Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 56 del 20/10/2006


Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

La seduta comincia alle 10.

GIUSEPPE MORRONE, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Maroni e Mussi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono cinquantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza, con lettera in data 19 ottobre 2006, il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del regolamento, in sede referente, alla II Commissione (Giustizia):
S. 1013. «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, recante disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche» (Approvato dal Senato) (1838) - Parere delle Commissioni I, VII e IX.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del regolamento, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Su un lutto del deputato Michele Pisacane.

PRESIDENTE. Comunico che il giorno 19 ottobre 2006 il collega Michele Pisacane è stato colpito da un grave lutto: la perdita della moglie.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire al collega le espressioni della più sentita partecipazione al suo dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'intera Assemblea.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria (A.C. 1750) (ore 10,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria.
Ricordo che nella seduta del 10 ottobre 2006 sono state respinte le questioni pregiudiziali Maroni e Cota n. 1 ed Elio Vito ed altri n. 2.


Pag. 2

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1750)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la VI Commissione, onorevole Fincato, ha facoltà di svolgere la relazione.

LAURA FINCATO, Relatore per la VI Commissione. Cominciamo dalla notizia di oggi per introdurre questo disegno di legge di conversione del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, ossia dalla scarsa fiducia nella capacità del nostro paese di affrontare il problema del debito pubblico, che è diffusa, pericolosa e dannosa.
Prima di passare nel dettaglio all'esame del decreto-legge, ritengo sia opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale sulla manovra di bilancio per comprendere appieno lo spirito entro cui il nostro Governo ha inteso muoversi con questo primo atto fondamentale della legislatura.
Certo che il nostro paese è afflitto da seri problemi economici: il difetto di crescita di produttività, dovuto alla larga inefficienza nel settore pubblico; il declino della competitività; lo squilibrio dei conti pubblici; le sperequazioni distributive, con coesione sociale a forte rischio.
Il centrosinistra vuole affrontare questi problemi, dando il segno di un orientamento politico riformista, diverso da quello seguito dalla precedente maggioranza, che ha portato al declassamento del paese attraverso la sua inazione. Noi vogliamo agire attraverso il risanamento finanziario e la redistribuzione.
Sappiamo che il nostro paese deve tornare a crescere: se non si cresce occorre indebitarsi e, quindi, i conti peggiorano. Se non si produce ricchezza, non si distribuisce alcunché. Ma per crescere, occorre innanzitutto mettere a posto i conti pubblici.
Questo è il messaggio che cogliamo nel fatto, grave, che due agenzie di rating su tre hanno declassato il nostro paese.
Ed ecco i punti salienti della manovra con cui si reagisce a tale situazione: riportiamo definitivamente i conti pubblici dalla zona rossa alla zona di sicurezza, condizione necessaria per far ripartire la crescita dell'Italia; la spesa pubblica viene qualificata, attraverso i tagli necessari per renderla più efficiente e produttiva, e viene indirizzata verso sentieri di sviluppo e di equità; recuperiamo il terreno in termini di equità (l'Italia è il paese delle grandi e drammatiche differenze: il ceto medio guadagnerà e le famiglie avranno più reddito disponibile a fine mese); si redistribuisce il carico fiscale; si mettono in campo azioni concrete di contrasto ai fenomeni di evasione e di elusione fiscale.
Il paese ha bisogno di inversioni di rotta vere e proprie, che noi realizzeremo con la manovra di bilancio. Il rapporto tra deficit e PIL raggiungerà il 2,8 nel 2007. Il rapporto tra debito e PIL tornerà a diminuire nel 2007, dopo essere aumentato sia nel 2005 sia nel 2006. L'avanzo primario salirà al 2 per cento nel 2007 (da meno 0,3 di quest'anno, più 0,6 senza contare gli effetti della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee sulla detraibilità dell'IVA).
Il quadro economico generale del 2006 non è certo incoraggiante e la notizia di oggi non ci rende per niente contenti. Tuttavia, ne attribuiamo la responsabilità politica a chi ci ha preceduti. La spesa pubblica ha raggiunto i 734 miliardi di euro, risalendo sopra il PIL dopo molti anni. La pressione fiscale e contributiva è cresciuta, anche se è meno della metà della spesa, raggiungendo 608 miliardi, pari al 41,4 per cento del PIL.
Il gettito erariale è stato rivisto al rialzo rispetto al DPEF, come ha avuto modo di affermare il viceministro Visco, per riflettere il positivo andamento dei primi otto mesi dell'anno (periodo gennaio-agosto


Pag. 3

2006 rispetto allo stesso periodo del 2005): gettito IRPEF, più 6,4; IRES, più 20,2; IVA, più 9,3. Le stime di preconsuntivo si attestano sui 5,9 miliardi rispetto al DPEF (al netto degli effetti della sentenza in materia di IVA), ossia al 7,4 rispetto al 2005.
Nel 2006, il disavanzo dovrebbe salire, complice la sentenza della Corte di giustizia sulla detraibilità dell'IVA, a 71 miliardi, pari a 4,8. A ridurlo al 3,8, livello da cui muove ancora verso il basso, è stato il cosiddetto decreto Bersani, che produrrà, a regime, un miglioramento dell'ordine di mezzo punto di PIL, ai fini della correzione del saldo. Il cosiddetto decreto Visco lo ha ridotto di un altro 0,3. Sul residuo deficit del 3,8 opera l'effetto netto del disegno di legge finanziaria, che dovrà piegarlo, come ricordato, al 2,8.
Nonostante il miglioramento delle entrate, sostenute per il 2006 da misure una tantum (come la rivalutazione dei beni di impresa), permangono immutati alcuni fattori di rischio dei conti pubblici, quali gli sprechi, i contratti pubblici, il costo della politica, la previdenza, la sanità e la spesa locale. Il Governo si è concentrato sulla qualità dell'aggiustamento, sulla composizione tra maggiori entrate e minori spese. Sono stati avviati meccanismi virtuosi, che porteranno risparmi ed entrate crescenti nei prossimi anni. Da questo punto di vista, la finanziaria dimostrerà che agire sulla qualità è più difficile che agire sulla quantità del deficit. Freniamo e ristrutturiamo la spesa: solo così, dopo, ci sarà spazio per ridurre la pressione fiscale e per far risalire e partire la crescita. La spesa, quella improduttiva, che alimenta se stessa, è spostata verso impieghi produttivi, verso programmi sociali e settori sensibili quali l'ambiente, la cultura e le infrastrutture.
A fronte di una spesa primaria che non accenna a diminuire sensibilmente, come si è rilevato nel DPEF, l'intero miglioramento del deficit sarà imputato alle entrate, grazie all'incisività delle norme rivolte all'evasione fiscale ed all'elusione, che vanno interpretate come recuperi di efficienza della pubblica amministrazione.
L'evasione fiscale e contributiva, alimentata dalla politica dei condoni, ha assunto contorni preoccupanti. L'impegno del centrosinistra è nel senso che, nella misura e secondo i ritmi compatibili con l'aggiustamento della finanza pubblica, i risultati della lotta all'evasione andranno a restituire ai cittadini ed alle imprese il frutto del loro sacrificio. Non sarà varato alcun condono, mentre saranno potenziate le attività di accertamento e di controllo, nella consapevolezza che l'obiettivo è di raggiungere effetti permanenti: gli adempimenti spontanei dei contribuenti.
Siamo tutti consapevoli che per abbattere l'evasione e contrastare l'elusione fiscale non è sufficiente soltanto affidarsi alla via fiscale: occorre abbassare le aliquote e varare riforme strutturali che consentano alle imprese di competere nella legalità. Per fare questo, occorre, innanzitutto, recuperare il senso della legalità e di un Governo che non incoraggi l'evasione. Pagare tutti per pagare meno non è soltanto uno slogan, ma l'obiettivo reale che l'Unione si è dato e che raggiungerà nel corso di questa legislatura.
La manovra, complessa ma responsabile, viene affrontata anche attraverso il disegno di legge che abbiamo affrontato in Commissione e che costituisce l'inizio di un cammino - duro, anche per noi parlamentari - da affrontare.
Voglio e devo sottolineare, nell'ora cui affrontiamo questo primo provvedimento, che in Commissione tutti - lo sottolineo - i colleghi, ma soprattutto quelli dell'opposizione, hanno dato prova di grande responsabilità con un atteggiamento serio e costruttivo. Vi è stata una ovvia e dimostrata diversità ma, sui punti fondamentali, oltre al rispetto e al reciproco riconoscimento, vi sono state forme di collaborazione di cui la maggioranza ha davvero bisogno in momenti come questo. Vi sono state critiche ma anche suggerimenti, approfondimenti ed attenzione.
Ritengo, signor Presidente, gentili colleghi, che proprio nel rispetto di quel lavoro che è stato svolto in Commissione, che ha permesso a tutti i colleghi di valutare un testo complesso e difficile, noi


Pag. 4

possiamo, questa mattina, non solo dare atto del lavoro compiuto ma presentare all'Assemblea un provvedimento che è profondamente cambiato per il lavoro serio compiuto in Commissione da tutti, prima di tutto rispettando (anche questo non è un dato di novità bensì di serietà) i parametri dell'ammissibilità di molti emendamenti presentati.
Devo dare atto di un lavoro molto serio, non certamente fazioso o ideologico, che è stato compiuto in questo senso. Voglio ringraziare il presidente della Commissione bilancio in modo particolare perché ha fatto rispettare a tutti, ai colleghi della maggioranza così come a quelli dell'opposizione, questo criterio di serietà.
Il testo è profondamente mutato e i colleghi che vi hanno lavorato sanno che tali mutamenti sono stati positivi. Ci è stato dato atto di questo. Sono stati gli stessi colleghi che, a fronte di cambiamenti profondi in punti specifici del testo, hanno riconosciuto (se pure, ovviamente, non approvandone il contenuto, come credo che verrà ribadito nel corso delle loro relazioni di oggi), che un cambiamento c'è stato - in progress - valutando ciò positivamente.
Il testo è cambiato in punti qualificanti, peraltro quegli stessi punti - qui va dato atto di un mantenimento di coerenza da parte della maggioranza - che erano contenuti nel programma dell'Unione.
Mi riferisco, naturalmente, al caso - noto - delle successioni e delle donazioni. L'articolo 6 è stato profondamente cambiato nel corso del dibattito ed ha restituito non solo coerenza al programma dell'Unione ma anche giustizia alle aspettative dei nostri cittadini. Non solo, ma all'interno di quell'articolo è stato anche posto il tema di una recuperata efficienza e sicurezza in termini di trasporto pubblico.
L'articolo 12 - naturalmente, l'articolato è a disposizione dei colleghi - interviene profondamente sul regime delle concessioni. Il testo è stato oggetto di modificazioni tale da sopprimere alcuni articoli. Ritengo che in questo modo si sia restituita coerenza ad un decreto che vedeva una prima parte più propriamente fiscale - mi riferisco agli articoli dall'1 al 7 - mentre, più ampiamente, si attestava su punti diversi (dall'1 al 47) così come avveniva originariamente.
Il testo scritto è a disposizione di tutti i colleghi, di coloro che interverranno oggi come nei prossimi giorni, al fine di valutare più compiutamente i cambiamenti intervenuti (ciò vale, naturalmente, più per i colleghi dell'Assemblea che per quelli della Commissione, i quali hanno contribuito fortemente a questo lavoro migliorativo).

PRESIDENTE. L'onorevole Di Gioia, relatore per la V Commissione, ha facoltà di svolgere la relazione.

LELLO DI GIOIA, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, così come ha già ricordato la collega Fincato depositerò la parte di elencazione degli articoli previsti all'interno del decreto-legge che questa mattina stiamo discutendo.
Anche io, come la collega Fincato, vorrei ringraziare il presidente della Commissione bilancio, che ha avuto la capacità e la pazienza, anche in un momento di grande difficoltà, di portare avanti, con fermezza e disponibilità, l'esame di questo provvedimento. Nello stesso tempo, ringrazio vivamente i commissari dell'opposizione sia della Commissione bilancio sia della Commissione finanze, con il suo presidente. Essi hanno avuto grande senso di responsabilità e delle istituzioni nello svolgere il loro lavoro di opposizione, non condividendo molti aspetti del provvedimento; e proprio la loro responsabilità e il loro senso delle istituzioni hanno permesso di pervenire, questa mattina, alla definizione del testo in esame.
Di certo, oggi, nel corso del dibattito, molti rappresentanti dell'opposizione non si soffermeranno sul contenuto del provvedimento, ma affronteranno questioni di cui, questa mattina, abbiamo avuto notizia dai giornali e dalle televisioni, come quella relativa al declassamento del nostro paese da parte di alcune società di rating. Non voglio assolutamente sollevare polemiche,


Pag. 5

per carità. Ognuno di noi ha le proprie opinioni: l'opposizione di certo addebiterà questo declassamento al Governo in carica, come noi, d'altronde, potremmo e, sotto certi aspetti, dovremmo, addebitarlo, invece, alla politica economica e finanziaria del precedente Governo. Non mi soffermerò su questo punto, ma tenterò di fare un ragionamento tranquillo che consenta di mettere a nudo i problemi economici del nostro paese.
Abbiamo affrontato la manovra e il decreto, come ho già detto, con grande senso di responsabilità. La collega Frigato ha sottolineato i punti importanti e le modifiche di rilievo scaturite dalla discussione, seria e responsabile, svolta nelle Commissioni riunite, accennando anche alla revisione delle successioni e delle donazioni, e, con grande dovizia di particolari, ai problemi affrontati nell'articolo 12, davvero importanti per la nostra economia. Vi ricordo che abbiamo avuto notevoli difficoltà, negli anni passati, ad intervenire sulle grandi scelte di politica infrastrutturale e dei trasporti, politiche che incidono sulla crescita della competitività e dello sviluppo del nostro paese.
Certamente, quanto accaduto in questi giorni ci deve far riflettere, anche se tutte le società di rating tengono a sottolineare con grande dovizia di particolari che il nostro rapporto deficit-PIL non scenderà al di sotto del 3 per cento, ma sicuramente non salirà al di sopra di tale quota.
Ciò significa, in buona sostanza, che abbiamo sviluppato un'iniziativa economica e finanziaria all'interno del documento finanziario che presenteremo nei prossimi giorni: in Commissione bilancio è già definito un calendario relativo al dibattito e alle audizioni che si svolgeranno da cui si evince la grande disponibilità a discutere gli stessi articoli.
Quindi, se è vero che il nostro rapporto deficit-PIL si manterrà al 3 per cento, credo che avremo rispettato anche gli impegni che qualcun altro ha assunto e che vogliamo portare avanti con grande responsabilità, dignità e con grande considerazione degli accordi stipulati all'interno dell'Unione europea.
È certo che questo paese ha bisogno di riforme profonde e strutturali, che incidano sulla pubblica amministrazione: mi riferisco alla riforma delle pensioni, del sistema delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni.
Cari colleghi dell'opposizione, mi auguro che, comunque, si apra un dibattito giustamente non polemico, volto a sviluppare iniziative finalizzate a determinare maggiori possibilità di crescita e di competitività per il nostro paese. Avete sempre definito «liberali» la vostra linea politica, le vostre scelte politiche, in buona sostanza, la vostra posizione all'interno della Casa delle libertà ed il vostro Governo; un Governo che doveva affrontare i nodi e le difficoltà della politica economica e fiscale del nostro paese. Probabilmente, con le difficoltà che si sono determinate negli anni passati, mi pare che tali problemi non siano stati affrontati con grande determinazione da parte di una coalizione definitasi liberale e riformista.
Come ho detto, non sono stati affrontati i problemi delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni in settori importanti della nostra economia, in settori che possono determinare una condizione diversa per migliorare l'economia del paese e la finanza pubblica. Noi vogliamo affrontarli con grande responsabilità, con grande serietà e serenità. Non per niente, il programma che abbiamo presentato ai cittadini italiani, agli elettori, si incentra su alcuni punti: equità, rientro del debito ed una condizione di competitività e di produttività del nostro paese. Andremo avanti su questa strada: abbiamo iniziato con il cosiddetto decreto Bersani, contestato da parte dell'opposizione. Ma il dato certo è che questo provvedimento ha dato inizio ad un processo vero, trasformando un paese di privilegi da corporazione in un paese che dovrà affrontare le sfide che nei prossimi anni avremo di fronte; un Governo che si impegnerà e che ha già iniziato quel processo di innovazione che dovrà portare alla ripresa economica ed alla riduzione del debito pubblico. Credo


Pag. 6

che questi aspetti siano importanti, ed evidenzino le scelte che il Governo intende realizzare.
Cari colleghi dell'opposizione, non potete continuare a dirci che la riforma dell'IRPEF è stata condizionata da scelte radicali della sinistra. Non è così, in quanto la riforma dell'IRPEF deriva da una necessità. Negli anni passati sono stati tolti i soldi a coloro che avevano difficoltà economiche, si è fatto in modo che la povertà aumentasse e che il ceto medio perdesse la sua configurazione, avviandosi lentamente verso una situazione di povertà relativa. Pertanto, abbiamo dovuto riformare il sistema dell'IRPEF.
Occorre inoltre ricordare che non è stato restituito ai cittadini italiani il fiscal drag, misura che era stata approvata in quest'aula per poi essere bloccata al Senato per oggettive difficoltà politiche dell'opposizione. Vi era dunque la necessità di una ridistribuzione del reddito, che abbiamo realizzato non perché vi fosse stata una politica di imposizione da parte della sinistra radicale, ma in quanto sussistono esigenze oggettive delle persone che soffrono.
In ordine alla problematica dei consumi, partiamo dall'idea che sia necessario abbattere la pressione fiscale che grava sui lavoratori e sui ceti medi, che ormai si stanno avvicinando ad una situazione di povertà relativa. Infatti, è proprio in quelle parti della nostra società che vi è la possibilità di aumentare i consumi, com'è avvenuto nell'ultimo periodo, caratterizzato anche da una ripresa delle esportazioni a livello internazionale. Una ripresa che sarà garantita dalla previsione, nella legge finanziaria, dell'abbattimento del costo del lavoro attraverso il cuneo fiscale.
Si tratta di un cuneo fiscale, che interviene sulle aziende e sulla gente che lavora.
Questi sono dunque alcuni aspetti economici e finanziari, dei quali discuteremo con dovizia di particolari all'interno della manovra finanziaria, che affronteremo nel prossimo futuro. Ancora una volta voglio ringraziare sia il presidente della nostra Commissione, sia i colleghi dell'opposizione per la loro serietà ed il loro senso di responsabilità, che sicuramente dimostreranno nella discussione sul disegno di legge finanziaria. Abbiamo infatti bisogno di affrontare con determinazione e con il senso delle istituzioni, che avete dimostrato nella discussione di questo decreto, i problemi del paese. Credo si possano affrontare insieme questi problemi, pur restando nei reciproci ruoli politici di opposizione e maggioranza. Penso che possiamo farcela. Il nostro paese affronterà le prossime sfide e alla fine raggiungeremo quegli obiettivi che ci siamo prefissati.
Per le altre parti descrittive del provvedimento in discussione rimando al testo della relazione, che come già anticipato dalla collega Fincato, lasceremo agli atti (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).

PRESIDENTE. La Presidenza autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna del testo integrale della relazione dei deputati Di Gioia e Fincato.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

NICOLA SARTOR, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zorzato.
Cominciamo dunque questa lunga e interessante «maratona». Confido moltissimo nel buon cuore di tutti i colleghi iscritti a parlare. Nessuno ridurrà le loro prerogative, né la durata dei loro interventi; tuttavia, se tutti ci aiutiamo, forse riusciremo a rendere più proficui i nostri lavori.
Prego, onorevole Zorzato, ha facoltà di parlare.

MARINO ZORZATO. La ringrazio, Presidente, e ringrazio anche i colleghi che con me questa mattina interverranno nella


Pag. 7

discussione sul provvedimento. Intanto aprirò, e poi chiuderò, con una riflessione su un argomento che mi preme: il ruolo del Parlamento. Come hanno sostenuto i relatori, il Parlamento ha dimostrato in Commissione, pure in ruoli diversi di maggioranza e opposizione, che ha il diritto- dovere di lavorare. Dunque io apro, e poi chiuderò, il mio intervento chiedendo alla Presidenza della Camera che questo tipo di ruolo venga garantito e che la posizione della questione di fiducia di cui in questi giorni parlano i giornali sia evitata, per il rispetto del nostro ruolo, così come ha affermato anche il Presidente Napolitano.
Il Documento di programmazione economico-finanziaria, la Visco-Bersani, il decreto-legge che oggi esaminiamo e la finanziaria, che ormai è oggetto di discussione sia nei luoghi deputati, sia fuori da questi, sono di fatto un tutt'uno, per cui è difficile parlare dell'uno senza intrecciarlo con gli altri. Quando in quest'aula abbiamo esaminato il Documento di programmazione economico-finanziaria, nel confronto tra maggioranza e opposizione sono emerse con forza due visioni di politica economica e sociale, che peraltro erano già emerse con forza, mostrando la loro diversità, nella scorsa campagna elettorale.
Soprattutto però, sia all'interno delle aule parlamentari, deputate a questo confronto, sia in quelle che ormai sono diventate le aule vere del confronto politico - i giornali e i salotti televisivi -, nel dibattito che fino ad oggi abbiamo avuto sono emerse fortissime, direi violente, le contraddizioni che la maggioranza ha al suo interno. È forse per questo che, nel depositare il Documento di programmazione economico-finanziaria, il ministro ha dovuto di fatto essere generico e indeterminato. D'altra parte, quando la tua maggioranza non riesce a trovare una sintesi, quando la tua maggioranza litiga, non hai alternative. Voglio però partire da alcune considerazioni svolte dal ministro Padoa Schioppa nel corso delle audizioni parlamentari. Devo dire che almeno alcune di tali considerazioni hanno mostrato la sua onestà intellettuale. Egli ha dichiarato in Commissione che l'ultima legge finanziaria del ministro Tremonti era buona ed è un buon punto di partenza per lavorare in questi cinque anni. Mi domando come ciò si concili con le critiche, che già ieri sera e poi questa mattina, la maggioranza esprime, in difesa di se stessa, affermando che il declassamento è colpa del Governo Berlusconi. Non riesco a comprendere come si concili la valutazione compiuta dal ministro in Commissione con queste nuove considerazioni.
Il ministro, sempre nelle sue dichiarazioni in Commissione e negli atti formali depositati, ha riconosciuto finalmente, dopo anni di mistificazioni, che nei nostri cinque anni di Governo abbiamo aumentato la spesa sociale dal 22 al 23,7 per cento e che la spesa sanitaria è passata dal 5,8 al 6,7 per cento del PIL. Devo sottolineare un suo passaggio che ha messo in difficoltà alcuni colleghi della maggioranza, quando egli ha detto che il modello da seguire per la sanità è quello delle regioni del nord, citando Veneto, Lombardia e anche Emilia-Romagna. Questo, per chi oggi sta governando molte regioni, ha rappresentato uno stimolo al nostro modo di governare. Egli ha riconosciuto che la spesa per l'istruzione e l'università è nella media europea e che il problema è che la nostra scuola non funziona perché spende molto e produce studenti di bassa qualità. Rispetto a queste valutazioni, non ho ancora capito quale sia la ratio alla base del blocco della riforma Moratti; teniamo il modello che abbiamo ora pur ammettendo che non funziona. Il ministro ha detto che il rapporto addetti-cittadini nel comparto della sicurezza è il più alto d'Europa, che gli investimenti al sud in questi anni sono costantemente aumentati, che gli investimenti nella ricerca sono in media con quelli europei.
Nelle proposte recate dai quattro provvedimenti economici del centrosinistra, di cui abbiamo iniziato la discussione, abbiamo aumenti di tasse, aumento di burocrazia, e vediamo che si torna ad aumentare la centralizzazione dello Stato. Quando penso che la parola federalismo ci ha riempito la bocca nel dibattito su quale


Pag. 8

fosse il modello migliore e considerato che gli atti che esaminiamo portano al centro le decisioni, allora non comprendo l'incoerenza!
La prima cosa che fa il centrosinistra è bloccare le riforme che noi abbiamo varato, la riforma Moratti e quella del lavoro in particolare. Si torna a parlare del sud come di un'area assistita e non come di una risorsa per il sistema paese. Gli italiani, tutti, sono diventati incalliti evasori. La lotta di classe, cancellata dalla storia, viene reintrodotta per legge. Se è così, c'è qualcosa non va! I vostri primi atti sono in totale dispregio delle promesse elettorali, almeno di quelle esternate, salvo indurci il dubbio che invece stiate pagando pegno a coloro che hanno finanziato le primarie. Mi riferisco alla grande finanza, alle cooperative, ai banchieri, agli imprenditori assistiti, non a quelli normali. Nella traccia del vostro DNA politico si legge evidente la vostra componente massimalista, in particolare per la voglia che si vede nei vostri provvedimenti di colpire le classi medie.
Di fatto sbagliate, perché l'aumento di due punti della pressione fiscale, che nel vostro intento doveva colpire i professionisti, gli artigiani e i commercianti, nella realtà colpisce il 90 per cento degli italiani. Avete fatto anche male i conti! La vostra voglia era quella di colpevolizzare queste categorie quasi per dar conto al luogo comune che costoro sono politicamente più vicini a noi. Ma cosa hanno fatto? Devono dichiarare pubblicamente che non ci votano?
Chi ha letto la sequenza dei vostri provvedimenti economici - il decreto Visco-Bersani, il decreto fiscale oggi in discussione, la legge finanziaria - percepisce quello che io chiamo odio di classe, che sembra una vendetta sociale. Questi sono i provvedimenti della concertazione al contrario, parola che piace a voi.
Prima si decreta, poi si comunica a mezzo stampa il provvedimento agli interessati; sottolineo che si comunica a mezzo stampa perché arriva prima l'agenzia. Successivamente, si fanno i tavoli riservati con Montezemolo, Epifani, Bonanni ed Angeletti per concordare con loro le false polemiche e far finta di non essere del tutto d'accordo. Queste false polemiche finiscono sui giornali, si rivedono sempre gli stessi quattro - gli altri non esistono - e finite per uscire a braccetto, quasi che nulla sia successo, come ieri sera.
Tornando alla manovra economica ed al decreto che stiamo esaminando, i numeri dell'intervento finanziario «ballano»: non siamo a Ballarò ma ci sembra di essere in sala da ballo. I numeri ballano in modo caotico, controverso, e questo ha un impatto nefasto sulla psicologia degli italiani e, quello che è peggio, sui mercati e quindi sul tessuto socio-economico e produttivo del paese. Rileggere quanto accaduto ieri e minimizzare come ha fatto Prodi, è al limite dell'irresponsabilità politica. Ma avete visto il balletto delle cifre, le incertezze del Governo, le liti dei ministri, i distinguo della maggioranza, il disordine che regna sovrano? Tutto questo ha certamente influito sullo stato d'animo degli italiani, come risulta evidente dai sondaggi accettati anche da voi, che ormai mostrano una totale sfiducia in questi governanti ed una voglia vera di cambiare.
Gli italiani hanno capito che questa manovra economica - immotivata nella dimensione, confusa nella proposta, imperniata sugli aumenti - toglie all'Italia produttiva l'ossigeno necessario allo sviluppo. Essa non interviene con i tagli necessari sugli sprechi in uno Stato che resta burocratico, faraonico e centralista. Essa applica un aumento di pressione fiscale e disperde in mille rivoli che nessuno controlla le risorse che ricava da questa massiccia tassazione.
Non c'è rilancio, non c'è crescita, non ci sono tagli, ma solo centralizzazione. Il federalismo da voi immaginato è solo aumento di tasse locali: salvo Veltroni, tutti gli altri piangono. I soldi sottratti senza motivazione a tutti i cittadini - a tutti i cittadini - vengono dispersi in mille canali e mille rivoli solo per assecondare i singoli ministri, secondo il rituale della peggiore prima Repubblica. Stiamo tornando indietro; l'orologio ha invertito la


Pag. 9

direzione del tempo e delle lancette. I timidi segnali di ripresa del sistema Italia, che tutti hanno visto, vengono repressi sul nascere.
Il decreto-legge al nostro esame, così come il noto Visco-Bersani, è imperniato su una sola cosa: tasse, tasse, tasse! A voi piacciono le tasche dei cittadini. Vi ricordate le promesse elettorali? Il motivo ricorrente era che non sarebbero state aumentate le tasse; era anche il vostro motivo, non solo il nostro. Ecco la vostra risposta: aumentate le imposte ipotecarie; aumentate le imposte di registro; aumentate gli estimi catastali e quindi le tasse sulla casa, dirette ed indirette. Ovviamente aumenterà l'ICI; ovviamente aumenterà la tassa sui rifiuti. Reintroducete la tassa di successione; reintroducete la tassa di donazione; obbligate tutti a stipulare l'assicurazione sugli immobili contro le calamità naturali, quasi fosse colpa dei cittadini. Aumentano l'IRES e l'IRPEF per tutti; aumentano le tasse per le piccole imprese e per l'agricoltura. Mi fermo, perché altrimenti la lista dovrebbe continuare per oltre 40 o 50 punti. Inoltre, tralascio gli interventi che sia nel decreto sia nella legge finanziaria sono stati inseriti - non si sono mai visti così tanti articoli - e che nulla hanno a che fare con la materia, ma che rispondono alle pressioni dei ministri per la loro lista della spesa. Rispondono a quella che voi chiamate «concertazione» e che si fa nei salotti della vostra politica.
Aprendo una parentesi, affronto un capitolo che poi qualche collega tratterà, ovvero quello della gestione delle concessioni autostradali, dove avreste dovuto sciogliere il nodo Benetton-Albertis.
E sbugiardando in diretta Di Pietro, avete, in qualche modo, risposto alle sollecitazioni di Zapatero, quando Prodi ha abbassato la testa, ma non è questo il tema. Il tema è che in quell'articolo avete reintrodotto un centralismo sovietico nella gestione del sistema delle autostrade, riportando in capo all'ANAS tutti i poteri. L'ANAS è un carrozzone e voi lo state riattivando! Gli ridate benzina! Quale federalismo! Quale potere alle regioni! Quale potere agli enti locali!
Riportate in capo all'ANAS tutti i poteri e ciò - scusate se è poco grave! - a discapito dell'interesse dei cittadini che hanno in mente solo due cose: la sicurezza nelle strade e tariffe più basse! E voi prevedete nuovamente i carrozzoni!
Cari colleghi (mi rivolgo, soprattutto, ai colleghi di maggioranza), vi invito ad una riflessione: guardatevi attorno! Sono scesi in piazza migliaia di professionisti che mai avevano manifestato in questo modo! Nel corso delle audizioni tutti gli auditi hanno pesantemente contestato i vostri provvedimenti di bilancio. Le categorie sono in agitazione! Gli enti locali, i sindaci, i presidenti di provincia, salvo due o tre che in qualche modo sono organici al vostro Governo, minacciano di portare le chiavi dei municipi in Parlamento!
Il Governatore della Banca d'Italia vi ha detto che nulla di strutturale è contenuto in questo disegno di legge finanziaria! I cittadini non sono più con voi! Vi prego, e mi rivolgo soprattutto alla maggioranza: sotterrate l'ascia di guerra! Visto che vi definite pacifisti, cercate la pace sociale! Riscrivete la finanziaria! Fatela per i cittadini, non per i ministri, e dite ad Epifani che non spetta a lui dettarla, perché non è suo compito! Difenda il ruolo che ricopre, ma non si intrometta in materie che non gli competono! Non può dettare la finanziaria (è una sua dichiarazione).
Come affermato anche dalla collega relatrice, si è sconcertati dalla lettura quotidiana dei giornali e di quelli di oggi in particolare. Vi ricordo i titoli di alcuni giornali che certamente non sono dalla parte nostra. La Stampa di oggi: «Bocciata l'Italia, troppi sprechi»; la Repubblica: «Conti: l'Italia declassata»; Corriere della sera: «L'Italia declassata per i conti pubblici». Allora, forse, è opportuno un momento di riflessione.
Ci vuole un'assunzione di responsabilità! Non raccontate finte storie, dicendo che è colpa degli altri! I conti pubblici vengono bocciati. Questi conti pubblici,


Pag. 10

questa finanziaria, questo decreto, questi provvedimenti portano al declassamento! Guardatevi in casa!
L'opposizione in Commissione ha mostrato senso dello Stato e ciò ci è stato riconosciuto. Continueremo a farlo, ma abbiate rispetto del lavoro parlamentare! Solo i vili scappano dal confronto e se anche in questo difficile momento per il sistema Italia vi rifugerete ponendo la questione di fiducia, allora abbiate l'onestà di ammettere che non siete in grado di governare e traetene le conseguenze!
Governare è un dovere per la maggioranza, governare contro la maggioranza degli italiani è un atto contro la democrazia (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iacomino. Ne ha facoltà.

SALVATORE IACOMINO. Signor Presidente, signori colleghi, signore colleghe, signori rappresentanti del Governo, il decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria costituisce il primo atto della complessa manovra di riequilibrio dei conti pubblici e di sviluppo dell'economia che trova la sua più alta espressione nella legge finanziaria per il 2007.
L'incisiva manovra messa in piedi dal Governo in materia di accertamento, riscossione e contrasto all'evasione ed elusione fiscale ha suscitato, sin dai primi provvedimenti del luglio scorso, notevoli mugugni e proteste da parte delle categorie interessate, cui ben si adatterebbe il vecchio motto di Luigi Einaudi, secondo cui chi, in realtà, non paga imposta, grida sopra ogni altro, perché egli è convinto di pagare più di ogni altro!
La manovra riguarda disposizioni in materia di accertamento, riscossione, contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, in materia di base imponibile, agricoltura e catasto, in materia di trasferimenti di beni e di diritti; misure a favore dello sviluppo, dell'efficienza energetica e della sostenibilità ambientale; disposizioni in materia di infrastrutture, di beni culturali e tutela dell'ambiente, in materia di lavoro, in materia di editoria e comunicazioni, in materia di università, oltre che misure destinate alla razionalizzazione e alla funzionalità del settore pubblico.
Gli effetti finanziari del provvedimento in esame si potrebbero riassumere, in termini di cassa e di competenza, in maggiori entrate pari a 4.010 milioni euro per il 2007, 3.680 milioni di euro per il 2008, 3.947 milioni di euro per il 2009, con effetti sui saldi per 3.970 milioni di euro per il 2007, 3.625 milioni per il 2008 e 3.844 milioni di euro per il 2009. L'impatto di questo provvedimento, in termini di maggiori entrate, è imputabile per 972 milioni di euro alle disposizioni in materia di accertamento e contrasto all'evasione ed all'elusione fiscale, per 1.200 milioni di euro alle misure in materia di riscossione, per 1.523 milioni di euro al recupero della base imponibile, per 89 milioni di euro alle disposizioni in materia di agricoltura (aggiornamento del catasto terreni) e per 241 milioni di euro alle disposizioni in materia di successioni e donazioni.
L'elevata evasione fiscale che caratterizza il nostro paese rende difficile a livello macro-economico il conseguimento del pareggio di bilancio pubblico, con notevole impatto anche sull'accumulazione di debito pubblico. In uno studio effettuato circa dieci anni fa - Evasione e debito, di Alberto Alesina e Mauro Marè in Andrea Monorchio, La Finanza Pubblica Italiana dopo la svolta del 1992 - è stato calcolato che se l'evasione fiscale in Italia fosse stata pari, ad esempio, al livello statunitense il debito pubblico del nostro paese sarebbe stato molto più basso e l'aggiustamento fiscale, necessario per riequilibrare la finanza pubblica, sarebbe stato di conseguenza meno difficile.
Secondo gli ultimi dati disponibili, nel nostro paese in media ogni anno si evade per circa il 15 per cento del PIL. A questo riguardo, solo per citare alcune cifre, secondo l'ISTAT il valore aggiunto sommerso prodotto dai fenomeni evasivi in senso stretto rappresenterebbe il 7,1 per cento del PIL, cui si aggiungerebbe l'8,2 per cento derivante dal lavoro irregolare. Un


Pag. 11

valore che apparirebbe sottostimato rispetto ai dati diffusi a maggio del 2004 dalle agenzie delle entrate, che indicavano complessivamente in 200 miliardi di euro il giro di affari sottratto al fisco, vale a dire 46 euro occultati ogni 100 dichiarati.
L'evasione fiscale sarebbe concentrata nei settori dei servizi alle imprese e alle famiglie e nel commercio; sussistono poi una serie di fattori legati sia alla evoluzione del sistema economico, come ad esempio la crescita di peso di settori dove il sommerso e l'evasione sono più elevati (servizi ed edilizia), sia ad altri fenomeni posti in rilievo dalle indagini svolte dalla Guardia di finanza come, ad esempio, l'aumento dell'uso del contante soprattutto da parte di lavoratori autonomi e la diminuzione del rilascio di ricevute e scontrini. Tutto ciò concorre a far ritenere che le evasioni fiscali siano non solo molto elevate ma anche aumentate negli ultimi anni. L'ultimo rapporto della Guardia di finanza del marzo del 2006 confermerebbe la gravità del fenomeno. Le ultime stime evidenziano che l'ammontare di imposte evase ed erose è sicuramente maggiore del disavanzo totale del settore statale. Chiaramente è impossibile pensare di poter recuperare tutta l'evasione.
Un'indicazione dell'importanza del livello di evasione in Italia può venire dal confronto operato dallo studio prima citato con i livelli di evasione registrati negli altri paesi occidentali. Se dal 1970 in poi gli italiani avessero evaso le imposte tanto quanto i cittadini americani, il debito pubblico in Italia negli anni Novanta sarebbe stato di poco superiore all'80 per cento del PIL invece che quasi del 120 per cento. Se avessero evaso quanto gli inglesi, il debito pubblico sarebbe stato nello stesso periodo appena superiore al 60 per cento del PIL, cioè circa come il limite previsto dal Trattato di Maastricht.
L'evasione fiscale è un problema atavico nel nostro paese, se Ernesto Rossi già in un articolo dall'eloquente titolo «Gli ultimi filibustieri», apparso su Il Mondo del 28 luglio 1951, poteva osservare che il pagare le imposte è cosa assurda, contraria a tutte le tradizioni del nostro paese. In confronto agli altri Stati europei, lo Stato italiano ha sempre avuto la minore percentuale di entrate per imposte dirette, pagate dai ricchi, e la maggiore percentuale di imposte sui consumi, pagate dai poveri. Secondo quanto ha dichiarato lo stesso Vanoni, il 14 luglio a Torino - continua Rossi - i redditi dei professionisti della categoria C1 della ricchezza mobile corrispondono a un ventesimo e a un trentesimo del reddito reale. I redditi attuali medi nazionali accertati per la categoria C1, ha detto il ministro, sono di lire 70 mila annue. Per il fisco, cioè, il professionista medio può vivere in Italia con la famiglia spendendo meno di 6 mila lire al mese, una parsimonia veramente esemplare anche per un coolie cinese! Le considerazioni di Rossi sembrano dettate dall'attualità che stiamo vivendo e non datate agli anni Cinquanta.
Il problema dell'evasione fiscale è la fortissima priorità che si è dato questo Governo, quale impegno scritto nel programma dell'Unione e sottoscritto dai cittadini con il voto di aprile. La profonda riforma del paese, nella quale è impegnato il Governo dell'Unione, implica una riscrittura del patto di cittadinanza che, nelle democrazie, è centrato sul patto fiscale tra Stato e cittadini. L'evasione fiscale va combattuta sul terreno dei diritti di cittadinanza, dello Stato di diritto, prima ancora che su quello del risanamento della finanza pubblica, ricostruendo alla base il labilissimo senso dello Stato evidenziato dai cittadini contribuenti. Tuttavia, si sbaglierebbe se si considerasse l'evasione fiscale soltanto una manifestazione della fragile etica pubblica che storicamente contraddistingue l'Italia, con l'effetto di nefaste politiche redistributive realizzate dalle forze politiche conservatrici. Certamente, l'evasione fiscale è anche questo, e va combattuta con efficaci mezzi di contrasto e di controllo, provando a convincere la maggioranza dei contribuenti della necessità di farlo, poiché l'evasione crea ingiustizie distributive ed ha effetti distorsivi sull'allocazione delle risorse.
Tutto ciò è necessario, ma non basta, in quanto in Italia l'evasione fiscale è anche


Pag. 12

il frutto del compromesso al ribasso tra lo Stato ed il cittadino contribuente, uno Stato che si accontenta di poco da chi può nascondere in parte o per intero il reddito, perché dà poco: poche tasse in cambio di pochi servizi e poche infrastrutture, mediamente di scarsa qualità. L'evasione e l'elusione fiscale vengono anche praticate quale risposta alle carenze amministrative ed ambientali, come ribellismo nei confronti di uno Stato rapace ed inefficiente. Esse sono, inoltre, frutto di un apparato produttivo pulviscolare, composto da un numero abnorme di micro-imprese rispetto ai paesi più avanzati, con 8 milioni di partite IVA, contro i 3 milioni e mezzo della Francia o il milione e 700 mila della Germania, inadeguate in termini di struttura gestionale e finanziaria, che ricorrono all'evasione ed all'elusione per sostenere la produzione e l'occupazione - spesso precaria - in unità produttive altrimenti incapaci di sopravvivere.
Per ridurre l'evasione e l'elusione fiscale ai livelli fisiologici presenti negli altri paesi europei o negli Stati Uniti, si devono aggredire anche carenze ed inefficienze del settore pubblico e del settore privato mediante politiche per la regolazione concorrenziale dei mercati, per la crescita dimensionale delle imprese, per la ricerca tecnologica e l'innovazione, per l'ammodernamento dei servizi professionali e delle imprese, per la realizzazione di infrastrutture di qualità, per la riforma della pubblica amministrazione, per il contenimento e la riallocazione della spesa pubblica centrale e locale, scommettendo, in estrema sintesi, su un compromesso al rialzo tra Stato e cittadini contribuenti.
Non a caso, già la legge Bersani accompagna, anzi, fa precedere le misure di lotta all'evasione dalle misure di liberalizzazione dei mercati, di svecchiamento delle attività professionali e di razionalizzazione della spesa pubblica. Le misure a favore dell'efficienza energetica, nonché della sostenibilità ambientale, stabiliscono un regime di agevolazioni al fine della diffusione dei mezzi di trasporto ad alta sostenibilità ambientale. Le misure a favore dello sviluppo e gli incentivi alle imprese dispongono la sospensione dell'applicazione degli strumenti della programmazione negoziata della nuova disciplina sui meccanismi di concessione degli incentivi alle imprese, introdotti dal cosiddetto decreto competitività.
Di conseguenza, sono revocate e riesaminate dal Ministero dello sviluppo economico le proposte di contratti di programma già approvate dal CIPE e le relative risorse, unitamente a quelle derivanti dalla ritardata attivazione del fondo rotativo per il sostegno alle imprese, agli investimenti e alla ricerca, sono destinate alla copertura degli oneri derivanti dai contratti di programma rimasti privi di copertura finanziaria a seguito della decurtazione operata dalla legge finanziaria per il 2006.
Le misure in materia di infrastrutture recano un insieme di disposizioni finalizzate ad articolare e meglio definire le funzioni e i poteri dell'ANAS quale soggetto concedente nei rapporti con le società concessionarie autostradali, rientrando anche quelle relative alla costruzione di nuove strade e autostrade, alla vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e al controllo sulla gestione delle autostrade e di approvazione dei progetti dei lavori oggetto di concessione.
Le misure riferite al trasferimento delle risorse finanziarie inerenti impegni assunti da Fintecna Spa nei confronti di Stretto di Messina Spa al Ministero dell'economia e delle finanze si inseriscono nell'ambito delle iniziative legislative volte a consentire la realizzazione di un rilevante insieme di opere infrastrutturali nel Mezzogiorno, in particolare in Sicilia e in Calabria.
Le disposizioni in materia di beni culturali e tutela dell'ambiente riguardano, tra l'altro, l'ordinamento del Ministero per i beni e le attività culturali, con il ripristino della figura del segretario generale e l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio, del dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo; l'avviamento delle procedure per l'assunzione di personale nella qualità dirigenziale; l'attribuzione di risorse alla società per lo sviluppo


Pag. 13

dell'arte, della cultura e dello spettacolo; l'applicazione delle norme generali sulle fondazioni lirico-sinfoniche al teatro Petruzzelli di Bari.
Le disposizioni in materia di lavoro sono finalizzate a stabilire e a rafforzare il ruolo della commissione centrale di coordinamento delle attività di vigilanza ispettiva, che diviene sede permanente di elaborazione di obiettivi strategici e priorità dell'attività, nonché di monitoraggio degli interventi attuati. Viene anche modificata la composizione della commissione al fine di valorizzare nella stessa il ruolo dell'Arma dei carabinieri, introducendo analoghe modifiche alla composizione delle commissioni regionali e provinciali.
Nel settore lavoristico sono previste, inoltre, modifiche in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, volte sostanzialmente a semplificare la procedura di rivalutazione delle rendite INAIL erogate a seguito di infortuni.
Le disposizioni concernenti l'editoria e le comunicazioni riguardano il riordino e la semplificazione della disciplina concernente i contributi e le provvidenze per le imprese editrici di quotidiani e periodici, nonché di quelle radiofoniche e televisive. Il riordino della disciplina interessa anche i criteri di calcolo dei contributi spettanti, dei costi ammissibili, dei tempi e delle modalità di istruttoria, concessione ed erogazione, nonché dei controlli da effettuare.
Le imprese interessate dovranno, comunque, prestare particolare attenzione al perseguimento degli obiettivi di maggiore efficienza, occupazione e qualificazione, utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, effettiva diffusione del prodotto editoriale sul territorio, con particolare riguardo all'occupazione, alla tutela del prodotto editoriale primario e ai livelli ottimali dei costi di produzione e di diffusione riferiti al mercato editoriale.
Le disposizioni in materia di università interessano la riorganizzazione degli uffici dirigenziali generali, centrali e periferici del Ministero dell'università e della ricerca, con la soppressione dei dipartimenti e l'istituzione della figura del segretario generale, la razionalizzazione del sistema di valutazione delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici, la disciplina delle scuole di specializzazione per le professioni legali, il riconoscimento di crediti formativi al personale delle amministrazioni pubbliche, ed infine le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate a rilasciare titoli accademici, sottoponendo a valutazione l'attività didattica svolta per via telematica.
Le misure di razionalizzazione e funzionalità del settore pubblico riguardano la spesa energetica degli enti pubblici, autorizzando ad avviare procedure necessarie per individuare le società alle quali consentire, nel pieno rispetto delle regole vigenti in materia di concorrenza, le operazioni di verifica e la realizzazione di interventi volti ad ottenere, in un'ottica di risparmio delle risorse energetiche disponibili, la riduzione di costi collegata all'acquisto di energia termica ed elettrica.
Le disposizioni relative all'organizzazione interna del Consiglio dei ministri, riformando la disciplina degli organismi già esistenti, sono finalizzate al contenimento delle spese nel settore della formazione del personale della pubblica amministrazione. È prevista poi la predisposizione entro la fine del 2006, da parte del Dipartimento della funzione pubblica, di un piano recante le direttive per l'adozione, da parte di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte in processi di ristrutturazione, di sistemi di misurazione della qualità dei servizi, al fine di perseguire una maggiore efficacia ed una tempestiva rispondenza alle aspettative degli utenti.
Dall'esame del decreto emerge la complessità del provvedimento su cui siamo chiamati a pronunciarci. Esso è già stato oggetto, nelle Commissioni riunite bilancio e finanze, di un serrato confronto e di un durissimo lavoro, che ha condotto tutti i componenti alla consapevolezza della


Pag. 14

bontà di fondo dell'impianto del testo e a dare il «via libera» per la sua conversione in legge.
Nonostante qualche punto di criticità, ad esempio sull'articolo 12, e qualche maldestra interpretazione sull'inammissibilità di diversi emendamenti proposti, riteniamo positivo il testo del decreto-legge n. 262 in esame, che costituisce il primo tassello della complessa manovra di riequilibrio dei conti pubblici e di sviluppo dell'economia e dell'equità.
Il declassamento dell'Italia, come leggiamo dai giornali questa mattina, a causa dei conti pubblici risulta una vera pressione internazionale per ipotecare i prossimi appuntamenti, a cominciare dal capitolo sulle pensioni. Ciò non ci intimidisce. Sapremo con forza e coesione affrontare gli ostacoli posti al risanamento ed alla giustizia sociale (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Armani. Ne ha facoltà.

