Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 150 del 2/5/2007
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Discussione della proposta di legge: S. 1003 - Senatori Rossa ed altri: Istituzione del «Giorno della memoria» dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice (Approvata dalla I Commissione permanente del Senato) (A.C. 2489 ); e delle abbinate proposte di legge: Ascierto; Angela Napoli; Zanella ed altri; Zanotti ed altri (A.C. 1071-1361-1995-2007) (ore 11,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, di iniziativa dei senatori Rossa ed altri, già approvata dalla I Commissione permanente del Senato: Istituzione del «Giorno della memoria» dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice; e delle abbinate proposte di legge d'iniziativa dei deputati Ascierto; Angela Napoli; Zanella ed altri; Zanotti ed altri.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2489 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Angelo Piazza.

ANGELO PIAZZA, Relatore. Signor Presidente, il Senato della Repubblica ha approvato e trasmesso alla Camera dei deputati il testo di una norma recante l'istituzione del «Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice»...

PRESIDENTE. Invito gli onorevoli Marinello e Boco a non disturbare l'oratore.

ANGELO PIAZZA, Relatore. Nel testo si propone di indicare la data del 9 maggio - con riferimento alla data della morte dell'onorevole Aldo Moro - quale giorno per la commemorazione delle vittime del terrorismo e delle stragi, autorizzando, per quella data, lo svolgimento di una serie di attività di ricordo, manifestazioni, iniziative nelle scuole e quant'altro ritenuto utile alla costruzione di una memoria storica delle stragi e degli atti di terrorismo, e delle relative vittime, senza oneri aggiuntivi per lo Stato.
Al disegno di legge approvato dal Senato e trasmesso alla Camera dei deputati sono abbinate altre proposte di legge d'iniziativa dei colleghi deputati, nei quali parimenti si ritiene di dover istituire una giornata del ricordo delle vittime del terrorismo; in alcuni casi viene indicata una data differente da quella del 9 maggio e in alcune circostanze l'oggetto del ricordo viene esteso alle vittime della criminalità organizzata. Vi è nelle varie proposte, comunque, la condivisione sull'obiettivo: istituire una giornata del ricordo di cui sia ampiamente condiviso l'alto valore etico, politico e sociale della sua commemorazione.
È vero che non è mancata una certa proliferazione di anniversari e di giorni della memoria, tuttavia quella oggetto delle proposte che stiamo discutendo merita una condivisione ampia perché il terrorismo ha indubbiamente segnato nel paese pagine tragiche, ha messo a rischio la tenuta democratica delle nostre istituzioni, è stato sconfitto nelle sue forme più organizzate, ma non é morto, anzi é ancora vivo con frange pericolose, che gli organi preposti alla sicurezza in più occasioni hanno invitato a non sottovalutare.


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Commemorare le vittime martiri del terrorismo e delle stragi ha quindi il valore alto del ricordo, ha la funzione vitale di strumento per la formazione delle nuove generazioni, che non sempre hanno vissuto direttamente quelle tragedie, ha il compito di ricordare il passato per evitare comunque nel futuro i drammi e le sofferenze di quelle tragiche fasi. La Commissione ha incaricato i relatori di esprimere il parere favorevole in ordine all'adozione del testo, come risulta dal Senato della Repubblica. Su questo non vi è unanimità di opinioni, ma credo che la data prescelta possa essere importante, sia per l'altissimo ruolo che ha avuto la vittima di quel tragico atto di terrorismo, l'onorevole Aldo Moro, che morì insieme ai componenti della sua scorta, sia perché forse quello fu uno dei momenti in cui la violenza terroristica raggiunse i suoi più tragici effetti, il più alto attacco al cuore dello Stato; infatti, da quel momento iniziò una vigorosa reazione di tutte le istituzioni e di tutte le organizzazioni sociali e politiche del paese per combattere quel fenomeno. La data del 9 maggio è imminente e perciò un'approvazione rapida del testo in esame ci potrebbe consentire di giungere - già da quest'anno - a commemorare nella data del 9 maggio le vittime del terrorismo e delle stragi di matrice terroristica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, deputato Ronconi.

MAURIZIO RONCONI, Relatore. Signor Presidente, devo aggiungere poche altre considerazioni rispetto a quanto detto dall'onorevole Piazza. In realtà, il testo al nostro esame, licenziato dalla Commissione, rappresenta una sintesi di diverse proposte legislative avanzate da molti gruppi parlamentari insieme al disegno di legge già approvato dalla I Commissione permanente del Senato.
Il provvedimento si propone di istituire il giorno della memoria per le vittime del terrorismo interno ed internazionale. È necessario avvertire che diverse proposte di legge contestualmente presentate, proponevano date diverse per la celebrazione di questa giornata della memoria. Vi è chi ha proposto il 23 maggio, ricorrenza della strage di Capaci, il 12 novembre, ricorrenza della strage di Nassiriya, il 12 dicembre, ricorrenza della strage di piazza Fontana ed infine il 9 maggio, giorno dell'assassinio dell'onorevole Aldo Moro; si tratta di date - non ce lo nascondiamo - dettate da motivazioni storiche, culturali ed ideologiche diverse. In Commissione affari costituzionali della Camera, e in precedenza anche al Senato, si è svolto un ampio dibattito sulla scelta della data. Si è preferito, proporre, la data del 9 di maggio, ovvero la ricorrenza dell'assassinio di Aldo Moro, perché emblematicamente questa data rappresenta simbolicamente un giorno che unì gli italiani contro il fenomeno del terrorismo, un giorno che unì tutti i partiti politici contro il terrorismo. Questa è la motivazione vera per cui è stata scelta la data del 9 maggio.
D'altra parte il fenomeno terroristico delle Brigate rosse, purtroppo, ancora sopravvive. Drammaticamente ne abbiamo avuto conferma, in questi ultimi tempi, con l'uccisione di D'Antona, di Biagi, di agenti di polizia e con la ricostituzione di nuovi nuclei terroristici.
La proposta di legge in esame, volta ad istituire il «Giorno della memoria» dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, è tesa a far riflettere tutti noi in un'Italia che cambia e diventa multirazziale - il che costituisce un elemento nuovo rispetto al passato - e, soprattutto, si propone di prevedere un'occasione formativa a favore dei giovani: un giorno per organizzare manifestazioni e convegni, per indurre riflessioni al fine di custodire la memoria storica e di educare le coscienze, soprattutto le coscienze dei più giovani.
Siamo ormai in prossimità del 9 maggio; raccomandiamo quindi l'approvazione rapida di questa proposta di legge in modo che si possa celebrare già dal prossimo 9 maggio il «Giorno della memoria».

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.


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PAOLO NACCARATO, Sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali. Il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signor presidente della I Commissione, colleghe e colleghi, credo, pur nella proliferazione forse eccessiva di questo tipo di iniziative, che sia particolarmente giusto in questo caso istituire un giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo e delle stragi di analoga matrice. Ciò per molte ragioni che cercherò brevemente di illustrare, ma anche per il fatto che, purtroppo, in recenti inchieste sociologiche svolte nelle scuole di alcune delle città che sono state teatro delle stragi più efferate perpetrate negli anni Settanta e Ottanta, è risultato che la stragrande maggioranza degli studenti non conosce la matrice e la natura di quelle stragi e genericamente attribuisce, per esempio - ed è un po' agghiacciante che ciò avvenga dato che non sono passati secoli -, la responsabilità della strage di piazza Fontana alle Brigate rosse, formazione terroristica che all'epoca non era neppure sorta, dato che nacque circa un anno e mezzo o due anni dopo.
Quindi è bene richiamare in questa circostanza, signor Presidente, colleghi, la complessa articolazione che il fenomeno del terrorismo e delle stragi ha avuto nel nostro Paese. Intendo fare riferimento a cinque filoni che, in qualche modo, coprono tutte le vicende che si sono verificate in Italia.
Il primo è quello che riguarda la strategia della tensione e delle stragi. Si tratta di un fenomeno che ha avuto diverse matrici e che purtroppo ha trovato in alcuni casi - come è riscontrato da molte indagini giudiziarie - complicità istituzionali da parte di alcuni settori degli apparati dello Stato.
Il secondo fenomeno che rientra nella complessiva vicenda del terrorismo è quello del terrorismo di sinistra. Mi riferisco alle Brigate rosse, a Prima linea, ad Azione rivoluzionaria, ma anche ad altre formazioni cosiddette «minori», che tuttavia non hanno inciso meno gravemente nella storia del nostro Paese.
Il terzo fenomeno è quello del terrorismo esplicitamente e dichiaratamente di destra. Mi riferisco a fenomeni come Ordine nuovo, Ordine nero, Avanguardia nazionale e i Nar, una formazione del tutto particolare, ma ci sono state altre sigle che hanno caratterizzato il terrorismo di destra.
In quarto luogo mi riferisco al terrorismo politico-mafioso, un fenomeno che ha caratterizzato a più riprese la storia del nostro Paese, sul quale tornerò tra poco.
La quinta dimensione del terrorismo e delle stragi a cui voglio fare riferimento è quella del terrorismo di matrice internazionale.
Il terrorismo di matrice internazionale ha avuto due articolazioni (citerò due episodi esemplificativi): una all'interno del nostro paese, con stragi e fenomeni terroristici realizzati in Italia ma con una matrice internazionale (l'episodio più grave è la strage di Fiumicino del 16 dicembre 1973), un'altra che ha colpito l'Italia in territorio estero (l'episodio che tutti conoscono, anche perché è il più recente ed anche il più grave, è la strage di Nassiriya del 12 novembre 2003).
Non vorrei parlare in questa sede di fenomeni di gravità inaudita come le stragi e gli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e Washington (anche se in alcune delle proposte di legge e nel dibattito al Senato se ne è parlato) perché ci riferiamo, in un contesto di carattere internazionale che deve sempre essere tenuto presente, a vicende terroristiche che riguardano l'Italia e che hanno martoriato il nostro paese.
Come è stato già accennato dal relatore che mi ha immediatamente preceduto, sono state prospettate diverse possibili date per il giorno della memoria nelle proposte di legge ed anche nel dibattito, molto lungo ed anche molto tormentato,


