Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 16 del 29/6/2006
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Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi (A.C. 1005 ).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge, del decreto-legge 7 giugno 2006, n. 206, recante disposizioni urgenti in materia di IRAP e di canoni demaniali marittimi.
Ricordo che nella seduta di ieri sono iniziati gli interventi per dichiarazione di voto finale sul provvedimento.

(Ripresa di dichiarazioni di voto finale - A.C. 1005 )

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Presidente, devo ammettere che i rilievi del collega Leone in ordine alla cattiva qualità della lettura del processo verbale sono purtroppo veritieri. Spero che sia possibile per le prossime volte, vista l'importanza di questo adempimento regolamentare, procedere con maggior chiarezza.
Presidente, intervengo una seconda volta sul provvedimento in esame, in questa sede, per dichiarazione di voto e chiaramente non posso che confermare l'opinione già espressa in sede di discussione generale in ordine alla natura di un provvedimento che il centrodestra, allora all'opposizione, ha contestato sin dall'inizio.


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Ricordo ai colleghi che da più tempo frequentano quest'aula, e a quelli che ne seguono i lavori, quanto fosse stata cruenta la battaglia per l'istituzione di questo tributo da parte del Governo del centrosinistra.
Questa poteva essere un'occasione, non per rimodulare, come sostenuto dal sottosegretario Grandi, questo genere di imposta, ma per intervenire in maniera definitiva su questo tributo, togliendo un balzello che, da un punto di vista politico, abbiamo definito un'imposta «rapina». È chiaro che, di fronte ad un gettito di 35 miliardi e 995 milioni di euro nel 2005, risulta difficoltoso, da parte di un Governo che ha la necessità impellente di «fare cassa», immaginare qualcosa di totalmente diverso da una rimodulazione.
Va da sé che c'è una contraddizione che emerge in maniera costante per cui si può anche fare un dietro-front, come fatto ieri dal ministro Padoa Schioppa sulle addizionali regionali, rispetto ad rigorismo iniziale annunciato e sbandierato ai quattro venti, forse per accreditarsi presso l'Unione europea. Ciò che emerge è una situazione politica complessa, con un ministro tecnico che forse può subire un certo grado di pressione politica da parte di alcune regioni governate dal centrosinistra, per ridurre la linea dura espressa sulla fiscalità regionale e per giungere ad una riscrittura del patto tra Stato e regioni per quel che riguarda lo sforamento dei conti nel settore della sanità. Alla fine, i contribuenti delle note sei regioni potranno pagare l'IRAP entro il 20 luglio, anziché entro il 20 giugno, senza la maggiorazione dello 0,4 per cento. Quindi, sostanzialmente - è stato già rilevato in altre dichiarazioni di voto - bisognerebbe avere maggior rispetto di quei contribuenti che si muovono all'interno dei termini inizialmente previsti, cercando di mantenere una linea di maggiore coerenza.
Il provvedimento in materia di IRAP in quanto tale ci delude, in quanto non avviene in un'ottica di riformulazione né parziale del tributo in oggetto, né all'interno di una prospettiva, che pure noi auspicheremmo, di una sua abolizione. Infatti questa tassa l'abbiamo trovata, non l'abbiamo istituita. Avremmo auspicato un «ravvedimento operoso» da questo punto di vista, invece anche su ciò vi è stata una chiusura paradossale, un rigorismo forse eccessivo (un emendamento del centrodestra al riguardo è stato respinto sia in Commissione sia in Assemblea). Questa discussione avviene in un momento in cui vediamo accadere al Senato fatti assai sgradevoli: non soltanto il Governo pone la fiducia su due altri decreti-legge, uno di proroga di termini, l'altro sulla ben nota questione degli «spacchettamenti» dei ministeri, ma per di più ciò avviene in un momento in cui uno dei due rami del Parlamento viene bloccato e nell'altro il centrodestra solleva la questione dell'opportunità di sospendere i lavori, con il centrosinistra che si oppone, aprendo una discussione che di fatto durerà molto di più di quanto sarebbe durata una sospensione dei lavori.
Sono fatti, colleghi, che ci danno la misura di un confronto politico serrato, che testimoniano che il centrodestra vuole fare opposizione in maniera seria, anche costruttiva quando è necessario, ma seria e ferma sui principi e sulle regole; testimoniano altresì che questo Governo vuole in qualche misura cercare di «sequestrare» le prerogative del Parlamento. Diceva bene il presidente del mio gruppo, l'onorevole Elio Vito, quando si riferiva alle prerogative del Parlamento in genere, quindi alle prerogative dell'opposizione ma anche di quelle di voi colleghi della maggioranza, che avete tutto il diritto di discutere e di partecipare all'attività legislativa, dando il vostro contributo politico emendativo ai provvedimenti che il Governo vara. Chiaramente, questo contributo, con l'apposizione di continue questioni di fiducia, viene negato in maniera costante e continua.
Sappiamo bene, vista la situazione politica e numerica che abbiamo al Senato della Repubblica, quante questioni di fiducia pioveranno in Parlamento nei prossimi mesi, perché se non si ricorrerà alla fiducia come la metteremo, ad esempio, per le missioni all'estero? Se attraverso il


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decreto-legge sulla proroga dei termini verranno sottratte al Parlamento alcune competenze, delegandole alla facoltà regolamentare del Governo, di che cosa discuterà il Parlamento? Di nulla! Tanto è vero che il lavoro che è stato fatto in questi tempi è assai ridotto rispetto al volume di lavoro del Governo precedente, volendo fare un paragone, a mio avviso improbabile, tra quello che fece il Governo Berlusconi e quello che sta facendo il Governo Prodi ora. Andando a confrontare i primi giorni del Governo Berlusconi con i primi giorni del Governo Prodi, si troverà un nulla rumorosissimo che riempie le aule dell'Assemblea e delle Commissioni.
Ci stiamo occupando oggi di questo decreto, ma ne abbiamo altri che attendono di essere esaminati. Il percorso dei nostri lavori non vede la luce, anche in forza di una contrapposizione che vi è stata e continua ad esservi e non solo con riferimento al merito del provvedimento. Infatti, al di là delle esigenze tecniche di cassa connesse a quest'ultimo, noi siamo completamente distanti dalla visione fiscalmente punitiva che la maggioranza parlamentare - la chiamo così perché siamo convinti che non sia maggioranza nel paese - ha maturato nel corso di questi anni e continua ancora oggi a portare avanti. Crediamo, inoltre, che su questo provvedimento vi sia non soltanto una contrapposizione di merito, ma anche una contrapposizione di metodo.
Da un altro punto di vista, ci attendono in quest'aula appuntamenti importanti, anche sotto il profilo dell'attualità politica. L'ordine del giorno di oggi prevede il seguito della discussione di una nostra mozione, già illustrata nella discussione sulle linee generali (più tardi - vedremo quando - entreremo nel merito). Ebbene, mentre in un ramo del Parlamento il Governo pone la fiducia sul cosiddetto spacchettamento, nell'altro il centrodestra chiede la riduzione delle poltrone. È evidente che, tra noi è voi, c'è una contrapposizione sostanziale, anche dal punto di vista delle posizioni politiche.
In vista del referendum, il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, annunciava la sua volontà di dialogare con il centrodestra anche qualora avesse vinto il «no». Il «no» ha vinto ed abbiamo visto di quale dialogo è stato capace il centrosinistra quando ieri un collega, senatore dell'opposizione, ha scelto di non uscire dall'aula per protesta a seguito di una querelle regolamentare suscitata dalla decisione del Presidente del Senato - a nostro avviso, partigiana - di impedire la discussione della questione pregiudiziale presentata al decreto-legge.
Il «dialogo» consiste nel porre le questioni di fiducia! Il «dialogo» consiste nel non far dibattere il Parlamento! Il «dialogo» prevede che i giornali di partito del centrosinistra...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Baldelli.

SIMONE BALDELLI. ... definiscano «squadrista» l'opposizione parlamentare. Questo è un modo di dialogare tutto vostro: ve lo lasciamo!
Signor Presidente, mi permetta di concludere il mio intervento con una battuta. Ieri, in maniera goliardica, ironizzavamo sull'atteggiamento del sottosegretario Grandi, il quale replicava tenendo una mano in tasca (si tratta di una brutta abitudine che il senatore Di Pietro aveva avviato in queste aule parlamentari). Noi vorremmo che il Governo la smettesse di mettere la mano in tasca: non nella sua, ma in quella dei cittadini italiani!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Crosetto. Ne ha facoltà.

GUIDO CROSETTO. Signor Presidente, il sottosegretario è venuto a rappresentare ieri, in quest'aula, le motivazioni di un decreto-legge che sembra un adempimento formale, una sorta di atto dovuto - e in tal senso è presentato da questo Governo -, ma che, in realtà, sottintende una volontà politica molto chiara del Governo Prodi e, soprattutto, del viceministro Visco, grande assente in quest'aula in questi giorni: la volontà di difendere l'IRAP, di difenderne


