezzare qualche movimento che non sia esclusivamente un tentativo dovuto magari anche alle conseguenze di una riorganizzazione del lavoro che noi abbiamo cercato di fare nel corso dei mesi, soprattutto a partire dall'affidamento al nuovo gestore, quando abbiamo assunto qualche provvedimento che potrebbe aver scomodato qualcuno. Non pensiamo però a iniziative esterne, che possano farci pensare a qualche interesse particolare».

1.3.2 Gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nel territorio della provincia di Matera.

In linea di massima, secondo quanto appreso dalle autorità interpellate, nella provincia di Matera (e più in generale nell'intero territorio regionale), nonostante il gran numero di reati perpetrati nel settore, non sono state registrate infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella gestione del ciclo del rifiuti.
Il territorio appare, comunque, esposto al rischio di tali infiltrazioni, come riferito dal comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, Raffaele Manicone, secondo il quale «la provincia di Matera sia per la sua particolare collocazione territoriale, sia per la particolare conformazione orografica e sia per la scarsa antropizzazione rilevabile in ampi tratti del proprio territorio, è oggetto di nuove attenzioni da parte di sodalizi criminali organizzati provenienti dalle regioni confinanti, Puglia, Calabria e soprattutto dalla Campania» (doc. 1104/2).

1.3.2.1 Le informazioni acquisite dagli uffici di procura.

Nel corso dell'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, Celestina Gravina, tenutasi in data 28 febbraio 2012, sono stati affrontati diversi temi, tutti attinenti ai dati oggetto dell'inchiesta della Commissione. Il procuratore non ha dato atto di procedimenti particolarmente importanti in materia ambientale, evidenziando come, peraltro, procedimenti attinenti al traffico illecito di rifiuti siano ormai di competenza della procure distrettuali antimafia:
«Tutti sanno che la provincia di Matera è indicata come ideale, direi la più idonea nell'ambito del territorio nazionale per ipotizzarvi l'insistenza di traffici illeciti inerente ai rifiuti. I dati sono eloquenti di per se stessi. Abbiamo un territorio molto vasto, 2446 chilometri quadrati, con una media di abitanti per chilometro quadrato di 59 abitanti su tutta la provincia, ovviamente concentrati in Matera e in alcuni altri centri. In realtà, ci sono comuni con agro estesissimo. Penso a Irsina, Craco, Pisticci, che hanno 10 abitanti per chilometro quadrato, quindi spopolati, con un assetto morfologico del territorio


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che, come tutti sanno, tra calanchi, argille e caverne naturali, si presta intrinsecamente a essere definito come a rischio. Sono lì da un anno e non ho, per il periodo della mia reggenza, informazioni strutturate su fenomeni di interesse criminale. Ho la preoccupazione che questo derivi anche dall'entrata in vigore, nell'agosto 2010, della norma sulla competenza distrettuale dell'unica fattispecie delittuosa in termini di illeciti di rifiuti, articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che, come tutti sanno, implica tra gli elementi costitutivi le "più operazioni" illecite, oltre che la strutturazione logistica dell'impresa per la gestione. Possono esservi, quindi, dei fatti, come le singole operazioni illecite dei trasporti e degli sversamenti, di cui non abbiamo notizia perché ho notato che il trasferimento di questa competenza alla direzione distrettuale antimafia non è stato supportato da un sistema normativo di coordinamento, di informazione, di notifica agli organi territoriali, laddove invece la conoscenza del territorio, la presenza, la vicinanza allo stesso, per il monitoraggio e il rilevamento di questi fatti mi sembra molto importante. Non so se Potenza, Napoli, Foggia e territori limitrofi anche ad alto rischio di attività criminose di questo genere abbiano in fase di indagine fenomeni ex articolo 260 del testo unico ambientale. Io non ne so niente. Questo è, a mio avviso, un punto cruciale e centrale perché, invece, per quello che so e che ho visto riguardo al resto - sui dati sarà preciso il dottor Manicone, che ha portato un prospetto - ho inviato alla Commissione i provvedimenti di sequestro, decreti di rinvio a giudizio inerenti agli ultimi anni dell'azione sul territorio. Si tratta di piccoli fatti, segno, più che altro, di malcostume, di inciviltà del settore piuttosto che di fatti che assumano un significato criminale. Parlo di abbandoni incontrollati, purtroppo in grande quantità in questo territorio, qualche vicenda di gestione asseritamente illecita. Sono vicende estremamente complesse, come voi mi insegnate. Io ho appena iniziato ad occuparmi di queste questioni e cioè di gestioni supportate da autorizzazioni, ma ritenute tamquam non esset per incroci di norme sottostanti, per cui sorge la problematica dell'applicazione della norma penale con disapplicazione e non considerazione di un'autorizzazione esistente perché ritenuta illecita. Direi che i due o tre fatti più significativi degli ultimi due o tre anni sono di questo genere. Sono tutti al vaglio del dibattimento. Ho trovato già instradati questi processi, ho studiato proprio in questa occasione queste vicende, che sono delicate e implicano a mio avviso un'altra necessità ordinamentale, ossia quella di regolare, semplificare e rendere molto più chiare le norme sottostanti. Diversamente, ci si imbatte in queste geometrie per arrivare alle ipotesi dell'illiceità, che molto costano in termini di accertamento e processuali, ma non so quanto producano in termini finali di affermazioni di responsabilità, di acquisizioni e anche di messa in opera delle confische, che sono lo strumento principale per fronteggiare questo tipo di criminalità (...) Nell'ultimo periodo non abbiamo proprio nessun input strutturato, elementi che ci dicano che esistono organizzazioni criminali dedite a questo tipo di attività. Il presidente Pecorella sa che negli anni Novanta ci sono stati input investigativi di questo genere. Non ritengo che abbiano portato a conclusioni stringenti o sicure. (...) La situazione fondamentale della Basilicata, essenzialmente, è che le discariche

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sono tutte colme, stanno per finire, e certamente ci sono scelte che dovranno essere intraprese. Mi risulta che tre giorni fa la provincia di Matera abbia presentato un piano di regolamentazione, che sicuramente voi conoscerete se ci sarà questo incontro, fondato sull'istituzione di due piattaforme ecologiche, se non sbaglio, con sistemi logistici con una implementazione - anche qui, è un fatto di informazione e cultura - della raccolta differenziata. Siamo ancora in termini estremamente scarsi nel territorio. Fondamentalmente, il quadro è questo. Dunque, piccoli fatti, un paio di fatti più seri, ma sono processi che indicano come non esistenti autorizzazioni concesse per vari incroci sottostanti, discutibili. Vedremo cosa diranno infine i tribunali.»

Il procuratore Gravina ha, poi, riferito in merito alla vicenda, riportata da organi di stampa, relativa alla paventata pericolosità per l'ambiente dell'attività di estrazione petrolifera gestita da Total Italia SpA, in località Tempa Rossa, (con pozzi situati anche in provincia di Matera, nel comune di Gorgoglione), dichiarando:
«... abbiamo diverse segnalazioni provenienti da comitati di cittadini e da privati: pochi giorni fa ho archiviato il primo di questi procedimenti con un accertamento del NOE che escludeva qualsiasi sversamento pericoloso in ordine a certi liquidi che erano stati rilevati. Ho avuto, inoltre, assicurazioni e documenti circa un monitoraggio da parte di tutte le autorità responsabili, a livello regionale e di ASL. Ciononostante, non è emerso nessun fatto, nessun input preciso. Monta l'argomento, per i giornali locali, per i comitati. È una delle cose di cui si parla di più. Si parla, fatti nessuno. Notizie, input criminali seri, notizie "vestite" nessuna...».

In sostanza, sono stati evidenziati fenomeni diffusi di illegalità, ma non episodi di particolare allarme sociale in merito ad illeciti traffici di rifiuti.
La dottoressa Gravina ha segnalato, quali fattispecie di reato più frequentemente contestate nell'ultimo biennio, quelle relative alla realizzazione di discariche non autorizzate, all'abbandono di rifiuti speciali pericolosi, alla non corretta gestione dei rifiuti e degli imballaggi, alla mancata bonifica dei siti inquinati.
Un dato rilevante è che nel periodo di 1o gennaio 2010 - 30 gennaio 2012 non vi sono state - da parte della procura - richieste di misure cautelari personali (doc. 1041/1).
Tuttavia, dai documenti trasmessi dalla dottoressa Gravina si evince che, in numerosi casi, sono state richieste ed applicate misure cautelari reali (doc. 1041/2).
A testimonianza di quanto il procuratore Gravina ha esposto nel corso dell'audizione, vi sono i documenti relativi ai processi avviati con l'esercizio dell'azione penale in materia ambientale.
Ed infatti, dall'esame della documentazione trasmessa (doc 1041/3), si ricava l'esistenza di un gran numero di procedimenti penali, tutti, però, sostanzialmente attinenti ad episodi singoli, non riconducibili a più ampie strategie criminali in materia ambientale.
Il procuratore della Repubblica di Lagonegro, dottor Vittorio Russo, audito dalla Commissione in data 13 marzo 2012, ha riferito


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in merito a due procedimenti penali di maggiore rilevanza avviati dalla procura di Lagonegro negli ultimi anni.
Il primo riguarda la discarica sita in località Carpineto, sulla quale è in corso una consulenza tecnica volta a verificare l'esistenza di irregolarità sia dal punto di vista amministrativo sia dal punto di visto del corretto funzionamento in relazione a fenomeni denunciati di perdita di percolato. In particolare, oggetto di accertamento è la natura dei rifiuti conferiti (ossia se si tratti solo di rifiuti urbani - che la discarica era autorizzata a ricevere - oppure anche di rifiuti speciali).
L'altro procedimento riguarda l'ipotesi di sversamento in mare di rifiuti provenienti da un impianto sito a Tortora per il quale sono state avviate indagini in collaborazione con la procura di Paola. Vi sono state verifiche da parte dei Nas e, anche in questo caso, è stata disposta una specifica consulenza tecnica.
Si riportano le dichiarazioni rese dal procuratore Russo:

«Il primo (procedimento) riguarda una discarica molto importante, che si trova in località Carpineto, nel territorio di Lauria, una cittadina che fa parte della giurisdizione del tribunale di Lagonegro. Si tratta di una discarica molto grande, in cui confluivano anche rifiuti solidi urbani dal Potentino, e che noi riteniamo abbia necessità di essere attentamente monitorata, tant'è vero che è in corso una perizia: una consulenza tecnica è stata affidata a degli specialisti che a Napoli, con me, si sono occupati dell'esame e della valutazione dello stato di varie discariche del Napoletano. Attendiamo di vedere che cosa viene fuori da questa attività di monitoraggio. Non è escluso che ci possano essere delle irregolarità - sia di natura amministrativa, sia collegate ai conferimenti di rifiuti che in questa discarica vi sono stati nel corso degli anni - sulle quali ci riserviamo quindi di operare poi in maniera più incisiva.
Al momento, parte di questa discarica non è utilizzata. L'amministrazione di Lauria ha infatti ritenuto di sospendere i conferimenti, per il momento, proprio in attesa di chiarezza su queste problematiche che, soprattutto per quanto riguarda la perdita di percolato, sono state oggetto di plurime segnalazioni da parte di cittadini, associazioni e giornali locali, soprattutto nell'estate scorsa, il che ha originato poi la nostra attenzione e l'apertura del procedimento penale.
L'altra criticità di cui parlavo riguarda invece un impianto che si trova verso il mare, a Tortora, una località al confine tra la procura della Repubblica di Lagonegro e quella di Paola, rientrante nel territorio di competenza di quest'ultima ma al confine con Castrocucco, che è l'ultima propaggine della giurisdizione di Lagonegro.
Di concerto con il procuratore della Repubblica di Paola, il collega Giordano, abbiamo avviato un'attività di monitoraggio su questo impianto, che peraltro era già stato oggetto di precedenti attività giudiziarie. Negli anni scorsi ci sono stati anche arresti, procedimenti penali, ovviamente ad opera della procura di Paola. Questo impianto è stato chiuso per un periodo di tempo, poi è stato riaperto, con una gestione diversa e personaggi diversi. Abbiamo motivo di ritenere che anche oggi le cose non siano assolutamente in linea con i parametri di riferimento normativi, per cui assieme al collega Giordano, che ha

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mostrato particolare sensibilità, abbiamo iniziato un'attività comune e su questa questione abbiamo un processo congiunto. Noi monitoriamo il fiume Noce, che sfocia nel Tirreno, all'altezza di Maratea, dove appunto si trova questo impianto, in località Tortora che, come ho detto, rientra nella giurisdizione di Paola, per cui la competenza era necessariamente di entrambe le procure. Abbiamo avuto pertanto più incontri con il collega Giordano e abbiamo poi iniziato un'attività di monitoraggio, che è in corso, sia da parte del NAS, sia mediante una specifica consulenza tecnica sulle modalità e sull'impianto in quanto tale, che è stata disposta prima delle festività natalizie. (...) per quanto riguarda la situazione di Castrocucco, si parla essenzialmente di sversamenti in mare. (...) Stiamo parlando della perla del Mediterraneo, del mare antistante Maratea, quindi di uno dei posti più in d'Italia. Si discute della capacità dell'impianto di riuscire a gestire questi rifiuti e di non sversarli puramente e semplicemente, in tutto o in parte, nel mare, che è l'ipotesi di partenza.
Quanto invece all'ipotesi di Carpineto, si discute di quali rifiuti siano stati conferiti, se si tratti solo di rifiuti urbani - che quella discarica era autorizzata a ricevere - oppure anche di rifiuti speciali.
Al momento non ho elementi per poter fare affermazioni circa associazioni o quant'altro, né in un senso né nell'altro. Questo deve essere chiaro».

1.3.2.2 Attività svolta dal NOE e dal Comando provinciale dei Carabinieri di Matera.

In data 13 marzo 2012 è stato audito dalla Commissione Luigi Vaglio, comandante del NOE di Potenza.
«Le indagini condotte dal NOE alle dipendenze delle procure territorialmente competenti, ad oggi - lo sottolineo, ad oggi - non hanno palesato coinvolgimenti della criminalità organizzata in reati che riguardano il ciclo dei rifiuti. Deve però essere chiaro anche che negli ultimi anni noi abbiamo avuto diversi episodi che hanno segnalato tale presenza e attenzione. Parlo, per esempio, dei fanghi di cartiera e dei fanghi di primo lavaggio dell'industria conserviera campana, smaltiti illecitamente in Agro di Tursi, in provincia di Matera. Mi riferisco anche - non volevo citarlo, ma mi sembra opportuno farlo - ai famosi fusti trovati alcuni anni fa, sempre in provincia di Matera. O ancora a un'indagine dei colleghi del NOE di Catanzaro e della procura di Lamezia Terme che è arrivata a misure cautelari - non entro nel merito perché non l'ho condotta io - e ha evidenziato che proprio a Potenza c'era uno dei siti finali per rifiuti ferrosi per cui è stato ipotizzato il delitto di cui all'articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Devo anche dire che quelle indagini non hanno palesato un coinvolgimento diretto dell'impianto potentino nel suddetto delitto. Un dato di fatto è però che quei rifiuti ferrosi, provenienti dalla Calabria, e per cui è stato appunto configurato il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, avessero come punto di smaltimento finale questo impianto di Potenza (... )».


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In risposta alla richiesta di informazioni in merito all'esistenza di indagini relative a irregolarità negli appalti per il conferimento di incarichi per la gestione degli impianti, il comandante Vaglio ha dichiarato:
«Abbiamo fatto un'attività che aveva come oggetto la gestione dei rifiuti solidi urbani (rifiuti solidi urbani) nella città di Matera. Devo dire, per precisione, che quell'attività è stata condotta insieme al nucleo investigativo del comando provinciale di Matera: noi abbiamo seguito per lo più l'aspetto ambientale, mentre loro si sono occupati degli appalti e degli affidamenti dei lavori. Con quest'indagine noi abbiamo riscontrato delle irregolarità anche abbastanza consistenti, dal punto di vista ambientale, che ci hanno portato poi a dover sequestrare la discarica comunale della città di Matera, per impedire che il reato fosse portato a ulteriori conseguenze, dato che vi venivano smaltiti degli rifiuti solidi urbani in volumetrie eccedenti le quantità autorizzate. Naturalmente questo comportava non solo una violazione dal punto di vista autorizzativo, ma anche il fatto che, non essendo la discarica stata pensata e adeguata a sopportare quelle volumetrie residue, esse si ergevano ormai in altezza, anche portando un po' fuori controllo la produzione di percolato eccetera.
Tornando alla sua domanda, la nostra indagine del NOE di Potenza non ha palesato infrazioni penalmente rilevanti, dal punto di vista degli appalti legati alla gestione dei rifiuti».

Importanti dichiarazioni sono state, poi, rese dall'audito in merito allo smaltimento illecito dei fanghi di perforazione per le attività petrolifere. Tuttavia, essendo ancora in corso le indagini, tali dichiarazioni sono state segretate.
Riguardo l'attività svolta dai Carabinieri del NOE di Potenza nel territorio della provincia di Matera, è stata trasmessa alla Commissione una nota contenente le principali operazioni di servizio condotte nell'ultimo biennio nello specifico settore dei rifiuti (doc 1049/2).
Dalla stessa si evince che sono state accertate fattispecie di reato legate alla fuoriuscita di percolato dalla discarica comunale di Ferrandina sita in località Casaleni (con conseguente sequestro preventivo dell'impianto), alla non corretta gestione del centro di raccolta rifiuti solidi urbani di Grassano, alla mancata realizzazione delle opere di chiusura dell'impianto per rifiuti solidi urbani di San Mauro Forte. In questa ultima indagine si è accertato che, nonostante l'impianto di smaltimento fosse chiuso per colmatura dal maggio 2009, avendo esaurito la capacità recettiva massima, non erano mai state realizzate le opere di chiusura definitiva della discarica e conseguentemente avviata la fase di «post-gestione», in violazione delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione. È stata accertata la fuoriuscita di percolato dal bacino di discarica e per tale motivo sono state avviate le procedure per i siti potenzialmente contaminati.
Un'importante indagine è stata svolta in relazione al sito di bonifica di interesse nazionale «Valbasento», in Pisticci: è stata sequestrata l'intera area di cantiere (26 ettari) per i lavori di trasformazione in aeroporto civile dell'aviosuperficie «E. Mattei»,


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commissionati dal Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Matera. Nel corso delle indagini è stato accertato che:
era stata effettuata un'attività di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti, costituiti da terreno potenzialmente contaminato, in assenza delle prescritte autorizzazioni;
era stata realizzata e gestita una discarica non autorizzata di rifiuti costituiti da terreno potenzialmente contaminato. Infatti in area svincolata e già restituita agli usi legittimi venivano depositati, compattati e distribuiti i rifiuti costituiti da terreno potenzialmente contaminato, realizzandosi un rilevato di circa 6.000 mq per l'ampliamento dell'aviosuperficie;
era stata rilasciata l'autorizzazione all'effettuazione dei lavori in assenza della propedeutica valutazione di impatto ambientale e della preventiva restituzione agli usi legittimi delle aree ricadenti nel sito di bonifica di interesse nazionale;
le opere edili erano in corso di realizzazione sulla base di autorizzazioni illegittime e quindi inefficaci.

Riguardo questa specifica indagine, deve darsi conto che il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, dottoressa Celestina Gravina, nel corso dell'audizione del 28 febbraio 2012, ha dichiarato che le analisi svolte successivamente sul terreno sequestrato hanno dato esiti negativi. È stata, pertanto, chiesta l'archiviazione del procedimento e disposto il dissequestro dell'area.
L'attività investigativa e giudiziaria svolta dal Comando provinciale dei Carabinieri di Matera nell'ambito delle operazioni di controllo del territorio per la prevenzione e la repressione delle violazioni in materia ambientale è stata sinteticamente riportata nella relazione trasmessa alla Commissione dal prefetto di Matera (doc. 1039/2):
«Nel 1994 fu condotta una attività investigativa circa la gestione e lo stoccaggio di cospicui quantitativi di rifiuti e materiali nucleari provenienti dal centro ricerche Enea di Rotondella, che ospita a sua volta l'impianto Itrec (impianto di trattamento e rifabbricazione elementi di combustibile) che custodisce 84 elementi di combustibile uranio-torio irraggiato, proveniente dal reattore sperimentale Elk River sito negli Stati Uniti d'America. Il procedimento penale avviato nel confronti dei direttori del centro avvicendatisi nella titolarità della licenza d'esercizio dell'impianto, che erano accusati di aver effettuato lo smaltimento di rifiuti radioattivi non pertinenti all'esercizio dell'impianto ed alla ordinaria attività del centro, si concluse con sentenza di assoluzione.
Nel 2003, in Marconia di Pisticci, località Lavandaio, su un terreno comunale di circa 700 mq., già sottoposto a sequestro perché adibito a discarica non autorizzata, sono stati rinvenuti, a due metri dal sottosuolo, numerosi fusti metallici contenenti scarti industriali e varie sostanze pericolose, presumibilmente scaricate nei primi anni Novanta. Detti fusti, in totale 127, sono stati successivamente smaltiti presso l'inceneritore "La Fenice" di Melfi ed il sito è stato bonificato.


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Nel 2008, in seguito alle dichiarazioni fornite da un collaboratore di giustizia, l'Arma dei Carabinieri è intervenuta per verificare un presunto sversamento di materiale radioattivo in una zona compresa tra i comuni di Craco, Ferrandina e Pisticci. Le indagini hanno fatto riscontrare la non veridicità della notizia, atteso che non fu trovata traccia di rifiuti interrati nel siti segnalati.
Nello stesso anno, nel corso di una indagine per monitorare il settore del reati ambientali, incentrata sul comune di Matera e sugli appalti per il conferimento dell'incarico di raccolta del rifiuti solidi urbani e gestione della locale discarica ed impianto di compostaggio, è stato avviato un procedimento penale, con sequestro preventivo dei siti di stoccaggio e con l'emissione di informazione di garanzia per i dirigenti dell'amministrazione comunale che nel tempo si erano avvicendati nell'incarico del settore Igiene e ambiente.
Nel 2009, è stata sottoposta a sequestro un'area, ufficialmente destinata a ripristino ambientale, sita in località Panevino di Tursi, gestita dalla società Viridia poiché scoperto un illecito smaltimento di rifiuti tossici (residui derivanti dalla lavorazione del pomodoro) provenienti dalla Campania».

1.3.2.3 Attività svolta dal Corpo forestale dello Stato, Comando provinciale di Matera.

Con nota del 26 gennaio 2012, il Corpo forestale dello Stato, Comando provinciale di Matera (doc. 1059/3) ha trasmesso alla Commissione un rapporto concernente le irregolarità riscontrate nel corso dei controlli aventi ad oggetto le discariche e gli impianti di trattamento.
In particolare, risultano essere state rilevate 18 discariche abusive, la maggior parte delle quali costituite da rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali non pericolosi (materiali provenienti da attività edili, parti di elettrodomestici, ecc.). In quattro situazioni si sono rilevati anche rifiuti pericolosi quali amianto e pneumatici. In dieci casi sono stati individuati i responsabili che sono stati deferiti all'autorità giudiziaria.
Nella nota suindicata viene evidenziata, altresì, l'esistenza di discariche esaurite nella vigenza della precedente normativa in base alla quale era previsto solo il tombamento del sito (dunque una mera copertura dei rifiuti con uno strato di terreno) e non una vera e propria bonifica, secondo le moderne tecniche di messa in sicurezza.
Tali situazioni, secondo quanto si legge nella nota, costituiscono un potenziale pericolo di inquinamento della falda acquifera per perdita di percolato, come avvenuto nel comune di Tursi nell'anno 2009.
In via più generale, gli illeciti più frequentemente rilevati negli ultimi anni dal Corpo forestale dello Stato nella provincia di Matera riguardano semplici abbandoni sul terreno di rifiuti (non riconducibili per dimensione e gestione nella definizione di discarica), a volte anche pericolosi, ma non collegabili a sodalizi criminali. Tali fenomeni si registrano, peraltro, in numero rilevantissimo soprattutto nei pressi delle aree artigianali ed industriali del comune di Matera e della Valbasento così come sui bordi delle strade delle aree interne della


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provincia (aree forestali, calanchi, ecc.) dove risultano favoriti dalla scarsa presenza antropica.
Inoltre, dall'attività di controllo svolta nelle aree rurali presso le aziende agricole, si è potuto spesso rilevare l'illecito smaltimento di teli in PVC, imballaggi, tubazioni dimesse, materiali inerti, ecc., spesso bruciati, con conseguenti pericolose emissioni tossiche e cancerogene (diossina).
«In ogni caso nell'ultimo periodo, è emerso che la provincia di Matera sia per la sua particolare collocazione territoriale, sia per la particolare conformazione orografica e sia per la scarsa antropizzazione rilevabile in ampi tratti del proprio territorio, è oggetto di nuove attenzioni da parte di sodalizi criminali organizzati provenienti dalle regioni confinanti, Puglia, Calabria e soprattutto dalla Campania. Pertanto, benché non risulta che attualmente tali infiltrazioni si siano concretizzate in maniera stabile ed organica è necessario intensificare l'attività di controllo del territorio soprattutto in quelle aree interne della provincia, meno popolate e raggiungibili, che potrebbero essere soggette ad attacchi criminali senza precedenti» (doc. 1059/3).