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svoltosi nella 1a Commissione affari costituzionali del Senato, che poi per fortuna si è concluso con un voto unanime.
Mi riferisco, in modo particolare, al 12 dicembre 1969, la data della strage di piazza Fontana a Milano (la prima di una serie di stragi che hanno caratterizzato il nostro paese per tutti gli anni Settanta e Ottanta), alla strage sul treno di Gioia Tauro nel 1970 e alla mancata strage davanti al tribunale di Trento nella notte tra il 18 e il 19 gennaio 1971. Si trattò di strage mancata per ragioni puramente casuali (che ora non ricordo), ma che, se si fosse pienamente realizzata, secondo il perito Teonesto Cerri che allora esaminò l'ordigno, avrebbe provocato circa cinquanta morti fra gli studenti del movimento studentesco e della sinistra extraparlamentare di allora attribuendo a loro stessi la responsabilità, mentre il processo che si celebrò portò all'arresto di due confidenti dei servizi segreti italiani, di un colonnello del SID, di un colonnello dei carabinieri e di un vice questore della polizia accusati di favoreggiamento nei loro confronti. Non è il caso di ricordare che tutti poi furono assolti.
Mi riferisco inoltre alla strage di Brescia del 28 maggio 1974, alla strage sul treno Italicus del 4 agosto 1974, alla strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, alla strage sul rapido Napoli-Milano che si verificò, come quella dell'Italicus, nella galleria di San Benedetto Val di Sambro il 23 dicembre 1984 e che aveva caratteristiche diverse, probabilmente di matrice politico-mafiosa.
L'inizio di questa catena spaventosa di stragi, ripeto, è segnato dalla data del 12 dicembre 1969. Vi è poi una seconda data, quella che caratterizza la proposta di legge al nostro esame, che è il 9 maggio 1978, giorno dell'assassinio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro ad opera delle Brigate rosse. In relazione a questa terribile vicenda, nel corso del dibattito al Senato, alcuni colleghi avevano ipotizzato, in alternativa, la data del 16 marzo, in ricordo del 16 marzo 1978, che, come tutti ricordano, fu il giorno del sequestro del presidente della DC Aldo Moro, ma anche dell'assassinio della sua scorta.
Mi riferisco anche alla data del 23 maggio 1993, giorno della strage di Capaci, in cui furono assassinati il giudice Falcone, sua moglie e la loro scorta (si tratta di un'altra delle stragi di carattere politico-mafioso cui ho fatto riferimento), e a cui seguì, poche settimane dopo, l'assassinio del giudice Borsellino.
Mi riferisco inoltre, e da ultimo - sono infatti queste le date ipotizzate nel corso del dibattito al Senato e nelle diverse proposte di legge - al 12 novembre 2003, data, come già ricordato, della strage di Nassiriya.
Come ho già accennato, altre proposte ipotizzavano la data dell'11 settembre, con riferimento all'11 settembre 2001, giorno degli attentati di New York e di Washington, ma ritengo che sarebbe stato del tutto inopportuno compiere una simile scelta in relazione alle vicende del terrorismo e delle stragi nel nostro paese.
Fra l'altro, ieri, 1o maggio, si è ricordato anche il sessantesimo anniversario della strage politico-mafiosa di Portella della Ginestra, avvenuta in Sicilia il 1o maggio 1947, che fu la prima strage dell'immediato dopoguerra e che segnò profondamente la storia politica italiana. Personalmente ho sottoscritto due proposte di legge: la n. 1995, presentata dalla collega Zanella e sottoscritta anche dalla collega D'Antona, e la n. 2007, presentata dalla collega Zanotti e sottoscritta da decine di deputati. Entrambe le proposte di legge propongono la data del 12 dicembre, con riferimento alla strage del 12 dicembre 1969, come giorno della memoria dedicato alle vittime delle stragi e del terrorismo.
La proposta di legge oggi in esame, illustrata poco fa dai due colleghi relatori e della quale è prima firmataria la senatrice Sabina Rossa - figlia dell'operaio Guido Rossa, assassinato dalle Brigate rosse -, dopo l'ampio dibattito svoltosi in Commissione affari costituzionali del Senato propone di istituire, come giorno della memoria, la data del 9 maggio, in riferimento all'anniversario dell'assassinio


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del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, avvenuto il 9 maggio 1978 ad opera delle Brigate rosse: evento terribile dal quale, l'anno prossimo, saranno trascorsi trent'anni.
Come ho già dichiarato in sede referente, nel dibattito svolto nella Commissione affari costituzionali, personalmente e a nome del gruppo dei Verdi preannuncio fin d'ora il voto favorevole sulla proposta in esame che, dopo un lungo e travagliato dibattito, ha ottenuto alla fine il consenso unanime da parte della Commissione affari costituzionali del Senato, che l'ha approvata prima in sede referente e poi anche in sede deliberante. Tuttavia, come ho già fatto in sede referente, voglio ricordare pacatamente anche in quest'aula che il gruppo dei Verdi avrebbe preferito che per il giorno della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi fosse stato individuato il 12 dicembre, anniversario della strage di piazza Fontana. Fu infatti quella, colleghi, la data che ha segnato il vero e proprio inizio della strategia della tensione e delle stragi, che fu la più feroce e criminale forma di terrorismo indiscriminato verso cittadini qualunque, che morirono solo perché casualmente erano presenti in una banca (a Milano), in una piazza (a Brescia), in un treno (nelle diverse vicende che ho ricordato, di cui la più famosa, ma non l'unica, è quella del treno Italicus), in una stazione ferroviaria (tutti ricordano la più terribile fra tutte le stragi italiane, avvenuta il 2 agosto 1980 a Bologna). Prima di allora vi erano stati sia la strage di Portella della Ginestra, il 1o maggio 1947 in Sicilia, sia il terrorismo in Alto Adige, in parte di matrice interna - nella sua prima fase storica - in parte anche di matrice internazionale. Su tale ultimo fenomeno nel 1992 presentai una relazione alla Commissione stragi, presieduta dal senatore Gualtieri, che venne approvata all'unanimità. Ma fu la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 a dare inizio ad una vera e propria stagione terroristica, non episodica e non concentrata in un singolo territorio regionale (Sicilia o Alto Adige, come ho ricordato poco fa), ma estesa a tutto il territorio nazionale. Non è un caso che il 12 dicembre 1969 sia diventato, per questi aspetti, come dicono gli storici, una data «periodizzante», che separa nettamente un «prima» e un «dopo» nella storia italiana.
Non c'è dubbio, del resto, che anche, e particolarmente, l'assassinio del presidente della Democrazia cristiana, onorevole Aldo Moro, che fu peraltro più volte Presidente del Consiglio dei Ministri, segnò un evento terribile e tragico nella storia italiana. Non c'è dubbio, inoltre, che, tra i tanti omicidi perpetrati dal terrorismo politico di sinistra e di destra nel nostro Paese, questo segnò indubbiamente l'evento di maggiore gravità, paragonabile all'assassinio negli Stati Uniti dei due fratelli Kennedy (quello di John Kennedy avvenne il 22 novembre 1963, quello di Bob Kennedy il 6 giugno 1968) ed anche all'assassinio di Martin Luter King, avvenuto il 4 aprile del 1968, che è diventato, per questo motivo, il giorno della memoria negli Stati Uniti d'America.
Il terrorismo politico e le stragi hanno colpito, innanzitutto, un numero terribilmente elevato di cittadini qualsiasi, oltre che uomini politici, magistrati, docenti universitari, appartenenti alle varie forze di polizia, giornalisti, operai come Guido Rossa, che ho già citato: proprio per questo avremmo preferito che si scegliesse, per il giorno della memoria, la data del 12 dicembre, anniversario della strage di piazza Fontana, alla quale seguì una lunghissima scia di sangue e di morte. Pur avendo una grande e sempre crescente stima per la figura storica, politica ed umana di Aldo Moro e pur considerando il suo omicidio uno degli eventi più gravi della storia italiana del dopoguerra - forse il più grave da questo punto di vista -, avremmo preferito che il Parlamento non scegliesse, come data di riferimento, l'assassinio di un altissimo esponente politico, membro del Parlamento stesso: avremmo preferito, appunto, che fosse scelto il 12 dicembre come data per individuare l'inizio di queste tragiche vicende che hanno


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colpito moltissime persone, ma soprattutto, in modo indiscriminato, cittadini anonimi.
Tali riserve, che ho espresso - con il massimo di pacatezza possibile - come forma di riflessione e di dialogo parlamentare, rivestono carattere storico-politico più che giuridico; tuttavia, confermo la condivisione, da parte dei Verdi, della proposta di legge in esame e mi auguro che, fin dal prossimo 9 maggio 2007 - e cioè fra poche settimane - e poi in ogni anno a venire, si sappia veramente, da parte di tutti - cito testualmente la proposta di legge in esame - «conservare, rinnovare e costruire una memoria storica condivisa in difesa delle istituzioni democratiche». Questo oggi non avviene.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame è - per così dire - una «legge simbolo», «una legge manifesto», perché non comporta alcuna conseguenza pratica: non prevede, infatti, forme di risarcimento di alcun tipo nei confronti delle vittime del terrorismo; qualcosa, invece, si potrebbe e si dovrebbe fare con riferimento, ad esempio, alle vittime dei reati violenti. C'è ancora una Convenzione europea che dovrebbe essere attuata nel nostro ordinamento e che garantirebbe, nei confronti di quei soggetti, un'importante forma di ristoro. Il provvedimento non ha alcuna conseguenza neanche dal punto di vista dell'introduzione di festività civili: esso costituisce, pertanto, una «legge manifesto», che può e deve essere un richiamo, uno spunto di riflessione.
Una prima considerazione che mi viene da fare è questa: una legge, se deve essere uno spunto di riflessione, deve servire affinché, in futuro, non vi siano più atti di questo tipo, ossia atti di terrorismo e di violenza. E allora, al fine di contenere il più possibile il rischio che tali atti si verifichino - è, infatti, un'utopia affermare che non si verificheranno più - è necessario, prima di tutto, che Parlamento e Governo adottino politiche attive in sede di contrasto alla lotta al terrorismo, nonché scelte strategiche appropriate per arginare fenomeni di questo tipo. Il primo punto è legato sicuramente alla lotta al terrorismo internazionale, che diventa anche lotta al terrorismo interno, perché ormai il terrorismo internazionale, essendo globalizzato, minaccia anche direttamente il nostro territorio.
Allora, non si può far finta, colleghi, che non esista un problema legato all'immigrazione, che molti di voi fingono di non vedere. L'immigrazione è oggi lo strumento per realizzare gli attacchi terroristici, e lo scenario internazionale ci dice che il terrorismo islamico è la minaccia più inquietante per il nostro territorio. È vero che fino ad oggi ci è andata abbastanza bene, ma è anche vero che di solito bisogna prevenire i problemi prima di affrontarli. Mi chiedo, quindi, a cosa possa servire questa legge se il Governo adotta scientificamente, dal punto di vista dell'immigrazione, politiche sbagliate, che non consentono di attuare le tutele necessarie a prevenire situazioni terroristiche nel medio e lungo periodo.
Nessuno di noi vuole impedire che i cittadini stranieri possano soggiornare sul nostro territorio, ma evidentemente l'immigrazione è un fenomeno che va gestito e regolamentato. Se immettiamo sul nostro territorio una quota di immigrazione che lo stesso non è in grado di gestire, se rovesciamo 100 litri d'acqua in una bottiglia che ne contiene mezzo litro, la stessa evidentemente traboccherà. Faccio questo esempio perché è il primo esempio che mi viene in mente. Oggi, quindi, variamo una legge sul terrorismo internazionale, mentre il Governo, dal punto di vista della gestione dei fenomeni migratori, non fa nulla o, anzi, si muove in una direzione che è l'esatto contrario di una politica prudente e attenta alle esigenze di integrazione. Dico ciò proprio al fine di assicurare l'integrazione: se, infatti, immettiamo 100 litri d'acqua in una bottiglia che può contenerne solo mezzo, è evidente che non si vuole l'integrazione, ma qualcosa che va nella direzione esattamente contraria.