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lo spirito, di difendere a tutti i costi non il gettito che ne deriva, ma l'impostazione politica secondo la quale essa è stata costruita.
Sottosegretario Grandi, ognuno di noi ha le sue passioni: chi è tifoso di calcio; chi ha la passione della famiglia; chi quella della casa; il viceministro dell'economia, Visco, è innamorato dell'IRAP (e non si tratta di una cosa particolarmente esaltante)! La sua impostazione culturale l'ha guidato, in tutti questi anni, a difendere l'imposta contro tutti e contro tutto: contro il mondo imprenditoriale, contro Bruxelles, contro gli attacchi di quella che prima era la maggioranza ed oggi è l'opposizione. Sottosegretario Grandi, nel decreto-legge in esame c'è un aspetto grave (un'occasione perduta, diciamo così): il Governo ha dimostrato di accettare dell'IRAP tutto, anche quello che avevate contestato, negli anni scorsi, quando eravate all'opposizione, è nel vostro programma di Governo!
Questa era, tecnicamente, una prima occasione importante per intervenire. Era una prima occasione per risolvere, ad esempio, la questione dell'IRAP applicata ai professionisti privi di una propria struttura organizzativa. Secondo la Corte costituzionale e le stesse commissioni tributarie, tali soggetti dovrebbero essere esenti dal tributo; eppure, la questione non è stata affrontata.
Poteva essere l'occasione per affrontare - l'avete detto e lo state dicendo da mesi - il peso del costo del lavoro. Come lei sa, signor sottosegretario, l'IRAP incide in modo assurdo ed automatico sul costo del lavoro. Poteva essere l'occasione per dare un avvertimento importante ai contribuenti. Abbiamo ascoltato il ministro Padoa Schioppa lanciare l'allarme tutti i giorni sui conti pubblici; ormai sentiamo tutti i giorni il «commissario ministro per la finanza», onorevole Visco, lanciare i suoi strali contro gli evasori fiscali e, poi, alla prima occasione, voi avete spiegato ai contribuenti italiani che sì, tutto sommato, pagare in ritardo di un mese non comporta alcuna diversità rispetto a chi ha pagato prima! Alla prima occasione avete testimoniato, in modo chiaro ed evidente, che il vostro rigore fiscale, in realtà, non esiste o esiste «a corrente alternata», esiste a seconda delle settimane ed a seconda dei contesti: un po' come è «a corrente alternata» la vostra politica estera.
Signor sottosegretario, questo non è un atto fondamentale, non è un atto che passerà alla storia. È probabilmente un atto tecnico scritto dalla burocrazia, ma in cui è chiaro ed evidente un impegno politico che, per il tempo in cui rimarrete in carica - mi auguro il meno possibile - porterete avanti. L'IRAP è una tassa che condividete. L'IRAP è una tassa che per voi va bene così. L'IRAP è un'imposta che vi piace, che piace al viceministro dell'economia e delle finanze, nonostante abbia un'incidenza disastrosa sulla nostra economia.
Di fronte a questo atteggiamento, ripeto non su un provvedimento importante, ma su un provvedimento secondario, non possiamo che ricordarvi quale e stata, e quale sarà, la posizione della Casa delle libertà e, in particolare, di Forza Italia. Abbiamo progressivamente tentato di ridurre questa imposta, reputandola ingiusta. Siamo riusciti ad esentare 320 mila imprese dal pagamento di tale imposta e riteniamo che l'impostazione culturale e fiscale su cui essa si fonda sia distruttiva, perché costringe aziende in perdita a pagare le imposte ed andare ancora più in perdita, perché obbliga le aziende che investono in manodopera a pagare sul loro investimento, obbliga le aziende che sono costrette a ricorrere al credito bancario a dover pagare una tassa in più per il fatto di essere più deboli finanziariamente. È un'imposta al contrario. Due anni fa un ex ministro del tesoro adottò un provvedimento sulla competitività, l'IRAP è il contrario di ciò che la politica può fare per la competitività del paese.
Avete ribadito che per voi è importante. Avete ribadito che la filosofia su cui si basa è prioritaria nella vostra politica fiscale, avete, in un provvedimento di secondo piano, dato una dimostrazione di ciò che sarà il vostro atteggiamento fiscale.


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Vi è un fatto ancor più grave, onorevole Grandi: mi ricordo i suoi interventi, i suoi strali ed il suo rigore dal punto di vista fiscale, fino a qualche mese fa. Cerchi di coniugare cinque anni di sue battaglie di rigore con ciò che è contenuto in questo provvedimento nei confronti di chi non ha versato quest'imposta! Mi piacerà osservare quale sarà il colore della luce del suo dispositivo di voto quando lei dovrà votare questo provvedimento, ripeto non importante, ma che contraddice nella sua essenza ciò che lei ha detto nel corso degli ultimi cinque anni, così come contraddice affermazioni che ho ascoltato da parte di molti colleghi del centrosinistra.
Lo ripeto ancora, si tratta di un decreto di terzo piano, non importante, ma significativo per il vostro atteggiamento e per il cambio di mentalità che vedo in molti di voi, una volta passati dall'opposizione alla maggioranza. Me ne ero già accorto ieri, quando è intervenuto il collega Giachetti, il quale, probabilmente, nella scorsa legislatura aveva un omonimo che ostacolava i lavori, si alzava, parlava, girava in quest'aula mostrando cartelli.
Ieri, il collega mi ha richiamato ad un rigore formale che mi ha sconcertato; sentirsi richiamare ad un fair play e ad un bon ton di Assemblea dall'onorevole Giachetti, che stimo ed apprezzo, il cui omonimo, nei cinque anni precedenti, ha fatto in quest'aula di tutto (dal passeggiare in aula con cartelli al togliersi la giacca, intervenendo su qualunque argomento), mi ha colpito.
Questa evoluzione della specie parlamentare, quando si passa dal ruolo di opposizione a quello di maggioranza, è significativa e andrebbe anche antropologicamente studiata!
In tale contesto, è meno grave quando ci si riferisce ad atteggiamenti di questo tipo, ma più grave quando, invece, si fa riferimento ad un'impostazione, ad un rigore fiscale che lo Stato non può permettersi di perdere, qualunque sia la maggioranza che lo governa (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, per la verità, volevo ricordare al collega Crosetto che la posizione del sottosegretario Grandi, per quanto riguarda la questione dell'IRAP, qualche tempo fa non era proprio quella adottata in quest'aula nel ruolo di sottosegretario.
Si tratta di una nefanda tassa! Non so se, relativamente a tale questione, si trattava di questioni personali nei confronti del collega Visco o di un suo convincimento. Comunque, melius re perpensa: il collega ha cambiato definitivamente idea in ordine a tale imposta.
Tuttavia, ha avuto l'onestà intellettuale di affermare in quest'aula che vi è qualcosa di più dietro a tale provvedimento. Non si tratta solo di un atto formale o dovuto, ma vi è qualcosa di più! Non lo ha detto, ma noi, nella nostra ridotta intelligenza, abbiamo capito a cosa si riferisce. Si riferisce, forse, al fatto che, nonostante ciò che sta per accadere in Europa in ordine all'IRAP, questo Governo vuole continuare a difenderla in tutti i modi, tant'è vero che ne anticipa addirittura alcuni effetti per sottrarsi alle conseguenze della sentenza della Corte di giustizia europea.
Pertanto, forse, è arrivato il momento di dire, non solo a noi, ma anche agli italiani, qual è il percorso che questo Governo, come affermava il collega Crosetto, vuole percorrere - mi si passi il bisticcio di parole - relativamente a tale questione, senza continuare a sbandierare il fatto che non si intende mettere le mani nelle tasche degli italiani (questo, forse, è vero, tant'è vero che ieri il collega Grandi ha tenuto le mani in tasca per tutto il suo intervento; evidentemente, non le vuole mettere in quelle degli italiani!), ma lo deve dire chiaramente, anche perché si è giunti ad un momento di stallo tale che sta rasentando il ridicolo.
Questo Governo fino ad ora non sa da dove cominciare! Non riesce a produrre un solo provvedimento! Siamo, oramai, a


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luglio, alle porte del Documento di programmazione economico-finanziaria e di tutta una serie di altre questioni molto delicate, ma questo Governo continua, attraverso il suo portavoce, che è Prodi, a dire solo e soltanto che si va di vittoria in vittoria, che si vince alle elezioni politiche, a quelle amministrative ed anche con il referendum!
Continuate a vincere, ma continuate a non produrre!
Noi non sappiamo cosa fare qui alla Camera. Stiamo perdendo un po' di tempo attraverso l'esame di qualche provvedimento di un paio di articoli, un provvedimento che si dice essere un atto dovuto, un atto formale. Noi però vogliamo sapere qual è il percorso, quali sono i provvedimenti, e qual è la «produzione» di questo Governo che finora non ci è dato sapere e che non vediamo.
Noi siamo preoccupati. Quello che è accaduto ieri al Senato non è vero che non ci interessa. Voi avete voluto con il referendum il bicameralismo perfetto, pertanto non vedo perché noi dobbiamo disinteressarci, come qualche esponente della maggioranza sosteneva ieri, di quello che accade nell'altro ramo del Parlamento, lasciandolo alla sua piena autonomia. Non è così! Non è così nel momento in cui sono approvati, attraverso un voto di fiducia, provvedimenti come quello cosiddetto delle milleproroghe.
Questo Governo ha stabilito dei record. Uno di questi è legato al fatto che finora ha prodotto due mesi di non lavoro. L'altro è un paradosso, una situazione kafkiana: il Governo, nel momento in cui si organizza con lo «spacchettamento» dei ministeri e con la creazione di nuovi sottosegretariati di Stato e di nuovi viceministri, attraverso cioè una pletora di uomini che compongono l'esecutivo, modificando la normativa che lo stesso centrosinistra aveva voluto (la cosiddetta legge Bassanini, ormai soffocata e defunta a seguito del provvedimento di «spacchettamento» dei ministeri), per poter operare pone la questione di fiducia proprio sul provvedimento di organizzazione del Governo. Si tratta di una cosa che lascia allibiti. Credo che in nessuna democrazia un atteggiamento e una situazione del genere siano mai stati registrati. Nonostante tutti i contentini fatti ai partitini della maggioranza, il Governo teme addirittura di non avere neanche i numeri per approvare il decreto-legge concernente la spartizione fatta. Ciò è ridicolo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)! È ridicolo, lo ripeto, quello che sta avvenendo!
Allora, se è vero che avete intenzione, caro sottosegretario Grandi, di portare avanti una politica di rigore non legata all'aumento delle tasse, e se è vero che volete portare avanti una politica di riduzione - qui i resocontisti possono scrivere: «risata generale» - del cuneo fiscale, diteci allora come volete fare, perché finora non l'abbiamo capito. In particolare, non abbiamo visto atti consequenziali a queste dichiarazioni di intenti, non abbiamo visto l'ombra di un solo provvedimento in linea con quello che avete dichiarato e, principalmente, non abbiamo visto una linea unitaria all'interno di questo Governo che finora è riuscito a trovare l'intesa solo e soltanto sulla spartizione del potere, delle poltrone, sull'aumento dei gruppi parlamentari qui alla Camera e su una serie di suddivisioni.
Caro collega Crosetto, ti sei riferito al commissario alle finanze, onorevole Visco. Ebbene, voi ci dovrete spiegare, un giorno, come un viceministro possa partecipare al Consiglio dei ministri e come un viceministro, pur non essendo stato diviso in due il Ministero dell'economia, possa avere una delega piena e completa sulla materia finanziaria e tributaria che è legata solo e soltanto alla divisione che già esisteva prima che la legge Bassanini accorpasse tesoro e finanze. Ci dovrete spiegare, da un punto di vista non solo tecnico e giuridico ma anche costituzionale, come è possibile che ciò avvenga! È possibile perché - lo state dimostrando - ve ne infischiate dei regolamenti, come ve ne siete infischiati al Senato, ve ne infischiate delle leggi e ve ne infischiate anche della Costituzione!


