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PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta hanno avuto inizio gli interventi sul complesso delle proposte emendative presentate.
Ha chiesto di parlare il deputato Del Bue. Ne ha facoltà.
MAURO DEL BUE. Signor Presidente, viceministro degli affari esteri Intini, il nuovo Partito Socialista e la Democrazia Cristiana voteranno a favore sulla conversione in legge del decreto che disciplina e finanzia la missione italiana in Libano.
Devo precisare che non abbiamo mai avuto dubbi a tale proposito; non ne abbiamo avuti sulla doverosità di un atto adottato in coerenza con la risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, che comporta anche per l'Italia una chiara assunzione di responsabilità. Non solo; apprezziamo il cosiddetto passaggio dall'unilateralismo al multilateralismo - la soluzione di quel contrasto che si era verificato anche tra gli Stati europei sulla partecipazione alla guerra in Iraq -, anche se non tutti i paesi che hanno approvato la citata risoluzione n. 1701 partecipano, poi, direttamente all'impresa militare.
Devo anche aggiungere che il Governo italiano, l'Italia, sullo scenario internazionale deve essere conseguente con tale atteggiamento attivo perché in alcune regioni del mondo si vanno perpetrando genocidi terrificanti. È il caso del Darfur, che cito, signor ministro degli affari esteri, perché si tratta dell'Africa ovvero di una regione per la quale la comunità internazionale può e deve assumersi una responsabilità senza altre ragioni, vere o presunte, che non siano quelle di carattere umanitario.
La risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite, certo, rivela una contraddizione politica, nel senso che una precedente risoluzione dell'ONU dichiarava la necessità del disarmo degli hezbollah del Libano mentre quella attuale, la n. 1701, non attribuisce alle missioni ONU tale compito; compito che invece attribuisce - ho ascoltato a tale proposito le parole pronunciate in proposito dal ministro degli affari esteri - al Governo libanese, all'interno del quale, però, siedono alcuni ministri di Hezbollah; quindi, è un po' come attribuire a Hezbollah il compito di disarmare se stesso.
Certo, sono rimasto impressionato anch'io dalla moltitudine di popolo che ha partecipato recentemente alla manifestazione indetta per santificare Nasrallah a Beirut; sono anch'io preoccupato che la popolarità degli hezbollah in Libano, anziché decrescere, cresca a dismisura.
In questo modo, crescerebbe l'onda del conflitto mediorientale ed anche di quello tra alcuni paesi arabi, tra l'estremismo islamico e l'Occidente, che è non solo un conflitto di carattere culturale e religioso ma anche di carattere militare, come i non lontani atti di terrorismo ci ricordano.
Ritengo che il collega Ranieri abbia fatto bene, nella sua apprezzabile relazione, ad individuare con correttezza le cause del conflitto israeliano-libanese. Egli ha giustamente ricordato come la causa scatenante il conflitto sia stato l'attentato promosso dagli stessi hezbollah, che ha portato all'uccisione di tre israeliani ed alla cattura di altri due, proprio mentre il premier israeliano Olmert stava programmando il ritiro dalla Cisgiordania, dopo che il suo predecessore Sharon aveva realizzato il ritiro unilaterale dalla striscia di Gaza, creando non pochi problemi di
carattere personale e familiare ai numerosi coloni israeliani che la popolavano da anni.
Certo, non posso non sottolineare come l'ansia ed il dibattito intenso, determinatosi all'interno di alcune parti della maggioranza a proposito della missione in Afghanistan (la quale ha le stesse caratteristiche di quella che oggi stiamo esaminando, essendo stata promossa dall'ONU), non si siano registrati né ieri né oggi in Assemblea a proposito della missione in Libano. Anch'io mi sono chiesto quale sia la differenza tra le due missioni e perché vi sia un atteggiamento diverso da parte delle forze politiche della sinistra radicale che compongono la maggioranza. Ho trovato una sola differenza, che mi sembra sostanziale, che ha promosso una diversità di atteggiamento: manca, nella missione in Libano, la presenza degli Stati Uniti. Allora, bisognerebbe ricordare a coloro che hanno questa diversità di approccio alle missioni internazionali, a seconda che vi partecipino direttamente o meno gli Stati Uniti d'America, che l'Italia è un paese della NATO, che ha accettato il Patto atlantico, che non può - credo - «chiamarsi fuori», come ha ripetuto più volte il ministro degli affari esteri, Massimo D'Alema, dai suoi impegni internazionali né può giudicare la presenza del proprio alleato come una discriminante per evitare di partecipare ad azioni militari.
Vorrei che fosse ben presente, signor Presidente, signor ministro degli affari esteri, colleghi deputati, che con l'11 settembre ha avuto inizio una fase storica nuova (lo ha ricordato spesso il premier britannico Tony Blair), in cui il terrorismo è diventato un pericolo di carattere globale, in cui tra le tante globalizzazioni si è verificata anche quella del fenomeno terroristico. Quindi, è giusto che ogni paese (lo ricordava Gordon Brown, il probabile successore di Blair, proprio ieri) si assuma le proprie responsabilità, a fronte della guerra che il terrorismo di stampo islamico ha scatenato nei confronti, non solo, dell'Occidente ma, in prima battuta, proprio dei Governi e delle popolazioni arabe, che sono le prime vittime delle iniziative terroristiche dell'islamismo estremo.
Non possiamo, inoltre, non ricordare che la missione italiana in Iraq (lo dico rivolgendomi ad un collega del gruppo dell'Ulivo che ha parlato prima di me) non è stata promossa al di fuori delle regole e delle disposizioni dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Mi chiedo anche, visto che un collega dell'Ulivo ha concluso il proprio intervento dicendo di essere a favore della missione in Libano proprio perché siamo stati contrari alla missione in Iraq, quale contrasto vi sia tra le due missioni. Io non vedo contrasti, ma trovo una contraddizione in questa affermazione, perché entrambe le missioni sono state determinate da risoluzioni delle Nazioni Unite.