1.3.2.4 Attività svolta dal Comando provinciale della Guardia di finanza di Matera.

Infine, sempre nell'ambito delle operazioni di controllo del territorio per la prevenzione e la repressione delle violazioni in materia ambientale, si riporta la sintesi dell'attività svolta dal Comando provinciale della Guardia di finanza, raccolta nella relazione, già richiamata, del prefetto di Matera (doc. 1039/2) nonché nella nota inviata dal comandante regionale della Guardia di finanza della Basilicata (doc. 1040/1):
«In data 18 febbraio 2010: sequestro penale di un'area di mq. 137.000 in agro di Pisticci, caratterizzata dalla presenza di più opifici con copertura in fibrocemento d'amianto per complessivi mq. 9.000, con denuncia alla locale autorità giudiziaria di un responsabile per violazione agli articoli 192, commi 1 e 2, 255, comma 3, 245 e 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e articolo 677 del codice penale; la proprietà del sito ha attivato la procedura per l'individuazione di una ditta specializzata per effettuare la bonifica dei luoghi.
In data 22 febbraio 2010: sequestro penale di un ex capannone industriale nelle immediate adiacenze di civili abitazioni a Ferrandina, con tetto in fibrocemento d'amianto per mq, 1.200. Denuncia alla locale autorità giudiziaria di sei responsabili per violazione agli articoli 192, commi 1 e 2, 255, comma 3, 245 e 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e articoli 674 e 677 del codice penale. La proprietà del sito, avvalendosi di una ditta specializzata, ha provveduto ad effettuare la bonifica del luoghi in data 31 maggio 2010.
In data 14 giugno 2011: sequestro penale di un'area di mq. 9.505, in agro di Montescaglioso, caratterizzata dalla presenza di un capannone industriale con copertura in fibrocemento d'amianto avente un estensione di mq. 2.015. Denuncia alla locale autorità giudiziaria di un responsabile per violazione agli articoli 192, comma 1 e 256,


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comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e articolo 677 del codice penale. Al riguardo, in data 22 dicembre 2011, l'azienda sanitaria locale di Matera, constatando il potenziale rischio di dispersione di fibre di amianto nell'ambiente, ha chiesto al sindaco di Montescaglioso l'emissione di apposita ordinanza nei confronti della proprietà del sito, tendente alla bonifica della copertura attraverso la totale rimozione delle lastre in cemento d'amianto, da eseguirsi ad opera di impresa specializzata così come previsto dal punto 7 dell'allegato al decreto ministeriale 6 settembre 1994.
In data 12 dicembre 2011: sequestro penale, ex articolo 354 del codice penale, in violazione all'articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, di un'area di mq. 250, in località Recoleta a Scanzano Jonico su cui erano abbandonati, in modo incontrollato, rifiuti solidi urbani, speciali e pericolosi: eternit frantumato (rifiuto contenente amianto RCA con evidente dispersione aerea di fibra), rottami ferrosi, pneumatici fuori uso, rifiuti in plastica, gomma, vetro e materiale proveniente da demolizione di edifici. Sulla vicenda è stata inoltrata comunicazione notizia di reato contro ignoti alla locale autorità giudiziaria, tutt'ora al vaglio degli inquirenti».

1.3.2.5 Questioni attinenti alle infiltrazioni della criminalità organizzata.

Le dichiarazioni acquisite in merito ad episodi di infiltrazione della criminalità organizzata nel territorio della provincia dal procuratore di Matera danno conto, da un lato, dell'utilizzo, a partire dagli anni novanta, del territorio per il tombamento di rifiuti pericolosi, dall'altro dell'assenza di indagini significative sul punto.
Sebbene non siano riconoscibili sul territorio materano associazioni criminali di stampo mafioso, o comunque non siano emerse a livello investigativo e/o processuale, tuttavia certamente possono rinvenirsi strutture organizzate per il traffico illecito dei rifiuti con le caratteristiche previste dalla fattispecie di reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Le evidenze investigative non si riscontrano, tuttavia, presso la procura della Repubblica di Matera, in quanto la competenza per lo svolgimento delle indagini in materia di traffico illecito organizzato di rifiuti spetta alla procura della Repubblica distrettuale di Potenza.
Queste le dichiarazioni del procuratore:
«Nel nostro territorio sono stati rinvenuti rifiuti tombati, fusti, morchie, vernici. Sono tutte vicende che risalgono almeno alla prima metà degli anni Novanta, sebbene alcuni dei ritrovamenti e degli scavi siano stati esauriti negli anni 2000. La nostra regione ha avuto anche quella vicenda di accertamenti, approfondimenti sull'ipotesi dello smaltimento illecito di scorie radioattive, per esempio, gestita sempre dalla direzione distrettuale antimafia di Potenza, non da Matera, ancorché il territorio fosse quello materano, che mi risulta essersi esaurita con un'archiviazione pochi mesi fa. Questo era quello che intendevo riferendomi a esiti non positivi di attività di indagine anche molto lunghe. Riguardo all'esistenza di strutture di criminalità organizzata in Basilicata - premesso che non vengono alla mia attenzione


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perché appartengono alla competenza del tribunale di Matera - anche in questo caso negli anni Novanta ci sono state un paio di indagini che, sicuramente, hanno portato esiti di riconoscimenti giudiziali, di condanne in provincia di Matera. C'è stata l'infiltrazione del comune di Montescaglioso, soprattutto con propaggini verso Matera, di elementi collegati con clan tarantini, come i Modeo, quindi persone che hanno ricevuto nel loro sistema organizzativo stigmate di associazione di stampo mafioso riconosciuta in sentenze passate in giudicato. Nella fascia ionica ci sono un paio di famiglie, a Policoro, a Scanzano, che danno ancora preoccupazione, che negli anni Novanta sono state oggetto di questo tipo di indagini. Oltre a ciò, neanche la DDA di Potenza ha più strutturato indagini che abbiano portato a esiti certi in ordine all'articolo 416-bis nel territorio. Ritengo che la strutturazione della norma dell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, indipendentemente dal sottostante articolo 416-bis, possa essere sicuramente una realtà riconoscibile nel territorio, cioè che ci siano imprese per la gestione illecita, indipendentemente dalla connotazione di stampo mafioso dei soggetti. È possibile, nonostante - devo dirlo - in questo territorio non si respiri l'aria dell'oppressione mafiosa. Che ci siano singoli personaggi che, soprattutto con il solito giro delle conoscenze carcerarie e con le conseguenti affiliazioni, possano diventare riferimenti, punti logisticamente utilizzabili da parte delle maggiormente strutturate e stabili organizzazioni dei territori limitrofi, è assolutamente possibile. La mia è una terra che, per le caratteristiche che dicevamo, è estremamente utile per la criminalità organizzata, logisticamente utile per i passaggi. Per andare in Calabria e per salire dalla Calabria bisogna passare sulla strada ionica oppure dall'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Ci si può incontrare con calma e con serenità in tanti posti, ma è una terra dove la criminalità non è radicata, non è strutturata. Può essere utilizzata perché consona a esserlo. Esige, pertanto, una massima azione di controllo e di monitoraggio. Ne parlo spesso col comandante Manicone: sarebbe opportuno un controllo dei camion di rifiuti che passano dalla Basentana, e quindi attraversano la regione, sulla Ionica, sulla Salerno-Reggio Calabria, e avere i mezzi per controllare e fare prelievi. Se le risorse possono essere distribuite in questo modo e se insieme a questo c'è un coordinamento delle informazioni tra le procure del territorio, a mio avviso, potremmo riuscire a effettuare meglio quest'azione di contrasto che potrebbe essere molto utile perché la zona è logisticamente indispensabile e nevralgica, anche se le radici degli interessi non sono da noi. (...). Non direi che dalle nostre parti ci sono arricchimenti evidentemente derivanti da fenomeni criminali di questo genere. Dovrei dire che mi interesserebbe e mi interessa più andare a vedere dove sono finiti tanti soldi pubblici arrivati nella mia terra, ma è un'altra vicenda.».

Va segnalato che, secondo quanto riferito dal questore di Matera, con nota trasmessa a questa Commissione in data 15 febbraio 2012 (doc 1063/1), tutte le indagini svolte dalla Squadra Mobile, delegate dalla direzione distrettuale antimafia di Potenza, tese ad accertare la veridicità di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia riguardo


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i possibili luoghi di occultamento di materiali tossici nocivi, non hanno avuto riscontri oggettivi.
Nella nota si evidenzia, tuttavia, che «in una relazione dell'Istituto di metodologie per l'analisi ambientale del CNR di Tito (Pz), redatta a conclusione dell'analisi di una porzione di territorio in agro di Pisticci individuata quale possibile sito di occultamento di rifiuti, si legge che: "in base all'esperienza degli scriventi la zona indagata può essere fortemente sospetta in relazione alla tipologia dei materiali cercati, aggiungendo essere necessaria, prima di procedere agli scavi, l'effettuazione di ulteriore, più esaustiva, attività diagnostica". Sono tuttora in corso accertamenti a riguardo».
Il questore ha successivamente trasmesso alla Commissione la relazione menzionata specificando di averla inviata per le eventuali ulteriori determinazioni alla direzione distrettuale antimafia di Potenza, nell'ambito del procedimento penale n. 3323/09, colà iscritto a carico di ignoti (doc. 1105/1).
Queste le conclusioni della relazione in questione, a firma del responsabile dottor Vincenzo La Penna, redatta in data 15 dicembre 2009 (doc. 1105/2):
«A seguito delle indagini magnetometriche realizzate nella zona indagata risultano valori di intensità del campo magnetico compatibili con la presenza di masse metalliche sepolte.
Tali masse risultano disperse a piccola profondità nella zona indicata con A e concentrate a profondità relativamente più alte (2-3m) nella zona B. In base all'esperienza degli scriventi la zona B può essere considerata fortemente sospetta in relazione alla tipologia dei materiali cercati.
Alla luce di questi risultati e con l'obiettivo di ottenere un quadro diagnostico più dettagliato si consiglia l'integrazione delle misure magnetiche effettuate con le sotto elencate indagini geofisiche:
indagine magnetica/elettromagnetica estensiva su tutta l'area sospetta;
indagini georadar da realizzarsi in corrispondenza delle anomalie più significative per la stima della profondità del target;
indagini geoelettriche da realizzarsi a supporto dell'indagine georadar;
georeferenziazione con GPS differenziale di tutte le indagini e degli elementi morfologici significativi per l'esatta sovrapposizione di tutti i dati e per la precisa ubicazione delle zone anomale.

Va sottolineata l'importanza di effettuare dette indagini geofisiche prima di realizzare qualsiasi operazione di scavo che potrebbe contaminare l'area rendendola inaccessibile ad operatori e strumentazioni.
Inoltre l'esecuzione di indagini geofisiche di dettaglio permette di stimare le profondità reali degli oggetti sepolti e definire un protocollo da seguirsi per le operazioni di scavo».


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Il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, dottor Raffaele Manicone, è stato audito dalla Commissione il 28 febbraio 2012. In tale occasione, con specifico riferimento ai fenomeni di tombamento di rifiuti tossico-nocivi e, più in generale, all'esistenza di gruppi criminali di stampo mafioso operanti nel settore dei rifiuti, ha dichiarato:
«al netto delle vicende note avvenute intorno alla metà degli anni Ottanta fino a tutta la metà degli anni Novanta, che hanno determinato sicuramente dei fenomeni di tombamento di rifiuti tossico-nocivi, recentemente non si sono più verificate situazioni particolarmente gravi. (...) Nel tempo, infatti, abbiamo cercato e trovato i rifiuti dei quali conoscevamo l'esistenza, come i famosi fusti di morchie di verniciatura presso il Fosso Lavandaio di Pisticci, i 270 big bag nello zuccherificio abbandonato di Policoro e altri sotterramenti durante la fase delle indagini per i pozzi di reiniezione dell'AGIP anche abbastanza complessi. Al netto, però, di queste situazioni, non abbiamo più riscontrato attività criminose collegabili ad associazioni mafiose. Come ricordava il procuratore, in questo momento in Basilicata ci sono numerose discariche autorizzate, che però, purtroppo, sono in fase di esaurimento (...); quest'accelerazione nell'esaurimento delle discariche è collegata, probabilmente, anche al ritardo della Basilicata riguardo alla raccolta differenziata (...) Essendoci una bassa percentuale di raccolta differenziata, è chiaro che c'è tutto questo indifferenziato che arriva presso le discariche, che quindi si colmano in pochissimo tempo. Soprattutto nella zona della Valle del Basento, in alcune zone abbastanza inaccessibili, ci sono alcune discariche che accettano rifiuti tossico-nocivi. Essenzialmente, abbiamo una discarica che accetta amianto, una che accetta, oltre all'amianto, anche residui di verniciatura, morchie e così via, costantemente monitorate dalle forze di polizia presenti sul territorio. Chiaramente, questo non significa che non possano esserci ancora attività di tombamento. Non possiamo escluderlo data la conformazione del territorio, la difficoltà di raggiungere le diverse zone e la difficoltà di controllo. Per quello che ci riguarda, l'attività di monitoraggio del territorio è costante. Cerchiamo di mantenerla sempre alta. Abbiamo avuto degli ottimi risultati in passato con dei piccoli elicotteri, ai quali sono collegati dei rilevatori all'infrarosso fotografico, non all'infrarosso termico. Non si vede la differenza di temperatura, ma è possibile notare proprio se ci sono stati movimenti del terreno. Avere la possibilità di utilizzare questi tipi di strumenti sicuramente potrebbe essere un aiuto riguardo al discorso dei tombamenti. (...)».

Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lagonegro ha concluso, in merito all'esistenza nel territorio di fenomeni di infiltrazione da parte della criminalità organizzata (con particolare riferimento all'attività di interramenti di rifiuti), nei seguenti termini:
«Posso dire che al momento non ho potuto verificare qualcosa del genere. Aggiungo anche che l'indagine su Castrocucco, sull'impianto di Tortora di cui parlavo, si è conclusa con misure cautelari ma anche


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con delle condanne in primo grado, da parte della procura di Paola, da cui mi è stato però riferito che infiltrazioni di questo tipo non erano state verificate».

Le dichiarazioni rese dai procuratori della Repubblica di Matera e di Lagonegro in merito al fatto che nel settore ambientale non sia emersa la presenza di gruppi criminali organizzati e alla necessità, comunque, di presidiare attentamente il territorio, risultano confermate da quelle rese dal prefetto e dal presidente della provincia di Matera.
Il prefetto ha, infatti, dichiarato: «non sono al momento emerse infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nel ciclo del rifiuti di questa provincia. Al riguardo, poiché il territorio risulta, per la stessa conformazione e per la scarsa antropizzazione, difficilmente presidiabile e tenuto conto della presenza di sodalizi criminali nelle limitrofe Regioni di Puglia e Calabria non può escludersi che l'attenzione di organizzazioni criminali possa rivolgersi anche a questo territorio. Per quanto sopra, le forze di polizia assicurano una continua attività di controllo diretta a prevenire ogni possibile ingerenza della criminalità nella gestione dell'ambiente in questa provincia» (doc. 1039/2).
Dello stesso tenore sono le affermazioni del presidente della provincia di Matera, Franco Stella, contenute nella nota trasmessa alla Commissione del 26 gennaio 2012 (doc. 1034/1) nella quale afferma sinteticamente che in detta provincia «Non sono state rilevate attività illecite che possano essere riconducibili alla criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti».

1.3.3 Il centro Ricerche Enea Trisaia.

1.3.3.1 L'impianto Itrec di Rotondella.

L'impianto Itrec è situato nel centro ricerche Enea della Trisaia, nel comune di Rotondella (MT), sulla costa ionica della Basilicata. L'impianto venne costruito alla fine degli anni '60 nell'ambito di un accordo di cooperazione tra il CNEN (che nel 1982 assumerà la denominazione di Enea) e l'americana Atomic Energy Commission, l'ente che, analogamente al CNEN in Italia, svolgeva allora negli Stati Uniti le funzioni di ricerca, promozione e controllo dell'energia nucleare. L'accordo aveva per oggetto gli studi sul ciclo uranio-torio, alternativo al ciclo uranio-plutonio che è quello utilizzato in tutte le centrali nucleari esistenti. Negli Stati Uniti era allora in esercizio il reattore di Elk River, l'unico che abbia mai utilizzato combustibile del ciclo uranio-torio, e l'impianto Itrec era stato studiato e realizzato per riprocessare quel tipo di combustibile (cioè per estrarre dal combustibile irraggiato l'uranio e il torio ancora utilizzabili, separandoli dai prodotti di fissione che costituiscono i rifiuti radioattivi ad alta attività) e per rifabbricare con le materie estratte nuovo combustibile fresco. Da queste funzioni deriva la denominazione dell'impianto, acronimo di impianto per il trattamento e la rifabbricazione di elementi di combustibile.


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Tra il 1968 e il 1970 l'impianto ricevette dagli Stati Uniti, in tre spedizioni, 84 elementi di combustibile Elk River. Di questi, 20 vennero impiegati per effettuare, in due fasi, tra il 1975 e il 1978, le prove nucleari di alcune parti dell'impianto, producendo quasi 3 m3 di soluzione uranio-torio, detta prodotto finito, un volume analogo di rifiuti liquidi ad alta attività, altri rifiuti liquidi, circa 60 m3, a attività minore e rifiuti solidi costituiti dalle parti metalliche del combustibile riprocessato. Questi ultimi furono inglobati in quattro monoliti di cemento di 5 m di lunghezza e 1 m2 circa di sezione, che vennero interrati. Le prove dettero esito negativo, evidenziando la necessità di interventi di modifica, che furono progettati, approvati e realizzati, ma, a seguito dei mutamenti dei programmi conseguenti all'incidente di Chernobyl, nel 1987 l'impianto fu chiuso. Peraltro, in America, la centrale di Elk River era già stata definitivamente spenta sin dal 1968.
D'alta parte, le prove nucleari svolte avevano ovviamente determinato la contaminazione delle parti interessate e l'accumulo di rifiuti radioattivi, cosicché l'impianto deve oggi essere sottoposto ad operazioni di decommissioning come se fosse stato normalmente in esercizio.

1.3.3.1.1 Le attività.

Sino al 2003 l'impianto Itrec, come gli altri impianti dell'Enea, è stato gestito dall'Enea stesso. L'ente, dopo la chiusura, non aveva prodotto un preciso programma per il suo decommissioning e l'attività svolta è consistita essenzialmente nel condizionamento dei rifiuti radioattivi liquidi tramite cementazione, prima, tra il 1995 e il 1997, di quelli a bassa attività, successivamente, nel periodo 1999-2000, di quelli ad alta attività.
Queste operazioni hanno portato alla produzione di 433 fusti di rifiuti per il condizionamento dei liquidi a bassa attività, e 307 fusti per il condizionamento di quelli ad alta attività, oltre a 30 fusti di rifiuti dal condizionamento dei liquidi di lavaggio.
Negli stessi anni vennero effettuate operazioni di «supercompattazione» (riduzione di volume tramite pressatura) di rifiuti solidi a bassa attività, che hanno portato alla produzione di 841 manufatti (detti over-pack).
È stato inoltre necessario effettuare operazioni di bonifica a seguito di perdite di liquidi debolmente radioattivi che si erano verificate nel 1993 all'esterno dell'impianto a causa di rotture di tubazioni della condotta di scarico a mare, nonché gestire un versamento di rifiuti liquidi all'interno dell'impianto, causato dalla rottura di uno dei serbatoi ove i rifiuti erano stoccati. Questi eventi sono stati oggetto di un procedimento penale sul quale si tornerà nel seguito.
Dall'agosto 2003 la gestione dell'impianto è passata alla Sogin. Da allora le attività prevalenti hanno riguardato la sistemazione generale del sito e la prosecuzione della gestione dei rifiuti radioattivi, in particolare per quanto attiene a quelli solidi conservati, insieme a materiali contaminati di vario tipo, in alcuni container collocati in un'area del sito stesso.


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Da citare anche la completa sostituzione della condotta degli scarichi liquidi in mare.
Infine, a seguito di una contaminazione rilevata in alcuni pozzetti di monitoraggio intorno all'area, detta fossa irreversibile, ove sono interrati i monoliti di cemento di cui si è sopra detto, nel 2007 è stata realizzata una barriera di contenimento idraulico dell'area stessa, in attesa della sua bonifica e propedeutica alla bonifica stessa.
Nella tabella seguente è sintetizzata la situazione complessiva attuale dei rifiuti radioattivi presenti nell'impianto, aggiornata al 31 dicembre 2011:

1.3.3.1.2 I programmi.

Propedeutiche allo smantellamento dell'impianto Itrec sono principalmente due operazioni: la sistemazione del combustibile, oggi ospitato nella piscina dell'impianto stesso, e la solidificazione dei 2,7 m3 di soluzione uranio-torio, il prodotto finito frutto del riprocessamento dei venti elementi di combustibile effettuato durante la fase di prove nucleari.
Per quanto attiene al combustibile, si tratta dei 64 elementi Elk River rimasti degli 84 originariamente ricevuti dagli Stati Uniti, per un quantitativo di 1,7 tonnellate circa.
Come è noto, per tutto il combustibile irraggiato ancora presente in altri impianti italiani (le centrali di Trino e di Caorso e il deposito Avogadro) la Sogin ha stipulato nel 2007 un accordo con la società francese AREVA per il suo riprocessamento presso gli impianti di La Hague, in Normandia, dove la gran parte è stata già spedita e dove dovrebbero essere inviati a breve anche i quantitativi residui stoccati nella piscina di Trino e nel deposito Avogadro, pur se le ultime spedizioni stanno subendo ritardi e non appaiono ancora chiaramente riprogrammabili. Il combustibile di Itrec, invece, proprio per la sua natura di combustibile del ciclo uranio-torio, non può essere riprocessato in un normale impianto di riprocessamento, come quello della stessa AREVA o quelli inglesi di Sellafield, destinati a trattare combustibile del ciclo uranio-plutonio, ma avrebbe potuto essere


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riprocessato unicamente nello stesso impianto Itrec, realizzato proprio per trattare quel tipo di combustibile.
I 64 elementi sono quindi destinati ad essere conservati a secco in due contenitori, che si prevede vengano acquistati dalla Francia, ma che comunque non sono ancora in fase di realizzazione. I contenitori dovranno permanere sul sito del centro della Trisaia sino a quando non sarà disponibile il deposito nazionale ove trasferirli.
Per quanto attiene al prodotto finito, per esso è prevista la cementazione con un apposito sistema, per la cui realizzazione sono stata già rilasciate, nel 2010, le necessarie autorizzazioni di sicurezza. Del sistema è stato realizzato sul sito un modello in scala 1:1, ma la sua reale costruzione non è ancora stata avviata, in quanto esso dovrà sorgere - così come il deposito temporaneo dei manufatti che produrrà - nell'area oggi occupata dalla cosiddetta fossa irreversibile. Occorre quindi procedere preliminarmente al recupero dei quattro monoliti interrati nella fossa e alla bonifica dell'area. Per condurre questa operazione, che ovviamente andrebbe in ogni caso effettuata nell'ambito del decommissioning dell'impianto, è necessaria una fase di indagini sui monoliti per poter poi progettare l'intervento di rimozione. Tali indagini sono state autorizzate da ormai due anni, ma ad oggi non risultano ancora iniziate.
Sembrerebbe inoltre che l'appalto per la realizzazione del sistema, già assegnato all'Ansaldo, sia stato successivamente annullato.
Nel 2011 la Sogin ha presentato l'istanza per il decommissioning dell'impianto, in ottemperanza ad una prescrizione impartita in tal senso nel 2006.
Al riguardo, i programmi elaborati dalla Sogin nel 2010 prevedono per il sito della Trisaia il raggiungimento della condizione il brown field nel 2023, con uno slittamento di quattro anni rispetto a quanto previsto dai programmi 2008, e il rilascio finale del sito, libero da ogni vincolo radiologico (green field), nel 2026. Quest'ultima previsione è basata sull'ipotesi di disponibilità del deposito nazionale dall'inizio del 2020.
Si ricorda che la condizione di brown field prevede lo smantellamento dell'impianto ed il mantenimento dei rifiuti - condizionati e pronti per essere trasferiti al deposito nazionale - sul sito dell'impianto stesso, entro strutture di deposito temporaneo già esistenti o da realizzare. Lo svuotamento di tali strutture e il loro smantellamento, e quindi il raggiungimento del green field, avverrà solo successivamente, quando il deposto nazionale sarà disponibile.
Per Itrec, la spesa prevista (stima 2010) per il solo smantellamento dell'impianto e per il conferimento dei relativi rifiuti al deposito nazionale è di circa 315 milioni di euro (l'analoga stima nel 2008 era di 203 milioni). Questa cifra corrisponde all'undici per cento circa del costo totale previsto per lo smantellamento e il conferimento dei rifiuti di tutti gli impianti nucleari gestiti dalla Sogin (oltre 2.800 milioni di euro).
Per ottenere la stima delle spese complessive che saranno state sostenute quando si sarà giunti al green field in tutti i siti, ai costi di smantellamento e di conferimento rifiuti vanno aggiunti quelli per la gestione del combustibile (1.400 milioni circa) e quelli per il mantenimento in sicurezza degli impianti sino al loro smantellamento, per

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la sorveglianza dei depositi temporanei sui siti, per la sede e per il personale (per un totale di 2.200 milioni circa).
Pertanto i costi totali per il decommissioning di tutti gli impianti italiani nella stima del 2010 è di 6,5 miliardi, cifra che comprende quanto già speso al 31 dicembre 2010 (1,7 miliardi) e la previsione di spesa futura sino al green field (4,8 miliardi). Si rileva un incremento del 25 per cento rispetto alle stime di costo del 2008 (5,2 miliardi di euro), che a loro volta superavano del 20 per cento le analoghe stime del 2006.