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È questo che gli italiani hanno sotto gli occhi ed è per questo che, sicuramente, ve ne andrete a casa quanto prima possibile (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Airaghi. Ne ha facoltà.

MARCO AIRAGHI. Signor Presidente, fin da quando, nel lontano 1997, l'allora ministro Visco - il cui nome i nostri colleghi di lingua tedesca pronunciano più correttamente «Fisco»... - decise di istituire l'IRAP, noi della Casa delle libertà giudicammo tale imposta illegittima ed anomala. Ricordo una grandissima manifestazione che organizzammo proprio qui, nella città di Roma, per protestare contro questa tassa che tutti gli italiani, soprattutto coloro che appartengono alle categorie produttive, avvertivano come un vincolo insostenibile. È una vera e propria «imposta rapina», come l'acronimo IRAP sembrerebbe configurare, che grava molto pesantemente soprattutto sulle piccole e medie imprese. L'apparato produttivo sano della nostra nazione, in gran parte costituito, appunto, da piccole e medie imprese, è molto seriamente ostacolato ed appesantito da questa imposta che grava sull'impresa indipendentemente dal suo reddito produttivo e costituisce, quindi, un vincolo onerosissimo alla sua capacità competitiva.
Oggi, l'economia del mondo è cambiata radicalmente e nell'Estremo Oriente ci sono potenze enormi come l'India e la Cina che, da sole, contano quasi due miliardi e mezzo di cittadini. Si considerino, poi, tutte le altre economie dei paesi vicini, quali Cambogia e Vietnam, che crescono ad una velocità impressionante e spaventosa e che stanno contrastando significativamente le economie occidentali, creando una sorta di concorrenza durissima, a volte addirittura impietosa, nei confronti del nostro apparato produttivo. Proprio oggi, quindi, si renderebbe necessaria, per le imprese occidentali, una maggiore capacità competitiva per confrontarsi con economie che possono giovarsi di un costo del lavoro enormemente più basso e che, a volte, competono senza regole con le nostre imprese. Certamente, dobbiamo chiedere alla Comunità europea di essere più forte nel pretendere regole di parità nella sfida con queste economie, che, altrimenti, sarebbe impari. Tuttavia, non basta chiedere regole. È evidente che, da parte nostra, dobbiamo mettere le nostre imprese nella possibilità di competere realmente. Quindi, dobbiamo dare loro mezzi, maggiori infrastrutture, un minor numero di regole e, sicuramente, una minore tassazione sul lavoro.
Al contrario, il nostro Governo non solo conferma un meccanismo fiscale iniquo, ma aumenta i peccati originali dello stesso sistema dell'IRAP proprio con il decreto-legge in esame, che è semplicisticamente qualificato come un atto di mantenimento del gettito ed, invece, pone in rilevanti difficoltà finanziarie e gravissime difficoltà burocratiche le imprese di ben sei regioni. Il presidente di Confindustria, Montezemolo, parla di danno oltre la beffa perché le imprese, in questo modo, pagano il conto di una gestione pubblica inefficace. Ma non è solo questo: si aumenta l'anticipo IRAP per oltre un milione di contribuenti e, a pochi giorni dalla scadenza, non si forniscono neppure le regole fondamentali per potersi adeguare.
Non si sa cosa accadrà a chi era esentato dall'imposta in base a disposizioni regionali e si ignora, altresì, cosa dovrà fare chi tiene un esercizio contabile che non coincide con l'anno solare. Se vogliamo considerare, poi, i costi ed i tempi necessari a coloro che hanno già versato l'imposta per eseguire nuovamente i calcoli, oppure la situazione di imprese che hanno sedi in più regioni, non sappiamo più che pesci prendere!
I professionisti operanti nel settore fiscale, infatti, segnalano come non siano attualmente disponibili i software in grado di effettuare i nuovi conteggi, condannando le imprese, di conseguenza, a versare l'imposta entro la scadenza del 20 luglio: in questo modo, per molti operatori l'incremento dell'aliquota sarà non dell'1


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per cento, bensì dell'1,40 per cento. Tutto ciò risulta in palese contrasto con quanto previsto dal cosiddetto statuto del contribuente, il quale prevede che tutte le manovre correttive riguardanti le imposte debbano essere realizzate nel rispetto dei tempi prestabiliti, nonché con un lasso di tempo sufficiente a permettere al contribuente di recepire le modifiche promulgate.
Nell'ambito della preoccupazione condivisa da maggioranza ed opposizione sulla tenuta della finanza pubblica, vorrei allora osservare che un primo, significativo atto di buona volontà fiscale potrebbe essere, ad esempio, evitare di applicare ai contribuenti delle sei regioni coinvolte, se sceglieranno di pagare entro il 20 luglio, la maggiorazione dello 0,40 per cento dell'aliquota IRAP. Infatti, consentire di attendere tale scadenza senza prevedere aggravi ci sarebbe sembrato un atto minimo ed indispensabile di correttezza; tanto più che lo stesso Governo ha ammesso, in data mercoledì 14 giugno, in risposta ad una interrogazione a risposta immediata svolta presso la Commissione finanze della Camera, che la norma concernente gli aumenti dell'IRAP e dell'addizionale regionale dell'IRPEF presenta elementi di difficoltà interpretativa. In sostanza, il provvedimento in esame rappresenta solamente, a nostro avviso, una soluzione-tampone e costituisce un esempio della superficialità e dell'approssimazione con cui la maggioranza di centrosinistra ha iniziato a legiferare.
Tale atteggiamento, tuttavia, non ci sorprende, così come non ci meraviglia il mutamento radicale di posizioni avvenuto nell'attuale maggioranza, la quale, quando pochi mesi fa era ancora all'opposizione, abbiamo sentito scaricare, da questi banchi, una serie di contumelie sul nostro Governo e sulla maggioranza di allora, dal momento che nell'ultima legge finanziaria, a loro avviso, eravamo colpevoli di non avere soppresso l'IRAP.
Naturalmente, una volta andati al Governo, l'atteggiamento è cambiato completamente; tuttavia - e, in questo caso, dissento dal collega Crosetto - ciò non mi meraviglia. Infatti, se è facile, una volta che si è all'opposizione, attaccare demagogicamente, con qualsiasi pretesto, il Governo per le politiche che conduce, è chiaro che, quando si sale di livello e si osserva la realtà da una posizione più alta, cambia anche il punto di vista.
Ciò perché più in alto si sale, meglio si vedono le cose: è un po' come quando, all'estremo sud dell'Africa, giungiamo al Capo di Buona Speranza, scendiamo sulla spiaggia e vediamo il mare. Il nostro punto di vista cambia radicalmente, tuttavia, quando, spostandoci di soli 100 metri, ci rechiamo al promontorio del faro: saliamo qualche centinaio di metri in quota e, man mano che si sale, la visione si amplia, e quando raggiungiamo la cima osserviamo meglio la realtà. Si avverte, ad esempio, la sfericità della terra, e si vede che non vi è più nulla fino all'Antartide.
Credo che oggi Prodi, il suo Governo e la sua maggioranza siano proprio giunti al Capo, siano saliti più in alto ed osservino meglio la realtà. Oggi più che mai, allora, vediamo che quella che per Prodi era, una volta, una buona speranza, adesso, dall'alto, è solamente il cattivo paesaggio della difficoltà di mantenere la barca del suo Governo e di garantire la tenuta della sua coalizione (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Alessandri. Ne ha facoltà.

ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri abbiamo ricordato, durante lo svolgimento del dibattito, che già dal 1997 aleggiava sul paese il vampiro Visco (come apparve in una famosa vignetta). Ciò che è certo, alla fine, è che il provvedimento in esame rispecchia un po' ciò che temiamo andrete a realizzare nei prossimi mesi e, se ce la farete - ma ci auguriamo il contrario -, nei prossimi anni di governo: mettere continuamente le mani nelle tasche di chi lavora veramente, senza dimenticare mai di destinare i soldi che avete prelevato alla gestione della nostra macchina organizzativa!


