Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 34 del 31/7/2006
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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GIUSEPPE OSSORIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1475

GIUSEPPE OSSORIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, si è contestata l'assenza del requisito di urgenza (necessario per il ricorso allo strumento del decreto-legge) nell'adozione delle misure di liberalizzazione previste dal decreto Bersani. Invece, mi dichiaro d'accordo con la replica del sottosegretario Giaretta (in occasione di una seduta della Commissione bilancio al Senato) il quale afferma che «l'introduzione di misure di liberalizzazione dei mercati, di incentivazione della concorrenza e di trasparenza nel meccanismo di formazione dei prezzi sono obiettivi che figurano al primo punto del Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione (PICO), sottoscritto dall'Italia in ambito comunitario per l'attuazione della cosiddetta «Agenda di Lisbona». Da ciò la necessità e l'urgenza di offrire un segnale forte, attraverso l'adozione di questo decreto, all'Unione europea circa l'impegno dell'Italia a dare piena attuazione agli accordi presi.
Si è contestata, inoltre, al ministro Bersani la portata limitata dell'intervento sulle liberalizzazioni, affermando che questo si è concentrato su aspetti marginali della nostra economia. Il ministro ha risposto, ed io non ho motivo per non riconoscergli la volontà di perseguire concretamente la strada delle liberalizzazioni, che questo è solo il primo passo verso un processo di liberalizzazione molto più ampio. Devo rilevare che il ministro Bersani ha già presentato un disegno di legge ed una legge delega sui servizi pubblici locali ed una legge delega sui temi dell'energia. Condivido l'inversione di tendenza impressa dalle previsioni contenute nel decreto Bersani, e rimango fermamente convinto della necessità che ogni ulteriore


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processo di liberalizzazione ed incremento della concorrenza sia ponderato con l'obiettivo di un duraturo rilancio del sistema economico e non affrettato da contingenti necessità di cassa. In tal senso ritengo che bisogna non tanto e non solo guardare con interesse alla cosiddetta «agenda Gavazzi» ma bisogna tener conto del tentativo di introdurre un forte tasso di liberalizzazione nel settore dell'economia italiana. Purtroppo vi è un notevole ritardo, se si pensa che la propensione alle liberalizzazioni è ormai passata nei paesi anglosassoni. Proprio la mancanza di un'ottica di lungo periodo nel passato ha fatto sì che le privatizzazioni realizzate negli anni '90 non abbiano pienamente raggiunto i risultati attesi.
Puntiamo, pertanto, oggi, alla regolamentazione e alla riorganizzazione dei settori chiave della nostra economia ancora in mano pubblica così da renderli soggetti operanti sul mercato in concorrenza con gli altri operatori, senza ricorrere a dismissioni poco ponderate, che già in passato si sono tradotte nella creazione di monopoli privati in sostituzione di quelli pubblici. Lo stesso ministro per l'economia Padoa Schioppa, in occasione dell'audizione presso le Commissioni Finanze di Camera e Senato, ha sostenuto l'inopportunità dell'ingresso di capitale privato in ENI ed ENEL - che le sottoporrebbe ad un rischio OPA - proponendo una nuova strategia in grado di accrescere la qualità e le performance delle società a partecipazione pubblica.
Entriamo nel merito di alcune considerazioni a favore delle principali liberalizzazioni.
I farmaci: la liberalizzazione delle vendite offre maggiori possibilità di reperimento dei farmaci da banco sul territorio e maggiori sbocchi professionali per i farmacisti al momento disoccupati. Inoltre, la maggiore concorrenza e la possibilità di stabilire liberamente sconti sul prezzo dei farmaci, offrirà ai consumatori maggiore scelta e costi ridotti.