1.3.3.1.3 Procedimenti giudiziari.

Il centro della Trisaia e l'impianto Itrec sono stati a lungo, e continuano ad essere, oggetto di voci che li hanno posti in relazione a traffici internazionali di materie fissili e di rifiuti radioattivi. Ad alimentare quelle voci, fondate o infondate che siano, ha probabilmente contribuito il fatto che, nell'ambito di un accordo bilaterale di collaborazione stabilito nel 1978 tra l'Enea (allora CNEN) e l'omologo ente dell'Iraq, in quel periodo il centro era stato frequentato da tecnici iracheni. Nello stesso periodo erano stati peraltro stipulati contratti da parte di industrie italiane per la fornitura all'Iraq di apparecchiature del ciclo del combustibile nucleare.
Quella possibile relazione con traffici internazionali è stata oggetto di indagini da parte della magistratura, delle quale si parlerà in modo approfondito nel prosieguo della relazione.
Altre indagini e procedimenti giudiziari hanno riguardato fatti certi, per la verifica della loro eventuale rilevanza penale.
Un primo procedimento, che risale all'inizio degli anni '80, riguardò la presenza rilevata nel centro della Trisaia di alcuni fusti di rifiuti radioattivi di origine ospedaliera e di parti di parafulmini radioattivi rimossi, materiale che non rientrava tra quelli che l'impianto Itrec era autorizzato a detenere. Il processo presso la pretura di Matera, a carico del direttore dell'impianto dell'epoca in cui i rifiuti erano stati ricevuti nell'impianto stesso, si concluse con la sua assoluzione.
Nel secondo procedimento, a carico di cinque imputati, tra direttori del dipartimento Enea da cui Itrec dipendeva, direttore del centro Trisaia e direttore dell'impianto (le due figure erano state già da qualche tempo distinte), le contestazioni hanno riguardato:
lo smaltimento non autorizzato di rifiuti ospedalieri (probabilmente quelli già oggetto del primo procedimento);
la perdita di liquidi radioattivi dalla condotta degli scarichi a mare e dal serbatoio rifiuti liquidi, delle quali si è detto sopra;
la mancata ottemperanza alle prescrizioni concernenti il condizionamento dei rifiuti liquidi e al pericolo di gravi eventi di inquinamento ambientale che da tale inottemperanza sarebbero potuti derivare.


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La vicenda processuale, apertasi di fronte al pretore di Rotondella nel 1998, si concluse, a seguito di rinvio da parte della Cassazione, con una sentenza della Corte di appello di Salerno, depositata nell'anno 2001. Tra assoluzioni e accertamento di decorrenza di termini di prescrizione, vi fu un'unica condanna, a quindici giorni di arresto, a carico del direttore di impianto, per la mancata ottemperanza alla prescrizione relativa al condizionamento dei rifiuti radioattivi liquidi.
Tale prescrizione, impartita nel 1975, al tempo delle prove nucleari, richiedeva che, entro il termine di cinque anni, venisse realizzato un sistema per la solidificazione dei rifiuti liquidi ad alta attività che le prove nucleari stesse avrebbero prodotto. Il termine di tale prescrizione venne prorogato due volte, la prima di un ulteriore quinquennio, la seconda di dieci anni, facendo così giungere la scadenza al 1995. A quella data, sull'impianto non vi era ancora un sistema come quello richiesto dalla prescrizione che fosse comunque pronto per operare, ma vi era un sistema di condizionamento dei rifiuti liquidi a bassa attività che, con alcuni successivi adattamenti, fu ritenuto idoneo anche per l'alta attività e che fu poi utilizzato per effettuare le operazioni, come già detto, nel periodo 1999-2000.

1.3.3.2 Il monitoraggio sulla radioattività.

In risposta alle richieste di informazioni inoltrate dalla Commissione, il direttore dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente di Basilicata, ingegner Raffaele Vita, ha trasmesso, il 7 dicembre 2011, la relazione dell'ufficio CRR dell'Arpab, a firma della dirigente, dottoressa Carmela Fortunato (doc. 974/1, 1061/1 e 1062/2).
Secondo quanto si legge nella relazione, nell'anno 2006 è stato istituito presso il dipartimento provinciale Arpab di Matera il laboratorio CRR (centro regionale radioattività) che svolge un «controllo/monitoraggio della radioattività ambientale sul territorio regionale ed in particolare nella zona interessata dalla presenza dell'Itrec di Trisaia-Rotondella, con un piano di campionamento e analisi delle matrici ambientali ed alimentari più rappresentative ai fini del controllo dell'andamento spaziale e temporale della radioattività e dell'impatto dell'Itrec sull'ambiente».
È stato poi riferito che - sulla base del protocollo operativo sottoscritto, nel giugno 2006, tra APAT (ora Ispra, già organo di vigilanza sugli impianti nucleari, ai sensi del decreto legislativo n. 230 del 1995) ed Arpab - sono stati effettuati campionamenti all'interno del centro Itrec (con relative analisi presso i laboratori del CRR), in particolare su campioni connessi a lavori straordinari eseguiti da SOGIN e sugli effluenti liquidi radioattivi contenuti nelle vasche di raccolta dell'impianto e predisposti per lo scarico a mare.
Con delibera del 19 settembre 2008, la direzione Arpab «ha approvato soltanto parzialmente il suddetto programma di monitoraggio, in particolare ha approvato i campionamenti e le analisi di matrici prelevate all'esterno dell'impianto Itrec, prevedendo la disponibilità dell'agenzia ad analizzare eventuali campioni prelevati da SOGIN all'interno dell'Itrec (effluenti liquidi, effluenti aeriformi e altre matrici interessate da eventuali lavori straordinari) e consegnati


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dalla stessa SOGIN all'Arpab. Conseguentemente il programma di monitoraggio per la rete locale Arpab è stato attuato soltanto all'esterno dell'impianto e sono stati sospesi da parte di questo ufficio i campionamenti e le analisi relativi alle matrici interne (effluenti liquidi da scaricare a mare e matrici legate a lavori straordinari), né sono stati avviati i campionamenti degli effluenti aeriformi, per i quali dovevano essere ancora concordate le modalità con APAT e SOGIN».
Nella relazione sono stati evidenziati i risultati delle analisi effettuate:
«Nelle matrici ambientali ed alimentari ad oggi analizzate nell'ambito del monitoraggio all'esterno dell'Itrec, non sono emersi livelli di radioattività di rilevanza radiologica; sugli effluenti liquidi campionati presso le vasche di raccolta all'interno dell'impianto - nelle condizioni presenti al momento dei sopralluoghi effettuati da questo Ufficio - è risultato un impegno della formula di scarico (giornaliera) entro l'1 per cento; rispetto ai campioni prelevati (in passato) in occasione di lavori straordinari da parte di SOGIN, sono stati misurati livelli di concentrazione di Cs-137 - compatibili con l'attività nucleare Itrec, come ad esempio nel liquido contenuto nella vecchia condotta di scarico a mare, rimossa durante la realizzazione della nuova condotta, e come nel campione liquido prelevato presso il foro di carotaggio S4 in occasione dei lavori di perforazione in prossimità della "fossa irreversibile" (novembre 2006). Inoltre, in occasione dei campionamenti delle matrici marine effettuate (tramite sommozzatore convenzionato con Arpab) a giugno c.a., casualmente in concomitanza con lo scarico (degli effluenti liquidi) dall'impianto nella stessa data, sono emersi livelli di concentrazione di Cs superiori a quelli solitamente riscontrati nelle stesse matrici (in particolare nei sedimenti marini); a seguito della relativa comunicazione inoltrata da Arpab ad Ispra, quest'ultimo Istituto ha disposto la temporanea sospensione degli scarichi fino ai successivi controlli congiunti (luglio 2011) - da parte di SOGIN e di Arpab - che hanno verificato il ripristino delle condizioni ambientali ai livelli di concentrazione solitamente misurati».

Dalla relazione risulta che l'attività di monitoraggio svolta dal CRR prosegue nei seguenti termini:
«Attualmente il CRR di questa agenzia, oltre a continuare l'attuazione del programma di monitoraggio »esterno« con campionamenti periodici e analisi delle matrici ambientali più rappresentative, di matrici marine prelevate tramite sommozzatore convenzionato con Arpab e di matrici alimentari prodotte in zona (prelevate e consegnate dai vigili sanitari della AUSL territorialmente competente), ha recentemente riavviato la collaborazione con Ispra per le analisi sui campioni di effluenti liquidi prelevati all'interno dell'impianto - prima dello scarico a mare - e si sta procedendo all'aggiornamento del protocollo operativo Ispra-Arpab con un atto di convenzione concordata».

Un'ulteriore attività del CRR, di cui si dà conto nella relazione, è stata quella di fornire un supporto tecnico nell'ambito di indagini


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svolte dagli organi di polizia giudiziaria (NOE, Corpo forestale dello Stato) delegate dalla direzione distrettuale antimafia presso la procura della Repubblica di Potenza, coordinate dal sostituto procuratore Francesco Basentini.

1.3.3.3 L'indagine sul presunto traffico di rifiuti radioattivi.

La direzione distrettuale antimafia presso il tribunale di Potenza si è occupata del presunto traffico di rifiuti tossici provenienti dal centro Itrec di Rotondella, con una lunga indagine nata dalle dichiarazioni di Francesco Fonti e conclusasi, il 19 maggio 2009, con una richiesta di archiviazione, accolta dal Gip in data 24 dicembre 2009 (procedimento penale n. 1180/99/21 RGNR-DDA).
L'indagine, secondo quanto dichiarato dal titolare dell'inchiesta, sostituto procuratore Francesco Basentini, era finalizzata alla verifica di possibili coinvolgimenti di strutture statali o para statali nel presunto traffico di rifiuti tossici all'interno del centro Itrec nonché ad accertare l'esistenza di eventuali legami di cointeressenza con nuclei di criminalità organizzata operanti sul territorio o nelle regioni limitrofe.
Le indagini relative alla gestione dei rifiuti presso il centro Enea di Rotondella furono avviate dal dottor Pace, allorquando era in servizio presso la procura della Repubblica di Matera nei primi anni 90.
Il dottor Pace, a un certo punto dell'inchiesta, si coordinò a livello investigativo con il dottor Neri, sostituto procuratore in servizio presso la procura circondariale di Reggio Calabria, il quale aveva aperto un fascicolo processuale a seguito di una denuncia presentata da Legambiente, relativa a presunti interramenti di materiale radioattivo in Aspromonte.
Le indagini coordinate riguardavano il traffico di rifiuti radioattivi e l'affondamento in mare di navi con carichi contenenti rifiuti radioattivi o comunque tossici.
In merito a tale indagine il dottor Pace è stato sentito sia dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall'On. Russo (in data 10 marzo 2005) sia dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (audizione segretata).
Nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall'On. Russo, il dottor Pace ha, in sintesi, dichiarato quanto segue:
di avere svolto unitamente al dottor Neri indagini in merito all'ipotesi di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi;
di essersi occupato presso la procura di Matera di indagini relative al centro Enea di Rotondella, ove era stata riscontrata una situazione di grave pericolo, in quanto giacevano rifiuti radioattivi liquidi ad alta attività all'interno di contenitori che già all'epoca avevano esaurito il tempo massimo previsto dal progetto;
l'anomalia dell'Enea era relativa alla mancanza di controlli esterni. La tenuta di materiali pericolosi all'interno di contenitori


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inidonei era una regola avallata, attraverso proroghe continue, da parte di due ingegneri, Naschell e Letti, i quali, dopo un incidente verificatosi il 14 aprile del 1994, furono costretti a redigere un documento di estremo allarme in merito alla situazione della centrale (documento che il dottor Pace inviò unitamente ad una nota al presidente della Repubblica dell'epoca);
nel prosieguo delle indagini il dottor Pace aveva acquisito documenti da cui risultava che l'Italia nel 1978 aveva ceduto all'Iraq due reattori plutonigeni Cirene e aveva accertato che presso la centrale Enea di Rotondella vi era la presenza continuativa di personale iracheno (anche la dottoressa Genovese nel corso dell'audizione il 21 ottobre 2009 ha dichiarato che nel corso delle sue indagini era emerso da fonti dichiarative che tecnici iracheni e pachistani «andavano e venivano» dall'Enea);
il dottor Pace cercò anche di individuare i cosiddetti siroi (cavità scavate nella roccia in Basilicata risalenti al IV secolo a.C. ) che da un manuale dell'Enea risultavano impiegati per il deposito di scorie radioattive. Si rivolse sia al prof. Quilici dell'Università di Bologna il quale però gli disse che i siroi non erano più localizzabili, sia ad un professore rumeno, tale Amasteadu, che aveva condotto studi archeologici in Basilicata. Anche questo professore disse di non potere localizzare i siroi; aggiunse però che era stato pubblicato un testo, ormai introvabile, contenente le mappe dei siroi, testo che lui stesso aveva posseduto in passato, ma che gli era stato trafugato dopo avere ricevuto una strana visita da parte di iracheni che gli fecero numerose domande;
il progetto DODOS (relativo allo smaltimento in mare di rifiuti radioattivi attraverso i cosiddetti penetratori) era stato elaborato a Ispra presso gli impianti Euratom di Varese e a tale progetto avevano partecipato scienziati provenienti da tutto il mondo, nonché due scienziati dell'Enea e l'ingegner Giorgio Comerio;
il progetto concluso pervenne all'OCSE, Comerio riuscì ad acquisirne il diritto d'uso denominandolo progetto ODM ed iniziò ad avviare una serie di trattative con paesi come la Svizzera, la Francia e l'Austria, che però lo rifiutarono;
Comerio ottenne un parere da uno studio legale di Lubiana finalizzato ad eludere la Convenzione dell'ONU e quella di Londra che vietavano lo sversamento di rifiuti radioattivi in mare; munito del parere e attraverso una società con sede nelle Isole Vergini diede inizio ad una serie di contatti internazionali ed avviò una trattativa con una giunta militare africana che si impegnava a cedergli tre isole: una sarebbe servita come base a Comerio per lo smaltimento di rifiuti radioattivi in mare, un'altra sarebbe stata ceduta a Ligresti per la realizzazione di un villaggio turistico, e la terza sarebbe stata data al professor Rubbia affinché potesse installarvi un reattore di potenza abbastanza piccolo, destinato a fornire energia sia all'impianto di smaltimento che al villaggio turistico (il professor Rubbia venne sentito e dichiarò di essere stato contattato da Giorgio Comerio, ma

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di non avere accettato la sua proposta, mentre Ligresti non fu mai sentito su questa questione);
inizialmente le indagini furono supportate dal Corpo forestale dello Stato e dalla polizia ambientale di Brescia, in particolare dal colonnello Martini che aveva una specifica competenza in materia; successivamente subentrarono appartenenti alla sezione di Polizia giudiziaria della procura di Reggio Calabria, come il maggiore Zaccaria e il maresciallo Moschitta;
furono acquisiti elementi che portavano a ritenere che venissero utilizzate navi per lo smaltimento dei rifiuti e in quel contesto fu particolarmente pregnante la collaborazione del capitano De Grazia appartenente alla capitaneria di porto di Reggio Calabria;
il capitano De Grazia aveva il compito di riepilogare gli affondamenti sospetti di navi e di verificare che cosa fosse accaduto per ciascun affondamento. Il giorno del suo decesso (12 dicembre 1995) il dottor Pace lo sentì telefonicamente intorno alle 10,30 e il Capitano De Grazia gli disse che si stava recando a Massa Marittima e poi a La Spezia per verificare alcune circostanze sui registri marittimi; gli disse inoltre che a mezzo di un'imbarcazione lo avrebbe portato in corrispondenza del punto esatto di affondamento della Rigel.
Nel corso dell'audizione il dottor Pace ha, inoltre, riferito una serie di circostanze strane verificatesi nel corso delle indagini:
1) quando si trovava con gli altri investigatori a Brescia per le indagini relative al traffico di rifiuti radioattivi, si accorse della presenza di un camper sospetto dal quale venivano filmati i loro movimenti;
2) nel corso di un incontro tra lui e Neri, incontro che venne fissato per ragioni di sicurezza a Catanzaro, Neri si accorse che erano seguiti da un'autovettura appartenente a personaggi della 'ndrangheta calabrese;
3) a un certo punto «si dimise o fu dimesso» il Colonnello Martini del Corpo forestale dello Stato di Brescia (uno dei più attivi investigatori dell'inchiesta);
4) la morte del Capitano De Grazia ad avviso del dottor Pace fu un omicidio: «sulla morte del capitano De Grazia fin dal primo istante ho avuto l'intima convinzione che si fosse trattato di un assassinio. Era un militare di trent'anni, continuamente sottoposto a visite mediche, che viaggiava in condizioni di massima sicurezza, trovandosi con lui il m.llo Moschitta. Usciti dall'autostrada momentaneamente per andare in un locale, in cui avevano mangiato un piatto di gnocchi ed una mozzarella, avevano in seguito ripreso il tragitto. In un tunnel De Grazia cadde sulla spalla di Moschitta che, dopo uno scossone, capì che il suo compagno di viaggio era deceduto. Uscito dal tunnel Moschitta rivoltò De Grazia che ebbe un conato di vomito e ne constatò il decesso. Chi opera in tali ambienti sa che esistono strutture che hanno il possesso di particolari tecniche che sfuggono anche agli accertamenti condotti dalla scienza ufficiale. Alcuni servizi

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segreti sono dotati di tali tecnologie e le usano prima che possano diventare patrimonio generale. Si tratta comunque di una mia impressione».

Il dottor Pace è stato sentito anche da questa Commissione in data 20 gennaio 2009 e sostanzialmente ha confermato le stesse dichiarazioni precedentemente rese innanzi alle altre commissioni.
In particolare, ha confermato che non vi era alcuna regolarità nella tenuta dei registri per quel che riguardava il materiale in entrata ed in uscita dal centro e che il sistema dei controlli non poteva funzionare in quanto non c'erano controlli esterni.
Il fascicolo aperto a Matera dal dottor Pace, relativo al centro Enea di Rotondella-Trisaia, è stato poi trasmesso per competenza alla procura della Repubblica di Potenza, essendo stata rilevata la competenza della procura distrettuale antimafia. Le indagini furono seguite dapprima dalla dottoressa Felicia Genovese e, poi, dal dottor Basentini.
La dottoressa Genovese è stata sentita da questa Commissione il 21 ottobre 2009 (ma era stata già sentita dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel mese di gennaio 2005).
L'indagine dalla stessa condotta era costituita, innanzi tutto, dagli atti già raccolti dal dottor Pace. In più la dottoressa Genovese fece espletare una consulenza tecnica in merito al centro Enea di Rotondella, dalla quale risultò che si erano verificate delle irregolarità nella gestione del centro, in particolare:
venne rilevata la presenza di plutonio, mentre l'attività autorizzata in quel sito era relativa a lavorazioni di torio ed uranio naturale (La presenza di plutonio era da ricollegarsi alla irregolare attività di riprocessamento di materiale radioattivo, pare avvenuto anche con riferimento ad 84 barre di Elk River, provenienti dagli Stati Uniti);
venne accertata la mancanza di controlli presso il centro («il dato sicuro che è emerso è che vi era una situazione di difficile comprensione. Sembrava infatti che in un centro Enea, in cui si trattava materiale pericoloso, non ci fossero controlli; che ci fossero contrasti tra la vigilanza e la dirigenza e che non si capisse bene quanto materiale era entrato e quanto materiale era uscito» - dichiarazioni testuali rese dalla dottoressa Genovese);
la contabilità non era tenuta in modo regolare, e quindi non si poteva accertare quanto materiale fosse entrato e quanto materiale fosse uscito dal centro (questo dato fu rilevato con certezza dalla consulenza tecnica espletata).

Con riferimento alle dichiarazioni del pentito Francesco Fonti, sono stati acquisiti parziali riscontri solo in relazione al movimento anomalo di camion presso il centro, ma, come precisato dalla dottoressa Genovese più volte nel corso dell'audizione, si è trattato di un riscontro solo a livello dichiarativo.
Deve, infatti, evidenziarsi che la riapertura del procedimento penale relativo al presunto smaltimento illecito di rifiuti radioattivi


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era stata determinata da una serie di dichiarazioni molto gravi rese dal collaboratore di giustizia Francesco Fonti (sul tema questa Commissione ha svolto una specifica inchiesta; in questo contesto si riportano esclusivamente i passaggi più importanti che concernono la parte relativa al territorio lucano).
Le indagini successivamente svolte dal sostituto procuratore Basentini non hanno permesso di formulare conclusioni diverse da quelle alle quali si era già giunti. Dall'esame della richiesta di archiviazione presentata dal predetto è possibile anche individuare le ulteriori indagini effettuate.

1.3.3.3.1 L'archiviazione del procedimento.

In data 29 maggio 2009 il dottor Basentini ha depositato una richiesta di archiviazione in merito al procedimento summenzionato, esaminando separatamente la vicenda relativa al presunto interramento di rifiuti radioattivi in Basilicata rispetto a quella concernente il traffico di rifiuti radioattivi in Africa.
I passaggi fondamentali della richiesta di archiviazione, con riferimento al primo aspetto, possono essere così riassunti:
le ispezioni dei luoghi avviate a seguito delle dichiarazioni di Fonti Francesco (che aveva individuato il sito di stoccaggio dei fusti contenenti rifiuti radioattivi in una località a ridosso della Basentana 407, a cavallo tra i comuni di Pisticci, Bernalda e Craco) non hanno sortito esito positivo, né Fonti ha prodotto le mappe cui aveva fatto riferimento nel corso di alcuni interrogatori e che, a suo dire, avrebbero contenuto le indicazioni precise della località ove sarebbero stati interrati i fusti in questione;
presso centro il centro ENEA di Rotondella erano state depositate, tra la fine degli anni 60 e l'inizio degli anni 70, diverse decine di barre di uranio provenienti dalla centrale Elk River negli Usa, per il riprocessamento con il ciclo uranio-torio;
nel corso degli anni '80 e '90 diversi tecnici del Medio Oriente (in particolare iracheni) avevano frequentato il centro Trisaia per acquisire la tecnologia ivi sviluppata;
l'impianto di Rotondella, sebbene obsoleto e non più attivo, è rimasto nella sede in cui si trovava e le barre provenienti dalla centrale Elk River si trovano ancora nella stessa piscina ove erano state collocate.

Ulteriori indagini sono state avviate a seguito della trasmissione di copia degli atti di indagine del procedimento n. 1073/03 mod. 44 pendente presso la procura della Repubblica di Matera. In questo procedimento era stata conferita delega per effettuare accertamenti nella frazione Marconia di Pisticci e si era proceduto all'individuazione di un'area interessata dall'interramento di un consistente numero di fusti metallici contenenti rifiuti pericolosi. La zona era distante circa 20 km rispetto al luogo indicato da Fonti quale


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probabile sito di interramento dei fusti ed, inoltre, presentava caratteristiche analoghe a quelle descritte dal pentito.
Le ispezioni dei luoghi indicati da Fonti non hanno avuto esito positivo, e così pure le ispezioni sui luoghi indicati da Guido Garelli quali luoghi in cui sarebbe stato interrato materiale radioattivo negli anni 80.
In merito poi alle acquisizioni documentali relative alle eventuali verifiche effettuate dall'Arpa Basilicata e/o altri enti regionali in merito all'impatto ambientale della Trisaia di Rotondella ed i correlativi effetti su persone, animali ecc..., sono state acquisite le relazioni redatte da:
Dipartimento ambiente e territorio e politiche della sostenibilità della regione Basilicata in Potenza;
Dipartimento ambiente e territorio della provincia di Matera (che però alle richieste del NOE ha solo risposto con una nota con la quale comunicava di avere predisposto una conferenza di servizi per monitorare la radioattività attraverso attività di campionamento sia all'interno che all'esterno di Rotondella, senza fornire dati ulteriori);
Arpa Basilicata;
Area di ricerca del CNR di Tito;
Azienda sanitaria locale n. 5 di Montalbano Jonico.