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La vostra macchina organizzativa è forte e brava, ed è abile soprattutto nel raccontare falsità, nel riuscire a convincere la gente che siete dei «fenomeni» e, magari, nell'ottenere anche i voti! Sono convinto, tuttavia, che ciò non sia destinato a durare in eterno: sarebbe, infatti, un ben grave e misero paese quello che continua a credere a promesse vane senza mai chiedere, in cambio, realizzazioni concrete.
Lo dico perché, per sei mesi, avete raccontato (e molta gente in buona fede l'avete anche convinta) che non avreste aumentato le tasse agli artigiani e alle classi produttive. Oggi, siamo in aula a discutere sull'IRAP, da voi inventata nel 1997, ritoccata per chiudere i «buchi», a chi, magari a livello sanitario, non ha adempiuto gli obblighi cui doveva sottostare. Cominciamo male.
Avete detto che Prodi non sarebbe stato ostaggio dei partiti: infatti, manuale Cencelli alla mano, avete fatto impallidire Andreotti con 102 poltrone, facendo dimettere coloro che quelle poltrone se le sono beccate per fare entrare altri parlamentari! Due conti fatti: 6 milioni di euro buttati via solo per accontentare con qualche poltrona il sedere di chi era da accontentare.
Avete raccontato agli italiani, alla gente che vi ha creduto, che con le donne avreste fatto come Zapatero. Voi eravate «fenomeni». Sei ministeri senza portafoglio e neanche la carta di credito avete dato a queste donne (Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo)! Avete raccontato alla gente che avreste realizzato il cambiamento del paese. L'altro giorno, avete fatto bocciare una riforma e oggi la Lanzillotta promette il federalismo fiscale! Credo sia bene spiegare alla gente cosa sia il federalismo fiscale. È fattibile nel momento in cui si concede ad un ente inferiore allo Stato una qualche competenza, altrimenti a cosa serve il federalismo fiscale? Quali soldi fai trattenere direttamente alla fonte? O forse il federalismo fiscale per voi è «lo Stato continua a prendere soldi, continua ad aumentare le tasse, magari inventando altre quattordici IRAP, e poi, per gentile concessione, magari soltanto all'Emilia e alla Toscana, diamo indietro qualche cosa»? Non è questo il federalismo fiscale!
Cosa significa l'espressione federalismo fiscale? Intanto la parola federalismo, foedus, vuol dire patto e deve essere un patto fra entità che sono, in qualche modo, autonome. Ma se voi non date alle regioni o agli enti di secondo grado le competenze esclusive, con il cavolo che facciamo federalismo! E se non c'è il primo, non c'è neanche il secondo, quello fiscale. Quali soldi dovremmo far trattenere alle regioni? Per fare cosa? Per gestire la sanità, come fa Loiero in Calabria? No, grazie! Non è questo che vogliamo. Non credo neanche sia quello che volete voi o che vuole la gente che, in buona fede, vi ha votato.
Dovevate spiegarlo meglio alle persone, invece di raccontare in giro, come è successo, che se avesse vinto il «sì», non avrebbero avuto le pensioni, avrebbero raddoppiato i ticket, avrebbero perso la sanità ed i loro figli non sarebbero andati a scuola. Guardate che ho sentito queste cose sul territorio, da alcune vecchiette istruite da alcuni sindacati di sinistra e mi sono vergognato per voi. Per voi mi vergogno, la classe politica di Governo (Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo)... No, le avete raccontate queste balle, e di «no», purtroppo, ne avete raccolti anche parecchi.
Penso sia utile essere in quest'aula e ricordare alla gente, tutte le volte che possiamo - a Roma, nelle istituzioni e sul territorio, parlando al cuore della nostra gente -, che si può promettere di tutto, far credere che siete dei fenomeni, che tutto il Governo si trasforma in supereroi e X man. Ma alla fine, sotto sotto, tolto il costume di scena, rimane ben poco; rimangono governanti nudi, incapaci davvero di dare risposte.
Mi sembra che su molti argomenti stiate seguendo esattamente ciò che ha fatto il tanto vituperato Governo Berlusconi. Poche idee e grandi difficoltà all'interno, di questo mi rendo conto. Ieri, al Senato, si è assistito all'ennesima incredibile


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difficoltà. Se fossi l'amministratore delegato di una società e fossi ogni giorno con l'acqua alla gola per far approvare ogni singolo passaggio, credo che mi dimetterei. Ma, naturalmente, Prodi non è Alessandri, anche se abbiamo in comune l'origine reggiana. Una parte di Reggio Emilia si vergogna che Prodi sia reggiano, io compreso. Ho preso un impegno con i miei compaesani di venire a Roma a cercare di dimostrare che non esiste solo quella Reggio Emilia, quelle teste quadre... Lui, in effetti, ha la testa a forma di televisione (Commenti dei deputati del gruppo de L'Ulivo)... Però esiste anche una testa pensante a Reggio Emilia che non pensa solo come il moloc unico del pensiero sindacale e cooperativo (a proposito, chissà perché non si parla più dei 43 milioni di euro di Consorte e Sacchetti).
Esiste anche un'altra Reggio Emilia, e sono orgoglioso di rappresentarla, che è quella che vuole essere compresa nella parte produttiva del paese, che ha votato «sì» al referendum svoltosi domenica e lunedì, che vuole combattere per alzarsi la mattina e lavorare, che vuole sperare di dare ai propri figli e nipoti una terra stupenda, come quella che ci hanno consegnato i nostri padri e i nostri nonni. Una volta, a casa mia le porte erano sempre aperte, non vi erano chiavi nelle toppe; chiunque entrava, a qualsiasi orario, per bere un bicchiere di lambrusco e mangiare un piatto di cappelletti. Oggi, viviamo come in un carcere nella tanto osannata Emilia Romagna, in quella Reggio Emilia che sembra una sorta di fenomeno da baraccone. Si dice che esportiamo gli asili più belli del mondo, ma sono solo due. Bisognerebbe andare a vedere gli altri cento asili, che fanno abbastanza schifo.
È facile dare illusioni alla gente, ma bisogna anche rendersi conto che fuori da questo Palazzo, fuori dalle IRAP, dalle «i- rapine», fuori dai proclami, fuori dai fenomeni da baraccone, c'è un mondo che lavora, che sopravvive, che grazie all'euro, introdotta in questa maniera da Prodi e Ciampi, fa davvero fatica ad arrivare alla fine del mese. Dico ciò in particolare al sottosegretario Grandi, dato che pochi giorni fa a Reggio Emilia ci siamo confrontati, cercando una risposta per i pensionati della CNA, ma anche per gli artigiani, e lui diceva che avrebbero dato un segnale di fiducia. Oggi, stiamo discutendo di IRAP, che non dà assolutamente segnali di fiducia.
Ho fatto un po' di satira, ma non vorrei che il satiro diventasse sadico e se, diventa tale, diventa uno Stato che tortura, che prende in giro e che, soprattutto, tradisce la fiducia di quella gente che vi ha votato in buona fede, che rispetto. È a loro che voglio parlare, a coloro che vi hanno votato in buona fede, convinti che voi foste dei fenomeni. Sono due o tre settimane che state cercando di governare e ritengo che abbiate tradito quello che era il vostro Vangelo. Voi avevate detto di avere un Vangelo da seguire. Ho dimostrato che, in tre settimane, lo avete tradito tre volte. Se dovessi darvi un giudizio sul rispetto di quel Vangelo, dovrei come minimo scomunicarvi, ma visto che non sta a me doverlo dare, ritengo indispensabile ed obbligatorio che si metta tutto l'impegno possibile e necessario per farvi cadere il prima possibile (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bellotti. Ne ha facoltà.

LUCA BELLOTTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, parlando di IRAP non sarà mai sufficiente ricordare la storia di questa imposta che, ancora oggi, grazie al centrosinistra, è oggetto di discussione in quest'aula.
L'origine dell'imposta regionale sulle attività produttive è un tentativo goffo del primo Governo Prodi di istituire un'ulteriore fonte di entrata, per coprire le spese riguardanti servizi fondamentali quali, ad esempio, la sanità.
In effetti, sebbene essa, per certi versi, potrebbe apparire una sorta di processo verso il federalismo fiscale, è stata fortemente criticata da molte regioni e pressoché dalla totalità della base produttiva del nostro paese, non ultimo dallo scorso


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Governo della Casa delle libertà, per l'aggravio che crea sulle spalle degli imprenditori.
La concezione stessa dell'IRAP è controversa, dato che riguarda il valore della produzione e non consente la deducibilità dei costi, a volte significativi, quale quello del lavoro. Non è propriamente un'imposta sui consumi né un'imposta sul reddito. Nel momento in cui si richiedono minori legami ed ostacoli contributivi, più agevolazioni per le imprese, più stimoli allo sviluppo, ecco che il centrosinistra, con questo primo debutto in Assemblea, non sa fare altro che riproporre l'IRAP, ostacolo alla crescita economica delle nostre aziende.
L'Italia produttiva viene colpita da imposte come questa, un'imposta ingiusta in quanto, come è già stato ampiamente fatto notare, duplica l'IVA, un'imposta iniqua, su cui pende il giudizio della Corte europea. Anche le considerazioni conclusive dei due avvocati generali, Jacobs, nel 2005, e Stix-Hackl, nel 2006, hanno riaffermato tale duplicazione.
Riproporre disposizioni regolatorie sull'IRAP, da parte del centrosinistra, significa che non vi è alcun desiderio di eliminarla, ignorando sia l'Europa - della quale vi vorreste unici sostenitori -, sia la stessa Avvocatura generale, che ha dichiarato tale imposta una duplicazione.
State - cari colleghi della sinistra - battendo cassa, cercando di racimolare ogni centesimo in una sorta di sindrome da astinenza da denaro pubblico, e lo fate gravando sulle spalle dei cittadini, senza prevedere riforme strutturali, senza procedere per progetti e per programmi. State battendo cassa ovunque troviate uno spiraglio per mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Nuove tasse, ecco quello che promettete! State attaccando il mondo produttivo italiano! Mentre il centrodestra ha espresso la ferma intenzione di smantellare questa imposta, voi al contrario la cavalcate.
L'atteggiamento del Presidente del Consiglio è drammaticamente gustoso. Il Presidente Prodi, che aveva istituito tale imposta, si trovò, in qualità di Presidente della Commissione europea, a condannarla. Oggi, in Italia, la cavalca.
Un Governo di questo tipo non può far altro che basarsi sull'incoerenza. Che forza dimostra chi si trova a dover invocare disastri nei conti pubblici per giustificare la propria incapacità di concepire un sistema di misure che possa innovare l'Italia? Cosa farete quando l'Unione europea considererà finalmente e definitivamente illegittima l'imposta? Cosa riuscirete ad inventare?
Per quanto concerne il provvedimento in esame, esso ripropone quello analogo presentato dal centrodestra nella scorsa legislatura all'interno del decreto-legge n. 106 del 2005. Tuttavia, il centrosinistra è riuscito a snaturare anche quella giusta disposizione. In effetti, la norma in questione pone seri problemi, dato che mina uno dei principi fondamentali, vale a dire la certezza del carico impositivo e la determinazione dei tempi per i versamenti.
Avevamo stabilito un principio chiaro, quello della responsabilità. Le regioni che sforavano la spesa della sanità dovevano presentarsi davanti ai propri cittadini con un innalzamento della tassazione. Per inciso, gran parte delle regioni che hanno dimostrato inefficienza nella gestione della sanità sono proprio di sinistra; l'unica amministrata dal centrodestra coinvolta da tale sforamento, la Sicilia, probabilmente ha già pagato, visto che l'imposta sull'assicurazione della responsabilità civile riguardante l'automobile, pagata dai contribuenti residenti nella regione Sicilia, deve essere versata direttamente dallo Stato. Quindi, la somma in questione avrebbe sicuramente azzerato lo sforamento della spesa sanitaria.
Tuttavia, anche questo giusto principio di responsabilità, consistente nel farsi carico delle proprie mancanze, risulta compromesso dal caos che determinate nei termini dei versamenti. Le regioni inadempienti, per riallinearsi, hanno tempo fino al 30 giugno, in caso contrario l'aliquota passerebbe dal 4,25 per cento al 5,25 per cento, con ben un punto di maggiorazione.