Penso sia un fatto importante che il Parlamento della Repubblica italiana nel suo complesso abbia trovato un punto di intesa in ordine a tale missione, anche se nessuno è vergine rispetto alle missioni internazionali svolte al di fuori delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Non solo la guerra in Iraq si è svolta al di fuori del contesto delle Nazioni Unite con un atto unilaterale degli Stati Uniti d'America e della Gran Bretagna, ma anche la guerra in Kosovo, peraltro accettata ed in qualche misura promossa da un Governo di centrosinistra, si svolse nell'ambito dell'organizzazione della NATO e non delle Nazioni Unite.
Nessuno a tale riguardo è vergine ed è bene che si evitino espressioni del tipo «svolta storica» o frasi del tipo «finalmente la parola è stata restituita alla politica», come se prima vi fosse stata una terra di nessuno o vi fossero stati al Governo di questo paese i guerrafondai! Non mi sembra francamente giusto.
Credo che dobbiamo evitare anche una certa retorica patriottica che è risuonata in qualche dichiarazione giornalistica da parte di qualche ministro, non dell'onorevole D'Alema, devo dire la verità, ma di altri ministri ed anche del Presidente del Consiglio, che ricordava, a me che mi occupo di storia, una vecchia frase del poeta Giovanni Pascoli nel 1911, a proposito
della guerra in Libia, del seguente tenore: «Finalmente la grande proletaria si è mossa».
Evitiamo frasi del tipo: «svolta storica» o «ruolo determinante dell'Italia nella regione mediorientale»; evitiamo insomma quella retorica che ci spinge a non vedere, invece, i rischi reali della missione con l'alto numero di soldati che inviamo in questa terra di guerra. I rischi sono certamente alti, ma non meno alti rispetto a quelli paventati in ordine ad altre missioni che, pure, sono state contrastate da una parte della sinistra italiana.
Vorrei ricordare anche i tanti soldati che partecipano alla missione, spendendo parole di apprezzamento e di fraterna solidarietà per tutti i militari italiani impiegati in Libano, una solidarietà che estendo a coloro che sono impiegati in tutte le missioni di pace nel mondo, ovunque essi siano (dobbiamo ricordare che l'Italia, al di là dei diversi Governi che si sono succeduti, ha impiegato e sta impiegando nel mondo diverse migliaia di militari, nessuno dei quali in azioni di guerra, ma tutti impegnati in azioni di pace) ed a tutte le missioni italiane cui credo vada data la solidarietà del Parlamento e della Repubblica italiana.
Per concludere, vorrei esprimere una considerazione sul conflitto religioso del quale abbiamo preso atto, leggendo attentamente i giornali ed ascoltando la televisione.
Tale conflitto va evitato. Ha fatto bene il Pontefice ad assumere un ruolo di continuità con il suo predecessore, Giovanni Paolo II, ribadendo la volontà della Chiesa cattolica a promuovere il dialogo con le altre religioni. La Chiesa cattolica oggi mi pare sempre di più attestata su una posizione di massima laicità e di rispetto per tutte le religioni e le opinioni.
Questo alto ruolo di laicità, di libertà e di tolleranza non si respira allo stesso modo in quella parte del mondo, soprattutto in alcuni paesi arabi ed in certi movimenti religiosi integralisti. Mi viene in mente - lo dico come laico, come socialista e liberale - una bella frase di Turati. In un congresso del 1912, a proposito di una frazione a lui ostile, disse: «Noi apparteniamo ad un'eresia e dobbiamo comprendere tutte le eresie». Noi apparteniamo ad una cultura liberale: dobbiamo esaltarla e difenderla a fronte di attacchi ispirati ad una cieca intolleranza!
Signor Presidente, preannunziando l'espressione del voto favorevole alla conversione in legge del decreto-legge in esame, partecipiamo con piacere a questo atto di unione della Camera dei deputati, ma non rinunciamo a sottolineare le nostre opinioni su questa missione e sulle altre che l'hanno preceduta (Applausi dei deputati del gruppo della Democrazia Cristiana-Partito Socialista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.
VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto vorrei esprimere, anche a nome del gruppo dell'Ulivo, il cordoglio per la morte del caporal maggiore Giorgio Langella. È la quinta vittima tra i militari italiani in missione in Afghanistan. Credo che alla sua memoria dobbiamo inchinarci reverenti, così come dobbiamo fare gli auguri agli altri militari feriti; tra essi (lo dico anche per la parte che, a suo tempo, ebbe la Commissione difesa in questa vicenda) anche una donna, Pamela Rendina, caporale degli alpini. A questi feriti inviamo i migliori auguri.
L'incidente in Afghanistan sembra sia avvenuto a 10 chilometri da Kabul, attraverso l'esplosione di un ordigno telecomandato, anche se rudimentale. Il fatto che l'episodio sia accaduto a 10 chilometri da Kabul credo debba indurci a riflettere sui troppi gridi, un po' prematuri, di «missione compiuta», che abbiamo ascoltato in questi anni.
La situazione è grave, è difficile e anche per questo l'Italia si impegna con tutte le sue forze per arrivare ad una situazione di pace.
Vedete, onorevoli colleghi, in fondo potremmo dirci soddisfatti di un dato: molti avevano pronosticato la politica estera come il terreno sul quale la maggioranza
avrebbe trovato le sue più grandi difficoltà e quello che sta avvenendo in queste ore lo smentisce. Non spetta certamente a me esprimere ciò che pensano le forze alla nostra sinistra, ma vorrei dire al caro compagno e amico Del Bue che per Rifondazione comunista, per i Comunisti italiani e per le altre forze politiche non si tratta tanto di un problema di assenza degli americani. Essi commisurano il loro voto favorevole al fatto che tali truppe hanno il casco blu, che siano con l'ONU.