PIETRO ARMANI. Inizierò il mio intervento dalla notizia apparsa sui giornali di oggi in merito al declassamento del debito pubblico italiano. Era previsto, non tanto per l'eredità del Governo precedente, quanto per l'andamento del DPEF e per la sua recente revisione.
Quando, in cinque anni, si prevede che il rapporto tra debito e PIL decresca fino al 96 per cento (poco sotto il 100), quando si prevede che l'avanzo primario salga, alla fine del periodo, intorno al 4,8, senza arrivare al 5 per cento, quando si prevede che la crescita del PIL italiano salga al massimo all'1,7 per cento, quando si assiste ad un ministro delle infrastrutture che, con gli articoli 12 e 142 del disegno di legge finanziaria, mette praticamente in mora tutte le concessionarie autostradali ed impedisce sostanzialmente al capitale privato di investire in un settore infrastrutturale determinante per il nostro paese, quando vediamo che a causa della rivolta di qualche sindaco della Val di Susa si blocca la realizzazione del corridoio n. 5, le società di rating (che si preoccupano di valutare non solo il debito pubblico italiano, ma le possibilità d'investimento degli investitori internazionali nel sistema economico italiano) non possono che trarre queste conseguenze.
Quando si è vista l'operazione realizzata con il cosiddetto decreto Bersani, la famosa retroattività della tassazione delle plusvalenze degli agenti e delle società immobiliari, norma predisposta per errore di calcolo, che fu poi cancellata ma che - come ricorderete - creò comunque uno sconvolgimento nelle quotazioni di borsa, evidentemente questo paese non può godere di credibilità a livello internazionale e pertanto le società di rating si regolano di conseguenza.
D'altra parte, questo decreto-legge - come del resto la legge finanziaria che esamineremo successivamente - è ancora una volta la dimostrazione che, una volta cadute l'ideologia contenuta nei libri di Marx (che francamente stanno bene in biblioteca se sono ben rilegati, dal momento che leggerli oggi forse determina qualche sorriso) e quella dei regimi marxisti-leninisti, oggi vige da noi ancora l'egemonia di Gramsci che prevede la conquista da parte del partito di tutti i gangli del sistema economico per mere esigenze di potere. Infatti, i rappresentanti delle regioni e degli enti locali in mano al centrosinistra si affrettano a considerare come irrinunciabile - per esempio - il controllo pubblico delle ex municipalizzate. Si accetta qualche capitale privato, ma il controllo deve essere mantenuto in mano pubblica. Dunque, vi è una palese tendenza a bloccare le privatizzazioni che ancora si possono fare largamente nel nostro paese specie a livello regionale e locale. Ricordo semplicemente che l'attivo patrimoniale del settore pubblico è superiore al passivo patrimoniale di circa 300-400 miliardi di euro e che, ancora, l'80 per cento degli immobili del settore pubblico è in mano agli enti locali. Basterebbe un'operazione di privatizzazione e di ingegneria finanziaria in questo settore per poter abbattere il debito pubblico sia statale che locale in dimensioni consistenti


Pag. 15

ben oltre il 97 per cento. Non ci dimentichiamo, infatti, che il limite di Maastricht è del 60 per cento del PIL. Signor Presidente, io ho 75 anni e credo che, con questo ritmo, pur non mettendo limiti alla divina provvidenza, è certamente difficile che possa vedere il raggiungimento di quel 60 per cento.
Fatte queste premesse che riguardano in generale la manovra del Governo e che quindi investono anche la legge finanziaria, mi soffermerò sull'articolo 12 di questo decreto che - si direbbe a Roma - sta «come i cavoli a merenda». Infatti, non è una normativa che rientra nell'urgenza che caratterizza i decreti-legge. Al di là di questo, il decreto-legge si sostanzia soprattutto in alcune normative di contrasto all'evasione. Ebbene, su questo abbiamo sentito il ministro Padoa Schioppa ricordare il monito di Mosè «non rubare», ma non dobbiamo dimenticare che l'imposta va pagata in rapporto ai servizi pubblici che devono essere forniti e con essa finanziati.
Allora, quando vi è un'amministrazione pubblica a tutti i livelli - statale, regionale, provinciale e comunale - arrogante e che considera la propria funzione indipendentemente dalla necessità di fornire servizi ai cittadini (ricorderete gli slogan «le Ferrovie ai ferrovieri», «i ministeri ai ministeriali», «l'Alitalia ai dipendenti dell'Alitalia» e così via), senza riguardo alle esigenze degli utenti, e quando vediamo le code negli ospedali per le visite specialistiche o l'arroganza agli sportelli dei dipendenti della pubblica amministrazione, evidentemente dobbiamo fare un'equazione tra questa caratteristica dei servizi pubblici italiani e le imposte da pagare.
Naturalmente, è chiaro che la tendenza che si evidenzia nel decreto-legge in esame (come si vedrà, del resto, quando affronteremo l'iter del disegno di legge finanziaria) è quella di innalzare le aliquote fiscali, al di là della lotta contro l'evasione, poiché bisogna tassare in misura crescente i redditi, indipendentemente dalla qualità dei servizi pubblici offerti.
Si persegue, quindi, il contrasto all'evasione fiscale attraverso, ad esempio, lo sviluppo del sistema informatico. Per carità, ritengo che il settore informatico debba essere implementato, tuttavia dobbiamo essere realisti. Infatti, al di là di alcune strutture organizzate di più o meno rilevante dimensione già esistenti (come quelle, ad esempio, dei professionisti e delle grandi imprese), dobbiamo comprendere che lo sviluppo degli strumenti informatici deve essere realizzato gradualmente, poiché vorrei ricordare che nelle piccole imprese, sotto questo punto di vista, si incontrano molte difficoltà. Ciò perché non si può pensare di intervenire senza tener conto della realtà del paese poiché, per essere accettata, l'introduzione di tali strumenti (che, peraltro, ritengo importanti anche per il controllo dell'intero sistema pubblico) può avvenire solo gradualmente.
Tuttavia, al di là di questo, vorrei osservare che la modifica degli studi di settore - la quale deve essere comunque effettuata, anche se va graduata nel tempo - colpisce anche coloro che già pagano le imposte; pertanto, ritengo che non sia questo in assoluto lo strumento più idoneo e capace di dare risultati significativi e durevoli.
Ricordo che, periodicamente, assistiamo alle dichiarazioni rese dal comandante della Guardia di finanza, il quale afferma che si sono snidati migliaia di evasori per cifre pari a milioni di euro. Poi, naturalmente, sappiamo che si svolge il procedimento di verifica e che le commissioni tributarie spesso modificano e riducono o annullano gli importi accertati; alla fine, dunque, la realtà è molto diversa.
Credo non sia necessario accentuare il contrasto all'evasione fiscale attraverso l'impiego di strumenti informatici che condizionano ulteriormente i contribuenti e determinano un aggravio degli adempimenti e dei costi a carico delle imprese. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la questione del trasferimento del TFR all'INPS sta dimostrando che, in pratica, il 90 per cento delle nostre imprese occupa un numero di dipendenti sicuramente inferiore


Pag. 16

a 25 o 30 unità; quindi, in realtà, ci troviamo di fronte a microimprese, talvolta anche piccolissime.
D'altra parte, ricordo che vi era stato un periodo in cui si esaltava la cosiddetta «economia dei cespugli», affermando che «piccolo è bello». Dal momento che è questa la situazione esistente, dobbiamo tener conto anche di tali realtà; pertanto il contrasto all'evasione fiscale condotto nel modo proposto dal Governo non fa altro che aggravare gli adempimenti per le piccole imprese.
Perché, allora, non ipotizzare di introdurre il contrasto di interessi, consentendo, nel caso dei servizi alla persona e all'impresa, la detrazione integrale delle fatture (come quelle rilasciate, ad esempio, dagli idraulici, dagli elettricisti, dagli avvocati, dai notai, dai medici e via dicendo), come avviene in tutti gli altri paesi, specie in quelli anglosassoni?
Segnalo che il viceministro Visco, a cui ho rivolto queste domande nel corso delle audizioni nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio, ha risposto che ciò è complicato e che egli non crede all'efficacia del ricorso a meccanismi del genere. Naturalmente, vi è la preoccupazione che si possa verificare una caduta di gettito tributario, anche se credo che se l'anagrafe tributaria fosse organizzata meglio ciò sarebbe praticabile.
Ricordo che nella XIII legislatura sono stato anche componente della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria e non ritengo che essa sia gestita male; tuttavia, vorrei osservare che, attualmente, è impostata sulla determinazione di ogni imposta (e, quindi, registra i movimenti degli adempimenti relativi ai singoli tributi). Naturalmente, sono registrati anche i contribuenti, e quindi ritengo possibile trasformarla da anagrafe tributaria sulle imposte ad anagrafe dei contribuenti, consentendo di perseguire, per ogni codice fiscale, la strategia del contrasto di interessi.
Pertanto, occorrerebbe prevedere la detraibilità non soltanto di una parte dell'onere dei servizi. Infatti, come è naturale che sia, se è prevista una detrazione d'imposta nella misura del 19 o del 20 per cento, colui che fornisce il servizio può proporre al cliente di concedergli uno sconto del 30 per cento, senza tuttavia emettere la relativa fattura: per il cliente stesso sarebbe dunque conveniente agire in questo modo.
Bisogna avere quindi il coraggio di affrontare questo problema seriamente. Il ministro Visco ha gli strumenti per farlo. Ci deve credere, ma non ci crede, perché la pubblica amministrazione non è attrezzata ad affrontare questo problema - questo è il vero nodo: no ha la voglia di farlo - nonostante gli strumenti che ha a disposizione. Lo dimostra ciò che ho detto prima, ossia che il comandante della Guardia di finanza fa grandi annunci di snidamento degli evasori, ma, all'atto pratico, il meccanismo delle commissioni tributarie evidenzia come tutte queste affermazioni non siano fondate, perché, evidentemente, si tratta di investigazioni che non hanno come conseguenza una effettiva dimostrazione dell'evasione.
Questo è un aspetto sul quale noi della Casa delle libertà e di Alleanza Nazionale insistiamo: affrontiamo questo problema del contrasto di interessi perché, in un sistema economico strutturato in piccole e piccolissime imprese, questa è l'unica soluzione. Cominciamo con i servizi alla persona, poi arriveremo ai servizi alle imprese. Contemporaneamente possiamo individuare alcuni servizi alla persona e alle imprese in cui il contrasto di interessi integrale, come avviene in tutti i paesi, soprattutto nel mondo anglosassone, possa essere messo in integrale detrazione.
Con questo sistema avremo qualche maggiore possibilità di riuscita nei controlli sull'evasione. Infatti, non è possibile pensare di ideologizzare la lotta all'evasione dicendo che alcuni sono cattivi e fanno peccato, perché rubano, mentre quelli che forniscono i servizi sono buoni. Lo statuto del contribuente, infatti, che peraltro è stato digerito male dalla pubblica amministrazione finanziaria quando è stato approvato (è stato accettato obtorto collo), viene derogato sistematicamente,


Pag. 17

perché dà fastidio e, a quel punto, costituisce la dimostrazione che l'amministrazione non è in grado e non ha la volontà di affrontare un corretto rapporto con il contribuente.
In secondo luogo, vorrei ricordare la questione dell'articolo 7, laddove si parla, ai commi da 1 a 3, della famosa detrazione dell'IVA sulle auto aziendali. C'è stata una sentenza della Corte di giustizia europea che ci ha condannato. Dobbiamo provvedere al rimborso. L'articolo 7, commi da 1 a 3, mette in moto un meccanismo per cui coloro che devono ricevere somme a titolo di rimborso con l'altra mano devono restituire quelle somme, perché viene eliminata la detrazione, in modo tale da poter recuperare quei tre o quattro miliardi di euro che si dovevano cominciare a rimborsare nel 2006, ma che, per il meccanismo dei termini per le domande, slitteranno al 2007.
Vorrei ricordare, peraltro, che il 2006 ci ha regalato un incremento di entrate in termini di cassa, con il quale abbiamo coperto anche le spese per la missione in Libano per quest'anno, oltre che altre operazioni. Quindi, ciò che è stato lasciato dal Governo precedente non è questo sfascio di cui tutti hanno parlato sui giornali e che il Governo attuale ha esaltato.
Questa norma dimostra che, nel momento in cui si vuole avere un rapporto corretto fra amministrazione finanziaria e contribuenti, all'atto pratico si introducono questi sistemi, per cui con una mano si dà e con l'altra si prende.
Naturalmente, vorrei parlare pure dell'articolo 6, a proposito del quale il Vicepresidente del Consiglio, onorevole Rutelli, in una celebre intervista al Corriere della sera di un paio di settimane fa, aveva detto che non sarebbe stata reintrodotta l'imposta di successione. Era prevista, naturalmente, l'estensione delle imposte di registro, catastali e ipotecarie ai trasferimenti mortis causa e alle donazioni. Per fortuna, l'articolo 6 è stato modificato e la sua nuova stesura è meno iniqua della precedente. Tuttavia, l'imposta sulle successioni e donazioni è stata trionfalmente reintrodotta, sia pure nei limiti della legge Amato del 2001 (quindi, con l'esenzione fino a un milione di euro per ogni erede e con altre previsioni che determinano un maggiore onere mano a mano che il grado di parentela si allenta), e l'onorevole Rutelli è stato smentito.
Peraltro, è stata reintrodotta un'imposta alla base della quale vi sono ragioni puramente ideologiche. Infatti, la sinistra radicale è ancora dell'idea che la proprietà sia un furto, che il capitale finanziario sia uno schifo, che i ricchi debbano piangere (abbiamo visto anche un manifesto in tal senso), e via dicendo. Questa ideologia dipende, purtroppo, dalla sottocultura che caratterizza la nostra scuola, abbandonata dai Governi di centrosinistra all'egemonia della sinistra, a partire dalla prima Repubblica, e sempre più declassata. Basta guardare i quiz televisivi: di fronte a semplici domande di cultura generale, anche i laureati sono assolutamente incapaci di rispondere! Questa è la conseguenza della sottocultura che ancora caratterizza il nostro paese.
Tra l'altro, è ormai dimostrato per tabulas che l'imposta costa, in termini di accertamento e di conseguente contenzioso, esattamente quanto produce, se non di più. Quindi, alla fine, saremo costretti a constatare che l'imposta non avrà dato alcun contributo al bilancio dello Stato, ma avrà soltanto fatto arrabbiare la gente. La cosiddetta imposta sul morto non è gradita a nessuno. È naturale, allora, che si verifichino fenomeni di elusione, per mezzo di strumenti più o meno devianti (dalle dichiarazioni ai notai al trasferimento dei beni in paradisi fiscali).
Si consideri, inoltre, che in genere l'imposta colpisce prevalentemente la classe media, perché i patrimoni dei possessori di redditi alti, avendo consistenza soprattutto mobiliare, possono essere largamente trasferiti, come capitali, in paradisi fiscali, in forme più o meno «esterovestite» di capitale e di proprietà azionarie. Sostanzialmente, quindi, l'imposta colpisce coloro i quali hanno i beni al sole, vale a dire la classe media, che possiede


Pag. 18

patrimoni soprattutto immobiliari (anche a fronte di una Borsa che, signor Presidente, ci regala scandali come quelli di Parmalat, Cirio e via dicendo). Questa è la realtà.
C'è, poi, il famigerato articolo 12, sul quale le Commissioni riunite V e VI si sono lungamente intrattenute, procedendo ad audizioni plurime di questo ex magistrato che risponde al nome di Antonio Di Pietro, attualmente ministro delle infrastrutture (lo spacchettamento - infrastrutture, da una parte e trasporti, dall'altra - è stato un'altra bella invenzione di questo Governo).
Naturalmente, in quanto ex magistrato, Di Pietro vuole esercitare tutto il suo potere nel mettere in discussione, mediante una convenzione unica, tutte le concessioni autostradali del paese, prendendo spunto dalla fusione tra Abertis e Autostrade. Peraltro, poiché l'Unione europea ci costringerà ad accettare la predetta fusione, si tratta semplicemente, ancora una volta, di un modo per riaffermare il potere dello Stato su un settore, quello delle concessioni autostradali, che è caratterizzato da contratti. Le concessioni, una volta assegnate, hanno una durata (nella precedente legislatura, sono stato presidente della Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici e, quindi, ho affrontato tali problematiche), che, naturalmente, corrisponde all'arco temporale nel quale il concessionario procederà agli ammortamenti degli investimenti finanziari e materiali che sarà tenuto ad effettuare, sulla tratta autostradale, a termini di concessione.
Naturalmente, questi sono contratti che non si possono mettere in discussione automaticamente. Ciò determinerà - così come ho già detto in occasione del mio intervento davanti al ministro Di Pietro - un contenzioso pauroso: farà guadagnare largamente gli avvocati amministrativisti perché, evidentemente, non basta che scadano gli atti aggiuntivi!
Le concessioni hanno una durata pluriennale - molto spesso pluridecennale - quindi è chiaro che tutti coloro - i concessionari - che si troveranno di fronte a questa convenzione unica (che fra l'altro non ha alcuna giustificazione sul piano realistico) difenderanno i loro interessi ricorrendo al TAR, alla magistratura ordinaria, alla Corte costituzionale, alla Corte europea, e chi più ne ha più ne metta!
C'è poi un altro fatto, per fortuna eliminato dall'ultima stesura del testo dell'articolo 12, cioè il problema del vincolo del 5 per cento dei voti per i costruttori. Era quello un vincolo limitato soltanto alla vendita (sono stato vicepresidente dell'IRI dal 1980 al 1991 e quindi conosco bene la materia, anche se le autostrade sono state vendute dopo che ero decaduto dalla carica). In particolare, si trattava di un rapporto fra l'IRI e colui che acquistava secondo cui si stabiliva che nel mezzo della gara non vi fosse anche qualche costruttore, naturalmente per una questione di equilibrio interno del mercato delle costruzioni italiane. Tuttavia, non si trattava certamente di un vincolo particolare, tale da dovere essere addirittura abrogato per legge. Accade qualcosa di analogo quando si compra un cespite mobiliare, come del resto un'azienda. Si ha un vincolo, anche di carattere occupazionale o di investimenti per un certo periodo di tempo, ma non accade mai che una volta effettuato l'acquisto diventi impossibile modificare il cespite o l'azienda acquistati. Quindi, questo vincolo del 5 per cento - che, fra l'altro, non aveva alcuna giustificazione su una società quotata in borsa - è stato giustamente cassato ma, soprattutto, ciò è avvenuto perché vi era il fucile puntato della commissaria europea Kroes, la quale aveva minacciato una procedura di infrazione (che, peraltro, non è ancora detto non venga decisa a livello di Commissione europea).
Al di là di tutto questo, il fatto della convenzione unica non ha assolutamente senso. Sappiamo che la nostra struttura autostradale ha un'estensione di circa sei/sette mila chilometri. Di questi, il 50 per cento e più sono in mano alla società Autostrade mentre, per la parte restante, sono divisi fra varie concessionarie, alcune delle quali, tra l'altro, sono controllate da


Pag. 19

enti pubblici (il comune di Milano, la provincia di Milano hanno quote di società come la Serravalle, altri enti locali le hanno nella Serenissima e via dicendo). Insomma, vi sono una serie di concessionarie che sono anche in mano ad enti pubblici, naturalmente con caratteristiche diverse: anzitutto, di lunghezza, ma anche di volumi di traffico e quindi con i relativi problemi di usura del manto stradale e delle strutture, ciò comportando diversi costi per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Vi sono poi caratteristiche diverse anche dal punto di vista orografico, perché non possiamo mettere sullo stesso piano la concessionaria del traforo del Monte Bianco o quella del Frejus con quella dell'autostrada Padova-Venezia che, praticamente, è tutta in pianura tranne che per il tratto in cui attraversa il Po e qualche altro fiume. Non si possono mettere sullo stesso piano concessioni di diverse entità, con durata diversa, con caratteristiche orografiche diverse, con volumi di traffico diversi. Anche da questo punto di vista non ha alcun senso quanto abbiamo registrato.
C'è poi un punto essenziale. Se lo Stato avesse i soldi per realizzare tutto il programma autostradale previsto con la legge obiettivo - si pensi al doppio passante di Mestre, alla Asti-Cuneo, alla pedemontana lombarda, al problema della Brebemi, al completamento della Reggio Calabria - o per realizzare la TAV, come ho sempre auspicato, fino a Reggio Calabria e non fermandosi a Napoli (vi ricordo inoltre che avete bloccato i soldi per la realizzazione del ponte sullo stretto, con l'articolo 14 del decreto-legge, facendo una ripartizione degli investimenti per la Sicilia e la Calabria: vedremo, poi, se verranno realizzati), potrebbe dire: signori concessionari, prendo tutto io, lo affido all'ANAS per la gestione, compiendo così una bella rinazionalizzazione di tutto il sistema autostradale italiano (compresi i costi per liquidare i vecchi concessionari). Lo Stato, però, i soldi non ce li ha; il rating, che adesso viene modificato, determinerà un aumento delle spese per il servizio interessi (non so, sottosegretario Sartor, se lo avete previsto; forse sì, perché sapevate, già in partenza, che il rating sarebbe stato modificato e proprio questa è una delle ragioni che determinano l'aumento dell'onere della manovra finanziaria che stiamo discutendo). Ribadisco quindi: se lo Stato avesse avuto tutti questi soldi, avrebbe potuto rinazionalizzare. Ma i soldi non ci sono, e quindi lo Stato avrebbe bisogno dei capitali privati che però Di Pietro farà fuggire! Non ha i soldi per gli investimenti infrastrutturali tant'è vero che ha dovuto inventarsi quello che si inventò Mussolini con la guerra di Etiopia, ovvero il trasferimento del TFR all'INPS. Nel corso di un'audizione, ho citato al ministro Padoa Schioppa il libro di Felice Guarneri, Battaglie economiche tra le due grandi guerre, primo volume, in cui si dice che le rendite capitalizzate dell'INA, l'Istituto nazionale delle assicurazioni, inventato da Giolitti, il grande Giovanni Giolitti...

LINO DUILIO, Presidente della V Commissione. È di destra, questa misura!

PIETRO ARMANI. Era una misura imbecille, perché, dopo, quelle rendite non sono più state restituite ai lavoratori, tanto è vero che, dopo le successive guerre, quella di Spagna e la seconda guerra mondiale, si è dovuti passare alla ripartizione.

PRESIDENTE. Onorevole Armani, ha esaurito il tempo a sua disposizione. La invito a concludere.

PIETRO ARMANI. Concludo, signor Presidente. Adesso che il numero di giovani che entrano nel mercato del lavoro è di gran lunga minore al numero dei vecchi che ne escono, dobbiamo tornare alla capitalizzazione e, proprio per questo, abbiamo inventato il terzo pilastro, quello della previdenza integrativa. Voglio concludere dicendo, quindi, che siamo contrarissimi a questo decreto-legge e vi aspetteremo sulla riva del fiume, dove prima o poi passeranno i cadaveri di


Pag. 20

questi interventi finanziari (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).

PRESIDENTE. L'immagine è un po' pesante, onorevole Armani, ma speriamo che non passi nessun cadavere...
È iscritto a parlare l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TOLOTTI. Spero che l'onorevole Armani non sia già appostato...!
Il decreto-legge che arriva in aula approda dopo un lavoro lungo e difficoltoso nelle Commissioni di merito riunite, un lavoro non infruttuoso, che ha portato all'approvazione di un testo profondamente modificato, in alcuni punti, rispetto alla stesura iniziale. Credo che se ne possa ricavare qualche spunto di riflessione e, magari, anche di autocritica sul modo in cui si è proceduto e, più in particolare, sul ruolo del Parlamento; un ruolo spesso messo in crisi, e, direi quasi, stressato, dalle urgenze dell'esecutivo, urgenze oggettive, ma che, di fatto, in alcuni passaggi, hanno reso davvero difficile il lavoro delle Commissioni, con il rischio di vedere il Parlamento ridotto a semplice organo di ratifica di decisioni prese altrove.
Questo, peraltro - lo dico con riferimento ad interventi già svolti questa mattina, in particolare quello del collega Zorzato - è stato il segno distintivo di cinque anni di Governo di centrodestra, caratterizzato da un diluvio di leggi delega e da ripetuti passaggi blindati della legge finanziaria, nonostante che i numeri, di entrambe le Assemblee del Parlamento, rendessero possibile un iter normale dal punto di vista istituzionale.
Questa mattina ho sentito il collega Zorzato sostenere che, se si decidesse di porre la questione di fiducia sul provvedimento in discussione, il Parlamento ne risulterebbe offeso. A tal proposito, vorrei ricordare che gli ultimi disegni di legge finanziaria, in presenza di rapporti di forza ben diversi rispetto a quelli attuali di entrambe le Assemblee del Parlamento, sono stati approvati sempre ricorrendo alla questione di fiducia. Comunque, ritengo vada accolto l'invito del Presidente del Repubblica a valorizzare il confronto fra maggioranza e opposizione. Per questo motivo, personalmente, auspico che la discussione del disegno di legge finanziaria alla Camera, che seguirà l'approvazione di questo provvedimento, sia sottratta alla blindatura della fiducia.
La relatrice Fincato ha fatto bene a richiamare le grandi cifre a cui si riferisce questo provvedimento, che è parte integrante, con il disegno di legge finanziaria, della manovra di risanamento e di sviluppo. Una manovra che - a prescindere dalla polemica sull'abbassamento del rating da parte di alcune agenzie (ne parleremo certamente a iosa nei giorni che seguiranno) - sconta un'eredità pesante, l'eredità Tremonti, che non può essere semplicemente rimossa o messa nel dimenticatoio. La riassumerei così: fuori linea, in maniera molto pesante, rispetto ai parametri europei. Mi riferisco a conti fuori linea rispetto ai parametri europei che hanno rappresentato, a prescindere da questi ultimi, una zavorra per il paese; un avanzo primario vicino allo zero, cosa particolarmente grave nel momento in cui si assiste ad una ripresa del costo del denaro (e con lo stock di debito pubblico che si registra è uno scenario particolarmente difficile e pesante per noi); un debito pubblico che, nel quinquennio 2001-2006, ha ripreso a salire, invertendo la tendenza alla diminuzione che si era affermata con i Governi del centrosinistra.
Il collega Zorzato ha parlato di odio di classe e di vendetta sociale. Con tutta la buona volontà, cercando di accantonare la mia appartenenza ad una parte politica, come tutti noi che sediamo in quest'aula, sia pure in rappresentanza dell'intero popolo italiano, non riesco a vedere odio di classe o vendetta sociale in una manovra di ridisegno delle aliquote fiscali e delle detrazioni che semplicemente avvia una redistribuzione di risorse di segno inverso rispetto a quella perseguita nel quinquennio precedente.
Ricordo che, con il secondo modulo della cosiddetta riforma fiscale Tremonti, furono restituiti 6 miliardi di euro ai


Pag. 21

redditi superiori ai 70 mila euro, e cioè a una quota assolutamente minoritaria della platea dei contribuenti. È vendetta sociale questa? Credo sia semplicemente un impegno di equità e di riequilibrio a favore dei ceti medio-bassi, coerente non solo con il nostro programma elettorale, ma anche con l'esigenza di rilanciare i consumi, che notoriamente possono ripartire se si sostiene il reddito della grande maggioranza della popolazione.
Piuttosto, a questo riguardo, nel prosieguo dell'iter parlamentare e del confronto con le parti sociali e le autonomie locali, credo sia utile continuare a perseguire tale impegno e prevedere aggiustamenti del meccanismo aliquote-detrazioni per scongiurare effetti distorsivi indesiderati. Ciò anche per evitare che un'applicazione del patto di stabilità penalizzante per le autonomie locali - al riguardo, devo dire che il centrodestra insegna, per quel che ha fatto in questi anni - determini un aumento del prelievo fiscale locale o un aumento delle tariffe dei servizi, o peggio ancora un taglio dei servizi a livello locale. Per questo, considero molto positivo il fatto che la Commissione Finanze abbia inserito nel parere favorevole sul disegno di legge finanziaria, che ha licenziato nella seduta di ieri, osservazioni circa l'opportunità di inserire una clausola di salvaguardia per i redditi sotto i 45 mila euro (che nel caso dovessero risultare penalizzati dal meccanismo previsto dovrebbero poter optare per la situazione vigente) e di prevedere anche un meccanismo che assicuri la progressività della tassazione per i redditi a ridosso dei 30 mila euro, evitando il determinarsi di scalini nell'imposizione.
Avremo però modo di approfondire queste ed altre tematiche - cuneo fiscale, provvedimenti per la competitività e lo sviluppo, TFR - nel corso della discussione in sede propria sulla finanziaria. Stando al decreto oggi al nostro esame, sul quale esprimiamo un giudizio positivo, vorrei soffermarmi in particolare su tre punti. Innanzitutto, sull'articolo 1, che contiene le norme relative al contrasto, all'evasione e all'elusione. Considero positiva la conclusione che si è trovata sul tema delle sanzioni da irrogare per l'infrazione di mancata emissione dello scontrino fiscale. Questo è stato uno dei punti sul quale si è sviluppato un dibattito acceso ed anche un confronto; non sono mancate polemiche e sono intervenute le categorie. Se la norma originariamente proposta poteva apparire eccessiva - alcuni l'hanno letta addirittura come punitiva -, la soluzione trovata appare a mio avviso equilibrata, in quanto contempera esigenze di rigore e di ragionevolezza.
Ricordo che la soluzione trovata prevede che la sanzione scatti nel caso di tre infrazioni commesse nell'arco massimo di cinque anni. Se l'importo complessivo della somma non certificata dallo scontrino fiscale è inferiore ai 50 mila euro, scatta la sospensione immediata e la chiusura dell'attività per tre giorni. Se invece l'importo è superiore - ma lì entriamo in un campo che oggettivamente è difficile ascrivere alla dimenticanza, alla svista o all'errore materiale -, allora scattano sanzioni più pesanti, con la sospensione per un periodo da un mese a sei mesi.
Varrebbe sempre la pena di ricordare, peraltro, che quando si parla di contrasto dell'evasione non si tratta di punire ideologicamente il ceto medio, come qualcuno qui ha evocato, bensì di assicurare un impegno serio per garantire condizioni corrette di concorrenza tra operatori economici, commerciali e professionali. Da questo punto di vista, va riconosciuto che tutte le associazioni di categorie professionali pongono il tema della lotta all'evasione come garanzia per un operare corretto sul mercato come una priorità. Tuttavia, sento qualcuno sostenere - lo ha fatto stamattina anche il collega Armani, che è molto preparato e la cui competenza non è certamente da mettere in discussione - che, per esempio, per quanto riguarda il contrasto all'evasione fiscale, la revisione degli studi di settore, incidendo anche su quelli che già pagano, non è lo strumento adatto e che ci vuole ben altro. Ecco, mi pare che non solo in tema di infrastrutture ci sia il pericolo che scatti la ben nota sindrome del Nimby, per cui la


Pag. 22

lotta all'evasione fiscale bisogna farla, ma deve passare sempre da qualche altra parte e non deve mai intervenire sulle attività che si svolgono.
Quanto al meccanismo del contrasto di interessi, che è stato richiamato come una leva importante per pervenire ad una fiscalità più efficace ed efficiente, e che rappresenta a mio avviso un terreno che andrebbe utilmente esplorato, vorrei chiedere al collega Armani perché la domanda, oltre al ministro Visco - attuale viceministro dell'economia e delle finanze -, non sia stata posta anche ai suoi predecessori.
Ad esempio, al ministro Tremonti, che ha presentato una proposta organica di riforma dell'imposizione fiscale senza che vi fosse traccia del meccanismo del contrasto di interessi.
Un secondo punto riguarda l'introduzione dell'imposta di successione sulle eredità e le donazioni. La soluzione trovata appare convincente, anche perché è chiara dal punto di vista nominale. Ritengo sia giusto che chi ha responsabilità di Governo chiami le cose con il loro nome e, sinceramente, non avevo particolarmente apprezzato il giro di parole con il quale si affrontava tale questione.
Ma, al di là di ciò, la soluzione mi pare convincente nei contenuti. Infatti, la franchigia di un milione di euro - riferito al valore catastale - per erede, per quanto riguarda la successione diretta - riguardante cioè il coniuge e i parenti linea retta -, esclude la stragrande maggioranza delle eredità e certamente esenta dall'imposizione le donazioni di tutte le famiglie normali, ivi compreso il ceto medio, che in questa sede è stato evocato anche un po' a sproposito, a meno che non si ritenga che il ceto medio sia costituito da quella percentuale assolutamente minoritaria della popolazione con redditi che la collocano nel decile più alto della platea dei contribuenti. Per definizione, il ceto medio rappresenta un'area di cittadini e contribuenti che costituisce la maggioranza del paese. Allora, se è così, la soluzione trovata mette al riparo dal pericolo che la successione o la donazione dei risparmi di una vita sia sottoposta ad imposizioni non equilibrate.
Se mi è consentita un'osservazione critica, forse una soluzione come quella adottata si sarebbe potuta delineare con maggiore tempestività, evitando di procurare un allarme sociale che è stato certamente gonfiato da strumentalizzazioni polemiche, che ha scontato errori di comunicazione, ma che ha di certo costituito un problema nel rapporto di fiducia tra il Governo e l'opinione pubblica.
Infine, per quanto riguarda l'articolo 12, ritengo che nel lavoro di Commissione si sia sperimentato un esempio positivo di confronto in sede parlamentare tra la maggioranza e l'opposizione, e tra Governo e Parlamento. Devo dare atto di un atteggiamento estremamente aperto e costruttivo - ovviamente, ferme restando le scelte di contenuto - del ministro Di Pietro nel rapporto con la Commissione.
Se l'originaria formulazione di tale articolo poteva apparire non priva di rigidità, la versione approvata è decisamente migliorativa, intanto - e non solo - perché si è chiarito che non coinvolge convenzioni in essere, costruite su delicati equilibri di project financing. Io provengo dal collegio di Lombardia 2, nel quale una delle opere prioritarie per quell'area è certamente costituita dall'autostrada Brescia-Bergamo-Milano, che sarà realizzata sulla base di una convenzione che mette in gioco capitali privati. Dunque, è importante che il ministro abbia chiarito che la normativa introdotta dall'articolo 12 riguarderà solo le nuove concessioni.
Fatto questo chiarimento, ritengo che l'esigenza che ispira l'articolo 12 sia largamente condivisibile, in quanto risponde a criteri di chiarezza, di trasparenza e di rigore, perseguendo l'eliminazione di conflitti di interessi che in questi anni si sono evidenziati con grande nettezza, soprattutto in ordine ai rapporti tra società madri e società controllate, nell'ambito delle attività di progettazione e di realizzazione di grandi infrastrutture, quali sono le autostrade.


Pag. 23


Credo, quindi, che anche qui non vi sia né rigore ideologico né atteggiamento punitivo, ma esigenza di chiarezza e trasparenza, prerequisiti affinché si possa perseguire con successo un piano di rilancio delle opere pubbliche necessarie per il nostro paese.
Per queste e per altre ragioni, il decreto-legge rappresenta un primo essenziale passo dentro una manovra che si propone di perseguire equità, risanamento e sviluppo. Per tale motivo, ribadisco il nostro parere favorevole e l'intenzione di difendere ed approvare in maniera convinta un provvedimento che anche il confronto parlamentare con le opposizioni in Commissione ha contribuito a migliorare (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. Salutiamo, insieme agli altri ospiti in tribuna, gli amministratori del comune di Summonte.
È iscritto a parlare l'onorevole Garavaglia. Ne ha facoltà.

MASSIMO GARAVAGLIA. Colleghi, chiaramente l'intervento sul decreto-legge non può prescindere oggi dalle valutazioni negative riguardanti il rating del debito pubblico italiano. Il fatto che vi sia stato il declassamento dei conti pubblici porta l'Italia al livello della Grecia, cosa sicuramente non bella e positiva, soprattutto per chi come noi viene dal nord dell'Italia e conosce l'importanza della Padania all'interno dell'Europa. Competiamo con la Baviera ed essere equiparati alla Grecia rappresenta per noi un fatto negativo che ci preoccupa molto.
Al di là di ciò, l'altro effetto sicuro e scontato è un incremento dei tassi di interesse. Ad onor del vero, un incremento dei tassi era già in essere, anche se piccolo. Chi mastica un po' di economia conosce benissimo quali siano gli effetti di un incremento dei tassi di interesse. Tale incremento comporta per il settore produttivo una riduzione degli investimenti a causa del maggior costo per l'accesso al credito, e per il settore della spesa pubblica comporta invece l'incremento del costo del debito, con l'automatico effetto di un incremento della tassazione. L'effetto congiunto sul settore privato dell'incremento dei tassi di interesse e della tassazione è quello del contenimento dei consumi e la conseguente riduzione del PIL e della ricchezza del sistema paese. Questi sono gli effetti scontati e automatici.
La politica economica di un paese dovrebbe fare in modo di evitare gli effetti automatici dovuti ai movimenti macroeconomici. Purtroppo, vediamo che non si è fatto nulla e si è andati invece nel verso opposto. I vari provvedimenti adottati dal Governo, prima con la Visco-Bersani, poi con il decreto-legge n. 262 del 2006 e, infine con la legge finanziaria, non contengono nulla per favorire gli investimenti del settore produttivo o per limitare l'incremento della tassazione. Cosa si è fatto per favorire gli investimenti del settore produttivo? Si propone di «scippare» il TFR. Siamo veramente alla follia più pura. Chi non sa che le nostre imprese sono quasi tutte medio-piccole? Il 90 per cento delle imprese italiane ha meno di dieci dipendenti. Togliere il TFR ad un impresa con meno di dieci dipendenti non significa semplicemente togliergli la liquidità.
Il problema non è di disponibilità o di liquidità da parte del settore bancario; anzi, purtroppo le banche in un momento di crisi - e sostanzialmente ci troviamo in una fase di crescita bassa - hanno disponibilità liquida. Il problema è trovare chi utilizza questi quattrini. Quindi, il problema per il settore produttivo, in particolare per le tantissime microimprese ed anche per quelle medie, è la garanzia nell'accesso al credito. Chi non sa che un piccolo imprenditore, se non possiede un capannone da ipotecare, non ottiene i soldi dalle banche? Si tratta di cosa risaputa. Se ad una piccola impresa sottraiamo il TFR, togliamo il fiato ed essa non può più continuare a lavorare. È questo il vero problema. Ovviamente, la situazione non è ancora definita e probabilmente si apporteranno modifiche. Da un lato, questo è positivo, ma comunque il problema resta quello del segnale che si dà al mercato perché non si possono sempre


Pag. 24

spaventare gli imprenditori in quanto possono fuggire. Dalle nostre parti si dice che quando la mucca è nelle verze, è tardi. Pertanto, bisogna procedere prima che sia troppo tardi.
Io stesso ho chiesto al presidente dell'Associazione bancaria italiana se la sua associazione avesse in animo di fare qualcosa di concreto per favorire l'accesso al credito alle piccole e medie imprese, proprio per le garanzie che non ci sono. La risposta è stata un secco «no»; quindi, un provvedimento del genere è demenziale e folle e faremo di tutto per contrastarlo. In proposito, speriamo che la maggioranza, non tutta priva di buonsenso, capisca che si tratta di un provvedimento sbagliato e che quindi occorre modificarlo.
In merito ad una politica che dovrebbe favorire gli investimenti delle piccole e medie imprese, si è parlato diffusamente del cuneo fiscale, bandiera sventolata da un certo tipo di propaganda e favorita da alcuni giornali interessati. Ebbene, il cuneo fiscale è sostanzialmente una «bufala» perché favorisce soltanto poche imprese. Il 25 per cento dei soldi che rientrano alle imprese con il provvedimento sul cuneo fiscale favorisce soltanto settecento aziende. È sotto agli occhi di tutti che si tratta di una conseguenza scorretta e sbagliata. L'effetto congiunto del cuneo fiscale e dell'incremento dei contributi (speriamo sempre nel buonsenso e quindi nella possibilità di modificare in meglio le cose), per le imprese con meno di dieci dipendenti, allo stato attuale fa sì che il costo del lavoro incrementi dell'1 per cento o, più precisamente, dello 0,9 per cento; per le imprese con meno di cinquanta dipendenti incrementa dello 0,2 per cento. Quindi, è soltanto sopra i cinquanta dipendenti che l'effetto sul costo del lavoro comincia ad essere positivo. Siamo di fronte a chiacchiere e a politiche che hanno un effetto contrario a quello che sarebbe dovuto essere, ovvero quello di favorire gli investimenti nel settore produttivo.
Vorrei ora passare all'aspetto fiscale. All'inizio si diceva che si sarebbe dovuto fare in modo da contenere l'incremento della pressione fiscale che altrimenti sarebbe automatico, vista la situazione dei conti pubblici italiani ed il contesto internazionale. Vi è stata quindi la proposta di una grande manovra di redistribuzione dell'IRPEF. Intanto, su questo punto c'è il caos totale, visto che ancora nessuno ha ben capito gli effetti di questa manovra sulle singole posizioni contributive. In proposito, io stesso ho rivolto una precisa domanda al viceministro Visco. Infatti, le tabelle di simulazione si basano su una famiglia tipo composta da un padre di famiglia che lavora con moglie e figli a carico. Ebbene, pare che vi siano benefici per famiglie di questo tipo con redditi sotto i quarantamila euro, almeno secondo le tabelle circolate. Tuttavia, questa famiglia tipo non è quella che esiste nella realtà; infatti, l'ISTAT considera famiglia tipo quella con 1 bambino (sarebbe 1,2, ma preferisco togliere la cifra dopo la virgola, perché non si possono immaginare frazioni di bambini) e padre e madre che lavorano. Quanto meno al nord si riscontra questa situazione: se il padre o la madre non lavorano, non si paga l'affitto o, se si tratta di una casa di proprietà, non si pagano le spese della casa. Quindi, la famiglia tipo, carissimi amici del Governo, è composta da genitori che lavorano entrambi.
È su questo tipo di famiglia che bisogna fare la simulazione. Le altre sono situazioni particolari, per le quali occorre prevedere degli aiuti diversi. Una misura intelligente sarebbe applicare nuovamente o quanto meno riportare in auge il quoziente familiare. Ciò darebbe una mano alle famiglie, ma, comunque, la famiglia tipo - lo ribadisco - è costituita da padre e madre che lavorano entrambi.
Al ministro Visco è stato chiesto cosa accadrà alle famiglie tipo, vale a dire a quelle nelle quali entrambi i genitori, con a carico uno, due o tre figli, lavorano. La risposta è che occorre sviluppare ulteriori simulazioni ed apportare alcune modifiche.
Non potete pensare che il paese possa andare avanti in una situazione di caos totale, senza alcuna certezza su una manovra


Pag. 25

così importante! L'unica cosa certa è che questa grande rimodulazione dell'IRPEF farà recuperare 400 milioni di euro (sono delle tasse in più)! L'altra certezza è che, in generale, la pressione fiscale, senza entrare nel campo spinoso della fiscalità locale, incrementerà, superando il 42 per cento. Anche in questo caso, però, vi è un aspetto drammatico, poiché non si considera l'economia sommersa, come risulta dai dati governativi.
Se si considera anche quest'altro aspetto, al 42 per cento dobbiamo aggiungere altri 7 punti percentuali! Se si considera anche l'incremento obbligatorio della tassazione locale, si supera il 50 per cento!
È un problema che si avverte soprattutto al nord, dove le tasse generalmente si pagano (non che in altre regioni non si paghino). Per chi paga e dimostra di avere un comportamento corretto nei confronti dello Stato, è giusto superare il 50 per cento della pressione fiscale? Secondo noi, no: è stata superata la soglia limite della decenza, nonché della sopravvivenza di un sistema produttivo!
Il problema reale del sommerso è un dato certo: si evince dalle situazioni di fatturato non dichiarato ed al riguardo sono stati già elaborati gli studi di settore.
Il problema reale è quello del lavoro nero. I dati li avete anche voi: sapete benissimo che, in alcune regioni del meridione, per cento euro di fatturato dichiarato, ve ne sono cento di sommerso. Sono situazioni insostenibili! Non si tratta di fatturato non dichiarato, ma di lavoro nero. Ricordiamo che chi lavora in nero ruba tre volte; non ruba solo per le tasse che non paga, ma per i contributi che non paga e, quindi, riceverà una pensione, senza aver versato un quattrino. Inoltre, pratica una concorrenza sleale nei confronti di chi fa le cose fatte bene, pagando fino all'ultimo centesimo (non può, pertanto, rimanere sul mercato a differenza di chi bara!).
Secondo i dati del Censis, la categoria che evade di più in percentuale è quella degli insegnanti. Non voglio sparare contro la categoria, ci mancherebbe altro, ma il fatto che gli insegnanti non rilascino la ricevuta, quando svolgono le ripetizioni, è una cosa assolutamente scorretta, evadendo per oltre il 52 per cento! L'idraulico (è spesso ritenuta la categoria tipo di evasore) si attesta al 34 per cento. Peccato che, nei confronti dell'idraulico, vi sono gli studi di settore; quindi, comunque, si riesce a fargli pagare il giusto, mentre per l'insegnante, che evade oltre il 52 per cento, è tutto grasso che cola, perché sul lavoro dipendente non vi sono gli studi di settore! Il nero del lavoratore dipendente è grasso che cola (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Nella politica del Governo non è previsto nulla contro questo tipo di evasione che è molto grave! Vorrei lanciare una provocazione: poiché è stata lanciata la provocazione dello scontrino (per la serie: se non emetti lo scontrino, ti faccio chiudere), poi giustamente rientrata, perché era una cosa fuori dalla grazia di Dio, mi piacerebbe vedere cosa succederebbe se in Italia si varasse una «normettina» del tipo: tu insegnante, se fai tre ore di ripetizione, senza poi emettere la ricevuta, stai a casa, senza ricevere lo stipendio per sei mesi!
Succederebbe la rivoluzione. Che in questo campo ci sia molto da fare è oltremodo evidente ed importante, ma ciò nonostante, non registriamo in questo provvedimento alcuna novità.
Passo ora alla questione della burocrazia. I settori produttivi, le piccole e medie imprese e gli artigiani non è che non vogliono pagare le tasse o sono preoccupati dall'entità delle tasse che pagano; la loro preoccupazione deriva, invece, dalla burocrazia che sta dietro a questo sistema impositivo. In Italia, pagare le tasse è complicato! Con il provvedimento in esame, anziché procedere nella direzione della semplificazione, è stata introdotta ulteriore burocrazia, ulteriori adempimenti; si va, quindi, verso un regime di polizia tributaria che incute paura nel contribuente in quanto passa il messaggio secondo il quale il contribuente, soprattutto il lavoratore autonomo e il commerciante, è un evasore potenziale (aggiungo il


Pag. 26

termine potenziale per essere moderato). Non è questo il modo di agire! Noi riteniamo, invece, che si debba far riacquistare fiducia nei confronti dello Stato e verso la Guardia di finanza la quale, come ha detto il viceministro Visco, deve mostrare la faccia truce, ma anche infondere un minimo di fiducia nei confronti delle istituzioni, altrimenti si rompe il «patto» e, una volta persa la fiducia verso lo Stato, è difficilissimo recuperarla.
Passo ad esaminare ora gli aspetti macroeconomici insiti nel provvedimento facendo riferimento, in particolare, alla questione della spesa pubblica. Le motivazioni addotte dalle agenzie di rating internazionali per giustificare il declassamento del debito pubblico italiano sono molto semplici: con questa manovra economica, il Governo non sta facendo nulla per ridurre strutturalmente la spesa pubblica. Anzi, che cosa fa? La cosa più semplice: alza le tasse. È del tutto evidente che ciò non rappresenta un intervento strutturale, come ha ribadito giustamente il governatore Draghi che, come sappiamo, non è l'ultimo arrivato. Pertanto, niente di nuovo sotto il sole. E di ciò si ha conferma se si esaminano il provvedimento in discussione e il disegno di legge finanziaria. Difatti, che senso ha incrementare di 3 miliardi di euro i contratti del pubblico impiego quando tali contratti sono stati aumentati, in termini reddituali, del 4,3 per cento negli ultimi cinque anni a fronte di una media registrata nel settore privato del 2 per cento? Ci chiediamo che senso abbia, tenendo conto anche che all'interno del settore del pubblico impiego vi sono meccanismi autoreferenziali, non vi è cioè un controllo esterno, non c'è un imprenditore che giudica, tali per cui determinati incrementi, le cosiddette progressioni, orizzontali o verticali, sono sostanzialmente automatiche. Inoltre, in tale settore vi è il privilegio della inamovibilità: a memoria d'uomo non è mai stato licenziato alcun lavoratore pubblico. Pertanto, vorrete almeno far passare il concetto che chi rischia di meno, guadagni anche un po' meno: il lavoratore privato è sottoposto al rischio di licenziamento, il lavoratore pubblico, invece, no. Da fare, quindi, ci sarebbe tantissimo, però si va sempre nella direzione opposta, a colpire cioè chi già paga le tasse e, come tale, contribuisce alla ricchezza del paese. A tale proposito, faccio presente che le tasse che generano ricchezza sono quelle pagate dal settore privato, mentre quelle pagate dal settore pubblico, quale ad esempio quelle di noi parlamentari, sono, come è del tutto evidente, delle partite di giro perché ciò che da una parte si paga viene dato, dall'altra, dallo Stato. Pertanto, il sistema paese sta in piedi grazie alle tasse pagate dal settore privato (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). È tale settore, quindi, che va tutelato, altrimenti la barca va a fondo!
Passo ad esaminare un'altra questione, per così dire, che si riferisce allo statalismo che riscontro nel provvedimento in esame. Faccio riferimento, in particolare, all'articolo 12 secondo il quale si prevede di rivedere tutte le concessioni statali. In questo caso, al di là dei dubbi di copertura finanziaria emersi durante l'esame in Commissione, così facendo si giungerà inevitabilmente, come ha fatto rilevare poc'anzi l'onorevole Armani, al sorgere di contenziosi in termini di indennizzi e quant'altro. Al di là del fatto che questi non sono coperti, e che, quindi, comporteranno maggiori risorse pubbliche, esiste un problema di fondo: insinuare, in questo particolare momento storico, un dubbio così forte nei confronti dell'intero sistema delle concessioni, produrrà l'unico risultato di bloccare i lavori, anche quelli già autorizzati! Ricordiamo che circa due miliardi di euro di lavori non effettuati in questi anni dai concessionari, spesso, sono il risultato non della volontà dei concessionari, ma dei blocchi delle autorizzazioni, per i veti, incrociati o meno, degli enti locali. Tante volte, i privati hanno le mani legate (pensiamo alla variante di valico)!
Dunque, non è così corretto sparare nel mucchio! Così è stato fatto fino ad oggi: si è sparato nel mucchio, bloccando il sistema delle concessioni. Il risultato è che, soprattutto al nord, le opere già finanziate


Pag. 27

dai concessionari resteranno bloccate per gli inevitabili contenziosi che si apriranno. Questo, naturalmente, non è giusto, ma è nell'ottica del centrosinistra statalista, che vede lo Stato come l'unica soluzione ai problemi, quando probabilmente è il problema!
Quando insistiamo sul federalismo fiscale, lo facciamo semplicemente perché è l'unico modo per risolvere il problema di questo Stato. La nostra spesa pubblica, proporzionalmente, è una delle più ingenti del mondo. Il problema si risolve semplicemente responsabilizzando il livello più basso, compatibile con l'attività che si andrà a svolgere.
Ma il federalismo fiscale si fa (utilizzo una battuta che, dalle nostre parti, è comune) con il titolo V: chi ha in mano i soldi, ha vinto! Infatti, quando l'ente locale trattiene i quattrini, può essere responsabile, ma quando l'ente locale trasferisce i quattrini a Roma, si sarà sempre ricattati e ricattabili, perché non sono più soldi nostri, ma sono risorse che tornano se e forse, a condizioni che non sono più giustificate.
Con questo meccanismo non c'è la responsabilità diretta. La responsabilità diretta si ha quando i quattrini si gestiscono autonomamente. Poi, chiaramente, non si vogliono gestire tutte le risorse! Si discute sulla percentuale che deve rimanere al livello più basso. Tuttavia, finché non si ribalta la questione, cari miei, non si risolverà mai il problema della spesa pubblica!
Mi avvio alla conclusione, svolgendo alcune considerazioni di carattere squisitamente politico.
Chi non si ricorda Prodi, con la sua bella faccia simpatica, che disse «1 a 0», dopo le elezioni politiche, «2 a 0», dopo le amministrative (ha avuto la decenza di non dire «3 a 0» dopo il referendum, perché già erano iniziati problemi per la maggioranza; quindi, quello ce lo ha risparmiato)? Adesso, la questione si ribalta. Il Governo Prodi ci ha dato un bel «1 a 0» con l'indulto, «2 a 0» con il decreto Visco Bersani, «3 a 0» con il decreto-legge n. 262, oggetto della nostra discussione, e «4 a 0» con la legge finanziaria per il 2007.
Attenzione, perché chi perde è il paese! Non c'è una categoria (una!) che sia contenta. Non ce n'è una, tranne la CGIL, ma quello è scontato. In realtà, chi ha perso davvero è Prodi. Prodi sostanzialmente già è stato scaricato; è andato a Verona ed ha ricevuto la «saccata» di fischi e sarà sempre peggio. Padoa Schioppa, su Liberazione, è stato scaricato, quindi, la sinistra estrema sta già buttando la croce addosso ai tecnici: la colpa è dei tecnici! Questo è il teatrino della politica.
D'altronde, lo abbiamo già constatato nel lavoro in Commissione (ma devo dare atto dell'onestà intellettuale di molti dei commissari presenti), è stato fatto poco o niente. Si è lavorato davvero poco e solo nell'ultimo giorno, perché, fino a quel momento, il lavoro è stato fatto altrove, nelle segreterie di partito. Infatti, ciascuno ragiona in termini del nuovo Governo, arroccandosi sulle proprie posizioni, facendo in modo che i propri provvedimenti vadano avanti. Non c'è più una linea comune, ognuno pensa già con quale forza potrà entrare nel nuovo Governo.
Bene, la Lega Nord a questo gioco non ci sta! Noi facciamo un appello alla responsabilità delle forze di maggioranza, perché facciano in fretta a spedire Prodi al suo posto, ossia a casa. Se si deve fare un altro Governo, lo si faccia in fretta per il bene del paese. Noi ci auguriamo che si vada alle elezioni e che si faccia un Governo nuovo, con una maggioranza nuova.
In ogni caso, la Lega Nord non farà sconti in finanziaria, per l'interesse del nord, che è poi l'interesse del paese. Infatti, se va bene il nord e il sistema produttivo, va bene tutto il paese. Per cui, e concludo, la battaglia sarà ancora più dura sulla finanziaria. Ci aspettiamo, però, che anche da parte della maggioranza ci sia una assunzione di responsabilità sul fatto che a farne le spese è il paese intero. Dunque, ci aspettiamo che molti provvedimenti siano ridimensionati, in un'ottica


Pag. 28

di puro buonsenso (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Elpidio. Ne ha facoltà.