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Dunque, cosa accadrà per coloro che hanno versato in questo mese il 5,25 per cento, se poi le rispettive regioni si riallineeranno? Dovranno attendere fino a novembre, quando dovrà essere corrisposto il secondo acconto? Avete concepito l'escamotage: i contribuenti che non hanno eseguito il versamento perché si sono trovati in questa situazione di incertezza possono eseguirlo entro il 20 luglio. Ebbene, avete dimenticato di includere in questa possibile scappatoia le società il cui esercizio non coincide con l'anno solare. Insomma, come si dice a scuola, non sapete neppure copiare bene!
I Governi Prodi si sono dimostrati molto bravi a fare solo due cose: aumentare le tasse e creare maggiori problemi ai cittadini. Godetevela finché dura, traete quel che potete dalle poltrone e poltroncine che avete distribuito in questo periodo, purtroppo poi toccherà a noi raccogliere i cocci (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Allasia. Ne ha facoltà.

STEFANO ALLASIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, colleghi padani e padanisti, discutiamo in quest'aula di un disegno di legge di conversione in materia fiscale adottato dal Governo in carica: si tratta di un provvedimento che, sostanzialmente, punta a «far cassa».
Francamente, avremmo voluto parlare della politica fiscale ed economica di questo Governo, ad alcune settimane dal suo insediamento, discutendo di aspetti più chiari e concreti e, appunto, delle politiche economiche e fiscali che realmente questo Governo intende perseguire.
È ben vero che, tra pochi giorni, esamineremo il Documento di programmazione economico-finanziaria e comprenderemo, in tale occasione, quali sono le reali volontà di questo Governo. Ma, come hanno già affermato in precedenza altri colleghi, oggi parliamo per la prima volta di politica fiscale e di un provvedimento minimale, di un'inezia. Facciamo ciò dopo alcune settimane dall'insediamento del Governo.
Solitamente, le prime settimane di insediamento di un Governo, i famosi primi cento giorni, dovrebbero essere quelle in cui il Governo dà la sua prova di forza, fa capire al proprio elettorato ed al paese chi è e cosa intende fare, cosa propone, quali sono le politiche che ha intenzione di perseguire e come intende risolvere le problematiche del paese. Invece, oggi, ci troviamo - lo ripeto: a diverse settimane dall'insediamento di questo Governo - a non aver alcun elemento chiaro sulle politiche economiche e fiscali che lo stesso Governo intende perseguire. Difatti, fate ben capire di che forza siete!
Leggiamo sui giornali dichiarazioni rese in libertà da ministri, sottosegretari e politici con alte responsabilità, dalle quali si comprende che, in materia economica, questo Governo intende perseguire un solo obiettivo e lo fa in maniera diversa rispetto al precedente Governo Berlusconi. Quest'ultimo, appoggiato dalla Lega, nei cinque anni in cui, sia a livello nazionale sia a livello europeo e mondiale, si è riscontrata una crisi economica a tutti evidente, non ha messo una sola volta le mani nelle tasche degli italiani. In cinque anni, non una sola volta ha chiesto qualcosa di più rispetto a quanto già richiesto agli italiani in tema di tassazione, imposte e contributi, riuscendo, nonostante tutte le menzionate difficoltà economiche, a raggiungere (anche se avrebbe voluto fare di più) una graduale riduzione delle imposte e del gettito fiscale complessivo entrati nelle casse dello Stato.
Ecco perché parlare oggi di un provvedimento (che - è ben vero - è stato proposto in precedenza anche dal Governo di centrodestra) che punta solo a far cassa fa un po' specie. E, infatti, si discute di un provvedimento che punta a far cassa e, da diverse settimane, tramite le dichiarazioni apparse sui giornali, il Governo ci ha fatto capire che perseguirà solo questo obiettivo, ossia fare cassa, e mirerà, soprattutto, a mettere le mani nelle tasche degli italiani.


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Lo farà rivedendo, a quel che sembra, le imposte sui BOT, la tassa di successione ed altre imposte che mai il Governo precedente si era sognato di modificare, pur in una situazione economica difficile, sia a livello europeo sia a livello mondiale. Lo si fa oggi nella prospettiva - come dicono gli economisti - di potenziare la crescita economica. Nella giornata odierna - come in quella di ieri -, stiamo discutendo del cosiddetto decreto salva-IRAP e del suo primo articolo, il quale prevede di non applicare l'istituto del cosiddetto ravvedimento operoso. Ciò al fine di non permettere ai contribuenti che oggi non pagano - ritenendo che nei prossimi mesi la Corte di giustizia europea dichiarerà illegittima l'IRAP ai fini comunitari - di far ricorso al suddetto istituto per trovarsi di nuovo in regola e, quindi, in posizione legittima.
È questa, per sommi capi, la ratio del provvedimento, alla quale poi si è aggiunta la maggiorazione dell'1 per cento per i contribuenti di quelle regioni che non hanno rispettato la stabilità dei loro conti sanitari. Di questo si è discusso ampiamente nei giorni immediatamente precedenti alla data del 20 giugno, scadenza del primo versamento. Da più parti si è fatta notare una certa confusione ed incertezza dei contribuenti, che non sapevano se pagare un'aliquota del 4,25 per cento o del 5,25 per cento. Alcuni gruppi hanno richiesto l'applicazione dell'aliquota del 5,25 per cento sulla seconda rata di novembre, ma questa ipotesi non è stata accettata. Comunque, vi è stata poca chiarezza nei confronti dei contribuenti, che, incerti, hanno pagato chi il 4,5 per cento, chi il 5,25 per cento. Tra l'altro, nelle prossime settimane la loro regione di appartenenza metterà in bonus i propri conti sanitari.
Quindi, lo ripeto, si è creata una certa incertezza, riscontrabile anche tramite la lettura dei giornali economici.
Come dicevo in precedenza, stiamo discutendo di un provvedimento che riguarda l'IRAP. Al riguardo, il nostro partito ha sempre tenuto una posizione molto chiara: si tratta di una imposta iniqua, che colpisce le piccole e medie imprese. Essa, infatti, non prevedendo la possibilità di dedurre il costo del lavoro, danneggia quelle aziende che più fanno affidamento sul settore produttivo del lavoro.
Tra l'altro, stiamo vivendo un periodo nel quale le nostre imprese, soprattutto quelle del settore manifatturiero, dove alta è l'incidenza del fattore produttivo lavoro, stanno entrando in crisi a causa della concorrenza internazionale. Ecco perché la Lega nord, quando era parte integrante del Governo Berlusconi, aveva proposto l'abolizione, seppur graduale, dell'IRAP e una franchigia di 200 mila euro per il costo del lavoro sul calcolo della base imponibile, per venire incontro alle piccole e medie imprese, vessate da un'imposta iniqua, che colpisce lo stesso costo del lavoro, e dalla concorrenza sleale messa in atto soprattutto dai paesi emergenti.
Vi è stato anche chi ha sollevato l'ipotesi di emendamenti che contemplerebbero la possibilità, per le regioni che hanno sforato i costi sanitari, di non far pagare la maggiorazione dello 0,4 per cento per i versamenti effettuati entro il 20 luglio. In altre parole, si tratta della possibilità di pagare il 5,25 per cento entro il 20 luglio. Se, da una parte, ciò può servire a fare un po' di chiarezza per i contribuenti, dall'altra, dà la possibilità di non applicare la maggiorazione dello 0,4 per cento, ossia tale percentuale non deve essere applicata su tutta l'imposta, ma, eventualmente, solo sull'1 per cento in più, altrimenti si verrebbe a creare una certa disparità tra le regioni che, giustamente, hanno rispettato il pareggio dei propri conti sanitari e le altre, che non lo hanno fatto.
Crediamo che, per fare chiarezza, si debba dare questa possibilità non su tutta l'aliquota dell'imposta, bensì solo sulla parte addizionale, che va a colpire le regioni non in regola con i conti sanitari. Ciò per non creare discriminazioni tra una regione e l'altra e, soprattutto, per non creare discriminazioni tra le regioni con i conti in regola e quelle con i conti non in regola, che si intende, invece, premiare consentendo loro di non far pagare la maggiorazione.