Ciò non significa che non abbiamo avuto altre posizioni su altre missioni, ma credo occorra sottolineare che le espressioni a favore di un impegno dell'ONU da parte delle forze di maggioranza non sono state espressioni retoriche, espressioni cartacee, ma sono espressioni suffragate da un impegno chiaro e netto. Ma noi non ci accontentiamo di questo. Il mio appello in quest'aula è perché anche in occasione di questo voto vi sia lo spirito del 18 agosto.
Ricordiamoci che le nostre Commissioni riunite difesa ed esteri votarono una risoluzione di sostegno all'ONU che prevedeva la possibilità di una missione, quando ancora non si erano verificati una serie di fatti positivi, ossia l'impegno massiccio di paesi europei e, in particolare, della Francia, l'impegno della Cina di inviare mille uomini, l'impegno della Turchia per mille uomini, l'impegno della Germania di mandare un forte assetto di carattere navale e di sostegno infrastrutturale. Se noi, il 18 agosto, pure in mancanza di questi risultati così chiari e così precisi, votammo quasi all'unanimità a favore dell'impegno per la missione, credo che sarebbe del tutto incongruo, ma non credo infatti che avverrà, che oggi ci dividessimo nel momento in cui invece la missione si dimostra supportata ed effettivamente capace di coinvolgere i paesi europei e forze di paesi musulmani, come gli effettivi della Turchia.
Noi diciamo questo per sottolineare come la posizione del 18 agosto sia stata coraggiosa. L'Italia non aveva, allora, la sensazione o la nozione o la certezza che la sua posizione a favore dell'ONU e di un forte contingente europeo sarebbe stata effettivamente seguita, ma il fatto che l'Italia allora si pronunciò rese possibile l'azione francese che, a sua volta, dichiarò che avrebbe potuto incrementare sostanzialmente il contingente, se anche altri paesi europei lo avessero fatto. Quella riunione del Consiglio europeo, insieme al Segretario generale delle Nazione Unite, certamente ha rianimato le Nazioni Unite, ma ha creato un positivo trasfert tra Nazioni Unite ed Europa, che era quello che ci aspettavamo, a sua volta rianimando anche la volontà politica dell'Europa, pur senza istituzioni adeguate, che è quella per la quale ci battiamo.
Quindi, il mio appello è che lo stesso spirito che ci portò a votare quasi all'unanimità il 18 agosto, tanto più sia presente in quest'aula, e lo sia al momento del voto.
Certo, non significa che le forze dell'opposizione non debbano svolgere il loro ruolo per quanto riguarda i contenuti, le modalità, i metodi della missione che poi, diciamo la verità, interessano a tutti.
Chi come me era in quest'aula quando decidemmo di mandare 800 soldati effettivi in Libano al comando del generale Angioni - missione alla quale rivolgo un saluto - e oggi sa che, a distanza di anni, dobbiamo mandarne 3 mila, credo si possa rendere conto della drammaticità della situazione. Non vorrei però che si mettesse in dubbio un atteggiamento italiano che invece rappresenta una forza.
Qualcuno dice che l'atteggiamento italiano è ambiguo, a causa del disarmo di Hezbollah e di altri fattori, ma, attenzione, credo che il fatto che la presenza italiana sia stata salutata positivamente sia da Israele che dal Governo libanese e dalle forze libanesi rappresenti una forza. Il fatto di essere accettati, anzi di essere fortemente supportati da ambedue i protagonisti della vicenda è, per la presenza italiana, per la presenza dell'ONU e dell'UNIFIL rafforzato, un elemento di grande forza e di grande sostegno, al quale credo dovremmo guardare in maniera positiva.
Del resto, chi vi parla ha avuto l'onore di rappresentare, come osservatore, il Parlamento italiano alla recente Assemblea
generale delle Nazioni Unite; posso essere quindi testimone - e ne vorrei veramente fare partecipe l'aula - che questa posizione assunta dall'Italia di forte e determinante partecipazione nel Libano ha avuto i suoi effetti anche in sede ONU, sia per il contributo che l'ONU e il segretario generale Kofi Annan hanno potuto portare nell'Assemblea generale, sia dal punto di vista della considerazione che l'Italia ha ricevuto, in pubblico e nelle riunioni di contorno.
Nella scorsa legislatura, ci eravamo fortemente lamentati e ci eravamo alzati più volte da questi banchi chiedendo come fosse possibile che l'Italia, con le sue tradizioni di rapporti politici, economici e culturali, anche recenti, con l'Iran, fosse esclusa dalla troika europea, che cercava di avviare trattative sul nucleare iraniano.
Bene, non è che un primo segnale, naturalmente, ma il fatto che ai margini dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite si sia svolto un incontro informale sul tema Iran e Medio Oriente, in cui non c'erano più come prima solo i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU allargati alla Germania, ma anche l'Italia, nella persona del ministro degli esteri Massimo D'Alema - naturalmente, l'augurio è che questo tipo di riunioni si consolidino e si ripetano - , non è un risultato da poco. Direi che è un momento importante contro quella tendenza che sembrava affermarsi in Europa, anche per le vicende della riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU, nella quale sembrava che tre paesi si riconoscessero l'un l'altro come importanti - Gran Bretagna, Francia e Germania -, mettendo gli altri oggettivamente in una posizione secondaria. Non si sarebbe giunti a questo risultato se non fossimo giunti alle nostre decisioni sulla partecipazione in Libano.
Ma noi non intendiamo avere una gestione egoista, di maggioranza; siamo i primi a voler sollecitare il consenso e il concorso della gran parte di quest'aula, che diano forza, responsabilità e solidità alla volontà di pace del popolo italiano e alla sua capacità di impegnarsi e di sacrificarsi per la pace.
Vorrei rispondere ai colleghi della Lega nord solamente su un punto. Si sostiene che questa missione costa molto e che a noi non ce ne dovrebbe importare. Conosciamo benissimo, dopo l'esperienza in Iraq e in Afghanistan, l'insufficienza dello strumento militare per fronteggiare le insidie del fondamentalismo e le minacce alla pace che vengono da quella parte, e sappiamo tutti che occorre mettere in moto un processo di pace; vorrei vedere chi lo nega e vorrei vedere chi nega che ormai il problema della pace nel Medio Oriente, con le tensioni religiose e politiche che ne conseguono, ormai riguarda tutti i paesi europei (e noi fra questi).