Dalle relazioni non sono emersi dati allarmanti in merito alla salubrità dell'ambiente.
Un profilo di particolare interesse evidenziato nella richiesta di archiviazione concerne la relazione redatta dai consulenti tecnici Mezzanotte e Pelliccioni, dalla quale risulta che il registro «merci in lavorazione», relativo alle barre di uranio naturale metallico lavorato dalla Combustibili nucleari era tenuto in modo non intellegibile.
Il giudice per le indagini preliminari ha disposto l'archiviazione del procedimento con provvedimento depositato in data 24 dicembre 2009, concludendo nei seguenti termini:
«Nelle aree sottoposte a indagine magnetometrica si può escludere la presenza di masse ferromagnetiche interrate, con l'unica eccezione per il rilievo eseguito in corrispondenza del torrente dove le anomalie sono da mettere quasi sicuramente in relazione ad una struttura ferrosa di forma allungata. In tutte e quattro le aree investigate si può escludere la presenza di fusti interrati. L'ipotesi investigativa originaria è stata vagliata con particolare scrupolo, data la sua indiscutibile ed oggettiva gravità, sia sotto il profilo penale, sia sotto il profilo della sicurezza pubblica in generale. Le indagini eseguite a seguito dell'ordinanza ex articolo 409 comma 4 del codice penale. (...) sono risultate utili per poter affermare, con ragionevole certezza, che, allo stato, alla luce del materiale investigativo acquisito, le dichiarazioni rese da Fonti e Garelli su presunti interramenti di


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rifiuti radioattivi nel territorio del metapontino sono prive di riscontro e che, anzi, le indagini tecnico - scientifiche sul territorio presumibilmente interessato (nessuno dei due ha fornito indicazioni precise in tal senso) hanno escluso, allo stato, l'interramento medesimo.
Quanto agli altri aspetti oggetto di indagini, anche ex articolo 409, comma 4 del codice penale, questo Ufficio condivide le conclusioni rassegnate dalla Sezione di P.G.-Aliquota Carabinieri - della procura della Repubblica presso questo tribunale che, nell'informativa del 19.3.09, ha affermato che i fatti analizzati, particolarmente articolati e complessi, non hanno consentito di delineare in modo compiuto l'ipotesi del traffico di armi e materiali strategici; (...) La relazione del dr. Bellini su eventuali contaminazioni radioattive nel centro Trisaia di Rotondella hanno, come peraltro evidenziato dal pubblico ministero nella richiesta di archiviazione, del pari, sconfessato l'ipotesi accusatoria sul punto.
Allo stato, tenuto conto dell'imponente lavoro investigativo effettuato, di alcuni esiti dirimenti per la prospettazione accusatoria, della persistente mancanza di indicazioni precise per approfondire scenari investigativi solo ipotizzati (ma appunto non verificati per l'assenza di riscontri da parte di - presunte - persone informate), dell'epoca di commissione dei fatti (che si colloca tra gli anni '70 ed '80), non si profila la necessità di ulteriori indagini. Inoltre, nessuna accusa appare sostenibile in giudizio, mancando elementi idonei al vaglio dibattimentale. Pertanto, la richiesta di archiviazione deve essere accolta».

Il 18 marzo 2010 è stato audito dalla Commissione il sostituto procuratore della Repubblica della procura distrettuale antimafia di Potenza, dottor Francesco Basentini, in relazione alla questione delle navi a perdere e, più in generale, allo smaltimento di rifiuti tossici o radioattivi. In tale occasione, il dottor Basentini ha chiarito alcuni aspetti in relazione alla richiesta di archiviazione formulata.
Si riportano, di seguito, i passaggi più significativi dell'audizione del 18 marzo 2010:
«L'ipotesi di reato era legata alle indicazioni fornite da Francesco Fonti, il quale faceva riferimento a un presunto traffico di sostanze o scorie radioattive che venivano trattate anche abusivamente presso il centro Itrec di Rotondella e da lì poi trasportate, altrettanto illecitamente, verso la Somalia. (...) Fonti non ci è stato utile e non ci ha riferito nulla di rilevante; o, perlomeno, nulla di ciò che ha riferito è stato riscontrato. Abbiamo, invece, riscontrato - per certi aspetti, è l'unico elemento, anche piuttosto inquietante - svolgendo una verifica sulla contabilità delle scorie, dei materiali trattati dal centro Itrec, alcune anomalie. Mi spiego meglio. Il centro nasce alla fine degli anni Sessanta e riceve materiale radioattivo - le barre di Elk River e altro materiale dall'Inghilterra - ed era abilitato a lavorare con un determinato ciclo tecnologico, il ciclo uranio-torio. Questo metodo di lavorazione diventa poi obsoleto, ragion per cui il centro Itrec perde la sua valenza strategica; inoltre, si svolge un referendum e l'energia nucleare diventa di scarso interesse. Nel


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frattempo, però, il centro ovviamente è andato avanti a lavorare, almeno fino al 1987, per quella che era la sua funzione originaria. Ha processato verosimilmente alcune barre e ha trattato materiale radioattivo. Tutto ciò veniva generalmente riportato in un registro contabile, in cui venivano riepilogati gli elementi, le quantità, il lavoro svolto. Nei primi decenni di lavorazione e di attività del centro, la contabilità è stata tenuta in maniera piuttosto approssimativa e soltanto negli ultimi anni essa è stata governata con maggior criterio. Purtroppo, le leggerezze compiute nei primi anni hanno dato vita poi a risultati contabili piuttosto singolari. In particolare - vado a memoria, perché è un dato che mi ha colpito e che cito in maniera più precisa nella richiesta di archiviazione - il 1o marzo del 1972 troviamo effettuata una data operazione di lavorazione e processamento delle barre che, alla fine, forniva dati numerici completamente improbabili. Effettuando un semplice calcolo matematico, si arrivava a stabilire che una singola barra avrebbe dovuto pesare circa 22 chilogrammi, un dato decisamente superiore al normale peso di una barra radioattiva. La spiegazione di questa variazione numerica piuttosto evidente può essere la più diversa e molteplice. Non voglio lanciare alcun grido di allarme, ma potrebbe verosimilmente trattarsi, nell'ipotesi peggiore, del metodo contabile adoperato per nascondere - ripeto, è un'ipotesi che lancio solo per assurdo - un quantitativo di materiale che può essere uscito in maniera completamente diversa e differente, non so per quali scopi o finalità. Siamo nel 1972 e tutto poteva essere possibile. Insieme ad alcuni altri elementi, questo è stato l'aspetto di maggiore interesse. Per il resto, abbiamo compiuto accertamenti tecnici, anche ultimi, sul centro Enea e abbiamo svolto anche alcuni rilievi adoperando macchinari in dotazione ai Carabinieri, apparecchiature con la tecnologia MIVIS, per verificare attraverso uno spettrogramma se nel territorio della Trisaia di Rotondella e in quello immediatamente finitimo vi fossero stati eventuali interramenti. Questa tecnologia e i sorvoli, che sono avvenuti solo in parte, ci avrebbero concesso di vedere se effettivamente vi fossero alterazioni nel terreno e se fossero stati effettuati interramenti. Anche questa verifica non ha avuto esito utile, nel senso che non si è verificato alcun evento. Al tempo stesso, abbiamo compiuto una verifica tecnica nel centro, nominando un consulente tecnico, per vedere se all'interno del centro Itrec vi fossero eventuali dispersioni, interramenti o comunque infiltrazioni di materiale radioattivo che avessero contaminato l'area. L'attenzione si è concentrata su un edificio particolare, il laboratorio delle terre rare, perché in un'intercettazione ambientale che facemmo su due dipendenti del centro Enea, che furono convocati davanti al pubblico ministero - credo che si chiamassero Trezza e Massi - parlando tra di loro all'interno della macchina, essi si confidavano che i problemi o le eventuali "porcherie", per citare il termine che adoperavano, potevano essersi verificate proprio in tale laboratorio. Dopo questa intercettazione, vi svolgemmo una consulenza tecnica, in cui il CTU era il dottor Sorbellino, che non evidenziò alcunché di anomalo. Anche le indicazioni acquisite in via ambientale, di fatto, non ebbero riscontro. Questo è, in sostanza, il quadro, ma ho fornito solo alcuni spunti tra i più indicativi dell'indagine. Non so se ci sono altri aspetti particolari che possano interessare alla Commissione».

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Il dottor Basentini ha spiegato che nessun riscontro significativo è stato trovato rispetto alle dichiarazioni di Fonti che riguardano Rotondella:
«non abbiamo trovato alcun riscontro significativo. Può aver indicato alcuni ricordi, come il nome del direttore del centro, Candelieri, che magari corrispondeva al vero; ma, se parliamo di riscontri su fatti o attività illecite o penalmente rilevanti, tale riscontro non si è verificato. (...) venne tentato un riconoscimento fotografico da parte del Fonti sul direttore Candelieri. Esso non ebbe esito positivo, anche perché Fonti sosteneva di aver conosciuto questa persona in un giorno molto lontano dal momento in cui veniva interrogato, addirittura di sera e affermava di non avere avuto la possibilità - vado a memoria, adesso - di vedere nel dettaglio i tratti somatici di questo presunto direttore o perlomeno della persona che gli si presentava come tale. Fonti indica il cognome - parla di Candelieri - ma non ricorda e non ebbe modo di effettuare o di darci un riconoscimento».

Circa il riscontro alle dichiarazioni di Fonti riguardanti le modalità di pagamento alla famiglia Musitano (che si sarebbe occupata dello smaltimento illecito) e alle banche indicate (una parte dei soldi sarebbe arrivata tramite la Cyprus Popular Bank di Nicosia e un'altra tramite la Beogradska sempre di Cipro; poi il denaro sarebbe stato versato a Belgrado) il magistrato ha affermato di non aver effettuato accertamenti, avendo dato precedenza ed avendo ritenuto determinanti i risultati delle indagini finalizzate al rinvenimento dei rifiuti presuntivamente interrati.

1.3.3.3.2 Il sopralluogo della Commissione in agro di Pisticci con Francesco Fonti.

La Commissione ha ritenuto di convocare il collaboratore di giustizia Francesco Fonti in agro di Pisticci, in provincia di Matera (località dal medesimo indicata quale sito in cui sarebbero stati interrati bidoni contenenti rifiuti radioattivi provenienti dal centro Enea di Rotondella) al fine di verificare se lo stesso fosse in grado di individuare con esattezza i luoghi di cui aveva ripetutamente parlato con le autorità.
Pertanto, in data 9 marzo 2010, è stato effettuato un sopralluogo nella località anzidetta da parte della Commissione, alla presenza di militari della Compagnia dei Carabinieri di Pisticci, del collaboratore suindicato e dell'architetto Tonino D'Onofrio, responsabile del settore tecnico del comune di Craco allo scopo di fornire il suo apporto tecnico per l'individuazione dei luoghi.
Del sopralluogo è stato redatto apposito processo verbale da parte della Commissione, che di seguito si riporta, e dal quale si evince che nessuno dei luoghi visitati è stato riconosciuto da Fonti quale luogo di interramento dei bodoni in questione (doc. 355/1).
«La Commissione, su indicazione del Fonti, si porta in località Madonna della Stella dove - a suo dire - all'atto del suo passaggio notturno insieme ai camion di rifiuti vi era una statua della Madonna.


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La Commissione constata che in loco insiste una costruzione in pietra datata fine '800, primi novanta, delle dimensioni di circa 7/8 mq., all'interno della quale vi è un cratere contenente acqua.
Il Fonti dichiara: "non riconosco il luogo".
Proseguendo nella ricerca della statua della Madonna, la Commissione si sposta nel rione Sant'Angelo in Craco, distante a circa 200 metri dalla prima località. La Commissione constata che al centro del rione vi è un piccolo edificio adibito a luogo di culto, costruito negli anni '60, a seguito del movimento franoso che aveva colpito il centro storico - edificio che, a detta dell'arch. Tonino D'Onofrio era adibito a scuola - sulla cui facciata vi è una croce di legno.
Il Fonti dichiara: "non riconosco il luogo".
La Commissione d'inchiesta, su indicazione del collaboratore di giustizia, si sposta in località Isca dei Pattini in Craco, attraversata dal torrente Salandrella, al fine di individuare il corso d'acqua attraversato da lui e dai camion contenente i fusti radioattivi.
Il Fonti, dopo aver guardato con attenzione l'ambiente circostante, dichiara: "non riconosco il luogo e non riconosco l'intera località di Craco".
Seguendo le indicazioni del Fonti, la Commissione, alle ore 14,15 del 9 marzo 2010, raggiunge la località "Picoco 1" del comune di Bernalda, dal quale dista circa km 8.
Anche in quest'ultima occasione il Fonti dichiara: "non riconosco il luogo".
In sostanza, tutte le ricerche tese a verificare l'attendibilità delle dichiarazioni di Francesco Fonti, anche quelle da ultimo effettuate dalla Commissione, non hanno portato a risultati di sorta.»

Considerazioni di sintesi.

Il primo dato che occorre sottolineare in relazione alla provincia di Matera è la recente approvazione del piano provinciale dei rifiuti, i cui principali obiettivi appaiono in linea con la normativa vigente sia per ciò che attiene alla riduzione della produzione dei rifiuti, sia per ciò che concerne il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero energetico degli stessi.
Allo stato, si deve rilevare come risulti ancora urgente il reperimento di ulteriori volumetrie per le discariche. Il che si pone in evidente contrasto con quanto rappresentato nel piano provinciale dei rifiuti. Vero è che il piano è stato approvato di recente e, dunque, sono necessari dei tempi tecnici per la sua attuazione; deve, però, osservarsi che le nuove volumetrie da ricavare per il conferimento dei rifiuti in discarica dovrebbero essere contenute e dimensionate alle effettive esigenze della provincia, tenuto conto della concreta progettualità avviata con l'approvazione del piano.
Certamente, la provincia di Matera subisce il carico dei rifiuti proveniente in parte dalla città di Potenza, non autosufficiente.
In sostanza, laddove solo una provincia adotti ed attui un piano dei rifiuti (questo discorso evidentemente vale per qualsiasi regione)


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inevitabilmente le carenze organizzative e gestionali delle province limitrofe si ripercuotono sui territori più «virtuosi» che devono dare la loro disponibilità per fronteggiare le situazioni di difficoltà.
La raccolta differenziata, anche nella provincia di Matera, si attesta su livelli bassissimi, sebbene vi siano dei comuni nei quali la stessa ha superato la percentuale del 50 per cento.
Per ciò che concerne la città di Matera, la raccolta differenziata si attesterebbe intorno al 30-35 per cento. Il sindaco ha giustificato questi dati in quanto il servizio di gestione della raccolta differenziata è stato, in un primo momento, aggiudicato ad un'impresa e, a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione della gara da parte del Consiglio di Stato, ad altre imprese concorrenti. Questa circostanza avrebbe contribuito, secondo quanto riferito dal sindaco, a rallentare un procedimento già di per sé complesso.
Riguardo agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti valgono le medesime considerazioni espresse con riferimento alla provincia di Potenza, nel senso che numerosi reati «bagattellari» in materia ambientale si accompagnano ad una perenne condizione di esposizione del territorio provinciale all'infiltrazione della criminalità organizzata.
È stata, a questo proposito, registrata una inadeguata condivisione delle informazioni investigative in materia ambientale tra la procura distrettuale di Potenza e le procure ordinarie e, più in generale, un gap informativo con le diverse procure distrettuali dislocate nelle regioni confinanti.
Proprio in ragione delle caratteristiche territoriali della Basilicata, sembrerebbe quanto mai importante un continuo flusso di informazioni tra le forze di polizia che operano sul territorio e gli uffici di procura, al fine di colmare quanto meno da un punto di vista conoscitivo quegli ampi spazi territoriali disabitati nei quali è difficile effettuare controlli sistematici da parte di tutti gli organi competenti.
Con riferimento, poi, alle indagini per il reato di traffico illecito di rifiuti, va osservato che, sebbene la competenza sia stata assegnata alla procura distrettuale antimafia, tuttavia le procure ordinarie, a parere della Commissione, continuano ad avere un ruolo di fondamentale importanza che è quello di individuare quegli illeciti ambientali che potrebbero rappresentare indizi di traffici più ampi e di trasmettere le relative informazioni alla procura distrettuale competente. In questo modo, si potrebbe trovare un punto di convergenza tra le diverse competenze e perseguire l'utilizzo ottimale delle risorse, sfruttando al massimo le capacità investigative e di conoscenza del territorio delle procure ordinarie, per fornire alla procura distrettuale un quadro di insieme di fatti che, isolatamente considerati, possono non apparire significativi, ma che nella loro globalità, ad uno sguardo più ampio, possono disvelare l'esistenza di ben più ampi traffici illeciti.
Il traffico illecito di rifiuti, infatti, si manifesta, per così dire, in forma sintomatica, attraverso la realizzazione di discariche abusive o l'illecita gestione di discariche autorizzate o ancora attraverso attività di trasporto illecito dei rifiuti. Spetta alla magistratura comprendere la portata di questi sintomi ed effettuare la diagnosi.

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2. Il ciclo dei rifiuti nella regione Basilicata.

2.1. Il piano regionale rifiuti.

Legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2001, modificata dalla legge regionale n. 28 del 2008. La conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti.
La Basilicata è una regione di 586.690 abitanti, concentrati per lo più nei grossi centri urbani.
Il 2 febbraio 2001, il Consiglio regionale della Basilicata ha approvato il piano regionale rifiuti con la legge regionale n. 6, successivamente modificata dalla legge regionale 24 novembre 2008 n. 28.
I principi ispiratori del piano, enunciati nell'articolo 2, sono:
a) prevenire e ridurre la produzione e la pericolosità dei rifiuti;
b) favorire la raccolta differenziata, la selezione e la valorizzazione delle frazioni di rifiuti urbani raccolte separatamente;
c) promuovere il recupero anche energetico dei rifiuti, al fine di ridurre lo smaltimento finale degli stessi;
d) assicurare la gestione integrata dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali, superando la frammentazione delle gestioni secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità;
e) realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani attraverso una rete integrata di impianti di recupero e di smaltimento;
f) favorire lo smaltimento dei rifiuti negli impianti più vicini al luogo di produzione, al fine di ridurre la movimentazione degli stessi, tenuto conto delle esigenze di carattere geografico o della necessità di smaltimento in impianti specializzati;
g) tenere conto della pianificazione territoriale salvaguardando i valori naturali e paesaggistici;
h) garantire il rispetto delle esigenze igienico sanitarie al fine di tutelare la salute della collettività, evitando possibili fonti di inquinamento dell'ambiente, mediante l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili a costi non eccessivi;
i) ridurre progressivamente le discariche come sistema ordinario di smaltimento.

Precedentemente, la normativa regionale demandava alla regione ogni aspetto pianificatorio in materia di rifiuti, mentre alle province spettavano compiti di controllo e i comuni avevano il compito di individuare i siti ove localizzare gli impianti di smaltimento.
Nel piano regionale del 2001, secondo quanto si legge nella relazione della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti approvata nell'anno 2000, era stata prevista una notevole autonomia per le province che dovevano gestire e organizzare i due ambiti territoriali ottimali in cui la Basilicata era allora divisa, coincidenti con i territori delle province di Potenza e Matera.
Con la legge regionale 24 novembre 2008 n. 28 il piano è stato modificato prevedendosi un unico ATO in luogo dei due già previsti.
Infine, con legge regionale n. 33 del 30 dicembre 2010 «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e


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pluriennale della regione Basilicata - Legge finanziaria 2011» la regione Basilicata ha abolito l'unico ATO regionale ed ha costituito la «conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti» a cui sono affidate le funzioni già esercitate dalle autorità d'ambito territoriali.
L'articolo 27 della legge citata (che sostituisce l'articolo 15 della legge regionale n. 6 del 2 febbraio 2001), invero, abroga il modello di governo del sistema di gestione dei rifiuti incentrato sull'autorità d'ambito assegnando le funzioni già esercitate dalla predetta autorità alla conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti che subentra nei relativi rapporti giuridici in essere.
Prevede, poi, quanto segue:
la conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti si configura - ai sensi dell'articolo 30, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000 - come una convenzione obbligatoria fra gli enti locali alla quale aderiscono le province e l'ente regione;
essa è costituita, secondo il disciplinare-tipo predisposto dalla giunta regionale con proprio provvedimento, dai 131 comuni lucani ricadenti nell'unico ATO rifiuti Basilicata, dalle province di Matera e Potenza e dalla regione Basilicata e svolge le funzioni di governo del sistema regionale di gestione dei rifiuti per un periodo di anni trenta;
i comuni, le province e la regione stipulano la convenzione di cui al precedente comma entro due mesi dall'adozione da parte della giunta regionale del disciplinare-tipo;
decorso inutilmente il termine fissato di due mesi, la convenzione è stipulata, entro i successivi trenta giorni, dai comuni, dalle province e dal presidente della giunta regionale anche in sostituzione degli enti inadempienti, previa diffida;
la conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti è composta dai sindaci dei comuni, od assessori delegati, dai presidenti delle province, o assessori delegati, e dal presidente della regione, o assessore delegato;
al fine di assicurare la piena efficacia ed efficienza al governo del servizio integrato dei rifiuti, la conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti: a) individua nella regione Basilicata l'amministrazione procedente con funzioni di raccordo e coordinamento degli enti aderenti e di rappresentanza esterna della conferenza; b) nomina un esecutivo, con funzioni di proposizione, istruzione, deliberazione e sorveglianza di tutte le attività e di tutti gli atti, ad eccezione di quelli espressamente riservati dal successivo comma 6 alla competenza della conferenza nella sua interezza;
per attendere ai propri compiti, la conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti si avvale - ai sensi dell'articolo 30, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 - di una specifica struttura tecnico-amministrativa di supporto cui è assegnato il personale riveniente dalla soppressa autorità d'ambito;
alla conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti sono attribuite le seguenti funzioni in materia di organizzazione del servizio integrato dei rifiuti: a) formulare proposte di modifica alla convenzione istitutiva della conferenza; b) individuare e revocare le amministrazioni

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comunali presenti nell'esecutivo; c) approvare il regolamento che disciplina il funzionamento della conferenza, dell'amministrazione procedente, dell'esecutivo e della struttura tecnico-amministrativa di supporto; d) approvare il bilancio preventivo e consuntivo della conferenza; e) quantificare la domanda di servizio e la sua articolazione settoriale e territoriale; f) specificare gli standard qualitativi globali e settoriali del servizio integrato dei rifiuti da garantirsi agli utenti; g) approvare il piano d'ambito per la gestione del servizio, comprensivo di un programma degli interventi da realizzare e corredato da un piano finanziario; h) determinare i livelli di imposizione tariffaria del servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti, secondo i criteri di economicità, efficacia, efficienza e sostenibilità; i) individuare la forma di gestione del servizio di gestione integrata dei rifiuti, di cui all'articolo 21, e curarne gli atti di affidamento; j) vigilare sulla gestione del servizio e sull'osservanza delle prescrizioni contenute nella convenzione di gestione del servizio; k) adottare gli atti ed assumere tutte le iniziative utili ed opportuni al buon funzionamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Nell'esercizio delle funzioni di cui al comma 1 del citato articolo 3, la conferenza si attiene alle direttive ed agli indirizzi della pianificazione regionale e provinciale in materia di bonifica e rifiuti;
nelle more di espletamento delle procedure previste dagli articoli precedenti per la costituzione della conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti, le attività e funzioni di cui all'articolo 27, comma 5, lettera a) della stessa conferenza sono attribuite ad un Commissario nominato dal presidente della giunta regionale che utilizzerà le strutture amministrative delle disciolte autorità d'ambito provinciali, subentrando ai rapporti giuridici attivi e passivi delle stesse, procedendo ad assicurare la continuità amministrativa del servizio di gestione integrata dei rifiuti e provvedendo alla residua gestione liquidatoria. Il Commissario si avvale delle risorse umane presenti presso le soppresse autorità d'ambito provinciali. I rapporti dirigenziali a termine con contratto di diritto privato cessano alla loro scadenza naturale.