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Concludendo, vorrei dire una frase che a Torino ormai è un leit motiv: ladri, andate a lavorare (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, l'azione di denunzia e di sottolineatura delle distorsioni di questo, in sé pur modesto, provvedimento, che il gruppo di Alleanza nazionale e gli altri dell'opposizione nazionale stanno ponendo in essere, è ispirata ovviamente, ad una duplice ragione: la prima di carattere politico complessivo e la seconda relativa specificamente alla portata di questo che ho definito un pur modesto provvedimento.
La ragione politica è quella di denunciare l'azione dell'attuale Governo, non soltanto a noi stessi parlamentari e alle aule del Parlamento, ma, soprattutto, all'opinione pubblica, ai cittadini, alle famiglie, alle imprese e agli studi professionali. Parte di costoro potrebbero avere avuto le loro perplessità politiche, ormai pochi mesi or sono, e, forse, qualcuno ha anche attribuito il suffragio alla coalizione del centrosinistra. Ora, invece, assistono ad un brusco risveglio dalle loro illusioni, trovandosi di fronte a ciò che non era stato difficile preconizzare come il «Governo delle tasse», il «Governo delle iniquità», che reagisce in questo modo alle difficoltà di carattere economico-finanziario, che il Governo di centrodestra aveva fronteggiato - oggi lo possiamo dire con cognizione di causa e in virtù di un paragone - in maniera responsabile, riuscendo a reperire quel tanto o quel poco di risorse che si era in condizione di reperire, senza rapinare i cittadini o - se volete -, più blandamente, senza sottoporli a quella vessazione fiscale da parte della sinistra che, secondo verità, avevamo denunziato negli anni precedenti.
Dobbiamo, quindi, denunciare con forza che i primi atti stentati, incoerenti, irrazionali di questa coalizione di Governo - se coalizione è ancora possibile definirla - sono di prelievo fiscale inconsulto, irrazionale e dominato dall'incertezza. Diversi colleghi si sono già soffermati su questo aspetto, che vi invito a non sottovalutare. È stato detto e ribadito che il profilo della certezza e della chiarezza in capo al contribuente è delicatissimo. Oggi non esito a dire che il cittadino è altrettanto indignato per l'esosità del prelievo fiscale quanto per l'illeggibilità delle norme, che lo assoggetta spesso a molti costi aggiuntivi per costose consulenze per il fatto di non essere più in grado da solo di orientarsi tra le scadenze e le conseguenze, spesso di carattere sanzionatorio, dei propri passaggi e dei propri obblighi di contribuente.
È stato detto che questo provvedimento non tiene conto della situazione che pende dinanzi alla Corte di giustizia della Comunità europea, che sta affrontando un tema che non potete, voi della maggioranza attuale, sottovalutare: quello dell'incompatibilità dell'imposta regionale sulle attività produttive con il divieto, posto agli Stati membri dalla direttiva 77/388 CEE, di fissare imposte sulle cifre d'affari diverse dall'IVA. Invece, ci troviamo di fronte ad una duplicazione palese, plateale, per cui sale con forza la richiesta di eliminazione, subitanea o anche progressiva, di questa odiosa imposta. Ci troviamo, quindi, con un contenzioso europeo, e voi ci avete accusato tanto infondatamente quanto ingenerosamente di euroscetticismo, con il Presidente Prodi che osa perfino parlare, come ha fatto in questi giorni con infelicissima ed ingiusta terminologia, di un'Italia che rientrerebbe in Europa o si reimmetterebbe nelle problematiche europee. Avreste dovuto essere coerenti con queste vostre strumentali affermazioni, tenendo presente la pendenza di questo formidabile contenzioso dinanzi alla Corte di giustizia della Comunità europea.
Ci siamo chiesti e continuiamo a chiederci cosa accadrebbe se, come è assolutamente possibile, o addirittura probabile, la Corte di giustizia dichiarasse formalmente questa incompatibilità e decretasse, quindi, finalmente la necessità di eliminare


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l'IRAP. Quali conseguenze vi sarebbero? È evidente che la contingenza di questo provvedimento è legata all'ormai molto commentata vicenda delle regioni inadempienti, ed è stato giustamente sottolineato - ma giova che i nostri ascoltatori, se ve ne sono anche fuori di quest'aula, lo sappiano - che sono sostanzialmente tutte le regioni governate dal centrosinistra a versare in questa condizione, con l'eccezione della Sicilia, che però, è stato ben chiarito in relazione alla tassa di circolazione, in realtà non è da includere tra queste regioni e che, sostanzialmente, è in regola.
Peggio ancora: si è cercato di far credere ai contribuenti che ci fosse una situazione nei nostri conti che legittimasse interventi di questa iniquità; si tratta di un'operazione disonesta nei confronti dell'opinione pubblica in generale. Va tenuto, altresì, presente che vi sono profili di iniquità straordinari tra varie categorie di contribuenti: ad esempio - anche questo è stato giustamente sottolineato - non si sono previste le imprese che hanno scadenze e modalità di versamento diverse. Abbiamo evidenziato, perché ci sta particolarmente a cuore, che un problema si crea per il comparto agricolo, comparto che non avrebbe certo bisogno di problemi aggiuntivi: non sappiamo se si passa al 2,9 per cento, si resta all'1,9 per cento o se, al contrario, si balza al 5,25 per cento.
Quindi, si possono generare speranze ed essere invece esclusi, venendosi a trovare di fronte ad una dura realtà.
Inoltre, che cosa accade per quanto riguarda i costi e i tempi o per i ricalcoli rispetto a coloro che hanno già versato? Addirittura, vi è la situazione, non infrequente, di imprese che hanno sede in più regioni. Stiamo creando, quindi, seri problemi, non solo alle imprese che «torchiamo», aumentando, cioè, il carico fiscale, ma anche ai professionisti che debbono assisterle. Tutto questo avviene in una palese, ennesima, grave, violazione rispetto allo statuto del contribuente.
Infine, tentare di attribuire, come disonestamente è stato fatto, a postumi di un'azione di Governo della Casa delle libertà una situazione di questo genere è estremamente grave, una vera falsificazione rispetto alla realtà. Ritengo quindi che sia profondamente giusto, anche al di là della normale ed inevitabile battaglia parlamentare - che non finisce certo quest'oggi - per quanto riguarda i problemi di merito or ora descritti, che l'opposizione nazionale sia particolarmente rigorosa e indefettibile nel denunciare questa situazione.
Questo provvedimento rappresenta di per sé un test, un campione particolarmente sintomatico e significativo delle modalità secondo le quali una maggioranza di questo genere - una pretesa maggioranza di questo genere - potrà procedere in materia di imposizione fiscale, utilizzando un'imposta voluta dai vostri versanti politici: un'ingiustizia, un'iniquità voluta dai vostri versanti politici, che voi declinate in questo momento attraverso un provvedimento iniquo e irrazionale, che non può non incontrare, non solo e non tanto uno scontato voto contrario, quanto piuttosto una documentata, concreta opera di denuncia nei confronti dell'opinione pubblica.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Il primo provvedimento di natura economica di questo Governo va, come abbiamo visto, ad aumentare la pressione fiscale nel nostro paese. Lo avevamo detto in campagna elettorale. Un Governo che nega i principi del federalismo e che punta ancora ad uno Stato centralista ed assistenzialista, inevitabilmente, con i suoi provvedimenti economici avrebbe poi dovuto iniziare ad aumentare la pressione fiscale nel nostro paese (in questo caso quella sulle imprese, un settore che dovrebbe essere trainante ma che viene, purtroppo, ancora una volta penalizzato).
Questo è, nella realtà dei fatti, il sunto della discussione di questo provvedimento: andiamo ad aumentare le tasse e penalizziamo le nostre imprese.


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Noi, in campagna elettorale, soprattutto in quella referendaria, avevamo inviato un messaggio molto chiaro agli italiani, secondo cui l'unica ricetta per riuscire a risollevare le sorti di questo paese consiste chiaramente nelle grandi riforme istituzionali che proponevamo, prima fra tutte il federalismo fiscale. Federalismo vuol dire responsabilizzare soprattutto quelle regioni che fino adesso sono state sempre e comunque protette da un Governo centrale ed assistenzialista, che interveniva per coprirne i buchi di bilancio e le disfunzioni. Il federalismo fiscale diventa invece sempre più importante e fondamentale per quelle regioni del nord che hanno bisogno di un sostegno e di un aiuto da parte degli enti locali per riuscire a sostenere la loro azione politica sul territorio.
Abbiamo visto un centrosinistra che, in campagna elettorale, è riuscito, per l'ennesima volta, a prendere in giro gli italiani (diciamo la verità). I proclami di abbassare le tasse, come quello lanciato da Prodi di ridurre le spese della politica, sono stati clamorosamente falsificati e immediatamente contraddetti dall'azione di questo Governo, nonché dei gruppi parlamentari. Penso al record assoluto di ministri e sottosegretari nominati dal Governo Prodi. Questo Governo, già adesso, solo per mantenere i ministri, i sottosegretari, i loro staff e le loro auto blu, costa al contribuente il doppio di ciò che costava il Governo Berlusconi nella passata legislatura.
È questo già un dato di fatto incontrovertibile.
Pensiamo poi ai gruppi parlamentari: la scelta fatta con il «lodo Bertinotti», interpretando il regolamento che lo vietava, di aumentare i gruppi, gruppetti e gruppuscoli presenti in questo Parlamento e dar loro la dignità di gruppi parlamentari, accrescendo le spese di gestione della Camera e della politica.
Penso poi all'iniziativa di questo primo provvedimento economico, che va ad aumentare le tasse. È chiaro che una manovra fiscale correttiva, che sarà presentata tra poco in Parlamento, attraverso il Documento di programmazione economico-finanziaria e la prossima legge finanziaria, andrà per forza in questa direzione. Un centrosinistra assistenzialista e centralista sarà costretto, per mantenere più Stato e tutta la macchina burocratica, ad aumentare le tasse.
In campagna elettorale abbiamo spiegato bene il progetto di riforma costituzionale e dove la Lega è più forte e radicata, sopra il Po; evidentemente questo messaggio è arrivato ai cittadini, che hanno sostenuto con forza, votandolo, questo progetto di cambiamento. Nelle altre zone, in cui la Lega è meno radicata, è invece passato un messaggio che andava a falsificare i contenuti di questa riforma, che di fatto non ha permesso l'approvazione, con il referendum consultivo, di tutta l'azione riformatrice del precedente Governo.
Avevamo detto chiaramente che l'unica ricetta per risollevare questo paese è il federalismo, un federalismo fiscale che è richiesto dal territorio, oggi forse ancora più di prima. Se qualcuno pensa di aver archiviato con il voto referendario la questione settentrionale, si sbaglia enormemente. Ormai vi sono diverse realtà, e faccio degli esempi chiari: in Veneto e in Lombardia sono le amministrazioni locali a chiedere sempre di più l'autonomia. Penso al comune di Lamon, che ha indetto un referendum per uscire dal Veneto e farsi annettere al Trentino-Alto Adige, perché in quella regione è possibile utilizzare i soldi sul territorio, sostenendo le famiglie, i lavoratori e le imprese locali. Quando siamo in Trentino-Alto Adige, sembra di trovarsi in Svizzera o in Austria: si tratta di una regione che ha la facoltà di investire direttamente i soldi sul proprio territorio.
In Veneto si chiedono come mai non possono farlo e la stessa cosa accade in Lombardia. L'80 per cento dei cittadini di Lamon ha chiesto di uscire dal Veneto, non perché non si riconosca nella regione veneta, ma perché vuole avere maggiori possibilità, andando a far parte di una provincia autonoma che di fatto fa una concorrenza sleale alle altre province. Giustamente,