DANTE D'ELPIDIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, con questo provvedimento iniziamo oggi ad affrontare la manovra di bilancio per il 2007. Il decreto-legge che affianca il disegno di legge finanziaria costituisce parte rilevante della manovra di finanza pubblica per il 2007 e contiene significative correzioni di aggiustamento strutturale del deficit tendenziale. È stata fatta, dunque, un'operazione di trasparenza e di correttezza, volta a tenere sotto controllo i flussi di finanza pubblica rispetto alle direttrici fissate dal precedente Governo, che non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati circa la manutenzione della base imponibile ed il controllo della spesa corrente. Il Governo, perciò, sta cercando in tutti i modi di invertire tali andamenti negativi, tentando di risolvere i problemi aperti da una finanziaria elettorale come quella varata lo scorso anno dal Governo di centrodestra.
Signor Presidente, questa manovra di finanza pubblica ha l'obiettivo difficile di porre in sicurezza i dati 2006 e correggere in senso strutturale il deficit tendenziale. Come è ovvio, per la logica della politica e del gioco delle parti, questa manovra ha suscitato vivaci polemiche e, comunque, un importante dibattito, in alcuni casi frutto di sincera convinzione e di forte volontà di miglioramento, in altri casi strumentale e sterile, in parte fazioso. Non vi è dubbio che il segno più negativo dell'economia italiana è quello della perdita di competitività nei confronti degli altri paesi, europei e non europei. Prima di tutto, vi è da sottolineare che il testo giunto all'esame dell'Assemblea è un documento che ha avuto vari cambiamenti rispetto a quello licenziato dal Consiglio dei ministri, lo scorso 29 settembre. Ciò è avvenuto grazie al grande lavoro svolto dalle Commissioni bilancio e finanze (e do merito a tutti i colleghi, compresi i relatori, per la grande mole di lavoro svolto in entrambe le Commissioni).
Il testo al nostro esame rappresenta un complesso di misure che si sviluppa organicamente su più orizzonti temporali, con una manifesta volontà di avviare davvero l'opera di profonda riforma che ci siamo prefissati, attraverso una serie di interventi formulati nella logica del rigore e della giustizia sociale, della trasparenza, della semplificazione e dell'efficienza amministrativa. Tra le molte osservazioni critiche avanzate, voglio recuperare l'interrogativo posto dall'opposizione sul fatto che questa manovra aumenterà le tasse. A ciò rispondiamo che questa finanziaria garantirà 4 miliardi di euro con le misure per il recupero di imposte evase o eluse da emersione.
Ma, a questo punto, si pone un interrogativo, e mi libero della parte più formale del mio intervento, per affrontare alcuni aspetti che riguardano l'informazione. Infatti, sotto questo aspetto, che mi sembra pure importante, della manovra si è parlato e ne conosciamo tutti i contenuti, ma debbo rimarcare l'attenzione sul fatto che l'informazione non ci aiuta a spiegare le valide ragioni che ci hanno condotto a queste scelte ed a queste decisioni. Non c'è nulla da fare, tutti sembrano aver dimenticato come aveva ridotto il paese il precedente Governo: crescita «zero», finanza creativa, senza interventi strutturali, aumento del deficit pubblico di altri 90 miliardi di euro negli ultimi cinque anni; tutto dimenticato!
Dunque, anche se l'impianto della manovra varata dal Governo è apprezzato dall'Unione europea perché risana i conti, cresce nel paese il malcontento verso il Governo di centrosinistra. In verità, il Governo non ha saputo comunicare la missione che affida a questa sua prima finanziaria.
Tocca perciò alla maggioranza in Parlamento fare questo lavoro, che - ritengo - fornirà un diverso e buon risultato finale.
Negli ultimi cinque anni, Berlusconi ha sempre posto la questione di fiducia sulla


Pag. 29

legge di bilancio, lui che disponeva di una maggioranza più ampia di quella attuale, che gli avrebbe consentito di compiere le riforme promesse ed attese. Per assecondare il «vuoto» creativo di Tremonti preferì sempre chiudere ogni possibilità di miglioramento parlamentare a colpi di maxiemendamento.
Con questa manovra non vogliamo far piangere nessuno, ma ridare più fiducia e speranza nel futuro a tutti. Non vogliamo che nessuno pianga, ma neanche che alcuno rida, fregandosi le mani perché, magari, ha approfittato di qualche altra categoria meno organizzata e più indifesa.
I giudizi delle agenzie di rating sui conti pubblici italiani sono la conseguenza dell'eredità lasciata dal precedente Governo, ma - a fianco di questi apprezzamenti - dobbiamo anche notare che l'agenzia Fitch giudica positivamente la manovra.
Siamo stati accusati di aver reintrodotto la tassa sulla successione. In effetti, noi che siamo per la legalità e per l'emersione del sommerso, abbiamo ridato titolo ad una tassa che esisteva, mai soppressa, cioè la tassa di successione alla finanza creativa di Tremonti. Non lo abbiamo potuto fare usando la formula dell'accettazione con beneficio di inventario, perché l'inventario di una finanza creativa consegue al fatto che l'inventario sia anch'esso creativo.
Il Governo Berlusconi ha impiegato cinque anni per ridurre l'Italia nello stato attuale. Non vogliamo essere più bravi, ma intendiamo migliorare i conti, frenare ed arrestare l'emorragia ed abbiamo bisogno di cinque anni per fare bene, perché a recuperare gli errori s'impiega più tempo che a commetterli. Abbiamo intenzione di proseguire in tale operazione, anche se c'è chi ha impazienza, chi chiede le chiavi del «palazzo» o (visto che si è parlato del convegno di Verona) le chiavi del paradiso, mi riferisco a palazzo Chigi. Certo, chi è abituato ad avere tante chiavi di palazzo, non si abitua al purgatorio al quale è stato condannato dagli elettori.
Il Papa ci ha sollecitato a comportamenti esemplari, che debbono essere testimoniati quotidianamente, anche con la nostra vita, e quella privata non è da meno. La coerenza, l'impegno deve essere qualcosa che non manifestiamo soltanto quando vi sono scadenze, eventi ed applausi facili da andare a prendere, anche perché sollecitati e stimolati, ma anche quando vi sono, come è successo al nostro Presidente del Consiglio, contestazioni frutto di un'organizzazione che tende a dipingere di nero tutto ciò che, ultimamente, il Governo compie. La verità non è questa; la verità è che, anche a Verona, è stato ribadito che la Chiesa non ha alcuna voglia di scendere in politica, mentre alcuni politici non resistono alla voglia di pontificare.
Nella manovra finanziaria noi sosteniamo, in base ai principi ai quali io, da cattolico, mi richiamo, con una testimonianza che ne è l'esempio, che «chi più ha, più deve dare». Non vorremmo che le opere, anche quelle pie, si realizzassero con le idee dei ricchi e con i soldi dei poveri. Quindi, riteniamo che tutti possano concorrere ad effettuare scelte importanti per ridare fiducia, crescita e sviluppo al paese, scelte, però, che devono essere sostenute maggiormente da chi ha maggiori disponibilità. Questo per noi significa riequilibrio.
Nel dettaglio della manovra, tutti abbiamo potuto apprezzare le scelte compiute.
Per quanto riguarda le successioni, ritengo che il milione di euro di franchigia rapportato ai valori catastali - che, come ben sappiamo, sul valore di mercato ha un'incidenza diversa e di molto superiore per erede -, metta al riparo ed in assoluta tranquillità la maggioranza delle famiglie italiane. Se poi una residua parte di queste ultime ha - per loro fortuna e senza voler dare alcun giudizio - grandi patrimoni, allora non mi sembra una rapina che sulla parte eccedente il milione di euro di un grande patrimonio possa essere applicata un'aliquota del 4 per cento.
In relazione al bollo auto e moto ed ai SUV, abbiamo affrontato il problema non nella logica di reperire fondi - che pure erano necessari per tappare un buco minimo di 15 miliardi di euro causato dalle


Pag. 30

fallimentari manovre finanziarie dei precedenti governi di centrodestra -, ma in quella di armonizzare questa materia per dare maggiori incentivi al trasporto locale pubblico. Si tratta di una direzione che abbiamo imboccato in quanto siamo convinti che, quando parliamo di ecologia, di inquinamento e di altri temi importanti, siano le operazioni concrete a dover fornire adeguate risposte.
Quanto alla sicurezza stradale - altro tema che ci sta a cuore - abbiamo introdotto la norma che prevede un'infrazione con conseguente confisca del mezzo nel caso in cui un motorino sia senza protezione ovvero in caso di guidatore senza casco allacciato.
In merito alle autostrade, sono state confermate le modifiche apportate dal ministro delle infrastrutture Antonio Di Pietro, tra cui la soppressione del tetto del 5 per cento posto ai costruttori che partecipano alle società concessionarie. Non ho preoccupazioni nel ribadire, in qualità di capogruppo dei Popolari-Udeur in Commissione bilancio, quale sia stata la mia posizione: eravamo e siamo per una più attenta riflessione e per un'analisi più profonda di questa materia che merita di essere ancora meglio sviscerata, e non è detto che questo non possa accadere in futuro.
Sul fronte delle infrastrutture, ci sembra importante che a regioni come la Calabria e la Sicilia siano state restituite disponibilità per la realizzazione di opere che forse sono più importanti di altre. Infatti, quando ci siamo posti il problema - ed io non sono un tifoso della questione «ponte sì, ponte no» - è stato evidenziato, anche in questa aula, che velocizzare i tempi di attraversamento del ponte sarebbe importante, ma poi perdersi nella circolazione ordinaria e disastrata in Sicilia o in Calabria rappresenta un problema altrettanto importante da risolvere.
Nel campo dell'editoria, sono stati soppresse alcune norme, come quella che rivedeva le provvidenze o quella relativa ai messaggi istituzionali di utilità sociale, nonché la disposizione sul diritto d'autore per la riproduzione di articoli, di riviste e giornali. Anche con riferimento a questo tema importante, ho già detto all'inizio del mio intervento che sulla comunicazione e sull'informazione dobbiamo essere più attenti; torneremo su queste questioni con altre scelte, decisioni ed interventi, anche legislativi, che possano dare spazio e vigore al settore.
In campo fiscale, in relazione agli scontrini, si prevede che siano necessarie tre infrazioni nell'arco di cinque anni per far scattare la chiusura degli esercizi commerciali, la quale potrà essere anche non immediata. Questi sono passaggi - lo ricordo - molto importanti perché di ogni nostro provvedimento, anche discusso e controverso, si è preferito dare una lettura liquidatoria, negativa e fallimentare. Non ci sentiamo di stare a questo gioco perché, se è stato accertato che 16 milioni di italiani ci guadagnano mentre 5 milioni - come affermo io - non ci perdono (ma i loro redditi saranno riequilibrati), significa che siamo sulla strada giusta.
In quest'aula è stato già ricordato, anche prima del mio intervento, quanto bisogno vi fosse di varare interventi strutturali per contenere l'andamento del deficit e della spesa pubblica. Mi sembra che non possiamo accettare lezioni da chi è stato campione assoluto, negli ultimi anni, del dilatamento e della crescita sia della spesa, sia del deficit pubblico, raggiungendo record difficilmente eguagliabili. Noi non vogliamo cimentarci in tale impresa!
Dirò di più, perché dobbiamo essere seri ed equilibrati nel compiere le nostre analisi, e dobbiamo anche rilevare - perché lo ha ricordato il ministro competente - che il 50 per cento della spesa viene deciso in sede decentrata e periferica, vale a dire nelle regioni, nelle province e nei comuni.
È vero che, molto probabilmente, i trasferimenti agli enti locali saranno inferiori rispetto al passato; tuttavia, vorrei evidenziare che vi è una logica alla base di tale scelta. Infatti, se gli importi dei trasferimenti agli enti decentrati rimanessero sempre costanti, si dichiarerebbe che non vi è la possibilità di intervenire per ridurre


Pag. 31

gli sprechi. Vorrei osservare, allora, che tutti invocano il famoso risanamento, purché venga realizzato a spese degli altri ed a carico del vicino, senza essere toccati personalmente!
So che lo Stato, per poter chiedere al cittadino di rispettare le proprie indicazioni, deve dare il buon esempio. L'esempio è quello di lanciare per primi un segnale forte e tempestivo nel contenimento della spesa; tuttavia, come ho precedentemente affermato, se la migliore testimonianza è l'esempio, tale esempio deve essere successivamente seguito in ogni parte del paese. Ciò perché ritengo assurdo pensare che in tanti comuni, in numerose regioni e in tante province non vi siano settori sui quali si possa intervenire, e forse non vi siano consulenze delle quali si possa fare a meno, recuperando professionalità interne. Riesce difficile immaginare, infatti, che non vi siano spese che, magari in un momento difficile, possano essere accantonate o rinviate.
Vorrei dire, allora, che la nostra mentalità deve cambiare e deve essere superato il concetto per cui il bene comune, che tutti sosteniamo di avere a cuore, ci riguarda a condizione che non comporti costi personali. Il conseguimento del bene comune, invece, ci deve riguardare, in quanto tutti quanti dobbiamo contribuire a garantire ed a soddisfare l'interesse pubblico.
In tal senso, noi, che siamo impegnati in questa sede per risolvere questo grave problema, dobbiamo essere ottimisti. Ricordo che il collega intervenuto prima di me, appartenente al gruppo Lega Nord, ha affermato che non si vede «niente sotto il sole». Per fare una battuta, allora, vorrei rispondere che, per una persona che viene dalla Padania, vedere il sole è già un successo, ma vedere qualcosa sotto il sole è un obiettivo ancora più difficile da realizzare! Noi, che invece al sud abbiamo il privilegio di vederlo, vogliamo essere ottimisti e lanciare un segnale di speranza. Vogliamo dire che il sole c'è e che sotto il sole possono esservi tante opere; tali opere, tuttavia, possono essere realizzate solo dalle persone che si preoccupano del bene comune non solo con le parole e con i discorsi.
Sono alla prima legislatura da deputato e riconosco con assoluta tranquillità che forse non sarò bravo a pronunciare i discorsi; tuttavia, spero di dare l'esempio attraverso il mio impegno quotidiano. Quest'ultimo, infatti, sarà rivolto al bene dei cittadini che amministriamo, soprattutto - e si tratta di un tema che mi sta particolarmente a cuore - di quelle persone che incontrano maggiori difficoltà, che hanno bisogno di sostegno e che devono essere aiutate (Applausi dei deputati dei gruppi Popolari-Udeur e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berruti. Ne ha facoltà.

MASSIMO MARIA BERRUTI. Signor Presidente, prima che il collega D'Elpidio esca dall'aula, vorrei ricordargli che la campagna elettorale è finita da un po' di tempo e che se è vero che cinque anni di Governo Berlusconi hanno condotto l'Italia al disastro, come egli asserisce, mi pare che la gente, dopo tre o quattro mesi dell'Esecutivo Prodi, abbia dichiarato che la situazione è peggiorata. Comunque, lasciamo da parte la polemica e torniamo ad affrontare il decreto-legge in esame.
Una valutazione del decreto-legge richiederebbe un'analisi completa di tutto il «pacchetto» di norme che dà corpo alla manovra finanziaria per il 2007, costituita dal provvedimento in esame, dal disegno di legge finanziaria vero e proprio, dal disegno di legge delega per il riordino del sistema tributario (presentato dal Governo e in attesa di assegnazione) e, ovviamente, dal cosiddetto decreto-legge Visco-Bersani, già convertito.
Va posta, a mio parere, una questione di metodo, che discende dagli ultimi dati diffusi dall'ISTAT. L'Istituto ci dice che, nel primo semestre di quest'anno, il deficit pubblico è sceso al 2,9 per cento del prodotto interno lordo. Anche gli altri indicatori dell'andamento dei conti pubblici registrano un notevole miglioramento. Ciò smentisce le catastrofiche previsioni


Pag. 32

che erano state diffuse per giustificare la straordinaria pesantezza della manovra.
In questa sede, però, non voglio soffermarmi sull'ampiezza dei sacrifici che vengono chiesti ai cittadini, perché, in massima parte, le relative misure sono previste dal disegno di legge finanziaria. Tuttavia, non posso fare a meno di rilevare che non sussistevano i motivi di necessità e di urgenza indispensabili per procedere a ripetuti interventi per decreto-legge, che hanno sottratto al vaglio del Parlamento la visione panoramica del significato della manovra.
Per giunta, i tempi imposti dal decreto-legge privano questo Parlamento della possibilità di calibrare cognita causa i sacrifici imposti dagli interventi di spesa programmati. Non si può accettare a priori l'affermazione di alcuni qualificati esponenti del Governo, secondo i quali il disegno di legge finanziaria può essere corretto, «fermi restando i saldi contabili» (cito tra virgolette). Non dovrebbe trattarsi di verità immutabili, considerato che, in sede di presentazione alla Commissione europea, è stato precisato che il saldo della manovra va letto con il peggioramento di un ulteriore miliardo di euro (ma poi è stato annunciato, come abbiamo visto, un miglioramento dei trasferimenti a favore di comuni e province). L'articolazione dei mutamenti, fino a questo momento, non è nota.
Ciò detto, per manifestare il senso di imbarazzo, per l'evidente svilimento della funzione parlamentare (almeno, io mi sento fortemente imbarazzato a causa dello svilimento della mia funzione di parlamentare da qualche decina di anni), e rinviando alla sede propria l'illustrazione delle conseguenze dell'inasprimento della pressione fiscale in termini di aliquote, rilevo che il decreto-legge in esame incide profondamente su un aspetto che è stato troppo spesso trascurato, ma che concorre, in modo non trasparente, a determinare la pressione medesima: va esaminato prioritariamente, a mio avviso, il tema dei costi di adempimento.
Già nel cosiddetto decreto Visco-Bersani sono state introdotte misure di non poco conto: è stato reintrodotto l'obbligo di presentazione dell'elenco dei clienti e fornitori (che, è bene ricordarlo, era stato soppresso con il consenso dell'amministrazione finanziaria, in quanto ritenuto del tutto inutile); è stata attuata l'anagrafe dei conti bancari; sono stati inaspriti gli obblighi contabili a carico dei professionisti; sono stati introdotti nuovi adempimenti relativi alla compravendita di immobili; sono stati assegnati nuovi poteri all'Agenzia delle entrate ed agli agenti della riscossione; sono state richieste specifiche segnalazioni a carico delle società di assicurazione e dei calciatori professionisti; sono state anticipate le date per la presentazione delle dichiarazioni periodiche condizionate ad accertamenti ed attribuzioni dei numeri di partita IVA; infine, sono stati telematizzati obbligatoriamente i pagamenti delle imposte.
Tutto ciò è stato fatto in nome della lotta all'evasione, che non può non trovare consenso, a condizione che si sappia, però, come si intenda condurla, affinché il fine non giustifichi altri e non sempre chiari intendimenti. Questo ci sembra di capire.
Il problema, oggi - lo dico astenendomi da qualsiasi retropensiero - va comunque affrontato in termini di efficienza, efficacia, economicità, tenendo ben presenti, da un lato, il principio costituzionale del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione e, dall'altro, gli oneri che si scaricano sui contribuenti.
Nel decreto in esame «spiccano» nuove procedure: la trasmissione telematica di dati relativi a prodotti soggetti ad accise; ulteriori acquisizioni dei contratti di prestazioni professionali degli atleti professionisti e dei pagamenti effettuati dalle assicurazioni a titolo di risarcimento dei danni; accollo integrale a carico dei contribuenti degli oneri di riscossione; estensione dei poteri tipici della polizia tributaria agli agenti della riscossione; obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni e delle società a prevalente partecipazione pubblica di non effettuare pagamenti nei confronti dei soggetti che abbiano carichi


Pag. 33

tributari. Inoltre, vengono introdotti ulteriori oneri. A titolo di esempio, richiamo l'acquisizione di altri dati e documenti e l'attribuzione delle funzioni di sostituto d'imposta al condomino o al capo condomino o a chi rappresenta i condomini. Tutto ciò va ad aggiungersi ad altri adempimenti preesistenti.
Il panorama che ricaviamo da questa brevissima ricostruzione è che tutti i cittadini in età produttiva debbano ormai dedicare una buona parte della propria vita, del proprio tempo - una parte non indifferente - a soddisfare le esigenze informative dell'amministrazione finanziaria, in funzione della lotta all'evasione fiscale.
Sono lontano dal voler affermare che al conseguimento di questo obiettivo non debbano concorrere tutti; però, bisogna chiedersi se i sacrifici così previsti non vadano a gravare sulle risorse destinate alla produzione, se siano razionali e, quindi, giustificati. La massa di dati che si intende far affluire all'amministrazione finanziaria è così imponente che per la loro utilizzazione si presuppone l'esistenza di una macchina efficientissima, cosa che, dai dati, dalle informazioni e da quello che vediamo, non esiste, considerato peraltro che, all'articolo 1, ai commi 14 e seguenti, si prevede l'impiego di risorse anche per consulenze dirette alla riorganizzazione della pubblica amministrazione.
Tra l'altro, nel disegno di legge sul riordino del sistema, si richiede la delega per il riordino dell'amministrazione. Sarebbe dunque logico che l'acquisizione e la destinazione delle risorse fossero rinviate alla legge delega.
A questo punto, non posso fare a meno di rilevare che il provvedimento d'urgenza in esame, complessivamente, almeno per quanto mi riguarda, è assolutamente oscuro. Le perplessità aumentano man mano che si leggono gli articoli, ove si comunica, ad esempio, che mutano profondamente i presupposti dell'utilizzo, ad esempio, degli studi di settore e quindi non si comprende più su quali strumenti si dovrebbe fare affidamento per la lotta all'evasione considerato che taluni di questi strumenti sono contraddittori - o addirittura superflui - e talvolta ripetitivi.
Insomma, l'impressione che si ricava è sempre più netta e fa sorgere la necessità che il Governo chiarisca in Parlamento quali siano le linee di azione che intende perseguire, atteso che il funzionamento dell'amministrazione finanziaria, proprio per gli interessi generali sottostanti, non può essere considerato una sorta di interna corporis dell'Esecutivo.
Passando ora gli altri aspetti attinenti in senso più stretto alle norme tributarie, manifestiamo netta contrarietà per le ripetute acquisizioni di dati a carico di una categoria di contribuenti, quale è quella dei calciatori professionisti. È probabile - anzi, è certo - che si tratti di un settore da tenere sotto attenta sorveglianza, stando alle cronache giudiziarie degli ultimi tempi. Potrebbe però non essere l'unico; eppure, nei confronti di altri settori, non vengono proposte normative analoghe. L'amministrazione ha già in mano gli strumenti e le norme per perseguire singoli contribuenti o gruppi di contribuenti. Un'intrusione sistematica nella sfera della libertà di negoziazione appare come una pericolosa evoluzione del sistema, al pari di quella, che è già stata indicata, del blocco dei pagamenti da parte delle società a prevalente capitale pubblico nei confronti dei contribuenti morosi.
Perplessità suscita anche l'inasprimento delle sanzioni accessorie a fronte di una sola violazione delle norme sul rilascio dello scontrino fiscale. Lasciamo stare le quantità e le diminuzioni che ci sono state nel frattempo, ma qui si parla di una sola violazione della norma del rilascio dello scontrino fiscale. Riscontriamo, ancora, forti perplessità sull'inclusione del sistema dei versamenti unitari dei contributi sindacali.
A proposito di finanza locale, poi, permettetemi una breve parentesi. Appaiono sorprendenti le lagnanze di comuni sull'esiguità delle risorse loro assegnate. Tralasciando le considerazioni sull'inasprimento delle addizionali, rilevo che all'articolo 5, si consente di rivedere la classificazione catastale degli immobili destinati


Pag. 34

all'erogazione dei servizi pubblici. La norma, formulata in termini estremamente criptici, in sostanza, porterà nel campo dell'applicazione dell'ICI immobili che oggi vi sono assolutamente esclusi. Altro che scendere in piazza! In parole povere, saranno soggette al tributo la massima parte di aree edificate nei porti, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie. Alla faccia delle lamentele dei sindaci dell'Unione e non! Questo è stato un «regalone» fatto ai sindaci, i quali, per la prima volta, potranno applicare l'ICI su immobili che, in precedenza, non erano neanche considerati dall'amministrazione finanziaria.
Allora, se pure in linea teorica si potrebbe convenire sull'opportunità della norma, non possiamo, però, fare a meno di invocare una disposizione di coordinamento che ponga un tetto alla pressione fiscale degli enti locali. Basterebbe che si fissasse un tetto in modo tale che si sappia perfettamente dove e fino a che punto gli enti locali possono applicare tale norma.
Il decreto contiene, inoltre, una serie di disposizioni che non possono suscitare consensi. Cercherò di limitare il mio intervento, in modo da consentire la sospensione antimeridiana dei lavori per il pranzo, ma non posso non accennare alla questione relativa a Poste Spa ed a Ferrovie dello Stato Spa. Negli articoli 10 e 11, sono contenute disposizioni per gli immobili non più strumentali alla gestione di Poste Spa e Ferrovie dello Stato Spa. Si tratta di un problema annoso, alla cui soluzione sono state fatte risalire spesso improbabili capacità di reperire risorse per alleggerire gli oneri a carico dei bilanci pubblici. In realtà, le due norme affrontano alcuni problemi giuridici e, sicuramente, ostacolano l'alienazione, ma ignorano aspetti di carattere gestionale che sono fondamentali. Poste e Ferrovie svolgono, oltre alle attività assolutamente insite nel loro oggetto sociale, altri tipi di attività, rispetto alle quali, quella immobiliare, tesa alla valorizzazione dei cespiti in funzione della loro immissione sul mercato, è assolutamente estranea alla missione principale sia delle Poste sia delle Ferrovie. Peraltro, nella scorsa legislatura, ricorderete che, per altre situazioni, sono state individuate diverse soluzioni, che hanno dato risultati assolutamente insperati.
Nel clima di innovazione che ispira questa maggioranza non si richiede neppure di ripercorrere strade già sperimentate, peraltro, da coloro che oggi sono all'opposizione, quindi dai vostri avversari politici. Ma si prenda almeno coscienza del fatto che il raggiungimento dell'obiettivo passa attraverso l'individuazione di un soggetto che dedichi tutte le sue capacità a queste azioni ed operi con la dovuta professionalità.
Non comprendiamo la ragione per la quale viene prestata attenzione al patrimonio immobiliare di queste due società e non anche a quello dell'ANAS Spa, rispetto alla quale in passato sono state adottate norme analoghe a quelle attuali riguardanti le Ferrovie, senza che tale società sia riuscita a vendere un solo immobile!
Ciò mi indurrebbe a svolgere alcune considerazioni ed il ministro Di Pietro dovrebbe riflettere su questo aspetto. Lo stato degli immobili di proprietà dell'ANAS è sotto gli occhi di tutti. Il passaggio di una parte della rete stradale alle regioni non ha assolutamente migliorato la situazione. Cito questo esempio (ma se ne potrebbero portare tanti altri) per richiamare l'attenzione sull'incongruità delle norme di cui oggi chiedete l'approvazione. Il richiamo ad uno dei tanti problemi dell'ANAS consente di aprire altre finestre; una finestra si apre anche sulla norma che riguarda il settore autostradale.
I fenomeni cui la stampa ha dato spazio e risalto traggono origine da un processo di privatizzazione deciso da un Governo di centrosinistra che all'epoca aveva promesso di adottare, contemporaneamente, anche norme dirette alla liberalizzazione del mercato. Il primo provvedimento ha preso corpo; il secondo è rimasto nel limbo dei desideri, così che il monopolio pubblico è stato trasferito nelle mani dei privati.


Pag. 35


All'epoca - lo ricorderete tutti - si occupò di tale questione (in verità, con riferimento a tutti i settori interessati al regime delle concessioni) l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che pubblicò uno studio molto interessante ed istruttivo, probabilmente, ancora oggi, di grande attualità. Vi chiedo, sommessamente, di dare uno sguardo a questo studio.
L'analisi delle vicende passate fa sì che oggi non si possa fare a meno di esprimere grande preoccupazione per la previsione che, in caso di estinzione delle concessioni, debba subentrare l'ANAS. Non si dice cosa l'ANAS dovrà fare, una volta subentrata. Si può supporre che debba gestire il tratto autostradale, non più in mano ai privati...

LANFRANCO TURCI. È stata tolta, questa parte!

MASSIMO MARIA BERRUTI. Sì, sto parlando di una prima fase. Successivamente, evidentemente perché vi è stata attenzione ad un nostro richiamo anche in Commissione, questa norma è stata soppressa. Vi preghiamo di fare altrettanto: ve lo abbiamo chiesto per l'articolo 12, e vi chiediamo di esaminare questo articolo con la stessa attenzione.
Purtroppo, non riusciamo nel nostro intento, perché - come tutti i Governi - anche questo è fatto di uomini e, all'interno dell'Esecutivo, per scelte assolutamente politiche, che nascono da ragioni assolutamente elettorali, bisogna accettare le imposizioni di alcune componenti di partiti che appartengono alla maggioranza, che fanno parte del Governo e che impongono posizioni assolutamente inaccettabili.
Orbene, non si comprende se, sul processo di privatizzazione, sia in atto un ripensamento ulteriore, un regresso più o meno soft, o se la gestione ANAS sia del tutto transitoria in attesa di ulteriori eventi. Vi sarebbe la necessità di fornire indicazioni chiare al Parlamento su cosa si intende fare.
Mi avvio alla conclusione. Nella relazione di accompagnamento al provvedimento si legge che la procedimentalizzazione delle variazioni tariffarie colma un vuoto legislativo. Questa affermazione stupisce, perché farebbe ritenere che la generosità oggi denunciata sia frutto di improvvide iniziative.
Sarebbe bene che questo aspetto fosse opportunamente approfondito e che, se responsabilità vi sono, esse siano ascritte con precisione.
A parte questa considerazione, che mi sembra ovvia, non possiamo dire che la cosiddetta procedimentalizzazione sia in grado di chiarire quali siano i criteri che verranno adottati in futuro. Soprattutto, non vi è alcun cenno alle conseguenze che si verificheranno sull'intero settore autostradale, accentuando così le preoccupazioni per una retromarcia sulle privatizzazioni, come panacea per la mancanza di norme sulle liberalizzazioni.
La norma riserva ulteriori sorprese. Il riferimento è al peso limitato al 5 per cento dei diritti di voto dei soci tra i quali si annoveri la presenza di costruttori. Al di là della compatibilità di una simile previsione con la normativa comunitaria, sarebbe interessante conoscere chi siano i soggetti che dovrebbero esercitare i diritti congelati e come tutto ciò si concili con il nostro diritto societario.

LANFRANCO TURCI. È stato tolto!

MASSIMO MARIA BERRUTI. Sì, ma lo avete scritto! Su questo argomento permettetemi dunque di fare un po' di polemica, perché abbiamo dovuto sudare per farvelo togliere!

LANFRANCO TURCI. Meno male che lo abbiamo tolto...!

MASSIMO MARIA BERRUTI. Certo, meno male che lo avete tolto! Però ce ne sono tante altre di cose da togliere!
Queste sono le ragioni per le quali su questa norma abbiamo fatto questo tipo di intervento. Avevamo infatti l'impressione che vi fosse anche un conflitto con il codice civile.


Pag. 36


Ragioni di tempo non mi permettono di approfondire numerose altre disposizioni contenute in questo provvedimento, che, al pari di quelle analizzate, potrebbero anche trovare in qualche parte alcune condivisioni. Tuttavia, la condivisione è resa impossibile dalla lacunosità e dal tono generale inquisitorio e punitivo del decreto nel suo complesso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gianfranco Conte. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO CONTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte ad un intreccio tra il cosiddetto collegato fiscale e la finanziaria, dal quale emerge un disallineamento normativo abbastanza evidente. In particolare, diverse norme presenti in questo decreto fiscale contraddicono l'impostazione seguita invece nella finanziaria; ma di quest'ultima parleremo più avanti.
In questa fase del dibattito a me interessa affrontare la questione fiscale nel suo complesso, perché voi state procedendo verso una china veramente insopportabile. Infatti, avete affrontato l'azione di prevenzione - avete fatto un gran battage pubblicitario sull'evasione e sull'elusione - e, più in generale, la questione fiscale in un modo occhiuto, che probabilmente non vi darà i risultati che vi aspettate.
Tutte le procedure previste in questo collegato e nella finanziaria partono dal presupposto che occorre aumentare i controlli per avere un risultato nella lotta all'evasione. Tuttavia, non tenete in nessun conto il fatto che tutte le procedure telematiche e tutte le innovazioni, sotto il profilo dell'analisi sintetica dei dati che provengono dal contribuente verso l'Agenzia delle entrate, in tutti questi anni hanno avuto un discreto successo, innanzitutto, poiché vi è stata la piena collaborazione degli operatori tributari, i quali hanno adeguatamente supportato l'azione che il Governo dovrebbe svolgere nei confronti dei contributi.
Tuttavia, sovraccaricando il sistema di analisi, controlli, intrecci e quant'altro, vi ritroverete nell'impossibilità materiale di gestire tutta questa massa di dati che porteranno esclusivamente a concentrare l'azione su casi sporadici, su piccole parti dell'intero comparto.
D'altra parte, ci sembra ovvio rilevare che il vostro obiettivo è quello di fare terrorismo psicologico. Voi pensate - e ciò si evince dalle norme che affastellate nei vari provvedimenti - che, attuando un po' di terrorismo, si costringa il contribuente infedele ad aderire alle vostre richieste.
Questa operazione è resa tanto più evidente dal fatto che, in questo provvedimento, prevedete addirittura il riordino complessivo della macchina del Ministero delle finanze. Dove volete arrivare? Pensate veramente che, mettendo insieme l'Agenzia delle entrate, l'Agenzia delle dogane, il comparto delle accise e dei tabacchi all'interno della Agenzia delle entrate, potrete veramente migliorare la macchina? Intanto, questo percorso, che intendete realizzare in maniera accelerata - magari l'anno prossimo -, richiederà del tempo per mettere insieme un'organizzazione capace di attuare veramente una lotta all'evasione. Potreste ristrutturare, mettere mano a qualche dirigenza, a qualche comparto, ma per realizzare un'operazione del genere ci vogliono anni e voi il tempo non lo avete, perché nel frattempo le agenzie internazionali vi danno qualche suggerimento, degradando il livello del nostro debito.
L'operazione del riordino, che state difendendo e che dovrebbe portare, tra l'altro, anche alla riunificazione dell'Agenzia del demanio con il territorio - cosa che noi avevamo già sostenuto nella prima fase, attraverso il nostro collega Frattini (io stesso sono intervenuto in Commissione finanze) -, potrebbe produrre risultati, ma occorrerebbe rivedere l'impianto complessivo delle agenzie, soprattutto in considerazione del fatto che, da una parte, abbiamo un'agenzia mentre, dall'altra, abbiamo un altro tipo di organizzazione rappresentata dal demanio.
D'altronde, sapete bene che tutto ciò che si muove intorno alla revisione degli estimi catastali e alla valorizzazione dei


Pag. 37

beni dello Stato, è difficile da gestire; ne abbiamo visto le implicazioni, soprattutto nella scorsa legislatura, quando abbiamo tentato di realizzare le cartolarizzazioni.
Un altro punto importante, che mette in luce ancora di più il vostro approccio al problema fiscale, è rappresentato dall'articolo 2, nel quale viene trattato l'argomento della riscossione.
Il progetto di riscossione, che abbiamo portato avanti nella scorsa legislatura e che ha fatto confluire in un'unica società di proprietà dello Stato le molte concessionarie sparse su tutto il territorio nazionale, è stato avviato il 1o ottobre e richiede un'integrazione di sistemi informatici e, soprattutto, una valorizzazione delle professionalità esistenti nel comparto della riscossione.
In tutto ciò vi è un problema: all'interno delle società concessionarie della riscossione, vi erano persone capaci ed esperte del settore, ma vi erano anche moltissimi soggetti che erano stati scaricati dalle banche in questo settore, che era alimentato dallo Stato e che praticamente non portava nulla nelle casse del medesimo Stato.
Siamo arrivati al paradosso che, a fronte di tutta la massa degli accertamenti, non si riusciva mai ad incassare più del 2-3 per cento, mentre i costi dello Stato erano vicini al 2 per cento. Il che significava che tutto l'accertato, tutto il riscosso, escludeva qualsiasi incasso.
Quando voi intendete aumentare la capacità degli agenti di riscossione e, addirittura, prevedete la possibilità per questi agenti di operare ispezioni nelle case della gente, dimenticate che gli agenti di riscossione sono ex bancari, gente assunta con un contratto privato e non dipendenti pubblici, non hanno superato un concorso per entrare nella pubblica amministrazione e non possono fare verifiche in casa della gente. Si tratta di una scelta assolutamente devastante.
Sottosegretario Sartor, voi non vi rendete conto - mi spiace che il Garante per la privacy intervenga sempre ex post in questi casi - che in zone del nostro paese purtroppo soggette a problemi derivanti dalla malavita organizzata c'è gente che lavora onestamente e trasferisce i propri guadagni in altre zone d'Italia perché non vuole far sapere che cosa ha in banca, in quanto rischierebbe per sé e per la propria famiglia. Quando voi pensate di svolgere questi controlli «occhiuti» per vedere che cosa abbia depositato un cittadino nella propria banca e come guadagni i soldi che alimentano il proprio conto corrente, dimenticate che i sistemi informatici del nostro paese sono alla mercé di tutti, in quanto chiunque può entrare in un sistema centralizzato! Oggi siamo arrivati al paradosso che, siccome a Milano esiste una società che centralizza tutti i movimenti delle carte di credito di tutta Italia, se qualcuno entra in quel sistema - ed è possibile farlo - riesce a sapere tutto di una persona: che cosa fa, come vive, dove e che cosa acquista. Voi continuate a parlare di integrazione del sistema dell'anagrafe tributaria, di verifiche incrociate tra diversi sistemi. Posso anche convenire che ciò possa servire ad una analisi dei flussi finanziari dei diversi contribuenti; tuttavia, si alimenta un mercato parallelo di informazioni, come abbiamo visto nello scandalo Telecom, che possono essere utilizzate per altre finalità. State attenti, perché anche nel vostro sistema dell'anagrafe tributaria vi sono varchi in cui chiunque si può «infilare»!
Avete previsto l'aggiornamento catastale degli immobili rurali. Su tale misura avete inscenato un mercatino con gli enti locali; dopo aver previsto che tutti gli introiti provenienti dagli aggiornamenti dei catasti venissero presi in carico dallo Stato, anche attraverso una riduzione dei trasferimenti erariali a favore dei comuni, improvvisamente avete fatto marcia indietro, stabilendo che il maggior introito sarebbe stato trasferito ai comuni. Voi sapevate di aver sottostimato all'interno del documento l'effetto dei saldi e l'operazione! Pertanto agli enti locali non avete dato niente, perché avevate già previsto questo tipo di uscita! Prendete in giro anche i vostri, e questo è veramente singolare!


Pag. 38


Nel provvedimento sono inserite altre misure che noi non possiamo accettare. L'inversione di rotta rispetto all'imposta di successione corrisponde all'approccio del viceministro Visco all'argomento fiscale. Voi potreste dire che in campagna elettorale avevate annunciato che tale misura avrebbe riguardato esclusivamente i grandi patrimoni.
Tuttavia, questa operazione sostanzialmente non rende nulla.
In Commissione avete fortunatamente raccolto una nostra proposta emendamentiva che in qualche modo «aggiusta il tiro» perché ripartisce il patrimonio fra i vari eredi in maniera da considerarlo pro capite. Il presidente Duilio afferma che già era così, ma è meglio specificare, considerando che non si può mai sapere. Detto questo, avevate coperto questo differenziale con le agevolazioni concesse per la rottamazione delle auto. Una volta tolta questa copertura, è evidente, se si fanno bene i conti e considerando che la seconda parte dell'emendamento in sostanza non fa che aumentare talune spese senza coprire alcunché, che avevate considerato il fatto che l'imposta di successione non avrebbe reso assolutamente nulla. Lo sapete: i proprietari dei grandi patrimoni hanno mille modi per evitare di pagare l'imposta di successione. Vi accanite nei confronti di persone che hanno lavorato una vita per guadagnare qualcosa, per togliere loro e ai loro figli «quattro ciappette» (come si direbbe da noi). Cosa è, questo, se non un accanimento forte ed ideologizzato nei confronti del contribuente?
Come vedremo negli sviluppi della legge finanziaria, avete aumentato l'intera partita delle tassazioni catastali ed ipotecarie. Ma per fare cosa? Continuate a parlare di curva IRPEF come se questa fosse una variante indipendente rispetto al complesso delle norme contenute nella legge finanziaria e nel provvedimento collegato. Invece, si annullerà l'effetto di vantaggio che avreste voluto realizzare per i piccoli contribuenti. Infatti, questi ultimi saranno tartassati con vari balzelli, aumentati ad ogni livello, che annulleranno completamente l'effetto migliorativo previsto per i redditi medio-bassi. D'altra parte, con la vostra visione del bilancio pubblico, concedere agli enti locali la possibilità di incrementare la tassazione a livello locale per tenere in equilibrio i bilanci non farà che scaricarsi su tutti i contribuenti, soprattutto su quelli delle fasce medio-basse.
Di tali questioni si parlerà più approfonditamente durante il dibattito sulla legge finanziaria. Vorrei quindi «scivolare» sugli altri articoli per concedere ai colleghi che hanno chiesto di intervenire la possibilità di farlo. Tuttavia, mi preme intervenire su un aspetto affrontato durante il dibattito su questo provvedimento, ovvero quello relativo alla dirigenza pubblica. Signor sottosegretario, chiamate le cose con il loro nome! All'articolo 41 è stata prevista una norma che vi dà la possibilità di spazzare via in maniera veloce, rapida ed indolore l'intera dirigenza ricompresa nei commi 5-bis e 6. Si tratta di un meccanismo previsto da Bassanini e di cui lo stesso autore pare oggi si penta amaramente. Avete dato l'opportunità ai ministri di rinnovare o meno entro 60 giorni - e con questo sistema naturalmente già ai primi di dicembre vi si potrà mettere mano - tutta la dirigenza pubblica, riferibile ai commi 5-bis e 6, ovvero i vertici delle agenzie.
In particolare, credo vi stia a cuore sistemare la questione dell'Agenzia fiscale con la sostituzione dell'attuale direttore con uno più vicino alla vostra parte politica (è un revival di qualche anno fa!). Nel frattempo, avete inserito nel disegno di legge finanziaria una norma che prevedeva la riduzione del 10 per cento dei dirigenti generali e del 5 per cento di quelli di seconda fascia. Abbiamo presentato un emendamento che cerca di attualizzare la norma già prevista nel disegno di legge finanziaria, ma vorrei che voi prendeste in seria considerazione la riforma dell'intera macchina dello Stato.
Sottosegretario Sartor, il declassamento del nostro paese parte da un presupposto: avevate preannunziato che avreste lavorato sul piano della riduzione della spesa. In realtà, non lo avete fatto: dovevate


Pag. 39

prevedere un intervento correttivo, per il quale sarebbero sicuramente bastati 14 miliardi di euro. Vi siete, invece, incartati con una finanziaria di cui non vi era probabilmente bisogno, mettendo insieme, se non ricordo male, 24 diversi fondi, distribuiti qua e là tra i vari ministeri, che fanno lievitare il livello della manovra di quasi 13 miliardi di euro.
Voi lo chiamate sviluppo, ma è evidente che non lo è! Avete ripartito risorse per dare una dimensione a ministeri che vi siete dovuti inventare nello spacchettamento avvenuto questa estate.
Credo sia per queste ragioni che le agenzie di rating internazionale hanno bocciato la vostra finanziaria: avevate promesso di intervenire in settori importanti, quali la sanità, le pensioni, il pubblico impiego, gli enti locali. Non lo avete fatto! Non siete stati sufficientemente coerenti con l'impianto!
Ci avete proposto un DPEF che sembrava una cosa innovativa, assolutamente rivoluzionaria e, adesso, state pensando addirittura di dare l'opportunità ai ministri di spostare, all'interno dei capitoli di bilancio, le risorse autorizzate da leggi previgenti.
Voi presenterete alla Camera un emendamento di questo tipo che vi attribuisce la possibilità di cancellare le decisioni del Parlamento. Se voi ritenete che il Parlamento sia un impiccio, ditecelo con chiarezza! Staremo a casa! Se ritenete che siamo qui solo per dare fastidio all'azione del Governo e se pensate che, in un colpo di spugna, per cercare di aggiustare i vostri conti interni, vi sia la necessità di attribuirvi l'opportunità di cancellare il lavoro che si è sviluppato negli anni in questo Parlamento, abbiate perlomeno la correttezza di dircelo! Ne prenderemo atto e diremo al paese che cosa sta accadendo!