Da questo punto di vista, è certo un sacrificio, compiuto per di più alla vigilia di una legge finanziaria difficile e complicata per la situazione pregressa, ma credo che sia un grande atto di responsabilità per la pace, anche per i problemi che ci riguardano, perché l'avvenire della pace nel Mediterraneo riguarda la nostra convivenza, il nostro paese, il nostro presente e il nostro futuro.
Certo, la missione non è facile, soprattutto per un punto, che conosciamo tutti, ma che è bene ribadire. Noi non andiamo a garantire una pace, il rispetto di un trattato di pace già stilato; noi andiamo a garantire un «cessate il fuoco», che potrebbe avere un'evoluzione positiva verso una pace vera e propria oppure - Dio non voglia! - anche uno sviluppo negativo. Sappiamo molto bene questo; noi andiamo a garantire un «cessate il fuoco» e, quindi, in questo modo, a creare le condizioni perché si arrivi ad un processo di pace vero e proprio, non a garantire una pace già raggiunta.
Tuttavia, anche se il ministro della difesa non ha potuto naturalmente spingersi oltre, a causa delle evidenti ragioni di riservatezza che ogni istruzione impartita ad un contingente militare comporta (e vorrei rimarcare che chiunque si sia occupato un po' di tali problemi sa bene che esiste una sfera di sicurezza che non può
essere oltrepassata), sento di poter affermare che, dalle istruzioni che abbiamo potuto esaminare, non ci troviamo in una situazione simile a quella verificatasi a Srebrenica. Vorrei osservare, in altri termini, che non siamo in presenza di un contingente dell'ONU che non è in grado di reagire, ove necessario, ad atti di violenza.
Certo, se qualcuno pensava che il contingente delle Nazioni Unite si potesse sostituire all'esercito israeliano, questo qualcuno ha evidentemente sbagliato i suoi calcoli; tuttavia, credo che questo qualcuno si sbagli anche se pensa che vi sarà una presenza puramente passiva. Ritengo, infatti, che vi siano le condizioni affinché tale presenza - e, naturalmente, sollecitiamo anche l'afflusso degli altri contingenti - possa risultare veramente significativa.
D'altro canto, a chi giustamente vorrebbe di più vorrei rispondere che sarebbe il caso di porci alcuni interrogativi. Da quanti anni, infatti, l'esercito libanese non si era attestato alle frontiere meridionali di quel paese, visto che lo Stato di Israele si trova a fronteggiare direttamente gli hezbollah? Erano circa trent'anni. Da quanto tempo, inoltre, Israele non accettava l'idea della presenza (sia pure alle frontiere libanesi) di un corpo internazionale? Vorrei rilevare che anche questa è una novità. Oggi, infatti, non vi è più un impatto diretto tra Israele ed Hezbollah, ma è presente l'esercito libanese e vi è una missione UNIFIL rafforzata.
Ciò di per sé, naturalmente, non offre garanzie assolute rispetto ad un'evoluzione positiva della situazione. Ecco perché la missione è sicuramente rischiosa e, soprattutto, richiede che, nel tentare di creare le condizioni opportune per garantire la pace, lo sforzo politico non conosca alcun momento di stasi.
Per quanto riguarda il confine israeliano-libanese, vorrei osservare che si tratta chiaramente di un problema triangolare, poiché investe anche la Siria. Vorrei ricordare, infatti, che la vicenda delle fattorie di Shebaa fu complicata da rivendicazioni plurime. Pertanto, esiste in tal senso un problema che deve essere affrontato.
D'altra parte, vorrei rilevare che è necessario che si formi un Governo di unità nazionale palestinese in grado di dialogare con l'Esecutivo israeliano. Sappiamo infatti tutti che, nelle condizioni attuali, la situazione di Gaza è esplosiva; del resto, lo stesso Presidente Bush, intervenendo all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, si è messo nei panni di un ragazzo di 20 o 22 anni che si trovasse in quelle condizioni e senza alcuna speranza (anche se poi ha addossato la colpa ad altri). Noi avremmo forse sviluppato un'analisi diversa, tuttavia credo che conosciamo tutti la situazione esplosiva che si verifica in tali condizioni.
Oggi mi sembra che l'Italia sia in grado di parlare autorevolmente a entrambe le due parti in conflitto. Ricordo che sono state svolte bellissime relazioni da parte degli onorevoli Ranieri e Pinotti, ed ho altresì letto, grazie agli atti parlamentari, la replica svolta dal viceministro degli affari esteri Intini. Ebbene, tali interventi riferiscono che siamo estremamente impegnati, da un lato, nel garantire la sicurezza dello Stato di Israele.
PRESIDENTE. La prego di concludere...
VALDO SPINI. Vorrei infatti rimarcare che Israele non dovrà oltrepassare il confine libanese, poiché siamo in grado di tutelare tale Stato.
Dall'altro lato, sappiamo che si tratta della volta decisiva. Non ci sono concesse, infatti, ulteriori prove o dilazioni temporali per realizzare la formula «due popoli, due Stati», poiché solo riconoscendo l'entità palestinese sarà possibile garantire la pacifica convivenza in quell'area.
L'Italia può recitare un ruolo importante rispetto a tale questione. Anche se non è l'unica volta nella storia che lo fa, ritengo estremamente positivo poter riconfermare gli aspetti positivi della politica estera condotta in passato dall'Italia.
Se saremo in grado di esprimere, con un largo schieramento, un voto all'altezza
di una situazione che richiede un così grande impegno ed una notevole responsabilità, allora credo che l'Italia farà una scelta importante per invertire il corso degli eventi che oggi ci preoccupano, nonché per favorire la pace e la cooperazione in un mare Mediterraneo che ci riguarda direttamente e nell'ambito del quale le nostre stesse sorti sono indubbiamente collocate (Applausi dei deputati del gruppo de L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Germontani. Ne ha facoltà.