Sulla riorganizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, il presidente della regione Basilicata dottor Vito De Filippo, nel corso dell'audizione del 14 marzo 2012, ha dichiarato:
«La Basilicata ha deciso già da tempo, come vi è stato riferito anche nella documentazione, di abolire e di cancellare gli "ATO rifiuti", che noi non abbiamo più. Abbiamo invece una conferenza interistituzionale, quindi non un ente, pertanto a costo zero. I comuni si stanno costituendo e puntano ad avere un luogo sostenibile nel quale poter ragionare sul piano d'ambito, sul sistema delle tariffe. Abbiamo dunque deciso di cancellare gli ATO, le Unione montane e ci siamo trovati di fronte ad una modificazione sostanziale dell'assetto delle amministrazioni provinciali».

È un dato evidente, a parere della Commissione, il fallimento delle società d'ambito che hanno operato nelle varie regioni italiane (basti pensare agli ATO Sicilia nonché a quelli di altre regioni del sud).
Al tempo stesso, si è avuto modo di constatare, in altre realtà territoriali, come la modifica della "struttura organizzativa" nella


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gestione dei rifiuti possa di fatto non corrispondere ad una modifica sostanziale.
Ed allora, la bontà della scelta operata in sede di legislazione regionale andrà necessariamente verificata sul piano fattuale, fermo restando che le determinazioni sino ad oggi prese con maggiore celerità dagli organi competenti riguardano l'aumento delle volumetrie delle discariche. Il che significa, di fatto, che la mancanza di un sistema organico e funzionale nella gestione dei rifiuti comporta sempre, quale priorità, la necessità di individuare siti di discarica ove conferire i rifiuti.

2.2 La gestione dei rifiuti urbani nella regione Basilicata.

Sulla base dei dati resi disponibili nel «Rapporto rifiuti urbani 2012» dell'Ispra e riferiti al 2010, la Basilicata è tra le quattro regioni del mezzogiorno, insieme a Molise, Calabria e Campania, ad essere caratterizzata dai valori di produzione pro-capite di rifiuti più bassi d'Italia (377 kg/abitante per anno, -5 kg/abitante per anno rispetto al 2009).
La percentuale di raccolta differenziata a livello regionale è ancora molto bassa e si colloca al 13,3 per cento, ben al di sotto degli obiettivi nazionali.
In riferimento al trattamento dei rifiuti, si riporta di seguito una tabella comparativa, recante le quantità di totali di rifiuti trattati e la quantità di rifiuti indifferenziati, dalla quale si evince un trend negativo regionale rispetto al 2009 (-72,2 per cento di rifiuti trattati e -95,9 per cento di rifiuti indifferenziati).


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In Basilicata vi è un unico impianto di incenerimento.
Il totale di rifiuti urbani, frazione stabilizzata e CDR avviati ad incenerimento, costituisce lo 0,5 per cento del totale dei rifiuti trattati (vedi tabella seguente).

In Basilicata la discarica viene ancora utilizzata come forma prioritaria di gestione dei rifiuti (83 per cento).
In termini di pianificazione della gestione dei rifiuti (vedi figura seguente), la Basilicata si è dotata di un piano regionale della gestione dei rifiuti urbani e speciali, di un programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili, di piani per lo smaltimento di apparecchi


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contenenti PCB e PCT e di un piano per la bonifica dei siti contaminati.
Tali piani risultano, alla data, in aggiornamento.
È, invece, assente una pianificazione della gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio.

2.2.1 La raccolta differenziata.

In merito alla raccolta differenziata, sono stati auditi il presidente della regione Basilicata, Vito De Filippo, il 14 marzo 2012 e il direttore dell'Arpab, ingegner Raffaele Vita, il 13 marzo 2012.
Il presidente De Filippo, pur dando atti dei bassi livelli di raccolta differenziata, si è mostrato ottimista in quanto le percentuali sono in rialzo e vi sono progetti già avviati che permetteranno di migliorare la situazione:
«Noi abbiamo un sistema che era stato pensato per una situazione, anche in termini quantitativi (...) di 230.000 tonnellate di produzione di rifiuti all'anno. (...) Nel corso degli anni si è così costruita un'organizzazione basata sostanzialmente sulle discariche, con una percentuale di raccolta differenziata (...) che fino a qualche tempo fa era sicuramente molto bassa (...). Nel corso degli anni, come ho riferito anche nella scorsa audizione, noi abbiamo finanziato, per molte parti del territorio regionale, progetti di raccolta differenziata con i fondi FESR. Alcuni di questi sono andati avanti, altri si sono in qualche modo implementati con una tempistica che direi non rigorosa.


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Non ci siamo arresi, abbiamo anzi rilanciato su questo fronte della raccolta differenziata, facendo un importante accordo con il Conai, (...) portando sostanzialmente ad avviare la raccolta differenziata in due aree che rappresentano una consistente fetta demografica della nostra regione: l'area di Potenza e dell'hinterland potentino e quella di Matera e dell'hinterland materano.
Le percentuali sulla differenziata che io vi ho trasmesso a fine 2011 (tra il 13 e il 14 per cento nella provincia di Matera; e tra il 16 e il 17 per cento nella provincia di Potenza) si stanno via si alzando. Ci sono territori che sono partiti negli ultimi mesi. L'area del Bradano ha messo insieme molti comuni in una sperimentale e molto efficace attività di raccolta differenziata. C'è una vasta attività di tante altre amministrazioni, sostenute anche nei programmi regionali, che ci fa ben sperare di poter raggiungere l'obiettivo del 40 per cento da qui a breve. (...) Noi siamo una regione con una superficie di 10.000 chilometri quadrati, quindi non siamo una piccola regione, geograficamente parlando. La grande Campania, che sembra uno Stato, a fianco a noi, ha un'estensione di solo 13.000 chilometri quadrati. (...) Siamo però in 600.000, (...) Questo rapporto tra demografia e geografia è particolarmente complesso nella gestione dei servizi pubblici, quando parliamo dei servizi idrici, del dimensionamento scolastico, di quello sanitario e anche nel ciclo dei rifiuti, perché anche un'organizzazione sostenibile e avanzata della raccolta differenziata, nonostante questa popolazione così ridotta, si presenta potenzialmente e probabilmente costosa in termini operativi, tecnologici e di mezzi.
Anche sulla raccolta dei rifiuti stiamo quindi valutando con Conai quale sia la sostenibilità. Ovviamente il primo risultato che dovrebbe produrre la raccolta differenziata è un abbassamento della tariffa per un utilizzo più virtuoso non solo del compost ma anche delle altre frazioni di rifiuti che si possono raccogliere in maniera differenziata, anche a beneficio di attività industriali o, come si può immaginare, anche della valorizzazione in termini energetici».
Anche il direttore dell'Arpab, ingegner Raffaele Vita, si è espresso in termini ottimistici riguardo al prossimo futuro della raccolta differenziata, evidenziando come la stessa sia oramai una necessità sia per i cittadini che per le istituzioni:
«la raccolta differenziata non è più un'opzione, è una necessità, è un obbligo, una cosa sulla quale non si può proprio più ragionare o discutere; è una condizione di vita ed è un fatto culturale, che quindi mette insieme politica, amministrazioni, persone che la devono fare, ingegneri che la devono organizzare, sindaci che devono investirci. Questa non è una cosa che si improvvisa, deve crescere e certamente bisogna accelerare anche i processi istituzionali. Su questo le amministrazioni devono fare sistema sempre di più e quindi metto in mezzo anche il contributo, anche tecnico-scientifico, che l'Arpab può dare su questo. (...) In alcuni paesi incominciano ad esserci alcuni segnali positivi. Satriano, il mio piccolo paesino di 3.000 abitanti, è arrivato per esempio al cinquanta per cento ed è uno dei paesi che definiscono «i ricicloni». È un processo ormai inarrestabile e si discute e si parla ormai di arrivare al 70 o all'80 per cento, quindi dobbiamo arrivarci. C'è insomma una consapevolezza che non si può più attendere.

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A me pare che nell'aria giri finalmente questa consapevolezza, anche quanto agli impegni che sono stati presi alcuni giorni fa sulla città di Potenza, proprio dal presidente della giunta regionale, che sta spingendo direttamente, investendo anche fondi regionali per farla finalmente partire, in un momento oggettivamente difficile.
La raccolta differenziata ha due limiti: uno è la nostra testa di cittadini, che spesso non ci convinciamo che non è una cosa su cui si può ancora discutere, che va fatta e basta; e l'altro sono i soldi. La raccolta differenziata si fa, almeno nella parte iniziale, investendo, com'è innegabile, il che è difficile, in un momento in cui gli enti locali come i comuni non hanno fondi.
Spero che ritornerete per fare delle verifiche e con questo vi auguro anche una lunga carriera politica e impegno. Credo che registrerete costantemente degli aumenti di raccolta differenziata. In tutti i sindaci con cui parlo e discuto mi sembra che ci sia la convinzione in merito, la percezione è cambiata in modo molto intenso e deciso proprio negli ultimi mesi.»

2.2.2 Impiantistica.

Per quanto riguarda lo stato dell'impiantistica nel territorio regionale, la Commissione ha utilizzato sia i dati trasmessi dal presidente della regione Basilicata, Vito De Filippo (cfr. «Stato di attuazione delle politiche regionali per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti urbani - rapporto di aggiornamento del 9 dicembre 2011, doc. 989/1, 989/2), sia le informazioni raccolte nel corso delle audizioni effettuate.
Nel rapporto del 9 dicembre 2011 e nelle dichiarazioni del presidente De Filippo vengono evidenziati, da un lato, i problemi connessi alla mancanza e all'inadeguatezza degli impianti esistenti di trattamento e di recupero, dall'altro, la bassa percentuale di raccolta differenziata. Vengono, poi, elencate le iniziative già adottate e quelle in corso di adozione.
Nel gennaio 2011, la regione ha sottoscritto con il Conai un accordo per la promozione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio e per l'attuazione di studi, al fine di promuovere il recupero e il riciclo dei materiali.
Un altro accordo è stato sottoscritto dalla regione con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Conai, in forza del quale il Ministero si impegna a fornire finanziamenti sempre finalizzati ad implementare la raccolta differenziata.
Importanti determinazioni sono state, poi, assunte dalla regione in merito alla realizzazione dell'impiantistica e ai relativi finanziamenti, con particolare riferimento agli impianti di compostaggio.
Quanto alle discariche e agli impianti di stabilizzazione meccanico biologica si è sottolineato il loro attuale funzionamento, sicché con la realizzazione dei tre impianti di compostaggio, due nella provincia di Potenza e uno nella provincia di Matera, si potrà trattare la maggior parte della frazione umida che si produce in Basilicata.


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Si riportano alcuni passaggi del rapporto trasmesso:
«Continua a registrarsi un deficit impiantistico dovuto alla mancanza o all'inadeguatezza degli impianti di trattamento e soprattutto di recupero dei rifiuti urbani nonché una bassa percentuale di raccolta differenziata (...). Conformemente a quanto disposto dalla L. 26 marzo 2010 n .42, con legge regionale n 33 del 30 dicembre 2010 "Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della regione Basilicata - legge finanziaria 2011" la regione Basilicata ha abolito l'unico ATO regionale ed ha costituito la "conferenza interistituzionale di gestione dei rifiuti" a cui sono affidate le funzioni già esercitate dalle autorità d'ambito territoriali nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. (....) sono stati individuati due filoni di intervento, da porre in essere in un quadro di congiuntura economica nazionale e cioè:
incentivazione e finanziamento di programmi di raccolta differenziata che coinvolgano l'intero territorio regionale;
implementazione e adeguamento della dotazione impiantistica indispensabile al trattamento dei rifiuti urbani e alla gestione dei rifiuti differenziati.

La raccolta differenziata, come detto in precedenza sta segnando il passo, e registra le seguenti percentuali per l'anno 2010:
provincia di Potenza: 16,49 per cento;
provincia di Matera: 12,53 per cento.

(...) Sul fronte più generale nell'anno 2011 sono state implementate alcune importanti azioni che non solo delineano la chiara volontà di puntare ad una gestione più virtuosa della filiera dei rifiuti urbani da parte della regione Basilicata, ma soprattutto consentiranno di ottenere risultati nel breve periodo.
Le principali azioni sono le seguenti.
In data 25 gennaio 2011 la regione Basilicata ha sottoscritto con il Conai (consorzio nazionale imballaggi) un accordo di programma quadro inteso come supporto e parte integrante al piano di gestione dei rifiuti urbani della regione Basilicata. Gli obiettivi principali di tale accordo sono:
la promozione sul territorio regionale della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio provenienti sia da superficie pubblica che da superficie privata; il supporto tecnico nell'individuazione delle più adeguate modalità di raccolta in relazione alle caratteristiche specifiche delle diverse realtà territoriali lucane;
l'attuazione di analisi e studi per lo sviluppo di sistemi di recupero di materia nel territorio regionale al fine di promuovere il mercato dei materiali recuperati dai rifiuti e dai prodotti riciclati (...).
In data 31 marzo 2011 la regione Basilicata ha sottoscritto un accordo di programma con il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e il Conai i cui obiettivi principali sono del tutto analoghi all'accordo di programma regione Basilicata-Conai prima


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citato. Tale accordo riveste particolare importanza in quanto, tra gli impegni che il Ministero andrà ad assumere vi è quello di trasferire alla regione Basilicata, nell'ambito delle proprie disponibilità finanziarie, la somma complessiva di - 6.822.175,72, di cui - 1.988.664,64 per l'anno 2009 e - 4.833.511,08 per l'anno 2010 per dare un forte impulso alle amministrazioni locali che sviluppano sistemi integrati di raccolta differenziata concordati con regione, province di appartenenza e Conai. A tale posta finanziaria si aggiunge la somma di 2.000.000,00 di euro di sponda regionale a valere sui fondi del P.O. FESR 2007/2013.
Per ottimizzare le risorse disponibili si è convenuto, in accordo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Conai di individuare un'area significativa per ciascuna provincia comprendente i due capoluoghi in modo da avere un numero adeguato di abitanti tali da ottenere risultati in termini percentuali significativi per l'intera regione nel breve periodo.
Al momento si sta svolgendo la fase consultiva per giungere ad un progetto il più condiviso possibile dai vari soggetti coinvolti.
Si può affermare che nel primo bimestre del 2012 si possa giungere alla progettazione utile all'esperimento delle opportune gare (...). L'attenzione della regione sulla questione impiantistica si è concentrata esclusivamente sulla produzione di compost di qualità (...). In questa ottica (...) si è proceduto con deliberazione della giunta regionale n. 2119 in data 23/12/2010 alla ammissione a finanziamento del progetto di conversione della piattaforma di trattamento meccanico-biologico di Venosa.
Analogamente la giunta regionale (...) ha dichiarato ammissibili a finanziamento altri due interventi finalizzati all'adeguamento delle piattaforme di trattamento meccanico biologico di Sant'Arcangelo in provincia di Potenza e di Colobraro in provincia di Matera rispettivamente con DGR n. 1533 e 1534 del 18 ottobre 2011. Tali impianti produrranno compost di qualità mediante trattamento della frazione umida dei rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata (...) Le capacità di trattamento previste sono pari a 12.000 t/anno per l'impianto di Sant'arcangelo e di 6.500 t/anno per quello di Colobraro che aggiunti a circa 18.000 t/anno dell'impianto di Venosa, in attesa della implementazione dei sistemi di raccolta differenziata su tutto il territorio regionale, potranno trattare buona parte dell'intera produzione dell'umido stimabile in circa 80.000 t/a (...) Il tutto sarà completato in un arco temporale massimo di 30 mesi».
Il presidente De Filippo, nel corso dell'audizione del 14 marzo 2012, ha dichiarato:
«(...) Noi abbiamo un sistema di discariche e anche alcuni impianti di stabilizzazione meccanico-biologica, che funzionavano. Per questi impianti abbiamo già definito progetti e finanziamenti e sono in corso le operazioni di investimento anche per la realizzazione di almeno tre impianti di compostaggio: uno a Venosa, un altro a Sant'Arcangelo, l'altro a Colobraro; sono tre impianti: due nella provincia di Potenza e uno nella provincia di Matera, per un compost di qualità.
C'è inoltre un'ipotesi, che proprio negli ultimi giorni stiamo valutando, per il bacino centro e anche per l'esigenza di un ulteriore

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impianto per la città capoluogo di regione, Potenza. Questi tre impianti ci potrebbero già garantite un'azione di trasformazione in compost di una consistente parte dalla frazione umida che si produce in Basilicata, che noi stimiamo in circa 80.000 tonnellate all'anno. Questi tre impianti sarebbero già di per sé in condizione di trasformare la quasi totalità di della frazione umida sviluppata nell'ambito nella nostra regione. I tre che ho descritto sono già stati finanziati. Nonostante ciò, abbiamo pensato anche di poter realizzare un altro impianto. (...) Nel nostro territorio abbiamo deciso di cancellare tutte e quattordici le Unione montane. In Basilicata da qualche mese esistono zero Unione montane, che sono state trasformate sul territorio in associazioni convenzionali, sulla base di una convenzione, quindi non enti, ma comuni tra loro associati ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267. Questa notizia mi serve per presentare alla Commissione un altro elemento di valutazione.
Molti di questi impianti e anche molte di queste attività riguardanti i rifiuti erano in capo alle Unione montane, quindi abbiamo avuto la necessità di affrontare il tema. (...)
Oggi la Basilicata incenerirà credo non più del 10 per cento della produzione e non è quindi un sistema basato sull'incenerimento, ma su un'articolazione di discariche, su una trasformazione ancora iniziale dei rifiuti con la stabilizzazione, gli impianti biologico-meccanici e gli altri impianti che vi sono stati segnalati e che noi vorremmo far evolvere nel sistema più adeguato del compost di qualità, con una parte residua anche di incenerimento. (...)».

2.2.3 Giacimenti petroliferi.

Numerose sono le questioni sollevate dai privati nonché dagli organi di stampa in merito alle possibili situazioni di inquinamento collegate con l'attività estrattiva, sia per quanto riguarda le modalità stesse dell'attività, sia per quanto riguarda l'illecito utilizzo, ai fini dell'occultamento di rifiuti tossici e pericolosi, delle buche scavate per l'attività estrattiva, sia ancora per quanto riguarda il non corretto smaltimento dei fanghi di perforazione.
A fronte di tutto ciò le informazioni fornite degli organi inquirenti non hanno dato atto dell'acquisizione di elementi di prova di una sistematica attività illecita in questo settore.
Vero è che, laddove vi siano problemi anche per la gestione corretta delle discariche nonché per il controllo del territorio, permeato da un diffusissimo fenomeno di discariche abusive, non possono che ritenersi quantomeno legittime le preoccupazioni di quanti temono che possa essere strumentalizzata, a fini illeciti, un'attività ben più complessa, qual è l'attività estrattiva.
Stante la delicatezza dell'argomento, sono state richieste specifiche informazioni al presidente della regione, Vito De Filippo, il quale, nel corso dell'audizione del 14 marzo, si è espresso nei seguenti termini:
«Credo che la materia ambientale sia diventata esattamente il campo anche delle denunce e delle accuse verso un'aspettativa


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straordinaria. A questo si aggiunga che la suggestione del petrolio produce evidenti illusioni. Qui ci sono i più grandi player internazionali - Eni, Shell, Total, Esso - e il petrolio, nella comune valutazione, è ricchezza. Vedere che questa grande attività non ha cambiato il destino dell'area ha tradito delle aspettative. Non poteva accadere, perché il petrolio è purtroppo un'attività industriale a basso livello occupazionale e in nessuna parte al mondo dove si fa attività estrattiva gli abitanti del soprassuolo più vicino sono diventati ricchi. Noi abbiamo fatto un'operazione nuova, nella storia italiana. Con la scoperta del petrolio della Basilicata sono nate le royalty, gestite dal territorio, ma è molto lungo il processo per trovare opportunità appaganti in termini di occupazione e di sviluppo. (...) Credo infatti che ci sia una grande disinformazione.
Mi è accaduto di partecipare a una discussione pubblica dove un oncologo si è alzato dicendo che un pozzo produce il tumore. In una situazione del genere, da amministratore, per quanto io debba ragionare, ho da scalare una montagna, prima di arrivare ad un elemento per rifiuti solidi urbani. Noi ci stiamo provando, anche approvando nuove leggi che riguardano la trasparenza e la partecipazione sui dati ambientali. Potrei invitarvi a valutare il nuovo centro regionale di monitoraggio ambientale, una straordinaria iniziativa strategica, proprio per interagire sulla questione dei dati con tutti i cittadini e le associazioni. Quello che lei dice è quindi molto vero.
Noi consideriamo i dati ambientali della nostra regione e, quando uno di essi si discosta dai valori previsti dalla normativa, per esempio quando un policiclico aromatico si discosta di un minimo, anche di uno 0,0 per cento, c'è un allarme. (...) In questa fase la Basilicata produce tra gli 80.000 e i 90.000 barili al giorno. Vi do qualche parametro, giusto per rendervi conto. La Libia, ai tempi di Gheddafi, trasferiva in Italia tra i 230.000 e i 240.000 barili al giorno. Gli accordi che noi abbiamo sottoscritto nei due giacimenti porteranno, da qui al 2014, ad una produzione di 155.000/160.000 barili al giorno. Total è capofila su uno ed Eni è capofila sull'altro giacimento. C'è quindi una sorta di Libia domestica, se mi lasciate passare questa battuta, con una potenzialità ancora più grande, che ovviamente noi teniamo sotto controllo, sulla base di una sostenibilità che è già diventata non facilmente governabile, dalle notizie che avete.
L'articolo 16 del «decreto Monti» sulle liberalizzazioni, che è in corso di conversione e di approvazione in Parlamento, è frutto di un lavoro congiunto che abbiamo fatto col Governo nazionale e, devo dire, in collaborazione anche col precedente Governo Berlusconi. Sulla materia del petrolio c'è un ragionamento spero costantemente bipartisan; anche in Basilicata c'è un lavoro congiunto tra opposizione e maggioranza.
L'articolo 16 dovrebbe produrre quel cambiamento epocale che si aspettano i lucani. Il petrolio è una grande risorsa energetica, ma è anche una grande risorsa finanziaria per l'Italia, perché produce una quantità enorme di gettito fiscale: l'IRES, la Robin tax, i dividendi. L'Eni è sostanzialmente - mi consentirete di dirlo, lo sapete, meglio di me - lo Stato, perché il 30 per cento delle azioni sono italiane, circa per il 50 per cento di Eni, sono quindi in mano allo Stato; il 3 per cento è del Ministero dell'economia; il 27 per cento è di Cassa

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depositi e prestiti. Eni distribuisce annualmente i dividendi a Cassa depositi e prestiti e al Ministero dell'economia, anche sulla base di una rilevante attività industriale che sviluppa in Basilicata.
Nella rete delle attività produttive planetarie di Eni, la nostra regione è un punto molto rilevante. Mi pare che Eni produca nel mondo un milione di barili al giorno, di cui 100.000, il 10 per cento, li produce in Basilicata, quindi abbiamo un peso molto importante anche nel bilancio di Eni. Quell'articolo 16 è nato anche in un dibattito federalista e punta a trasferire una parte di questo gettito su interventi locali. Oggi ci sono le royalty, che ammontano al 7 per cento; dicono che siano le più basse royalty del mondo. In Nigeria si paga molto di più, per stare agli ultimi drammatici fatti che abbiamo sentito.
Sono molto d'accordo sugli inceneritori. D'altronde siamo in un continente, l'Europa, in cui mi pare ne funzionino ancora almeno 350: ci sono inceneritori da Vienna a Brescia, nei centri delle città, quindi sono convinto che anche La Fenice dovrà interagire come uno degli anelli importanti del nostro ciclo virtuoso dei rifiuti.
Gli obiettivi dei servizi di cui parlava lei sono da noi conosciuti. Non vorrei fare un errore, ma credo siano tre: bisogna portare il conferimento in discarica a non più del 40 per cento, portare la raccolta differenziata a più del 40 per cento, e utilizzare strategie di compostaggio che determinino almeno un 20 per cento della frazione umida raccolta in compost di qualità. Sono obiettivi che, se vengono colti, possono far giungere ulteriori risorse ai nostri fondi FESR».
Nel corso dell'audizione del 13 marzo 2012 del presidente della provincia di Potenza, Piero Lacorazza, sono stati affrontati, sinteticamente, gli aspetti relativi alle intese intercorse tra Eni, Governo e regione, aventi ad oggetto la rete di monitoraggio delle estrazioni petrolifere di Val d'Agri:
«L'intesa del 1999 prevedeva un finanziamento per il rafforzamento della rete di monitoraggio, per il quale si è fatta una gara, dopo molti anni, che è stata aggiudicata da poco. Nel frattempo, i controlli venivano esercitati da Arpab e Metapontum Agrobios, che sono gli enti - in questo caso non la provincia - che rilevano i dati e che, quando ci sono alterazione di dati, individua gli enti preposti, come in alcuni casi sulle tre matrici (acqua, aria e terra) per avviare eventuali procedure o procedimenti. Metapontum Agrobios e Arpab sono però i soggetti deputati al controllo e al monitoraggio. La provincia è tenuta per legge al controllo amministrativo».