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Quando parlo di politiche sbagliate, Presidente, mi riferisco prima di tutto alla legge sulla cittadinanza, che è in discussione in I Commissione, e che «prudentemente» la maggioranza non ha portato in aula prima delle elezioni, dato l'impatto assolutamente negativo dal punto di vista elettorale nei confronti dei cittadini, di cui la maggioranza è consapevole.
Mi riferisco, poi, alle politiche tese al superamento della legge Bossi-Fini: invece di cercare di migliorare tale legge dal punto di vista della sua attuazione, prendendo tutto il buono che questa legge ha apportato - e cioè il fatto di ancorare la presenza di immigrati sul nostro territorio all'esistenza di un lavoro stabile, che è il primo requisito per poter realizzare una vera integrazione - il Governo, in tutte le disposizioni presentate, sta facendo passare la filosofia dell'immigrazione libera. Mi riferisco alle norme sui ricongiungimenti superallargati, nonché al testo della cosiddetta proposta Amato-Ferrero, di modifica della legge Bossi-Fini, che si intende adottare senza passare per il Parlamento, ma utilizzando lo strumento del decreto legislativo, cioè passando in Parlamento soltanto per individuare delle linee guida, lasciando poi al Governo una regolamentazione successiva di tutti gli aspetti più importanti collegati a questa legge.
La predetta filosofia dell'immigrazione libera si traduce in un'azione totalmente inefficace dal punto di vista del contrasto al terrorismo. Quando dico ciò penso anche a come si sia modificata l'attenzione da parte delle cosiddette Brigate Rosse negli ultimi anni: non vi è più un'attenzione legata alle cosiddette politiche sociali del Governo, ma un'attenzione che si sposta e che si salda con il terrorismo di matrice islamica.
Le stesse minacce rivolte a monsignor Bagnasco, dal nostro punto di vista, vanno lette in questa chiave, vanno così interpretate: uno spostamento, una saldatura tra terrorismo interno e terrorismo islamico. Non possiamo non cogliere questi aspetti, e speriamo che li colga anche il Governo, ma fino ad oggi, abbiamo constatato che il Governo stesso è andato in una direzione completamente opposta. Cosa dispone questo provvedimento? Esso individua un giorno, che deve essere il giorno della memoria, un giorno simbolo. Il dibattito svoltosi in Commissione, dal punto di vista parlamentare, si è tutto concentrato sull'individuazione di una data. L'onorevole Boato ha riportato correttamente una sintesi dei lavori parlamentari conclusi con un testo che fa riferimento al 9 maggio 1978, giorno dell'assassinio dell'onorevole Aldo Moro. Vi erano state in precedenza altre proposte che si riferivano all'11 settembre oppure al 12 novembre ossia all'anniversario della strage di Nassiriya. Mentre il giorno 11 settembre individua come punto di riferimento e di riflessione una strage che ha riguardato il mondo intero, il 12 novembre ricorda una strage che ha riguardato le nostre truppe impegnate in una azione all'estero.
Per quanto ci riguarda, avanziamo una proposta alternativa. È stato affermato che l'11 settembre è una data meno indicata rispetto al 9 maggio perché ricorda un fatto verificatosi al di fuori dei nostri confini e si utilizza lo stesso criterio anche per escludere il giorno 12 novembre cioè l'anniversario della strage di Nassiriya. Proponiamo allora di far riferimento ad una data relativa ad un evento che si è verificato all'interno del nostro territorio ed indichiamo il 26 marzo 1971: la data in cui è stato ucciso Alessandro Floris, un commesso che lavorava a Genova all'interno dell'Istituto autonomo case popolari. In quella data venne ucciso durante la prima rapina di autofinanziamento del gruppo terroristico «22 ottobre», precursore delle Brigate Rosse. Abbiamo proposto questa data perché, se vi deve essere rievocazione con riferimento a un fatto avvenuto all'interno del Paese, è meglio scegliere il primo fatto ed è meglio scegliere una persona comune come esempio. Moro è stato sicuramente uno statista molto importante ed ha rappresentato anche un periodo storico e politico particolarmente delicato, ma era un uomo politico. Con la proposta in esame la politica


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individua l'assassinio di un uomo politico come data che deve fungere da esempio per tutti. È meglio invece prendere come esempio una persona comune anche per sottolineare un altro aspetto: spesso ci sono disparità di trattamento quando si parla di vittime di atti di violenza e di atti terroristici. Ricordavo in precedenza la mancata attuazione della convenzione per le vittime dei reati violenti. Per esperienza di parlamentare che si muove sul territorio, posso portare l'esempio di famiglie che sono state colpite da atti violenti che non possono non essere assimilati agli atti terroristici. Ricordo una strage che si è verificata, circa due anni fa, in un piccolo comune in provincia di Novara dove un folle, dal balcone di casa, ha sparato all'impazzata colpendo diverse persone e causandone la morte. Ancor oggi tutte queste persone, tranne gli appartenenti alle Forze dell'ordine, sono senza alcuna forma di tutela da parte dello Stato
Vogliamo dunque porre l'accento sul fatto che vi sono vittime di «serie A» e vittime di «serie B» quando si verificano fatti di terrorismo e che tutte le persone hanno pari dignità quando sono colpite da tali atti. Pertanto scegliamo una persona comune, Alessandro Floris, commesso, il primo ad essere colpito e ucciso. Scegliamo il 26 marzo 1971.
Noi proponiamo questa riflessione al Parlamento, attraverso un emendamento che sicuramente verrà discusso, ma speriamo che venga anche approfondito e speriamo anche che il Governo raccolga tale nostra sollecitazione. Meglio una persona comune come esempio rispetto ad un politico, che è già stato commemorato, per tutto ciò che ha rappresentato, in tutte le sedi possibili.
Noi siamo pertanto favorevoli al provvedimento in esame, certamente non abbiamo elementi di contrarietà; chiediamo che venga migliorato nel senso che ho esposto, ma soprattutto chiediamo che il Governo non proponga tale provvedimento e poi attui, nei fatti, politiche che non consentono una sufficiente prevenzione degli atti terroristici e, anzi, vanno nella direzione esattamente contraria.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Olga D'Antona. Ne ha facoltà.

OLGA D'ANTONA. Intervengo a nome del gruppo dell'Ulivo, che attribuisce particolare importanza all'istituzione della giornata della memoria, poiché riteniamo che sia necessario, nel nostro Paese, richiamare alla mente una parte della sua storia, non certo gloriosa, che Sergio Zavoli chiamò, con illuminata intuizione, «La notte della Repubblica», ma è pur sempre una parte della storia italiana con la quale dobbiamo fare i conti.
Riteniamo che sia tempo di affrontare una rilettura di quegli anni, nell'intento di costruire una memoria condivisa, la cui mancanza produce ancora lacerazioni che certo non giovano alla convivenza democratica né al sistema politico italiano. Si è scelta la data del 9 maggio, giorno in cui, nel 1978, fu ucciso Aldo Moro, che rappresenta una figura fra le più prestigiose tra gli statisti italiani, uomo di elevata moralità e di coraggio politico innovativo. Il suo rapimento, con l'uccisione degli uomini della scorta, fu un evento traumatico per l'Italia, forse - lo diceva bene l'onorevole Boato - il più drammatico della storia contemporanea italiana, e i cinquantacinque giorni di prigionia che precedettero il suo assassinio furono giorni di sgomento per la classe politica e per tutti i cittadini italiani.
L'uccisione di Aldo Moro rappresentò il momento più forte dell'attacco delle BR, ma anche l'inizio del loro declino. Lo Stato, colpito al cuore, assunse la consapevolezza della minaccia che incombeva sulla Repubblica.
Noi siamo pertanto favorevoli a questo provvedimento, anche se avremmo preferito una data diversa: lo spiegava l'onorevole Boato e io sono d'accordo, tanto che sono cofirmataria dei due disegni di legge Boato-Zanotti che proponevano la data del 12 dicembre, giorno in cui, nel 1969, fu fatta esplodere una bomba all'interno della Banca nazionale dell'agricoltura a Milano, perché quell'evento segnò l'inizio della strategia della tensione e di quei terribili anni di terrore.


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Le nostre perplessità nascono dalla consapevolezza che in Italia non vi è una memoria condivisa sulla storia del terrorismo. Riteniamo sia tempo, invece, di esprimere una condanna univoca, senza ambiguità, contro ogni forma di violenza e di terrorismo.
Stragi di matrice fascista e terrorismo rosso hanno insanguinato l'Italia e avvelenato un'intera generazione. Ritengo che sia, perciò, necessario ribadire in questa sede che la scelta di quella data, che non ci sentiamo di contrastare, non deve avere il significato di tagliare fuori dalla memoria eventi non meno strazianti che l'hanno preceduta: 12 dicembre 1969, piazza Fontana, diciassette morti e ottantotto feriti; 22 luglio 1970, treno Freccia del sud (Gioia Tauro), sei morti e cinquanta feriti; 31 maggio 1972, autobomba a Peteano, tre carabinieri uccisi; 17 maggio 1973, questura di Milano, quattro morti; 28 maggio 1974, piazza della Loggia, otto morti e centotre feriti; 4 agosto 1974, treno Italicus, dodici morti e quarantaquattro feriti; 2 agosto 1980, stazione di Bologna, ottantacinque morti.
Su quegli anni di terrore è ancora «notte» e il quadro si presenta a tinte oscure: si parlò di doppio Stato, di servizi deviati, di depistaggio, di omertà e connivenza. Insieme ai familiari di quelle vittime attendiamo ancora verità e giustizia. Sarà nostro compito ricordare anche questo nella giornata della memoria.
Il terrorismo in Italia ha prodotto oltre 500 morti e più di 3 mila feriti: giovani di opposte fazioni che, presi da una esaltazione collettiva, si scontravano gli uni contro gli altri e per molto poco si moriva, a volte, solo perché ci si trovava nel posto sbagliato e nel momento sbagliato.
Il terrorismo di estrema destra colpisce indiscriminatamente i cittadini inermi; quello di sinistra, invece, sceglie gli uomini migliori, quelli che mettono il loro talento al servizio dello Stato: magistrati, giornalisti, professori universitari, uomini delle forze dell'ordine. Vorremmo ricordarli tutti: arbitrariamente ne ricordiamo solo alcuni, perché nel ricordare i loro nomi e i loro volti, ci si ricordi che erano persone e non simboli. Per tutti i giudici: Francesco Coco, Mario Amato, Guido Galli, Emilio Alessandrini, Vittorio Bachelet. Per i giornalisti: Walter Tobagi, Carlo Casalegno. Per i professori: Ezio Tarantelli, Roberto Ruffilli, Massimo D'Antona, Marco Biagi. Per le forze dell'ordine: Luigi Calabresi, Emanuele Pedri. Vorremmo davvero ricordarli tutti: condanniamo ogni forma di violenza, sia essa di estrema destra che di estrema sinistra.
Dopo l'uccisione di Aldo Moro, un altro evento che segnò una lacerazione fortissima per la classe lavoratrice, avvenne il 24 gennaio 1979, quando fu colpito al cuore il sindacalista - e quindi il sindacato tutto con l'uccisione di un suo delegato - Guido Rossa. Guido Rossa sapeva di rischiare la vita nel momento in cui aveva denunciato un operaio scoperto a lasciare in fabbrica volantini delle brigate rosse, ma non esitò a compiere il suo dovere perché aveva già capito che le Brigate rosse erano nemiche dei lavoratori e del sindacato. Il sindacato è sempre stato, e lo è tuttora, oggetto di attenzione da parte delle brigate rosse con subdoli motivi di infiltrazione, ma ha combattuto la sua battaglia a fianco dello Stato e ha pagato i sui prezzi: per questo merita sostegno e solidarietà.
Lo Stato e le forze politiche, istituzionali e sociali del Paese seppero trovare in passato la capacità unitaria per contrastare e vincere il terrorismo. L'auspicio è che l'istituzione del «Giorno della memoria» possa contribuire a costruire una memoria condivisa e a ritrovare l'unità di tutte le forze politiche, istituzionali e sociali per la difesa dello Stato democratico.
L'ideologia terrorista, però, alligna ancora in Italia e continua a rappresentare una minaccia. È ricomparsa con le sue azioni violente, quando sembrava ormai appartenere ad una storia passata. Con gli ultimi dodici arresti di brigatisti, lo Stato ha finalmente svolto un'azione preventiva, mostrando consapevolezza del pericolo rappresentato da queste bande eversive.
Non fu così negli anni che precedettero gli omicidi D'Antona e Biagi, quando numerosi segnali, che si susseguirono dal