MARIA IDA GERMONTANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori rappresentanti del Governo, oggi, con l'esame del presente decreto-legge, affrontiamo non soltanto il problema del finanziamento della partecipazione italiana alla missione in Libano decisa dall'ONU, ma, più in generale, tutti i temi complessi della politica mediorientale, nonché le valutazioni italiane in riferimento a quanto si è verificato negli ultimi tempi.
Nell'affrontare l'attuale dibattito, non dobbiamo dimenticare che il Libano è un'area geografica fondamentale per la pace, per l'Europa e per l'intero Medio Oriente.
Papa Benedetto XVI ieri, a Castelgandolfo, ha detto: «Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta del momento. Si tratta effettivamente di una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro (...). È pertanto necessario che, fedeli agli insegnamenti delle loro rispettive tradizioni religiose, cristiani e musulmani imparino a lavorare insieme». Quindi, cooperazione ma anche reciprocità. A tale riguardo, il papa ha citato il suo predecessore Giovanni Paolo II e ha detto: «Come il Papa Giovanni Paolo II affermava nel suo memorabile discorso ai giovani a Casablanca, in Marocco, il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l'intesa tra i popoli». Come laici possiamo aggiungere che, ove si affermi la libertà religiosa, lì si affermano anche i diritti civili.
Noi di Alleanza Nazionale, nonostante vi siano numerosi elementi da approfondire e ambiguità da chiarire, abbiamo manifestato apertura e disponibilità, perché, quando l'Italia è intervenuta e si è resa protagonista di missioni militari all'estero con l'obiettivo di mantenere la pace, fornire aiuti umanitari, favorire la restituzione civile e garantire assistenza e sicurezza alle popolazioni interessate, abbiamo tradizionalmente assunto posizioni favorevoli. È questo infatti il motivo conduttore delle nostre missioni militari in Iraq, in Afghanistan, in Kosovo, in Bosnia e in altre parti del mondo.
In momenti come questi, alla luce anche dei tragici fatti avvenuti oggi, crediamo di dover rivendicare la solidarietà, mai venuta a mancare e sempre riaffermata dalla destra politica italiana, verso le Forze armate; il perseguimento, anch'esso sempre riaffermato da parte della destra politica italiana, dell'interesse nazionale; la difesa dei valori dell'Occidente.
Su questo, dunque, vi è la nostra posizione di apertura. Tuttavia, già in sede di discussione in Commissione, abbiamo ritenuto di dover sottolineare alcuni problemi emersi nel corso dell'iter del decreto-legge che pensiamo non possano essere nascosti e che il presidente del nostro partito, onorevole Fini, ha autorevolmente evidenziato.
Per tale motivo, però, è vero anche che non posso sottacere una nostra impressione (già espressa da altri colleghi del gruppo cui appartengo) che intendo sottolineare nuovamente. È la strisciante sensazione che, se da una parte vi è la finalità ufficiale di stabilizzare il «cessate il fuoco», di pervenire ad una pace duratura, con l'obiettivo dichiarato dalla risoluzione ONU di giungere al disarmo di Hezbollah, dall'altra vi è quella non detta, ma voluta da alcune forze della maggioranza, intuibile e palpabile, di bloccare in questo modo Israele, di fermarlo e intimidirlo.
Vede, signor ministro degli esteri, credo che abbia colpito molto, e ancora oggi la
ricordiamo bene, la sua passeggiata a braccetto con un parlamentare esponente di Hezbollah. Mi sembra che quella sia stata la manifestazione nei fatti e nei gesti, al di là delle parole, di convinzioni politiche più profonde, simulate ma radicate, che ci preoccupano, ma che preoccupano anche larga parte dell'opinione pubblica.
Vi è, insomma, una sorta di doppiezza che è arrivato il momento di sciogliere, perché, se da una parte vi è un manifesto desiderio, da parte del Governo e della maggioranza, che l'opposizione assuma una posizione bipartisan, sostenendo con il proprio voto in Parlamento la missione in Libano, dall'altra vi è la riaffermazione, anche arrogante, di una discontinuità della politica estera di questo Governo rispetto a quello precedente, considerato dall'attuale maggioranza «guerrafondaio», con vocazione al conflitto internazionale, nazionalista, colonialista.
Noi crediamo invece in una linea di continuità dei Governi, che - come ho detto all'inizio - devono essere legati dall'interesse nazionale, dalle alleanze con le altre nazioni, dal ruolo forte dell'Italia nel mondo.
Allora, è il momento di spiegare questa doppiezza, questa ambiguità di fondo, che manifesta la maggioranza che governa oggi l'Italia. Credo sia necessario ed importante che questi chiarimenti vengano forniti all'opposizione di centrodestra, che si è fatta guidare nelle sue scelte sempre dall'interesse nazionale. Abbiamo votato senza guardare a logiche di schieramento nel quinquennio 1996-2001, con il Governo di centrosinistra, quando eravamo all'opposizione, in favore delle missioni militari. Abbiamo votato a favore quando eravamo al Governo. Adesso, come opposizione, voteremo ancora secondo coscienza e secondo le nostre convinzioni.
In conclusione, il nostro voto sarà coerente come sempre con i sentimenti di difesa dell'Occidente e di difesa dell'interesse nazionale: sentimenti che per noi vengono prima di ogni calcolo politico (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Reina. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE MARIA REINA. Ritengo, per la verità, che il dibattito che oggi si è sviluppato in quest'aula sia stato molto interessante, ma per alcuni versi - mi permettano i colleghi che sono intervenuti, certamente non tutti - anche stucchevole.
Non riusciamo a liberarci da un tema di fondo che connota ormai da troppo tempo il nostro modo di concepire il rapporto con la politica estera. In un paese moderno e normale, la politica estera non può essere inventata via via che i Governi si succedono, di un colore o di un altro.