2.3 Le procedure di infrazione avviate dalla Unione europea.

Il 28 febbraio 2012 la Commissione europea ha inviato alla Rappresentanza permanente dell'Italia presso l'Unione europea un atto di costituzione in mora (infrazione n. 2011/2215) da trasmettere al Ministero degli affari esteri (doc. 1129/1).
In tale atto viene richiamata l'attenzione del Ministro all'applicazione della direttiva 1999/31/CE del Consiglio del 26 aprile 1999 relativa alle discariche di rifiuti, dettata al fine di prevenire o ridurre


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le ripercussioni negative sull'ambiente e sulla salute umana risultanti dall'intero ciclo di vita della discarica.
In particolare, viene evidenziato che, in base all'articolo 14 della direttiva (discariche preesistenti):
«Gli Stati membri adottano misure affinché le discariche che abbiano ottenuto un'autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione soltanto se i provvedimenti in appresso sono adottati in massima tempestività e al più tardi entro otto anni dalla data prevista all'articolo 18, paragrafo 1:
a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica elabora e presenta all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie alfine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1;
b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non ottengono l'autorizzazione a continuare a funzionare;
c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l'attuazione del piano. Tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto t, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1».

Nella citata lettera di costituzione in mora si dà atto, poi, delle ripetute richieste di informazioni inviate dalla Commissione alle autorità italiane, cui sono seguite le risposte da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Si dà atto, inoltre, che proprio sulla base delle informazioni ricevute, la Commissione europea ha ritenuto che ben 102 discariche, su tutto il territorio italiano, non siano state ancora chiuse o, comunque, rese conformi ai dettami della direttiva europea.
Si riporta il testo della lettera di costituzione in mora nella parte di interesse:
« Le autorità italiane hanno risposto tramite lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 maggio 2011 (inviata il 18 maggio 2011) nella quale sono fornite informazioni dettagliate sulla base delle quali si fonda la presente analisi. (...).
In base alle informazioni ricevute, emerge che sul territorio italiano vi sono almeno 102 discariche "esistenti" (3 delle quali per rifiuti pericolosi) che non sono ancora state né oggetto di provvedimenti di chiusura, né rese conformi alla direttiva».


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Viene, poi, specificato che le discariche di rifiuti cui si fa riferimento, ritenute non conformi alla direttiva, sono presenti in numerose regioni, tra cui la Basilicata che ne annovera 19 non in regola.
Pertanto, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia sia venuta meno agli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE e ha invitato il governo a trasmetterle osservazioni su quanto rilevato nel termine di due mesi, riservandosi il diritto di emettere il parere motivato previsto dall'articolo 258 dei trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dopo avere preso conoscenza di tali osservazioni, oppure in caso di omesso inoltro delle osservazioni entro il termine fissato.
Il dato emerso a livello della contestazione europea, relativo alla non conformità delle discariche della regione Basilicata alle direttive vigenti, rappresenta il segno di un duplice fallimento.
Il primo attiene alle modalità di smaltimento dei rifiuti totalmente in dispregio delle direttive europee in quanto fondato prevalentemente sul conferimento in discarica, come risulta dai dati Ispra sopra illustrati.
Il secondo fallimento, del tutto ingiustificabile, riguarda la cattiva gestione delle discariche. E, tenuto conto del numero di quelle oggetto di contestazione, si deve ritenere che le discariche non in regola siano non solo le discariche attualmente operative, ma anche quelle che si trovano nella fase di gestione post mortem.
Il tutto si traduce in una sostanziale indifferenza per la tutela dell'ambiente nella fase dello smaltimento dei rifiuti nonché in quella successiva di gestione dei siti esauriti.
Le buone intenzioni espresse nei piani regionali e provinciali devono, a questo punto, essere messe in atto anche perché è l'Europa che lo impone attraverso procedure di infrazione che colpiscono inesorabilmente, sotto il profilo sanzionatorio, tutta la Nazione.

2.4 Situazioni di maggiore criticità riscontrate sul territorio.

Come già evidenziato nella parte dedicata alle province, pur essendosi registrati nella regione Basilicata numerosi illeciti inerenti le attività connesse al ciclo dei rifiuti e, più in generale, in danno dell'ambiente e del territorio, non sono emerse infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nella gestione di questo settore.
Le attività illecite registrate in questo campo sembrerebbero, pertanto, configurarsi come fenomeni singoli e slegati fra loro, non riconducibili ad organizzazioni radicate sul territorio né facenti capo a clan operanti nelle regioni limitrofe.
Le autorità interpellate hanno, comunque, sottolineato tre fattori che rendono concreto il rischio che il settore rifiuti sia oggetto di attenzioni da parte della criminalità organizzata, quali:
la particolare conformazione del territorio;
le conseguenti difficoltà a presidiarlo nella sua interezza;
la ben nota esistenza di sodalizi criminali nelle regioni confinanti quali Puglia, Calabria e soprattutto Campania.


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Dunque, in considerazione di ciò, l'attività di controllo, seppur già presente, necessiterebbe di essere ulteriormente potenziata.
Con riferimento alla sufficienza dei mezzi a disposizione per contrastare la perpetrazione di illeciti in campo ambientale, il procuratore Colangelo ha così risposto:
«devo dire che la Basilicata non è una grande regione e non è molto popolata ma è una regione che ha un grande patrimonio naturalistico, boschivo e ambientale. Qualsiasi lesione a questo patrimonio può essere irreparabile. È una regione difficilmente percorribile. Non ero mai stato prima in Basilicata, ma devo dire che ci sono dei comuni come Viggiano che distano due ore di auto da Potenza e in cui il controllo del territorio è estremamente disagevole. Ci sono dei piccoli comuni arroccati sulle montagne dove il controllo è difficilissimo e i mezzi e le risorse disponibili, come voi sapete meglio di me, per definizione sono esigui. Non ho elementi per ritenere che la Basilicata sia al momento una zona di smaltimento, un territorio utilizzato dalle criminalità organizzate limitrofe. Ho diretto per otto anni la direzione distrettuale antimafia di Bari prima di andare a Potenza, e quindi avevo un'esperienza di criminalità organizzata che mi induceva a nutrire forti perplessità sulla possibile presenza di una criminalità organizzata. Abbiamo trovato certamente della criminalità organizzata con sporadiche influenze su taluni comportamenti criminali, con contestazione del reato di cui all'articolo 416-bis, ma al momento non abbiamo uno specifico collegamento tra un'organizzazione malavitosa e la gestione del ciclo dei rifiuti».

Ulteriori dati relativi alle criticità ambientali riscontrate nella regione possono trarsi nelle parti della relazione relative alle singole province nonché, ancor di più, nella parte relativa alle bonifiche.

Considerazioni di sintesi.

In Basilicata la discarica è ancora utilizzata come forma prioritaria di smaltimento dei rifiuti. La percentuale di rifiuti inviati in discarica, che si ricava dal «rapporto rifiuti urbani 2012» dell'Ispra (riferiti però all'anno 2010), è dell'83 per cento.
Questo dato, di per sé, sarebbe sufficiente per dimostrare l'arretratezza della regione nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Da parte degli organi di governo regionali vi è la consapevolezza della necessità di realizzare un'impiantistica adeguata attraverso la realizzazione di almeno tre impianti di compostaggio in grado di trattare la gran parte dell'umido prodotto dalla regione.
Questo obiettivo si unisce a quello di un rafforzamento della raccolta differenziata in modo da potere perseguire una duplice finalità:
separare il secco dall'umido per la produzione di compost;
diminuire il quantitativo dei rifiuti da destinare in discarica.

Deve tenersi conto del fatto che in Basilicata vi è un unico impianto di incenerimento, che però non incide sulla gestione del ciclo


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dei rifiuti, tenuto conto del dato fornito da Ispra, secondo cui solo lo 0,5 per cento dei rifiuti viene destinato all'incenerimento.
Il presidente della regione si è a lungo soffermato sulla questione dei giacimenti petroliferi che - allo stato - non rappresentano una fonte di ricchezza per la popolazione della regione, in quanto le royalty previste ammontano solo al 7 per cento.
Per quanto riguarda il profilo degli illeciti ambientali in questo settore, sebbene la Commissione abbia ripetutamente formulato domande agli auditi in merito a questo tema, non sono stati riferiti casi di inquinamento e/o di sfruttamento illecito, salvo taluni episodi segnalati che non paiono comunque espressione di un fenomeno sistematico e continuativo.

3. La gestione dei siti contaminati nella regione Basilicata.

3.1 I siti contaminati.

La Commissione ha approfondito, per la verità con riferimento a tutte le regioni italiane, lo stato di attuazione delle anagrafi relative ai siti contaminati.
Sul punto, la regione Basilicata, con nota pervenuta il 14 maggio 2012 (cfr doc. 1220/1, 1220/2), ha fornito le seguenti informazioni in merito alla gestione dei siti contaminati.
L'anagrafe dei siti contaminati sarà attivata sulla base di uno specifico progetto attualmente posto all'attenzione della giunta regionale.
La struttura dell'anagrafe, in corso di progettazione, comprende un sistema informativo territoriale, un modulo web per il data entry, un modulo di accesso alle informazioni, un sistema di protezione, elaborazione, rappresentazione e pubblicazione dei dati.
È prevista l'acquisizione di tutte le informazioni anagrafiche attestanti la posizione geografica del sito e lo stato avanzamento dei vari procedimenti amministrativi di cui alla Parte IV, Titolo V, del decreto legislativo n. 152 del 2006, a cui saranno associati i dati georiferiti sulle indagini ambientali e sugli interventi di bonifica.
La sezione sugli interventi di bonifica consentirà di registrare i dati sui risultati dell'analisi di rischio, sulle tecniche di intervento adottate, sui costi e risorse finanziarie, sulla tempistica di esecuzione, produzione e destino dei rifiuti, eventuali limitazioni d'uso, sistemi e risultati di monitoraggio. Si presume che il sistema possa entrare in funzione entro il 2012.
Nella tabella seguente si riportano le informazioni fornite sui siti contaminati e sulle bonifiche.


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La regione Basilicata ha, inoltre, precisato che i dati forniti comprendono siti effettivamente soggetti all'obbligo di caratterizzazione e bonifica, già censiti come siti potenzialmente inquinati dal piano regionale di bonifica approvato contestualmente alla legge regionale n. 6 del 2001 secondo la previgente normativa.
I restanti siti riportati nel citato piano devono considerarsi esclusi dai procedimenti di che trattasi, in quanto compresi nella procedura di infrazione comunitaria n. 2003/4506, «Attuazione della direttiva 1999/31/CE, relativa alle discariche di rifiuti», archiviata dalla Commissione europea nella seduta del 30 settembre 2010, mentre i siti di abbandono rifiuti sono stati risolti nell'ambito della gestione ordinaria, compatibilmente con le risorse disponibili in bilancio.
Si sottolinea che la regione Basilicata non ha fornito i dati richiesti dalla Commissione in merito alla produzione e alla gestione di rifiuti provenienti da attività di bonifica, dati importanti perché consentono di monitorare effettivamente le attività compiute anche con riferimento agli smaltimenti e/o recuperi di rifiuti.

3.2 I siti di interesse nazionale: aree di Tito e Val Basento.

Il sito di Tito è stato inserito tra gli interventi di interesse nazionale individuati dal programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale elaborato ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della Legge n. 426 del 1998.
Con decreto ministeriale 8 luglio 2002 è stato definito, dopo una serie di riunioni con i comuni, la regione e l'Arpa della regione Basilicata, il perimetro del sito di interesse nazionale.
Le principali criticità ambientali presenti sul sito riguardano sia il suolo che la falda. In particolare si segnala:
con riferimento al suolo: presenza di rifiuti di diversa natura (speciali, pericolosi, assimilabili agli urbani) tra i quali amianto, fosfogessi, scorie e polveri derivanti dall'attività siderurgica, materie prime, prodotti e residui di lavorazione derivanti dalla produzione di concimi a base di fosforo;
con riferimento alle acque di falda: contaminazione da triclotroetilene, ferro, manganese.

In alcuni monitoraggi delle acque sotterranee sono stati evidenziati superamenti anche per i parametri: cloruro di vinile, cloroformio, 1,2-dicloroetilene, 1,1,2-tricloroetano, 1,2-dicloropropano, dibromoclorometano, bromodiclorometano e benzene.
Il sito dell'area industriale della Val Basento è stato individuato come sito di interesse nazionale con decreto ministeriale n. 179 del 2002.
È stato perimetrato con decreto ministeriale 26 febbraio 2003.
Nel polo industriale sono presenti 67 aziende che svolgono diverse tipologie di attività; in particolare, quelle rientranti nel comparto industriale di Pisticci sono legate alle lavorazioni precedentemente ivi svolte dall'ANIC/Enichem.


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La gran parte delle aree, comunque, è di competenza pubblica e si tratta di aree attualmente destinate ad attività agricola.
La contaminazione ad oggi riscontrata, in particolare per le aree industriali, sia per i suoli che per le acque di falda, riguarda principalmente metalli pesanti, IPA, solventi clorurati e composti aromatici.
All'interno del sito di interesse nazionale si trova l'ex stabilimento Materit, nel quale venivano realizzati manufatti in amianto.
Su di esso è in corso un intervento di bonifica, in sostituzione e in danno, nei confronti della curatela fallimentare da parte del comune di Ferrandina, al quale sono state assegnate specifiche risorse finanziarie per questa finalità.

3.2.1 Lo stato di attuazione degli interventi e le principali problematiche riscontrate.

Il procedimento di bonifica relativo ai Sin di Tito e Val Basento è ben lontano dall'essersi concluso per ragioni riconducibili, secondo quanto riferito alla Commissione dagli auditi, alla mancanza di fondi per effettuare gli interventi necessari o, comunque, per dare impulso al procedimento stesso.
Inoltre, per quanto riguarda il sito di Val Basento, sono state segnalate problematiche attinenti ad un contenzioso per l'individuazione del soggetto tenuto all'attività di bonifica.
Il presidente della regione Basilicata, Vito De Filippo, nel corso dell'audizione del 14 marzo 2012, ha evidenziato come la regione abbia investito notevoli somme nelle attività di caratterizzazione e nella predisposizione dei progetti per avviare la bonifica ma, ciononostante, il procedimento abbia subito un rallentamento, attesa l'incertezza dei finanziamenti statali per le opere da realizzare.
Queste difficoltà erano state già evidenziate dal presidente della regione in una precedente audizione, in data 18 maggio 2010.
Proprio in quella occasione il presidente aveva delineato in maniera molto chiara il quadro dello stato della bonifica dei SIN di Tito e Val Basento, condizionato dalla mancanza di fondi statali e dall'insufficienza dei fondi regionali utilizzati.
In particolare, aveva dichiarato: «Stiamo realizzando un lavoro di bonifica e di caratterizzazione con le possibilità economiche che possiamo ricavare dalle risorse del nostro programma operativo regionale e da poche risorse che ancora sono state garantite a livello centrale. Abbiamo sottoscritto anche un accordo di programma per quanto riguarda il sito della Val Basento, che è storicamente noto e il primo riconosciuto come sito di interesse nazionale.
Fino a qualche mese fa, si era avviato un virtuoso programma nazionale per bonifica dei siti di interesse nazionale, che era dotato di 3 miliardi di euro, e c'era stata già una lunga e positiva discussione sul programma, che era inserito in una più generale iniziativa di sostegno dei nostri settori produttivi. La bonifica dei siti è infatti una misura propedeutica e molto interessante in termini di investimento produttivo industriale, una misura di accompagnamento formidabile


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perché esistono territori che potrebbero essere utilizzati per nuovi investimenti.
Questo programma nazionale, che doveva garantire il finanziamento di almeno un sito di interesse nazionale per ciascuna regione italiana, è stato clamorosamente accantonato e da qualche mese non se ne ha più notizia (n.d.r. : il riferimento è ai siti di preminente interesse industriale di cui all'articolo 252-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni) . Sin dal 1995 stiamo provvedendo per quanto riguarda il sito di Tito Scalo e da qualche anno anche per quello della Val Basento. Quest'ultima è un'area industriale storica in cui ci sono state iniziative di partecipazione statale fin dai primi interventi negli anni '60, area in passato importante per la chimica e per la plastica, che oggi vive condizioni di difficoltà e di crisi come molte altre aree del Paese. Abbiamo avviato un programma di caratterizzazione e di bonifica. Gli ettari che dovrebbero essere sottoposti a bonifica nel sito della Val Basento sono 3.400. La prima stima dell'investimento si aggirava intorno ai 20-25 milioni di euro, ma si tratta di dimensioni finanziarie per noi non facilmente sopportabili.
Abbiamo messo a disposizione risorse del nostro POR e stiamo facendo la stessa cosa con il programma 2007-2013. Interveniamo innanzitutto sulla caratterizzazione e poi su alcuni punti di questi siti particolarmente inquinati, per molti dei quali si rileva una responsabilità diretta delle aziende, per cui scatta automaticamente per loro l'obbligo di effettuare la bonifica. La regione si occupa non solo della caratterizzazione, ma anche di una valutazione delle falde nelle aree contermini. Come il direttore dell'Arpa pur potrà dettagliatamente riferire, abbiamo messo in campo un vasto sistema di pozzi piezometrici, che nelle aree limitrofe ai due siti ci consentono di verificare puntualmente la situazione delle nostre falde, evitando implicazioni negative nel settore agricolo. Fino ad oggi, sul versante del monitoraggio le questioni ci sembrano sotto controllo.»
Nel corso dell'audizione del presidente della regione tenutasi il 14 marzo 2012, è stato nuovamente affrontato il tema dei siti di interesse nazionale:
«Quanto ai siti di interesse nazionale, (...) si era avviato un interessante programma nazionale di 3 miliardi di euro sulla bonifica dei siti di interesse nazionale. Si immaginava che almeno uno di tali siti per regione potesse trovare una disponibilità finanziaria. Come vi dirò, si parla infatti di cifre abbastanza rilevanti per questo tipo di iniziativa. Quel programma, che era contenuto nel piano industria 2015, è stato cancellato per altre legittime necessità strategiche, anche se noi consideriamo quella rimodulazione come un errore.
Con nostri programmi regionali, noi abbiamo speso già molti soldi per la caratterizzazione, e oggi abbiamo, sia sul sito della Val Basento, sia su quello di Tito Scalo, tutti gli elementi e i progetti per avviare la bonifica che, il cui costo secondo la nostra valutazione, si attesterebbe intorno ai 35 milioni di euro o forse addirittura una cinquantina.
Che cosa stiamo facendo? Compiendo una scelta netta, noi abbiamo riproposto questi progetti e questi finanziamenti nel programma attuativo regionale del Fondo aree sottoutilizzate (PAR-FAS

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ambiente). Voi sapete che però l'andamento dei programmi operativi regionali FAS sta avendo un finanziamento e accordi molto più lenti di quanto si prevedeva all'inizio della combinazione dei programmi FAS regionali. Ci sono sicuramente ancora risorse dei FAS che devono essere assegnate alle regioni, per parte delle quali è in attesa un'avanzata attività istruttoria, che abbiamo fatto sul PAR-FAS regionale con il Ministero per la coesione territoriale e col Ministero dell'ambiente.
Noi abbiamo scelto di indirizzare l'intera cifra a un'attività di bonifica sia della Val Basento sia di Tito. Se fino a qualche settimana fa c'era quindi la notizia che si poteva chiudere e spostarsi al CIPE: la decisione sembrava ad horas. Adesso invece dobbiamo vedere. Si è insediato un nuovo Governo, abbiamo notato che c'è stato un minimo di rallentamento, ma siamo speranzosi che da qui a breve si concluda l'istruttoria che abbiamo fatto con il Ministero dell'ambiente, a cui ha partecipato il direttore generale».

Il presidente ha anche parlato del centro regionale di monitoraggio, che raccoglie tutti i dati delle varie matrici, compresi quelli collegati all'attività estrattiva, affermando:
«Devo dare un'informazione su questa rete e questo centro regionale di monitoraggio, che noi prima non avevamo. Ci sono inoltre poche regioni in Italia che hanno un unico sistema regionale, nel quale arrivano tutti i dati delle varie matrici, che sono poi valutabili, consultabili, fruibili in maniera costante, permanente; anche con un'organizzazione di punti fissi, di centraline e di laboratori mobili o di sensori che calcolano anche la velocità e il calore dell'aria, sì da consentirci anche una valutazione diacronica di quello che succede in termini ambientali sul nostro territorio. (...) Voi sapete che per ogni 250.000 abitanti (credo che questo sia il parametro) deve essere presente una centralina per la misurazione dell'aria. Noi non siamo in una regione super industrializzata. Nell'area del petrolio avevamo due centraline, ora credo ce ne siano sei, di cui alcune mobili. Nel corso degli anni abbiamo fatto una costante attività di studio e di monitoraggio di tutte le principali matrici, con carotaggi, biomonitoraggi, prelievi di acqua, centraline che misuravano l'aria, affidata a Metapontum Agrobios, una società regionale che si occupa esattamente di ricerca, di studio e di monitoraggio ambientale. Sull'area del petrolio abbiamo costruito per un decennio una quantità enorme di documenti, per decine di migliaia di pagine, dove venivano segnalate tutte le attività che erano state sviluppate. Intorno ai pozzi c'era un sistema di carotaggio o impianti di biomonitoraggio, piantine che venivano impiantate nelle parti più interessanti, quelle dei pozzi o del centro oli, che registrano modificazioni anche le più lievi, in termini ambientali. Abbiamo poi fatto indagini - come è noto, quelle sono le più qualificanti - anche sui corsi d'acqua e sui giacimenti fluviali, che sono la memoria più antica, anche in termini ambientali. Abbiamo fatto prelievi, abbiamo valutato e in un solo tratto del fiume Agri, in questi dieci anni, c'è stato un lievissimo aumento di una delle quaranta o quarantadue molecole di policiclici aromatici, secondo Metapontum Agrobios determinato più dall'attività agricola e da carburanti, che non dall'attività estrattiva.


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Certamente l'allarme sull'attività estrattiva è straordinario e noi stiamo mettendo in campo, con il centro di monitoraggio, anche iniziative sulla misurazione del rumore e sulla misurazione dell'odore. Ci sono quindi strategie tecnologiche che ci daranno un supporto. Il centro di monitoraggio, che si dice arriva dopo quattordici anni, è collegato sostanzialmente anche all'attività estrattiva, ma noi nel frattempo svolgiamo l'attività di monitoraggio istituzionale, dovuta secondo noi, che abbiamo costantemente garantito. Vi ho descritto alcune delle questioni, ma potrei parlare ancora a lungo o trasferirvi ulteriori documenti».

Il presidente della regione ha, infine, evidenziato le problematiche ambientali connesse alle discariche abusive e al tombamento di rifiuti, attività illecite facilitate dalle caratteristiche orografiche del territorio lucano.
È, dunque, concreto il pericolo che il territorio della Basilicata venga utilizzato dalle organizzazioni criminali quale luogo di destinazione dei rifiuti, sicché è particolarmente importante, in questa zona, che gli organi di controllo siano presenti e vigili sul territorio.
Sempre con riferimento alle bonifiche ed allo stato di attuazione degli interventi, si segnala quanto riferito dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Matera, dottoressa Celestina Gravina, e dal comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, Raffaele Manicone, auditi dalla Commissione in data 28 febbraio 2012.
La dottoressa Gravina, oltre a sottolineare le problematiche attinenti ai finanziamenti per i Sin, ha evidenziato situazioni di inquinamento riconducibili alla presenza di amianto nella copertura delle costruzioni:
«Nell'area industriale della Valle del Basento è in corso un'azione assolutamente monitorata dal Ministero dell'ambiente. Si tratta di un'antica controversia credo non ancora risolta tra il Consorzio per lo sviluppo industriale materano e la Syndial, società del gruppo Eni. La questione è chi è responsabile e chi deve fare cosa. Si tratta di una questione tuttora aperta, ma certamente ci sono riunioni continue nell'ambito del Ministero dell'ambiente, quindi credo che la situazione sia monitorata e spero che vada a soluzione. Ovviamente, la base è quella delle risorse finanziarie. Quanto alle bonifiche ambientali, l'amianto è un problema di tutto il territorio nazionale, la legislazione è quella che è. Naturalmente, il problema penale sorge soltanto nel momento in cui ci sia uno smaltimento illecito, ma sono molti i capannoni con i tetti d'amianto nel nostro territorio e ogni tanto ci sono le lamentele. Ci sono stati, ad esempio, un paio di casi a Policoro, risolti, a mio avviso, positivamente con il sindaco che ha dato disposizione di bonificare e privati che hanno adempiuto. Anche in quel caso, ho privilegiato, a fronte delle lamentele di pericolosità, questo tipo di approccio, ossia di responsabilizzare i sindaci per valutare l'opportunità di un'ordinanza contingente piuttosto che procedere a sequestri, con strutture che rimangono sequestrate per lustri, con nessuno che può più assumersene la responsabilità e la gestione. Un paio di casi si sono risolti in questo modo, con ordinanze


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del sindaco e adempimento da parte dei privati. La situazione dei tetti d'amianto su capannoni dismessi dalle nostre parti purtroppo è grave e diffusissima».