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1992 al 1999, furono gravemente sottovalutati: per citarne alcuni, gli attentati alla Confindustria, all'aeroporto di Aviano, alla NATO Defence College.
Mai le BR, seppur sotto altre sigle, cessarono di dare prova della loro esistenza. Gli stessi Lioce e Galesi erano conosciuti per la loro attività eversiva ed erano latitanti. Sì, possiamo dirlo, la sottovalutazione fu grave, e fu ancor più grave lasciare morire in solitudine Marco Biagi, nonostante i suoi appelli disperati.
Ci poniamo inquietanti interrogativi: perché in Italia, più che in ogni altro paese d'Europa, il terrorismo continua ad allignare, e soprattutto perché, come appare da alcuni recenti segnali, continua a trovare aree di consenso? Ci preoccupano le avvisaglie di contaminazione delle giovani generazioni, rispetto alle quali abbiamo la responsabilità di raccontare e trasmettere, attraverso la memoria, quanto siano stati devastanti gli anni del terrorismo per tutti coloro che con quella storia hanno dovuto fare i conti.
Alligna ancora l'idea che la violenza sia in alcuni casi ammissibile o, addirittura, necessaria: è un'idea che deve essere contrastata e combattuta! La violenza non è necessaria e soprattutto non è ammissibile, e neghiamo, una volta per tutte, l'idea della continuità storica del terrorismo con la resistenza: gli uomini della resistenza imbracciarono i fucili per difendere la propria libertà, la propria terra, le proprie case, le proprie famiglie da un'invasione nemica.
Ricordiamo gli eccidi delle popolazioni civili di Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, le Fosse Ardeatine.
Il terrorismo, di matrice sia di estrema destra che di estrema sinistra, uccide per colpire lo Stato e, con esso, la convivenza civile e i valori della democrazia.
L'auspicio è che la giornata della memoria possa costituire l'opportunità per dare voce finalmente a coloro che sono stati vittime di quegli atti di terrore.
È tempo di dare voce a coloro le cui vite sono state devastate per sempre e che, nella maggior parte dei casi, sono stati condannati all'oblio e al silenzio. È tempo che la nostra storia di terrorismo sia raccontata non solo dai terroristi e che finalmente ci si accorga di che cosa sia successo dall'altra parte, dalla parte di quei cittadini innocenti e indifesi che ne sono stati vittime. Pertanto noi voteremo a favore di questo provvedimento.
Lo abbiamo sostenuto e, anche se avremmo preferito una data diversa, riteniamo che sia nostra responsabilità manifestare una volontà unitaria (Applausi - Congratulazioni).

PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole D'Antona, e, andando oltre le prerogative del Presidente, intendo esprimerle l'apprezzamento per il suo intervento a nome di tutta l'Assemblea.
È iscritto a parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà.

CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, colleghi deputati, il gruppo dell'Italia dei Valori intende sostenere con convinzione l'iniziativa legislativa che oggi è oggetto d'esame in Assemblea, finalizzata all'istituzione del «Giorno della memoria», ovverosia all'individuazione di un giorno da dedicare al ricordo ed alla commemorazione di tutte le vittime del terrorismo e delle stragi di matrice terroristica.
Il ricordo e la spiegazione, ripetuti ogni anno, per sempre, possono contribuire a far comprendere a tutti, soprattutto alle nuove generazioni, che cosa è stato e che cosa sia oggi il terrorismo, chi sono le sue vittime, e perché in Italia, in pochi decenni, per sua causa siano morte centinaia di persone e più del doppio siano rimaste ferite.
Per quindici anni, in particolare dal 1969 al 1984, l'Italia è stato un Paese insanguinato dalla logica del terrore, una logica stragista al servizio di finalità politiche che, nel corso degli anni, sono divenute sempre più chiare: il tentativo di condizionare la vita democratica della nazione, di mantenere il potere nelle mani degli apparati più reazionari, di rendere la lotta politica come scontro senza quartiere, improntato al ricatto della paura e del terrore.


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Ogni fenomeno sociale conosce nella sua storia un periodo di incubazione, una fase di maturazione ed un momento conclusivo e terminale. Nella maggior parte dei casi è difficile indicare il momento esatto della nascita di un fenomeno di questo genere. Non è certamente così per il fenomeno terroristico in Italia, per il quale è possibile indicare un preciso punto di svolta, una data che condizionerà il suo emergere ed il suo drammatico imporsi sulla scena politica del Paese: il 12 dicembre 1969, giorno della strage di piazza Fontana a Milano, cui può farsi risalire storicamente la svolta del fenomeno terroristico in Italia.
Il culmine, però, della triste stagione delle stragi, che, in alcuni momenti, hanno fatto addirittura vacillare lo Stato democratico, è rappresentato senz'altro dal rapimento e dall'uccisione di Aldo Moro avvenuta il 9 maggio del 1978. Da allora sono passati 29 anni, poco più che una generazione, un periodo di tempo che ha progressivamente caricato, in Italia e nel mondo, la parola terrorismo di altri significati, sostituendo alle matrici rossa o nera le matrici islamica o internazionale e riproponendo nel Paese una matrice interna che molti speravano superata, ma che i gravissimi episodi di questi ultimi anni, e direi anche di questi ultimi giorni, rivelano come ancora presente, pericolosa e pertanto ancora da combattere e sconfiggere, non prima, però, di averla conosciuta ed emarginata da qualsiasi contesto sociale, politico e culturale del nostro Paese.
In questa evoluzione, che copre ormai quarant'anni della nostra storia repubblicana, caratterizzata da processi di trasformazione del fenomeno terroristico, ma non ancora dalla sua definitiva scomparsa, è impossibile non giungere al 9 maggio 1978 e non ripartire da questa stessa data. Da quel giorno, in cui fummo costretti ad assistere al barbaro assassinio Aldo Moro, nulla è stato più come prima nella vicenda politica italiana ed ancora oggi è accesa la discussione per comprendere le ragioni di quell'esecuzione, i suoi reali obiettivi, la contrapposizione tra la strategia della fermezza e quella della trattativa, la gestione e gli esiti dei processi. Un'esecuzione preceduta dall'assassinio degli uomini della scorta di Aldo Moro dei quali in ogni occasione dobbiamo ricordare i nomi: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera, cinque eroi, cinque servitori dello Stato, cinque vittime di un terrorismo stragista che, tutti gli anni, con l'istituzione del giorno della memoria, potremmo ricordare ed insegnare a ricordare. Con il loro ricordo rifletteremo sulle ragioni di una violenza che ha colpito al cuore chi voleva capire, chi voleva agire e chi voleva cambiare, privilegiando la strada del confronto democratico e del progresso, ed allo stesso tempo rifletteremo anche sull'evidenza della sconfitta subita da chi ha espresso, con quell'orribile gesto di sangue, null'altro che un impazzimento ideologico avversario e nemico della nostra libertà.
Il Capo dello Stato ci ha ricordato nel suo discorso di insediamento la necessità per il Paese di recuperare una memoria condivisa. Un'indagine conclusa nel 2005 ha, infatti, rivelato una scarsa conoscenza da parte dei giovani dei fatti terroristici avvenuti negli ultimi quarant'anni in Italia. Dobbiamo quindi intraprendere una nuova strada che alimenti il ricordo e la condivisione di valori che sono alla base della nostra democrazia, una strada che può iniziare con il riconoscimento di una giornata dedicata a tutte le vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice e che diventi un'occasione per accomunare e ricordare tutte le vittime del terrorismo e dell'eversione in una riflessione che, partendo dalla memoria, si trasformi in fattore di crescita educativa e formativa per le nuove generazioni.
In una società come la nostra, che fatica a trovare punti di riferimento alti, è necessario a nostro avviso favorire queste iniziative per contribuire alla costruzione di una coscienza civile in favore di chi si è sacrificato per la democrazia e per la sicurezza nella nostra società.
Per questo giorno è prevista l'organizzazione di manifestazioni pubbliche presso i singoli comuni, iniziative, incontri, momenti comuni di ricordo dei fatti, oltre a


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riflessioni ed analisi storiche da promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado, affinché le nuove generazioni possano conoscere una delle pagine più buie e tragiche della nostra storia recente e per creare le premesse affinché avvenimenti così tragici non tornino mai più a ripetersi.
La scelta di dedicare una giornata alla riflessione sulla nostra storia recente, assume quindi un grande valore ed un evidente significato, che noi intendiamo stimolare con il sostegno pieno e convinto alla proposta di legge in discussione. Siamo convinti che questa iniziativa esprima anche la volontà delle istituzioni di capire le ragioni di quel terrorismo, del perché abbia colpito il nostro Paese, di conoscerne le dinamiche, di comprendere per quali ragioni non sia stato possibile fare piena luce su alcune delle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese. Il ricordo non è soltanto un dovere civile, ma è anche e soprattutto un impegno ed un investimento per il futuro che il gruppo dell'Italia dei Valori vuole contribuire a realizzare, offrendo pieno sostegno all'istituzione di un giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo. (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, a nome del mio gruppo, preannuncio il voto favorevole su questa proposta di legge. Cercherò di essere breve, ma credo che sia giusto esprimere anche le motivazioni di tale voto. Quando si discutono proposte di legge di questo tipo è molto facile scadere nella demagogia o dare ad alcune iniziative un valore meramente simbolico. Il tema trattato da questa proposta di legge non lo consente e, a maggior ragione, credo che l'intervento dell'onorevole D'Antona, che tutti noi abbiamo ascoltato con particolare pathos, ci obbliga a riflessioni diverse e più serie. Daremo seriamente seguito a questa proposta di legge, in termini simbolici, facendone la bussola di un comportamento politico di un certo tipo.
Istituire oggi la giornata della memoria per le vittime del terrorismo significa dare un segnale ad un paese privo di memoria e che spesso non riesce a capire la sua storia e a comportarsi conseguentemente, in modo da comprendere quello che in realtà hanno significato gli anni passati e quei pericoli, ancora tristemente presenti, che diventano emergenti, forse favoriti da un eccessivo buonismo anche da parte delle istituzioni politiche. Studiare la propria storia significa ribadire con forza e in tutte le sedi che la democrazia va preservata.
Senza voler fare polemica, ma in termini assolutamente colloquiali, devo dire che, nel nostro paese, spesso estremamente generoso nei confronti di chi sbaglia, ci lascia abbastanza interdetti veder salire in cattedra coloro i quali hanno segnato pagine tristissima della sua storia. Cosa spiegano ai giovani? I loro errori e, purtroppo, ribadiscono la contingenza di alcune posizioni. Non ci sono contingenze nel terrorismo. Non ci sono momenti che giustificano reazioni diverse. Non ci sono giovani che sbagliano. Un paese serio riconosce, in primo luogo, che lo Stato non tratta solo con chi ha sbagliato, ma discute e soprattutto preserva e difendere chi, per quegli errori, ha pagato in termini personali e familiari.
È ovvio che, ogni qualvolta, anche noi, come istituzioni politiche, siamo pronti ad una generosità e ad un giustificazionismo forte (forse, è una mea culpa generale che dobbiamo fare) e ci lasciamo commuovere dalla cosiddetta necessità del reinserimento, viene da chiedersi, quando si legge su un giornale che un terrorista è uscito dal carcere perché, in fondo, anch'egli deve avere un'altra opportunità, come una madre può spiegare ai suoi figli quello che succede e quale Stato descriva loro.
Di che cosa stiamo parlando? Chi era dalla parte del giusto e chi dalla parte dell'errore? Oggi dobbiamo scrivere in termini di consapevolezza politica che