Desidero ricordare a me stesso, e se permettete anche a tutti voi, che la politica estera dell'Unione Sovietica perseguì esattamente gli stessi obiettivi dell'Impero zarista, con la sola differenza che alcuni di tali obiettivi riuscì, a differenza del Governo degli zar, a concluderli, a realizzarli. Così è accaduto nella storia per tutti gli altri paesi che hanno segnato un marchio con il loro ruolo sul piano internazionale.
Non sono tra coloro che sostengono questo Governo, tuttavia ritengo che l'azione che esso ha svolto in questa circostanza, a partire dal suo ministro degli affari esteri, sia stata un'azione appropriata, diligente, conducente, sicuramente allineata alla tradizione della politica estera italiana. Mi riferisco in particolar modo a quella che si è espressa dal dopoguerra in poi, fino ai nostri giorni. La verità è che, a fronte di questioni così importanti, come quella della missione UNIFIL, non ci può essere una divisione vera all'interno del Parlamento. Tutti siamo perfettamente consapevoli della delicatezza e dell'importanza di questa missione e di questa iniziativa. Non abbiamo quindi a mio parere il diritto di attardarci nel definire più o meno giusta, conducente e corretta questa missione, rispetto ad altre che sono state condotte dal precedente Governo o dal Governo precedente ancora.
Rispetto a questo, dobbiamo solo valutare che il nostro paese conduca la propria
presenza sullo scenario nel quale è impegnato con quella dignità e quella compostezza che gli è propria, negli interessi supremi non solo della nazione, ma soprattutto della pace, che è l'obiettivo fondamentale al quale tutti dobbiamo tendere. È inutile, qui, rivangare i torti o le ragioni dei palestinesi o dello Stato ebraico.
Sappiamo tutti che esiste uno Stato ebraico messo in discussione dal popolo arabo nel suo complesso, ma sappiamo anche che esiste una nazione palestinese che agogna ad essere riconosciuta come Stato. Senza il contemporaneo riconoscimento di questi due elementi, non saremo in grado di dettare parole di pace o di assumere iniziative che siano realmente conducenti sullo scenario rispetto al quale in questo momento siamo interessati e si pone la nostra attenzione.
Il nostro augurio è che in Libano si cominci a misurare un nuovo e diverso approccio della comunità internazionale rispetto al tema del Medio Oriente. Tale tema non si ferma solo al dualismo tra ebrei e palestinesi, ma investe anche il ruolo che dal dopoguerra ad oggi hanno avuto gli Stati Uniti nel mondo ed anche il ruolo che l'Europa ora deve pretendere di avere ed esercitare rispetto alle mutate condizioni storiche nelle quali ci troviamo.
Il Parlamento, quindi, deve riconoscersi in una dimensione (in una percezione delle problematiche che abbiamo in campo) di stampo realmente contemporaneo ed europeista.
I tempi della guerra fredda sono finiti, abbiamo il dovere di misurare la nostra capacità non solo di essere i rappresentanti di un popolo sovrano, ma di esprimere un disegno obiettivo che costituisca una strategia di sviluppo della pace e dell'economia, nella sicurezza dei popoli. Per fare questo, occorre misurarsi con impegno e non dividersi ancora sulle vecchie questioni. Anche per questo apprezzo l'intervento svolto ieri dal viceministro degli affari esteri Ugo Intini il quale, rispetto alle tematiche trattate, ha osservato che la missione in Libano si iscrive in un contesto di continuità storica della politica estera italiana.
GIUSEPPE MARIA REINA. Mi piace osservare questo, ci piace osservare questo, e riteniamo che in questo e in questa fase il Governo sia opportunamente e seriamente impegnato.
Occorre che anche il Parlamento segua questa strada e approfondisca le questioni sotto gli altri aspetti a cui noi abbiamo in qualche modo accennato.
Dobbiamo liberarci, quindi, dalla sindrome di soggezione che abbiamo nei confronti di un popolo, di una nazione che è stata importante per lo sviluppo della democrazia nel nostro paese e nel mondo; in ogni caso, ciò non può costituire, sempre e comunque, il parametro di riferimento per stare pro o contro qualcosa. L'Europa ha il diritto e il dovere, soprattutto rispetto a uno scacchiere connesso territorialmente alla sua stessa esistenza, di dire qualcosa di nuovo, di autentico e, consentiteci, di autonomo rispetto a quanto accade nell'intero mondo.
Ci auguriamo, quindi, che la politica estera continui ad essere rispettosa di quelle direttrici che gli autorevoli padri della nostra Costituzione e i Governi che si sono succeduti nella prima parte della nostra Repubblica ci hanno indicato e rispetto alle quali noi notiamo oggi, lo ribadisco con piacere, una continuità di azione che deve evolversi naturalmente in forme ed in modi molto diversi. Per questa ragione, naturalmente, siamo favorevoli a queste iniziative, anche se non ci taciamo tutte le difficoltà, le preoccupazioni espresse con toni e modi diversi dall'una e dall'altra parte, sia nel corso del dibattito parlamentare sia nelle altre circostanze di confronto che si sono sviluppate nel paese.
PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito i relatori ad esprimere il parere delle Commissioni.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, le Commissioni esprimono parere contrario sull'emendamento Bricolo 2.1 e raccomandano l'approvazione dell'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni. L'articolo aggiuntivo Scotto 4.01 e l'emendamento Bricolo 5.1 sono stati ritirati.
MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Nell'esprimere il parere sugli emendamenti presentati, che è conforme a quello del relatore, vorrei cogliere l'occasione per svolgere alcune considerazioni che riprendono taluni temi proposti nel corso dell'illustrazione degli emendamenti stessi da parte di numerosi colleghi deputati. Dico questo innanzitutto per interloquire in una discussione che si è svolta in modo molto sereno e molto costruttivo; penso che questo clima parlamentare sia utile perché la missione di cui stiamo discutendo oggi - e che ha preso avvio nel Libano - è difficile, importante e rischiosa. In questa missione il nostro paese è esposto in modo rilevante non soltanto per la consistenza dell'impegno militare, ma anche perché l'Italia è stata tra i paesi che hanno voluto e promosso la missione ed è il paese che ne assumerà la guida, da qui a qualche mese, quando scadrà il comando UNIFIL del generale Alain Pellegrini.