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 14,30.

La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 14,30.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati già in missione sono cinquantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1750)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi in sede di discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Turci. Ne ha facoltà.

LANFRANCO TURCI. Signor Presidente, che dire specificatamente di questo provvedimento di cui oggi abbiamo avviato in Assemblea la discussione sulle linee generali?
In sede di Commissioni riunite V e VI abbiamo svolto un lavoro che valuto sicuramente in termini positivi. Alcune delle modifiche introdotte sono state già ricordate dai relatori. Tra queste, ricordo l'imposta sulle successioni, che è stata riportata a quel profilo delineato nel programma presentato dal centrosinistra nella recente campagna elettorale, correggendone, rispetto alla previsione iniziale, l'impostazione. Si trattava, infatti, di un'impostazione errata e, in qualche modo, irritante e un po' furbesca. Era errata perché, da un lato, autorevoli esponenti del Governo sostenevano che si era cassata l'imposta di successione, mentre, dall'altro, essa veniva riproposta in forme improprie e meno chiare e, come tale, meno comprensibili per l'opinione pubblica. Tale imposta, così come riproposta,


Pag. 40

riguarderà solo i grandi patrimoni e, in questo senso, la difendo. Non riesco ad accettare una pregiudiziale in sé contro l'imposta di successione. Ricordo che questa è un'imposta che viene dalla storia liberale e che tra i paesi meno sviluppati quelli che non prevedono un'imposta di successione si contano sulle dita di una mano.
Non comprendo, quindi, perché il centrodestra continui ideologicamente ad essere contro il principio stesso dell'esistenza dell'imposta di successione. Sicuramente, il modo in cui essa era prevista nel decreto-legge non era corretto e ciò fa parte di una serie di errori di comunicazione, anche molto pesanti, su cui tornerò alla fine del mio intervento, che peraltro riguardavano anche un'altra misura che abbiamo corretto in questo provvedimento. Faccio riferimento allo scontrino fiscale. Non c'è dubbio che tale misura nella sua prima impostazione sembrava avere un carattere prettamente terroristico; non capisco a chi, ad iniziare dal viceministro Visco, possa giovare un'impostazione tale da poter essere interpretata in termini di terrorismo fiscale. Come detto, tale impostazione è stata corretta ed è stato quindi svolto anche in questo caso un lavoro positivo.
Abbiamo l'esenzione dal pagamento delle tasse automobilistiche per le auto euro 4 e euro 5. Le risorse derivanti dalla mancata esenzione le abbiamo destinate ai trasporti pubblici.
Abbiamo, inoltre, soppresso l'articolo 32 del provvedimento, che avrebbe messo in crisi tutti i blog e buona parte del sistema di informazione via Internet. Non si comprende come si sia potuto concepire una disposizione secondo la quale, a fronte di qualunque articolo circolato via Internet o via radio, chi avesse citato quell'articolo avrebbe dovuto cercare il giornale, l'editore o magari l'autore per pagargli le spese relative all'utilizzo.
Una delle parti più significative di questo provvedimento è l'articolo 12, relativo alle autostrade. Il problema, deve essere chiaro, non è rappresentato dalla fusione Autostrade-Abertis. A questo proposito, ricordo che, commentando il progetto di fusione, un ex autorevole manager di Autostrade Spa ha sostenuto che in questo modo le autostrade sarebbero state «munte» dagli spagnoli. Il verbo non mi pare particolarmente elegante, ma credo sia significativo. Il problema è di evitare che si compia un'azione di «mungitura» delle autostrade, di qualunque infrastruttura pubblica, sia essa realizzata da un imprenditore italiano o spagnolo o di altro paese.
Il problema, in sostanza, è come ridurre quella che sicuramente si è realizzata in questi anni, vale a dire una rendita da monopolio relativa alla gestione delle autostrade, derivante non da una cattiva condotta del concessionario, ma da un'insufficiente ed erronea impostazione della concessione stipulata, a suo tempo, dal Governo che decise la privatizzazione delle autostrade; una concessione che non aveva calibrato bene i parametri, né aveva definito un sistema di verifica e di controllo adeguato, una concessione sulla quale nel 2004 è intervenuto anche un vulnus istituzionale.
Almeno i colleghi del centrodestra, che oggi rinfacciano al Governo di ricorrere al decreto-legge, quindi ad un atto legislativo, per modificare le concessioni in essere, dovrebbero ricordare che nel 2004, con un emendamento al decreto-legge cosiddetto «mille proroghe» (vi lascio immaginare cosa siano le leggi «mille proroghe»), inserirono una modifica alla concessione in essere. Ma in quel caso la modifica era a favore del concessionario, mentre questa volta, per legge, si interviene con una modifica che sicuramente non andrebbe a favore del concessionario.
Dunque, se parliamo di un vulnus istituzionale, ricordiamoci che è stato operato già nel 2004 dal Governo, perché il CIPE non se la sentiva di approvare l'atto aggiuntivo, così com'era stato proposto. Si bypassò il CIPE, si bypassò l'organo tecnico interno al CIPE e si presentò rapidamente un emendamento in Parlamento.
Ora, quello che emerge non è un capriccio del ministro Di Pietro. Si tratta di modificare - possibilmente nelle forme giuste e corrette - una concessione che è


Pag. 41

stata mal strutturata, sicuramente troppo generosa, affidata, per di più, ad un organo di controllo totalmente inaffidabile, ovvero l'ANAS. L'ANAS è inaffidabile come organo di controllo e questo nodo Di Pietro non lo risolve neanche nel disegno di legge finanziaria, perché l'ANAS è insieme organo di gestione ed organo di vigilanza.
A nostro avviso, quindi, bisogna istituire un'authority sui trasporti e sulle infrastrutture che svolga bene, come fanno altre authority, il proprio mestiere nei confronti di determinate aree che necessitano di vigilanza, nell'interesse pubblico e nell'interesse degli utenti.
L'ANAS, invece, ha svolto male questa funzione. Inoltre, in questi anni la sua gestione è stata molto opaca; non era certo il miglior contraltare dei gestori delle società autostradali.
Ora, oltre a creare un'authority, bisogna modificare la concessione e rendere più trasparente il sistema della concorrenza, dato il peso enorme che i lavori autostradali hanno nel bilancio complessivo dei lavori pubblici che si svolgono annualmente in questo paese.
Bisogna cambiare il meccanismo degli utili straordinari legati alla non contemporaneità tra investimenti ed aumenti tariffari legati al finanziamento degli investimenti, fenomeno che si è determinato pesantemente in questi anni. Bisogna rivedere il rapporto tra tariffe e previsioni di traffico, perché tutte le previsioni che sono alla base delle concessioni sono più basse della concreta crescita dei flussi di traffico che si sono realizzati in questi anni.
A tutti coloro che fanno un'opposizione di principio a questo provvedimento vorrei dire che, quando abbiamo convertito il decreto-legge del luglio scorso sulle liberalizzazioni, avete accusato noi del centrosinistra di prendercela con i piccoli e di aver paura di affrontare la questione della liberalizzazione e della tutela dei consumatori con i grossi. Bene, a questo punto, vorrei che i nostri critici del centrodestra fossero coerenti. In questo momento, vogliamo cambiare le condizioni per cui si determina una rendita da monopolio da parte dei grandi operatori, non da parte dei tassisti né da parte dei farmacisti. Ma la battaglia ha lo stesso significato.
Com'è possibile che chi ci ha rivolto un rimprovero di questo genere qualche mese fa, oggi si dimentichi di quel rimprovero e ci accusi improvvisamente di sovvertire l'ordinamento costituzionale e quant'altro? È legittima invece la domanda: si poteva seguire un'altra strada, invece di una modifica per via legislativa, che non è l'ideale, anche se ho ricordato il precedente del 2004? Dico che forse si poteva seguire un'altra strada, sicuramente - voglio essere molto chiaro - con uno stile un po' meno ruspante di quello del ministro Di Pietro, che si comporta, anche da ministro, come un procuratore d'assalto. Con un rapporto più flessibile, e tuttavia fermo, nei confronti dei concessionari, si sarebbe potuto arrivare ad una trattativa stringente, che riducesse l'eccessivo senso di sicurezza dei concessionari, abituati in questi anni a trattare con una controparte inesistente quale l'ANAS, e che riportasse a regole più accettabili il funzionamento di tali concessioni, non solo con Autostrade per l'Italia, ma con l'insieme delle concessionarie autostradali.
Tale tema ci riconduce, appunto, alla questione della authority. Negli ultimi anni si è accentuato tutto il malfunzionamento dei grandi servizi del paese; si pensi agli aeroporti o alle ferrovie. Siamo tutti utenti dei treni. Non vi è ormai giorno in cui io, arrivando o partendo da Roma non mi senta dire, ad un certo punto del viaggio, «ci scusiamo per il ritardo». Chi richiama all'ordine le ferrovie per questi continui ritardi? Non credo che la soluzione sia chiedere il bonus se il ritardo superi un certo limite, o altro. Pensiamo al funzionamento dei porti o dell'Alitalia. In sostanza, pongo al Governo una domanda precisa: come intende affrontare questo insieme di comparti? Credo che, oltre all'esigenza di finanziamenti che, in parte, il disegno di legge finanziaria cerca di affrontare, con il provvedimento che esamineremo la prossima settimana, vi sia


Pag. 42

comunque un problema anche di regole e di un soggetto che le faccia rispettare.
Questo provvedimento si inserisce nella complessiva manovra di finanza pubblica, che ha preso le mosse dal DPEF, ha visto una parziale attuazione nel decreto-legge di luglio, poi con questo provvedimento e successivamente con la legge finanziaria e con i provvedimenti collegati, dovrebbe trovare compiuta attuazione. Di tale manovra finanziaria vogliamo ricordare il dato sicuramente positivo. Con questa manovra finanziaria si portano al sicuro i conti pubblici e ciò va ricordato soprattutto ai nostri oppositori del centrodestra, perché stiamo scontando un'eredità pesante. Non voglio dire che il rating che ci è stato attribuito ieri da due agenzie internazionali sia tutto correlato all'eredità del centrodestra, perché poi non è nemmeno vero, basta leggere i commenti - accettabili o no - che tali agenzie fanno. Si tratta purtuttavia di un'eredità pesante e bisogna dare atto che la manovra, sotto la guida di Padoa Schioppa, su questo punto - scusate la ripetizione di parole - pone un punto fermo.
Detto ciò, non posso nascondervi che noi della Rosa nel Pugno siamo abbastanza insoddisfatti dell'insieme di questa manovra, anche se naturalmente non faremo venir meno la nostra fiducia al Governo, né il nostro voto finale favorevole, ma presenteremo, soprattutto al disegno di legge finanziaria, una serie di emendamenti per cercare almeno di raddrizzarne o correggerne alcune parti, come abbiamo fatto insieme, come maggioranza, su questo provvedimento.
Ho parlato di errori di comunicazione gravi a proposito delle tasse di successione, ma è l'insieme della manovra che sembra sia stata pensata, in termini di comunicazione, dall'opposizione e non dalla maggioranza. Si è cominciato, e ciò non è colpa del Governo, con quel manifesto vagamente sovietista di Rifondazione Comunista che voleva far piangere i poveri, roba che sta a metà tra il pauperismo di certi romanzi dell'Ottocento e il revival di ideologia paleo-comunista!

PRESIDENTE. La citazione non era precisa: voleva far piangere i ricchi, non i poveri!

LANFRANCO TURCI. Cosa ho detto? Voleva far piangere i ricchi...

PRESIDENTE. No, onorevole Turci, lei ha detto che voleva far piangere i poveri.

LANFRANCO TURCI. Ah, no, è chiaro...

PRESIDENTE. Questa è la testimonianza che il presidente la sta ascoltando.

LANFRANCO TURCI. La ringrazio molto, signor Presidente, anche perché era chiaro il senso, ma avevo detto l'opposto di ciò che intendevo.
Oltre quel manifesto - dicevo - vi è stata e vi è questa confusa manovra sull'IRPEF, con tutto un dibattito che si è innescato su dove sia la soglia dei ceti medi o su chi siano i ricchi nel paese. Ho letto alcuni giornali del centrosinistra che hanno fatto la statistica media dei contribuenti ed hanno fissato l'«asticella» a metà: dove vi è il 50 per cento lì vi è il ceto medio, oltre vi sono i ricchi. Si tratta di esercitazioni fuori dalla politica, senza senso della stessa politica e senza senso di come è fatta la società italiana di oggi: è la fatidica soglia dei 70 mila? Quella, più bassa, dei 40 mila?
Credo che questo dibattito abbia nuociuto fortemente e dobbiamo metterlo nel conto per capire i dati pubblicati ieri sui giornali circa la perdita di consenso del Governo e della maggioranza; così come dobbiamo mettere nel conto la confusione determinatasi nell'opinione pubblica circa l'effetto concreto della revisione degli scaglioni e delle aliquote. Tutti si sentono colpiti, anche coloro che hanno qualcosa da guadagnare, forse per difficoltà di informazione o per la confusione o per il fatto che non tutte le interpretazioni sono coerenti. L'effetto complessivo, in termini di comunicazione, è che abbiamo spaventato o messo in preoccupazione la grande maggioranza degli italiani.


Pag. 43


Formulo allora una domanda: siamo sicuri che fosse necessario inserire la manovra dell'IRPEF nella finanziaria? Non è solo una questione di comunicazione. Manovre come questa si fanno anticipandole con un dibattito pubblico, con la pubblicazione di un libro bianco che precedentemente avvii una discussione ampia, consenta di confrontare le ipotesi e di far percepire, con nettezza, ai cittadini i termini della questione che si sta discutendo e che non si risolvono con un tavolo composto da qualificati tecnici della politica fiscale e con operazioni di stampo illuministico. Invece, questa è stata l'operazione.
Noi stessi componenti della maggioranza ci siamo trovati a dover reinterpretare le tabelle e gli scaglioni e noi, che siamo deputati, abbiamo impiegato molto tempo e non sono ancora sicuro di aver capito bene. Se leggo le lettere che mi arrivano quotidianamente via e-mail con la casistica di contribuenti che guadagnano 30 o 40 mila euro e mi raccontano le loro vicende, dubito che noi stessi abbiamo compreso bene gli effetti di un'operazione, che non si può realizzare dalla sera alla mattina.
Forse la manovra IRPEF non era così necessaria. Mi si risponde che vi era la questione del cuneo fiscale. Sottosegretario Sartor, il cuneo fiscale, per come ne abbiamo parlato in campagna elettorale, non si era detto che si realizzava parte via IRPEF e parte via IRAP. Si era parlato di cuneo fiscale, di riduzione dei contributi sulla busta paga dei lavoratori e sulla parte a carico degli imprenditori. Può darsi che tecnicamente sia più efficace la soluzione IRPEF più IRAP, ma qual è l'effetto politico? Siamo parte di un organo politico e parliamo all'opinione pubblica ed agli elettori e, in ultima istanza, le vere agenzie di rating che ci danno il voto non sono tanto Moody's o Fitch, ma gli elettori.
Infine, per esaurire la questione del piano comunicativo, aggiungo la «storia» dei SUV. Non ho nulla a difesa dei SUV, ma se si mette questa proposta in fila con le altre si vede che si è sempre dentro un certo tipo di lettura, una lettura pauperistica, quasi da invidia sociale. Questo messaggio non parla neanche alla metà dei nostri elettori, per non considerare quelli del centrodestra! Stiamo comunicando con una minoranza dell'elettorato italiano. Ci rendiamo conto di ciò? Vi è qualcuno al Governo che tira le fila del ragionamento e cerca di vedere come correggere l'operazione?
In questo contesto si colloca la giusta battaglia contro l'evasione fiscale. Dopo cinque anni in cui condoni e le altre manovre inventate da Tremonti con la sua eccezionale fantasia ed intelligenza hanno «scassato» il sistema fiscale ed ogni rapporto di credibilità tra l'amministrazione finanziaria ed i contribuenti, bisognava sicuramente mettervi mano, anche perché lì vi sono le risorse da trovare per aggiustare i conti pubblici, e non fra coloro che già denunciano 70 mila euro al fisco sull'IRPEF perché non possono fare altrimenti. Con l'IRPEF stiamo toccando un ceto medio composto da lavoratori dipendenti e dirigenti medio-alti e non stiamo toccando il gioielliere o altre figure di operatori, come dimostrano quelle «simpatiche» statistiche su quanto versano alcune categorie di cittadini italiani.
La lotta all'evasione è giusta, ma - bisogna fare attenzione - non la si fa con i proclami e neanche esaltando la domenica, su tutti i giornali, i 55 strumenti che abbiamo elaborato per snidare gli evasori. La lotta all'evasione è meglio realizzarla con meno proclami e, soprattutto, evitando di diffondere un senso di allarme terroristico tra la gente. Può darsi che questi 55 strumenti siano tutti giustificati, ma i commenti che ascolto, anche dalle associazioni delle piccole imprese, dagli artigiani ai commercianti anche della mia terra, della mia provincia, della mia regione, mi dicono che forse vi è un surplus di strumentazione informatica e di altro genere. Stiamo attenti a non far spendere ai contribuenti in informatica ed in carta più di quanto non ci debbano dare concretamente in denaro.
Ma al di là di ciò, anche in questo caso vi è qualcosa che «stona» dal punto di


Pag. 44

vista della comunicazione. La lotta all'evasione è uno strumento giusto e sacrosanto, ma non può diventare l'obiettivo centrale di questa legge finanziaria. La visione essenziale di quest'ultima non è così chiara. In altri momenti abbiamo avuto l'entrata nell'euro, in altri l'obiettivo del Governo Amato di salvare l'Italia dalla bancarotta, ma non possiamo dire adesso che la missione principale di questa legge finanziaria sia la lotta all'evasione fiscale. Tuttavia, ribadisco che essa va fatta, tanto per non lasciare alcun equivoco a questo proposito.
Infine, non v'è dubbio che pesa sul giudizio non entusiasmante delle agenzie di rating anche la scelta di aver rinviato ad un secondo tempo alcune misure strutturali. La decisione di aprire il tavolo delle pensioni e della riforma della pubblica amministrazione a gennaio - speriamo che non slitti - secondo me è stata un errore politico. Si è pensato in questo modo di ridurre l'area di possibile dissenso verso la legge finanziaria, ma stiamo attenti che non basta avere il consenso - pur importante - dei sindacati per avere quello della maggioranza del paese. Purtroppo, se da un lato è certo che alcune di queste misure bisogna discuterle con i sindacati, dall'altro toccherà al Governo e al Parlamento deciderle.
Davvero nemmeno una finestra poteva essere chiusa quest'anno con riferimento alle pensioni di anzianità? Inoltre, sulla riforma della pubblica amministrazione erano state scritte cose importanti nel DPEF. Il ministro Nicolais ha reso dichiarazioni molto impegnative in varie occasioni, ma io ho trovato in questo decreto-legge un articolo 43 molto generico, dove si dispone che il ministro presenterà un piano per l'efficienza dei servizi e il controllo di qualità degli stessi, che di per sé è poco; spero pertanto che si stia preparando qualcosa di molto più pregnante.
Tuttavia - domando - quando cominceremo ad applicare criteri di vera meritocrazia nella gestione della cosa pubblica e soprattutto nella pubblica amministrazione? Ho l'impressione che il messaggio che si diffonda tra sanatorie, infornate di precari e tutto il resto sia di tipo lassista. Ci illudiamo in tal modo di avere il consenso, quando nemmeno i beneficiari di questo lassismo ci applaudono, mentre invece i piccoli imprenditori cui chiediamo di cominciare a rispettare gli studi di settore ci tacciano di voler ingrassare gli insegnanti. Poveri insegnanti, non ingrassa proprio nessuno con i loro stipendi! Io vorrei applicare piuttosto il «metodo Ichino», il quale afferma che coloro che non sono capaci o che non hanno voglia di lavorare devono andare fuori. Invece, c'è ben poco Ichino in questi provvedimenti, anzi questo è un nome quasi impronunciabile nella cultura media di questo centrosinistra e temo anche nell'impostazione di questo Governo.
Complessivamente - e termino - occorre vedere se, mentre cominceremo l'esame della legge finanziaria, saremo in grado in qualche modo di apportare correzioni di rotta e di tiro. Nell'insieme, il messaggio che oggi esce dalla legge finanziaria è insoddisfacente: troppo spazio alle manovre fiscali, troppa continuità lassista nella pubblica amministrazione, troppe deleghe ai sindacati.
Attenzione, se non riusciremo a correggere in qualche modo la rotta sia nella legge finanziaria sia in quello che dovremo fare subito dopo, all'inizio del prossimo anno, correremo dei rischi veramente seri. E badate che questi sono rischi veri, non quelli del giudizio delle agenzie di rating da cui abbiamo ricevuto il voto di ieri (Applausi dei deputati dei gruppi La Rosa nel Pugno e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.

LAURA RAVETTO. Signor Presidente e colleghi, prima di entrare nel merito della discussione di questo decreto, desidero replicare a quel collega dell'Udeur, ora non più presente, che ha affermato che l'abbassamento del rating per l'Italia è di fatto basato su un giudizio del precedente Governo, il Governo Berlusconi. È chiaro che questa è una mistificazione, un'irrealtà


Pag. 45

sia per motivi di natura tecnica sia per motivi di logica.
Infatti, motivi di natura tecnica ci fanno osservare che agenzie come Standard & Poor's non si muovono con i tempi della burocrazia e quindi non danno un giudizio a sei mesi dagli eventi, bensì valutano ed analizzano il mercato giorno per giorno. Dunque, è chiaro che la decisione è stata presa proprio sulla base dell'andamento di questi cinque mesi del Governo Prodi. In ogni caso, ciò è stato anche espressamente affermato da queste agenzie, che hanno totalmente bocciato la manovra di questo Governo per il 2007; vado a leggere quanto dichiarato sulla stampa oggi. Standard & Poor's, nel bocciare la manovra finanziaria, si è espressa in questi termini: sono state tradite le attese suscitate dal Documento di programmazione economico-finanziaria; è dubbio il gettito derivante dalla lotta all'evasione; la misura relativa al TFR è, di fatto, un indebitamento mascherato; risulta insufficiente il freno alle spese. Non capisco, quindi, come in questa sede possano essere pronunciate certe affermazioni!
Tornando al decreto-legge in esame, invece, sappiamo, come hanno già rilevato altri colleghi, che si tratta di una «manovra nella manovra». Si tratta, infatti, di un decreto che, secondo la relazione tecnica predisposta dalla Ragioneria generale dello Stato, dovrebbe garantire alle casse dello Stato, in termini di saldo netto da finanziare, maggiori entrate per 6,7 miliardi di euro nel 2007 e per 6,8 miliardi sia nel 2008, sia nel 2009. Inoltre, considerando gli effetti sull'indebitamento netto, le maggiori entrate ammonterebbero a 4 miliardi di euro.
Tali maggiori entrate, secondo il testo del decreto-legge in esame, dovrebbero derivare da questa «corposa» attività di contrasto all'evasione fiscale. Ebbene, sappiamo che la lotta all'evasione può essere efficacemente condotta non introducendo sistemi di controllo a dir poco iniqui (come previsto dal provvedimento), bensì ripristinando un rapporto di fiducia con il contribuente, abbassando successivamente la pressione fiscale ed ampliando, al contempo, lo spettro delle detrazioni, in modo da far eventualmente emergere redditi che sfuggono al fisco.
Analizzando il testo in esame, credo che un aumento del gettito tributario potrà derivare non da tale attività, ma, in realtà, dalla tassazione diffusa ed iniqua di cui hanno già parlato i colleghi precedentemente intervenuti, la quale è facilmente rinvenibile nelle disposizioni recate dal presente decreto-legge.
Non intendo soffermarmi sul merito del provvedimento, poiché non rappresenta null'altro che una maggiore imposizione fiscale. Noi contestiamo tale impostazione, ed a tal fine ricordo che abbiamo presentato alcuni emendamenti soppressivi. Intendo evidenziare, invece, quello che ritengo essere l'aspetto maggiormente critico del decreto stesso, vale a dire la mancanza assoluta di chiarezza in termini sia tecnici, sia politici.
Ho ascoltato la relatrice, onorevole Fincato, osservare che, di fatto, con questo provvedimento si riafferma il senso della legalità. Onestamente, credo invece che il decreto-legge in esame rappresenti un caso di schizofrenia legislativa, nonché di incertezza dei termini e degli effetti, e posso indicare alcuni esempi.
Il primo è di natura prettamente tecnica. Come ho già fatto notare al ministro competente, in sede di audizione in Commissione, ho rilevato, dall'analisi dei prospetti, alcune discrasie; probabilmente, si tratta di una mia interpretazione, ed è questo il motivo per cui ho chiesto chiarimenti. Esistono nel disegno di legge finanziaria, infatti, indicazioni di voci relative al decreto che, di fatto, risultano essere discrasiche e differenti rispetto agli effetti sui saldi indicati nelle voci dello stesso decreto-legge.
Su tale questione ho chiesto delucidazioni al ministro competente ed egli, presone atto, mi ha detto che mi avrebbe risposto in via separata, per iscritto, dopo aver effettuato ulteriori verifiche. Si parla pur sempre di atti vistati, e quindi ritengo importante ottenere spiegazioni al riguardo. Tale risposta, tuttavia, non mi è


Pag. 46

ancora giunta, ed allora approfitto della presenza del sottosegretario di Stato Sartor, che aveva partecipato alla richiamata audizione, per operare un ulteriore sollecito, poiché mi piacerebbe essere smentita.
Ciò per quanto concerne la mancanza di chiarezza sotto il profilo prettamente tecnico. Per quanto riguarda il merito, soprattutto in ordine a quella che ho definito «schizofrenia legislativa», vorrei evidenziare due norme che mi lasciano piuttosto sconcertata e che lasciano perplessi non solo tutti i miei colleghi, ma direi anche tutti gli italiani. La prima è sicuramente la normativa relativa alle successioni, in ordine alla quale ho già sentito intervenire numerosi deputati.
Ricordo che, nel corso della campagna elettorale, abbiamo ascoltato qualcuno affermare che non se ne sarebbe fatto niente, mentre altri hanno sostenuto che si sarebbe ritornati alla soglia vigente prima dell'abolizione voluta dal ministro Tremonti (si tratta della famosa franchigia di 350 milioni di vecchie lire). Ricordo, inoltre, che qualche esponente dell'attuale maggioranza parlava ripetutamente di applicazione dell'imposta di successione ai patrimoni consistenti in milioni di euro.
In campagna elettorale, quindi, abbiamo ascoltato diverse versioni. Successivamente, tuttavia, abbiamo visto che il viceministro Visco ha proposto, utilizzando un'altra terminologia, non la reintroduzione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni, bensì un nuovo regime di imposte ipotecarie, catastali e di registro per i trasferimenti sia mortis causa, sia per atti tra vivi.
Ne abbiamo discusso in Commissione e abbiamo percepito le tensioni all'interno della maggioranza. Grazie all'azione della Casa delle libertà il Governo ha fatto un passo indietro. L'Esecutivo, quindi, oggi ci propone, per mezzo dei relatori sul disegno di legge di conversione, una nuova imposta sulle successioni e sulle donazioni, con una franchigia di un milione di euro per il coniuge e i parenti in linea retta, ed un'aliquota variabile a seconda del rapporto di parentela.
Prendiamo atto di questo passo indietro. Certo, è qualcosa, ma teniamo a sottolineare la nostra contrarietà a questa imposta che, come già è stato detto, è anacronistica e iniqua, perché incide su redditi già tassati. Non ci riferiamo soltanto agli immobili quali la casa, ma, ad esempio, all'impresa familiare.
Questa imposta toccherà anche il trasferimento del cardine della nostra economia. Non si capisce perché si debba tassare il trasferimento di un'impresa (sulla quale sono già state pagate le tasse) dal padre al figlio. Si parla tanto di sostegno ai giovani e ai giovani imprenditori, ma essi, dopo aver concorso alla creazione del patrimonio familiare, si vedono costretti, nell'atto del trasferimento, a pagare delle tasse su quanto da loro costruito. Ciò è abbastanza curioso, visto che, in linea di principio, proclamiamo di voler sostenere il sistema paese, mentre lo attacchiamo al suo cuore: la gioventù e l'imprenditoria.
Indipendentemente da questo, è comunque un disconoscimento di quanto dichiarato da molti esponenti della maggioranza in campagna elettorale, quindi, a nostro avviso, delle promesse elettorali.
Un altro esempio della particolare - oserei dire - presa di posizione del Governo è quello dell'articolo 3, il quale al comma 7 differisce l'applicazione del nuovo regime di determinazione della base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, la cosiddetta no tax area, per i soggetti non residenti. Sappiamo che il comma 22 dell'articolo 36 del cosiddetto decreto Visco-Bersani della scorsa estate, nel modificare il testo unico delle imposte sui redditi, ha stabilito che, per i non residenti, il reddito complessivo del soggetto sul quale si applica l'imposta è costituito soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, mentre nella versione precedentemente vigente venivano considerati anche gli oneri deducibili, le deduzioni per oneri di famiglia e le deduzioni per assicurare la progressività dell'imposizione. Oggi, invece, i nostri emigrati di fatto sono beffati perché sono costretti a non portare più nulla in deduzione. Tuttavia il Governo si è dimostrato


Pag. 47

attento e ha pensato che, forse, doveva rendersi conto, preso atto anche del diffuso malessere che ha generato, che i nostri emigrati votano anche stando all'estero. Quindi, si è corsi ai ripari e si è prevista, al comma 3 dell'articolo 7 di questo decreto-legge, l'applicazione per l'anno 2006 della normativa vigente alla data del 3 luglio 2006.
Per il 2007, cosa intende fare Visco? Saremo deliziati in finanziaria da un ulteriore emendamento di proroga? Sicuramente noi deputati dell'opposizione in qualche modo cercheremo di mettere fine a questo indegno trattamento al quale sono sottoposti i nostri emigrati.
Abbiamo visto parecchi esempi - ce ne sono altri - di passi avanti e di passi indietro, in questi giorni, dovuti anche all'ala fiscalmente più estremista della maggioranza, che esercita una pressione su Prodi, che, di fatto, non riesce a recuperare consenso, ma sempre nella direzione della tassazione iniqua e della «tosatura» dei cittadini.
Questo decreto mi sembra più un groviglio di norme fatte per sparare nel mucchio, una Babele normativa. Davvero non riesco a ravvisare il recupero del senso di legalità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Ravetto, anche perché ella ha ritenuto di rinunciare ad una parte del tempo che aveva a disposizione, immagino anche per dare un buon esempio agli altri colleghi.

ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Speriamo che sia virtuoso!

PRESIDENTE. Assolutamente virtuoso, perché è riuscita ad esprimere concetti importanti in tempi concisi.
Tutti i colleghi che ancora devono intervenire si rendono conto che sarebbe bene terminare la seduta entro questa notte. Tale auspicio è condiviso dai relatori. Ricordo, comunque, a tutti i colleghi che è possibile consegnare alla Presidenza il testo scritto del proprio intervento, che verrà pubblicato in calce al resoconto della seduta.
È iscritto a parlare l'onorevole D'Ulizia. Ne ha facoltà.

LUCIANO D'ULIZIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, limiterò il mio intervento all'esame e all'analisi di proposte sul decreto fiscale, anche perché, se dovessimo addentrarci in discorsi più ampi, quali gli aspetti della legge finanziaria, la raccomandazione del Presidente cadrebbe nel vuoto, dovendo parlare per molte ore. Non posso però esimermi dall'affrontare le inevitabili interconnessioni tra la legge finanziaria e il decreto-legge al nostro esame.
Di certo, il declassamento ha turbato l'atmosfera dei nostri lavori, impensierisce la minoranza e fa insorgere alcuni dubbi anche nella maggioranza. Voglio però con chiarezza far presente che finora non condivido quanto ho sentito sul declassamento che ha un'origine ben precisa: il grande debito pubblico accumulato dal precedente Governo, dalla precedente gestione politica. Le agenzie hanno però bocciato i rimedi che abbiamo adottato e dicono che non siamo stati capaci di organizzare la finanziaria per il raggiungimento degli obiettivi di risanamento, equità e sviluppo, ma le cause vanno ricercate nella scorsa legislatura.
Ritengo, quindi, che non sia un utile esercizio fare una difesa ad oltranza, quasi partigiana di quello che il Governo ha proposto, ma che sia necessario aiutare questo Governo e questa maggioranza a produrre una legge finanziaria migliore.
Quando si insediò il Governo Prodi, nel mio modestissimo intervento dissi al Governo che la manovra non poteva essere inferiore al 4 per cento e non di certo perché così affermano i manuali di economia politica (quelli lasciamoli perdere, anche se forse ogni tanto andrebbero riletti). Feci presente che il cuneo fiscale serviva ad abbassare la temperatura, ma che, per debellare del tutto la patologia, occorreva una manovra forte e rigorosa. Le società di rating, purtroppo, non hanno apprezzato la nostra finanziaria. Ora, bisogna vedere chi ha ragione: le società di rating, il Governo o la maggioranza. Ritengo,


Pag. 48

come il buonsenso ci ha insegnato, signor Presidente, che la verità sia nel mezzo. Dobbiamo fare uno sforzo per recuperare molti aspetti della legge finanziaria.
Questo decreto-legge, che ci apprestiamo a convertire in legge, recupera con operazioni algebriche, tra più e meno, 6 miliardi di euro l'anno (6.555 milioni nel 2007, poco più nel 2008, la stessa cifra nel 2009). Ma - attenzione! - non è stato detto (forse, mi è sfuggito) che, grazie a queste misure, vi sarà un progressivo indebitamento dello Stato. Infatti, le accise e le imposte, tra investimenti e nuovo sistema impositivo, devono essere colmate. Allora, vi sarà un indebitamento progressivo per 2.165 milioni di euro nel 2007, per 3.617 milioni di euro nel 2008 e per circa 3.800 milioni di euro nel 2009.
Ciò significa che, nell'approvare questa manovra, che corrobora la legge finanziaria, noi accresciamo il debito pubblico per congiungere il momento del fabbisogno di cassa con quello dell'incasso di queste cifre, tra dare e avere.
Allora, a tal proposito, direi che, per lanciare un segnale, dovremmo recuperare queste risorse. È vero quanto si diceva poc'anzi, da parte di deputati sia della maggioranza che dell'opposizione: il clima nel paese non è sereno.
Leggevo che i senatori francesi, per capire lo stato del paese, si recano nelle fabbriche francesi. Noi deputati italiani, per capire l'Italia, dobbiamo stare in mezzo alla gente ed andare nelle fabbriche italiane. Io ci sono stato: sono, tra virgolette, reduce da una grande assemblea di un sindacato autonomo e sono riuscito a strappare un applauso, dicendo: un deputato della maggioranza viene qui, nella fossa dei leoni come Daniele. E mi hanno applaudito solo per questo. L'atmosfera - credetemi - è molto pesante. Si trattava di un sindacato sicuramente non di sinistra, ma comunque molto rappresentativo del ceto medio e del pensiero di centro.
Dobbiamo tener conto di ciò e qualcuno lo ha detto prima di me. A mio avviso, dobbiamo individuare degli aggiustamenti, in connessione con il disegno di legge finanziaria, anche con il decreto-legge in discussione.
Questo decreto-legge ci porta verso un ulteriore indebitamento. Secondo me, la scelta da fare era diversa: utilizzare non tanto l'insieme dei valori, ma quella parte di valori immediatamente monetizzabili.
Se facciamo la differenza tra il potenziale gettito - quello previsto nel decreto-legge di 6.555 milioni di euro nel 2007 - e la necessità di indebitamento (quindi ciò che manca, pari a oltre 6 mila euro), otteniamo effettivamente un ammontare di 3.165 milioni di euro. In altri termini, questa azione ci costringe ad acquisire risorse attraverso un ulteriore indebitamento con i mezzi che lo Stato di solito usa, come l'emissione di titoli del debito pubblico.
Personalmente, avrei fatto un'altra cosa, e le società di rating lo avrebbero apprezzato. Avrei considerato - ecco le connessioni con la finanziaria - solo il netto, cioè solo quello che riusciamo a portare dentro. È chiaro che, così facendo, avremmo ridotto la capacità. A questo punto non è giusto, ed lo dico anche agli onorevoli colleghi, che si espone la patologia, ma non si dà la cura. Io invece voglio dare la cura; cerco di non invadere il terreno della finanziaria, ma qualche volta è necessario per logicità e completezza del discorso. Ma dove sta scritto, signor sottosegretario Sartor, che io che guadagno - non mi vergogno di dirlo - 150 mila euro, debbo pagare la stessa aliquota che paga il mio collega, onorevole Berlusconi, che guadagna decine di milioni di euro? Non capisco dove sta la progressività prevista dal dettato costituzionale!
Secondo me, se quella valutazione che si è fatta, che prevede come aliquota massima da pagare quella del 43 per cento, è per fare qualcosa di sinistra - perché ci chiedono qualche cosa di sinistra a noi che bene o male la rappresentiamo! -, allora le aliquote devono essere diverse. Dovevamo recuperare nelle fasce alte, per dare veramente qualcosa alle fasce basse, non i 30-40 euro all'anno, che diventano una presa in giro per i lavoratori! Ma cosa


Pag. 49

volete che significhino 30-40 euro per un lavoratore che ha un reddito lordo di 15 mila euro e che non sa come sbarcare il lunario? Avremmo dovuto potare in alto, dove vi sono redditi veramente grandi, sproporzionati, per redistribuire in basso. La nostra redistribuzione, cioè l'equità della manovra, non è percepita.
A molti interlocutori, che attaccano questa maggioranza e il nostro Governo, ho detto: vedremo alla fine. A quel punto dovrete valutarci per quello che faremo, non adesso, perché adesso stiamo lavorando. All'interno della maggioranza c'è una cultura del confronto, della dialettica, della discussione, della maturazione. Non abbiamo un capo che ordina e i sudditi ubbidiscono! Noi abbiamo una cultura della partecipazione e della democrazia ed aiuteremo il Governo a non fare grandi errori.
Per questo la cura, che mi permetto di suggerire al Governo, è di non fare l'errore di cadere nello slogan berlusconiano di «non mettere la mano nella tasca degli italiani», perché noi non dobbiamo mettere le mani nella tasca degli italiani poveri, dei lavoratori che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese! Mettiamole invece nelle tasche dove troviamo milioni di euro, nelle tasche di coloro che si sono arricchiti con i condoni, di coloro che non hanno mai pagato le tasse! Si dovrebbero vergognare questi signori, perché non hanno un filo di solidarietà verso gli altri, quelli che soffrono, quelli che chiedono di poter vivere! Mettiamole in quelle tasche le mani e facciamo qualcosa di sinistra! Non vergogniamoci delle nostre idee e non facciamoci condizionare da una pseudocultura berlusconiana, che non ha una prospettiva, perché non ha contenuti di solidarietà, di serietà, di civiltà!
Allora modifichiamole queste aliquote! Portiamole al 48 per cento per quelli che come me guadagnano 150 mila euro e portiamole al 50 per cento per quelli che guadagnano milioni di euro. Solo così faremo veramente una perequazione sociale per i lavoratori, per la gente, che ci chiede servizi e solidarietà. Battiamo le destre con la nostra capacità di fare una politica seria, per la gente e con la gente! Allora sì che riconquisteremo, caro collega Turci, le persone che oggi ci stanno abbandonando.
È vero, abbiamo un difetto di comunicazione, ma è anche vero che almeno una parte della gente non crede più nel nostro progetto di società più giusta.
Il decreto-legge in esame prevede una serie di addizioni e sottrazioni. Ad esempio, prevede facilitazioni per il riporto delle perdite e stabilisce una correzione retroattiva della trasparenza fiscale per i contributi in franchigia.
Con riferimento alle imprese cooperative, occorre evidenziare che non si vuole capire - e questo è un difetto anche della maggioranza - che l'economia cooperativa, nel 2005, ha salvato il paese dalla recessione, accrescendo l'occupazione (lo dicono i dati ufficiali). In sostanza, nel presente decreto le imprese cooperative agroalimentari sono tassate attraverso la prevista imposta comunale. Signor sottosegretario, ciò è profondamente ingiusto, in quanto non si è compreso veramente quale sia il ruolo dell'impresa cooperativa agricola e agroalimentare. Ad esempio - mi scusi il Presidente Castagnetti se faccio un esempio elementare -, se l'agricoltore si fa il vino da solo (produce l'uva, la trasforma, la mette in bottiglia e la vende), sul suo opificio non paga l'ICI, trattandosi di una struttura agricola. Se invece questo imprenditore agricolo per produrre vino si associa ad altre dieci persone, dandosi una struttura più funzionale e razionale, dovrà pagare l'ICI.
In questo modo, si rinnega il dettato dell'articolo 45 della Costituzione, che costituisce la base della nostra democrazia e della nostra cultura politica. Infatti, tale articolo stabilisce che la cooperazione deve essere incoraggiata, valorizzata e tutelata. Occorre decidere se si vuole rispettare la nostra Carta costituzionale nonché l'ordine del giorno approvato da questo Parlamento e accettato dal Governo, volto a valorizzare la funzione cooperativa, o se la Costituzione è un pezzetto di carta da stracciare o da considerare solo quando ci fa comodo.


Pag. 50


Non utilizzerò tutto il tempo a mia disposizione, raccogliendo l'invito rivolto in tal senso dal Presidente Castagnetti, tuttavia - mi rivolgo al sottosegretario Sartor -, il Governo deve fornire garanzie al movimento cooperativo, sia per una questione di giustizia sia per una maggiore funzionalità. Vorrei ricordare che l'economia agricola, nel 2005, ha perso 5 punti di PIL e, nel primo semestre del 2006, sta seguendo la scia dell'anno precedente.
L'unica parte in progresso - una parte rilevante, perché la cooperazione rappresenta il 60 per cento del settore vitivinicolo, il 30 per cento del settore ortofrutticolo o gran parte del settore lattiero-caseario - è rappresentata proprio dalla cooperazione, che riesce a recuperare una parte della perdita del PIL agricolo. Noi non poniamo una questione corporativa, sosteniamo che va premiata la funzionalità e la capacità di dare risposte in termini di sviluppo e di coesione sociale. Le cooperative non delocalizzano, non tollerano il lavoro nero. Parlo di quelle vere, che fanno parte delle centrali cooperative e sono controllate, e non di quelle create da qualche industriale di turno, le cooperative spurie che noi vogliamo chiudere.
Sottosegretario, io credo che questo decreto-legge debba essere rivisto inserendo economie di spesa e debba contenere alcune delle indicazioni provenienti da questa Assemblea. Tuttavia, dobbiamo lavorare insieme. La maggioranza deve lavorare con il Governo, rispettando le indicazioni provenienti dalle minoranze. Dobbiamo configurare una legge che sia quanto più funzionale possibile rispetto all'insieme della manovra finanziaria. È con questa raccomandazione che l'Italia dei Valori sarà sempre e comunque a fianco del Governo e della maggioranza (ma vuole farlo in modo costruttivo, seppure critico, intelligente, seppure funzionale). Il fatto che molte volte il mio gruppo parlamentare si sia distinto non ha danneggiato la maggioranza, anzi io credo che abbia fatto crescere la cultura di Governo. Se fossimo stati ascoltati sull'indulto, se alcune nostre indicazioni fossero state recepite, sicuramente oggi non staremmo a recriminare o a difenderci dagli attacchi, forse anche giusti, provenienti da tante parti del nostro sistema sociale e politico.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Pedrizzi, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Giudice. Ne ha facoltà.

GASPARE GIUDICE. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Giudice, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Filippi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FILIPPI. Signor Presidente, anch'io chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Filippi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Verro. Ne ha facoltà.

ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Vorrei rilevare brevemente come questo decreto-legge faccia parte di una manovra, come è stato già detto, basata per due terzi sulle entrate. Il risultato sarà inevitabilmente quello di deprimere l'economia. Al sottosegretario vorrei ricordare che con questa manovra la maggioranza tradisce gli impegni assunti nella campagna elettorale, quando si era impegnata a non aumentare le tasse. Sottosegretario, la vostra scommessa non era quella di non aumentare le tasse ed allargare la platea dei contribuenti? In realtà, vi siete appiattiti sulle posizioni più obsolete dei sindacati, come quella della CGIL, che di fatto finisce per proteggere i simpatizzanti


Pag. 51

e gli iscritti, anziché i poveri. Anche per queste regioni il gruppo di Forza Italia voterà contro questo decreto.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Verro, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Leddi Maiola. Ne ha facoltà. Immagino che sarà fortemente condizionata dal clima creatosi in quest'aula...

MARIA LEDDI MAIOLA. Relativamente, signor Presidente.

PRESIDENTE. Quando si dice: le signore di carattere...! Complimenti, comunque.