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loro si chiedono perché non hanno lo stesso diritto degli abitanti di quella regione. Molti comuni del Veneto orientale chiedono l'annessione al Friuli: penso all'altopiano di Asiago, alla Valcamonica, tutte zone che confinano con il Trentino-Alto Adige.
C'è quindi una voglia di maggiore autonomia, attraverso il federalismo fiscale, l'unico strumento per sostenere i nostri settori economici, le famiglie e le imprese, e tale esigenza sarà sempre più forte nei prossimi anni, soprattutto al nord.
Questa era una ricetta che avrebbe risollevato le sorti del Mezzogiorno. Sono cinquant'anni che si parla della questione meridionale e dei problemi del Mezzogiorno, ma nessun Governo è riuscito a risolverli. L'attuale Costituzione, che non prevede un vero federalismo, impedisce che vi sia una responsabilità diretta degli amministratori.
Abbiamo regioni che sprecano soldi perché sanno che poi arriva Roma a ripianare il loro deficit. Questa è una vergogna assoluta. Abbiamo detto mille volte in quest'aula e in Parlamento che vi sono regioni, come la Calabria, nelle quali si promettono posti di lavoro, vantando voti di scambio, mantenendo ad esempio 20 mila forestali calabresi, pagati con i soldi e con le tasse dei lavoratori del nord, soltanto perché il politico locale o la classe politica dirigente cercano ancora nel voto di scambio una loro legittimazione politica.
Pensiamo invece che la ricetta per risollevare questo paese sia quella di responsabilizzare gli amministratori locali, l'unico modo per avere un confronto costante, diretto e continuo tra i cittadini e chi è chiamato ad amministrare gli enti locali e il territorio.
La ricetta che abbiamo dato era anche quella della devoluzione in settori quali la sanità, la scuola, la polizia locale.
Si è parlato poco di questa grande novità che la Lega aveva proposto e che era stata accolta dagli alleati della Casa delle libertà come possibilità di allontanarsi dallo Stato e di concedere finalmente alle regioni competenze definitive sulle materie. Problemi concreti, che potevano essere risolti con un'azione di amministrazione diretta che, invece, molto spesso Roma non riesce, con la sua macchinosità, la sua burocrazia, ad esercitare.
In materia scolastica, ne abbiamo parlato mille volte, si poteva attuare finalmente una svolta. Le nostre scuole sono molto spesso incentrate su una politica che vuole oscurare tutto ciò che parla di identità, di tradizioni, di cultura locale. Noi davamo la possibilità alle regioni di inserire nei piani di studio dei nostri studenti - mantenendo chiaramente gli orari e le materie comuni in tutte le regioni di questo paese, cosicchè alla fine di questo processo i giovani fossero pronti per entrare nel mondo del lavoro - storia, cultura e tradizioni locali. Cosa importantissima per far uscire dalle nostre scuole giovani consapevoli delle loro radici e della loro identità. Faccio un esempio. Io sono veneto e ricordo che a scuola sono stato costretto ad imparare i nomi di tutti i re di Roma o di tutti i re d'Italia, mentre non mi è stato insegnato neanche il nome di un doge della Repubblica serenissima di Venezia, che per più di mille anni ha governato le nostre terre. Questo è sicuramente uno scandalo.
La sanità deve essere gestita sempre più dalle regioni. Noi, a differenza di molti partiti, abbiamo un confronto continuo sul territorio e per la nostra gente ci siamo sempre, non solo in campagna elettorale, per poi sparire per cinque anni. Siamo sempre presenti con i nostri gazebo, con i nostri incontri pubblici nei mercati, in un confronto costante e continuo che ci pone in grado di fornire risposte ai problemi che quotidianamente la gente vive sul territorio. Non è pensabile che sia Roma a decidere se sia giusto o meno chiudere un ospedale o quanti posti letto debba avere un ospedale, quando sappiamo che le nostre regioni, tutte diverse, hanno delle esigenze che non possono essere razionalizzate da Roma.
La sanità viene gestita molto spesso penalizzando i contribuenti; entrando nei pronti soccorso dei nostri ospedali vediamo che molto spesso sono intasati da


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extracomunitari clandestini, che, come sapete, non vengono denunciati come clandestini, che usano i pronti soccorso dei nostri ospedali come il medico di base. Non pagando la sanità, entrano in queste sale d'attesa, prendono il bigliettino, si siedono e poi si fanno prescrivere ricette per il mal di testa o per qualsiasi altro problema non urgente che costringe, però, i medici ad intervenire comunque, pagando il servizio a spese dei contribuenti. Se una persona con un infortunio grave entra in un pronto soccorso, deve prendere il bigliettino e rimanere in coda, e se si lamenta rischia molto spesso di essere anche offesa e maltrattata da queste persone, che non hanno riguardo dei loro problemi di salute.
Era fondamentale anche concedere più poteri alla polizia locale e alle nostre regioni per risolvere il fenomeno della microcriminalità con una presenza più diretta sul territorio. Anche questo è stato capito al nord ed è stato premiato dai cittadini; dunque, se qualcuno pensa che in questo Parlamento sia stata accantonata la questione settentrionale si sbaglia di grosso. Il Nord non è disposto in alcun modo a negoziare sulla famiglia, su valori che noi crediamo fondamentali, come la vita, le tradizioni, la nostra storia. Troverete un muro alzato dalla Lega in Parlamento, ma anche da milioni di cittadini del nord e della Padania, che chiedono più libertà e più rispetto dei loro diritti (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Patarino. Ne ha facoltà.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, io credo che a nessuno di voi, signor sottosegretario, onorevoli colleghi del centrosinistra, possa venire in mente il sospetto che l'atteggiamento assunto da noi in queste ore e la battaglia che Alleanza nazionale, insieme agli altri deputati della Casa delle libertà, stiamo conducendo contro il provvedimento in esame (che riguarda la conversione in legge del decreto-legge n. 206 del 2006, in materia di IRAP) nascondano il pretesto - uno dei tanti di cui si serve l'opposizione per intralciare il cammino della maggioranza e per impedirle di svolgere legittimamente il suo ruolo - per ripagare la maggioranza con la stessa moneta con la quale essa stessa pagava nella passata legislatura, quando era opposizione. Ognuno di voi, colleghi del centrosinistra, si metta l'anima in pace: non è assolutamente così!
Sarebbe sufficiente fare riferimento ad alcuni precedenti - l'ha fatto molto bene il collega Consolo, ieri - e richiamare alla vostra ed alla nostra attenzione interventi che sono agli atti della Camera e che esprimono le posizioni assunte dal centrodestra nella XIII legislatura, quando voi eravate (anche allora) maggioranza, per notare che si tratta di posizioni perfettamente coerenti con le scelte che facciamo oggi a proposito di IRAP.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo costretti a fare ricorso all'ostruzionismo perché si tratta dell'unica arma di cui disponiamo per impedire che venga approvato questo iniquo provvedimento e, in ogni caso, per far sentire con forza la nostra voce di dissenso all'opinione pubblica, affinché quest'ultima si renda conto, sin dall'inizio di questa legislatura, di ciò che il centrosinistra vuol fare agli italiani: esso sta dimostrando, con queste sue prime azioni, che tutta la sua politica per i prossimi cinque anni (sempre che riescano a sopravvivere cinque anni; ma dai primi segnali già si avvertono crepe) sarà caratterizzata da un'asfissiante pressione fiscale.
Si parte dall'IRAP, che noi definimmo illegittima ed avversammo, nel 1996-1997, quando fu istituita, e contro la quale continuiamo a batterci anche oggi: si tratta di un provvedimento iniquo e dannoso, che si affida ad un meccanismo distorto (che prevede un calcolo, oltre che sull'utile, anche sul conto dei dipendenti, sugli interessi ed altri oneri finanziari, determinando una percentuale complessiva di tassazione superiore al 50 per cento dell'utile lordo delle società) e deprime i risultati economici delle aziende italiane.