Dunque, tutte queste ragioni sottolineano quanto è importante che intorno a questo impegno dell'Italia vi sia la più larga partecipazione e consenso del Parlamento del paese e, naturalmente, anche - come diversi colleghi hanno detto - quella legittima vigilanza del Parlamento circa il modo in cui la missione si svolgerà e le scelte che via via saranno necessarie.
Voglio tornare a dire che l'iniziativa italiana che si è svolta e sviluppata nel corso degli ultimi mesi di fronte alla guerra nel Libano, innanzitutto con la Conferenza di Roma del gruppo dei paesi impegnati per il sostegno alla democrazia libanese e poi nel lavoro diplomatico che ha portato alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha avuto come fine non soltanto quello di fermare il sanguinoso conflitto israelo-libanese, che rischiava di introdurre un nuovo elemento di instabilità in una regione tormentata da numerosi conflitti, ma anche quello di imprimere una svolta attraverso un impegno più diretto della comunità internazionale, delle sue istituzioni e dell'Unione europea nella regione mediorientale, allo scopo di avviare un processo di pace che complessivamente consenta di ridurre il conflitto in un'area che rimane cruciale, dato che - nella nostra convinzione - proprio il conflitto israelo-palestinese, di cui quello tra Israele e Libano è un aspetto collegato, continua a rappresentare la questione centrale di tutti i conflitti mediorientali.
Fin dall'inizio è stato chiaro che la condizione di una svolta non poteva essere quella di un ritorno allo status quo ante e che il dispiegamento di una forza militare internazionale al confine tra Libano e Israele, che funzionasse anche come prevenzione e deterrente nei confronti delle violazioni della «linea blu» e di possibili attacchi contro Israele, era la condizione perché si potesse conseguire il cessate il fuoco e, poi, la pace. Noi abbiamo mantenuto fermo con forza questo punto; lo abbiamo fatto anche quando sembrava che questa posizione fosse isolata. In verità, non lo era perché essa ha goduto sempre del sostegno, innanzitutto, del Governo libanese e, in realtà, anche del Governo israeliano, anch'esso interessato ad una stabilizzazione dell'area. Inoltre, ha goduto di un sostegno e di un incoraggiamento da parte americana, e, alla fine, di un largo consenso europeo, sottolineato dalla riunione straordinaria del Consiglio affari generali, nel mese di agosto, e dall'assunzione, da parte dell'Unione europea, nell'incontro con il segretario generale Kofi Annan, della principale responsabilità nella costituzione dell'UNIFIL rafforzata.
Credo di poter dire due cose, sin qui, e non voglio pronunciarmi sui problemi e i pericoli che ci sono chiari. Tuttavia, sin
qui, la missione sta avendo successo (Commenti), sia per la decisione di tanti altri paesi di aderire (Commenti)...
PRESIDENTE. Le chiedo scusa, signor ministro. Vorrei invitare l'Assemblea a rendere possibile l'ascolto delle parole del ministro.
Prego, signor ministro, prosegua pure.
MASSIMO D'ALEMA, Ministro degli affari esteri. Dicevo che sta avendo successo per la decisione di tanti altri paesi di aderire all'appello delle Nazioni Unite; non soltanto di molti paesi europei, dato che Francia, Spagna e Italia rappresentano, il nerbo della missione, ma è del tutto evidente il valore della decisione del Bundestag per un impegno molto rilevante della Germania, non soltanto nell'assicurare il dispositivo aeronavale, ma anche nel dispiegare forze, non lungo i confini di Israele ma a sostegno delle forze libanesi per il controllo dei confini con la Siria.
Oltre ai paesi europei, tuttavia, è importante anche l'adesione alla forza internazionale di numerosi paesi islamici. Fra questi, un valore particolare ha assunto la decisione della Turchia - decisione non scontata, che è passata anche attraverso una aspra discussione politica e che, a mio giudizio, è un segnale importante di quella vicinanza della Turchia all'Europa che costituisce uno degli obiettivi della politica estera italiana - ma anche di altri paesi islamici e di un paese arabo, non grande, ma importante, come il Qatar.
Sottolineo dunque questo punto perché rappresenta una novità che, non a caso, ha attirato l'attenzione e la minaccia del terrorismo internazionale: cioè il fatto che lì a garantire la sicurezza non c'è l'Occidente contro l'Islam ma una grande forza internazionale nella quale europei ed islamici sono insieme a tutelare la sicurezza e la stabilità in un'area tormentata.
Il dispiegamento procede in modo positivo. Il ritiro delle forze armate israeliane si è avviato. La decisione di Israele di togliere il blocco aereo e navale ha rappresentato un passaggio importante ed io credo che dobbiamo essere grati alla Marina militare italiana la quale, in attesa della forza internazionale, si è fatta carico della responsabilità interinale di presidiare le acque territoriali libanesi, consentendo la fine del blocco navale. Segno di grande efficienza, le nostre Forze armate sono giunte sul teatro - come si dice - con grande rapidità, con grande efficienza e, secondo il mio giudizio, dando una dimostrazione che, certamente, ha contribuito al prestigio internazionale dell'Italia.
Il secondo aspetto che voglio sottolineare è che questa missione può rappresentare un punto di svolta, nel senso di avviare quel processo di stabilizzazione interna del Libano che deve compiersi attraverso il disarmo delle milizie e che - non dimentichiamolo mai - è la realizzazione di un accordo sottoscritto tra le forze politiche libanesi, non di un'imposizione esterna, ma necessaria per avere nel Libano uno Stato sovrano e può essere un punto di svolta più generale per la regione.
Torneremo a discutere degli effetti che la presenza in Libano dell'ONU può avere sulla crisi israelo-palestinese, che è stata al centro delle discussioni internazionali anche nel corso dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite e che, certamente, rappresenta il banco di prova più importante per una politica di pace in quella parte del mondo.