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cosa lo Stato ritiene giusto e cosa ritiene sbagliato e fino a che punto quella pena va attuata.
Non è possibile continuamente giustificare, ricordare, verificare, tentare di ammantare di perdonismo la nostra società, semplicemente perché non riusciamo ad accettare che anche in questa società, normalmente, il male esista.
Il tema ha registrato ovviamente una discussione accesa, come è già stato ampiamente ricordato, su quale data potesse essere scelta. Credo che discutere della data non significhi stabilire quale delle stragi abbia maggiore rilevanza, o quale delle vittime sia più importante. Penso che scegliere la data dell'assassinio dell'onorevole Aldo Moro - che probabilmente avrà un senso quando esamineremo la legge sulle vittime della mafia - serva a dare un segnale ben preciso. L'uccisione di Aldo Moro ha rappresentato in quell'epoca un colpo fondamentale allo Stato. Colpire una personalità di quel genere, così come colpire il 23 maggio Giovanni Falcone, significava colpire colui che in quel momento era maggiormente tutelato, colui che doveva essere intoccabile perché lo Stato aveva già predisposto le misure di sicurezza nei suoi confronti. Pertanto, l'attacco è considerato più alto non perché siano differenti o perché si dia minore importanza alle altre vittime, ma semplicemente perché in quel momento, se si colpisce chi è maggiormente scortato, chi è maggiormente protetto, lo Stato si rivela nudo di fronte ai propri cittadini. Lo sgomento dei cittadini è ancora più forte poi quando viene colpito non chi capita per strada ma chi in quel momento dovrebbe avere la maggior tutela.
Non è un caso che da quei momenti più pesanti e più terribili della vita del paese sia nata la reazione più forte. Era una risposta necessaria. Tanto l'omicidio di Aldo Moro, quanto poi in seguito l'omicidio di Giovanni Falcone sono stati momenti fondamentali perché in quegli episodi tutta la cittadinanza si è sentita priva di tutele: se non è tutelato chi rappresenta lo Stato, a maggior ragione non può essere sicuro nessuno di noi.
Quelle date di cui abbiamo parlato hanno costituito nella storia del paese un momento di rivalsa necessaria.
Forse, e concludo, anche questa è una lezione che dovremmo imparare: dobbiamo vedere prima i fenomeni e prevenirli, tentare previamente di analizzarli, evitando che la reazione dello Stato arrivi solo quando la sfida è troppo alta per poter rispondere (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esaminiamo oggi un provvedimento che indubbiamente riveste un grandissimo valore dal punto di vista culturale poiché è volto ad istituire una giornata dedicata al ricordo di un'importante pagina della storia dell'Italia democratica e repubblicana.
Si tratta di una pagina purtroppo centrale nella storia del nostro paese: l'età delle stragi e del terrorismo. Il gruppo dei Popolari-Udeur, a nome del quale intervengo, non può che esprimere la propria piena e convinta condivisione e il proprio apprezzamento per questa iniziativa legislativa. Con questo provvedimento ci accingiamo a rendere un dovuto omaggio al sacrificio di tanti nostri concittadini: persone comuni, servitori dello Stato, uomini politici; sacrificio che si è consumato in nome della difesa della libertà e dell'ordinamento democratico del nostro Paese.
Con questo provvedimento contribuiremo anche a fissare il ricordo di un'età così difficile della nostra storia recente così come contribuiremo alla formazione storica, ma soprattutto civile, delle giovani generazioni.
La storia di quegli anni è certamente complessa. L'interpretazione storica di quei fatti lo è altrettanto, così come dimostrano gli studi più recenti di questo fenomeno. Tale complessità non poteva che riflettersi pertanto sul processo di individuazione di un momento simbolico cui associare tale ricordo. Il dibattito parlamentare che ha preceduto la nostra


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discussione in aula mette in evidenza le diverse possibili opzioni. Di fronte ad un complesso e diffuso male contemporaneo qual è il terrorismo, non è semplice individuare una data che riassuma in sé tutti gli eventi tragici che, dagli anni Settanta ad oggi, hanno colpito vittime innocenti e che, simbolicamente, sia in grado di esprimere tutti i significati che un giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo può contenere in sé.
La scelta compiuta al termine del dibattito svoltosi nella Commissione permanente affari costituzionali prima del Senato e poi della Camera, ovvero quella del 9 maggio (anniversario dell'uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse), per noi Popolari-Udeur è condivisibile e la sosteniamo con estremo favore. Qualche gruppo parlamentare, forse non a torto, ha voluto sottolineare come tale scelta potesse rischiare di lasciare in ombra le tante vittime civili delle stragi terroristiche, dando invece risalto all'uccisione di un uomo politico. Per tale motivo è emersa una proposta alternativa che individua nel 12 dicembre, anniversario dell'attentato di Piazza fontana, un'altra ricorrenza significativa attraverso cui, simbolicamente, si può rappresentare il ricordo delle vittime delle stragi terroristiche. Per noi Popolari-Udeur entrambe le date rivestono un altissimo valore simbolico. Ciò nonostante, siamo più favorevoli a quella del 9 maggio, perché rappresenta un avvenimento di grande importanza nella storia repubblicana, un momento in cui tutti gli italiani, tutti i partiti politici si sono ritrovati uniti nel condannare il terrorismo, di fronte alla punta massima dell'aggressività delle Brigate rosse. Tali unità e coesione hanno reso il paese forte nella lotta contro il fenomeno del terrorismo. Proprio per questo carattere simbolico di unità nazionale contro il terrorismo, noi Popolari-Udeur riteniamo che tale scelta sia largamente condivisibile. Non si tratta, infatti, di riconoscere un valore diverso agli eventi a seconda della loro connotazione ideologica o a seconda del numero di vittime che hanno causato, ma riteniamo necessario ed urgente, nell'ottica della lotta al terrorismo (che ancora oggi non si è conclusa) promuovere, stimolare e rinvigorire una coscienza civile e sociale che si sollevi indignata e respinga con forza qualunque atto di violenza gratuita.
Per tale motivo, è importante individuare una data che rappresenti non tanto le vittime ma, piuttosto, il principio (che ci spinge ad istituire un giorno della memoria) del rifiuto, della condanna totale e assoluta del terrorismo, della volontà civile e politica di opporvisi, sia da parte dello Stato e delle istituzioni, che da parte dei singoli cittadini.
In particolare, è alle giovani generazioni che deve rivolgersi la nostra attenzione. Dobbiamo insegnare loro i valori del rispetto, del pluralismo e della convivenza democratica. In questo senso, la giornata della memoria potrà rappresentare non solo un modo per non dimenticare ma anche un'occasione preziosa di formazione storica e civile.
Il provvedimento in esame va al di là delle opinioni e degli schieramenti politici, perché è volto a promuovere il radicamento di una memoria condivisa su fatti che riassumono i valori portanti della nostra società: in primo luogo, il diritto alla vita e il rispetto delle libertà riconosciute dalla nostra Costituzione.
È proprio in virtù di questi valori che crediamo sia stato possibile un importante dibattito, voluto da tutte le forze politiche con grande maturità politica, che ha condotto alla proposta di un provvedimento largamente condiviso, che non poteva che raccogliere un sostegno bipartisan e un auspicio altrettanto comune per una sua celere approvazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.

FRANCO RUSSO. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, conosciamo tutti il bellissimo volume sull'invenzione della tradizione Lo storico Hobsbawn, in maniera critica, sottolinea come le tradizioni - così come tutti i simboli della convivenza civile - vengono originate da una società per ritrovare i suoi valori


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condivisi, non dico deliberatamente, ma comunque artificialmente e magari per consuetudine. Vorrei dare però una lettura meno cinica del volume di Hobsbawn, cioè, non in termini di denuncia dell'elaborazione dei simboli in una società. Voglio darne infatti una lettura positiva nel senso che è giusto che una società, consapevolmente e attraverso le sue istituzioni, decida quali siano i valori, i simboli, le tradizioni, i punti di memoria da ricordare, da valutare positivamente e da sottoporre continuamente all'attenzione dei cittadini e delle cittadine. L'onorevole Boato ha parlato anche di una proliferazione dei giorni della memoria, ma al di là di questo è giusto secondo me che il Parlamento decida di istituire un giorno della memoria delle vittime del terrorismo a ricordo e a sanzione, da parte della collettività, di atti e periodi bui della nostra storia recente.
Su questo, il gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea non ha alcuna preclusione, non ha un atteggiamento negativo. Riteniamo pertanto utile che si istituisca un giorno della memoria per le vittime del terrorismo, affinché ci sia una trasmissione organizzata alle nuove generazioni dei drammi che la nostra società ha affrontato nel corso degli ultimi decenni.
È stato già ricordato, infatti, che le nuove generazioni molto spesso non sono immesse in un tessuto di ricordi tali per cui possano apprendere, valutare, formarsi un'opinione e quindi anche assumere un atteggiamento di ripulsa di modalità di azione che si consideravano politiche. Inoltre, dovremmo cercare di fare in modo che tale ripulsa valga soprattutto per il futuro e non rappresenti solo una condanna per il passato.
Quale motivo, quindi, spinge il gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea ad astenersi su questa proposta di legge approvata in prima lettura dal Senato? Non è l'istituzione del giorno della memoria, ma la data prescelta per tale giorno, il punto su cui occorrerebbe riflettere. Siccome si afferma sempre che la data dovrebbe essere oggetto di una memoria condivisa, è la scelta della data, appunto il giorno dell'uccisione del onorevole Aldo Moro, che ci spinge ad astenerci, e non certo perché non riteniamo che il sacrificio, l'omicidio e l'assassinio di Aldo Moro rappresenti un punto drammatico e tragico, non solo per la fine di una persona così significativa e importante per il nostro Paese e per le modalità, che peraltro non sono state soltanto della famiglia di Aldo Moro.
Vorrei a tal proposito aprire una parentesi. In queste tragedie, se c'è stato qualcosa di condiviso nel nostro Paese, è la dignità, il senso di rispetto per la vita altrui che ci è provenuto dalle famiglie cattoliche che hanno subito, e non solo loro, gli assassini dei loro cari. Io ricordo la famiglia di Aldo Moro, ma voglio ricordare anche il discorso commovente di Giovanni Bachelet, quando ricordò il suo papà, così come ci ha commosso sentire Olga D'Antona questa mattina. Ci è stata impartita una lezione di comprensione, non verso gli atti degli assassini, ma verso i peccatori. Se volessimo continuare con questa metafora cristiana, potremmo dire che abbiamo potuto constatare la capacità di andare oltre il male e di riproporsi in una posizione positiva.
Non so se l'onorevole Santelli volesse riferirsi a «Con gli occhi dell'occidente» di Joseph Conrad, quando ha sostenuto che il male c'è ed esiste. Probabilmente, ci riferiamo alla stessa lettura. Anch'io ho sempre apprezzato questa capacità di vedere, da parte di Conrad, che il male esiste, che gli atti violenti e cattivi possono essere commessi, anche deliberatamente.
Credo però che da queste tragedie il nostro Paese possa trarre quella grande lezione che risiede nel comprendere per andare avanti: è un comprendere che significa non già astenersi dal condannare, ma tentare di sanare il male che è stato inflitto ed aprire così nuovi orizzonti.
Non è questa la sede per discutere su come chiudere gli anni del terrorismo e il periodo buio dei decenni settanta, ottanta e novanta, ma dobbiamo avere la capacità di guardare avanti, ed è per questo che vogliamo istituire la giornata la memoria.