MARIA LEDDI MAIOLA. Diciamo che mi adeguo al 50 per cento, nel senso che cercherò di contenere il mio intervento nei limiti minimi necessari. Del resto, provengo da una terra dove un suo motto recita che noi, quando abbiamo finito di dire, taciamo. Quindi, ho una certa, pesante idiosincrasia nei confronti di interventi troppo lunghi e verbosi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento approda in aula dopo una settimana molto intensa nelle Commissioni riunite, riferendomi soltanto agli ultimi giorni. È stata una settimana anche molto istruttiva perché tra tutti i componenti delle Commissioni, soprattutto quelli che hanno l'abitudine di essere sempre presenti e lavorare sui provvedimenti, vi è stato un confronto che ha condotto a notevoli risultati. In questo caso, non credo affatto che il Parlamento abbia derogato alle sue prerogative. Il Parlamento ha esaminato la proposta del Governo, ha ascoltato, si è confrontato ed ha restituito a quest'Assemblea un provvedimento che reca modifiche sostanziali. Questo va detto relativamente alle osservazioni dei colleghi sul fatto di sentirsi depauperati delle proprie prerogative. Si tratta di un caso lampante in cui, facendo adeguatamente la propria parte, il Parlamento restituisce al paese una normativa che terrà conto di tutte le sollecitazioni che sono arrivate e che restituiranno un provvedimento migliorato rispetto a quello varato dal Governo. Vi è bisogno di questo. Si è parlato oggi delle agenzie di rating e dei giudizi che campeggiano su tutte le prime pagine dei giornali. Credo che in proposito faremmo un cattivo servizio a noi stessi se ci rifiutassimo di guardarli. Si tratta infatti di giudizi pesanti e non dobbiamo nasconderci dietro ad un dito. Infatti, se come maggioranza riteniamo di lavarcene le mani affermando che tutto questo è frutto di errori fatti nei cinque anni precedenti dal vecchio Governo, liquidando così il problema, non analizziamo adeguatamente la situazione. D'altra parte, non vale neppure il giudizio dell'opposizione, secondo cui si tratta di un parere fornito da agenzie che analizzano la contingenza e che si tratta della situazione creata dal nuovo esecutivo. Credo invece che si tratti di un adeguato combinato disposto; i cinque anni precedenti hanno oggettivamente portato a numeri ineludibili. Infatti, non stiamo inventando noi che lo sviluppo del paese è assolutamente rallentato ed assai vicino allo zero, che l'avanzo primario è sostanzialmente inaridito e che quindi i conti devono essere riportati in fretta e duramente fuori dalla zona rossa. Non credo che tali circostanze possano essere addebitate a questo Governo.
Forse deve farci riflettere il fatto che quanto posto in essere da questo Governo, in questo momento, come manovra generale per riportare i conti fuori dalla zona rossa, probabilmente è percepito con perplessità. Giustamente, si è affermato che la manovra è articolata e che l'atto oggi in discussione non è risolutivo dei problemi del paese, ma nessun atto in sé può esserlo. Tuttavia, si tratta di una manovra dei cui fondamentali siamo convinti. Sicuramente, c'è bisogno di tenere conto delle cose che, nel dibattito odierno, un po' solitario, che avvia l'esame in aula del provvedimento, sono emerse da parte della


Pag. 52

stessa maggioranza, ossia maggiore attenzione ai contenuti del complesso della manovra e maggiore attenzione nel comunicare quanto si sta facendo, perché le cose devono essere, ma anche apparire. Infatti, anche questo fa parte della capacità di incidere.
Vorrei concludere, dicendo che il Parlamento ha fatto la sua parte e credo che tutti, maggioranza e opposizione, possiamo dichiararci soddisfatti. Soprattutto, credo si possa dire che abbiamo raccolto ed esaminato una proposta, restituendola migliorata e più adeguata.
Vorrei aggiungere una considerazione in cui credo profondamente: non credo che questo provvedimento ed il complesso della manovra siano una Babele, come affermava la collega Ravetto. Vi è un disegno da rafforzare, i cui fondamentali, comunque, che sono chiarissimi, condivido assolutamente.
Questa manovra, nel suo complesso, con i provvedimenti che mi auguro entro novembre verranno esaminati, si propone di superare due scogli fondamentali della fase in cui stiamo vivendo: l'iniquità e il declino. Tutti siamo d'accordo in merito a ciò.
Il declino si riscontra nei fatti. Nonostante si avverta una certa ripresa, il nostro paese continua a tenersi a rispettosa distanza da una ripresa che comincia a coinvolgere gli altri paesi a forte industrializzazione. Ciò è assolutamente negativo, perché, se non si riesce a produrre nuovamente ricchezza, non vi sarà niente da ridistribuire per risanare anche le iniquità. Credo, quindi, che una manovra, che voglio immaginare non sia intrisa di sadismo fiscale, ma di rigore fiscale, purtroppo si renda indispensabile ed è corretto vada affrontata nei numeri con cui viene proposta.
D'altra parte - e mi rivolgo al rappresentante del Governo -, abbiamo detto che viaggiamo su una autostrada a tre corsie e le corsie di Padoa Schioppa, a nome del Governo, sono rappresentate certamente dal risanamento e dall'equità.
In particolare, credo che l'equità abbia un'accezione molto più ampia della redistribuzione di risorse. L'equità è anche garantire a tutti parità di condizioni e ciò significa garantire a tutti un paese che funziona: non soltanto risorse diversamente distribuite, ma anche un paese in cui i servizi funzionano, la pubblica amministrazione è all'altezza della situazione e le nostre imprese sono messe nella condizione di essere competitive rispetto a quelle che hanno alle spalle i servizi di un paese che funziona. Anche questo aspetto è equità!
In questo senso, credo sia opportuno spronare noi, per primi, come parlamentari, ma anche il Governo (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e La Rosa nel Pugno)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, non posso adeguarmi al clima che si è creato, perché non ho uno scritto organico da consegnare agli atti. Non fosse per i tempi, è un clima da Parlamento europeo, considerate le poche persone presenti. Comunque, non userò tutto il tempo a disposizione.
Prendo lo spunto dalla questione del declassamento del rating. Il sottosegretario sa bene che il problema, in un paese come l'Italia, posto che le agenzie di rating non sono l'oracolo della verità, è serio, ma non solo per il debito pubblico; il declassamento, anche se ovviamente ha come punto di riferimento il debito pubblico, grava su tutti i prestatori privati e sulle aziende che devono emettere i bond, lanciandosi sul mercato internazionale per cercare capitali.
Si tratta, quindi, di un segnale molto pesante, che incide, quali siano le ragioni che hanno spinto le società di rating nella loro decisione, sulla vita economica del paese.
Credo che l'errore capitale che il disegno di legge finanziaria e il decreto-legge ad esso collegato compiono - e francamente mi stupisco che sia stato commesso o, meglio, non mi stupisco che sia stato commesso da questo Governo e da questa


Pag. 53

maggioranza - è quello di cedere nel 2006 ad una manovra finanziaria che ha un'impronta e un'impostazione ideologica vetero-socialista da anni Settanta. Questa non è demagogia o propaganda, ma tale considerazione deriva semplicemente da un'analisi del linguaggio utilizzato. Credo che nella storia della politica europea negli ultimi dieci, quindici o forse anche venti anni, a partire dai paesi scandinavi fino ad arrivare ai governi socialisti francesi - non sto parlando, per capirci, di Tony Blair -, nessuno abbia più giustificato l'idea di intervenire sulla tassazione delle persone fisiche in termini di redistribuzione. Questa idea del fisco alla Robin Hood, che deve prendere ai ricchi per distribuirlo ai poveri, è il segno di una manovra ispirata da un'ideologia peraltro vecchia. Negli altri paesi, pensiamo ad esempio alla Gran Bretagna, se Tony Blair chiede un aumento delle entrate, come è già accaduto con Gordon Brown, non lo chiede in nome della redistribuzione e dell'equità da perseguire attraverso la leva del fisco, ma fa un ragionamento diverso, e cioè chiede soldi nel momento in cui deve realizzare investimenti nei settori della sanità e della scuola; in tal modo, la redistribuzione diventa parità di accesso ai servizi di qualità che possono consentire anche l'utilizzo del cosiddetto ascensore sociale. In Italia, non esiste invece alcun piano di investimenti. Noi potremmo aprire una discussione su quanto intervenire nella scuola con finanziamenti pubblici (io dico molto poco) e quanto con la concorrenza (direi moltissimo). In Italia, però, non siamo giunti, ahimè, a questo tipo di dibattito, ma siamo stati riportati indietro di venti o trent'anni e discutiamo se bisogna tassare e punire la ricchezza come colpa dimenticandosi che, fino a prova contraria, in una società libera la ricchezza è segno di merito.
Ritorno sulla questione del rating e su quella del mercato dei capitali. A tale riguardo, desidero soffermarmi su una cosa che nel decreto-legge non c'è, e ciò è già di per sé una cosa gravissima, e lo faccio (facendo forse un processo alle intenzioni, nel qual caso il sottosegretario Sartor mi scuserà) a partire da un'indiscrezione riportata per due giorni dal massimo quotidiano italiano di questioni economico-finanziarie, Il Sole 24 Ore, che ieri riportava, ed oggi ha ribadito, che vi sarebbe l'intenzione del Governo di inserire nel maxiemendamento finale che modificherà questo decreto-legge (che tutti aspettiamo e su cui immagino, nonostante le cose che si dicono, verrà posta la questione di fiducia) quel «pezzo» della delega fiscale che riguarda la tassazione del risparmio. Tutto ciò, lo ripeto, è riportato da Il Sole 24 Ore di ieri e ripetuto nuovamente oggi. A tale riguardo, ho da porre in evidenza una prima questione di metodo, sperando magari di essere smentito. Se questo accadesse (non conosco precedenti in quanto non ho esperienza parlamentare, sto semplicemente al punto e a quello che si prospetta oggi), credo che sarebbe - e lo dico anche al presidente Castagnetti affinché se ne faccia portavoce nei confronti del Presidente Bertinotti - di una gravità inaudita, tenuto conto che si tratta di una delega importante ed invasiva della vita degli italiani dato che con essa si prevede di aumentare la tassazione sul risparmio del 60 per cento passando, dal 12,5 per cento al 20 per cento.
Già il testo è assolutamente insoddisfacente: una delega generica, a mio avviso impropria; inoltre, verrebbe preso ed inserito in un maxiemendamento al provvedimento in esame sul quale il Governo chiederebbe la fiducia sicché, con riferimento ad una scelta così importante quale la tassazione sul risparmio, in sede di Commissioni e di Assemblea non solo non vi sarebbe possibilità di attività emendativa, ma neppure traccia alcuna di discussione. A mio avviso, se davvero ciò dovesse succedere - spero di no, ma la fonte, ahimè, è autorevole e abitualmente ben informata -, si esproprierebbe il Parlamento anche sul versante di una funzione per la quale i Parlamenti sono nati nelle monarchie che si costituzionalizzavano. Mi riferisco al ruolo storico dei Parlamenti di approvare l'effettiva entrata in vigore delle nuove imposte adottate dal sovrano. Ciò sarebbe inammissibile; questo Parlamento


Pag. 54

non può e non deve accettare - mi rivolgo anche ai colleghi della maggioranza - che il Governo, dopo avere presentato (peraltro, solo sul proprio sito Internet) la delega che reca tale riforma, mercoledì notte o quando sarà, inserisca nel maxiemendamento anche tale misura. Spero di essere smentito ma ribadisco che, se invece tale ipotesi dovesse verificarsi, se questa dovesse essere l'intenzione del Governo, l'opposizione non potrà accettare come dato di fatto una simile scelta.
Tra l'altro, poi, anche un'altra norma deve essere considerata; essa prevede una riduzione di imposta, stabilendo un'aliquota fissa del 20 per cento sugli introiti provenienti dagli affitti. Si tratta di una proposta a suo tempo avanzata da Rutelli in campagna elettorale; la misura, che sottoscrivo, reca una norma a mio avviso 'intelligentissima': rinunciando al presupposto tutto ideologico della progressività della tassazione sul reddito, si introduce un elemento di razionalità che potrebbe servire a fare emergere una parte importante dell'economia sommersa degli affitti. Tuttavia, il viceministro Visco ha dichiarato di voler accantonare questa riforma - non è un caso: si trattava, per una volta, di ridurre una tassa - fino al momento in cui sarà emersa una parte del sommerso collegato agli affitti. Se una differenza sussiste tra molti di quelli tra noi che più di me valgono e Visco è proprio la prospettiva: il viceministro vuole cercare e stangare gli evasori con questa previsione 'folle' per cui l'onere della prova diviene a carico del cittadino contribuente, sicché si deve dimostrare di non essere evasore anziché il contrario. E, poi, Visco dichiara che si applicherà il 20 per cento. Ecco, una volta tanto che si seguiva un'idea intelligente, applicando il 20 per cento e riducendo l'evasione, poi la si accantona.
Concludo sulle rendite finanziarie; uso tale termine del tutto improprio, demagogico e propagandistico che la maggioranza ha usato già in campagna elettorale. Infatti, non si tratta veramente di tassare le rendite finanziarie; sappiamo benissimo che chi ha tanti soldi non se li farà sottrarre da questo aumento del 60 per cento dell'aliquota sulla rendita dei risparmi da un giorno all'altro, sulla base della tesi secondo la quale bisogna armonizzare le aliquote con il livello medio europeo. Non ho né tempo né voglia di spiegare tale aspetto, perché ritengo che anche ciò sia una stupidaggine. Si interviene sostenendo che dobbiamo riequilibrare la tassazione sulle rendite restituendo poco o nulla (ovvero la diminuzione doverosa e sacrosanta del prelievo su quanto rendono i conti correnti, conti che, salvo quelli postali ed il conto arancio, rendono quasi zero dal punto di vista finanziario con un beneficio pressoché nullo). Ma io ritengo, sottosegretario Sartor, che tale misura sia viziata, anche politicamente, da un errore di fondo, dall'idea che il risparmio, l'oggetto della vostra tassazione, i fondi privati di investimento, le obbligazioni, i capital gain sulle obbligazioni, siano in Italia appannaggio dei ricchi, di coloro che, con un infelice slogan di Rifondazione comunista, dovrebbero piangere. Ma se andate a vedere i dati della Banca d'Italia sui bilanci delle famiglie italiane per il 2004, innanzitutto constatate che il 36,7 per cento delle attività finanziarie complessivamente detenute dalle famiglie italiane è nelle mani di famiglie dove il capo famiglia è un lavoratore dipendente.
Se andate a vedere a fondo questi dati - e lo dico perché credo che state facendo un autogol clamoroso dal punto di vista politico, di cui naturalmente sono soltanto felice, anche se, purtroppo, le conseguenze le pagheranno i cittadini, i risparmiatori, e non i ricchi possessori dei capitali -, potete verificare che le famiglie degli operai, che sono il 21,6 per cento del totale delle famiglie, posseggono quasi il 9 per cento della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane e che le famiglie degli impiegati posseggono il 20 per cento.
Quindi, questa stangata sul risparmio non andrà a pesare sui grandi capitalisti, furbetti o meno, Consorte, Ricucci e via dicendo, che tanto già fanno i quattrini nelle società lussemburghesi - perché non sono così fessi -, ma colpirà pesantemente le famiglie italiane, le famiglie degli operai,


Pag. 55

dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Ho avuto modo di pubblicare, anche sui quotidiani italiani, uno studio che abbiamo svolto, raccogliendo alcuni dati ed elaborando una simulazione molto semplice.
Peraltro, dalla delega che vi apprestate a inserire in questo decreto fiscale, non si trae assolutamente alcuna indicazione di ciò che volete fare, se vi siano scaglioni esenti - come volete fare -, se vi sia la nominatività del portafoglio titoli; non c'è nulla, potreste fare quello che volete: c'è scritto semplicemente che il massimo dell'aliquota sarà del 20 per cento.
La gravità delle norme che introducete rappresenta un boomerang, l'ennesimo, scagliato con questa finanziaria dal centrosinistra, che tornerà sulla testa di Prodi, di Visco e di quant'altri, non appena gli italiani sapranno quello che vi apprestate a fare, a partire dalla settimana prossima con l'introduzione della delega nel decreto fiscale e la stangata non sulle rendite finanziarie, ma sul risparmio.
Basterà fare quattro conti, anche usando la cosiddetta «media di Trilussa», cioè spalmando su tutte le famiglie di operai e su tutte le famiglie di impiegati pro quota il complesso delle loro attività finanziarie, e si vedrà che i benefici minimi, che comunque ci sono, della rimodulazione dell'IRPEF verranno, nella media, dimezzati o azzerati; addirittura, per un impiegato single, con un reddito di 28 mila euro, che abbia una media di risparmio della categoria, il beneficio IRPEF verrà azzerato dalla stangata sul risparmio. Certo, si può modulare, ma nessuno di noi, qui in Parlamento, saprà mai come deciderete di farlo. Questo è il punto di partenza.
Concludo, signor Presidente. Ho parlato di una normativa che nel decreto-legge non c'è, ma spero che la Presidenza della Camera, avvisata per tempo, vorrà intervenire, nel momento in cui il Governo decidesse di compiere questo ulteriore esproprio del Parlamento, introducendo nel maxiemendamento un provvedimento fiscale di tassazione così ficcante e così gravoso nei confronti delle centinaia di migliaia di famiglie e di risparmiatori italiani, magari di notte, per chiedere la fiducia ventiquattro ore dopo, senza che il Parlamento abbia nemmeno la possibilità di discutere della tassazione dei risparmi.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Fugatti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole D'Ippolito.

IDA D'IPPOLITO VITALE. Signor Presidente, non me ne vorrà, spero, se svolgerò il mio intervento, comunque non troppo oneroso...

PRESIDENTE. Si immagini, è suo diritto. Avremo il piacere di ascoltarla.

IDA D'IPPOLITO VITALE... non tanto per avere il piacere di essere chiamata da lei una donna di carattere, anche se, come donna del sud penso di esserlo, ma soprattutto per quella responsabilità che mi appartiene come rappresentante dell'opposizione e di quella parte del paese che si è opposta a questa maggioranza.
Le mie saranno considerazioni prevalentemente politiche su un provvedimento che, in realtà, ha visto indebolirsi, giorno dopo giorno, le possibilità di un ampio dibattito e di un adeguato approfondimento su questioni di merito, dirimenti e strategiche, nella prospettiva di attuazione dei principi di equità e di sviluppo, che il Governo e la maggioranza hanno indicato quali valori fondanti della manovra economico-finanziaria per il periodo 2007-2011 e dei provvedimenti ad essa collegati.
Proprio il decreto-legge n. 262, la cui conversione, oggi, richiama l'attenzione del Parlamento, è stato presentato come un tassello fondamentale di quella manovra, caratterizzato com'è da numerose disposizioni fiscali ad essa connesse, accanto però - è opportuno sottolinearlo - a numerose altre, assai eterogenee, spesso in sostanziale contraddizione proprio con gli obiettivi di equità e di sviluppo, indicati nel DPEF.


Pag. 56


Non mi soffermerò sulla compatibilità costituzionale dello strumento utilizzato, pur non nascondendo una - credo - legittima perplessità sulla sussistenza dei requisiti necessari a giustificarne l'adozione né sulle colpevoli distrazioni di una stesura formale del testo, assai lontana dal rigore e dalla chiarezza di formulazione che una buona legislazione richiede, anzi impone, a tutela di un principio essenziale alla democrazia: la certezza del diritto.
Non posso, però, sottacere la sofferenza di un iter parlamentare lento e faticoso nelle Commissioni bilancio e finanze, ostacolato e compresso da una maggioranza impossibilitata al confronto, prigioniera di contraddizioni interne, altalenante tra accelerazioni e marce indietro, su emendamenti, ora dichiarati ammissibili, poi - magari - congelati, come sulle coperture di emendamenti strategici. Sono divisioni profonde su questioni di merito.
Ho sentito, in Assemblea, da un autorevole rappresentante della maggioranza, affermare che non giova una difesa tout court della manovra, a sottolineare, dunque, le differenti sensibilità che la caratterizzano, la ricerca spasmodica di punti di mediazione e di sintesi, difficili da trovare, segni evidenti del prevalere di un'impostazione, non pienamente condivisa e fortemente contrastata da più settori della stessa maggioranza, differenti per formazione e cultura politica.
Del resto, la ribellione del popolo di sinistra, a partire dai sindaci, la voce preoccupata del mondo produttivo, le civili manifestazioni dei commercianti, a Treviso, e dei professionisti, a Roma, rappresentano testimonianze oggettive di coscienze allarmate, al di là di posizioni o simpatie o partiti o aree di riferimento.
Il calo dei consensi nel paese a danno dell'attuale Governo rappresenta con evidenza la protesta corale per un'azione orientata, nelle petizioni di principio, a realizzare equità sociale e sviluppo che, tuttavia, si articola, in concreto, attraverso meccanismi punitivi, norme e procedure rigide, frutto di un'impostazione - a mio avviso - ideologica e settoriale e - direi - ottocentesca, perciò anacronisticamente classista, prigioniera di un'assurda e fuorviante semplificazione antropologica, che tende a distinguere tra buoni e cattivi, tra poveri e ricchi, che pensa a realizzare una corretta distribuzione compiacendo, legittimando e, magari, favorendo, almeno nelle intenzioni, quella classe sociale che sosterrebbe il Governo Prodi.
Eppure, la generalizzata stretta fiscale introdotta dal decreto-legge al nostro esame, com'è stato in vario modo e in diverse sedi dimostrato, provoca svantaggi proprio a chi, per esempio, guadagnando solo 20 mila euro l'anno, grazie all'aumento dei contributi sociali, avrà una busta paga più leggera di 162 euro: poca cosa, ma non per tutti.
A conferma che in una società complessa come la nostra, la strada imboccata per far quadrare i conti sociali con quelli di ragioneria, forse, non è quella giusta. Infatti, far perdere 10 miliardi di euro alla parte considerata più produttiva del paese pregiudica anzitutto l'effettività, nel contesto europeo ed internazionale, della competitività e dello sviluppo del nostro sistema paese, oltre a produrre un danno elettorale del quale non siamo certo noi a doverci preoccupare.
Le maggiori entrate che si attendono dal decreto in esame risultano poi collegate ad un complesso di fattori non facilmente predeterminabili. Le norme dirette a potenziare l'efficacia e la tempestività dei meccanismi di controllo e contrasto all'evasione, in realtà risultano funzionalmente collegate ad altre disposizioni richiamate, come il decreto-legge n. 223 del 2006, normativa previgente al decreto in esame i cui effetti non quantificati al tempo di approvazione non dovrebbero influenzare il gettito calcolato. Un esempio, questo, per sottolineare che gli obiettivi del decreto, per le modalità e il dilazionamento dei tempi di attuazione, chiamano in campo una complessità di fattori, dalla capacità ed efficienza delle amministrazioni competenti all'adeguamento spontaneo dei contribuenti. Ciò rende sostanzialmente precaria la formulazione delle stime, proprio con riferimento


Pag. 57

alla consistenza delle maggiori entrate e alla loro distribuzione temporale nell'arco dell'esercizio futuro.
Finanza creativa, realistico ottimismo o convinzione di non poter sbagliare? Certo è che rispetto alle affermazioni programmatiche di tavoli di confronto permanenti per le decisioni concordate e condivise, il paese registra un diffuso allarme sociale: da quello sindacale sui tagli delle scuole, a quello di Confindustria e delle imprese sul trattamento di fine rapporto. Così, vi è l'incertezza di una manovra non ancora definita pienamente nei suoi contenuti, come dimostra il disorientamento di una maggioranza costretta di volta in volta a prendere atto in Commissione delle mutate decisioni del suo Governo.
Da ultimo, vi è l'annunciato accordo del Governo con i sindacati e con Confindustria sul trattamento di fine rapporto, che fissa a quota 50 addetti la soglia di attenzione ed esclude dal provvedimento le piccole e medie imprese, realizzando una «rispalmatura» sulle rimanenti. È un punto di convergenza della maggioranza che non incide sui 6 miliardi previsti dalla legge finanziaria introitati attraverso il trattamento di fine rapporto. In ogni caso, ciò non ci impedisce di affermare che qualunque destinazione di quel trattamento deve essere decisa dal lavoratore. Pertanto, ci riserviamo di affrontare comunque la questione nel momento in cui ce lo consentiranno i tempi dell'esame della legge finanziaria.
Il ricorso al voto di fiducia è già nell'aria da tempo. A mio sommesso avviso, si pone all'attenzione del Parlamento - e prima ancora del paese - lo stato di difficoltà della maggioranza e del Governo nonché le divisioni profonde in seno ad essi, al di là della manifestata volontà di tenere la gestione a tutti i costi.
Si ricorrerà - e voglio tranquillizzare in proposito il collega Tolotti che mi ha preceduto - ad una procedura parlamentare legittima. Tuttavia, in questo ramo del Parlamento, sul piano politico essa equivarrà ad una sconfitta, ad un'ammissione d'impotenza e alla presa d'atto che senza il voto di fiducia questa maggioranza rischia di naufragare. Essa è inoltre la quota parlamentare necessaria per il Presidente Prodi, unica via di uscita dalle contraddizioni prevedibili - anzi, a mio giudizio, scontate -, solo che si consideri l'humus politico e culturale eterogeneo e complesso, non sempre conciliabile e molto spesso incompatibile, su cui si fonda questa alleanza programmatico-elettorale. Con esso, prima o poi, la maggioranza dovrà fare i conti, costretta a dividersi senza possibilità di ulteriori mediazioni laddove il confronto comporterà scelte fondanti di civiltà e di identità e, insomma, di categorie di valori irrinunciabili.
Nel gioco delle parti è scontata, altresì, la critica serrata dell'opposizione, in coerenza con il ruolo istituzionale che le è proprio, oltre che nel rispetto di esso. Vorrei evidenziare, tuttavia, che è estranea alla mia formazione, nonché allo stile di Forza Italia, la logica della denigrazione, ancor meno quella della demonizzazione cui, purtroppo, qualche volta induge parte della maggioranza.
Un esempio per tutti è rappresentato dalla drammatizzazione mediatica sullo stato dei conti pubblici, attuata dalla sinistra subito dopo lo svolgimento delle elezioni ma smentita, di fatto, dal miglioramento strutturale delle entrate che è emerso e che è stato riconosciuto, il quale è verosimilmente riconducibile proprio all'attività svolta dal Governo Berlusconi. Ci fa sicuramente riflettere, inoltre, la notizia sull'abbassamento del rating relativo al nostro debito pubblico, oggi alla nostra attenzione.
Non sosterrò che è tutto sbagliato, poiché ritengo obiettivi condivisibili la lotta all'evasione fiscale, una maggiore equità sociale, la progressività della tassazione costituzionalmente sancita, la crescita economica del paese, il recupero di risorse finalizzate a sostenere le famiglie con figli che dispongono di redditi medi e bassi, nonché l'esplicita attenzione verso il Mezzogiorno.
Diverse, tuttavia, sono la nostra filosofia e le strategie di approccio ai problemi. Il Governo propone di contrastare prima l'evasione fiscale per abbassare, successivamente,


Pag. 58

la pressione fiscale. Si tratta di un obiettivo ambizioso, ma di lungo termine e sicuramente difficile da realizzare. Significativo è, a mio avviso, il caso dell'IVA, che in Italia registra un'aliquota base tra le più alte in Europa, ma produce anche un gettito effettivo assai minore. Vi è da domandarsi se il problema non riguardi proprio l'aliquota di base.
Troppe tasse deprimono l'economia ed i consumi, e non siamo soltanto noi a sostenerlo. Versare il giusto induce tutti, o comunque i più, a pagare le imposte, avviando un processo pedagogico che incentivi la contribuzione volontaria, ferme restando, naturalmente, la necessità e l'urgenza di dotarsi di strumenti penetranti e strutturali di contrasto ad un fenomeno, quale l'evasione fiscale, che assume proporzioni assai rilevanti.
Se risulta inevitabile, tuttavia, che la lotta all'evasione debba essere affrontata con fermezza, è altrettanto vero che essa non legittima mai il ricorso a strumenti inquisitori ed invasivi che lacerano il patto di solidarietà e di reciproco affidamento tra Stato e cittadini. Ciò rappresenta la prima causa, a mio avviso, della crisi delle istituzioni e della perdita di credibilità della politica che ancora avvelenano il paese e che impediscono, altresì, che si instauri un confronto dialettico costruttivo tra i vari soggetti in campo.
Il principio dell'autonomia privata quale fondamento dell'organizzazione e dei rapporti tra cittadini, delle imprese e del lavoro - sempre nel rispetto delle norme vigenti, così come dei codici etici non scritti e tuttavia vincolanti - non può essere costretto in rigidi schemi preconfezionati che, più che impedire l'illecito, finiscono per vincolare la libertà di iniziativa, cardine della nostra società costituzionalmente fondata sul lavoro.
Ritengo apprezzabili, anche in linea di principio, le misure varate dal Governo per favorire l'assunzione di lavoratrici nel Mezzogiorno, che presenta tassi di occupazione tra i più bassi d'Europa.
Occorre rivolgere l'attenzione, tuttavia, alla necessità di adottare provvedimenti strutturali e politiche sociali che favoriscano la duratura e piena integrazione della donna nel mondo del lavoro e, soprattutto, l'abbandono di una logica emergenziale che, in ogni caso, rischia di creare nuove aree di privilegio e di potenziale discriminazione ai danni dell'altro, per di più in zone di crisi che presentano un basso tasso di occupazione complessiva.
Così, la diminuzione del costo del lavoro nelle aree meridionali rappresenta uno strumento insufficiente, viziato da un pregiudizio assistenzialista, che il Sud ha invece necessità di superare definitivamente: più opportunità, più legalità, più risorse per la legalità, più investimenti, più servizi, non storno di spese, già previste, su capitoli che rappresenterebbero comunque una priorità del Governo, che è chiamato a continuare o ad avviare l'ammodernamento delle reti infrastrutturali, dalla viabilità agli aeroporti, ai porti e alle ferrovie, i cui investimenti, invece, risultano ancora assai incerti, per non parlare dei numerosi cantieri bloccati e di significative infrastrutture sospese, benché essenziali alla tenuta del paese nella sfida multiculturale e del mercato globale.
Concludendo, voglio esprimere, facendo tesoro dell'esperienza maturata nel rapporto continuo con il mio territorio, la Calabria, e delle preoccupazioni per il futuro raccolte tra la gente, il rammarico sincero e convinto per la scarsa volontà del Governo, più che della sua maggioranza, di cogliere, pur nel rispetto dei diversi ruoli, le opportunità di un dialogo, oggi più che mai necessario al paese, possibile però, a mio avviso, solo attraverso la capacità di un gesto di umiltà e di vera responsabilità, che consenta ai Governi che di volta in volta si succedono il reciproco riconoscimento e la salvaguardia dei buoni risultati raggiunti, con ciò superando una sordità, una logica di scontro, scontata in campagna elettorale, ma sicuramente dannosa nell'ordinario, a fronte di scelte impegnative e direttamente incisive sulla vita e sul futuro del nostro popolo.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti del I circolo didattico Alfredo Aspri di Fondi, in


Pag. 59

provincia di Latina, che stanno assistendo, con molta attenzione e pazienza, ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sarò brevissimo. I quattro quinti dell'intervento del collega Della Vedova vertevano su un presupposto, che, finché rimane sui giornali, nulla quaestio. Però, nel momento in cui tale presupposto viene riferito in quest'aula e viene lasciato agli atti, non soltanto a quelli di quest'aula, credo che - ed è l'invito che, attraverso lei, mi permetto di rivolgere al sottosegretario -, nelle forme, nei tempi e nei modi che il sottosegretario ritiene, a quel quesito vada data una risposta, magari nella replica.
Si tratta solo di una sollecitazione, perché questi provvedimenti spesso si caricano di fantasmi riferiti a fatti che non esistono da nessuna parte. Siccome uno di questi è arrivato dentro l'aula, credo sarebbe molto utile - nel momento in cui il sottosegretario riterrà di prendere la parola - che almeno su questo fatto si dica una parola chiara.

PRESIDENTE. Il sottosegretario ha ascoltato l'intervento e valuterà anche il senso della sua sollecitazione.
Prendo atto che l'onorevole Crosetto, iscritto a parlare, vi ha rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Ceroni. Ne ha facoltà.

REMIGIO CERONI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, sono chiamato a parlare quasi alla fine degli interventi...

PRESIDENTE. No, no...

REMIGIO CERONI. Se seguissi il filone dei miei colleghi, certamente finirei con il ripetere la gran parte delle cose che sono già state dette. Pertanto, darò al mio intervento un altro profilo. Vorrei parlare di due questioni che hanno fatto da padrone nei giornali di ieri e di oggi.
Il confronto delle elezioni politiche della primavera scorsa è finito sostanzialmente in parità tra i due schieramenti.
Si è trattato di un esito molto discutibile per il modo in cui è maturato e per il sospetto di brogli elettorali che al momento non sono stati affatto dissipati. In Messico, ad esempio, dove si sono svolte le elezioni, i voti sono stati ricontati nel giro di pochi giorni e il partito che è al Governo ha la certezza che la vittoria sia stata limpida e trasparente.
Si è trattato di un risultato conseguito anche per gli errori - dobbiamo ammetterlo - con cui il centrodestra ha affrontato la campagna elettorale. Se è vero però che una vittoria elettorale si può ottenere con il consenso sulle promesse, per governare occorre il consenso sulle scelte, cosa ben diversa e molto più difficile da realizzare.
Questo Governo, a distanza di pochi mesi dalle elezioni, vive una situazione di grande difficoltà, perché il consenso sul proprio operato va ogni giorno diminuendo. Tale condizione, che noi di Forza Italia avevamo avvertito da tempo girando per i paesi, è ormai diventata talmente evidente che anche i giornali che sono a fianco della coalizione di Governo non hanno potuto più tenerla nascosta. Ieri la Repubblica, che aveva commissionato a tale scopo un sondaggio alla IPR marketing ha titolato che il Governo in crisi di consensi ha perso 18 punti in tre mesi. Ciò non ci meraviglia affatto, perché pensiamo che governare l'Italia - oggi tutti i governi di ogni paese sono in difficoltà - sia particolarmente difficile e che lo sia ancora di più se al Governo vi è una maggioranza troppo eterogenea e troppo divisa, che in pochi mesi ha collezionato una serie di errori politici, dando l'impressione di non essere all'altezza di governare il paese.
Prodi, pur di vincere le elezioni, ha messo in piedi un cartello elettorale con l'unico obiettivo di sconfiggere Berlusconi, dimenticandosi poi di dover governare il


Pag. 60

paese. È chiaro che un'aggregazione di partiti con un consenso ridotto nel paese, molto eterogenea, poco coesa, divisa su ogni questione, senza idee, cade in difficoltà non appena si presenti la necessità di affrontare qualsiasi problema, poiché diverse e inconciliabili sono le soluzioni ai problemi proposte dai vari partiti che compongono il raggruppamento elettorale.
Va ricordato inoltre che sul nostro paese pesa un debito pubblico di oltre 1,5 milioni di miliardi di vecchie lire: nella graduatoria mondiale siamo il terzo paese tra quelli più indebitati del mondo, con un costo per il debito pubblico che supera i 65 miliardi di euro e che, in prospettiva, tende a crescere per effetto del rialzo dei tassi di interesse. Vorrei ricordare, tra l'altro, che tali debiti sono stati accumulati nella prima Repubblica, i cui protagonisti in gran parte siedono tra i banchi della maggioranza. Ciò rappresenta indubbiamente una condizione di difficoltà di cui non si può non tenere conto.
Detto questo, nulla toglie al fatto che questo Governo stia governando male, molto male, e che lo stia facendo contro il paese, visto che le proteste esplodono in ogni angolo. Il paese precipita soprattutto nella credibilità internazionale, perdendola.
Facendo una riflessione anche sommaria, non è difficile scoprire quali siano le cause di questa caduta di consensi. Basta ripercorrere i vari passaggi di questa fase politica. Pur avendo la maggioranza vinto le elezioni con una manciata di voti, essa ha immediatamente occupato tutte le cariche politiche e questo i cittadini, che non sono stupidi, lo comprendono attraverso la lettura dei giornali o dalla televisione.
Subito dopo, il primo pensiero del Governo è stato di aumentare il numero delle cariche: siamo passati a 103 tra ministri e sottosegretari e ciò per la necessità di far fronte agli appetiti dei vari esponenti del raggruppamento elettorale, trovandoci di fronte ad un Governo che nella storia della Repubblica ha il costo più elevato.
Successivamente, il Governo ha approvato il decreto Bersani, provvedimento che giustamente ai più è apparso improntato ad un eccessivo livore ideologico, e animato soprattutto dalla voglia di farla pagare cara a tutte quelle categorie che sono state avare di voti verso il centrosinistra nella consultazione elettorale di aprile.
Almeno, questo è stato percepito, perché, altrimenti, il cittadino avrebbe un giudizio diverso su questa operazione. A ciò aggiungiamo che, in campagna elettorale, Prodi si era impegnato ad affrontare le problematiche - anche Rutelli ne aveva fatto il suo slogan principale - delle famiglie che non riescono a far quadrare i bilanci a fine mese. I mesi però passano e, tra poco, le famiglie non arriveranno più neanche a metà mese, perché aumentano i ticket e le accise sul gasolio e perchè bisogna aprire per forza un conto corrente per certificare i propri movimenti di denaro. Le poche risorse disponibili sono state messe a disposizione di grandi industriali, come la FIAT o la Merloni. Non c'è dubbio che vengono prima le famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese rispetto a quelle che devono cambiare frigorifero. Queste sono cose che non sfuggono a nessuno. Certo, bisogna gratificare le grandi imprese che hanno messo a disposizione i mezzi di informazione, importanti per vincere le elezioni, ma le famiglie vengono prima di tutti.
Aggiungerei poi un'altra questione importante: la vicenda dell'invio del contingente di pace in Libano con oltre 2.500 uomini e 1.200 miliardi di vecchie lire di spesa, soldi che avrebbero potuto certo essere utilizzati a favore delle famiglie che ne hanno bisogno. Questa scelta ha fatto vergognare migliaia di militanti che avevano riempito le finestre e i balconi delle loro case di bandiere della pace, i quali, improvvisamente, umiliati e mortificati, hanno dovuto rimetterla nel cassetto. Anche i vostri militanti hanno una testa e un cervello e non possono essere presi in giro, come voi avete fatto.
Infine, sono incominciati a venir fuori vari provvedimenti, serviti, come avviene con le pillole, uno per volta, per aumentare le entrate dello Stato. Questo è un altro grande vostro errore. Tutti sono in


Pag. 61

grado di comprendere, perché lo viviamo quotidianamente, che, quando ci sono dei conti in difficoltà, per far quadrare il bilancio si può intervenire in due modi: tagliando la spesa o aumentando le entrate. Berlusconi, con il precedente Governo, ha scelto la strada di contenere la spesa e non quella di mettere le mani nelle tasche degli italiani. Questo è dimostrato dalla pressione fiscale che, in questi anni, è diminuita realmente. Anche voi lo dite nelle vostre relazioni. Avete, invece, scelto una strada diversa, cioè quella di aumentare le tasse. In questo senso, penso che pagherete cara la vostra incoerenza. Avete preso in giro milioni di italiani e avete dimostrato che Berlusconi aveva perfettamente ragione. Se si vanno a prendere i giornali di quel periodo ne vediamo delle belle. Il Messaggero del 29 marzo scorso, Prodi: «Le tasse non le alzo, io le abbasso». La Repubblica del 1o aprile, D'Alema: «Vogliamo ridurre le tasse ma guai a criminalizzarle». La Stampa del 30 marzo, Fassino: «Le tasse non saranno aumentate, l'abbiamo detto in tutti i modi. È falso chi dice il contrario». Prodi, nel suo discorso al Senato nel maggio scorso: «Mi impegno a mantenere invariata la pressione fiscale». La Repubblica del 26 marzo, Bersani: «Non abbiamo alcuna intenzione di toccare le aliquote dei titoli già in possesso dei risparmiatori, né, sia chiaro, pensiamo di inasprire il trattamento fiscale. Non cercheremo i soldi dei risparmiatori. È dai grandi guadagni di borsa che dovranno arrivare le risorse». Ancora Prodi, nel confronto del 6 aprile: «Abbiamo messo nel programma l'imposizione sulle rendite finanziarie ma non su BOT E CCT». L'elenco sarebbe ancora lungo. Cito ancora Letta, ne Il Riformista del 31 marzo: «Il ripristino della tassa di successione riguarda pochi soggetti, 2-3 mila persone in tutto il paese. Non voglio fare cifre, ma è sicuro che sia gli immobili che le imprese resteranno fuori. Quindi, potrei dire: niente tassa di successione su casa e bottega».
Solo alla fine dei conti, questo Governo si è rivelato il Governo delle tasse. Questa affermazione non può di certo essere smentita, esaminando i provvedimenti che il Governo ha adottato in questi sei mesi di attività. Ho stampato da Internet alcuni dati. Ebbene, gli unici provvedimenti approvati dalla Camera, prima, e dal Senato, poi, sono i seguenti: il decreto-legge n. 206 del 2006, adottato nel mese di giugno e convertito nella legge n. 234 nel luglio 2006; il decreto-legge n. 223 del 2006, convertito in legge ad agosto con la legge n. 248 del 2006. Ora, in è discussione il decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, dopodiché si approverà il disegno di legge finanziaria. Mi sembra che il Governo, ad oggi, non abbia approvato alcun provvedimento a favore del cittadino.
Penso, invece, che sarebbe stato più serio, più corretto e più razionale da parte del Governo presentare un disegno di legge contenente tutte le misure necessarie per rimettere in equilibrio i conti pubblici; un disegno di legge che si sarebbe dovuto esaminare approfonditamente nelle Commissioni, per poi trarne le conseguenze.
Evidentemente, avete incontrato delle difficoltà e non avete le idee chiare. È difficile fare la sintesi delle scelte da operare e, pertanto, lavorate a «spizzico».
Ma ciò non ci meraviglia affatto: era ampiamente nelle previsioni. Ciò che ci sorprende è il comportamento del ministro dell'economia e delle finanze Padoa Schioppa.
Veniamo ad altre considerazioni, per poi riallacciarci al disegno di legge finanziaria. Intanto, vi è un balletto di cifre, sottolineato anche dai relatori intervenuti in precedenza: non si riesce a capire quali siano i dati reali.
Dando per buoni quelli più ricorrenti nei documenti, la manovra finanziaria complessiva è di 34,8 miliardi di euro o - meglio - di 40,1 miliardi di euro, tenuto conto delle risorse necessarie per far fronte agli effetti della decisione della Corte di giustizia europea circa la detraibilità dell'IVA sulle auto aziendali.
Non va però dimenticato che, con il decreto-legge n. 206 del 7 giugno 2006, convertito nella legge n. 234 del 17 luglio 2006, gli italiani hanno subito una «manovrina»


Pag. 62

che non era tanto da far ridere, poiché aveva una portata pari a 9,5 miliardi di euro.
Ritengo sia ragionevole pensare che le norme contenute in questo provvedimento e quelle contenute nel disegno di legge finanziaria produrranno entrate superiori alle previsioni. Non sfugge a nessuno che le previsioni sono formulate al ribasso. In altri termini, non si può allarmare l'opinione pubblica, che è già allarmata: è meglio dire che quelle misure producono un impatto minore. In realtà, quando apriremo il cassetto, le casse saranno piene.
In ultima analisi, dall'insediamento del Governo, avete propinato provvedimenti finanziari per 50 miliardi di euro, ovvero 100 mila miliardi di vecchie lire. Siamo di fronte ad una serie di provvedimenti che, complessivamente, hanno una portata senza confronti nella storia del paese. Forse, solo la legge finanziaria del Governo Amato del 1992 era stata altrettanto dirompente. Per effetto di questi provvedimenti la pressione fiscale subirà un aumento di circa due punti, sfiorando il 43 per cento, percentuale che ci riporta al massimo livello raggiunto nel 1997, anche allora ad opera del Governo Prodi.
Allora, ci chiediamo: è veramente necessario servire agli italiani una manovra così pesante, sia pure diluita in tanti provvedimenti? Dobbiamo riflettere, perché siamo di fronte a provvedimenti che possono essere devastanti per il paese, il quale, invece, pian piano si sta riprendendo, anche a seguito delle riforme operate dal Governo Berlusconi nella precedente legislatura. Con questa manovra si rischia di bloccare lo sviluppo. Non era, forse, più opportuno operare con maggiore cautela, visto che, per rientrare nei parametri europei, sarebbe stata sufficiente una manovra di 10-15 miliardi di euro?
Vi sono, poi, altre osservazioni da svolgere. La manovra da 40,1 miliardi di euro prevede minori spese per meno di 12 miliardi di euro, a fronte di quasi 28 miliardi di maggiori entrate.
Seguite i consigli, non dico dell'opposizione, perché si sa che questa fa la sua parte, ma di chi forse sta più dalla vostra parte, per esempio la Corte dei conti, la quale dice: un'azione correttiva orientata sul prelievo fiscale è destinata ad incidere in senso maggiormente depressivo sulla crescita economica. Inoltre, si registrerebbe una crescita della spesa, che va ben oltre il PIL.
Vale a dire che la scelta di aumentare le tasse e di diminuire poco la spesa porta altri effetti devastanti. Vorrei chiedere al Governo, ma qui c'è solo il sottosegretario - sarebbe stata utile la presenza del ministro o del Presidente del Consiglio, i quali hanno maggiormente la responsabilità di queste scelte -, che fine abbiano fatto le buone intenzioni contenute nel DPEF, approvato solo pochi mesi fa. In quel documento, il ministro sosteneva che, per procedere al risanamento strutturale dei conti, era ipotizzabile intervenire su quattro grandi comparti: sistema pensionistico, servizi sanitari, amministrazione pubblica e finanza degli enti decentrati.
Ebbene, nei provvedimenti che sono ora all'esame del Parlamento non c'è traccia di interventi correttivi della spesa in questi settori. Anzi, i provvedimenti proposti sono in controtendenza rispetto alle necessità, facendo capire che questo Governo non è in grado di affrontare e dare soluzione efficace ad alcun problema del nostro paese. Ci saremmo aspettati interventi sul pubblico impiego e sulla spesa pensionistica, che da sola rappresenta il 55 per cento della spesa pubblica. Ma, evidentemente, la CGIL ha posto il veto ed ogni modifica è stata preclusa.
Vedete, una cosa è il Governo, una cosa è il sindacato. Tocca al Governo farsi carico dei problemi di un paese, al sindacato competono altri compiti. Esso deve svolgere un'altra funzione: spiegatelo ad Epifani!
Infine, è davvero curioso che gli unici risparmi previsti dalla manovra non li faccia lo Stato, bensì vengano posti a carico degli enti territoriali, cioè chi deve risparmiare è la regione, la provincia, il comune, che poi a sua volta, a causa dei minori trasferimenti da parte dello Stato, dovrà rifarsi sui cittadini, facendo aumentare


Pag. 63

ancor più la pressione fiscale. Non deve quindi destare alcuna meraviglia il declassamento dell'Italia da parte delle agenzie internazionali di rating, notizia riportata oggi da tutti i mezzi di stampa.
Ribadisco tutte le riserve e le critiche sul decreto-legge n. 262. Non entro nei particolari ma sottolineo, per quanto concerne il metodo, l'assoluta carenza di presupposti e motivazioni per il ricorso allo strumento del decreto-legge. Nel decreto ci sono disposizioni che avrebbero dovuto essere oggetto di provvedimenti a parte. Nel merito, si poteva e si doveva evitare questa ulteriore imposizione di oltre 4 miliardi di euro, provvedendo ad operare tagli in quei settori della pubblica amministrazione che presentano al proprio interno squilibri, inefficienze, duplicazioni ed arretratezze. Sono quattro parole che ho trovato nel comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 6 del 7 luglio 2006.
Vorrei anche rivolgere una critica rispetto al modo di operare, perché penso che un decreto-legge così importante necessiti di tempi più ragionevoli per essere valutato e discusso. Oggi noi stiamo intervenendo in Assemblea, ma sono passate solo poche ore da quando il testo si è reso disponibile in archivio.
Constato inoltre che le intenzioni del ministro Padoa Schioppa contenute nel DPEF restano nel novero delle buone intenzioni. La necessità di riqualificazione della spesa pubblica, per poter destinare più risorse ad infrastrutture, ricerca, politiche di solidarietà sociale e per valorizzare la cultura, resta solo una buona intenzione. Ci stupisce veramente che il ministro, che è persona di grandi qualità e di valore, che solo pochi mesi fa aveva la ricetta giusta, abbia rinunciato a conseguire gli obiettivi che aveva in mente.
Caro ministro, la invito ad un sussulto di dignità, altrimenti il suo prestigio, acquisito con la sua lunga storia personale, sparirà precipitosamente - come peraltro testimoniano i sondaggi - e si troverà ben presto nella sgradevole situazione di subire gli insulti degli alleati oltre che dei suoi avversari politici. Rina Gagliardi, su Liberazione, qualche giorno fa, ha scritto che Padoa Schioppa è un tecnico, un non eletto, un fine acrobata di conti, abituato più a frequentare le banche che le aggregazioni di cittadini e di partito. Tra l'altro, le critiche giungono dalle agenzie di rating, che attribuiscono al ministro la responsabilità dello sfascio dei conti pubblici italiani. Insomma, ministro, le critiche arrivano da tutte le parti, perché la finanziaria ha deluso i ceti deboli e quelli più forti e le speranze di risanamento dei conti pubblici affidate al DPEF sono state completamente tradite.
Caro ministro, riconsegni le chiavi del suo Ministero, non immoli il suo prestigio, guadagnato con tanto sudore, per una scomoda poltrona! Lo stesso invito vorrei rivolgerlo al Presidente del Consiglio, Prodi, ma so bene che quest'ultimo non pensa nemmeno lontanamente di compiere un gesto del genere. È una vita che è attaccato alle poltrone, figuriamoci se può rinunciare a quella più prestigiosa!
Tuttavia, cari colleghi, non vi preoccupate, perché siamo convinti che, se non ci sarà un'inversione di tendenza, saranno gli italiani a cacciare sia il ministro Padoa Schioppa sia il Presidente Prodi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Germontani. Ne ha facoltà.

MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, scorrendo in questi giorni le notizie di stampa che commentano il decreto-legge in esame e la finanziaria 2007, mi ha colpito quanto contenuto in un articolo de Il Sole 24 Ore, firmato da Luca Paolazzi, nel quale si osserva, tra l'altro: «All'etica di Immanuel Kant, preferiscono la morale del Gattopardo».
Ritengo che Paolazzi abbia individuato con grande lucidità intellettuale le difficoltà in cui versano il Governo Prodi e tre dei suoi ministri: Padoa Schioppa, Bersani e Visco. È un trittico contraddittorio, come contraddittoria è la pretesa di coniugare lo sviluppo, il risanamento e l'equità che si intende attuare con questa finanziaria.
Le promesse elettorali vengono tradite in alcuni aspetti specifici, ma soprattutto


Pag. 64

nel messaggio più alto congegnato da Romano Prodi e consegnato agli italiani nei dibattiti televisivi. Prodi diceva: «Vogliamo unire, non dividere». In realtà, la finanziaria è sbilanciata non solo sul piano economico, ma anche su quello sociale. Ma la pretesa politica del Governo è quella di attuare una manovra creativa, senza contare che, con una pressione fiscale come quella attuale, la nostra economia non avrà alcuna possibilità di crescita. In tal modo, si sta attentando anche alla fiducia che le persone hanno nella società di cui fanno parte.
Siamo di fronte, infatti, ad una manovra impostata prevalentemente sull'aumento delle entrate; aumento che il Governo si ripromette di garantire creando disparità giuridiche tra le varie categorie produttive e seminando zizzania nel tessuto sociale italiano.
Il nostro paese, al contrario, ha bisogno di concordia e saggezza da parte di chi lo governa e, soprattutto, di trasparenza e coerenza. Il Governo, purtroppo, si è già contraddetto da quando ha presentato il disegno di legge finanziaria.
Qualche esempio. Il ministro dell'economia Padoa Schioppa si è contraddetto. Infatti, quando il 1o ottobre egli ha presentato la nota di aggiornamento del DPEF, che abbiamo esaminato in Commissione e poi in Assemblea, ha tracciato il quadro macroeconomico dell'economia italiana dicendo testualmente: l'economia italiana, dopo il positivo risultato del primo trimestre, ha consolidato la ripresa nel secondo; nel primo semestre lo sviluppo è stato trainato principalmente dalla domanda interna e dal recupero del settore estero.
Tre mesi prima, lo stesso ministro Padoa Schioppa, nella lettera introduttiva al DPEF del 7 luglio scorso, tracciava un quadro a fosche tinte rilevando: «(...) La combinazione di deficit elevato, esaurimento dell'avanzo primario e risalita del debito, configura una condizione insostenibile dei conti pubblici, rendendoli più vulnerabili all'aumento in corso dei tassi di interesse, alle pressioni del mercato finanziario internazionale e al giudizio - ascoltate - delle agenzie di rating». Si appellava, allora, il ministro, alle agenzie di rating, quelle stesse agenzie, come Standard & Poor's, che ieri hanno declassato l'Italia, definendo deludente ed inadeguata la manovra finanziaria 2007. Ma oggi il giudizio di Standard & Poor's non piace più al ministro Padoa Schioppa, che poco diplomaticamente lo bolla come un giudizio politico sull'Esecutivo e sulla maggioranza che non ha nulla a che vedere con le questioni economiche e dei conti pubblici. Ci domandiamo quando il ministro Padoa Schioppa accetti e valuti equilibratamente il giudizio delle agenzie di rating.
Si è contraddetto lo stesso ministro Bersani, che non smette di parlare di aggiustamenti e di modifiche per fronteggiare le proteste delle categorie che reagiscono all'iniquità della pressione fiscale. Il Governo farebbe bene a riscrivere la finanziaria e non lo diciamo soltanto noi dai banchi di Alleanza Nazionale e dell'opposizione: lo dice il presidente della Commissione attività produttive della Camera, fino a prova contraria membro della maggioranza, Daniele Capezzone, il quale di recente ha dovuto ammettere che il viceministro Visco riesce a passare dalla parte del torto anche quando persegue il legittimo obiettivo di lottare contro l'evasione fiscale. La pretesa del viceministro di svolgere il ruolo di paladino contro l'evasione fiscale è ormai clamorosamente emersa nelle reazioni dell'opinione pubblica e degli organi di stampa, nelle proteste delle categorie produttive e nelle piazze d'Italia che si sollevano contro il Governo Prodi.
La maggioranza ed il Governo sono in evidente contraddizione con se stessi. Recentemente il presidente dei senatori di Alleanza Nazionale, Altero Matteoli, presentando al Senato alcuni emendamenti su università e scuola, ha espresso una constatazione basata sulla sua lunga esperienza parlamentare che mi piace oggi ricordare. Egli ha detto: nella mia carriera ho visto 25 o 26 finanziarie e non mi è mai capitato ciò che vedo attualmente; quasi ogni giorno i numeri cambiano. Sappiamo tutti, infatti, che un giorno il Governo dice


Pag. 65

che la manovra è di 33 miliardi, il giorno successivo di 40, per scendere a 25 e poi risalire ancora. Come se non bastasse, il Governo continua ad emendare il suo testo al quale, evidentemente, non crede più.
Nelle Commissioni riunite in questi ultimi giorni abbiamo assistito al balletto degli emendamenti del Governo e dei relatori, che hanno bloccato per giorni i lavori delle Commissioni stesse. Ciononostante, noi dell'opposizione abbiamo fatto la nostra parte con subemendamenti importanti, tali da essere accettati dalla maggioranza e dal Governo. Mi riferisco, ad esempio, all'emendamento di cui sono firmataria che tende ad elevare il valore del patrimonio esente dall'imposta di successione - voglio ricordare che questo Governo ha reintrodotto l'odiosa tassa sulle successioni e sulle donazioni, che il precedente Governo aveva abolito già a partire dal 2001 - facendolo passare da un milione di euro netti complessivi ad un milione di euro netti per ciascun beneficiario. Così facendo, si è ritenuto socialmente più giusto conteggiare nella percentuale di imposta una base più rispettosa della volontà del de cuius.
Dunque, la manovra è inadeguata ed ha prodotto l'isolamento politico del Presidente del Consiglio Prodi. Nel giro di due o tre settimane, il dissenso in termini politici, economici ed anche sindacali è ormai diventato un coro a più voci. È stato ricordato dalla Corte dei conti, dalla Banca d'Italia, dalla Confindustria, dalla Confesercenti, dai sindacati e chi più ne ha più ne metta.
Siamo di fronte ad una manovra che, come emerge sempre più chiaramente, è impostata prevalentemente sull'aumento delle entrate, ovvero sulla tassazione, e non sullo sviluppo, l'unico vero motore di rilancio dell'economia. D'altra parte, l'analisi critica del Governatore è l'ultima autorevole testimonianza, dopo quelle di CISL, UIL e Confindustria, dell'inadeguatezza dell'intera manovra e dell'isolamento del Governo che, a questo punto, dovrebbe responsabilmente aprirsi in Parlamento a modifiche sostanziali. Invece, probabilmente porrà la questione di fiducia, la settima in quattro mesi di governo del centrosinistra.
Infine, vi è qualcosa di culturalmente pericoloso nella manovra finanziaria, che va contro la società civile e la creatività, in altri termini contro lo sviluppo. Su questo vale la pena di ricordare l'esempio degli Stati Uniti, dove lo sviluppo è sempre dovuto alla nascita di nuove imprese. In proposito basta leggere i nomi delle industrie pubblicate su riviste come Fortune. Ebbene, confrontateli con quelli di dieci o quindici anni fra. È un rinnovarsi continuo della società, un dinamismo che suona condanna verso la staticità fiscale a cui ci inchioda la finanziaria 2007. Le nuove imprese, essendo all'inizio del loro business, hanno sempre dimensioni ridotte, cioè sono di piccola e media dimensione. Per crescere e svilupparsi, assorbono nuova manodopera e rappresentano il più efficace antidoto alla disoccupazione. Invece, le grandi imprese, quando hanno già raggiunto il successo economico ed assumono dimensioni gigantesche, sono sì strutture portanti dell'economia, ma creano altri problemi, dovuti inevitabilmente alla loro dimensione e ai loro apparati amministrativi. Sottolineo questo concetto perché è di tutta evidenza che lo sviluppo è sempre assicurato da chi è piccolo e vuole diventare grande. Chi lo è già, infatti, deve fronteggiare i problemi dovuti alle sue gigantesche dimensioni economiche, già consolidate, e finisce per avere problemi di riduzione di manodopera.
Puntare sullo sviluppo, quindi, vuol dire puntare sulle piccole e medie imprese, sul lavoro autonomo, sulla creatività e sull'imprenditorialità. Peraltro, il valore delle capacità imprenditoriali e delle idee è stato ricordato dal Governatore della Banca d'Italia Draghi, quando pochi giorni fa a Londra ha presentato i saggi di economia di Luigi Einaudi. «Soltanto la concorrenza tra persone, idee ed operatori» - diceva Einaudi - «genera il progresso, mentre è da evitare la regolamentazione eccessiva e le trincee che ostacolano il mercato».


Pag. 66


Signor Presidente, vorrei concludere riaffermando il nostro giudizio fortemente negativo sul decreto in esame che, per la natura persecutoria ed ideologica cui è improntato, costituirà un serio ostacolo - questo sì - allo sviluppo economico della nazione.

PRESIDENTE. Salutiamo i membri dell'associazione culturale «Il Pennino» di Roma, che stanno seguendo i nostri lavori dalle tribune.
Constato l'assenza dell'onorevole Pili, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare l'onorevole Armosino. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA ARMOSINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, l'esame del decreto-legge non può non tener conto di provvedimenti come il decreto Bersani ed il disegno di legge finanziaria che dovrà essere sottoposto all'esame di questo ramo del Parlamento. In particolare, il decreto-legge ed il disegno di legge finanziaria costituiscono l'ossatura non solo economica, ma anche politica delle scelte che questo Governo ha fatto ed intende adottare per la gestione del nostro paese.
È fin troppo facile e diventa quasi imbarazzante osservare come il decreto-legge ed il disegno di legge finanziaria smentiscano totalmente il precedente atto di questo Governo, vale a dire il documento di programmazione economico-finanziario, che del decreto-legge e del disegno di legge finanziaria dovrebbe costituire l'antecedente logico ed il presupposto giuridico indispensabile.
È ancora più imbarazzante osservare come l'azione di questo Governo si commenti da sé, quando anche i componenti dell'opposizione tacessero, perché tutte le promesse elettorali fatte ieri da Prodi sono diventate oggi le tasse di questo Governo!
Proviamo ad esaminare solo alcuni di questi punti, perché la trattazione completa imporrebbe a ciascuno di noi di parlare forse per 48 ore di seguito. Dobbiamo partire, come ordine metodologico, dallo strumento che è stato scelto. Al riguardo, siamo stati bravi anche noi e vi abbiamo indicato la strada. Si emana il decreto con cui si «portano a casa» i provvedimenti, per poi passare al disegno di legge finanziaria sul quale interviene il Parlamento, tanto voi raffinati, che avete la «pancia» del paese, con il decreto portate a casa quello che volete...!
Questo decreto-legge è particolarmente significativo perché, se con la posizione della questione di fiducia (spetta a voi scegliere il meccanismo opportuno) saranno approvate queste norme, riuscirete per due anni a non recarvi più nelle aule della Camera e del Senato e potrete continuare a governare, in termini di occupazione del potere che - mi dispiace dirlo - state dimostrando. Ho ben chiara la pesantezza di questa affermazione, ma non me ne viene in mente un'altra, dopo aver assistito ai dibattiti, anche appassionati, all'interno della stessa maggioranza sui provvedimenti economici in discussione.
È altrettanto banale dire che Prodi è tenuto in piedi dalle ali massimaliste della vostra coalizione. Certo, non è piaciuto a talune parti della vostra coalizione quanto è accaduto con le fusioni bancarie! Certo, non è piaciuta la questione relativa al piano Rovati! Certo, non vi aspettavate, voi della maggioranza e sicuramente noi all'opposizione, che questo paese avrebbe posto in essere nel 2006 una manovra classista, scontentando il vostro azionariato! L'interclassismo o l'odio di classe non appartengono più alla cultura di questo paese, se non alla frangia estrema di sinistra; non appartengono né all'elettorato di destra né all'elettorato di sinistra.
Voi ci dite che vi abbiamo lasciato un paese disastrato: siete ridicoli! Il paese è talmente disastrato che, con una somma massima di 15 miliardi di euro, sareste riusciti a rientrare nei parametri di Maastricht; o sbaglio, rappresentanti del Governo? Secondo l'Istat, non l'agenzia di promozione Berlusconi & C., già nel periodo da gennaio a giugno di quest'anno ci attestiamo sotto il 3 per cento.


Pag. 67


Ebbene, voi, con 15 miliardi di euro, sareste riusciti a rientrare ampiamente nei parametri ed a fare anche politiche sociali, di sviluppo e di equità per il paese. Siete talmente ridicoli che nel fare una manovra, che sarà superiore ai 40 miliardi di euro - alle somme alle quali siamo giunti bisognerà pure aggiungere qualcosa per la nota sentenza europea in materia di IVA - dite (beffa delle beffe!) che le agenzie internazionali di rating hanno dovuto declassare il giudizio sul debito pubblico italiano. Voi riuscite ad imporre tasse sottraendo l'1,8 per cento di PIL, togliendolo a possibili consumi per far pagare tasse ma lasciando invariata la spesa pubblica, ovvero l'unico elemento sul quale si sarebbe dovuto agire. Credo voi siate riusciti in un compito meraviglioso.
Stupisce anche un'altra cosa. Io provengo da realtà di campagna dove vive gente molto semplice ed umile che mi guarda un po' esterrefatta per quello che accade. Siamo stupiti anche noi che sia arrivata persino a loro la percezione di quanti errori state commettendo, che non volete neanche provare a rimediare, e di quanto questa sensazione sia diffusa. Certo, vi va bene, anche perché non siamo in un momento elettorale. Tuttavia, il ministro dell'economia e delle finanze non può comportarsi come il professore al quale è stato dato l'incarico di tenere un corso universitario, e che si presenta in aula e spiega ai suoi discenti cosa c'è da fare; poi, se i discenti capiscono bene, altrimenti rimangono ignoranti. Il ministro dell'economia e delle finanze, che è uomo che aveva prestigio internazionale, sicuramente non può non vedere che questo è un punto di arretratezza per il paese e che la finanziaria che porterà il suo nome nega la sua esperienza quarantennale di economista stimato ed uomo del settore.
Voi siete riusciti a toccare tutto e il contrario di tutto. Avete reintrodotto l'imposta di successione, agendo sulle imposte catastali e di registro. Colleghi della sinistra, non vi vergognate per il fatto che, in campagna elettorale, Prodi candidamente sostenne che avrebbe diminuito l'ICI, perché avrebbe portato le rendite catastali da figurative ad effettive? Voi, ora, lo avete smentito perché avete capito che quella è la «pancia» di un paese nel quale l'85 per cento degli italiani sono proprietari della casa e, quindi, si troveranno ogni anno a subire salassi ulteriori non per avere il superfluo ma per mantenere lo stato di indipendenza che è dato dal possesso e dalla proprietà della prima casa.
Oggi dite di voler reintrodurre l'imposta di successione solo sui grandi patrimoni, ma voi non sapete quale sia l'Italia che produce. Sembra che siate vissuti tutti quanti sulla Luna. Non avete idea dei capannoni che sono l'oggetto dell'imposta di successione! State procedendo a tassare i mezzi di produzione, quelli nei quali le famiglie hanno investito e che sono il presupposto della non indigenza delle nuove generazioni.
Quanto al problema della casa, portate avanti una politica volta ad affidare il catasto ai comuni, per poi rivedere le rendite catastali.
Bravissimi. Ci spiegate, nell'illustrarci la bontà della vostra reintrodotta tassa di successione - che esenterebbe solo i patrimoni non milionari -, che interverrete sulle rendite catastali. Ma voi siete - e bene lo hanno rilevato le associazioni dei proprietari immobiliari - i precursori della trasformazione della rendita catastale da figurativa a reale; siete coloro che porteranno le famiglie di questo paese a vendersi il portoncino di ingresso per pagare l'ICI annuale: altro che sconti!
L'odio furioso nei confronti della classe media di questo paese vi ha portato all'aberrazione, da un lato, di consentire la deducibilità delle spese sostenute per frequentare le palestre - forse perché queste sono mediamente e massimamente arredate con prodotti (peraltro ottimi, ne possiedo anch'io a casa mia) Technogym -; dall'altro, di far pagare il ticket sul pronto soccorso, compiendo, invero, una speculazione sulla paura della gente. Vedete, tanto più è ingiusta la misura del ticket sul pronto soccorso quanto più sapete bene, voi che siete miei colleghi, che, se capita ad uno di noi di stare male, i medici


Pag. 68

vengono a casa mentre, se capita ad un disperato di temere per la propria salute, costui, o si reca al pronto soccorso o certo non riceve a domicilio la visita del medico.
Queste sono le ingiustizie sociali che state commettendo, in nome di una massificazione funzionale a cosa: alla redistribuzione della povertà?
E che dire delle sanzioni, oggi parzialmente riviste? Certo, siamo tutti evasori. Specie quanti non compiono il lavoro dell'operaio, siderurgico e metallurgico, impegnato nella fabbrica - ma dov'è, questa realtà industriale, in Italia? -; conseguentemente, se, per caso, un negoziante omette di rilasciare lo scontrino, il locale viene chiuso per un periodo da quindici a sessanta giorni: ma quanti lavorano in quei locali, non sono lavoratori, vero? Sono figli di un Dio minore, che non appartiene alla grande industria di questo paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia); grande industria che voi dovete aiutare - e noi siamo fieri di non averlo fatto, anche se ne siamo stati richiesti durante le elezioni comunali di Torino e le elezioni politiche passate - dando la mobilità lunga alla FIAT. Vergogna! Non si possono effettuare interventi tagliati su specifici soggetti, non si possono adottare misure per Merloni, per la FIAT o per Technogym; gli interventi per un paese si fanno per il paese!
Adesso siete buoni: non chiudete più l'esercizio, salvo che - grazie a Dio, lo avete capito - si verifichino un certo numero di inosservanze. Ma a monte, vedete, rimane questa idea perversa: siamo in un paese - voi pensate - in cui la destra difende gli evasori e voi, figli di un Dio maggiore, porterete la giustizia sociale. Siete dei fessi! Voi avete trovato la situazione dei conti pubblici totalmente diversa rispetto a quella che ci avete lasciato nel 2000, quando il 'vostro' Prodi aveva dichiarato che era sforato il tetto del 3 per cento. Oggi, voi avete trovato una situazione nella quale tutti asseriscono che non serve una manovra da 40 miliardi se non per scelte politiche redistributive. Accollatevele!
Del resto, non avevate bisogno ed avete avuto un extragettito; dunque mi dovete spiegare se il 'vostro' Visco è quello da noi conosciuto nel 2000 o se si tratta di un caso di omonimia. Vedete, il Visco del 2000 non riuscì a compiere la lotta all'evasione: non ci riusciranno Visco e l'atteggiamento di questo Governo del 2006. Non ci riusciranno perché la lotta all'evasione si fa - e mi pare strano che non lo comprendiate, visto che molti di voi hanno formazioni che non sono solo strettamente italiane ma sono anche europee e internazionali - creando un rapporto diverso con il fisco, il che non vuol dire non compiere gli accertamenti che tutti vogliamo.
Significa conoscere qual è il frutto degli accertamenti che vengono fatti e a monte di tutto, mentre si fanno gli accertamenti, bisogna indurre le persone a pagare le tasse. E le tasse si pagano quanto meno inique appaiono e quanto più appare proporzionato il servizio che lo Stato rende al cittadino. Invece voi avete un'altra idea: dacci i tuoi soldi! Dacci i tuoi risparmi, perché noi, cioè lo Stato, sappiamo cosa farne! Ma non avete capito che questo non piace, non solo al popolo italiano, ma a nessun individuo da nessuna parte della terra? Nessuno di noi è disposto a delegare ad un altro, e l'altro è questo settore pubblico italiano, al quale non si mette mai mano, anche perché retaggio di scelte politiche compiute negli anni e di assunzioni facili, che venivano fatte perché vinceva un partito piuttosto che un altro, per cui bisognava riempire non solo lo Stato, ma anche le banche. Quanti salvataggi di banche, che, dopo le elezioni, vedevano arrivare 30 di un partito, 20 di un altro, 15 di un altro ancora! Queste sono le sfide reali del nostro paese! Il resto è rappresentato da bugie pietose, che noi possiamo raccontare e mantenere, ma che sicuramente non convincono in primo luogo le nostre coscienze. E sono certa che molte coscienze sono toccate anche nella maggioranza.
Cosa dire di questo decreto-legge, che porterà nella «pancia» una delega per la


Pag. 69

tassazione dei risparmi? Vi ricordate cosa diceste? Non toccheremo i vostri risparmi!
Per noi, ma anche per la sua formazione, signor rappresentante del Governo, il risparmio non esiste, se non è stato oggetto prima di una produzione tassata. L'atteggiamento che state mettendo in essere mi ha indotto questa estate a chiedere a mio padre il motivo per il quale lui e mia madre ci hanno insegnato che bisogna spendere 95 se si guadagna 100, prevedendo che, nella vita, possa esserci un momento in cui una persona non ce la fa, sta male e ha una difficoltà. Perché non ci avete educato a tendere la mano - ho chiesto a mio padre -? Questo è il comportamento sta dietro ai vostri ragionamenti.
Infatti, se andate ad esaminare quello che state facendo, vi accorgerete che il vostro comportamento è quello dei soggetti che devono mettersi con il cappello in mano a chiedere, della discriminazione vessatoria nei confronti di coloro che dignitosamente hanno cercato di non dover chiedere.
Avete introdotto una misura sul lavoro che è ridicola; siete arretrati culturalmente di almeno dieci anni! Il problema dell'occupazione dieci anni fa, in Italia, forse era solo in termini di costo del lavoro, ma oggi è in termini di flessibilità. Ma quando mai l'imprenditore italiano potrà competere con un imprenditore dell'est sul costo del lavoro! Ma non avete visto che l'elemento discrezionale, che consente invece di riemergere, è rappresentato dalla flessibilità del lavoro? Anziché esaminare quello che noi non avevamo fatto e che ancora manca in questo paese - cioè agire sulla flessibilità per la creazione di quei necessari e doverosi (sui quali noi abbiamo mancato) ammortizzatori sociali -, voi andate a «irrigidimentare»! Va benissimo, l'abbiamo prevista noi la prima riduzione di un punto del cuneo fiscale; voi adesso gliene date due - altro che cinque! -, ma nel frattempo irrigidite.
Provate a chiedere a qualche vostro amico (che, ancora, produce e non tende la mano) se, irrigidendo il rapporto di lavoro, si dia la possibilità di competere con altre realtà o se basti la riduzione del costo del lavoro. Avrete da tutti una risposta secca: no!
E che dire del TFR? Già dal cosiddetto decreto Bersani si vedeva che al di là della «triplice» non sapete andare, per cui tutti gli altri soggetti, numericamente di più, che non stanno sotto quel cappello non interessano. Siete riusciti a compiere un'operazione sul TFR che Tito Boeri, certo non vicino alle mie opinioni politiche, definisce operazione di «finanza creativa». Non amo questo termine, ma siete riusciti a prendere il TFR (che forse non è delle imprese, forse è più dei lavoratori, ma sicuramente non è dello Stato) a creare un debito dello Stato verso i soggetti titolari, cioè i lavoratori. Non lo mettete neanche tra le poste negative e sapete perfettamente (lei, signor rappresentante del Governo, per la sua esperienza professionale, può darmi lezioni) che quel debito che è stato creato costerà molto di più che non finanziarsi, come lo Stato prevede che ci si finanzi: con le emissioni di titoli pubblici. Ci pensavate così burini e cretini da non capire l'operazione? Siamo veramente «trinariciuti»? Il nostro elettorato è solo di «pancia» e solo a voi appartiene la capacità di analisi?
Il dato più sconvolgente del paese è un sindacato che non tutela il lavoro, non tutela chi non ha il lavoro o ha difficoltà di accesso, non tutela le reali categorie prorompenti della società - i giovani e le donne -, ma tutela le situazioni di quieto vivere dei propri iscritti, dai quali ancora percepisce un'elargizione, non so se mensile o annuale (ho la fortuna di non essere mai stata iscritta ad un sindacato, di non averne mai dovuto subire l'iscrizione), e tace. Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se noi ci fossimo appropriati del TFR.
Questo è il discorso a valenza più generale, poi vi è quello relativo alle imprese che, fino ad oggi, lo hanno utilizzato per ottenere liquidità e che, probabilmente, con i nuovi e più stretti parametri necessari per far ricorso al credito,


Pag. 70

quali derivanti dall'applicazione di Basilea 2, non riusciranno più a finanziarsi.
Cosa avete dato alle imprese rispetto al vostro progetto elettorale? Non i cinque punti secchi del cuneo fiscale, che - ricordo - il Presidente del Consiglio aveva promesso che avrebbe realizzato nei primi cento giorni. Alle imprese avete detto che se volevano la riduzione del cuneo, gli avreste sottratto il TFR. Ma questo non è il gioco delle tre carte. Siamo in un paese che vuole avere la dignità di continuare ad essere un paese.
Signor Presidente, quanto tempo ho ancora a disposizione?

PRESIDENTE. Cinque minuti, onorevole Armosino.

MARIA TERESA ARMOSINO. Grazie, signor Presidente, troverò ancora qualche argomento che mi appassiona a sufficienza.
Che dire, poi, di un problema nel quale non entro mai? Ciascuno di noi porta dentro ciò che è il suo vissuto: io non mi sono mai occupata di autostrade e concessioni perché sono materie proprio diverse da quello che mi appassiona, in quanto vi girano troppi soldi. Io sto dalla parte degli ultimi, pur stando da questa parte politica. Tuttavia, non vi nascondo che ho assistito con un certo imbarazzo, durante l'esame del decreto-legge, a questo «va e vieni» di formulazioni dell'articolo 12 sulle concessionarie. Ma davvero voi, uomini d'intelletto, a prescindere dalle altre considerazioni nelle quali non intendo entrare - e spero di non avere mai ragione di entrarvi in funzione della mia attività politica -, volete che questo Parlamento sia ridotto a modificare con una legge i contratti conclusi nel nostro paese? Sapete che cosa significhi questo sul piano della credibilità dell'Italia e quale presupposto e precedente possa creare nei confronti di chiunque voglia venire in questo paese ad investire? Dimenticavo però che non bisogna astenersi dal chiedere: dovremmo metterci - grazie a Dio non ancora genuflessi - a chiedere che questo Governo agisca per noi e ci costringa a fare studiare i nostri figli per prendere una laurea in farmacia per poi vendere acciughe, come risulta da dichiarazioni di Bersani in quest'aula.
Ebbene, questa è la situazione che abbiamo di fronte oggi con questa manovra finanziaria. Quella che avete fatto è davvero una scelta di campo: a prescindere da chi vincerà o perderà le prossime elezioni, interessa piuttosto il fatto che anche voi siete i genitori di una futura generazione che voi stessi renderete sicuramente più povera e che farete tornare anacronisticamente a quei periodi in cui il figlio dell'operaio faceva l'operaio e il figlio dell'imprenditore l'imprenditore. Voi avete negato e state negando anche la grande rivoluzione repubblicana che è accaduta in questo paese e che ha consentito di fare l'avvocato ed altro a chi, come me, era figlio di contadini (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) e Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Virgilio. Ne ha facoltà.

DOMENICO DI VIRGILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli ultimi avvenimenti politici, ed in particolare la presentazione di un disegno di legge finanziaria che certo peggio non poteva essere concepito, hanno allarmato e stanno allarmando sempre più gran parte dell'opinione pubblica, a partire dai vertici dell'economia e dell'industria fino ad arrivare ai semplici cittadini.
La sinistra ha confermato di essere il partito delle tasse, e cercherò di dimostrarlo. Le menzogne raccontate da Prodi in campagna elettorale sono state smascherate: l'opinione pubblica se n'è accorta ed è in fermento. Non solo i cittadini che hanno votato noi, ma anche una parte sempre più ampia del vostro elettorato di centrosinistra si sente tradito dall'operato del Governo e guarda al futuro con preoccupazione. Il Governo Prodi ha mostrato la propria prevedibile fragilità con il continuo ricorso ai voti di fiducia sui temi


Pag. 71

principali dell'agenda politica, e un altro già se ne preannuncia.
L'Italia ha un problema di spesa pubblica eccessiva, lo sapevate ed il vostro Governo ne era ben conscio. Inoltre, lo aveva indicato chiaramente nel documento di programmazione economico-finanziaria, ma il disegno di legge finanziaria varato dal Consiglio dei ministri, facendo un brusco dietro front, aumenta le entrate anziché tagliare adeguatamente le spese. La qualità dell'aggiustamento, cioè il mix tra maggiori entrate e minori spese è colpevolmente sbilanciato a favore delle prime. Questa manovra finanziaria è composta prevalentemente, fino a sfiorare l'80 per cento, da entrate aggiuntive. A proposito, ma a quanto ammonterà alla fine questa manovra? Ogni giorno assistiamo ad un balletto di cifre che sgomenta i cittadini.
Il documento di programmazione economico-finanziaria, il cosiddetto decreto Visco-Bersani, il provvedimento oggi al nostro esame e la manovra finanziaria (che, ormai, è oggetto di discussione sia nei luoghi deputati, sia al di fuori di questi) sono, di fatto, un tutt'uno, per cui è difficile parlare dell'uno senza incrociare l'altro.
Con tali provvedimenti, il Governo ha ideato un perverso sistema di controllo sulla vita di ogni cittadino, che prefigura la creazione di un vero e proprio Stato di polizia, nel quale ciascuno sarebbe sottoposto a controlli spietati e ad una serie infinita di verifiche burocratiche, nonché di assoggettamenti fiscali.
Ricorderete che quando, in questa Assemblea, abbiamo esaminato il Documento di programmazione economico-finanziaria, nel confronto tra voi e noi dell'opposizione si manifestarono con forza due visioni di politica economica e sociale, le quali erano già emerse, peraltro, durante la scorsa campagna elettorale: la vostra e la nostra.
Soprattutto, però, sia all'interno delle aule parlamentari (deputate specificamente allo svolgimento di tale confronto), sia in quelle che, ormai, sono diventate le vere sedi della discussione politica (mi riferisco ai giornali ed ai salotti televisivi), nel dibattito che fino ad oggi vi è stato sono emerse, in maniera fortissima e violenta, le contraddizioni che la maggioranza presenta al proprio interno, e non solo su tale materia.
Ricordo, altresì, che il ministro Padoa Schioppa dichiarò - e, in questo caso, evviva la sincerità -, presso le Commissioni bilancio e finanze, che l'ultima legge finanziaria di Tremonti, in fondo, era buona e costituiva un buon punto di partenza per lavorare nei prossimi cinque anni.
Mi domando, allora, come ciò si concili con le critiche che la maggioranza esprime in difesa di se stessa, affermando proprio in queste ore, ad esempio, che il declassamento così eclatante, da parte delle maggiori agenzie di rating, della situazione economica italiana prodotta dall'attuale manovra finanziaria, in aggiunta alle severe critiche già precedentemente espresse dalla Corte dei conti e dal Governatore della Banca d'Italia, sarebbe colpa di quanto precedentemente compiuto dal Governo Berlusconi. In altri termini, essa sarebbe il frutto dell'eredità da voi ricevuta.
Va ricordato al Governo attualmente in carica, tuttavia, che l'eredità di cui parlano, che hanno ricevuto dall'Esecutivo di centrodestra, ha prodotto un non scarsamente rilevante aumento delle entrate nelle casse dello Stato. Finitela, allora, di addossare ad altri gli effetti negativi che le vostre azioni, i vostri comportamenti e le vostre decisioni hanno causato, stanno causando e causeranno al paese, poiché sono dettati dalla vostra incapacità di garantire un'amministrazione lungimirante!
Non riesco a comprendere, inoltre, come si concili la valutazione espressa dal ministro in sede di Commissioni con queste nuove considerazioni. Il ministro Padoa Schioppa, infatti, sempre nel corso delle citate audizioni, negli atti formalmente depositati ha finalmente riconosciuto, dopo anni di mistificazioni, che durante i nostri cinque anni di governo abbiamo elevato, ad esempio, la spesa


Pag. 72

sociale dal 22 al 23,7 per cento, nonché la spesa sanitaria dal 5,8 al 6,7 per cento del prodotto interno lordo.
Debbo sottolineare in questa sede, anche in qualità di componente della Commissione affari sociali della Camera, che il ministro Padoa Schioppa ha messo in difficoltà alcuni colleghi della maggioranza quando ha affermato che, in campo sanitario, il modello da seguire è quello delle regioni del nord, citando il Veneto, la Lombardia e l'Emilia-Romagna.
L'aspetto fondante del decreto-legge in esame, signor Presidente ed onorevoli colleghi, come del resto del disegno di legge finanziaria per il 2007, è quello di una ristatalizzazione del nostro paese, attraverso una fortissima imposizione fiscale. Con ciò, di fatto, voi siete in pieno errore, poiché l'aumento di 2 punti percentuali del PIL della pressione fiscale - che nelle vostre intenzioni doveva colpire solamente i professionisti, gli artigiani ed i commercianti - in realtà interessa una larga fascia di cittadini, fino a superare l'80 per cento! Peraltro, avete fatto anche male i conti!
Vorrei osservare che, a causa dell'ossessiva preoccupazione di assicurare ogni più minuziosa forma di controllo, nel segno della più pura oppressione fiscale, si realizza la definitiva rottura del rapporto di fiducia tra fisco e contribuente. Si levano copiose proteste contro le misure adottate per contrastare l'evasione fiscale attraverso, ad esempio, il controllo sui conti di tutti i cittadini italiani, con efficacia retroattiva fino al 1o gennaio 1999.
Il decreto-legge al nostro esame, così come il noto decreto Visco-Bersani, è imperniato su una sola misura: tasse, tasse ed ancora tasse! Con una mano date uno, ma con l'altra prendete quattro! A voi piacciono le tasche dei cittadini, a noi no! Ricordate le promesse elettorali? Il motivo ricorrente era che non sarebbero state inasprite le imposte (era anche il vostro motivo, e non solo il nostro).
Ecco qual è la vostra risposta: aumentate le imposte ipotecarie, quelle di registro, gli estimi catastali (e, conseguentemente, i tributi sulla casa) e le imposte sia dirette, sia indirette. Ovviamente, salirà anche l'ICI ed aumenterà la tassa sui rifiuti. Voi reintroducete la tassa di successione e quella sulle donazioni, obbligando altresì tutti i cittadini a stipulare l'assicurazione sugli immobili contro le calamità naturali, quasi fosse colpa loro nel caso si verificassero tali eventi! Aumenteranno, inoltre, l'IRES e l'IRPEF per tutti, mentre salirà la pressione fiscale sia per le piccole imprese, sia per gli operatori del settore agricolo.
Avete visto, nei giorni scorsi, che sono scesi in piazza migliaia di professionisti, che mai avevano manifestato in questo modo. Nel corso delle audizioni, tutti gli auditi hanno pesantemente contestato i vostri provvedimenti di bilancio. Moltissime categorie sono in agitazione. Gli enti locali, i sindaci e i presidenti di provincia, salvo due o tre, minacciano di portare le chiavi del municipio qui in Parlamento. Il Governatore della Banca d'Italia ha detto che nulla di strutturale è contenuto in questo disegno di legge finanziaria. I cittadini non sono più con voi, neanche la parte che vi ha votato.
Riscrivete, allora, la finanziaria. Abbiate questo coraggio! La lettura quotidiana dei giornali è sconcertante e, forse, dovrebbe spingere a riflettere su ciò che state attuando. Così titolano i giornali di oggi: La Stampa: Bocciata l'Italia, troppi sprechi; la Repubblica: Conti, Italia declassata; il Corriere della Sera: L'Italia declassata per i conti pubblici.
Cosa volete di più? Dovete assumervi la responsabilità. Non raccontate finte storie dicendo che è colpa degli altri. I conti pubblici vengono bocciati diffusamente. Questi conti pubblici, questa finanziaria, questo decreto, tutti questi provvedimenti portano e hanno portato al nostro declassamento.
Voglio soffermarmi su alcuni articoli che non sono stati affrontati adeguatamente.
Rispetto all'articolo 27 di questo decreto-legge abbiamo presentato un emendamento per precisarne la vera intenzione e il contenuto. Si tratta di un emendamento che vuole chiarire con fermezza che, soprattutto nei messaggi istituzionali diffusi


Pag. 73

su richiesta della Presidenza del Consiglio dei ministri sugli organi di informazione che ricevono contributi statali, non deve essere presente alcun elemento che possa in qualsiasi modo evidenziare il pensiero politico e ideologico del proprio schieramento, con la conseguente demonizzazione dell'avversario politico. Questo chiarimento è doveroso, visto che questo Governo, in soli tre mesi, ha dimostrato e continua a dimostrare di voler avere il controllo assoluto su ogni cosa e di essere prigioniero di quella sinistra radicale che è espressione del comunismo per eccellenza. L'intero paese si è accorto che questo Governo sta facendo acqua da tutte le parti e teme per il suo futuro. Quindi, è indubbio che questo Governo utilizzerà questo strumento per diffondere le proprie posizioni, cercando di seppellire il seme liberista e libertario del messaggio di questi cinque anni in cui il centrodestra ha governato.
Con riferimento all'articolo 32, abbiamo proposto un emendamento soppressivo, perché questo articolo costituisce un altro segnale tangibile dell'illiberalismo di cui questo Governo ormai è l'emblema, perché si pongono ostacoli alla libera circolazione delle informazioni e della cultura, colpendo soprattutto i privati cittadini, che sarebbero costretti a pagare per la riproduzione, anche parziale, di un articolo di rivista o di giornale. Voglio ricordare una legge approvata certamente in un periodo non democratico, nel 1941, la legge n. 633, modificata da questo assurdo articolo del decreto-legge fiscale. Quella legge risulta essere di gran lunga più democratica, perché permette al pubblico la libera riproduzione, se non espressamente riservata, di articoli di attualità, di carattere economico, politico o religioso pubblicati nelle riviste o nei giornali, purché si indichi la fonte da cui sono tratti. Noi proponiamo la soppressione di questo articolo, perché l'informazione deve essere alla portata di tutti e non soltanto di coloro che se lo possono permettere dal punto di vista economico. Si tratterebbe di fare un enorme passo indietro, espressione di un regime che noi non tolleriamo e al quale ci opponiamo.
Per quanto concerne l'articolo 41, chiediamo la soppressione del comma 4, che prevede l'abrogazione dell'articolo 1, comma 309, della legge finanziaria per il 2006, con cui si escludevano, per il periodo 2006-2008, gli organi dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali dall'applicazione della disciplina generale sulle norme soggette al vaglio del Governo all'inizio legislatura. Con tale disposizione, si intendeva garantire, con carattere di continuità, la realizzazione del programma di attività connessa allo specifico piano di lavoro finalizzato allo svolgimento dei compiti per la riduzione delle liste di attesa. La norma che si vuole introdurre è un'ulteriore dimostrazione dell'applicazione del cosiddetto spoil system, il più spietato, volto esclusivamente a favorire una ideologia di partito, senza tenere conto della professionalità e della competenza del personale già incaricato di delicati compiti che richiedono continuità, preparazione e valenza scientifica.
Voglio qui ricordare la brutta figura del ministro della salute Turco rispetto all'affare Cognetti.
Il partito che rappresento - in conclusione -, signor Presidente, onorevoli colleghi, è un movimento autenticamente liberale, che opera per una società dinamica, liberata davvero da vincoli e rendite, capace di produrre e distribuire nuova ricchezza. In quanto tale, Forza Italia si oppone con determinazione a questi due provvedimenti e alle forze illiberali dell'Unione che vogliono imbrigliare le attività economiche con norme invasive senza precedenti e predisporre le condizioni per una diffusa tassazione patrimoniale, nascondendo tutto ciò con la promessa di piccole ma fasulle liberalizzazioni di alcuni servizi marginali.
Il vostro obiettivo è quello di portare il paese indietro di anni, riportandolo vicino ad una sovietizzazione, ad esempio, dell'informazione televisiva. Non solo non avete più i numeri per governare, ma non avete più neppure la metà del paese che vi ha votato: tutte le associazioni e le categorie


Pag. 74

professionali, i cittadini, sono ormai contro di voi! Ed allora, fate spazio a chi ha dimostrato attraverso le riforme di volere un'Italia moderna, dinamica e meritocratica, non colpendo i cittadini con tasse insensate e ingiuste, come quelle previste dal decreto-legge in esame e dal disegno di legge finanziaria che noi non approveremo.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Lupi, iscritto a parlare, ha rinunziato ad intervenire.
È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ci troviamo in quest'aula, ormai semideserta, ad affrontare l'ultima parte della discussione generale del decreto-legge fiscale connesso alla manovra finanziaria.
Innanzitutto, credo sia opportuno svolgere qualche considerazione di carattere generale sul disegno di legge finanziaria e sul provvedimento in esame ad esso collegato, perché riteniamo si tratti di una operazione eccessiva in termini economici e fortemente invasiva dal punto di vista politico.
Si è detto - a ragione - che tale manovra, da un lato e in piccola parte, va nel senso dell'aggiustamento dei conti di finanza pubblica, ma dall'altro principalmente tenta di ridisegnare, secondo linee politiche e direttrici ben chiare e precise, non certo appannaggio del centro del centrosinistra, ma dettate sostanzialmente dalla sinistra del centrosinistra e dal sindacato, in un'ottica redistributiva relativamente ai redditi degli italiani e alle dinamiche produttive del paese.
Non è un caso che le agenzie Standard & Poor's e Fitch Ratings ci declassino, come ricordava bene il collega Di Virgilio, richiamando le prime pagine dei quotidiani di oggi, anche di quelli che non sono lontanamente sospettabili di essere simpatizzanti dell'opposizione parlamentare. Si tratta di un dato politico ed economico grave con ripercussioni sull'economia, sullo sviluppo del paese, sul mercato internazionale e su quello interno.
È evidente che è una situazione difficile: essere nella categoria «A+», insieme alla Malaysia e al Botswana, non è certo un elemento di prestigio di cui il ministro dell'economia Padoa Schioppa possa vantarsi in Europa o il ministro degli esteri e il Presidente del Consiglio in giro per il mondo.
È un segnale molto forte lanciato dalle agenzie di rating internazionali constatando che non vi è declino (con una brutta retorica che ci ha accompagnato dalla scorsa legislatura), ma una situazione di difficoltà, di immobilismo e addirittura di retromarcia rispetto ad un percorso di sviluppo del paese.
Più dei titoli dei quotidiani è esemplificativa una vignetta di Giannelli - la satira politica con la sua sintesi e immediatezza molte volte rende meglio di tanti interventi o articoli - in cui cui Prodi, seduto su un treno in prima classe, vicino a Chirac, Tony Blair e ad Angela Merkel, ammonito dal controllore ad andare in seconda classe, si rifiuta dicendo che la colpa è di Berlusconi. A quel punto Tony Blair sentenzia: il solito italiano che vuole fare il furbo! Ecco: a noi sembra che in questa occasione il Governo voglia fare il furbo.
Il Governo deve prendersi le sue responsabilità per l'impianto che ha dato alla manovra finanziaria, che non abbiamo avuto ancora il piacere di conoscere nella sua definitiva formulazione.
Anche questo decreto-legge presenta delle incognite, non ultima quella legata alla delega ed alla possibilità che venga inserito nel maxiemendamento del Governo un aumento del 60 per cento dell'aliquota sulla rendita, sul risparmio.
Mi associo alla questione sollevata dal collega Della Vedova e ripresa anche dal collega Giachetti: sarebbe importante riuscire a capire - mi rivolgo al membro del Governo presente, solitario ed isolato, in aula - quale sia la vera intenzione del Governo. Ciò, al di là dell'incubo, del presagio che aleggia sempre su quest'aula e su tutti i dibattiti che hanno caratterizzato i provvedimenti esaminati fino ad oggi: quello della questione di fiducia. Fanno eccezione solamente quei


Pag. 75

provvedimenti largamente condivisi, come quello relativo all'abolizione della pena di morte nella Costituzione.
Circa il grave dato relativo al blocco dello sviluppo del sistema paese, tutti quanti ci siamo esercitati nel verificare i possibili meccanismi per il rilancio della competitività dell'impresa, lo snellimento e la maggiore efficienza delle pubbliche amministrazioni; invece, ci troviamo di fronte a manovre che dal punto di vista politico e fiscale bloccano il paese.
È evidente che la costruzione ed il rafforzamento dei meccanismi fiscali e tributari, attraverso cui ci si prepara alla costruzione di una vera e propria inquisizione fiscale verso i cittadini e le imprese, non rappresentano garanzia di sviluppo. Probabilmente, essi non rappresentano nemmeno garanzia di lotta al sommerso, di recupero dell'evasione fiscale; stiamo semplicemente parlando della creazione di un impianto che vede lo Stato esercitare il suo potere sovrano e feudale contro il cittadino, non titolare di diritti, ma suddito.
Potremmo dilungarci anche sulla questione relativa ai controlli più stringenti, per i quali vi dovrebbe essere una collaborazione con gli operatori tributari. Tutto, invece, viene riversato sulle agenzie di riscossione e sui poteri degli agenti di riscossione, che non sono dipendenti pubblici - come ricordato anche dal collega Conte -, ma ex dipendenti di banche. Uno Stato di polizia tributaria non è uno Stato libero: si sta per cadere nell'opprimente solco a cui sottende una logica pregiudiziale che inquadra, già in partenza, il cittadino, l'imprenditore e tutto il ceto produttivo come presunti evasori.
Vi è poi la questione legittima sulla privacy, che va sollevata in ordine non soltanto al decreto-legge fiscale, ma anche ai controlli incrociati inseriti nell'articolato della legge finanziaria. Si sta costruendo un blocco invasivo e di controllo sulle tasche, sui conti, sulle carte di credito dei cittadini, e nuove tasse vengono introdotte. Un nostro studio ci ha fatto sapere che, tra aumenti e nuove introduzioni, si sta andando incontro a, più o meno, settanta nuove tasse. Il decreto-legge, da questo punto di vista, è inquietante: aumento garanzia per depositi fiscali a fini IVA; aumento aggio riscossione a carico del contribuente; ammortamento immobili in leasing; ammortamento spese per oggetti d'arte, antiquariato, collezione; pronti contro termine; incremento imposta sostitutiva per cessione a titolo oneroso d'immobili e terreni; catasto categoria E; catasto terreni; rendite catastali categoria B; imposta di registro successioni e donazioni. Inoltre, imposte ipotecarie e catastali, successioni e donazioni, aumento del prezzo del diesel per autotrazione, tasse ipotecarie, tributi speciali catastali, compenso agli editori per la riproduzione di articoli, riviste e giornali, con l'esclusione dall'obbligo del compenso per le amministrazioni pubbliche (e non si capisce se, su questo punto, vi sarà una retromarcia). Questo è il senso del provvedimento; e ciò ci preoccupa.
I nostri elettori ci hanno conferito un mandato parlamentare e politico (mi riferisco, in particolare, al mio mandato e al mio partito, e agli elettori marchigiani che mi hanno eletto) che ci impone di difendere il cittadino contribuente da tutto questo.
Per quanto riguarda i meccanismi di compensazione, si afferma che il disegno di legge finanziaria è stato scritto «a braccetto» con il sindacato. Ma quando all'articolo 1, comma 15, si prevede che il sistema di versamento unitario di compensazione si applica anche alla riscossione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti alle associazioni sindacali a carattere nazionale, viene da riflettere. Quale attenzione può esservi al ceto produttivo, al popolo delle partite IVA?
Questa manovra - lo ricordava qualche collega intervenuto in precedenza - è segnata da un peccato originale: intanto, quello di essere stata scritta da una maggioranza parlamentare che ha prevalso di un'inezia dal punto di vista elettorale (per 24 mila voti, peraltro contestati). Ed è stata scritta, al di là delle possibili incompatibilità con il documento di programmazione economico-finanziaria, nel solco


Pag. 76

della logica politica che ha ispirato il cosiddetto decreto Visco-Bersani. È una logica politica che va contro l'altra metà degli italiani che il centrodestra rappresenta. Ma il paradosso è un altro: rappresentando solo metà degli italiani, questo Governo li ha colpiti tutti.
Qualche collega ricordava prima che vi è stata una grande mobilitazione da parte delle categorie, delle associazioni, del ceto produttivo: tutti si sono dimostrati scontenti, anche settori della maggioranza parlamentare e presidenti di Commissione. Oggi, il presidente Folena è intervenuto in materia finanziaria dicendo che non si possono tagliare le spese per la scuola.
Insomma, avete condotto una campagna elettorale sul tema della scuola ed avete attaccato il Governo precedente con argomenti quantomeno improbabili. Infatti, durante il Governo Berlusconi vi è stato un aumento della spesa nel settore della scuola, anche con una notevole assunzione di lavoratori precari. Si conduce una grande battaglia sulla scuola pubblica, affermando che servono più risorse per l'istruzione, per la formazione del capitale umano, per i nostri studenti, per il futuro del paese, e poi si effettuano tagli di spesa sul sistema della scuola, sulla ricerca, sull'istruzione e l'università.
Tuttavia, non si vede il sindacato in piazza, perché con il sindacato avete definito il disegno di legge finanziaria. Non si vedono gli studenti in piazza perché, siccome le associazioni studentesche sono finanziate dai sindacati ed hanno sede nelle sedi di questi ultimi, probabilmente non viene stimolato questo elemento di criticità nei confronti della manovra finanziaria.
Anche dal punto di vista del lavoro, permettetemi una riflessione. Diceva bene la collega Armosino: si sta cercando di compiere un'operazione contraria alla logica e al buon senso, che va nel segno dell'irrigidimento della flessibilità del sistema del lavoro, che è stata garanzia di accesso al mondo del lavoro per una quantità di nuovi soggetti, in particolar modo giovani, nel corso degli ultimi anni. E la paternità di tale flessibilità non è stata certo del Governo Berlusconi. La paternità della flessibilità è stata del Governo Prodi, e mi riferisco al cosiddetto pacchetto Treu, che ha permesso «l'esplosione» dei contratti a tempo determinato, alcuni dei quali senza garanzie; garanzie che, poi, sono state introdotte nel sistema dalla cosiddetta legge Biagi.
È stata quella l'esplosione del lavoro flessibile, che oggi una parte della vostra maggioranza chiama precariato. La grande minaccia quindi diventa l'incubo del precariato, non la possibilità di sottrarre al sommerso e al lavoro nero tutta una fascia di individui e di mercato del lavoro, che invece sarebbero emersi, come, in qualche modo, è avvenuto in questi anni. Aumentando i contributi per i lavoratori parasubordinati, si disincentiva l'impresa alla loro assunzione. Se si considera il percorso di questo tipo di lavoratori e, a maggior ragione, degli apprendisti, in particolare, di quelli dell'artigianato, si scopre che questo genere di meccanismi di flessibilità portano ad un lavoro stabile.
Allora, che convenienza ha il Governo nell'aumentare i contributi per queste fasce; che convenienza ha nel rendere questo lavoro più costoso e meno conveniente per i datori di lavoro e per gli imprenditori? È una manovra di carattere ideologico, pregiudiziale. In questo senso, essa rischia di avere ripercussioni dannose sul settore del lavoro, sulla produttività e sulle nuove generazioni. Infatti, la grande sfida della competitività - ne abbiamo discusso per anni: sono dieci anni che si svolgono convegni in tutta Italia su questo tema - è sul costo del lavoro. La competitività è mettere in discussione e affrontare il problema della migrazione delle nostre imprese o della concorrenza dei nostri prodotti. E non è questa, esponenti del Governo, esponenti della maggioranza, la ricetta per riuscire a risolvere questo problema! In tutto questo, nella costruzione della grande inquisizione fiscale, nella introduzione di nuove gabelle, nell'aumento di alcuni tributi e nell'aumento di tante altre cose, c'è anche lo spoil


Pag. 77

system. Ci sono anche le piccole norme, come dire: i favori agli amici, le rottamazioni.
Insomma, non abbiamo parole per definire lo scontento che abbiamo nei confronti di questo decreto fiscale e dell'impianto generale della finanziaria. Il commissario Almunia ci informa che tiene l'Italia sotto controllo e che guarda con grande attenzione a ciò che sta succedendo. Ecco, non solo il commissario Almunia guarda a ciò che sta succedendo in Italia, ma anche l'opposizione tiene gli occhi aperti, vi osserva con grande attenzione. I cittadini vi osservano con grande attenzione, perché non siamo più negli anni cinquanta o sessanta. Ciò che si dice in queste aule, ciò che succede nelle Commissioni, è pubblico, è chiaro. I cittadini sanno leggere, sanno leggere la finanziaria, sanno fare i loro conti e sanno farsi i conti in tasca. È per questo che noi facciamo qui la nostra battaglia, ma anche fuori dalle aule della Commissioni e del Parlamento, perché siamo convinti che Prodi si sia preso un po' troppo alla lettera affermando che, quando si scrivono i provvedimenti finanziari, quando si scrive una legge finanziaria, non si può accontentare tutti. Questo, chi ha governato per cinque anni lo sa! E noi abbiamo governato per cinque anni, con l'orgoglio di essere riusciti a portare a termine un progetto, che ha dato a questo paese slancio e un po' più di mercato. E non ci siamo trovati mai in situazioni come queste! Anche perché, tutto ciò è accompagnato da un altro curioso elemento: la perdita verticale di consenso del Governo. Se in primavera questa maggioranza parlamentare, che non è maggioranza nel paese, rappresentava la metà del paese, oggi neanche questo si può più dire. Tuttavia, siamo convinti che quello che dice Prodi in parte sia vero. Quando si scrive la finanziaria, non si può accontentare tutti: noi non abbiamo accontentato gli amici o gli amici degli amici. Ma ci rendiamo conto che il Presidente del Consiglio si è preso un po' troppo sul serio, perché non solo ha voluto evitare di accontentare tutti, ma addirittura ha commesso l'eccesso opposto: ha scontentato tutti e non ha accontentato nessuno.
Questo è un prezzo che nella politica si paga e ci auguriamo che questo Governo paghi questo prezzo prima possibile.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Leone, iscritto a parlare, ha rinunziato ad intervenire.
Constato altresì l'assenza dell'onorevole Galletti, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1750)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la V Commissione, onorevole Di Gioia.