Con riferimento al medesimo tema è stato interpellato il comandante provinciale del Corpo forestale dello Stato di Matera, Raffaele Manicone, il quale, in merito all'entità degli interventi di bonifica, ha confermato la lentezza delle procedure e le difficoltà amministrative:
«(...) Parliamo di piccole bonifiche quando è in atto nelle zone rurali qualche piccola ristrutturazione che comprende la demolizione di manufatti con tetti in amianto. L'amianto è prelevato dai tecnici specializzati di queste società che trattano l'amianto e lo portano in discarica. L'unica attività di grosse dimensioni di bonifica di un sito vero e proprio è quella della Valle del Basento, che però in questo momento, proprio per questi problemi amministrativi tra chi deve fare cosa, è ferma. Si tratta del famoso sito della Liquichimica, la cui bonifica fu cominciata negli anni Novanta. Nel sito ci sono una serie di inquinanti anche di un certo livello, però in questo momento l'attività di bonifica è ferma (...) Il problema è proprio su chi ha omesso. La diatriba è tra l'ASI e la Syndial, società di Eni. È in corso un contenzioso».

A fronte della eccessiva lentezza dei procedimenti di bonifica, la situazione di inquinamento pare decisamente grave ed è stata oggetto di approfondimento da parte del dottor Bolognetti, audito dalla Commissione in qualità di esperto ambientale per la regione Basilicata, autore del dossier intitolato «Veleni ambientali e politici della regione Basilicata», nel quale viene definita la Val Basento quale «bomba ecologica». In sede di audizione innanzi alla Commissione, il dottor Bolognetti ha descritto un quadro particolarmente drammatico, soprattutto perché sottovalutato dagli organi competenti:
«(...) falde acquifere inquinate; amianto a Ferrandina, con la ex Materit, con quello che questo significa in termini di incidenza anche sulla salute delle popolazioni di quell'area; decine di siti contaminati da IPA, metalli pesanti e composti cancerogeni. A fine dicembre 2009, non io, ma la provincia di Matera, parla di inquinamento indotto delle aree agricole della Val Basento. Sarei curioso di sapere che cosa si intende per "inquinamento indotto delle aree agricole", visto che quella è una vasta area perimetrata dal Ministero come sito di bonifica, ma è anche un'area a vocazione agricola. Speriamo che un giorno ci spieghino, quindi, cosa significa inquinamento indotto.
Direi che non meno preoccupante è la situazione di Tito Scalo, dove, oltre alla vicenda Daramic, che si autodenuncia nel 2005 per lo sversamento di 15 tonnellate di trielina nella falda, c'è la questione dei rifiuti ferrosi della Siderpotenza, ma anche la famigerata vasca fosfogessi. Siccome immagino che si sia parlato molto di navi in questa Commissione, direi che quella è una "grossa nave" di 27.500 metri quadrati a pochi chilometri in linea d'aria da Potenza, che ha determinato l'inquinamento della falda, del terreno e del torrente Tora, il quale, essendo uno dei sette affluenti del principale fiume


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nella Basilicata, il Basento, avrà presumibilmente determinato anche l'inquinamento di questo fiume.
Nella vasca fosfogessi sono state stoccate decine di migliaia di tonnellate di fanghi industriali non inertizzati e non stabilizzati - io ci sono stato, ho avuto modo di passeggiare sulle trincee ricoperte da fosfogessi - e secondo le ipotesi investigative quei fanghi provengono da svariate attività industriali del Mezzogiorno d'Italia. Da questo punto di vista, sarebbe interessante leggere qualche formulario; poi si sa, i reati magari cadono anche in prescrizione. Questa è la situazione dei due siti di bonifica della Basilicata. Tra l'altro, è interessante notare che il dottor Mascazzini, ex funzionario del Ministero dell'ambiente, in riferimento al sito di Tito Scalo, nel dicembre del 2008 parla di errore nell'attribuzione dei codici CER; di errore nell'identificazione del produttore dei rifiuti; esprime forti perplessità sull'idoneità di un impianto di smaltimento di proprietà del Consorzio Asi a poter smaltire le acque emunte alla trielina; solleva dubbi rispetto all'elemento trielina nella falda, ipotizzando nel verbale "uno sversamento puntuale". Su questo forse bisognerebbe fare chiarezza. Per quanto ne so, su queste situazioni è stata aperta un'indagine da parte del Nucleo ecologico dei Carabinieri (....)».
Il dottor Bolognetti ha citato, in particolare, un verbale di conferenza di servizi decisoria del dicembre 2008 nel quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva sollevato una serie di questioni definite «preoccupanti» nei confronti delle imprese, dell'Arpa Basilicata, del Consorzio industriale di Potenza (ASI) e, in generale, di tutti gli enti interessati, che avrebbero il compito di vigilare sull'inquinamento e sulle procedure di bonifica.
Lo stesso Bolognetti ha, poi, illustrato le problematiche ambientali derivanti dalle estrazioni petrolifere, con particolare riferimento agli impatti sulle falde acquifere ed ha segnalato superamenti dei limiti normativi per il bario nell'invaso del Pertusillo (destinato ad uso idropotabile) e della correlabilità di tale sostanza ai fluidi di perforazione utilizzati nelle trivellazioni.

3.2.2 I controlli effettuati dall'Arpa.

Come sopra evidenziato, in Basilicata sono particolarmente importanti i controlli sul territorio, perché le caratteristiche orografiche dello stesso lo rendono permeabile alla ricezione illecita di rifiuti, tenuto conto delle ampie aree disabitate che caratterizzano la regione.
Problematiche sono state riscontrate con riferimento all'attività di controllo dell'Arpab.
Il 18 maggio 2010 è stato audito l'allora direttore dell'Arpa Basilicata, dottor Vincenzo Sigillito, il quale aveva descritto una situazione «abbastanza buona» e «sotto controllo» in merito alla gestione degli impianti di discarica nella regione.
Il dottor Sigillito, dopo avere precisato che l'Arpa Basilicata disponeva di solo due ufficiali di polizia giudiziaria, ha riferito in merito ai controlli effettuati sull'inceneritore Fenice:
«I controlli dell'inceneritore sono stringenti. Tre centraline situate sul posto controllano tutti i valori. È stata inoltre stipulata una


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convenzione con l'Istituto superiore di sanità. Abbiamo sempre controllato, stiamo controllando e quando nel 2008 i valori hanno esondato rispetto a quelli previsti dal decreto 152 abbiamo iniziato un'attività di più intenso monitoraggio e quindi successivamente di caratterizzazione. L'attività nel settore statale è stata quindi in parte sospesa, per permettere di venire a capo dell'intera questione. Oggi, la maggior parte dei parametri è molto rientrata, a differenza del mercurio di poco eccedente rispetto ai valori previsti. Stiamo tentando di venirne a capo in via definitiva. (...) Dai pozzi spia si evince che l'attività del mercurio, non avendo attinenza con la geologia o l'idrogeologia del sito, riguarda il ciclo di lavorazione dello stabilimento. Abbiamo quindi individuato il punto di fuoriuscita e stiamo tentando di venirne a capo.»

Il dottor Sigillito risulta imputato nel procedimento (di cui si è trattato nella parte prima della relazione, cui si rinvia) che attiene alla carenza dei controlli e alle omissioni con riferimento all'inceneritore La Fenice in San Nicola di Melfi.
Il dato da segnalare in questa sede, di carattere generale, è proprio quello concernente il ruolo dei funzionari dell'Arpa e il loro rapporto con l'autorità giudiziaria, questioni queste che hanno assunto connotati di problematicità in diverse regioni italiane.
In particolare, numerosi magistrati hanno evidenziato una certa difficoltà nei rapporti con i funzionari dell'Arpa che non rivestono la qualifica di ufficiali di PG, in quanto i controlli effettuati non sempre vengono comunicati all'autorità giudiziaria e, comunque, anche quando ciò si verifica, si tratta di comunicazioni non contestualizzate, e quindi poco significative per l'autorità giudiziaria.
Sempre con riferimento alla posizione dei funzionari Arpa nell'ambito dei controlli ambientali, si segnala una sentenza della Corte di cassazione che ha configurato la possibilità di un concorso omissivo dei funzionari dell'Arpa nei reati ambientali di cui abbiano notizia e per i quali non formulino alcuna comunicazione all'autorità giudiziaria, nè si attivino per interrompere l'inquinamento in atto (Cassazione sez. III, sent. 3634/2011).
Successivamente, in data 13 marzo 2012, è stato audito dalla Commissione l'attuale direttore dell'Arpab, l'ingegner Raffaele Vita, il quale ha riferito sia in merito ai compiti dell'agenzia e alle difficoltà connesse all'espletamento degli stessi sia in merito ai rapporti tra l'agenzia e le procure:
«Il compito di un'agenzia regionale per l'ambiente, com'è noto, è più che altro quello di essere di sostegno alle amministrazioni e alle istituzioni con la conoscenza tecnico-scientifica del territorio e anche su questo tema particolare delle discariche e dei rifiuto. Questa dovrebbe essere la nostra mission principale: avere un bagaglio di conoscenze attraverso il monitoraggio e l'esplorazione, da mettere a disposizione del sistema istituzionale in genere. Molto spesso il nostro lavoro è invece non tanto preventivo, quanto soprattutto repressivo, perché andiamo a sostegno delle attività delle procure, dei NOE, del Corpo forestale e questa è una delle ragioni per cui - lo dico come riflessione un po' amministrativa e un po' politica - dal mio punto


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di vista, le agenzie regionali hanno gravissimi problemi. Mentre si organizza e pianifica una conoscenza sistematica e preventiva del territorio, veniamo infatti chiamati ad avere invece un ruolo nel quotidiano, andando ad affrontare con interventi spot i temi più vari: la discarica, il fiume, i pesci che muoiono o gli ipotetici rifiuti infossati intorno al fiume. Quest'ultima è una cosa di ieri: c'è un pentito che ha dato della indicazioni in merito, quindi ci siamo tutti impegnati su questo. (...) Oggi io do solo un dato, per capire la mostruosità del lavoro che dobbiamo fare, in una piccola regione come la Basilicata, sì piccola, ma molto frazionata e con un larghissimo territorio, in cui è difficile andare per esempio a campionare tutti i depuratori sparsi a decine per le valli oppure le discariche (...) In questa terra ci sono circa 2.800 camini industriali, che noi dovremmo controllare, come è però umanamente impossibile. Possiamo triplicare, quadruplicare o quintuplicare i controlli spot sui camini, ma ci vuole una tecnologia costosissima. È come se oggi si dicesse alla magistratura che nel giro di un mese deve chiudere tutti i procedimenti penali e civili in corso. Per avere delle cognizioni precise, anche se non è un obbligo di legge, noi dovremmo controllare quei camini non una ma almeno quattro, cinque o sei volte all'anno. Fate la proporzione su 2.800 camini, per capire quale esercito si dovrebbe muovere. (...) non c'è una sola inchiesta in Basilicata, fatta da chiunque, non c'è una sola emergenza, sulle discariche e quant'altro, in cui non sia presente l'Arpab. È un lavoro massacrante, vi assicuro».
I dati rappresentati dal direttore dell'Arpa Basilicata sono per la verità del tutto sovrapponibili a quelli forniti dalle Arpa delle altre regioni italiane, nel senso che ovunque si registra una carenza di risorse umane e materiali da parte delle agenzie, a fronte di molteplicità di attività che l'Arpa è chiamata ad effettuare sia in sede di controlli preventivi sia in sede di ausilio all'attività repressiva svolta dalla magistratura. Ovviamente queste difficoltà, pur rilevate ovunque, sono maggiormente sentite in regioni nelle quali la scarsa densità abitativa ostacola quel controllo «sociale» del territorio e della tutela ambientale che in altri contesti è possibile riconoscere.

3.3 Interventi effettuati in seguito alla contaminazione determinata dall'inceneritore La Fenice.

Con riferimento all'inchiesta condotta dalla procura di Potenza in merito alla contaminazione ambientale provocata dall'impianto La Fenice di San Nicola di Melfi, di cui si è parlato nella parte prima della relazione, il prefetto di Potenza, Antonio Nunziante, ha trasmesso alla Commissione una relazione sulla situazione complessiva del ciclo dei rifiuti in ambito provinciale, allegando un documento relativo all'audizione sul funzionamento dell'impianto Fenice - del 24 gennaio 2012 - dell'assessore regionale all'ambiente innanzi all'apposita Commissione regionale di inchiesta.
In tale documento si dà conto dello stato della procedura che è conseguita all'accertamento della contaminazione ambientale provocata


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dall'inceneritore La Fenice (doc. 1080/1 e 1080/2). Se ne riporta il contenuto, nelle parti di maggiore interesse:
«3 marzo 2009: la regione ha notizia del possibile inquinamento delle acque di falda, per la prima ed unica volta, nel 2009 a seguito di comunicazione Arpab, a mezzo nota del 3 marzo 2009, in cui si accerta l'avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), per le sostanze Nichel, Mercurio, Fluoruri, Nitriti, Tricloroetano, Tricloroetilene, Tetracloroetilene, Bromodiclorometano e Dibromoclorometano;
14 marzo 2009: a seguito di specifica richiesta della conferenza di servizi rivolta all'Arpab, ribadita dal sindaco pro tempore del comune di Melfi con nota del 14 marzo 2009, sono acquisiti agli atti del procedimento i risultati delle determinazioni analitiche in precedenza accertati dall'Arpab.
27 marzo 2009: l'Arpab, con nota del 27 marzo 2009, ha comunicato i superamenti preesistenti a tale data e che risalivano fino al dicembre 2007. Gli unici dati trasmessi finora da Arpab, afferenti al primo ed unico procedimento di bonifica, sono quelli dell'avvio del procedimento di cui alla nota del 3 marzo 2009, integrata con nota del 27 marzo 2009 di riscontro alle richieste della conferenza di servizi e del sindaco di Melfi con nota del 14 marzo 2009.

Si rileva agli atti del dipartimento ambiente della regione, la nota del 6 marzo 2007 di trasmissione dei certificati di analisi relativi al monitoraggio ambientale del Melfese nel periodo gennaio - dicembre 2006. Si evidenzia che nessun ulteriore dato risulta comunicato dall'Arpab al dipartimento ambiente, relativamente ai periodi precedenti ed inoltre nella nota di trasmissione non viene evidenziato nessun superamento. Peraltro, i certificati analitici (che risultano privi delle unità di misura, metodiche analitiche utilizzate e limiti di determinazione analitica) non consentono alcuna interpretazione del dato. In ogni caso, si rileva come tutti i test di biotossicità non indicano stati tossici in atto».

Nel documento sono riportati i risultati della caratterizzazione delle acque di falda.
In particolare, si afferma che, subito dopo l'avvio del procedimento ex articolo 244 decreto legislativo n. 152 del 2006, il soggetto obbligato Fenice ha messo in campo le misure di sicurezza d'emergenza (MISE), a seguito delle quali si sono ottenuti effettivi miglioramenti:
«La caratterizzazione ha individuato alcune delle possibili sorgenti di contaminazione e determinato i parametri sito specifici per l'analisi di rischio sanitario-ambientale. Le possibili sorgenti individuate, già isolate dal soggetto obbligato nell'ambito della messa in sicurezza d'emergenza, sono ascrivibili a perdite provenienti dalle reti di gestione dei reflui e dalle vasche di contenimento. I risultati ottenuti comportano l'obbligo di bonifica delle acque sotterranee».


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In merito allo stato attuale degli interventi di messa in sicurezza, si riporta la situazione così come descritta nel documento citato:
«Il report del monitoraggio Arpab, inerente i campioni prelevati in data 8 - 9 marzo 2011 in 6 dei 9 pozzi di monitoraggio, indicano il superamento di 4 specie chimiche, mentre i restanti 3 pozzi non sono stati campionati per assenza di acqua: Nichel (12,1 volte eccedenti i limiti normativi), Manganese (22,56 volte), Tricloroetilene (1,33 volte), dicloropropano (1,2 volte). Il rapporto di monitoraggio Arpab inerente i campioni prelevati in data 11 maggio 2011 nei 9 pozzi di monitoraggio indicano il superamento di 6 specie: Nichel (12,1 volte eccedenti i limiti normativi), Arsenico (1,8 volte), Manganese (25 volte), Tricloroetilene (2,53 volte), Dicloropropano (2,4 volte), Tricloropropano (4 volte).
Questi dati insieme ai monitoraggi dei mesi successivi, rispetto ai risultati della caratterizzazione, confermano la regressione del numero dei contaminanti, la diminuzione delle concentrazioni, la riduzione della contaminazione quale conseguenza della disattivazione delle cause che l'avevano determinata».
«A seguito della comunicazione di avvenuto superamento delle concentrazioni soglia di rischio, l'Ufficio Prevenzione e Controllo ambientale, con nota del 3 aprile 2009, ha chiesto alla Fenice l'immediata messa in sicurezza della falda e la comunicazione degli interventi adottati ed in corso di attuazione. I primi interventi hanno consentito di limitare la propagazione dello stato di contaminazione all'esterno del sito, utilizzando i piezometri, costituenti la rete di monitoraggio delle acque sotterranee, come punti di emungimento delle acque di falda. Allo stesso tempo è stata richiesta la realizzazione di una barriera idraulica indipendente dalla rete piezometrica di monitoraggio del Vulture-Melfese posta a monte della stessa: l'attività di emungimento è passata dalle 9 postazioni piezometriche iniziali ai 28 pozzi costituenti la barriera idraulica. Allo stato attuale il sistema di emungimento è così composto:
9 pozzi di monitoraggio rete di monitoraggio Vulture-Melfese; 28 pozzi barriera idraulica a monte idrogeologico; barriera idraulica utilizzata sia per l'emungimento che per il monitoraggio; 9 pozzi hot spot finalizzati all'emungimento delle acque sotterranee nelle aree a maggiore contaminazione.

Le sorgenti di contaminazione, sono state individuate in vasche/serbatoi, condotte di acque di processo e di reti fognarie: da ultima comunicazione Arpab (18 luglio 2011) risulta che su alcuni tratti della rete fognaria, ubicati a valle della barriera idraulica, si sono eseguiti interventi di ripristino di alcune vasche di contenimento ed interventi di relining di alcuni tratti delle reti interrate. Le reti tecnologiche, oggetto di intervento, sono state collaudate mediante prove di tenuta ad alta pressione.»
Infine, nel documento si dà atto che il 10 febbraio 2011 si è conclusa la fase istruttoria dell'analisi del rischio sanitario-ambientale:
«i risultati presentati da Fenice indicano livelli di rischio, per tutte le sostanze, per tutti i processi di trasporto e per tutti i possibili


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bersagli, inferiori ai livelli di accettabilità (risultano rispettati sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno per singola sostanza sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno cumulato, fissati dal D.Lsg. 152/06). Tuttavia, trattandosi di rischi potenzialmente subiti in modo involontario, ovvero secondo processi di esposizione indipendenti dalla volontà dei soggetti potenzialmente esposti, questi vengono percepiti e devono essere considerati come rischi inaccettabili. Per questi motivi la regione, superando gli obblighi imposti dalla legge, ha proposto nella Conferenze di servizi del 31 marzo 2011 come obiettivo di bonifica il ripristino dello stato ambientale originario del sito, con la totale eliminazione delle sostanze inquinanti. Le integrazioni richieste sono finalizzate ad escludere anche rischi sanitari ed ambientali meno probabili, rispetto a condizioni simulate ancora più conservative di quelle sviluppate dal soggetto obbligato e più gravose rispetto alle condizioni attuali. Si rileva, inoltre, che il dipartimento ambiente con nota del 26 settembre 2011 ha chiesto a Fenice di adeguare il sistema di monitoraggio della messa in sicurezza del sito. Gli adempimenti dovuti da Fenice consentiranno a breve l'acquisizione dei dati in tempo reale da parte di Arpab. Allo stato degli atti, inoltre, non risulta dimostrata la contaminazione della catena alimentare, da taluni paventata, per effetto dell'utilizzo di acque contaminate. Peraltro, grazie a specifica ordinanza sindacale emessa a scopo preventivo nel rispetto del principio di precauzione, vige il divieto di utilizzo delle acque sotterranee».

3.4 Gli approfondimenti sanitari.

La Commissione ha dedicato una particolare attenzione alle problematiche di carattere sanitario nei SIN.
Su tale aspetto sono stati auditi rappresentanti dell'ISS e del CNR.
Nel corso dell'audizione del 20 ottobre 2011, la dottoressa Loredana Musmeci ha riferito sui risultati dello studio denominato Sentieri.
Il progetto Sentieri (studio epidemiologico nazionale territori e insediamenti esposti a rischio da inquinamento), coordinato dall'Istituto superiore di sanità tra il 2007 e il 2010 nell'ambito del programma strategico ambiente e salute, promosso dal Ministero della salute, è stato realizzato in collaborazione con il centro europeo ambiente e salute dell'Organizzazione mondiale della sanità, il dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa e l'Università di Roma La Sapienza.
Lo studio Sentieri ha valutato la mortalità della popolazione residente in 44 siti di interesse nazionale (SIN) per le bonifiche in un periodo di otto anni.
Sono stati selezionati 295 comuni, 5.534.492 abitanti, circa il 10 per cento del totale della popolazione italiana al censimento 2001; 21 siti sono situati al Nord, 8 al centro e 15 al Sud e sono classificati in base alla presenza di una o più delle seguenti esposizioni: produzione/uso di sostanza/e chimica/he (C), impianto petrolchimico o raffineria (P/R), centrale termoelettrica (CE), industria siderurgia (S),


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amianto/altre fibre minerali (A), aree portuali (AP), miniere/cave (MC), discariche (D) e inceneritore (I).
Sono state prese in considerazione 63 cause di morte, tumorali e non - tra queste ultime, malattie respiratorie, circolatorie, neurologiche e renali - potenzialmente associate alla residenza in prossimità di poli chimici, petrolchimici, raffinerie, stabilimenti siderurgici, centrali elettriche, miniere e cave, aree portuali, siti di smaltimento dei rifiuti ed inceneritori. Sentieri ha indagato circa 400.000 decessi relativi a una popolazione complessiva di circa 5.500.000 abitanti.
Vi è grande variabilità fra i siti in esame per dimensioni della popolazione, caratteristiche della contaminazione ambientale, presenza di specifici poli produttivi e altre fonti di pressione ambientale, stato di avanzamento degli interventi di bonifica e risanamento industriale.
Anche il quadro di mortalità è diversificato. La mortalità osservata per tutte le cause e per tutti i tumori supera quella media della regione di appartenenza, rispettivamente in 24 e in 28 siti.
In alcuni casi i nessi causali sono chiari perché esistono conoscenze scientifiche adeguate per spiegare le osservazioni. Questo vale per l'aumento della mortalità per mesotelioma pleurico nei siti caratterizzati dalla presenza di amianto o di altre fibre asbestiformi (ad esempio Casale Monferrato, Broni, Biancavilla).
In altri casi si osservano incrementi della mortalità per cause per le quali il nesso eziologico con l'inquinamento ambientale è sospettato ma non accertato, ad esempio il tumore polmonare nella popolazione residente in siti contaminati da poli siderurgici (ad es. Taranto) e petrolchimici (ad es. Porto Torres) o siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi (ad es. litorale domizio flegreo e agro aversano).
In questi contesti, parallelamente all'avanzamento delle attività di bonifica, è opportuno migliorare le stime del rischio da esposizioni ambientali anche misurando il contributo delle esposizioni professionali.
In altri siti ancora (ad es. Sesto San Giovanni, Cengio e Saliceto in Val Bormida e Manfredonia) la mortalità osservata è inferiore all'attesa, il che può dipendere da una serie di fattori, quali un quadro di partenza favorevole, una contaminazione ambientale che non si è tradotta in esposizione della popolazione ad agenti tossici tale da determinare un danno alla salute, un buon avanzamento delle opere di bonifica e di riconversione industriale, con attività a minore impatto ambientale, o di definitiva dismissione dell'attività industriale stessa.
Lo studio dello stato di salute delle popolazioni residenti nei siti inquinati continuerà, con il sostegno del centro per il controllo delle malattie del Ministero della salute, indagando negli stessi siti l'andamento dei ricoveri ospedalieri, per considerare anche le malattie non mortali, e - unitamente all'Associazione italiana dei registri tumori (AIRTUM) - l'andamento dell'incidenza delle malattie oncologiche.
In conclusione, Sentieri mostra che lo stato di salute delle popolazione residenti in alcuni siti esaminati appare risentire di effetti avversi più marcati rispetto alle regioni di appartenenza, e in questi contesti, il profilo sanitario che emerge presenta criticità che contribuiscono

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a identificare le azioni più urgenti di bonifica e risanamento industriale.
A seguito della presentazione dei dati dello studio Sentieri, diversi organi di stampa hanno pubblicato la notizia dell'aumento di circa diecimila morti rispetto alla media regionale nelle 44 aree italiane «fortemente inquinate», censite dal progetto «Sentieri».
Il dottor Marco Martuzzi del centro europeo per la salute e l'ambiente dell'Oms (organizzazione mondiale della sanità), che ha collaborato al progetto, ha fornito alcune precisazioni in merito ai risultati dello studio: sebbene molti decessi siano effettivamente riconducibili alla contaminazione ambientale, tuttavia esistono ulteriori fattori di rischio di talché non è possibile stabilire esattamente il numero dei decessi dovuti al fattore inquinamento.
Sulla base di quanto riportato nelle conclusioni dello studio Sentieri, si segnala per il SIN di Tito un eccesso di mortalità per tumori del colon-retto nelle donne, mentre nella sola popolazione maschile è in eccesso la mortalità per patologie dell'apparato respiratorio. È stata, inoltre, osservata una mortalità perinatale in eccesso sulla base di cinque casi analizzati.
Per le aree industriali della Val Basento, lo stesso studio Sentieri indica, nell'ambito delle principali cause di morte, un eccesso della mortalità per tumore polmonare nelle donne e raccomanda un approfondimento dello stato di contaminazione ambientale e di salute della popolazione.