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Il punto è però capire che cosa condividere e se vi sia qualcosa da condividere. In questo senso, signor Presidente, mi sento di fare un'osservazione: quando elaboriamo dei simboli, come stiamo facendo oggi scegliendo la giornata della memoria, dobbiamo stare attenti a far sì che questa memoria non sia una memoria che esclude, una memoria, cioè, che sia incapace di offrire una possibilità di riflessione a tutti, compresi coloro che si sono macchiati dei delitti. La capacità di andare avanti e di aprirsi al futuro sta infatti proprio nella possibilità che la società dà a se stessa di riflettere.
Il problema dunque non è se condannare o meno chi ha perpetrato quegli omicidi, barbari soprattutto perché commessi contro persone indifese ed innocenti. È proprio questo che caratterizza infatti gli atti del terrorismo: che essi colpiscono indiscriminatamente e senza motivo (se mai possa esistere un motivo per togliere la vita a qualcuno!). In questo senso, condivido in pieno un'altra affermazione fatta questa mattina dall'onorevole D'Antona, che ha detto che non vi è nulla che possa giustificare atti di violenza. E non è un caso che noi di Rifondazione Comunista abbiamo assai accentuato una ricerca critica sulla non violenza e sulle ragioni che affermano la necessità di evitare la violenza, nella lotta politica come in quella sociale.
La violenza, infatti, non fa che ripetere se stessa; non fa che spingere verso il peggio, suscitando e promuovendo gli istinti più barbari che allignano purtroppo nella natura umana. Essere in società significa anche essere in grado di superare tali istinti e di vedere nell'altro non un nemico ma un avversario, qualcuno cioè con cui si dissente, ma con cui nel futuro si può trovare un consenso. Dare la morte, per contro, significa avere con l'altro un rapporto determinato in maniera eterna e immodificabile: le persone umane sono invece per fortuna modificabili, ed è proprio su questo che la società democratica si fonda, sul fatto cioè che ciascuno, anche il più diverso da noi, possa cambiare le proprie opinioni. Ciò vale anche per chi si è macchiato di misfatti e delitti terribili, che deve dunque poter ritrovare una propria collocazione all'interno della società.
Perché allora noi ci asteniamo? Perché sugli anni di piombo - a cominciare dalla strage di Piazza Fontana del 1969, ricordata questa mattina dall'onorevole Boato - noi diamo valutazioni diverse e letture differenti. Questo dovrebbe spingerci ancora di più a confrontarci, a pensare, a riflettere; ma è ben per questo che dovremmo scegliere una data che apra alla riflessione, che apra ad una pluralità di letture, che apra soprattutto al confronto fra le posizioni che ci hanno visti divisi nella nostra società.
Olga D'Antona ha ricordato una parola molto significativa, anzi ha usato un'espressione: «doppio Stato». Nel rileggere gli anni dal 1969 in poi dobbiamo verificare se un doppio Stato vi sia stato o meno.
Ancora, Olga D'Antona ha detto che noi dobbiamo trasmettere una memoria per difendere le istituzioni democratiche. Io vorrei precisare che le istituzioni democratiche si costruiscono, non sono qualcosa di dato, perché noi sappiamo, da Portella della Ginestra in poi, come anche le istituzioni abbiano avuto delle collusioni con riferimento agli atti di violenza e come la violenza sia stata utilizzata per bloccare l'evoluzione della nostra Repubblica. Vorrei ricordare - anche se entriamo in campi particolarmente delicati e quindi spero di non toccare dei tasti dolenti - che proprio l'onorevole Violante si è domandato, nel caso del sequestro del giornalista Mastrogiacomo, se era giusto o non giusto trattare, se era giusto o non giusto esaudire le richieste dei terroristi (anche se in questo caso parliamo di un avvenimento avvenuto fuori dei confini del nostro paese), insomma si è interrogato sull'atteggiamento della fermezza o non fermezza che occorre avere nei confronti dei ricatti del terrorismo.
Questo, infatti, dà anche la cifra di come le istituzioni si debbano atteggiare e vorrei ricordare il nostro atteggiamento nel caso del sequestro di Aldo Moro, che fu per tutta la mia generazione un punto


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di svolta drammatico, e non perché la stragrande maggioranza di quella generazione condividesse l'azione dei terroristi, anche di sinistra, rossi.
Noi fummo sconvolti nel 1974, quando ci fu il primo vero atto di terrorismo, il sequestro del giudice Sossi; capimmo immediatamente, infatti, che si era presa una strada senza ritorno, una strada buia che avrebbe compresso le lotte di democrazia e di avanzamento sociale, che invece avevano caratterizzato i movimenti di massa dal 1968 in poi.
Così come fummo colpiti dal sequestro Sossi, comprendendo il vicolo cieco in cui ci si andava ad infilare, così fummo colpiti dal sequestro dall'onorevole Moro e decidemmo con molta determinazione di scendere in piazza e di lanciare degli appelli, anche noi di sinistra, che stavamo nei movimenti e nei gruppi extraparlamentari, affinché l'onorevole Moro venisse rilasciato; ma quel che non condividemmo fu l'atteggiamento di fermezza, fu cioè questo chiamare lo Stato democratico ad un ruolo che non gli compete, secondo me, e che non rientra nei limiti della democrazia. Si volle mostrare, cioè, la faccia assoluta dello Stato, come se cedere al ricatto di un terrorista fosse mostrare la debolezza e non la forza di una società che in quel momento cede e successivamente sa articolare una risposta politica.
La lotta che fu ingaggiata non fu più una lotta politica, ma fu una lotta tra apparati militari e furono fatti tacere i movimenti di massa. Questo è un altro punto della memoria che noi dobbiamo assolutamente ricordare, questo fu uno dei danni drammatici causato dal terrorismo.
Noi dicemmo in quegli anni, in un gergo e con parole forse non gradevoli, che il ruolo avanguardistico di espropriazione che veniva svolto dai gruppi armati nei confronti della partecipazione degli operai, delle donne, dei giovani che in tutti quegli anni si erano mobilitati, era stato il dato più drammatico in termini sociali e di sviluppo della democrazia, insieme all'uccisione delle persone in carne e ossa. Gli anni settanta sono stati anni bui, gli anni del buio della Repubblica, ma sono stati anche gli anni in cui milioni e milioni di persone si sono mobilitate e hanno partecipato, e lo hanno fatto dentro una tenaglia che andava dal terrorismo alle attività repressive dello Stato, in una situazione militarizzata, in cui era difficile addirittura scendere in piazza.
Pure, in quegli anni si è scesi in piazza, appunto con la forza, per dire che non c'era solo la risposta armata dello Stato contro quella del terrorismo, ma anche la possibilità di sviluppare i movimenti di lotta, di suscitare una partecipazione.
Ricorderò sempre le assemblee all'università in cui, appunto, c'era il reclutamento da parte dei gruppi terroristi nelle assemblee del 1977, per far nomi e cognomi.
Eppure, essere presenti in quelle assemblee, contrastare il disegno terroristico e i disegni delle bande armate fu un atto di crescita democratica, perché non ci si limitava semplicemente a richiedere una risposta militare, che fu data ma senza i risultati sperati (oggi, infatti, come ancora ben sappiamo, continuano ad esserci vittime del terrorismo, sia pure in forma limitata, , e continuano ad essere alimentate nel nostro paese suggestioni della lotta armata, quindi, qualcosa nella trasmissione della cultura e del credo democratico non ha funzionato).
Ora, non voglio sostenere - perché sarebbe tesi ardita, ma potrebbe essere oggetto di un confronto - che, appunto, la risposta militare non ha risolto i problemi alla radice, i quali sono, appunto, la possibilità di dimostrare che, attraverso le lotte di massa, le lotte collettive e la non violenza è possibile trasformare la società.
Di fronte a chi si illude che con dei gesti forti, di violenza sia possibile abbattere lo Stato bisogna ricordare che non si tratta della «presa del potere» - non esiste, infatti, un cuore dello Stato, dal momento che lo Stato democratico consiste, appunto, di relazioni sociali, di istituzioni -, ma della necessità che queste istituzioni, queste relazioni sociali vadano cambiate, e non c'è la via breve per cambiarle.


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Abbiamo celebrato alcuni giorni fa la morte di Gramsci: la grande lezione di Gramsci consiste, appunto, nella lettura ricca ed intelligente di che cosa è lo Stato.
Lo Stato è, appunto, egemonia, diceva Gramsci, e dunque dobbiamo comprendere che solo attraverso la costruzione di egemonie democratiche e, quindi, trasformando molecolarmente la società è possibile avere altre relazioni sociali e altre strutture istituzionali.
Questo non siamo stati in grado di farlo, nessuno. Però, nel momento in cui, e chiudo signor Presidente, vogliamo stabilire un giorno in cui i giovani e tutte le persone della nostra società riflettano su quegli anni bui, dobbiamo avere la capacità di offrire la pluralità delle opzioni che erano davanti alla società italiana e che non sono state perseguite.
Aldo Moro è stato ucciso dai brigatisti rossi, loro è la colpa: nessuno li obbligava a effettuare quell'atto così efferato. Però, dobbiamo sempre interrogarci se i modi in cui la società rispose a quel sequestro e poi a quell'uccisione siano stati gli atti giusti.
Ritengo che ci fossero altre possibilità - e furono anche tentate -, ma noi, soprattutto per gli anni successivi, abbiamo ristretto il modo di crescita della società italiana, che deve essere, appunto, un modo di crescita delle istituzioni che si ispirano anch'esse alla non violenza.
Non a caso, lo stesso diritto penale si è evoluto in forme, appunto, umanitarie. Non a caso (e queste sono le risposte da dare ai fenomeni sociali), il brigatismo, così come il doppio-Stato, lo si può sconfiggere - e lo si è sconfitti - in termini semplicemente e totalmente politici, cioè ridefinendo le modalità in cui le istituzioni agiscono e i modi in cui anche le forze della trasformazione debbono utilizzare i metodi di lotta politica e non, appunto, i metodi violenti.
Questa è stata una crescita lenta, che ci ha anche educato. Ed è stata una crescita che ha riconosciuto - onorevoli colleghi, voglio qui affermarlo - che nell'album di famiglia della sinistra, il problema della violenza non era mai stato (e forse non è stato ancora) superato, così come da parte dello Stato ci vorranno ancora - se non vogliamo dire che sia già stato superato - anni ed anni affinché anche lo Stato nell'esercizio del suo monopolio della violenza ricorra a modalità, che non violino la dignità delle persone.
Si è trattato di anni bui, con 500 morti e migliaia di feriti: un terrorismo che è venuto sia da destra sia da sinistra e che ha ucciso le possibilità della trasformazione nel nostro paese. Per questo motivo, un giornale come Liberazione, ha voluto ricordare gli anni Settanta non solo nei suoi lati bui, ma anche nei suoi lati di capacità di lotta e di proposizione.
Onorevoli colleghi, in conclusione, l'assassinio di Aldo Moro fu per tutti noi un colpo durissimo ed è ciò che ci spinge tuttora ad ergere le barriere nei confronti del partito armato e a batterci contro i suoi reclutamenti. Tuttavia - condividiamo la proposta dell'onorevole Boato - sarebbe stato molto più giusto ricordare come giornata della memoria la strage di piazza Fontana, perché allora ebbe inizio quel periodo buio; essa avrebbe comportato la possibilità di rileggere continuamente e permanentemente, in quale modo il doppio Stato abbia agito nella nostra società e come da una risposta errata a quel doppio Stato siano scaturite anche le pulsioni del terrorismo di sinistra.
Voglio ricordare, infine, quelle migliaia e migliaia di persone che, fra il doppio Stato e il terrorismo di sinistra e di destra, ebbero la forza di scendere in piazza, quando ciò era vietato o perché si era infiltrati dal partito armato, mostrando che la via della lotta democratica era percorribile.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Naccarato. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO NACCARATO. Signor Presidente, la proposta di legge in discussione istituisce la celebrazione nazionale del giorno della memoria, per ricordare le vittime del terrorismo interno ed internazionale e delle stragi.
La data individuata (il 9 maggio, anniversario dell'uccisione di Aldo Moro) è