LELLO DI GIOIA, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Sartor, che ha dovuto ascoltare con tanta pazienza i molteplici interventi dell'opposizione. Mi limiterò a svolgere alcune considerazioni, in quanto ritengo sia opportuno chiudere questa discussione perché ne abbiamo già sentite molte!
È come se questo Governo cominciasse dall'anno zero, senza considerare quanto accaduto negli anni precedenti, nei quali è accaduto di tutto e di più. Sono state poste sistematicamente diverse questioni di fiducia e non soltanto sui decreti di accompagnamento, ma anche sulle leggi finanziarie. Eppure, nella precedente legislatura vi era un rapporto tra maggioranza e opposizione forse mai verificatosi nella storia della Repubblica italiana: vi erano 100 parlamentari in più alla Camera e 50 parlamentari in più al Senato. Nonostante ciò, il Governo ha più volte posto la questione di fiducia, in quanto vi erano grosse difficoltà all'interno della stessa maggioranza. Probabilmente, si dimenticano le leggi finanziarie varate dal precedente


Pag. 78

Governo - un Governo liberale, riformista - che prevedevano aumenti per la sanità e per le spese sociali. Allora, dovete spiegarci cosa significa tentare di diminuire il debito pubblico agendo su fattori strutturali della nostra economia e, tra questi, sulla spesa sanitaria.
Nella vostra Casa delle libertà sussistono profonde contraddizioni che, nella scorsa legislatura, hanno portato alla previsione di diversi condoni. Questo vuol dire far riacquistare fiducia ai cittadini italiani nei riguardi del fisco? O forse si vogliono far pagare coloro che fino ad oggi non hanno mai pagato? Nel nostro paese si registrano 200 miliardi di euro di evasione ed elusione, che certamente non si sono potuti accumulare nei quattro mesi di questa legislatura. Evidentemente, durante lo scorso Governo si era formata una buona base. Non dobbiamo dimenticare che si sono fatti rientrare i capitali dall'estero con una percentuale del 2 per cento.
Sono state dimenticate forse, tutte le fantasiose manovre fiscali e finanziarie? Vorrei far riflettere i colleghi parlamentari dell'opposizione. Parlate del ministro Padoa Schioppa, ma non ricordate che avete cambiato Tremonti perché faceva la sua politica economica e finanziaria creativa, che avete poi nominato ministro Siniscalco e riportato in pompa magna lo stesso Tremonti? Tutte queste cose le dimenticate con molta facilità, pensate che siano passati secoli in questo paese? Dalla vostra gestione sono passati semplicemente 4 mesi.
Forse dimenticate che con tutte le grandi manovre per non togliere i soldi dalle tasche dei cittadini - quando in quelle tasche non c'era più niente da togliere - il carico fiscale si è abbassato soltanto dello 0,6 per cento?
Credo che bisognerebbe avere molta più umiltà, perché prima di parlare degli altri bisognerebbe guardare se stessi. Ricordate quanto accaduto con le leggi ad personam? Altro che un Governo liberale che non ha garantito amici e amici degli amici! La legge sulle televisioni chi ha garantito? Le leggi che si sono succedute nella scorsa legislatura, giorno dopo giorno, chi hanno garantito? Siate più seri, non siamo noi del Governo di centrosinistra a doverci vergognare, ma siete voi che vi dovreste vergognare di quello che avete fatto negli anni passati e di quello che state facendo anche adesso! In questa situazione ci avete portato voi e non certamente il Governo di centrosinistra! Ci dimentichiamo con grande facilità che negli ultimi anni è aumentato il debito pubblico, mentre prima tentava di scendere. Ci siamo dimenticati gli impegni assunti da Tremonti con l'Unione europea per ridurre il rapporto deficit/PIL, mentre in realtà aumentava sistematicamente? Ci siamo dimenticati di quanto avete ridotto l'avanzo primario di questo paese, e dell'aumento sistematico della spesa corrente?
Credo che i cittadini italiani sappiano queste cose, perché hanno vissuto sulle proprie spalle i disastri che avete combinato. Certo, voi dite che i provvedimenti del centrosinistra non piacciono a tutti. Al riguardo, vorrei ricordare oggi una bellissima frase di un sindacalista riformista, Giuseppe Di Vittorio: quando i contratti non piacciono ai lavoratori né tanto meno alla parte padronale vuol dire che quei contratti sono buoni. Noi abbiamo sottoscritto un contratto vero, abbiamo promesso agli italiani che questo paese poteva e doveva farcela. Stiamo facendo in modo, pur nella grande difficoltà di varare la nostra politica a causa di quello che avete lasciato, che il Paese si riprenda e aumenti la sua competitività e la sua produttività, che garantisca i più deboli e dia la possibilità ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro. La flessibilità, così come la intendete voi, è precarietà. Nei paesi occidentali sviluppati, la flessibilità in buona sostanza significa fare in modo che il giovane acquisti esperienza nel corso della sua vita lavorativa e abbia la possibilità di migliorare. Ma la vostra flessibilità, negli scorsi anni, ha significato semplicemente far assumere giovani di terzo livello all'interno delle fabbriche. Anche su questo aspetto, vogliamo intervenire e lo abbiamo fatto, creando incentivi per le imprese che


Pag. 79

assumono a tempo indeterminato. Abbiamo dato risposte alle imprese, alle donne del Mezzogiorno ed alle grandi opere infrastrutturali. Quello che invece faceva il vostro ministro Lunardi era semplicemente costruire gallerie, gallerie, gallerie all'interno di questo Paese!
Nel concludere e nel lasciare la parola alla collega Fincato, vorrei sottolineare che abbiamo affrontato con serenità questo difficile percorso reso complicato dalle difficoltà causate dalle vostre politiche fiscali, economiche e finanziarie. Tuttavia, la nostra capacità, il nostro senso dialettico di culture diverse all'interno della stessa coalizione, ci consentiranno di realizzare il nostro programma, le nostre scelte e sicuramente avremo un'Italia migliore, in grado di garantire tutti.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la VI Commissione, onorevole Fincato.

LAURA FINCATO, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, vorrei in breve ricordare che sono ormai passati dieci giorni dal momento in cui sono state presentate le eccezioni di costituzionalità e da quando abbiamo cominciato il lavoro in Commissione, sul testo del decreto-legge. Noi tutti abbiamo avuto modo di confrontarci, ascoltando i reciproci contributi. Anche l'ascolto di quest'Assemblea è stato paziente. Dunque, vi è stato il tempo - per tutti coloro che hanno voluto entrare nel merito ed anche per quelli che ne hanno voluto esulare - di intervenire sul provvedimento, il primo degli atti di una manovra fondamentale per il Governo in quanto è la prima della legislatura.
Credo che debba essere dato atto che, nonostante siano state espresse critiche anche aspre sulla tempistica e sulle modalità di discussione, vi è stato il tempo e il modo di ascoltare. I relatori sono venuti in Assemblea a presentare il testo approvato dalle Commissioni riunite, profondamente diverso e molto più ampio rispetto a quello varato dal Governo. Quindi, tutti quanti abbiamo svolto il nostro compito.
Non sembri una critica spocchiosa, ma mi è sembrato che per molti degli intervenuti non sia ancora finito il tempo della campagna elettorale. Invece, questo genere di provvedimenti dovrebbe richiamare a quell'asciuttezza nell'eloquio propria di quando vengono decise misure importanti per il bene di tutto il Paese, al di fuori di ogni polemica politica o demagogica.
Non dimentico che il Parlamento inglese fu chiamato nel corso della storia ad esprimersi sulla potestà del re di imporre tasse da far pagare ai propri sudditi. Noi siamo in una democrazia ed il Parlamento, oggi e nei prossimi giorni, sarà ancora impegnato su questo testo, parte di un ragionamento e di un'impresa più ampia come quella del risanamento, del rilancio e della crescita del nostro Paese.
Vorrei ringraziare infine tutti i colleghi intervenuti, il sottosegretario oggi presente ed il Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

NICOLA SARTOR, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, vorrei, in primo luogo, ringraziare le Commissioni per aver contribuito al perfezionamento della manovra con un ampio dibattito.
Gli interventi che si sono susseguiti hanno riguardato vari temi: non solo, strettamente, il decreto in questione, ma, in maniera più ampia, la manovra ed alcuni accadimenti esterni. Anche se sinteticamente, dovrò affrontare i principali punti emersi nel dibattito.
Vorrei iniziare dalla questione delle agenzie di rating. Le agenzie, di fatto, confermano che la situazione dei conti pubblici è grave. È evidente che la gravità degli stessi non nasce in un giorno o in un mese e le statistiche a consuntivo degli ultimi anni possono mostrare con estrema oggettività le origini e le cause della situazione. In tale contesto, è altresì evidente, a giudizio delle agenzie di rating, l'importanza di attuare la manovra correttiva proposta in questi giorni al Parlamento. Le agenzie stesse si dichiarano pronte a cambiare la valutazione se muta lo scenario. Inoltre, vorrei ricordare - è


Pag. 80

un aspetto non marginale - che una di queste - si tratta in particolare di Moody's - ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di declassare il debito pubblico italiano, in quanto ritiene la manovra assolutamente sufficiente. Tuttavia, considerato che le agenzie avrebbero come primario intendimento quello di orientare i mercati, penso che vada fatto cenno a come i mercati hanno reagito a queste notizie.
Di fronte alla prima e, per certi versi, improvvisa notizia, si è osservato, in termini di differenziale dei tassi di interesse, un aumento di due punti base, vale a dire di uno 0,02 per cento, del tasso di interesse che, infine, è rientrato ad un punto base.
Questa è la reazione, che non possiamo certo definire ansiosa, da parte dei mercati; né peraltro si osserva un momento significativo delle contrattazioni sui titoli del debito pubblico. Quindi, credo che questo sia un elemento oggettivo che deve essere tenuto in estrema considerazione.
Il secondo aspetto molto generale che è stato affrontato riguarda la «missione» di questa legge finanziaria. È stato più volte ricordato in termini molto sintetici quali sono i tre obiettivi da raggiungere - risanamento, sviluppo ed equità - ma qualche parola deve essere ulteriormente spesa.
Il primo obiettivo, che è pienamente centrato, laddove la manovra venisse approvata, come si auspica, dal Parlamento, è il risanamento permanente dei conti pubblici ed in merito a ciò viene data piena attestazione anche dalle citate agenzie di rating. Sottolineo il termine «permanente», in quanto la manovra non contiene provvedimenti una tantum che possono solo marginalmente incidere sulla struttura dei conti.
Il secondo punto, che viene ben prima di sviluppo ed equità, è quello relativo al reperimento delle risorse per proseguire le opere pubbliche infrastrutturali in corso e per rispettare gli accordi internazionali. Non si può assolutamente concordare con coloro che sostengono che una manovra di 15 miliardi sarebbe stata sufficiente. Certo, 15 miliardi sono sufficienti per rientrare nell'obiettivo del 3 per cento, ma non lo sono per impedire il blocco totale dei cantieri ed il mancato rispetto degli accordi internazionali che questo paese, questo Parlamento hanno assunto negli anni passati.
Questa è l'azione prioritaria, prima ancora di parlare degli altri obiettivi, vale a dire la promozione della crescita del paese. Dobbiamo ricordare la manovra del cuneo fiscale, certo di non poco conto, gli incentivi alla ricerca e all'innovazione, ulteriori incentivi al Mezzogiorno. Questi sono elementi qualificanti che caratterizzano la «missione» di questa legge finanziaria.
Con riferimento all'equità, risulta importante in primis la lotta all'evasione (è il pilastro su cui si fonda l'equità). Pochi, inoltre, hanno sottolineato - avremo tempo nel momento in cui si discuterà approfonditamente in quest'aula del disegno di legge finanziaria - l'eliminazione di alcune agevolazioni contributive con riferimento alla differenza tra le aliquote di computo dei benefici pensionistici e le aliquote effettive di versamento. Al riguardo la distanza è stata azzerata non soltanto per il lavoro autonomo, ma anche per quello dipendente. Quest'ultimo è un altro elemento che, prima ancora di essere visto nell'ottica di risanamento dei conti pubblici, va considerato come misura a carattere equitativo. Insomma, è stata abolita una differenza che non aveva grande fondamento.
Il secondo elemento è il sostegno alle famiglie numerose.
Infine, vengono in rilievo le azioni a tutela dei precari. Si tratta di un punto estremamente importante. Del resto, il legame tra la manovra ed il mercato del lavoro è stato ricordato in alcuni interventi. L'obiettivo fondamentale dell'Esecutivo è quello di far sì che la flessibilità del mercato del lavoro non sia sinonimo di precarietà. A questo fine, alcune risorse - è vero: sono modeste, perché sono soltanto iniziali, derivanti dall'aumento dei contributi - serviranno a dare completa copertura di assistenza sanitaria alle lavoratrici madri anche per quel che riguarda alcune


Pag. 81

categorie professionali (ad esempio, le lavoratrici con contratti a progetto erano ancora completamente sprovviste di tutela).
Saranno avviati, inoltre, alcuni interventi strutturali. Va ricordato altresì l'avvio del federalismo fiscale, che riguarda gli enti locali. Certo, non si tratta della vera e propria attuazione del Titolo V, ma il rispetto delle autonomie locali è un aspetto estremamente importante: la manovra dà alle autonomie medesime totale libertà di scelta, sia sul fronte delle spese sia su quello delle entrate, e prevede anche un aumento potenziale della loro capacità impositiva.
Credo che gli elementi indicati, ancorché illustrati in maniera sintetica, definiscano in modo estremamente preciso e pregnante la missione del disegno di legge finanziaria.
Desidero fare un'ultima precisazione generale prima di spendere qualche parola sul decreto-legge in esame. Si è parlato, in maniera a nostro giudizio inappropriata, dell'ipotesi di manovra sul trattamento di fine rapporto. Continua ad emergere un fraintendimento: il trattamento di fine rapporto è del lavoratore e del lavoratore rimarrà, in quanto rappresenta il salario differito. Nulla cambia per il lavoratore. Non solo: la norma in questione fa parte di un obiettivo più generale e ben più importante, cioè quello di accelerare il decollo della previdenza integrativa, che è il primario obiettivo che si vuole raggiungere.
Quanto alle questioni finanziarie e contabili, ovviamente, il Governo si riserva di trattare in modo più articolato e preciso alcune questioni che sono state sollevate.
Per quel che riguarda il decreto-legge in esame, fondamentalmente, gli aspetti che sono stati messi in evidenza riguardano la lotta all'evasione e le questioni relative all'articolo 12 (cioè alla materia delle concessioni autostradali).
Con riferimento alla lotta all'evasione, sia chiaro che non vi è alcun intento persecutorio nei confronti di alcuna categoria professionale. La maggioranza dei contribuenti è onesta, tant'è che le stesse statistiche, spesso citate, fanno riferimento a tassi di evasione massimi del 30 per cento. È evidente che il 30 per cento è la minoranza, non la maggioranza. Pertanto, la norma è indirizzata, ovviamente, nei confronti di quei contribuenti che non hanno un rapporto corretto con lo Stato dal punto di vista dell'adempimento degli obblighi fiscali. Insomma, non si tratta certamente di accanimento nei confronti di una singola categoria.
In secondo luogo, poiché alcuni hanno evocato l'opportunità di aumentare le aliquote di progressività dell'IRPEF, va rilevato, anzitutto, che la maniera più efficace di raggiungere l'equità, anche nel prelievo tributario, è quello di ridurre, se non di eliminare, i margini di evasione. Una manovra di aumento delle aliquote sui redditi più alti, anche se sopportabilissima sotto il profilo nominale, aumenterebbe la pressione fiscale su quelle categorie che già ne sopportano, di fatto, una elevata, in quanto dichiarano redditi che sono assoggettati allo scaglione più alto.
Inoltre, non va dimenticato che il nostro paese è pienamente integrato in una comunità europea e che i margini di differenziazione rispetto a ciò che accade nei restanti paesi sono estremamente limitati anche sul fronte della tassazione personale. A tale proposito, va ricordata la storia secolare della Svezia, che aveva aliquote di prelievo marginali che superavano il 70 per cento e che, ora, raggiungono al massimo il 40 per cento. Analogo è stato il percorso, chiaramente di natura politica, seguito da questo paese: quando è stata introdotta, all'inizio degli anni Settanta, l'imposta personale sui redditi, vi erano aliquote marginali che arrivavano al 70 per cento e che, ora, sono state ricondotte, progressivamente, intorno al 40 per cento.
Lo stesso vale per quel che riguarda la tassazione dei proventi derivanti dal possesso di attività finanziarie. Voglio espressamente usare la dizione corretta in quanto quella gergale - tassazione delle rendite - è inappropriata e può evocare, certamente non nell'intenzione del Governo, qualche interpretazione di natura


Pag. 82

ideologica. Si tratta di proventi derivanti dal possesso di attività finanziarie. Qui, ancor più che per quel che riguarda i redditi personali da lavoro, è evidente che è necessaria la piena integrazione ed armonizzazione con quel che accade nei paesi partner. Ricordo, in particolare, che negli anni in cui non vi sono più flessibilità nei tassi di cambio, l'integrazione è piena. Ebbene, la manovra è prevalentemente orientata ad armonizzare il prelievo in linea con gli altri paesi; non solo, ma anche ad eliminare quelle differenze che inducono esclusivamente operazioni di arbitraggio fiscale.
Spesso si sottolinea l'innalzamento per alcuni di questi redditi dell'aliquota dal 12,5 al 20 per cento, sostenendo che ciò comporterebbe un aumento del 60 per cento; nessuno, però, ha mai ricordato che, contemporaneamente, si riducono le aliquote di prelievo su altre categorie di reddito dal 27 al 20 per cento. In ogni caso, posso smentire categoricamente la notizia, apparsa su alcuni quotidiani ed evocata nel corso della discussione, di una presunta intenzione del Governo di introdurre tale misura in un presunto maxiemendamento. L'intenzione dell'Esecutivo è di non fare alcunché di questo tipo. Pertanto, su tale questione ritengo si possa fare definitivamente chiarezza.
Si afferma che la manovra aumenta la spesa pubblica. Ciò non è assolutamente vero! La manovra, casomai, comprime la spesa sanitaria dopo molti anni di incrementi. In generale, conterrà la spesa corrente primaria, mentre cercherà di incrementare la spesa per investimenti: esattamente l'opposto di quello che si osserva nei fatti negli ultimi cinque anni. Si potrà argomentare che l'aumento è stato dovuto alla recessione che ha colpito questo ed altri paesi; tuttavia, si invita ad esaminare le statistiche che sono state prodotte con metodologia standardizzata dalla Commissione delle comunità europee, dalle quali si evince che, anche tenendo conto degli effetti ciclici, la spesa corrente primaria negli ultimi cinque anni in questo paese è aumentata in maniera considerevole.
Per quel che riguarda, infine, la questione relativa alla regolamentazione delle autostrade, preciso che si tratta di un intervento che si inquadra nell'obiettivo più generale di regolamentazione corretta dei mercati. Si tratta di situazioni cosiddette di monopolio naturale per le quali si è ritenuto opportuno un rafforzamento degli interventi regolativi proprio per evitare che vi possano essere abusi di posizione dominante o altre pratiche che non sono rispettose della logica di mercato. La norma, in generale, va in questa particolare direzione, ed è chiaramente tale da ottenere risultati in termini di efficienza dei mercati senza precludere necessariamente alcune soluzioni in tema di assetti proprietari. Si vuole ottenere l'obiettivo generale, lasciando ovviamente al mercato e alle parti interessate la libertà di scegliere le forme più appropriate.
Ritengo che non vi sia altro da precisare. Ringrazio tutti quanti, in particolare il Presidente Castagnetti per l'attenzione prestata al dibattito.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della convocazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

PRESIDENTE. Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Commissione parlamentare per le questioni regionali è convocata per mercoledì 25 ottobre 2006, alle ore 13,45, nella sede di via del Seminario, per procedere alla sua costituzione.

Annunzio della convocazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione.

PRESIDENTE. Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che il Comitato


Pag. 83

parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, è convocato per mercoledì 25 ottobre 2006, alle ore 14,30, nella sede di via del Seminario, per procedere alla sua costituzione.

Annunzio della convocazione della Commissione parlamentare per l'infanzia.

PRESIDENTE. Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Commissione parlamentare per l'infanzia è convocata per mercoledì 25 ottobre 2006, alle ore 14,30, nella sede di via del Seminario, per procedere alla sua costituzione.

Annunzio della convocazione della Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria.

PRESIDENTE. Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria è convocata per mercoledì 25 ottobre 2006, alle ore 15,15, nella sedi di via del Seminario, per procedere alla sua costituzione.

Annunzio della convocazione della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.

PRESIDENTE. Comunico, d'intesa con il Presidente del Senato, che la Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale è convocata per mercoledì 25 ottobre 2006, alle ore 15,15, nella sede di via del Seminario, per procedere alla sua costituzione.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 23 ottobre 2006, alle 9,30:

(ore 9,30, con votazioni a partire dalle ore 14)

Discussione del disegno di legge:
S. 635 - Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario (Approvato dal Senato) (1780).
- Relatore: Palomba.

La seduta termina alle 18,20.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEI DEPUTATI FINCATO E DI GIOIA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1750

Il decreto-legge n. 262 del 2006 costituisce parte integrante della manovra di finanza pubblica per il 2007. Le maggiori entrate da esso derivanti concorrono infatti per oltre 9 miliardi di euro al conseguimento degli obiettivi di bilancio previsti per il prossimo anno. Nell'esaminare questo decreto-legge, le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) hanno pertanto proceduto nell'osservanza delle disposizioni che regolano l'esame parlamentare dei provvedimenti collegati alla manovra finanziaria, con l'applicazione di vincoli più stringenti quanto al regime di ammissibilità degli emendamenti, per i quali valeva infatti, oltre all'ordinario criterio del rispetto della materia propria del provvedimento, anche il vincolo della compensatività degli effetti finanziari.
Le Commissioni hanno comunque esaminato numerose proposte emendative. A


Pag. 84

tal fine è stato anche costituito un Comitato ristretto, che ha svolto un utile lavoro istruttorio. In conseguenza di tale lavoro, le Commissioni hanno potuto apportare numerose modifiche al testo, in alcuni casi, condivise dai gruppi di maggioranza e di opposizione.
Il lavoro svolto è stato molto proficuo: in virtù di esso, i relatori possono rassegnare oggi all'attenzione dell'Assemblea della Camera un testo che supera alcune perplessità suscitate dalla formulazione originaria del decreto-legge.
Veniamo quindi a illustrarne partitamente il contenuto.
L'articolo 1 del decreto-legge, al comma 1, dispone che alcuni dati, documenti e dichiarazioni, previsti dalla legislazione in materia di imposte di fabbricazione, siano presentati esclusivamente in forma telematica.
Il comma 2 integra la disciplina relativa ai depositi IVA, subordinando l'avvio dell'operatività di tali depositi da parte di determinati soggetti alla presentazione di comunicazione ai competenti uffici delle dogane e delle entrate, anche per la valutazione della congruità della garanzia, ove prescritta.
Il comma 3 introduce una procedura semplificata per la distruzione, sotto controllo doganale, delle merci sospettate di violare diritti di proprietà intellettuale; il comma 4 rimette a decreto interministeriale la definizione dei termini e delle modalità d'attuazione.
Dopo il comma 4, nel corso dell'esame presso le Commissioni riunite, è stato inserito un comma 4-bis, il quale prevede che i tabacchi lavorati sottoposti a sequestro, decorso un anno, siano distrutti previo prelievo dei campioni necessari.
Il comma 5 integra la disciplina relativa al controllo degli elenchi riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari, presentati agli uffici doganali dai soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto, estendendo i poteri esercitabili a questo fine dagli uffici medesimi e prevedendo che le necessarie autorizzazioni siano rilasciate dal direttore regionale dell'Agenzia delle dogane. Con un emendamento di carattere tecnico, approvato nel corso dell'esame presso le Commissioni, si è provveduto a meglio specificare quest'ultimo aspetto, in relazione a una fattispecie che non era stata disciplinata nel testo originario del decreto-legge.
Il comma 6 esclude la deducibilità delle spese per prestazioni di servizi resi da professionisti domiciliati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, agli effetti dell'imposta sui redditi delle società (IRES). Con emendamento dei relatori si è chiarito - conformemente a quanto era presupposto dalla relazione tecnica governativa - che la società può fornire la prova dell'effettivo interesse economico dell'operazione.
Il comma 7 integra le disposizioni che prescrivono l'invio telematico delle copie dei contratti dei calciatori professionisti all'Agenzia delle entrate, estendendone l'applicazione anche ai contratti di sponsorizzazione stipulati dai medesimi atleti, ove la società calcistica percepisca somme per il diritto di sfruttamento dell'immagine. Viene inoltre rimessa a provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate la determinazione del contenuto, delle modalità e dei termini della trasmissione.
Il comma 8, modificato nel corso dell'esame presso le Commissioni, stabilisce che la sospensione della licenza o autorizzazione all'esercizio dell'attività, o comunque dell'attività medesima, sia disposta, in caso di violazione dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale, reiterata per tre volte nel quinquennio, sulla base della semplice contestazione, per un periodo da tre giorni a un mese. II testo originario del decreto-legge richiedeva invece l'accertamento definitivo della violazione e manteneva la più lunga durata della sospensione (da quindici giorni a due mesi), previste nella norma già vigente, ma riduceva da tre a una sola violazione il presupposto per l'applicazione della sanzione.
Con lo stesso emendamento sono state introdotte, nei commi 8-bis e 8-ter, disposizioni


Pag. 85

ulteriori di natura procedurale per l'applicazione e l'accertamento dell'osservanza della predetta sanzione.
Il comma 9 subordina l'immatricolazione o la voltura di autoveicoli, motoveicoli e loro rimorchi oggetto di acquisto intracomunitario a titolo oneroso alla presentazione di copia del modello F24 indicante il numero di telaio e l'ammontare dell'IVA assolta in occasione della prima cessione interna. Con emendamento approvato dalle Commissioni è stata soppressa la specificazione secondo cui la disposizione si riferiva esclusivamente a veicoli e rimorchi nuovi.
Il comma 10 richiede, altresì, per l'immatricolazione dei medesimi veicoli, quando siano oggetto di importazione, la presentazione della certificazione doganale attestante l'assolvimento dell'IVA e contenente l'eventuale riferimento all'utilizzazione, da parte dell'importatore, della facoltà di acquistare senza pagamento dell'imposta, entro il limite dei corrispettivi dell'anno precedente (il cosiddetto plafond). Il comma 11 rimette a un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate la fissazione del termine di decorrenza, delle modalità applicative e delle esenzioni.
Il comma 12 dispone la gratuità della convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (ora Ministero dei trasporti), l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia delle dogane, che - per la realizzazione dello sportello automatico dell'automobilista - definisce le procedure per la trasmissione dei dati attinenti alla verifica di adempimenti fiscali relativi all'immatricolazione dei veicoli nuovi e usati provenienti, attraverso circuiti non ufficiali di distribuzione, dagli Stati membri dell'Unione europea e, attraverso canali di importazione non ufficiali, da Stati aderenti allo spazio economico europeo.
Il comma 13 sopprime la previsione secondo cui la trasmissione delle informazioni destinate all'anagrafe tributaria è eseguita mediante posta elettronica certificata. Per conseguenza, potranno essere impiegati - come già avviene per l'invio di altre categorie di dati - i servizi telematici dell'Agenzia delle entrate.
Il comma 14 destina una quota delle eventuali maggiori entrate derivanti dal rafforzamento dell'attività di controllo, accertamento e riscossione dei tributi erariali al finanziamento di incentivi all'esodo e alla mobilità territoriale, indennità di trasferta, e di un programma di assunzioni di personale qualificato per l'Amministrazione economico-finanziaria e le altre amministrazioni statali. Le modalità di attuazione sono rimesse alla contrattazione integrativa. Con emendamento approvato dalle Commissioni si è specificato che le suddette risorse sono assegnate per metà al programma destinato all'amministrazione economico-finanziaria, e per la restante metà alle altre amministrazioni.
Il comma 15 dispone il riordino delle Agenzie fiscali e dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, da eseguirsi senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, da attuarsi con il regolamento di organizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il comma 16 prevede che il regolamento sia sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e di quelle competenti per le conseguenze finanziarie.
Il comma 17 sopprime la struttura interdisciplinare incaricata di seguire la trasformazione delle strutture dell'amministrazione tributaria, disposta dal decreto legislativo n. 300 del 1999, nonché il finanziamento concesso agli istituti di cultura stranieri; riduce l'autorizzazione di spesa in favore della Scuola superiore del Ministero dell'economia e delle finanze per il potenziamento delle attività di supporto formativo e scientifico rivolte alla diffusione del made in Italy. Con emendamento approvato dalle Commissioni è stata altresì disposta la soppressione del comitato di coordinamento del SECIT, del comitato di indirizzo strategico della Scuola superiore dell'economia e delle finanze nonché della Commissione consultiva per la riscossione.


Pag. 86


I commi 18 e 19 modificano la composizione dei comitati di gestione delle agenzie fiscali, disponendo contestualmente la cessazione dei comitati in carica alla data di entrata in vigore del decreto-legge, a decorrere dal trentesimo giorno successivo a tale data.
Il comma 1 dell'articolo 2 sopprime la previsione secondo cui la maggioranza dei componenti del consiglio di amministrazione della società Riscossione SpA deve essere costituita da dirigenti di vertice dell'Agenzia delle entrate e dell'INPS.
Il comma 2 prevede la remunerazione con un compenso maggiorato del 25 per cento per i tributi riscossi per conto degli enti locali dal concessionario nazionale della riscossione, qualora esso provveda, in forma residuale, alla sola riscossione coattiva nei casi in cui l'ente non abbia attribuito il servizio nelle forme previste dalla legge. La formulazione testuale è stata meglio precisata mediante un emendamento approvato dalle Commissioni.
Il comma 3 reca modifiche al regime dell'aggio dovuto agli agenti della riscossione sulle somme riscosse.
Il comma 4 prevede che i privilegi e le garanzie comunque prestate ai concessionari della riscossione e le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria vengano trasmesse, previa pubblicazione di apposito avviso nella Gazzetta ufficiale, alla società Riscossione SpA e alle altre società partecipate.
Il comma 5 sopprime la previsione contenuta nella legge finanziaria per il 2004 in ordine ai criteri specifici per la ripartizione tra i concessionari della riscossione dell'importo forfetario di 470 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007 e 2008 previsto a titolo di remunerazione dell'attività di riscossione.
Il comma 6 estende a tutti i crediti del debitore verso terzi la procedura di espropriazione attualmente prevista unicamente per il pignoramento del quinto dello stipendio, previsto dall'articolo 545 del codice di procedura civile. Mediante emendamento tecnico è stato corretto il tenore della rubrica.
Il comma 7 prevede l'attribuzione di particolari poteri di ispezione e verifica agli agenti della riscossione (la società Riscossione SpA e le altre società partecipate).
Il comma 7-bis, introdotto nel corso dell'esame presso le Commissioni, modifica la disciplina della dichiarazione stragiudiziale del terzo, nell'ambito del procedimento di riscossione, precisando che nella richiesta, rivolta a terzi, di indicare le cose o somme da essi dovute al soggetto debitore di somme iscritte a ruolo è fissato un termine, decorso il quale possono essere irrogate sanzioni in caso di inottemperanza.
Il comma 8 prescrive alle pubbliche amministrazioni e alle società a prevalente partecipazione pubblica di verificare, prima di effettuare un pagamento di importo eccedente 10 mila euro, se il beneficiario risulti inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di cartelle di pagamento. In caso affermativo, esse non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all'agente della riscossione.
I commi 9 e 10 estendono al pagamento delle tariffe del servizio idrico integrato le disposizioni in materia di riscossione volontaria previste dal capo II del decreto legislativo n. 241 del 1997 e di riscossione coattiva contenute nel decreto legislativo n. 46 del 1999. Con emendamento approvato presso le Commissioni si è stabilito che la riscossione, sia volontaria sia coattiva, può essere affidata mediante procedimento ad evidenza pubblica a soggetti iscritti nell'apposito albo.
Il comma 11 definisce come agenti della riscossione la società Riscossione SpA e le società da questa partecipate.
I commi 12 e 13 introducono la possibilità di effettuare una compensazione tra le somme iscritte a ruolo e gli eventuali rimborsi dovuti dall'Agenzia delle entrate, dalle altre agenzie fiscali e dagli enti previdenziali.
Il comma 14 consente ai dipendenti delegati degli agenti della riscossione (Riscossione


Pag. 87

SpA e le altre società partecipate) di stare in giudizio personalmente in specifici procedimenti.
Il comma 15 prevede che il sistema di versamento unitario e di compensazione di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 241 del 1997 si applichi anche alla riscossione dei contributi associativi dovuti dagli iscritti alle associazioni sindacali a carattere nazionale e dei contributi per assistenza contrattuale che siano stabiliti dai contratti di lavoro.
Il comma 16 dispone che spetti all'Agenzia delle entrate il rimborso degli oneri sostenuti per garantire il servizio di riscossione nell'ambito della procedura di compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, relativamente ai contributi previdenziali e assistenziali e ai premi per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Il comma 1 dell'articolo 3 prevede che non possono essere portati in ammortamento i costi delle aree occupate da fabbricati strumentali all'esercizio dell'impresa e dei terreni costituenti pertinenze, acquisiti mediante contratto di locazione finanziaria (leasing).
I commi 2 e 3, nei contratti di riporto, pronti contro termine e mutuo di titoli garantito, limitano la possibilità per il mutuatario e il cessionario a pronti di godere del regime di detassazione parziale dei dividendi, stabilito dall'articolo 89, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi.
Il comma 4 aumenta dal 12,50 per cento al 20 per cento l'aliquota dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze immobiliari realizzate sulle cessioni a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni e sulle cessione di terreni edificabili.
Il comma 5 modifica le disposizioni transitorie in materia di riporto delle perdite realizzate nei primi tre periodi di imposta, dettate dall'articolo 36 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
Il comma 6 modifica le disposizioni transitorie in materia di utilizzazione delle perdite fiscali anteriori all'inizio della «tassazione per trasparenza», contenute nell'articolo 36 del medesimo decreto-legge n. 223 del 2006, differendone l'applicazione al periodo d'imposta successivo a quello in corso all'entrata in vigore del decreto medesimo.
Il comma 7 differisce l'applicazione del nuovo regime di determinazione della base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche per i soggetti non residenti, introdotto dall'articolo 36 del citato decreto-legge n. 223 del 2006.
I commi da 8 a 11 disciplinano l'applicazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per i soggetti residenti a Campione d'Italia. Con emendamento approvato presso le Commissioni si è meglio precisata la successione delle relative norme nel tempo, chiarendosi che le nuove disposizioni del presente decreto si applicheranno dal 2007, mentre per il 2006 conserverà efficacia il regime antecedente alle modifiche apportate dal decreto-legge n. 223 del 2006.
Il comma 12 ridetermina le condizioni in presenza delle quali, in relazione alle azioni distribuite dalle società a propri dipendenti (c.d. stock options di tipo individuale), non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente la differenza tra il valore di esse al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto dal dipendente.
Il comma 12-bis, aggiunto nel corso dell'esame presso le Commissioni, precisa che i soggetti tenuti alla trasmissione telematica dei corrispettivi debbono comunque emettere non solo la fattura, in caso di richiesta da parte del cliente, ma anche gli scontrini e le ricevute fiscali secondo quanto ordinariamente previsto. Sono esclusi gli operatori della grande distribuzione commerciale, già esenti dall'obbligo in quanto tenuti alla trasmissione quotidiana.
Il comma 1 dell'articolo 4, nel testo originario, modificava il regime speciale forfetario dell'imposta sul valore aggiunto per i produttori agricoli «minimi». Il testo


Pag. 88

originario del decreto-legge prevedeva per i produttori agricoli con determinate caratteristiche l'applicazione del nuovo regime cosiddetto della «franchigia», introdotto dal decreto-legge n. 223 del 2006, in base al quale non sono soggetti ad IVA i contribuenti con modesto volume di affari. La norma introduceva per i produttori agricoli, al fine di accedere al regime della franchigia, il requisito di un volume d'affari non superiore a settemila euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli e ittici.
Nel corso dell'esame presso le Commissioni si è tuttavia addivenuti a una diversa soluzione. Esclusa l'applicazione del regime di franchigia (che rimane subordinata, per i produttori agricoli, alla rinunzia ad avvalersi del regime speciale ad essi proprio), si è mantenuta l'esenzione - già prevista nel regime vigente prima dell'entrata in vigore del presente decreto-legge - da tutti gli obblighi documentali e contabili, elevando a settemila euro il limite di volume d'affari entro il quale è consentito l'accesso a questo beneficio. È stata invece soppressa la norma che esentava soltanto dalla liquidazione e dal versamento periodico dell'imposta i produttori agricoli con volume di affari compreso tra 7 mila euro e 20.658,28 euro. Rimane infine confermata l'applicazione del limite di settemila euro, previsto in via generale per l'accesso al regime speciale, anche ai produttori agricoli insediati in zone montane.
L'emendamento approvato dalle Commissioni provvede inoltre alla copertura finanziaria mediante aumento dell'imposta di fabbricazione sui superalcolici nella misura del 10 per cento.
Inoltre, dopo il comma 1, è stata introdotta una disposizione (comma 1-bis) volta ad adeguare la formulazione dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 446 del 1997, recante la disciplina dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a seguito del nuovo limite di volume d'affari introdotto dal presente decreto-legge per l'esonero dal versamento dell'IVA da parte dei produttori agricoli «minimi». In particolare, anche il limite del volume di affari per ottenere l'esenzione dall'IRAP è stato rideterminato in settemila euro. Questa disposizione dovrà per altro essere coordinata - nel seguito dell'esame in Assemblea - con la modificazione testé illustrata, espungendo il riferimento al regime della franchigia.
Il comma 2 prevede che la richiesta di contributi agricoli rivolta all'AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), contenente la dichiarazione relativa all'impiego del suolo nelle singole particelle catastali, sostituisca la dichiarazione di variazione colturale da rendere al catasto terreni in base all'articolo 30 del testo unico delle imposte sui redditi. Il comma 3 prevede l'applicazione della disposizione già a partire dall'anno 2006. II comma 4 rimette la determinazione delle modalità tecniche e operative a provvedimento del direttore dell'Agenzia del territorio, sentita l'AGEA.
Il comma 5 prevede che l'Agenzia del territorio inviti i titolari dei diritti su fabbricati che abbiano perduto i requisiti di ruralità a provvedere all'aggiornamento catastale. In caso di inottemperanza, vi provvedono gli uffici dell'Agenzia del territorio, a spese dell'interessato e con applicazione delle sanzioni previste.
Il comma 6 interviene sui criteri di individuazione della ruralità degli immobili abitativi ai fini fiscali, richiedendo che il conduttore del terreno rivesta la qualifica di imprenditore agricolo. Il comma 7 prescrive che - ove in applicazione del comma 6 un fabbricato perda il carattere di ruralità - la variazione sia dichiarata al catasto entro il 30 giugno 2007, senza applicazione di sanzioni.
Il comma 8 dispone la riduzione dei trasferimenti erariali ai comuni in misura corrispondente al maggior gettito derivante in relazione all'imposta comunale sugli immobili dalle descritte disposizioni.
Su quest'ultimo aspetto le Commissioni hanno ritenuto di introdurre una modifica volta a garantire l'autonomia finanziaria degli enti locali. Tale modifica prevede infatti, in sostanza, che la riduzione dei trasferimenti erariali venga effettuata non sulla base del gettito effettivo, ma unicamente sulla base delle previsioni di gettito,


Pag. 89

garantendo l'afflusso al comune delle maggiori entrate che dovessero realizzarsi.
I commi 1 e 2 dell'articolo 5 prescrivono la revisione della rendita catastale attribuita agli immobili censiti nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9, qualora in essi siano compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, che presentino autonomia funzionale e reddituale. Il comma 3 rimette la determinazione delle modalità tecniche e operative a provvedimento del direttore dell'agenzia del territorio. Le nuove rendite catastali, dichiarate ovvero attribuite, producono effetto fiscale, in base al comma 4, a decorrere dal 1o gennaio 2007. Il comma 5 prevede che, nell'ipotesi in cui i contribuenti non procedano, entro i novanta giorni previsti, alla richiesta di revisione delle rendite degli immobili di categoria E, siano i comuni a promuovere la richiesta di aggiornamento dei dati catastali.
Il comma 6 rivaluta del 40 per cento il moltiplicatore da applicare alle rendite catastali dei fabbricati classificati nel gruppo B, relativo agli immobili per usi collettivi, per stabilire il valore minimo ai fini dell'imposta comunale sugli immobili, dell'imposta di registro, dell'imposta sulle successioni e le donazioni e delle connesse imposte ipotecarie e catastali.
Il comma 7 dispone infine che i trasferimenti erariali in favore dei comuni sono ridotti in misura pari al maggior gettito derivante dall'imposta comunale sugli immobili in conseguenza delle disposizioni del presente articolo 7. Anche in questo caso le Commissioni hanno ritenuto di introdurre la medesima clausola di garanzia per l'autonomia finanziaria dei comuni inserita nell'articolo 4.
La nuova formulazione dell'articolo 6 reintroduce l'imposta sulle successioni e sulle donazioni - soppressa dal 25 ottobre 2001 - ripristinando l'efficacia delle disposizioni contenute nel testo unico che ne disciplinava l'applicazione (decreto legislativo n. 346 del 1990), nel testo che risultava allora in vigore, comprendente quindi le modificazioni apportate dall'articolo 69 della legge n. 342 del 2000.
È tuttavia stabilita una specifica disciplina che riguarda segnatamente le aliquote d'imposta applicabili.
In particolare, ai trasferimenti di beni e diritti per causa di morte si applicano le seguenti aliquote: 4 per cento, sul valore complessivo eccedente un milione di euro per ciascun beneficiario, per i trasferimenti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta; 6 per cento per i trasferimenti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado; 8 per cento per i trasferimenti in favore di soggetti diversi dai precedenti.
Le aliquote precedentemente esistenti erano le stesse, ma si applicavano in ogni caso alla sola parte del valore della quota o del legato che superasse i 350 milioni di lire (pari a circa 180.760 euro).
Il limite di franchigia è stato quindi aumentato a un milione di euro, ma la sua applicabilità è stata ristretta soltanto al coniuge e ai parenti in linea retta. Il nuovo importo è quindi superiore anche a quello, più favorevole, di un miliardo di lire (pari a circa 516.457 euro), precedentemente stabilito nel caso in cui il beneficiario fosse un discendente in linea retta minore di età o affetto da grave minorazione fisica, psichica o sensoriale: non viene perciò previsto per questa ipotesi uno speciale limite di franchigia.
Per le donazioni e gli atti di trasferimento a titolo gratuito fra vivi, le aliquote sono invece così rideterminate: 4 per cento, sul valore complessivo eccedente un milione di euro, per i trasferimenti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta (in precedenza l'aliquota era il 3 per cento); 6 per cento per i trasferimenti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado (in precedenza l'aliquota era il 5 per cento); 8 per cento per i trasferimenti a favore di soggetti diversi dai precedenti.
In precedenza, le aliquote erano rispettivamente il 3, il 5 e il 7 per cento, da