Da ultimo, voglio dire che tutto questo è stato reso possibile anche dal modo in cui il sistema politico italiano ha reagito e dalla prontezza con cui il Parlamento - il Governo vuole darne atto - si è riunito, nelle Commissioni esteri e difesa, il 18 agosto, con un gesto di sensibilità che ha avuto, secondo me, un grande significato, con una presenza vastissima di parlamentari, della maggioranza e dell'opposizione, con una discussione seria e con un voto pressoché unanime che, certamente, ha costituito un punto di forza per il Governo italiano, che ha potuto presentarsi in Europa non soltanto sulla base di un'intenzione di qualche ministro, ma sulla base di una volontà politica larga, e che si era manifestata democraticamente in un periodo nel quale non è comune che i parlamenti democratici si riuniscano.
Io penso che quel consenso sia una base preziosa, così come lo è stato per cominciare questa difficile impresa, anche per portarla avanti con successo [Applausi dei deputati dei gruppi de L'Ulivo, di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea, dell'Italia dei Valori, de La Rosa nel Pugno, dei Comunisti Italiani, dei Verdi, dei Popolari-Udeur, Misto-Minoranze linguistiche e Misto-Movimento per l'Autonomia e di deputati dell'UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. Ringrazio il ministro degli affari esteri.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Bricolo 2.1.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.
FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, intervengo per illustrare il mio emendamento. Vorrei fare una piccola premessa: noi della Lega Nord non contestiamo la richiesta, che riteniamo condivisibile da parte dell'ONU, dell'invio di una missione di pace. Però, contestiamo il modo in cui è stato predisposto questo decreto, che, sicuramente, è fatto male.
I nostri soldati vengono mandati, di fatto, allo sbaraglio. Non sono chiare le regole di ingaggio e la catena di comando. Molti paesi europei non parteciperanno a questa missione e, soprattutto, questo Governo, parlando, nel titolo del provvedimento, di cooperazione, andrà, invece, ad armare l'esercito libanese, perché questo è ciò che succederà. Dunque, oltre che i nostri soldati, invieremo anche armi, mettendo in pericolo un territorio già instabile politicamente, come quello libanese, dando le armi a un esercito, quello libanese, che sappiamo essere in gran parte formato anche da militari collegati direttamente con il mondo di Hezbollah.
Soprattutto, metteremo a rischio la vita dei nostri uomini. Ci assumiamo il massimo della responsabilità e guideremo addirittura la missione. Non siamo una superpotenza militare. Evidentemente, il ministro D'Alema ha intenzione di arrivare a questo punto e, forse, chiederà anche una politica di riarmo del nostro paese.
Gli Stati Uniti non sono presenti nella missione, non è presente l'Inghilterra, non è presente la Germania. La stragrande maggioranza dei paesi europei non è presente. La Francia ha deciso di mantenere il suo impegno in Libano con molte titubanze. Ebbene, noi chiederemo anche la guida della missione, assumendoci responsabilità che riteniamo troppo elevate.
Questo emendamento interviene sul provvedimento riducendo i costi della missione, che vuol dire ridurre anche gli uomini che dovranno partecipare e, quindi, i rischi. Condividiamo, invece, l'emendamento delle Commissioni, che parifica l'indennità dei nostri militari presenti nelle missioni di pace. È una cosa giusta ed equa e la condividiamo.
Chiediamo invece una riduzione dei costi di 30 milioni di euro, appunto per ridurre il numero della presenza dei nostri uomini, il numero dei rischi e delle responsabilità che il Governo ha deciso di prendere da solo, senza confrontarsi veramente con il paese ma soprattutto con gli altri paesi europei che hanno deciso di non partecipare a questa missione. Dunque, invitiamo i colleghi a sostenere questo emendamento. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Bricolo 2.1, non accettato dalle Commissioni né dal Governo, sul quale la Commissione bilancio ha espresso parere contrario.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 487
Votanti 485
Astenuti 2
Maggioranza 243
Hanno votato sì 18
Hanno votato no 467).
Prendo atto che i deputati Caruso e Donadi non sono riusciti a votare e che quest'ultimo avrebbe voluto esprimere un voto contrario.
Passiamo all'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ROBERTA PINOTTI, Relatore per la IV Commissione. Questo emendamento è frutto del lavoro delle Commissioni e vorrei esprimere soddisfazione per il suo accoglimento da parte del Governo. È un piccolo ma importante segnale, molto atteso dai nostri soldati. Si verificava una situazione abbastanza paradossale: i nostri soldati, che partivano per le missioni, nel momento in cui viaggiavano in nave per avvicinarsi al teatro operativo percepivano un'indennità superiore a quella poi percepita mentre svolgevano il proprio dovere sul teatro operativo, laddove cioè affrontavano maggiori disagi e rischi, per via di antiche norme e consuetudini.
Avevamo già sottolineato questo problema quando abbiamo approvato altre missioni all'estero, ma in quel momento non siamo riusciti a risolverlo. Riproponiamo il problema nell'ambito di questa missione, estendendolo a tutti i militari impegnati nelle varie missioni. Non è molto, ma è un segnale di attenzione, atteso dai nostri soldati, che in questo momento stanno vivendo situazioni difficili, trovandosi in teatri operativi difficili; purtroppo, ricordiamo oggi il caporalmaggiore Langella, l'ultima vittima delle nostre Forze armate, ma molti altri vivono rischi e pericoli, per cui questo piccolo segnale di attenzione sarà accolto, secondo me, molto positivamente.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo 6.01 delle Commissioni, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 490
Votanti 488
Astenuti 2
Maggioranza 245
Hanno votato sì 486
Hanno votato no 2).
Prendo atto che i deputati Caruso e Luciano Rossi non sono riusciti a votare e che quest'ultimo avrebbe voluto esprimere un voto favorevole.
Avverto che, consistendo il disegno di legge di un solo articolo, si procederà direttamente alla votazione finale.
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