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appropriata e significativa. Infatti l'omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse rappresenta il fatto più grave e più clamoroso tra i crimini commessi dal terrorismo; inoltre segnò l'inizio di un enorme ed unitaria mobilitazione popolare contro il terrorismo e in difesa delle istituzioni democratiche.
Si tratta di un provvedimento atteso da anni da diverse associazioni e forze politiche e sindacali, in particolare dall'associazione italiana vittime del terrorismo.
È un provvedimento importante e positivo per le ragioni che proverò in sintesi ad elencare: innanzitutto la Repubblica decide e si impegna, attraverso il giorno della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi, a costruire una memoria storica condivisa, che oggi manca, che ricordi i crimini e i delitti commessi dei terroristi, il loro progetto eversivo e destabilizzante delle istituzioni democratiche.
Infatti è evidente che solo una memoria condivisa che condanni senza incertezze e ambiguità il terrorismo e i disegni eversivi che lo ispirarono può consentire ai principi e ai valori democratici alla base del nostro ordinamento e della Costituzione, di rafforzarsi e radicarsi tra le giovani generazioni.
Il giorno della memoria deve diventare l'occasione, come previsto nella proposta di legge, di promuovere incontri, manifestazioni pubbliche e momenti di riflessione per approfondire quei fatti e spiegare il progetto criminale assassino delle varie organizzazioni terroristiche e per raccontare le storie dei tanti servitori dello Stato che decisero di combattere con coraggio, per difendere la nostra democrazia. Inoltre, il giorno della memoria impedisce che il terrorismo venga rimosso e sia considerato una parentesi breve della nostra storia, una specie di imprevisto provocato da piccoli errori ed esagerazioni dettati da eccessi giovanili o da un generalizzato uso della violenza, una caratteristica questa tutta italiana. Spesso nel nostro Paese assistiamo sconcertati a lezioni di storia da parte di ex terroristi che hanno la pretesa e l'arroganza di provare ad imporre il loro punto di vista e la loro memoria su quei tragici eventi. Il presenzialismo, il protagonismo e il ruolo che alcuni «ex» svolgono da noi non hanno uguali in altri Paesi colpiti dal terrorismo. Così come è eccezionale, in negativo si intende, l'ansia di perdonare, reinserire e recuperare i teorici e gli autori di crimini atroci. Alle volte si ha quasi l'impressione che l'opinione pubblica sia più attenta ai carnefici, agli assassini, piuttosto che alle vittime e ai loro familiari.
Non possiamo non considerare che - altra anomalia italiana - nel nostro Paese, seppure in forme meno pericolose e diffuse che in passato, come dimostrano alcune recenti indagini di alcune procure della Repubblica, continuano a manifestarsi tentativi di riorganizzare e rimettere in funzione nuclei terroristici con finalità violente ed eversive. Questo accade anche perché non si è mai fatta piena chiarezza su alcuni episodi e su quell'area grigia di consensi, più o meno espliciti, che favorirono ideologie e gruppi eversivi.
Il «Giorno della memoria» può diventare lo strumento per affermare, divulgare e raccontare i fatti e le verità accertati in sede processuale e storica sul terrorismo e sui terroristi. In questo modo potranno dissolversi le ambiguità e i dubbi che ancora alimentano alcune aree di simpatia, di comprensione e di giustificazione verso quei crimini.
Infine c'è un'ultima considerazione da fare. La proposta di legge, dopo l'approvazione di un insieme di leggi volte a tutelare e assistere i familiari delle vittime del terrorismo, ricorda le vittime e riconosce loro il ruolo fondamentale che svolsero nel contrastare e sconfiggere il terrorismo. Si tratta di magistrati, appartenenti alle forze dell'ordine, professori, sindacalisti, avvocati: semplici cittadini che non si piegarono alle minacce e alle intimidazioni; che non accettarono, spesso andando contro corrente, i facili compromessi e la logica del disimpegno; che non si voltarono da una altra parte facendo finta di non vedere cosa stava accadendo.
Alcuni di questi cittadini sono morti per aver difeso lo Stato e le istituzioni che


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noi rappresentiamo. Altri furono picchiati, gambizzati, umiliati e derisi. È giusto ricordare che la nostra democrazia ha sconfitto il terrorismo grazie al sacrificio di queste persone, che devono dunque diventare esempi positivi da far conoscere per spiegare, soprattutto ai più giovani, l'importanza della democrazia e della libertà (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Tranfaglia, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, è sempre stimolante partecipare ai dibattiti in Assemblea perché emergono spunti che fanno poi comprendere come un progetto di legge, che dovrebbe trovare unità di consensi, invece non li trova in sede di dichiarazione di voto. Il collega Russo di Rifondazione Comunista ha motivato la sua astensione, non ho capito bene come, ma cercherò di interpretare. Inoltre dalle motivazioni si ricava che il testo - che naturalmente l'UDC condivide - viene poi sottoposto ad interpretazioni molto diverse. Ma del resto è la realtà che offre spunti diversi.
Vorrei ricordare al collega di Rifondazione Comunista un episodio chiaro e incontrovertibile: il linciaggio di tre carabinieri nel 2001, anche se forse non si tratta propriamente di terrorismo. Lasciamo da parte le giornate di Genova. In quel contesto c'era una camionetta dei carabinieri con tre carabinieri feriti e sanguinanti e c'era un gruppo di facinorosi, chiamiamoli così, che stava per linciarli. Il fatto non è avvenuto di notte, ma di giorno ed è stato ripreso da tutte le angolazioni da parte delle telecamere. Purtroppo in quella occasione uno di quei giovani ha perso la vita. Non ho dubbi nel dire che le vittime erano i carabinieri che stavano per essere linciati, ragazzi di leva che si trovavano lì per fare il loro dovere, e che gli aggressori erano quelli con il passamontagna che cercavano di colpirli con le spranghe e con un estintore. Però il gruppo di Rifondazione Comunista ha dedicato una sala del Senato non ai carabinieri che stavano per essere linciati, ma al giovane Carlo Giuliani che stava per linciarli.
Cito questo episodio per dire come nel 2007 forse non abbiamo ancora la consapevolezza, anche nel linguaggio, di quello che è accaduto in Italia negli ultimi cinquant'anni. L'onorevole Russo ha parlato di doppio Stato, di risposta militare al terrorismo nel nostro Paese; in questo modo continua a perpetuare una lettura a nostro avviso del tutto distorta e fuorviante di ciò che è accaduto in questo Paese.
Quale risposta militare è stata data in questo Paese? Ciò è accaduto forse in Argentina, forse in Cile, forse in Sudamerica; in Italia è stata data una risposta limpidamente democratica. Si tratta di un fenomeno che è costato la vita a centinaia di persone, di un terrorismo, sia di destra sia di sinistra, che ha colpito decine di magistrati, di giornalisti, di uomini politici, che è arrivato a colpire il cuore dello Stato con l'assassinio di Aldo Moro ed ha visto una risposta sicuramente non di repressione generalizzata, perché abbiamo convissuto in questi decenni così difficili in una piena democrazia, nel rispetto dei diritti umani, malgrado ci fosse un attacco così virulento del terrorismo.
Sulla vicenda del doppio Stato - prima era presente Gerardo Bianco, che è uno dei più anziani parlamentari (precede anche l'onorevole Castagnetti) e che ha una storia comune alla mia nella Democrazia Cristiana - dobbiamo dire una buona volta se Ugo La Malfa, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Emilio Colombo che è senatore a vita, Oscar Luigi Scalfaro, Cossiga erano complici del doppio Stato, se vi era una sorta di guerra civile, come riaffiora nell'interpretazione della sinistra, per cui da una parte vi era il terrorismo che rispondeva con la violenza alla repressione e dall'altra vi era un doppio Stato che voleva togliere la democrazia nel nostro paese. Chi? Quando? Come?
Ho visto tantissime vittime: ho visto Aldo Moro e la sua scorta pagare con la


