Doc. XXII, n. 30




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - La cronaca quotidiana ci informa con crescenti reiterazione e drammaticità di violenze consumate contro amministratori locali.
Sono innumerevoli gli amministratori costretti a mettere a rischio la loro incolumità personale per rappresentare degnamente le loro comunità. Non c'è settimana, in particolare in alcune aree meridionali del Paese, che sindaci, assessori e consiglieri non facciano i conti con automobili incendiate, familiari intimiditi, spari contro le loro case, devastazioni di proprietà pubbliche e private in un disastro che non sta solo negli eventi ma sta soprattutto nella diffusione di un fenomeno che si ripete ogni giorno e che, ripetendosi, non fa più notizia; in un dramma che sembra aver assunto caratteri di normalità a fronte di centinaia di attentati ad amministratori locali che, nonostante tutto, continuano a rimanere al proprio posto.
Oggi questo velo è stato rotto e nessuno può far finta di non sapere che quando un così alto numero di amministrazioni locali è sotto la pressione della criminalità vuol dire che la democrazia è sospesa.
Il velo è stato rotto grazie ad associazioni autonomistiche, come LegAutonomie, Associazione nazionale dei comuni italiani e Avviso pubblico, che hanno assunto, sotto la spinta di statistiche impietose, la responsabilità di una denuncia che va raccolta e che merita una decisa reazione.
Stiamo parlando di oltre 1.000 episodi negli ultimi dieci anni solo in Calabria, di 733 atti tra il 2009 e il 2010 in Italia, di un fenomeno che pure è stato più volte oggetto di attenzione nelle relazioni semestrali della Direzione investigativa antimafia e che non appare affatto in regressione ma che, al contrario, ogni anno fa registrare nuove punte di violenza.
Cominciano a farsi largo anche casi di «abbandono» di sindaci piegati dalle numerose e violente intimidazioni contro di essi e contro i loro familiari e questo è inammissibile, perché veramente significa una sconfitta della democrazia.
Ogni qualvolta, a seguito di tali episodi, si convoca un consiglio comunale aperto o una manifestazione di solidarietà, la parola più usata da questi amministratori è «solitudine».
Preoccupa il quadro d'insieme in cui il fenomeno si inserisce, perché se in una parte rilevante del territorio nazionale, quella che per altro avrebbe più bisogno di un nuovo impulso e di un nuovo slancio, ciò è impedito da un potere criminale che non gioca solo una partita per l'arricchimento illecito, ma che vuole dimostrare di essere il vero controllore del territorio e delle sue istituzioni locali, evidenziare la debolezza dei governi e il consenso che riesce a costruire attorno a sé, sono a rischio e devono essere garantiti i princìpi basilari della democrazia.
Dobbiamo pretendere che i nostri amministratori locali siano messi in condizione di operare in tranquillità. Come in un cantiere, dobbiamo anzitutto mettere in sicurezza gli amministratori e ciò rende necessario che la Camera dei deputati affronti, con un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta, un lavoro di indagine e di ricostruzione della situazione, anche al fine di comprendere se è adeguato il quadro normativo di riferimento e, più in generale, quali interventi, centrali e periferici, devono essere intensificati per debellare tale fenomeno e per spezzare quella «solitudine» così spesso evocata, nonché per ridare la giusta serenità a quanti già si misurano con la difficile condizione di amministrare la cosa pubblica.
L'oggetto dell'inchiesta è pertanto individuato negli atti intimidatori compiuti contro gli amministratori locali. L'obiettivo è quello di accertare la natura, le dimensioni e le cause, soprattutto con riferimento alle infiltrazioni criminali e alla corretta gestione della cosa pubblica. Se il rischio di una massiccia reiterazione di tali eventi è quello di rompere tutti i legami di appartenenza a una comunità, una risposta partecipata che cerca consenso, la fissazione di regole minime sul governo del fenomeno e anche una maggiore attenzione al governo della giustizia e dell'ordine pubblico, potrebbe trasformarsi in un «cattivo affare» per quanti pensano di sottomettere il governo della cosa pubblica con la violenza.
Unitamente alla verifica della congruità della normativa vigente e della sua applicazione, sarà compito della Commissione parlamentare di inchiesta comprendere che tipo di prevenzione si è svolta finora, per formulare proposte di carattere amministrativo e, se necessario, legislativo tese a realizzare la più adeguata prevenzione e il più efficace contrasto verso questo fenomeno. Al termine dei lavori, la Commissione è chiamata a redigere una relazione finale da presentare all'Assemblea.
Composizione e modalità di funzionamento e di organizzazione dei lavori della Commissione sono quelle previste per le Commissioni parlamentari di inchiesta che hanno operato finora.


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