In Europa, accanto a paesi come l'Italia e la Francia in cui la vendita è consentita solo all'interno delle farmacie, ne esistono altri con regole più permissive. Nei paesi anglosassoni (dove esiste la stessa situazione che in Canada, Stati Uniti e Nuova Zelanda) ed in quelli scandinavi, la vendita si effettua anche al di fuori delle farmacie; è ammessa anche quella via Internet e per posta. La legislazione della Spagna prevede che in alcuni supermercati esistano i reparti farmacia. In Germania, in fine, c'è una distinzione tra prodotti da banco come l'aspirina, che si può vendere solo in farmacia, ed altri medicinali, come gli antisettici, i calmanti della tosse e le vitamine a basso dosaggio, che si possono dispensare anche nei ventisettemila drugstore. Anche il Portogallo, la scorsa primavera, ha deciso di prendere la strada della liberalizzazione dei farmaci Otc (Over the counter). In Gran Bretagna la legge permette al supermarket e ad altri negozi simili di vendere i medicinali da banco. Dopo quattro anni di liberalizzazione parziale del mercato si è ottenuta una riduzione media dei prezzi dei farmaci che si aggira intorno al 30 per cento.
La liberalizzazione delle vendite dei medicinali da banco era già stata oggetto di discussione in occasione dell'incontro tra i vertici di Federfarma ed il presidente dell'Antitrust Antonio Citricalà lo scorso 26 gennaio 2006. In tale occasione, lo ricorderete, era stato tra l'altro raggiunto un accordo di massima relativo ad alcune questioni sollevate dall'Antitrust, quali quella dei farmaci generici e quella delle confezioni monodose.
I taxi: le riforme apportate in materia di gestione delle licenze per i tassisti, anche considerando le modifiche apportate dal Governo a seguito del confronto con la categoria, presentano una grande opportunità di miglioramento dei servizi offerti agli utenti.
In generale, il principale problema riscontrato non è stato quello di una complessiva insufficienza delle vetture, ma il fatto che durante alcuni picchi di domanda in alcuni luoghi strategici (in particolare le stazioni) le auto disponibili non riescono a soddisfare tutte le richieste. Stando a questa analisi, il decreto Bersani, nonostante le modifiche, fa sperare in una concreta mossa per la risoluzione del problema a tutto vantaggio degli utenti.


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Rilevo comunque che sarebbe estremamente negativo se l'annuncio delle liberalizzazioni dovesse riguardare solo questi due settori che non rappresentano la vera sostanza del problema. Bisogna convenire, con molta onestà intellettuale, che finora le privatizzazioni si sono tradotte in veri e propri monopoli che irrigidiscono il libero mercato e hanno procurato nell'esperienza italiana delle sacche di rendite finanziarie, che si sono tradotte in una generale diseconomia.
Voglio mettere in evidenza alcuni aspetti delle misure di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica. Tali articoli prevedono la riduzione di spesa con riferimento ai seguenti settori: Presidenza del Consiglio dei ministri; spese di giustizia; enti ed organismi pubblici non territoriali; comitati e commissioni; enti locali (in materia di costi del personale).
Genera allarme la previsione di ulteriori tagli per spese di funzionamento a carico delle università e degli enti di ricerca. I tagli in generale ammontano ad una riduzione delle spese per consumi intermedi pari al 10 per cento degli stanziamenti per l'anno 2006 e comportano l'obbligo di una spesa non superiore all'80 per cento di quella iniziale dell'anno 2006 durante il triennio 2007-2009. Tali enti, tra cui come abbiamo detto rientrano anche le università, sono già stati oggetto di una serie di interventi per il contenimento della spesa negli ultimi due anni (416 miliardi con il decreto-legge n. 168 del 2004; 120 milioni di euro con la finanziaria 2005; 180 milioni di euro con il decreto-legge n. 203 del 2005). La norma ha provocato sconcerto nel mondo universitario. Se ne è fatto portavoce il rettore della Federico II il professor Guido Trombetti, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, il quale ha affermato in un articolo su Il Mattino di venerdì scorso una previsione che condivido totalmente: «questi ulteriori tagli, misurabili in non meno di duecento milioni di euro dall'anno prossimo, avranno conseguenze devastanti sulla qualità della didattica e della ricerca poiché vanno ad incidere su costi ormai incomprimibili». L'incomprimibilità di tali spese non è un semplice slogan allarmistico di un autorevole rappresentante di categoria: lo stesso Servizio Studi della Camera ha messo in dubbio i dati presentati dal Governo nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto circa la quantificazione del maggior risparmio che deriverà da tale intervento. Il dossier del Servizio Studi afferma infatti che «Questo continuo far carico agli enti pubblici non territoriali di obiettivi di risparmio sempre sulla stessa categoria di spesa porta a dubitare dell'effettiva conseguibilità degli importi di minore spesa ipotizzati dalla relazione tecnica» - ed, aggiungo, calcolati in base ai risultai ottenuti dai precedenti tagli - «sui quali appare pertanto necessario un chiarimento da parte del Governo». Nello stesso dossier è possibile inoltre leggere: «Poiché, comunque, le riduzioni in questione possono incidere negativamente sulla funzionalità degli enti interessati, andrebbe precisato se, ed eventualmente in che misura, tale effetto possa riflettersi sul perseguimento delle missioni istituzionali degli enti medesimi».