Sintesi delle problematiche riscontrate.

Le questioni emerse nel corso dell'inchiesta permettono di formulare una serie di considerazioni in merito alle principali problematiche esistenti nella regione Basilicata:
i procedimenti di bonifica dei Sin di Tito e Val Basento sono, sostanzialmente, fermi per ragioni riconducibili alla mancanza di finanziamenti statali ed all'insufficienza di quelli regionali;
esistono numerose aree altamente inquinate che necessitano di interventi di bonifica; i fenomeni di inquinamento sono particolarmente diffusi, soprattutto se si tiene conto delle dimensioni territoriali della regione;
i controlli appaiono carenti e/o inadeguati a coprire efficacemente l'intero territorio, che risulta dunque esposto a rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, particolarmente presente nelle regioni limitrofe;
le indagini giudiziarie danno conto, allo stato, di un inquinamento provocato per lunghi anni dall'inceneritore La Fenice, inquinamento protrattosi nel tempo con effetti disastrosi per l'ambiente e reso possibile da condotte illecite poste in essere da parte degli stessi organi deputati al controllo ambientale;
sono state caratterizzate le acque di falda che necessitano di attività di bonifica e, allo stato, sempre con riferimento all'inquinamento


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provocato dall'inceneritore, risultano essere state effettuate attività di messa in sicurezza d'emergenza;
si è conclusa la fase istruttoria dell'analisi del rischio sanitario-ambientale I risultati presentati da Fenice indicano livelli di rischio, per tutte le sostanze, per tutti i processi di trasporto e per tutti i possibili bersagli, inferiori ai livelli di accettabilità (risultano rispettati sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno per singola sostanza sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno cumulato, fissati dal decreto legislativo n. 152 del 2006). Tuttavia, trattandosi di rischi potenzialmente subiti in modo involontario, ovvero secondo processi di esposizione indipendenti dalla volontà dei soggetti potenzialmente esposti, questi vengono percepiti e devono essere considerati come rischi inaccettabili. Per questi motivi la regione, superando gli obblighi imposti dalla legge, ha proposto nella conferenze di servizi del 31 marzo 2011 come obiettivo di bonifica il ripristino dello stato ambientale originario del sito, con la totale eliminazione delle sostanze inquinanti. Le integrazioni richieste sono finalizzate ad escludere anche rischi sanitari ed ambientali meno probabili, rispetto a condizioni simulate ancora più conservative di quelle sviluppate dal soggetto obbligato e più gravose rispetto alle condizioni attuali.

4. Conclusioni.

La Basilicata, nel quadro generale della gestione dei rifiuti in Italia, presenta delle caratteristiche del tutto peculiari.
Rappresenta l'esempio lampante di quanto possa essere inefficiente la gestione dei rifiuti anche in una regione ove vi è una produzione contenuta degli stessi per ragioni riconducibili sia al numero di abitanti sia alla crisi economica che porta, evidentemente, ad un contenimento dei consumi e, quindi, della produzione dei rifiuti.
Il problema, dunque, in questo caso, non è tanto quello relativo ai quantitativi di rifiuti prodotti, che sono infatti in diminuzione, quanto piuttosto quello della razionale predisposizione di un sistema di gestione idoneo a consentire lo smaltimento e/o il riciclo dei rifiuti in ossequio alle prescrizioni imposte a livello europeo e nazionale.
Ancora una volta si assiste ad un'attività amministrativa imperniata principalmente sulla ricerca di nuove volumetrie per le discariche ove conferire i rifiuti, e ciò pur nella piena consapevolezza che il conferimento in discarica, lungi dall'essere un sistema di smaltimento, è il criterio assolutamente residuale nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Il dato sorprendente, ma che poi non sorprende più di tanto alla luce delle altre inchieste fino ad oggi effettuate dalla Commissione, è la sovrapponibilità tra la situazione così come fotografata nella relazione sulla Basilicata approvata nel 2000 dalla Commissione sul ciclo dei rifiuti della XIII legislatura e i risultati dell'inchiesta che questa Commissione ha svolto a dodici anni di distanza.
Ed, infatti, all'esito delle numerose audizioni, acquisizioni documentali, sopralluoghi effettuati, le problematiche riscontrate appaiono pressocché le stesse, se non aggravate.


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Nell'arco di dodici anni, infatti, nessuna soluzione concreta appare essere stata adottata rispetto alle problematiche emerse e conclamate.
Il dato aggiuntivo è stato rappresentato dalla inquietante vicenda che ha coinvolto l'inceneritore La Fenice, i suoi dirigenti nonché i funzionari dell'Arpab deputati al controllo dell'impianto.
Si tratta di una vicenda che, oltre ad essere grave in sé, in relazione all'inquinamento provocato e all'esigenza di tempestivi interventi di bonifica nella zona coinvolta dall'inquinamento, è emblematica dell'inefficienza spesso colposa, talvolta dolosa, che si registra in un più ampio sistema di controlli preventivi che, in Basilicata, come in altre regioni, ha dimostrato di non funzionare.
A prescindere dal caso giudiziario specifico, del quale si è dato conto nel corpo della relazione e che ancora è «sub iudice», la Basilicata è un territorio che si caratterizza per una strutturale e congenita refrattarietà al controllo.
I magistrati che sono stati auditi, anche quelli che provengono da uffici giudiziari di altre regioni, hanno sottolineato proprio la difficoltà materiale di controllare un territorio caratterizzato dalla presenza di ampie zone disabitate e di luoghi difficilmente accessibili.
Se dunque, a questa refrattarietà naturale del territorio si aggiunge anche la negligenza o l'incompetenza o, ancora, la complicità di chi è deputato al controllo, ci si trova effettivamente di fronte ad un territorio trasformato in terra di nessuno, come tale depredabile da chiunque abbia una necessità di smaltire rifiuti di varia natura (e, come, si è avuto modo constatare la necessità di trovare luoghi ove smaltire rifiuti è diffusa su tutto il territorio nazionale).
Fatta questa premessa, si impone un'ulteriore considerazione.
La circostanza che la regione sia scarsamente abitata non deve portare a ritenere che le esigenze di salvaguardia ambientale siano inferiori rispetto a quelle di altre regioni, perché - se è vero che la salute delle popolazioni è un valore prioritario e fondamentale, costituzionalmente garantito - è anche vero che l'ambiente è un valore in sé, tanto che l'articolo 9 della Costituzione dispone al comma 2 che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
Quello che si vuole esprimere è che non bisogna abbassare la guardia nella tutela dell'ambiente sol perché i territori interessati non sono abitati o perché non vi sono popolazioni che manifestano con azioni di protesta rispetto all'apertura di discariche, siano esse legali o illegali. Non si possono, infatti, sottovalutare gli effetti che l'inquinamento anche di zone scarsamente abitate può determinare attraverso un meccanismo inarrestabile per cui l'inquinamento dall'ambiente passa alla catena alimentare e, attraverso un effetto di moltiplicazione, va ad incidere sulla salute dell'uomo.
Le inchieste che la Commissione ha svolto, non solo sul territorio nazionale, ma anche all'estero, hanno dimostrato come i traffici dei rifiuti siano molto intensi e rappresentino un elemento di grave allarme sociale a livello globale.
Anche il legislatore nazionale ha compreso la portata del problema non solo attribuendo alla procura distrettuale antimafia la competenza per il reato di traffico illecito organizzato di rifiuti,

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disciplinato dall'articolo 260 decreto legislativo n. 152 del 2006, ma anche introducendo la predetta fattispecie criminosa tra i «reati presupposto» per l'avvio dell'azione di responsabilità amministrativa nei confronti degli enti e delle persone giuridiche (di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001), in tal modo allineandosi alla normativa comunitaria. In particolare, sono state così recepite le direttive n. 99 del 2008 sulla tutela penale dell'ambiente e n. 2009/123/CE (che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni).
Le innovazioni normative sono il frutto della presa di coscienza dell'inadeguatezza degli strumenti investigativi fino ad ora messi a disposizione degli inquirenti per l'accertamento dei reati ambientali.
E dunque, la maggiore forza investigativa delle procure distrettuali antimafia, in una con il potere di coordinamento della direzione nazionale antimafia, rappresenta il punto di partenza di una fase di maggiore approfondimento di tematiche e di reati particolarmente difficili da accertare.
La Basilicata è il crocevia di tre regioni che sono caratterizzate dalla presenza endemica della criminalità organizzata di stampo mafioso; tre regioni rispetto alle quali la Commissione ha effettuato approfondite inchieste rilevando un controllo pressocché capillare del settore dei rifiuti da parte della criminalità organizzata.
È proprio la criminalità organizzata di stampo mafioso che ha il potere di controllare il territorio e, quindi, di deciderne la destinazione a fini di discarica.
Le numerosissime indagini condotte dalla magistratura che la Commissione ha esaminato hanno sfatato alcuni falsi convincimenti che per lungo tempo hanno condizionato anche le strategie investigative.
I rifiuti oggetto di traffico illecito, invero, non sono solo quelli che dal sud Italia giungono al nord, ma anche quelli che dal nord vengono illecitamente smaltiti nelle regioni del sud.
E, in molti casi, le indagini sono state avviate proprio da uffici di procura siti in regioni diverse da quelle destinatarie dei rifiuti oggetto degli illeciti traffici. Ciò è avvenuto con riferimento a discariche pugliesi ove sono stati illecitamente smaltiti rifiuti campani prodotti nella fase emergenziale e fatti prima transitare presso impianti del nord ove venivano solo fittiziamente sottoposti a trattamento.
È stata la procura presso il tribunale di Milano ad avviare e portare a termine un'indagine che si è conclusa in via definitiva in senso sostanzialmente conforme all'ipotesi accusatoria. Non solo. Anche le regioni italiane caratterizzate dalla presenza dei porti rappresentano sistematicamente luogo di transito di rifiuti, oggetto di traffici illeciti transazionali, indirizzati verso le più disparate località.
La circostanza che in Basilicata non vi siano o, comunque, non siano state accertate organizzazioni criminali di stampo mafioso non significa che in questa regione non esistano soggetti pronti ad interloquire con le organizzazioni criminali di stampo mafioso e non, che sul territorio nazionale sono in grado di gestire un ciclo di smaltimento dei rifiuti parallelo rispetto a quello statale, svincolato da qualsiasi regola, condotto illecitamente e in grado di far risparmiare ai produttori dei rifiuti i costi di smaltimento.

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Per questi motivi la Commissione non può che rappresentare la situazione di estrema pericolosità in cui versa la regione, pericolosità che rischia di restare oggetto solo di dibattiti e di esercitazioni teoriche e che, invece, deve smuovere e allertare gli enti territoriali, le forze di polizia e gli organi investigativi affinché presidino il territorio e non sottovalutino episodi di inquinamento ambientale che in Basilicata possono avere un significato più drammatico di quello apparente.
Fatte queste doverose precisazioni, in sede di conclusioni appare opportuno riportare le considerazioni che la Commissione ha effettuato con riferimento ai tre temi principali oggetto della relazione, ossia sulla situazione delle province di Potenza e di Matera, sulla situazione globale della regione e sulle procedure di bonifica dei siti contaminati.

La provincia di Potenza.

La provincia di Potenza si caratterizza, quanto alla gestione del ciclo dei rifiuti, per la mancata attuazione, ad oggi, del nuovo piano provinciale dei rifiuti, in linea con il testo unico ambientale e con le direttive europee, atteso che l'ultimo piano approvato risale a ben dieci anni fa (2002).
Come si evince dai dati sopra riportati, lo smaltimento dei rifiuti si esaurisce nel conferimento in discarica o presso l'inceneritore Fenice di Melfi, mentre i livelli di raccolta differenziata si attestano su percentuali molto basse, circa il 16 per cento.
Il punto critico del ciclo dei rifiuti è costituito dalla carenza di un'adeguata impiantistica che consenta di produrre compost di qualità, in tal modo riutilizzando l'umido proveniente dalla raccolta differenziata, nonché dalla difficoltà di avviare efficacemente la raccolta differenziata su un territorio poco densamente abitato.
Si deve dare atto dell'avanzamento della procedura finalizzata alla realizzazione di un impianto di compostaggio, ritenuto indispensabile per una corretta gestione del ciclo dei rifiuti.
Per ciò che concerne la città di Potenza, è stato sottolineata la necessità di aprire una nuova discarica a servizio della città in località «Pallareta», con una volumetria di circa 95.000 metri cubi, ritenuta più che sufficiente per la gestione dei rifiuti nel bacino di riferimento. Ma è più che evidente come la ricerca di nuove volumetrie per discariche non può non essere accompagnata dalla previsione di una più generale programmazione, altrimenti non si farà altro che cercare nuovi siti ove allocare i rifiuti, in totale dispregio di quelle che sono le prescrizioni che provengono, prima ancora che dalla legislazione italiana, dalle norme europee.
Con specifico riferimento al tema degli illeciti ambientali consumati nella provincia, il procedimento che certamente ha più attirato l'attenzione della Commissione è quello riguardante l'inquinamento prodotto dall'inceneritore Fenice.
Il dato che colpisce in questa vicenda attiene all'ampio periodo di tempo (dal 2001 al 2010) entro il quale si sarebbero consumate le condotte oggetto di contestazione.


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Il che significherebbe, in sostanza che, per tutti quegli anni, i controlli da parte degli organi a ciò deputati o non sono stati effettuati o non ne sono stati comunicati i risultati a chi di dovere.
Più volte, nel corso delle audizioni, è stato rappresentato alla Commissione come i controlli in materia ambientale in Basilicata siano più difficili che in altre regioni in quanto la popolazione è distribuita in modo disomogeneo su un territorio certamente troppo esteso rispetto al numero di abitanti.
Ebbene, nel caso di specie, nessun alibi può essere invocato, in quanto in Basilicata vi è solo un inceneritore attivo e, dunque, dovrebbe essere scontata la capacità degli enti di controllo ad effettuare monitoraggi, sopralluoghi, verifiche in modo efficace e puntuale.
Quanto agli altri dati acquisiti in merito agli illeciti ambientali, si tratta di vicende che si pongono in linea con quanto già rappresentato nella relazione sulla Basilicata effettuata dalla Commissione di inchiesta nell'anno 2000.
Quello che si vuole evidenziare è che, da un lato, permane il problema della realizzazione di numerose discariche abusive, senza che ben si comprenda da dove provengano i rifiuti, dall'altro, si continua ad affermare che il pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata, in Basilicata, per ciò che concerne il settore dei rifiuti, pur essendo sempre attuale, non si è tradotto in un «ingresso» di quelle stesse organizzazioni sul territorio lucano per l'utilizzo illecito dello stesso.

La provincia di Matera.

Il primo dato che occorre sottolineare in relazione alla provincia di Matera è la recente approvazione del piano provinciale dei rifiuti, i cui principali obiettivi appaiono in linea con la normativa vigente sia per ciò che attiene alla riduzione della produzione dei rifiuti, sia per ciò che concerne il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero energetico degli stessi.
Allo stato si deve rilevare come risulti ancora urgente il reperimento di ulteriori volumetrie per le discariche. Il che si pone in evidente contrasto con quanto rappresentato nel piano provinciale dei rifiuti. Vero è che il piano è stato approvato di recente e, dunque, sono necessari dei tempi tecnici per la sua attuazione; deve, però, osservarsi che le nuove volumetrie da ricavare per il conferimento dei rifiuti in discarica dovrebbero essere contenute e dimensionate alle effettive esigenze della provincia, tenuto conto della concreta progettualità avviata con l'approvazione del piano.
Certamente, la provincia di Matera subisce il carico dei rifiuti proveniente in parte dalla città di Potenza, non autosufficiente.
In sostanza, laddove solo una provincia adotti ed attui un piano dei rifiuti (questo discorso evidentemente vale per qualsiasi regione) inevitabilmente le carenze organizzative e gestionali delle province limitrofe si ripercuotono sui territori più «virtuosi» che devono dare la loro disponibilità per fronteggiare le situazioni di difficoltà.


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La raccolta differenziata, anche nella provincia di Matera, si attesta su livelli bassissimi, sebbene vi siano dei comuni nei quali la stessa ha superato la percentuale del 50 per cento.
Per ciò che concerne la città di Matera, la raccolta differenziata si attesterebbe intorno al 30-35 per cento. Il sindaco di Matera ha giustificato questi dati in quanto il servizio di gestione della raccolta differenziata è stato, in un primo momento, aggiudicato ad un'impresa e, a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione della gara da parte del Consiglio di Stato, ad altre imprese concorrenti. Questa circostanza avrebbe contribuito, secondo quanto riferito dal sindaco, a rallentare un procedimento già di per sé complesso.
Riguardo agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti valgono le medesime considerazioni espresse con riferimento alla provincia di Potenza, nel senso che numerosi reati «bagattellari» in materia ambientale si accompagnano ad una perenne condizione di esposizione del territorio provinciale all'infiltrazione della criminalità organizzata.
È stata, a questo proposito, registrata una inadeguata condivisione delle informazioni investigative in materia ambientale tra la procura distrettuale di Potenza e le procure ordinarie e, più in generale, un gap informativo con le diverse procure distrettuali dislocate nelle regioni confinanti.
Proprio in ragione delle caratteristiche territoriali della Basilicata, sembrerebbe quanto mai importante un continuo flusso di informazioni tra le forze di polizia che operano sul territorio e gli uffici di procura, al fine di consentire il controllo sistematico di quegli ampi spazi territoriali disabitati da parte di tutti gli organi competenti.
Con riferimento, poi, alle indagini per il reato di traffico illecito di rifiuti, va osservato che, sebbene la competenza sia stata assegnata alla procura distrettuale antimafia, tuttavia le procure ordinarie, a parere della Commissione, in ragione del loro più diretto contatto con il territorio, continuano ad avere un ruolo di fondamentale importanza che è quello di individuare quegli illeciti ambientali che potrebbero rappresentare indizi rispetto a traffici di più ampio respiro e, conseguentemente, di trasmettere le relative informazioni alla procura distrettuale competente. In questo modo si potrebbe trovare un punto di convergenza e perseguire l'utilizzo ottimale delle risorse, sfruttando al massimo le capacità investigative e di conoscenza del territorio delle procure ordinarie, per fornire alla procura distrettuale un quadro di insieme di fatti che, isolatamente considerati, possono non apparire significativi, ma che nella loro globalità, ad uno sguardo più ampio, possono disvelare l'esistenza di ben più ampi traffici illeciti.
Il traffico illecito di rifiuti, infatti, si manifesta, per così dire, in forma sintomatica, attraverso la realizzazione di discariche abusive o l'illecita gestione di discariche autorizzate o ancora attraverso attività di trasporto illecito dei rifiuti. Spetta alla magistratura comprendere la portata di questi sintomi.

La regione Basilicata.

In Basilicata la discarica è ancora utilizzata come forma prioritaria di gestione dei rifiuti. La percentuale di rifiuti inviati in


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discarica, come si ricava dal «rapporto rifiuti urbani 2012» dell'Ispra (riferito però all'anno 2010), è dell'83 per cento.
Questo dato, di per sé, sarebbe sufficiente per dimostrare l'arretratezza della regione nella gestione del ciclo dei rifiuti.
Da parte degli organi di governo regionali vi è la consapevolezza della necessità di realizzare un'impiantistica adeguata attraverso la realizzazione di almeno tre impianti di compostaggio in grado di trattare la gran parte dell'umido prodotto dalla regione.
Questo obiettivo si unisce a quello di un rafforzamento della raccolta differenziata, in modo da potere perseguire una duplice finalità:
separare il secco dall'umido per la produzione di compost;
diminuire il quantitativo dei rifiuti da destinare in discarica.

Deve tenersi conto del fatto che in Basilicata vi è un unico impianto di incenerimento, che però non incide sulla gestione del ciclo dei rifiuti, tenuto conto del dato fornito da Ispra, secondo cui solo lo 0,5 per cento dei rifiuti viene destinato all'incenerimento.
Il presidente della regione si è a lungo soffermato sulla questione dei giacimenti petroliferi che - allo stato - non rappresentano una fonte di ricchezza per la popolazione della regione, in quanto le royalty previste ammontano solo al sette per cento.
Per quanto riguarda il profilo degli illeciti ambientali in questo settore, sebbene la Commissione abbia ripetutamente formulato domande agli auditi in merito a questo tema, non sono riferiti casi di inquinamento e/o di sfruttamento illecito, salvo taluni episodi segnalati che non paiono comunque espressione di un fenomeno sistematico e continuativo.

I siti contaminati.

Le questioni emerse nel corso dell'inchiesta permettono di formulare una serie di considerazioni in merito alle principali problematiche esistenti nella regione Basilicata:
i procedimenti di bonifica dei Sin di Tito e Val Basento sono, sostanzialmente, fermi per ragioni riconducibili alla mancanza di finanziamenti statali ed all'insufficienza di quelli regionali;
esistono numerose aree altamente inquinate che necessitano di interventi di bonifica; i fenomeni di inquinamento sono particolarmente diffusi, soprattutto se si tiene conto delle dimensioni territoriali della regione;
i controlli appaiono carenti e/o inadeguati a coprire efficacemente l'intero territorio, che risulta dunque esposto a rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, particolarmente presente nelle regioni limitrofe;
le indagini giudiziarie danno conto, allo stato, di un inquinamento provocato per lunghi anni dall'inceneritore La Fenice, inquinamento protrattosi nel tempo con effetti disastrosi per l'ambiente e


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reso possibile da condotte illecite poste in essere da parte degli stessi organi deputati al controllo ambientale;
sono state caratterizzate le acque di falda che necessitano di attività di bonifica e, allo stato, sempre con riferimento all'inquinamento provocato dall'inceneritore, risultano essere state effettuate attività di messa in sicurezza d'emergenza;
si è conclusa la fase istruttoria dell'analisi del rischio sanitario-ambientale I risultati presentati da Fenice indicano livelli di rischio, per tutte le sostanze, per tutti i processi di trasporto e per tutti i possibili bersagli, inferiori ai livelli di accettabilità (risultano rispettati sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno per singola sostanza sia il criterio di accettabilità rischio cancerogeno cumulato, fissati dal decreto legislativo n. 152 del 2006). Tuttavia, trattandosi di rischi potenzialmente subiti in modo involontario, ovvero secondo processi di esposizione indipendenti dalla volontà dei soggetti potenzialmente esposti, questi vengono percepiti e devono essere considerati come rischi inaccettabili. Per questi motivi la regione, superando gli obblighi imposti dalla legge, ha proposto nella Conferenze di servizi del 31 marzo 2011 come obiettivo di bonifica il ripristino dello stato ambientale originario del sito, con la totale eliminazione delle sostanze inquinanti. Le integrazioni richieste sono finalizzate ad escludere anche rischi sanitari ed ambientali meno probabili, rispetto a condizioni simulate ancora più conservative di quelle sviluppate dal soggetto obbligato e più gravose rispetto alle condizioni attuali.

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