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vita, nonché decine di esponenti politici colpiti. C'era chi faceva da bersaglio; pensate a Roberto Ruffilli, ucciso dalle Brigate rosse nel 1987, uno studioso di sistemi elettorali, un uomo buono, inerme. Passando ai casi più recenti, pensate ai sindacalisti, a D'Antona (poco fa è intervenuta la moglie in Assemblea), a Marco Biagi. Pensate a Casalegno, ai magistrati, a persone che hanno pagato con la vita il fatto di garantire la nostra libertà e la nostra democrazia.
Io non posso dimenticare che se oggi sono in questa sede, in un paese libero e democratico e posso parlare, lo devo al sacrificio di tutte queste persone, molte delle quali (come l'avvocato Croce a Torino) sapevano benissimo i rischi ai quali andavano incontro e li hanno affrontati inermi di fronte ad assassini vigliacchi che sparavano a persone disarmate. E li uccidevano proprio perchè disarmati ed inermi; perchè la vita umana non aveva nessun valore, perché bisognava colpire i simboli e tutto ciò con cui per anni ed anni ci hanno tentato di convincere parlando della rivoluzione impossibile.
Ancora oggi abbiamo una discrepanza, un comportamento collettivo sinceramente inaccettabile: chi ha pagato con la vita ha pagato per sempre. I familiari di chi è stato ucciso sopportano ancora la loro tragica condizione umana. Mi ha colpito il figlio di Lando Conti che ha parlato in una scuola del modenese dieci giorni fa ed ha illustrato le tragiche condizioni di isolamento dei familiari e ha citato - ma lo sappiamo tutti - la lista dei terroristi ed ex terroristi che sono in cattedra, pontificano, vengono assunti dalle regioni, dalle province, hanno incarichi per insegnare che cosa sia la legalità democratica ai familiari delle vittime, entrano in Parlamento, fanno i consulenti dei ministri, sono nominati nelle commissioni.
Qui si fa una confusione che credo non sia accettabile perché quando nella Costituzione si richiama il recupero e il reinserimento nella società del detenuto non si intende sostenere che colui che ha commesso gravi delitti debba andare a fare il leader politico o che chi è stato l'ideatore o l'esecutore materiale di crimini così efferati possa pensare di fare quello che non ha fatto padre Cristoforo. Nei Promessi Sposi vi è la bellissima pagina del perdono dei familiari del nobile ucciso da padre Cristoforo che si reca nel palazzotto del fratello della vittima a chiedere perdono. Ma padre Cristoforo si è fatto frate! Vi è andato in tonaca! Non è andato dicendo «io vengo qui per spiegarvi come si governa Milano e mi metto in concorrenza con voi».
Certo, il perdono cristiano è proprio di chi dovrebbe avere anche la consapevolezza che le sue azioni non sono finite nel momento in cui ha ucciso ed ha troncato per sempre la vita di una persona, e dovrebbe avere la consapevolezza delle ripercussioni sui familiari delle vittime in termini di umiliazione, rabbia, soprusi, ristrettezze economiche che quelle azioni hanno comportato.
In questo senso l'istituzione di una giornata della memoria assumerebbe il significato di un segno che, almeno dal punto di vista morale, potrebbe testimoniare alle famiglie delle vittime del terrorismo di destra, di sinistra, delle Brigate rosse e dei Nar, che lo Stato fa una differenza - la stessa differenza che dovrebbe essere ben viva nella collettività nazionale - tra coloro che hanno sacrificato la vita per assicurare a noi tutti il diritto a vivere liberamente e democraticamente e coloro che, invece, hanno perseguito lucidamente e follemente il disegno di abbattere uno Stato democratico, passando attraverso l'eliminazione fisica degli individui.
Questa è la cosa terribile, e a me sembra che in tante rievocazioni non ci sia la dimensione esatta di quello che è accaduto perché negli anni Settanta e Ottanta il consenso ai terroristi che sparavano era molto largo: se potevano organizzarsi ed uccidere era anche perché vi erano decine di migliaia, o forse centinaia di migliaia, di persone che, in cerchi concentrici - alcuni con responsabilità dirette, altri con responsabilità indirette - simpatizzavano con il terrorismo.


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Com'è possibile che nel nostro Paese vi sia ancora questo virus? Com'è possibile che ancora oggi vi sia qualcuno che nei cortei sfila sostenendo le Brigate rosse, i compagni che ancora una volta sbagliano, e che quindi, in qualche modo, ancora nel 2007 fiancheggia, se non praticamente, almeno idealmente, l'idea che con la violenza ed il disprezzo della vita umana si possano ottenere dei risultati?
Onorevoli colleghi, lasciamo da parte questa cialtroneria del doppio Stato. Ora io non intendo sostenere che in cinquant'anni di democrazia italiana non vi siano stati funzionari infedeli, collusioni, o complicità. La mano sul fuoco non ce la metto per nessuno, ci mancherebbe altro! Però se ricostruiamo le vicende, per esempio, dell'organizzazione composta di patrioti e di volontari che all'interno della NATO, nel dopoguerra, in caso d'invasione dall'Est avrebbe salvaguardato la nostra democrazia e la nostra libertà, ci troviamo di fronte ad un'organizzazione legittima che lavorava per lo Stato italiano, costituita prevalentemente da ex partigiani bianchi e che si muoveva nella legalità, anche se era coperta. Sicuramente non possiamo dire le stesse cose di quella traccia che viene dal 1945 o dal 1946. Ce l'hanno spiegato a Reggio Emilia i vari Franceschini e quelli che nel mito, del tutto sbagliato e fuorviante, di una Resistenza tradita, negli anni Sessanta o Settanta pensavano di riprendere una battaglia che nel 1945 era fallita, per fare con la violenza una nuova azione rivoluzionaria. È una follia. Non possiamo mettere sullo stesso piano, con la facile rievocazione di questo doppio Stato, chi ha combattuto lo Stato e chi lo Stato lo ha difeso; una classe democratica che per cinquant'anni ha garantito libertà e democrazia, con chi la libertà e la democrazia l'ha combattuta ed in maniera così efferata.
Credo, quindi, che questa proposta di legge sia importante e noi la voteremo con convinzione. Riteniamo, inoltre, che la data che è stata scelta come giorno della memoria sia una data emblematica e significativa, perché quando uno dei massimi leader di uno Stato democratico, che è stato coscienza storica e critica di un Paese per decenni, viene assassinato in maniera così brutale, volendo dare il segno di una delle tante vittime del terrorismo che ha colpito a tutti i livelli, Aldo Moro sia veramente quello che più di tutti può significare questo momento di riflessione collettiva. Consideriamo, però, questo anche un punto di partenza e speriamo che dal dibattito politico, almeno in Parlamento, vengano escluse le voci giustificazioniste di un certo tipo di passato, che in qualche modo legittimano anche le azioni violente, considerandole sbagliate tatticamente ma tali da mettere in discussione, con le armi, una repressione che veniva dall'altro e che richiamano in modo disinvolto una risposta militare che non vi è stata. In caso contrario rischiamo davvero che sul mito di uno Stato repressivo, che non c'è mai stato ieri e che non c'è neanche oggi, si costruiscano con le nuove generazioni altri episodi di violenza che speriamo tutti, per il futuro, non abbiano più a ripetersi (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), DCA- Democrazia Cristiana per le Autonomie- Partito Socialista-Nuovo PSI e del deputato Gerardo Bianco).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccioli. Ne ha facoltà.

CARLO CICCIOLI. Signor Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare l'onorevole D'Antona per l'intervento di questa mattina e per l'onestà intellettuale con cui ha ricostruito, nella loro tragica sequenza, le vicende di quegli anni lunghissimi, che apparivano non finire mai. A nome del gruppo, condivido questa proposta di legge, perché credo sia necessario costruire una memoria condivisa, ossia scrivere una ricostruzione che avvenga, da entrambe le parti, attraverso il libero pensiero: solo questo può riunire e permettere di costruire un futuro migliore.
Ciascuno ha la sua personale memoria del passato: io ricordo di essere stato giovane protagonista di quegli anni sui


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banchi del liceo e su quelli dell'università; non sono entrato nella tragica spirale della violenza assoluta, forse perché appartenevo ad una fascia generazionale lievemente più giovane rispetto ad altre. Ricordo, però, che, quando in Italia avveniva qualcosa che era attribuibile o presuntivamente attribuibile alla destra - anzi all'estrema destra o alla destra anarcoide (ricordo, ad esempio, il fenomeno dei nazi-maoisti) -, era un problema andare nelle aule e partecipare alle assemblee. Dopo il liceo mi iscrissi all'università a Roma - presso la facoltà di medicina - e, alla fine del primo anno, mi dovetti lanciare dal secondo piano dei laboratori di anatomia in via Borrelli: gruppi di estremisti con le spranghe in mano davano la caccia a me e ad un collega universitario, perché, qualche giorno prima, avevamo distribuito alcuni volantini del FUAN.
Ognuno, quindi, ha la sua memoria storica ed il suo ricordo. Per fortuna, però, quei tempi sono passati ed i fatti hanno cancellato opinioni che non solo erano discutibili, ma erano anche la premessa degli orrori che in seguito si sono verificati: credo sia un atto encomiabile di questo Parlamento il sentimento comune di comprendere quelle vicende e poi distaccarsene. Ritengo utile, quindi, la scelta di una giornata del ricordo: In proposito, l'onorevole Violante ha parlato di un ordine del giorno affinché nelle scuole si discuta di questo: soprattutto le nuove generazioni, che non hanno vissuto personalmente quegli avvenimenti, devono cercare di capire cosa sia successo e attraverso quali modalità molti giovani siano caduti in un tragico scenario, che alcuni - forse non giovani - avevano innescato. Con la mente rivolta ad allora, non mi pento di aver partecipato a movimenti giovanili della mia area politica, ma posso dire oggi, con maggiore maturità di giudizio, che alcune scelte, di contrapposizione frontale e di scontro assoluto, erano sicuramente sbagliate, sia da una parte che dall'altra. Per quanto riguarda la mia parte lo posso testimoniare: ho memoria storica che l'allora nostro leader, Giorgio Almirante, ebbe sempre parole assolutamente franche e di netta condanna per la violenza gratuita, che comunque si trascinava in una spirale senza fine e sempre più atroce.
Ritengo giusta la data del 9 maggio, legata alla memoria di Aldo Moro: altre date potevano avere un'interpretazione di parte e comunque sottolineare ed accentuare qualcosa di particolare, mentre l'assassinio di Moro rappresenta non solo la morte di un uomo, ma anche una finestra aperta su una vicenda e sul suo percorso.
Sono tra coloro che ritengono che il partito della fermezza sia un partito giusto, che arrendersi - come ci si è arresi nei mesi e negli anni precedenti - di fronte a chi pratica la violenza porti a violenze maggiori. Se vogliamo segnare una data in cui le Brigate Rosse e quel tipo di terrorismo raggiungono l'acme, il punto più alto, ma cominciano nel contempo la loro discesa, essa coincide proprio con la morte di Aldo Moro.
Mi sento di dire, quindi, che la scelta è ampiamente condivisibile e giusta, scevra da interpretazioni e opportunità di parte. Sono vicino e solidale con coloro che qualcuno ha nominato cittadini invisibili, poiché accanto ai grandi episodi - come quelli di Aldo Moro, dei giudici, di personaggi politici di primo piano - ci sono centinaia di persone di cui nessuno di noi, se non occasionalmente, ricorda nome e cognome, che per un errore o magari trovandosi un giorno per caso in un bar che è stato incendiato - come è successo a Torino - o perché semplicemente erano in una scuola sbagliata - come successe a Ramelli - hanno perso la vita, da giovani, senza conoscere fino in fondo il perché della loro sorte. Mi sento, quindi, di dire oggi che ci sono vittime innocenti sia a destra sia a sinistra, nonché tra persone che non avevano neanche scelto una collocazione politica, e che, come qualcuno ha detto stamattina, erano lì per caso.
Penso che queste pagine di storia della Repubblica debbano essere girate per sempre. Si tratta di pagine che non devono ripetersi e che, comunque, non devono più ritornare con quelle modalità.


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Con questo spirito, mi accingo ad esprimere un voto favorevole su questa proposta di legge, auspicando che non diventi poi strumentalizzabile, che non sia la bandiera di cui una parte politica voglia impossessarsi per scrivere la storia a senso unico, per negare vicende accadute. Questo Parlamento, nella scorsa legislatura, con grande dignità e fierezza, oltre che a larghissima maggioranza, ha reso visibile la triste vicenda delle foibe, di morti, vittime di una visione scellerata, che una parte rivendicava come proprie, ma che costituivano invece patrimonio comune dell'Italia e di tutti. Credo che con quello stesso spirito, il Parlamento dovrebbe ora approvare questa proposta di legge.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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