La stretta fiscale applicata a tali enti risulta ulteriormente aggravata, poi, se l'articolo 22 in questione viene letto in combinato con le disposizioni contenute nell'articolo 26. Quest'ultimo introduce un meccanismo sanzionatorio per le ipotesi di mancato rispetto da parte degli enti pubblici non territoriali del limite di spesa annuale sancito dalla legge finanziaria per il 2005. Gli enti che ricevono trasferimenti da parte dello Stato vedranno tali finanziamenti ridotti in misura pari alle eccedenze risultanti dai loro conti consuntivi. Gli enti che non beneficiano di trasferimenti sono tenuti a versare l'importo corrispondente alle eccedenze stesse all'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 settembre dell'anno successivo a quello in cui si è verificata l'eccedenza.
Si inserisce, quindi, un meccanismo sanzionatorio automatico al superamento di limiti di spesa già più volte ridotti, ed ulteriormente ristretti dalla stessa norma in esame.
Un simile intervento lascia perplessi, soprattutto alla luce delle linee programmatiche annunciate più volte dal Governo


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e dopo che si è insistito con forza nello stesso DPEF sull'importanza dell'attività di ricerca e sviluppo quale motore per la ripresa economica del paese. Tra gli enti individuati dal decreto, infatti, oltre alle università, di cui ho già parlato, rientrano altri importanti istituti di ricerca quali l'ENEA, 1'ISAE, l'ICRAM ed il CNR. Io dichiaro tutto il mio disappunto per questa politica di emarginazione delle università e dei centri di ricerca, perché è facile prevedere che le ripercussioni nel modo della innovazione e della ricerca scientifica saranno tali che un ulteriore declassamento della nostra economia nel sistema della mondializzazione degli scambi sarà inevitabile. La conseguenza sarà l'impoverimento ulteriore del nostro paese e la dipendenza dalle altre economie più avanzate.
Risulta, invece, pienamente condivisibile, onorevole ministro Bersani, la strategia di riduzione della spesa indicata dalle previsioni contenute nell'articolo 29 e relative al contenimento della spesa per commissioni, comitati ed altri organismi. In tale caso, pur stabilendo un taglio del 30 per cento della spesa ad essi destinata, si individua contemporaneamente un percorso di riduzione caratterizzato dalla riorganizzazione sia strutturale che funzionale di tali organismi così da ottenere un abbattimento dei costi. Tale soluzione lascia margini di autonomia organizzativa alle pubbliche amministrazioni e risulta perfettamente in linea con le previsioni contenute nel DPEF circa le modalità di contenimento della spesa da realizzarsi attraverso riorganizzazioni funzionali e snellimento delle strutture. Un ridimensionamento della presenza di tali organismi, tra l'altro, consente un'utile semplificazione e velocizzazione dell'attività amministrativa.