Pag. 90

applicarsi esclusivamente sulla parte di valore della quota spettante a ciascun beneficiario che avesse superato i 350 milioni di lire.
Analogamente a quanto era già stabilito per l'imposta sulle successioni, si prevede che la misura degli importi esenti sia aggiornata, ogni quattro anni, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, tenendo conto dell'indice del costo della vita.
Vengono inoltre apportate alcune puntuali modificazioni al predetto testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni.
Sono abrogati: l'articolo 7, commi da 1 a 2-quater, che disciplinavano le aliquote applicabili per la determinazione dell'imposta sulle successioni (disciplina sostituita dalle nuove disposizioni sopra illustrate); l'articolo 12, commi 1-bis e 1-ter, i quali consentivano al titolare dei beni di corrispondere volontariamente l'imposta durante la vita, con aliquote ridotte di un punto rispetto alle ordinarie e con l'effetto di escludere tali beni dall'attivo ereditario; l'articolo 56, commi da 1 a 3, che disciplinavano le aliquote applicabili per la determinazione dell'imposta sulle donazioni (disciplina parimenti sostituita dalle nuove disposizioni sopra illustrate).
È inoltre abrogato l'articolo 13 della legge n. 383 del 2001, il quale sopprimeva l'imposta sulle successioni e sulle donazioni, assoggettando i trasferimenti a titolo gratuito fra vivi alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso, con applicazione delle aliquote previste alla parte di valore della quota eccedente l'importo di 350 milioni di lire per ciascun beneficiario.
La nuova disciplina si applica agli atti pubblici formati dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, agli atti pubblici a titolo gratuito fatti e alle scritture private non autenticate presentate per la registrazione dalla medesima data. Relativamente alle successioni, il termine è invece stabilito nel 3 ottobre 2006. Vengono fatti comunque salvi gli effetti prodotti dalle disposizioni dell'articolo 6, nel testo originario del decreto-legge, durante il periodo della sua provvisoria efficacia.
È disposto che una parte delle maggiori entrate derivanti dall'imposta così reintrodotta venga destinata a un fondo per finanziare interventi volti a elevare il livello di sicurezza dei trasporti pubblici, da istituirsi con la legge finanziaria. È stato altresì riformulato, nel corso dell'esame presso le Commissioni, l'articolo 7, segnatamente nella parte che concerne le tasse automobilistiche.
In particolare, sono state soppresse le agevolazioni previste per la sostituzione di veicoli esistenti con altri che producono minore quantità di emissioni inquinanti (commi da 1 a 4 e da 6 a 11). È stata altresì rettificata la formulazione del comma 5, precisandosi che la tassazione dei veicoli immatricolati nella categoria N1 (autoveicoli per il trasporto di merci con massa non superiore a 3,5 tonnellate), i quali abbiano quattro o più posti e una portata massima inferiore a 7 quintali, è eseguita in base alla potenza effettiva dei motori e non in ragione della portata. Con il comma 18-bis, introdotto nel corso dell'esame presso le Commissioni, sono stati inoltre aumentati gli importi della tassa automobilistica dovuta per il possesso di motocicli. Essa rimane infatti immutata per i motocicli che rientrino nei limiti di emissione euro 3, subisce invece incrementi in misura crescente secondo le caratteristiche del veicolo sotto l'aspetto ambientale. Per i motocicli euro 0 sono stabiliti gli importi massimi, così determinati: un importo fisso di euro 25 (invece che 19,11, come attualmente) per motori di potenza fino a 11 kilowatt, aumentato di euro 1,60 (invece che di 88 centesimi) per ogni ulteriore kilowatt di potenza. L'aumento di gettito derivante alle regioni (cui spettano i proventi della tassa automobilistica) è recuperato al bilancio dello Stato mediante corrispondente riduzione dei trasferimenti erariali (comma 18-ter).
Quanto alle rimanenti parti dell'articolo, i commi 12 e 13 riducono l'aliquota d'accisa applicata ai gas di petrolio liquefatti


Pag. 91

(GPL) usati come carburante e incrementano quella relativa al gasolio destinato al medesimo impiego.
Il comma 14 dispone in favore degli autotrasportatori il rimborso del maggior onere conseguente all'aumento dell'aliquota d'accisa sul gasolio disposta dal comma 13.
Il comma 15, rifinanzia gli interventi di promozione dell'utilizzo del metano del gas di petrolio liquefatto (GPL) per autotrazione, previsti dall'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 1997, n. 324 e successive modifiche, autorizzando a tal fine una spesa di 100 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009.
I commi da 16 a 18 consentono alle regioni di esentare dal pagamento della tassa automobilistica i veicoli a doppia alimentazione, alimentati anche a GPL e a metano, per cinque o sei annualità, secondo che si tratti di veicoli nuovi o convertiti successivamente l'immatricolazione. Con emendamento riferito al comma 16 è stata confermata l'applicabilità delle agevolazioni eventualmente già disposte da leggi regionali per i veicoli a doppia alimentazione.
Il comma 19 reca alcune modifiche alle disposizioni in materia di tassa ipotecaria, incrementandone gli importi e prevedendo che con le risorse derivanti da tali modifiche venga istituito un fondo per finanziare il trasferimento delle funzioni catastali ai comuni. Il comma 20 prevede che le maggiori entrate derivanti dall'applicazione dei commi 19 e 21 siano destinate alla costituzione di un fondo presso il Ministero dell'economia per finanziare le attività connesse al conferimento ai comuni delle funzioni catastali. Tale quota è stata tuttavia ridotta di 12 milioni di euro per l'anno 2006 e di 10 milioni per l'anno 2007, mentre è accresciuta di 10 milioni di euro per l'anno 2008.
Il comma 21 modifica il regime dei tributi speciali catastali; il comma 22 prevede inoltre che le consultazioni catastali, per le quali viene soppressa la previsione del tributo speciale, siano eseguite secondo le modalità stabilite con provvedimento del direttore dell'Agenzia del territorio.
Il comma 23 proroga al 31 dicembre 2006 il termine, attualmente previsto al 31 ottobre 2006, per l'adeguamento dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime. Giova ricordare che il disegno di legge finanziaria ridisciplina i criteri per la loro determinazione, abrogando le disposizioni che prescrivevano tale adeguamento.
Il comma 24 differisce al 31 dicembre di ciascun anno il termine entro il quale debbono essere pubblicate le deliberazioni regionali che aumentano l'aliquota di compartecipazione dell'addizionale regionale all'imposta sui redditi delle persone fisiche per l'anno successivo.
Il comma 25 modifica in senso restrittivo il regime di deducibilità dei costi relativi ai mezzi di trasporto aziendali, intervenendo sugli articoli 164 e 51 del testo unico delle imposte sui redditi. Si sopprime totalmente la possibilità di deduzione delle spese relative ai mezzi dati in uso promiscuo ai dipendenti dal reddito d'impresa d'arte o professione, prevedendone la sola deducibilità nei limiti in cui l'uso costituisca per essi reddito di lavoro (cosiddetto fringe benefit); si sopprime poi totalmente la possibilità di dedurre i costi dei veicoli aziendali destinati al trasporto di persone utilizzati nell'esercizio d'impresa ma che non rientrino tra quelli strumentali, e infine si riduce dal 50 al 25 la percentuale di deduzione consentita per i veicoli utilizzati dai professionisti. Il comma 26 dispone l'efficacia delle nuove disposizioni dal periodo d'imposta in corso, con eccezione per la determinazione degli acconti. Con emendamento approvato presso le Commissioni si è rimessa altresì a decreto ministeriale la facoltà di modificare le predette misure, tenendo conto dei rispettivi effetti economici, nel caso in cui venga accordata dall'Unione europea la possibilità di stabilire una percentuale ridotta di detraibilità dell'IVA riferita ai medesimi veicoli (a seguito della nota sentenza della Corte di giustizia delle


Pag. 92

Comunità europee che ha ritenuto illegittima la misura di indetraibilità finora applicata nell'ordinamento italiano).
Il comma 27 riduce l'aliquota d'accisa sul gas metano utilizzato nel settore della distribuzione commerciale, da 173,307 euro per mille mc a 12,498 euro per mille mc. L'articolo 8 sospende, fino al 31 dicembre 2006, l'applicazione della nuova disciplina sui meccanismi per la concessione degli incentivi alle imprese, introdotta dal decreto-legge n. 35 del 2005, agli strumenti della programmazione negoziata. Saranno per conseguenza revocate e riesaminate dal Ministero per lo sviluppo economico le proposte di contratti di programma già approvate dal CIPE in base alla disciplina sospesa. Le relative risorse, unitamente a quelle rese disponibili a seguito della tardiva entrata in funzione del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti alla ricerca, sono destinate a provvedere agli oneri derivanti dai contratti di programma rimasti privi di copertura finanziaria a seguito delle decurtazioni operate dalla legge finanziaria per il 2006.
Nel corso dell'esame presso le Commissioni è stato aggiunto un comma volto a consentire il completamento di iniziative imprenditoriali già avviate nell'ambito degli strumenti della programmazione negoziata.
L'articolo 9 stabilisce che sia il Dipartimento del tesoro, anziché l'Agenzia del demanio, a richiedere anticipazioni di tesoreria alla Ragioneria generale dello Stato per consentire il tempestivo pagamento dei canoni degli immobili ad uso governativo di proprietà dei fondi comuni di investimento immobiliare, disciplinati dall'articolo 4 del decreto-legge n. 351 del 2001.
È stato soppresso l'articolo 10, il quale introduceva nuove disposizioni volte a ridefinire la procedura per l'alienazione del patrimonio immobiliare della società Poste italiane SpA non strumentale all'esercizio del servizio postale, di fatto consentendo che tali beni potessero essere sottratti all'ordinaria procedura di cartolarizzazione prevista dallo stesso decreto-legge n. 351 del 2001.
L'articolo 11 modifica le procedure per l'alienazione di alcuni tipi di immobili della società Ferrovie dello Stato SpA, in particolare specificando che l'alienazione dei beni immobili di proprietà delle Ferrovie dello Stato può essere disposta, oltre che dalla società medesima, dalle società da essa interamente controllate, direttamente o indirettamente.
L'articolo 12, modificato rispetto al testo originario a seguito dell'approvazione di un emendamento del Governo, reca un insieme di disposizioni volte ad articolare e meglio definire funzioni e poteri dell'ANAS quale soggetto concedente nei rapporti con le società concessionarie autostradali. A tal fine, esso introduce lo strumento della «convenzione unica» (disciplinato dai commi 1, 2, 3, 6 e 7), cui dovranno conformarsi le attuali concessioni autostradali sin dalla prossima revisione o in occasione dell'aggiornamento del piano finanziario. La disposizione detta, inoltre, i princìpi cui debbono essere adeguate le clausole convenzionali, e fa conseguire al mancato perfezionamento della convenzione nei termini indicati l'estinzione del rapporto concessorio.
Su tale disciplina, come si è detto, è intervenuto il richiamato emendamento del Governo, allo scopo di superarne gli aspetti più problematici, segnalati anche dall'opposizione, relativi in particolare alla compatibilità tra il nuovo strumento introdotto e il carattere negoziale del rapporto concessorio.
Tra le modifiche apportate su tale emendamento, ci si limita a segnalare la previsione del coinvolgimento di una pluralità di soggetti nella redazione degli schemi di convenzione unica e la sottoposizione dei medesimi schemi al parere delle Commissioni parlamentari (anche per le conseguenze di carattere finanziario), nonché l'affermazione del principio - ispirato alla più recente giurisprudenza amministrativa in materia - della subordinazione del riconoscimento degli adeguamenti tariffari, dovuti per investimenti


Pag. 93

programmati del piano finanziario, all'effettiva realizzazione dei medesimi, accertata dal concedente.
A seguito dell'approvazione dell'emendamento del Governo, è stato modificato anche il comma 4, relativo agli obblighi a carico dei concessionari. In particolare, è stata soppressa la norma la quale escludeva che operatori del settore delle costruzioni potessero esercitare diritti di voto per la nomina degli amministratori, in una misura eccedente il limite del 5 per cento del capitale sociale, ed è stato esplicitamente disposto, in accordo con le posizioni comunitarie, che venga meno l'efficacia della deliberazione del Consiglio dei ministri del 16 maggio 1997, con cui era stato vietato ai soggetti operanti in prevalenza nei settori delle costruzioni e della mobilità di partecipare all'azionariato stabile della società Autostrade SpA.
Gli altri commi dell'articolo 12 riguardano rispettivamente i compiti attribuiti all'ANAS circa la vigilanza sull'esecuzione dei lavori per la costruzione delle opere date in concessione e circa i controlli sulla gestione delle autostrade il cui esercizio sia stato dato in concessione (comma 5), e la procedura di comunicazione delle variazioni tariffarie (comma 8).
L'articolo 13 disciplina le operazioni di dragaggio nei siti che sono oggetto di interventi di bonifica d'interesse nazionale, il cui perimetro comprenda in tutto o in parte la circoscrizione di un'autorità portuale. In particolare, è introdotta la possibilità di svolgere le operazioni di dragaggio anche nelle more dell'attività di bonifica e sono contestualmente dettate misure dirette ad evitare che tali operazioni possano pregiudicare la futura bonifica del sito. Sono inoltre modificate le competenze del presidente dell'autorità portuale in ordine al mantenimento e approfondimento dei fondali nei porti.
L'articolo 14 modifica l'assetto azionario della società Stretto di Messina SpA, eliminando il vincolo della partecipazione azionaria diretta o indiretta da parte dell'Istituto per la ricostruzione industriale e prevedendo che al capitale sociale partecipino Anas SpA, le regioni Sicilia e Calabria, nonché altre società controllate dallo Stato e amministrazioni ed enti pubblici.
Le risorse finanziarie liberatesi in seguito al disimpegno di Fintecna SpA nei confronti della Stretto di Messina SpA saranno destinate, in virtù di una modifica apportata nel corso dell'esame in sede referente, per il 90 per cento alla realizzazione di infrastrutture e per la restante parte alla tutela dell'ambiente, con interventi da effettuarsi per il 70 per cento in Sicilia e per il 30 per cento in Calabria.
L'articolo 15, anch'esso modificato nel corso dell'esame presso le Commissioni, ridisciplina l'organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali e incardina presso la Presidenza del Consiglio il Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo.
L'articolo 16 autorizza il Ministero per i beni e le attività culturali, in deroga al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego disposto dalla legge finanziaria per il 2005, ad avviare concorsi per il reclutamento di quaranta dirigenti di seconda fascia.
L'articolo 17 estende al 2007 le disposizioni relative al funzionamento della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo (ARCUS SpA) in materia di programmazione e gestione della quota degli stanziamenti per infrastrutture, destinata alla spesa per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali, tra cui è stato inserito - con emendamento approvato dalle Commissioni - il Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee.
L'articolo 18 rinvia al 2010 l'applicazione delle norme generali sul finanziamento delle fondazioni lirico-sinfoniche alla Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatro di Bari; dispone l'espropriazione dell'immobile a favore del comune di Bari e assegna al Ministero per i beni e le attività culturali un contributo straordinario per il completamento dei lavori di ristrutturazione.


Pag. 94


L'articolo 19, modificato nel corso dell'esame in sede referente, disciplina l'indennità di carica spettante agli organi degli enti parco.
L'articolo 20 modifica l'assetto organizzativo dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT) ridefinendone organi e funzioni e prevedendo l'emanazione di un nuovo statuto.
L'articolo 21 interviene sulla disciplina dell'organizzazione dell'attività ispettiva in materia di previdenza sociale e di lavoro, provvedendo a stabilizzare e rafforzare la funzione della Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza, a modificare la composizione della medesima Commissione, al fine di valorizzare nella stessa il ruolo dell'Arma dei carabinieri, e a modificare la disciplina del diritto d'interpello.
L'articolo 22 semplifica la procedura di rivalutazione delle rendite erogate dall'INAIL a seguito di infortuni.
L'articolo 23 reca disposizioni volte ad agevolare il pagamento dei contributi o premi previdenziali e assistenziali da parte degli allevatori, delle imprese e dei commercianti, entrati in crisi in seguito al possibile sviluppo in Italia dell'influenza aviaria.
L'articolo 24 autorizza il Governo al riordino e alla semplificazione, in via regolamentare, della disciplina concernente i contributi e le provvidenze per le imprese editrici di quotidiani e periodici nonché di quelle radiofoniche e televisive, individuando specificamente gli obiettivi del riordino.
L'articolo 25 aggiunge tra le indicazioni obbligatorie da inserire negli stampati la dichiarazione relativa alla circostanza che la testata fruisce di contributi statali diretti.
Nel corso dell'esame in Commissione si è invece addivenuti alla soppressione dell'articolo 26, in materia di erogazione dei contributi diretti all'editoria e alla imprese radiofoniche e televisive e di requisiti per l'accesso ai contributi a favore delle emittenti radiofoniche organi di partiti politici, e dell'articolo 27, concernente la diffusione di messaggi istituzionali, di utilità sociale o di pubblico interesse.
L'articolo 28 reca alcune norme restrittive sull'ammontare dei contributi concessi alle imprese di radiodiffusione sonora, l'articolo 29 riguarda l'erogazione dei contributi diretti alle imprese editrici, l'articolo 30 apporta alcune modifiche alle norme introdotte dalla legge finanziaria per il 2006, ancora in materia di contributi all'editoria. L'articolo 31 reca disposizioni sulle convenzioni aggiuntive tra il Ministero delle comunicazioni e la RAI per la concessione in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo.
Le Commissioni hanno altresì soppresso l'articolo 32, che introduceva un compenso per la riproduzione di articoli di riviste e giornali, e inserito invece l'articolo 32-bis, che, al fine adeguare il diritto interno all'ordinamento comunitario, istituisce il Fondo per il diritto di prestito pubblico.
L'articolo 33 dispone che le somme ancora dovute alla società Poste Italiane SpA in relazione alle tariffe postali agevolate per l'editoria siano rimborsate con una rateizzazione di dieci anni.
L'articolo 34 reca modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche in materia di sanzioni amministrative per violazioni delle disposizioni in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico.
L'articolo 35 provvede alla riorganizzazione del Ministero dell'università e della ricerca.
L'articolo 36 istituisce l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), con personalità giuridica di diritto pubblico, al fine di razionalizzare il sistema di valutazione delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici. Nel corso dell'esame in sede referente è stata introdotta una disposizione finalizzata al riordino degli enti pubblici nazionali di ricerca a carattere non strumentale.
L'articolo 37 interviene sulla durata delle scuole di specializzazione per le


Pag. 95

professioni legali, sul riconoscimento di crediti formativi ai dipendenti pubblici da parte delle università, nonché sulla disciplina delle università telematiche.
L'articolo 38 prevede l'avvio di procedure ad evidenza pubblica, da parte degli enti pubblici, per l'individuazione di società alle quali affidare servizi di verifica e controllo e interventi finalizzati a riduzioni di costi di acquisto dell'energia, sia termica che elettrica. Viene altresì previsto che il corrispettivo delle società assegnatarie derivi esclusivamente dalla vendita di eventuali titoli di efficienza energetica rilasciati in conseguenza dell'attività svolta.
L'articolo 39 individua l'Ufficio centrale antifrode dei mezzi di pagamento presso il Ministero dell'economia come autorità nazionale competente a raccogliere le informazioni relative alle banconote false e le monete false e all'identificazione dei sospetti casi di falsità, disponendo altresì uno stanziamento aggiuntivo di spesa per gli ulteriori compiti attribuiti dalla legge n. 166 del 2005.
L'articolo 40 stabilisce un limite massimo delle strutture di missione presso la Presidenza del Consiglio, pari alla durata del Governo che le ha istituite, consente di ridefinire le finalità delle strutture già operanti e prevede la possibilità di istituire unità di coordinamento interdipartimentale presso la Presidenza del Consiglio. È altresì prevista la costituzione di una nuova struttura interdisciplinare, presso il Dipartimento per l'attuazione del programma di Governo, per il controllo del rispetto dei princìpi di invarianza e contenimento degli oneri connessi al decreto-legge n. 181 del 2006, che ha disposto la riorganizzazione dei Ministeri. L'articolo modifica infine la composizione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), includendo, tra i ministri che lo compongono, il ministro dell'università e della ricerca e il ministro della pubblica istruzione.
I commi da 1 a 3 dell'articolo 41 estendono l'ambito di applicazione dell'articolo 19, comma 8, del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai sensi del quale gli incarichi dirigenziali di vertice nelle amministrazioni dello Stato cessano automaticamente decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al nuovo Governo. Tale disposizione è estesa agli incarichi di funzione dirigenziale conferiti a personale esterno, nonché ai direttori delle Agenzie, incluse le Agenzie fiscali.
In proposito, con un emendamento approvato dalle Commissioni, si è inteso precisare che sono comunque fatti salvi gli effetti economici dei contratti in essere per incarichi dirigenziali stipulati con soggetti non dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Al fine di garantire l'invarianza della spesa, si è altresì prescritto di rendere indisponibile un numero di incarichi dirigenziali corrispondente sul piano finanziario.
Il comma 4 dello stesso articolo 41 prevede l'applicazione della normativa generale sulle nomine anche all'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Le Commissioni hanno inoltre soppresso l'articolo 42, il quale prevedeva la soppressione dell'Osservatorio sui bisogni di formazione e qualificazione del personale delle amministrazioni pubbliche, nonché la chiusura della sede di Acireale della Scuola superiore della pubblica amministrazione. Su tale aspetto infatti sia le forze della maggioranza, sia quelle dell'opposizione hanno convenuto circa l'opportunità che simili strutture, atte a garantire la modernizzazione delle pubbliche amministrazioni, continuino ad operare.
L'articolo 43 stabilisce che il Dipartimento della funzione pubblica predisponga, entro il 31 dicembre 2006, un piano per il miglioramento della qualità dei servizi resi dalla pubblica amministrazione e dai gestori di servizi pubblici.
L'articolo 44 apporta modifiche al nuovo codice della strada in materia di patente a punti e di confisca dei ciclomotori. In particolare, i commi 1 e 2 recano disposizioni in materia di patente a punti, al fine di adeguare la normativa alla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 2005, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, nella parte in cui disponeva la


Pag. 96

decurtazione del punteggio a carico del proprietario del veicolo, ove questi non avesse comunicato i dati del conducente al momento della commessa violazione.
Il comma 3 modifica l'articolo 97 del codice della strada, relativo alla circolazione dei ciclomotori: in primo luogo, viene specificato che la sanzione amministrativa, ivi prevista al comma 7 per chi circola con un ciclomotore per il quale non è stato rilasciato il certificato di circolazione, si applica solo nel caso in cui sia obbligatorio detto certificato; in secondo luogo, viene introdotta la sanzione amministrativa accessoria del fermo, in luogo della sanzione della confisca, nel caso di circolazione con un ciclomotore i cui organi di propulsione siano stati manomessi, che sviluppi una velocità superiore a quella consentita (pari a 45 km/h su strada orizzontale) o che non risponda alle caratteristiche indicate nella carta di circolazione. Il comma 4 modifica l'articolo 170 del codice della strada relativo al trasporto di persone e di oggetti sui veicoli a motore a due ruote, estendendo la sanzione accessoria del fermo amministrativo anche ai casi in cui la violazione sia stata commessa da persona maggiorenne e innalzando a sessanta giorni (in luogo dei trenta, originariamente previsti) il periodo del fermo amministrativo, con prolungamento a novanta giorni nel caso in cui nel corso di un biennio la violazione sia stata commessa con un ciclomotore o con un motociclo per almeno due volte.
Su proposta del Governo, le Commissioni hanno inoltre introdotto nell'articolo misure atte a garantire il fermo amministrativo del veicolo, con spese di custodia a carico del proprietario, quando, nel corso di un biennio sia stata commessa, per almeno due volte, con un ciclomotore o un motociclo una violazione dell'obbligo di indossare il casco. Inoltre è stata introdotta la confisca del veicolo nei casi in cui il ciclomotore o il motoveicolo sia stato utilizzato per commettere un reato.
L'articolo 45 prevede la soppressione del Registro italiano dighe (RID) e il conseguente trasferimento dei relativi compiti e attribuzioni al Ministero delle infrastrutture. La norma demanda lo svolgimento di tali funzioni ad articolazioni amministrative del Ministero da individuarsi con successivo regolamento.
L'articolo 46 modifica l'articolo 29, comma 4, del decreto-legge n. 223 del 2006 - che reca misure volte alla razionalizzazione degli organismi pubblici, nell'ottica della riduzione della spesa - prorogando da centoventi a centottanta giorni dall'entrata in vigore del medesimo decreto-legge il termine decorso il quale gli organismi pubblici non riordinati ai sensi dell'articolo 29 sono soppressi.
L'articolo 47 reca la norma di copertura finanziaria. È stato infine introdotto un articolo 47-bis, volto a garantire il rispetto dell'autonomia riconosciuta alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano.
I relatori raccomandano all'Assemblea l'approvazione del presente disegno di legge, nel testo modificato dalle Commissioni, secondo quanto finora esposto.

INTERVENTI DEI DEPUTATI GASPARE GIUDICE E ALBERTO FILIPPI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1750

GASPARE GIUDICE. Onorevoli colleghi, la disgregazione della coalizione di governo e la confusione della sua politica si riflettono nel testo di questo decreto-legge. Il Governo presenta un decreto omnibus che non presenta alcuna ragione unificante, concorre alla manovra in misura minima rispetto alle dimensioni cospicue dell'articolato e contiene per il resto materiali di scarto di una finanziaria già di per sé assai scadente.
Se si considera l'insieme costituito dal disegno di legge finanziaria e da questo decreto-legge, non può certo stupire il severo giudizio espresso ieri dalle agenzie internazionali di rating, che evidentemente guarda più agli aspetti qualitativi che a quelli meramente quantitativi di questa manovra. Fa invece impressione chi fa


Pag. 97

finta di non capire che oggetto del giudizio è proprio questa manovra di bilancio.
Si tratta per una parte di alcuni interventi variegati nelle più diverse direzioni che non corrispondono ad alcuna strategia o linea, ma alle diverse anime e finalità di questo Governo, e che appaiono al resto del paese, incluse parti della stessa maggioranza, assai discutibili. Per il resto, si tratta di un ammasso di norme secondarie e frammentarie.
Le agenzie sanzionano non solo la qualità troppo bassa dei provvedimenti di bilancio, ma anche la manifesta insufficienza della complessiva politica legislativa di questo Governo, che risalta se si ricorda la squillante partenza del Governo Berlusconi e dei provvedimenti dei suoi primi cento giorni.
Alcuni dati appaiono particolarmente eloquenti.
Il primo semestre della legislatura volge ormai al termine e il Parlamento ha approvato in tutto tredici leggi, otto delle quali di conversione di decreti-legge.
Credo si tratti di un triste primato, aggravato dal fatto che i provvedimenti d'urgenza concernono interventi eterogenei e frammentari associati a questioni di primaria rilevanza politica.
Anche questo ultimo decreto-legge, che concorre alla manovra di finanza pubblica, investe al tempo stesso temi eccessivi di grande rilevanza economico-sociale insieme a normative del tutto secondarie e occasionali.
Il Comitato per la legislazione, cui mi onoro di appartenere, ha sottolineato il contenuto troppo variegato e complesso e la estrema varietà degli eterogenei ambiti normativi su cui incide.
Dalla complessità del contenuto deriva il fatto che, durante l'esame presso le Commissioni riunite V e VI, i temi procedurali hanno nettamente prevalso sulla discussione di merito.
Le procedure parlamentari sono messe alla prova da provvedimenti così scombiccherati e non reggono l'urto.
Si è manifestata una estrema difficoltà nell'applicare le regole relative all'ammissibilità degli emendamenti fino a giungere ad una completa impasse.
Per diverse giornate le Commissioni sono state paralizzate, in attesa di conoscere gli emendamenti dichiarati inammissibili.
La declaratoria di inammissibilità, quando è finalmente giunta, ha poi aperto un'altra fase altrettanto lunga di richieste di revisione dei giudizi di inammissibilità, dato che il testo del decreto - sul quale non si esercita alcun sindacato di contenuto da parte delle Camere - conteneva norme del tutto analoghe a quelle dichiarate inammissibili.
Il lavoro delle Commissioni ne ha risentito ed è stata anzi del tutto compromessa la possibilità di un vero esame collegiale.
Si è proceduto a singhiozzo, con continue pause e sospensioni dei lavori, seguiti da infiniti ritardi nella ripresa delle sedute rispetto agli orari annunciati. Il confronto tra maggioranza e opposizione si è quindi ridotto al minimo, mentre la maggioranza da sola nel backstage cercava di sciogliere i suoi infiniti contrasti e diatribe.
Si è quindi verificata una sorta di totale impantanamento del lavoro nelle Commissioni riunite.
Dopo tutto ciò, in Assemblea si prospetta lo spettro della posizione, per la terza volta, della questione di fiducia, che finirebbe di esautorare completamente, anche in questa occasione, il ruolo della Camera, in aggiunta a quanto avviene quotidianamente al Senato.
Si rischia infatti di registrare un ulteriore salto di qualità nelle dimensioni del fenomeno che non può non suscitare altissimi motivi di preoccupazione. Un simile modo di operare accumula una molteplicità di distorsioni e sotto questo aspetto segna un netto peggioramento anche rispetto ai peggiori esempi del passato.
Più di tutto preoccupano le caratteristiche di regolarità del fenomeno. Tutto al contrario di quella eccezionalità in cui spera il Presidente della Camera.


Pag. 98


Si vuole superare in via permanente - attraverso una voluta e sistematica distorsione della prassi legislativa - la precarietà della maggioranza.
Il concorso di questi fattori rischia di esautorare completamente l'intera istituzione parlamentare e l'insieme delle procedure contro tutto l'assetto della Costituzione e ben al di là dei peggiori timori e dei falsi allarmi suscitati dalla parte avversa alla riforma costituzionale del centro-destra.
Sono consapevole che se si guarda a singoli episodi una simile prassi non nasce con questo Governo, ma è l'insieme degli elementi che costituisce il fatto nuovo.
Rispetto a questo insieme, acquistano un significato assai forte alcune prese di posizione dei Presidenti delle Camere e dello stesso Presidente della Repubblica.
Non sono neppure mancati alcuni, per il momento isolati, passaggi parlamentari che testimoniano la disponibilità di altri esponenti della maggioranza e del Governo ad affrontare concretamente le questioni che ho sollevato.
Sicuramente, ho avuto modo di apprezzare gli impegni assunti prima dell'estate in prima Commissione dal presidente Violante, come anche dal ministro Chiti nel corso di una audizione, improntati all'esigenza di dare risposta alle problematiche inerenti la produzione normativa di origine governativa. E devo dare atto al Governo di aver accolto, in relazione al decreto-legge mille-proroghe, gli ordini del giorno (votati in modo quasi unanime), presentati dal sottoscritto, dal presidente del Comitato per la legislazione, onorevole Russo, e da altri colleghi, che richiamavano l'Esecutivo ad un uso più congruo della decretazione d'urgenza e della propria potestà legislativa.
Ma ciò rischia di restare un desiderio velleitario, se non si accompagna ad una precisa azione per rimuovere le cause e i calcoli politici che sono alla base di questo comportamento in funzione di precise convenienze che sacrificano l'essenza della istituzione parlamentare.
Avremmo auspicato, dopo la pausa estiva, che il ministro Chiti - e con lui tutto il Governo - dimostrassero la capacità di resistere alle pressioni per tener fede all'impegno assunto accettando questi ordini del giorno. Al momento, invece, non è così.
Nel frattempo, questo decreto-legge all'esame dell'Assemblea, anche se non contiene deleghe, come precedenti disegni di legge di conversione, aggrava tutte le preoccupazioni cui facevo riferimento in ordine alla tutela della posizione costituzionale della Camera dei deputati e delle prerogative politiche dei gruppi parlamentari e dei singoli deputati.
Basta dire che contiene una delega palesemente e dunque dolosamente mascherata: così appare l'articolo 24, che demanda ad un regolamento di delegificazione il riordino e la semplificazione della disciplina concernente i contributi e le provvidenze per le imprese editrici di quotidiani e periodici.
Una materia di altissima rilevanza politica che incide su aspetti di diretta attuazione dell'articolo 21 della Costituzione.
Su questo punto mi è sufficiente rimandare ai rilievi formulati nel parere unanime del Comitato per la legislazione.
Questo decreto non mostra alcuna considerazione per le regole minime che presiedono al corretto svolgimento dell'attività di produzione normativa e volte a rendere il testo conforme alle regole elementari di una corretta legislazione. Regole che non sono vacui tecnicismi, come forse qualcuno ritiene, ma che hanno una fondamentale valenza democratica. Esse assicurano la certezza del diritto e consentono la fruibilità del testo da parte dei destinatari, cioè i cittadini tutti, che sono le prime vittime di una cattiva legislazione.
Mi permetto di fare simili affermazioni anche in qualità di vicepresidente del Comitato della legislazione, che in questa occasione, potendo finalmente contare sul fatto che il decreto fosse presentato in prima lettura alla Camera, ha potuto non abdicare del tutto al proprio ruolo, come è stato costretto a fare in passato sui testi dei decreti presentati in prima lettura al Senato e regolarmente trasmessi dal Senato


Pag. 99

in condizioni di non modificabilità. I rilievi formulati sono tanti ed alcuni di estremo rilievo.
Sono state formulate quattro condizioni e quattro osservazioni, che costituiscono un record in questa legislatura, che si sono in parte tradotte in emendamenti accolti. Ma quando i problemi sono così di fondo, come in questo decreto, non solo il Comitato, ma l'intera Camera è impotente, come si può notare nello sconforto di molti esponenti della maggioranza di fronte ad un provvedimento del genere, composto di ben 48 articoli, riguardanti gli argomenti più disparati. Anche l'attività emendativa svolta in tempi così ristretti è altrettanta dispersa e occasionale .
È invece da ripensare, come ho avuto già modo di dire, l'uso della decretazione d'urgenza, soprattutto nel contesto della sessione di bilancio . Inoltre, occorre porre fine al più presto alla condizione estrema in cui la conversione di decreti-legge è quasi l'unica attività del Parlamento. Così l'intero Parlamento si trasforma in una corsia preferenziale per il Governo!.
Altri colleghi sono entrati nel merito delle diverse parti del decreto. A me preme segnalare quanto gravi siano i problemi di metodo e forma della legislazione riscontrati nei pochissimi provvedimenti esaminati in questa legislatura.
Si è di fronte ad un quadro allarmante di una produzione legislativa al di sotto di qualsiasi standard e lontanissima dai principi e dalle regole basilari per rendere più armonioso il nostro ordinamento.
I pareri del Comitato su tutti i provvedimenti fin qui esaminati sono di identico tenore: tutti attengono ad un modo di legiferare sempre più impetuoso e disordinato, privo di meditazione e razionalità. Impetuoso per come nasce e per come si sottopongono gli atti appena adottati a continue vorticose modifiche, che tolgono certezza agli operatori; lo stesso Governo fa e disfa continuamente quello che ha fatto.
Il disordine regna e dilaga perché si raccolgono in provvedimenti omnibus disposizioni afferenti a più settori, peraltro senza assicurare il necessario coordinamento.
Sono certo che nella legge finanziaria vi saranno nuove norme che correggeranno quelle del decreto-legge oggi in esame e poi si farà anche un nuovo decreto-legge per rimediare agli errori e alla continuazione degli errori che questo metodo di legiferare induce.
Tutti questi aspetti sono sintomatici di un modo patologico di legiferare, che si ripete in questa legislatura in ogni testo di iniziativa governativa spesso anche senza ragioni politiche, solo come espressione di disattenzione e incuria verso le regole di una corretta tecnica di produzione normativa.
A tutto questo si può porre rimedio soltanto restituendo effettività alle norme della Costituzione e del nostro regolamento, che resta un punto molto avanzato nel panorama nazionale: all'articolo 79, sull'istruttoria legislativa nelle Commissioni, all'articolo 16-bis, sul ruolo del Comitato. Ma soprattutto, occorre richiamare il Governo - protagonista oramai assoluto dell'iniziativa e dell'intero processo di produzione normativa - ad un maggiore rispetto del Parlamento e, quindi, dei cittadini.

ALBERTO FILIPPI. Signor Presidente, di solito si cerca di iniziare un intervento con l'intento di convincere chi ascolta che chi parla ha ragione e che gli altri hanno torto; mai come in questa occasione mi sento agevolato in questo gradito compito.
Io sono alla prima esperienza parlamentare, tuttavia mi sto già facendo un'idea di come stiano andando qui le cose: per giorni in Commissione bilancio, nonostante la grande volontà del comunque ottimo presidente Duilio, tra ritardi, quarti d'ora accademici della durata di quasi un'ora, televisioni sintonizzate sulla partita della Roma in pieno «lavoro» della Commissione poi finalmente oscurate dal capogruppo leghista onorevole Garavaglia, tra la compilazione da terza classe dell'asilo nido di Caselline coi pareri del relatore e del Governo, ci siamo ritrovati,


Pag. 100

dopo un forcing di molti giorni nei quali non si è prodotto quasi nulla, alle ore 12 circa di giovedì, a iniziare la vera discussione sugli emendamenti con la relativa votazione in Commissione. Nel frattempo l'Italia intera tra sentimenti di disperazione e incredulità prendeva atto, una volta ancora, di quale fosse la faccia di questa maggioranza e di questo Governo; da tutti i sondaggi ma anche semplicemente stando tra la gente, emerge un crollo di consensi per questa sinistra che in poco tempo sta distruggendo il paese che, neanche a farlo apposta, vede in queste ore tagliato il rating da AA ad A+: e si trova declassato ed equiparato alla Grecia che in compenso produce meno del mio Tri-Veneto; vorrei allora riassumere in pillole il percorso di questo inizio legislatura sì da evidenziare qual è la faccia senza trucco di questo Governo e chi è dunque questa maggioranza.
Siete coloro che hanno iniziato la legislatura proponendo lo spacchettamento, 102 membri governativi, record di sedie e di costi della politica, unica colla per iniziare a tenere unita questa maggioranza; eppure in campagna elettorale avevate promesso di moralizzare il sistema e abbassare i costi della politica. Siete coloro che hanno dato vita all'indulto liberando assassini e delinquenti tra la gente, ma in campagna elettorale avete promesso più sicurezza, più tutela per Abele....
Siete coloro che poi con la Visco-Bersani hanno iniziato a mettere le mani nelle tasche degli italiani non solo alzando le tasse, ma aumentando la burocrazia e complicando il modo di pagare le stesse, ma Prodi aveva giurato «non aumenteremo le tasse e vi semplificheremo la vita»!
Siete coloro che poi, con la scusa della legge comunitaria, hanno interpretato il diritto d'asilo: esattamente come fa un sarto con un vestito su misura, avete legiferato allo stesso modo su misura, allargando le maglie per regolarizzare in Italia chi regolare non sarebbe stato, evitando le regole della Bossi-Fini.
Siete coloro che hanno tolto di notte le bandiere della pace dalle finestre degli italiani e con la coerenza che non vi contraddistingue siete sbarcati in Medio Oriente, esattamente come avevate promesso di non fare in campagna elettorale.
Siete coloro che oggi ci propongono il decreto sulla finanziaria, e intanto fuori di qui l'Italia insorge. Bene, la Lega Nord, contraria e non favorevole ad alcuno dei provvedimenti rossi, insorge insieme alla gente nelle piazze: sabato, proprio nella mia Vicenza saremo in tanti, ma soprattutto saremo sostenuti anche da quelli che non potranno venire ma che saranno pronti a scendere nelle piazze a loro più vicine. In questo modo presto ci saremo tutti, e noi parlamentari in prima linea faremo lotta dura, anche qui, anche senza i numeri sufficienti. Ora i numeri però li abbiamo tra la gente, li abbiamo nelle piazze, li abbiamo tra chi lavora e crea il PIL. Ma torniamo al decreto: troppi i punti di forte dissenso contenuti in questo provvedimento; mi soffermo su due argomenti capaci da soli di descrivere la personalità di chi oggi governa anzi dovrebbe governare l'Italia. Innanzitutto l'articolo 1, comma 8, ribattezzato «lo scontrino!». Siccome secondo voi e secondo il vice-ministro Visco le categorie produttive evadono sempre, parole queste personalmente ascoltate e che trovate verbalizzate nell' audizione svolta in Commissione finanze, avete pensato bene di criminalizzare chi lavora, chi crea il PIL, chi si alza alla mattina e rischia il piccolo capitale frutto di sacrifici di una vita intera, e oggi stando alla proposta del Governo, sarebbe bastato uno scontrino non emesso per dichiarare la pena di morte per l'azienda. Sì, la pena di morte, perché dopo aver liberato assassini, delinquenti e stupratori, avete deciso di mettere i sigilli alle categorie produttive piccole e medie per uno o due scontrini non emessi, se dovesse passare l'emendamento proposto. Chi lavora viene condannato in quest'Italia di Prodi, mentre chi delinque viene salvato! È questo un percorso già avviato all'epoca del decreto Bersani ad inizio estate, provvedimento con il quale è stata imposta la tracciabilità dei pagamenti, in base al quale, per aprire una partita IVA, occorre prima presentare


Pag. 101

all'Agenzia delle entrate il DNA dell'azienda, e chi non paga l'IVA per oltre 50 mila euro viene messo in galera.
Di tristezza in tristezza, mi corre l'obbligo soffermarmi sull'articolo 6: la tassa di successione. Non è solo una tassa odiosa per la famiglia, va evidenziato che incide sul passaggio generazionale proprio delle PMI. Infatti il padre di famiglia che cerca di agevolare il passaggio generazionale in bottega o nell'azienda di famiglia non solo non è agevolato come imporrebbe la Comunità europea, tanto amata da Prodi, ma si trova a dover pagare oltre al prezzo e al rischio dell'inserimento, anche una tassa rossa! L'Europa, vedendo e constatando che esiste il rischio, durante il passaggio generazionale, di veder morire molte aziende soprattutto quelle medio-piccole legate all'abilità dell'imprenditore, ha deciso di agevolare il passaggio di padre in figlio con norme incentivanti e di sostegno; nell'italia rossa no, nell'Italia rossa si fa il contrario, nell'Italia rossa, se sei un titolare di qualche cosa anche di un'aziendina artigiana, di un negozio, sei colpevole, quindi un figlio che desidera continuare l'attività del padre, che vuole scommettere col mercato, deve pagare. Poi, dopo aver pagato (e per un figlio, tolta la franchigia, l'aliquota è del 4 per cento), dovrà dimostrare di rispettare gli studi di settore ogni anno, dovrà stare attento che non sfugga un mancato scontrino, dovrà diventare un fenomeno del computer per comunicare tutto «on line» al «grande fratello», il fisco in persona! Alla faccia, onorevoli colleghi, di quanto giurato, anzi spergiurato, in campagna elettorale! E, per fortuna, sentendo il fiato sul collo della piazza si è alzata la franchigia e avete messo una pezza! Avete messo una pezza, ma il punto è che se si continua così, il paese alle pezze dovrà abituarsi: dovrà abituarsi a portarle, come diciamo noi dalle nostre parti, nel «fondoschiena»! E non si può neppure dire «guai ai vinti», perché oggi è il paese intero a perdere e a pagare lo scotto di quanto votato la scorsa primavera. I vinti siamo tutti! Ma se giriamo per le strade, la propaganda continua, e allora la maggioranza giustifica le proprie azioni affiggendo manifesti degni di esistere solo nella Cuba di alcuni anni fa: dice bene il giornale Italia Oggi che spiega come il mega-yacht che figura nel manifesto di Rifondazione comunista che ha per slogan «anche i ricchi piangono», manifesto a sostegno dell'aumento al 43 per cento dell'aliquota di prelievo fiscale oltre i 75 mila euro di reddito annuo lordo, si chiama Kogo, è lungo 71 metri viene prodotto in Francia e costa 80 milioni di euro; supponendo che chi percepisce i 75 mila euro lordi, cioè 3500 euro netti al mese, decida di vivere con soli 1.000 euro al mese, potrebbe, con ciò che accantona, acquistare il Kogo nel 4.863 nel caso in cui possa scaricare l'IVA, o nel 5.434 nel caso fosse un lavoratore dipendente. Il tutto naturalmente solo per guardarlo senza metterlo in acqua e senza fare nemmeno un pieno al serbatoio! Se volesse invece limitarsi a noleggiarlo per una sola settimana, vivendo sempre con i soliti 1000 euro al mese, dovrebbe accantonare risparmi per oltre 15 anni! Noi crediamo che la gente vi abbia creduto in buona fede, ma che dopo pochi mesi si sia già accorta del tremendo errore commesso. Una cosa vera però l'avete detta in campagna elettorale e la state anche mantenendo con grande coerenza; l'unica verità che avete detto è che amate i poveri. Ah, quelli li amate veramente tanto, e li amate così tanto che state costruendo un'Italia che in poco tempo sarà fatta solo di poveri, tantissimi poveri, tutti uguali, tutti poverissimi, tutti da amare, da amare così tanto come solo voi della sinistra sapete fare.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1750

ANTONIO GIUSEPPE MARIA VERRO. Come è noto, il provvedimento reca numerose disposizioni di inasprimento fiscale, tutte ampiamente dibattute ed analizzate -


Pag. 102

e per la verità nella gran parte dei casi criticate - sia sulla stampa che nel dibattito parlamentare. È il caso dell'inasprimento della tassazione sui fabbricati strumentali in leasing (articolo 3 comma l) dell'elevazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili (articolo 3 comma 4), delle nuove e più invasive regole in materia di aggiornamento dei catasti e dei terreni dei fabbricati rurali, della riproposizione di una tassazione sui beni in successione; e l'elenco potrebbe continuare a lungo.
Tuttavia non è su queste disposizioni che voglio soffermarmi, bensì su quella parte di tassazione aggiuntiva recata dal provvedimento che deriva non da modifiche alle esistenti regole ed istituti fiscali - modifiche che, come ora detto, sono ormai ampiamente note - ma dalla intensificazione del regime dei controlli e degli accertamenti fiscali prevista dall'articolo 1. Si tratta infatti di una quota di entrate su cui finora poco ci si è soffermati, anche in sede emendativa, perché non deriva da interventi sulle vigenti regole fiscali - interventi che avrebbero suscitato la dovuta attenzione nel dibattito parlamentare e su cui sarebbero stati puntati i riflettori dell' opinione pubblica - bensì da una accentuazione dell'azione degli uffici finanziari.
Si tratta tuttavia di una intensificazione di attività, in qualche modo favorita ed incentivata dalle norme dell'articolo 1, da cui non deriva, come avrebbe potuto ragionevolmente ritenersi (trattandosi di materia inerente all'ordinario esercizio dei compiti dell'amministrazione finanziaria) una quota marginale delle maggiori entrate ascritte al decreto, bensì la quasi totalità delle stesse: si tratta infatti di ben 4.360 milioni di euro (per il solo 2007), vale a dire poco meno del 70 per cento della complessiva «dote finanziaria» che il decreto porta a copertura della manovra di bilancio.
È appena il caso di rammentare che un'analoga strategia risulta presente anche nel disegno di legge finanziara, in cui al potenziamento degli studi di settore viene ascritta una maggiore entrata di circa 3.300 milioni (anche qui per il solo 2007).
Insomma, senza modificare in maniera sostanziale le norme che regolano il rapporto tra fisco e contribuente la manovra, ed in particolare il decreto al nostro esame, si prefigge di incrementare - per così dire in maniera silenziosa e poco trasparente - il gettito fiscale di circa 7.600 milioni di euro, vale a dire più o meno mezzo punto di PIL. Si tratta di un obiettivo piuttosto preoccupante, in misura prevalente affidato al decreto in esame, che non può che porre seri interrogativi sulle modalità con cui si riuscirà a conseguire - qualora lo si realizzerà - un così ingente ammontare di gettito aggiuntivo: si tratterà di un'intensificazione dell'ordinaria attività fiscale, o dobbiamo aspettarci in taluni casi azioni di «vessazione» fiscale?
È evidente che della realizzazione di un risultato così ambizioso c'è quantomeno da dubitare nonostante le rassicurazioni fornite nella seduta del 17 ottobre dal viceministro Visco. Assicurazioni cui affidabilità valuteremo a consuntivo.
Tenendo peraltro presente che occorrerà - sempre in sede consuntiva - tener conto anche degli ulteriori effetti di incremento di gettito affidate alle nuove regole sull'attività di riscossione (articolo 2 del decreto-legge): si tratta di 1200 milioni nel 2007 che, benché non portate a copertura della legge finanziaria (sono infatti iscritti nel saldo di fabbisogno ed in quello di indebitamento) costituiscono comunque somme che andranno versate dai cittadini il cui contenzioso è già iscritto a ruolo. Anche su tali effetti, peraltro, possono avanzarsi seri dubbi dovendosi considerare che la relazione tecnica basa gli effetti medesimi su una applicazione dell'istituto della compensazione fiscale: istituto che tuttavia, a fronte di un possibile incasso immediato, sembra dar luogo ad una rinuncia di un corrispondente gettito futuro.
In sintesi, gli obiettivi di gettito perseguiti dal decreto sembrano per la gran parte - affidata nell'ambito dell'articolo 1 all'attività accertatrice degli uffici - o poco


Pag. 103

credibili, ovvero tali da determinare una presenza ed un'attività invasiva dell'amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti.
Nel primo caso il mancato conseguimento del maggior gettito renderà difficile attuare compiutamente i cosiddetti «interventi per lo sviluppo» previsti per la manovra, oppure ne comporterà il finanziamento in deficit.
Nel secondo caso produrrà un inasprimento del rapporto tra fisco e contribuente: inasprimento del quale non si sente affatto bisogno, perché, nel medio periodo, ostacolerà lo sviluppo economico, venendo così a incidere negativamente su uno dei due obiettivi programmatici della manovra, cioè «risanamento e sviluppo»: forse si realizzerà il primo obiettivo ma difficilmente ciò - se ottenuto con una fiscalità eccessiva - consentirà la realizzazione del secondo. Una ultima considerazione. Il precedente Governo è stato aspramente criticato perché accusato, tra le molte cose, di non riuscire a controllare la spesa e, per conseguenza, di aver utilizzato condoni e misure una tantum. Senza entrare nel merito di tali valutazioni, che ovviamente non condivido, voglio rilevare che anche questo decreto-legge - come pure l'intera manovra - si tiene ben lontano da qualsiasi intervento di contenimento della spesa e, per il reperimento di risorse sostitutive, non riesce a proporre niente di meglio che un inasprimento fiscale, in tal modo precludendosi gli obiettivi di crescita che la manovra stessa dichiara di voler perseguire.