Passo, infine, a discutere brevemente sul titolo III. Sono apprezzabili, a mio parere, le misure introdotte dal Governo per la lotta all'evasione ed all'elusione fiscale. Si condivide sia la scelta di introduzione di una sanzione dai sei mesi ai due anni per l'omesso versamento IVA e per l'utilizzazione in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, sia la previsione di alcune disposizioni specifiche. In particolare risultano condivisibili le norme relative alla non detraibilità dall'IVA e deducibilità dall'IRES per gli acquisti di veicoli che possono essere destinati anche ad uso privato (articolo 35, comma 11), nonché quelle che definiscono dei limiti all'ammortamento anticipato di tali veicoli (articolo 36, commi 5 e 6). Positiva è la scelta, a mio avviso, di considerare interamente imponibili tutti gli utili provenienti da società residenti in paesi esteri (articolo 36, commi 3 e 4) e quella relativa all'esclusione dall'applicazione delle disposizioni in materia di deduzioni per oneri di famiglia e no-tax area ai redditi prodotti nel territorio dello Stato da soggetti non residenti in Italia (articolo 36, comma 22).
Considero poi particolarmente utili le disposizioni volte a creare un sistema di incentivi per l'emersione di talune attività. Rientrano in quest'ambito le previsioni che subordinano l'applicazione delle agevolazioni per il recupero del patrimonio edilizio alla condizione che il costo della manodopera sia riportato distintamente nella fattura e quelle che consentono la detrazione parziale (nella misura del 19 per cento) dei compensi pagati ad intermediari immobiliari.
Più controversa, invece, e la pongo all'attenzione del rappresentante del Governo, risulta la previsione dell'obbligo per gli esercenti arti e professioni di tenuta di conti correnti in cui versare le somme riscosse nell'esercizio dell'attività e da cui prelevare quelle occorrenti per il pagamento delle spese. Si prevede, infatti, che costoro, a partire dal 2008, potranno ricevere compensi di importo pari o superiore ai 100 euro «esclusivamente mediante assegni bancari o postali, nonché mediante sistemi di pagamento elettronico». Tale norma sembra presumere che tutti coloro che usufruiscono delle prestazioni di un libero professionista dispongono di un conto corrente bancario (o postale) e non tiene in considerazione il fatto che, al di là delle preferenze individuali circa la gestione dei fondi a propria disposizione, esistono soggetti, quali coloro che hanno subito protesti, che non possono


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ottenere l'apertura di tali conti correnti. In questi casi, la necessità di ricorrere a bonifici o assegni circolari impedirebbe di effettuare i pagamenti contestualmente all'offerta delle prestazioni e potrebbe talvolta generare problemi negli scambi.
Molto dibattuta, infine, e concludo, è stata la nuova disciplina che prevede un'intensificazione dei controlli da realizzarsi anche mediante la raccolta di un maggior numero di informazioni da parte dell'anagrafe tributaria e dell'Agenzia delle entrate. Lungi dal voler sottovalutare l'importanza del diritto alla privacy dei cittadini, si è consapevoli del fatto che nella lotta all'evasione ed all'elusione fiscale, le informazioni relative ai contribuenti rappresentano un supporto fondamentale dell'azione di controllo, ed in ogni caso si tratta di informazioni che entrano nella disponibilità di pubbliche amministrazioni che hanno tutte adottato per legge un codice per il trattamento dei dati personali a rispetto e garanzia della privacy dei cittadini.
Tuttavia, da un punto di vista finanziario, genera in me qualche perplessità quanto è previsto dai commi 33 e 35 dell'articolo 37 del decreto in esame. Tali norme dispongono che, a decorrere dal 1o gennaio 2007, la certificazione dei corrispettivi dovrà avvenire attraverso l'invio telematico giornaliero dell'importo all'Agenzia delle entrate. Nel corso dell'esame del provvedimento presso la Commissione bilancio del Senato è stato inoltre approvato un emendamento che istituisce un credito di imposta in favore dei contribuenti che effettuano l'adeguamento tecnico dei misuratori fiscali finalizzato all'invio telematico dei corrispettivi. In base a quanto segnalato dal Servizio Studi della Camera, il problema risiede nel fatto che non è prevista alcuna quantificazione degli oneri derivanti da tale credito, né la sua copertura finanziaria. Inoltre, sembra che il Governo dia per scontato che l'Agenzia delle entrate riuscirà a gestire questa maggiore quantità di dati ricevuta con l'utilizzo delle risorse umane ed informatiche già a sua disposizione senza incorrere in ulteriori costi, per mia esperienza, signor rappresentante del Governo ciò sarà difficile.

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