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Senza voler scomodare economisti ed imprenditori non di sinistra - i quali hanno già dichiarato la loro contrarietà a questo balzello -, citerò, invece, il parere espresso dal presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, che non può essere certamente sospettato di simpatia per il centrodestra e che, anzi, è stato spesso chiamato a modello dallo stesso centrosinistra. Ebbene, secondo Montezemolo, con l'IRAP, al danno si aggiunge la beffa, perché le aziende pagano il conto di una gestione pubblica inefficace. Questa maggioranza, la maggioranza di centrosinistra, che, secondo quanto Prodi va baldanzosamente ripetendo da tempo, ha il diritto-dovere di governare - e che non riesce a farlo, non per colpa degli altri, ma soltanto perché non riescono a mettersi d'accordo i partiti al suo interno -, è, invece, proprio la dimostrazione più evidente di questa gestione pubblica inefficiente.
Noi voteremo decisamente contro il provvedimento in esame: oltre ad essere, com'è stato già detto, iniquo, dannoso ed irrazionale per la nostra economia, esso costituisce il migliore esempio della superficialità e dell'approssimazione con cui questa maggioranza così sgangherata e variopinta ha cominciato a legiferare.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, parlo brevemente per non far perdere tempo all'Assemblea, con un intervento misto, che potrebbe essere considerato in parte di merito e in parte sull'ordine dei lavori.
Dico ciò perché nutro alcune perplessità, che avrei piacere mi fossero chiarite da chi ha l'onere di farlo. La prima perplessità riguarda la circostanza che questo disegno di legge è presentato dal Presidente del Consiglio, Prodi, appunto nella sua qualità di Capo del Governo, e dunque legittimamente, e da Padoa Schioppa, ministro dell'economia e delle finanze. Padoa Schioppa è ministro tecnico, non essendo deputato: non essendo tale, egli non ha il potere di presentare alcunché, perché la Costituzione riserva espressamente la potestà di presentare un disegno di legge a soggetti precisamente determinati. Tra tali soggetti precisamente determinati vi è il Governo in tutta la sua interezza, però si tenga presente che il Governo in tutta la sua interezza è composto dal Presidente del Consiglio, dai ministri, dai viceministri e dai sottosegretari, ma i sottosegretari non possono presentare, normalmente, tale tipo di disegni di legge, in quanto tali. Dunque, chiederei un chiarimento sul punto.
Il secondo punto che mi lascia veramente perplesso è il rispetto del disposto degli articoli 77 ed 87 della Costituzione. Dico ciò perché l'articolo 77 della Costituzione, al secondo comma, recita: «Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge (...)». Ciò significa che i casi straordinari di necessità e urgenza devono essere determinati dal Governo sotto la sua responsabilità ed il Presidente della Repubblica ha l'onere di valutare l'urgenza che il Governo ha determinato e, quindi, emanare il decreto-legge. Leggo, invece, che il decreto-legge in questione non è stato stilato in questo modo, ma si è scritto: «Il Presidente della Repubblica (...) Ritenuta la straordinaria necessità (...)». Dunque, mi chiedo: chi deve «ritenere» la necessità? Il Governo o il Presidente della Repubblica? Stando a ciò che leggo, lo ha «ritenuto» il Presidente della Repubblica, ma, se così è, egli l'ha fatto in contrasto con il disposto dell'articolo 77 della Costituzione, perché la necessità deve essere «ritenuta» dal Governo e non dal Presidente della Repubblica. Ciò non è un aspetto di poco conto. Quindi, anche riguardo a tale aspetto, chiedo alla Presidenza della Camera un chiarimento. Forse sarebbe meglio che il Governo adottasse procedure più coerenti con la lettura della Carta costituzionale; infatti, nell'articolo 87 della stessa Costituzione è scritto sic et simpliciter «Il Presidente della Repubblica (...) emana (...)».


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Dunque, la valutazione della straordinaria necessità ed urgenza non è demandata al Presidente della Repubblica, ma al Capo del Governo.
Un'ulteriore questione che credo non possa essere sottaciuta, signor Presidente, è costituita dalla circostanza che la Corte costituzionale già molte volte ha parlato di un eccesso nell'uso della decretazione d'urgenza; ma nel caso in questione ci troviamo di fronte più che ad un uso della decretazione d'urgenza ad un abuso della stessa. Dico ciò, perché siamo di fronte a due provvedimenti che stiamo esaminando: il primo riguarda la mai tanto vituperata IRAP; il secondo prevede il completamento degli adempimenti istruttori tecnici necessari alla corretta determinazione dei canoni demaniali marittimi.
Signor Presidente e signori del Governo, vi prego, aiutatemi...! La straordinaria necessità ed urgenza della norma è contraddetta dalla mezza riga in cui si esplicitano le motivazioni ...! Vorrei, a tale riguardo, esprimere alcune considerazioni.
Il Presidente della Repubblica ha ritenuto la straordinaria necessità ed urgenza di assicurare la regolarità dei versamenti in materia di imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) nelle more della pronuncia della Corte di giustizia della Comunità europea in merito alla compatibilità comunitaria del tributo stesso.
Ciò vuol dire, in primo luogo, che la gente deve pagare con urgenza, ma sarebbe stato interessante capire il motivo per cui dovrebbe farlo in questo modo. Tale condizione di urgenza avrebbe dovuto essere motivata, mentre in tale contesto non si ravvede alcuna motivazione.
Inoltre, tale norma imporrebbe al contribuente di pagare, ma non mi pare che il mancato pagamento dell'IRAP sia stato ritenuto un reato, con pena di morte per chi non paga!
La tragedia è che, in tale provvedimento, si fa riferimento alla pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee. Noi sappiamo che il 17 marzo 2005 l'Avvocatura della Corte di giustizia ha depositato le conclusioni che attribuiscono all'IRAP le medesime caratteristiche dell'IVA. Pertanto, tale imposta sarebbe sub iudice; è come se il Governo ci dicesse: attenzione, devo adottare un provvedimento di urgenza, perché vi è un procedimento contro l'imposta che la rende nulla!
Questo criterio è apodittico e non sta né in cielo né in terra! Come si può dire: devo «mungerti» immediatamente perché, altrimenti, fra poco tempo questo provvedimento viene dichiarato illegittimo e non potrò «mungerti» più? Questo è il problema, al quale chiedo che i signori del Governo forniscano una risposta logica, perché si tratta di un provvedimento illogico.
La seconda questione è la seguente: in ordine a tale provvedimento viene ritenuta, altresì, la straordinaria necessità ed urgenza di garantire il completamento degli adempimenti istruttori tecnici necessari alla corretta rideterminazione dei canoni demaniali marittimi. Cosa vuol dire? Ci volete spiegare il motivo per cui, per compiere un accertamento tecnico, è stata ritenuta la straordinaria urgenza e, soprattutto, ci volete spiegare perché, una volta adottato tale provvedimento, gli accertamenti tecnici dovrebbero essere più facilmente adempiuti? Questa è la situazione.
Concludo, signor Presidente, ricordando che nella Roma antica vi erano due scuole di pensiero: quella di Labeone e quella di Capitone. Labeone era il retrogrado, quello che rappresentava una forma politica vecchia, mentre Capitone era il progressista, quello che rappresentava una forma politica nuova.
Labeone era il rappresentante della Repubblica, mentre Capitone era il rappresentante dell'instaurando principato. Allora, nel corso di trenta anni si capì quale era il vero progressista e quale il vero conservatore!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, voi del Governo, già prima delle elezioni,


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in campagna elettorale, avete mostrato la vostra vera faccia politica, tutta caratterizzata da un unico obiettivo, quello di aumentare la pressione fiscale!
Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Prodi, in campagna elettorale ha dovuto più volte correggere una serie di dichiarazioni che avevano creato panico generale: altro che gaffe imputate a chi ricopre una carica istituzionale! In particolare, il Presidente Prodi aveva detto pubblicamente di voler reintrodurre la tassa sulle successioni indicando in un primo tempo come tetto l'ammontare di 180 mila euro (il prezzo di un monolocale o di un piccolo appartamento in una zona periferica). Questo tipo di dichiarazioni hanno, come detto, seminato il panico e comportato, proprio in quel periodo, cioè durante la campagna elettorale, una fuga di capitali perché la gente ha avuto paura. Successivamente, vi è stata una correzione di rotta ad uso elettorale ed ora il Governo comincia con i fatti a mantenere i suoi obiettivi.
Il provvedimento in esame va in quella direzione. Va, cioè, nella direzione di aumentare le tasse. E questo aumento dell'imposizione fiscale, attuato anche attraverso questo provvedimento, viene applicato in maniera generalizzata e, per di più, in maniera iniqua. In particolare, viene aumentata l'aliquota dell'IRAP per le regioni che hanno sforato la spesa sanitaria. Un principio quest'ultimo indubbiamente giusto perché è ora di responsabilizzare gli amministratori locali. Basta con i governatori che vanno in televisione sostenendo che il federalismo fiscale creerà delle regioni di serie A e delle regioni di serie B, quando poi sono loro ad essere i peggiori nella gestione della spesa sanitaria proprio in quanto sostengono spese sanitarie pro capite superiori a quelle delle regioni che loro stessi considerano come esempio di efficienza. Ciò sta a significare che il problema non è tanto il trasferimento delle risorse quanto come le stesse sono spese. È giusto sostenere che nelle regioni che hanno sforato la spesa sanitaria si debba applicare un'aliquota supplementare, però non si capisce perché a tali regioni si debba abbonare completamente la maggiorazione prevista quando la tassa non è pagata entro il 20 maggio ma successivamente, cioè il 20 giugno. In questo caso si concede un trattamento vantaggioso proprio a quelle regioni che non hanno rispettato le regole.
Se il problema è quello di un'assoluta incertezza, che esiste in questo come in altri campi, allora, bisogna rimarcare che tale problema lo ha creato il Governo il quale, pur sapendo che bisognava adottare il presente provvedimento, ha lasciato scadere la data del 20 maggio.
Qual è quindi il problema? Il problema grosso, al di là del provvedimento in esame, è sapere cosa si intende fare da un punto di vista generale. Se noi pensiamo di ridurre veramente la pressione fiscale e di consentire ai territori, segnatamente alle regioni, ai comuni e alle province, di avere risorse sufficienti a garantire l'erogazione di servizi efficienti ai cittadini, allora l'unica via che abbiamo a disposizione è quella del federalismo fiscale.
Con il federalismo fiscale, finalmente potremo mantenere le risorse sul territorio e finalmente potremo, soprattutto, responsabilizzare gli amministratori locali, a cominciare da quelli delle regioni fino a scendere a quelli delle province e dei comuni. Però, per realizzare questo federalismo fiscale sono necessari fatti e non parole. Ieri, ho ascoltato il ministro Lanzillotta che svolgeva una relazione in sede di Commissione affari costituzionali. È stata una relazione lunga e apprezzabile è stato il suo impegno. Ha parlato di federalismo fiscale difendendo, però, la riforma del Titolo V della Costituzione realizzata dal centrosinistra nella XIII legislatura. Il punto è proprio questo: se non arriviamo ad una delimitazione chiara delle competenze tra Stato e regioni, non potremo mai avere un federalismo fiscale. Infatti, presupposto per arrivarci è che le regioni abbiano vere competenze e che sul territorio rimangano le risorse per poter gestire questo tipo di competenze loro assegnate, mentre la struttura dello Stato deve necessariamente asciugarsi.


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Con la riforma del Titolo V della Costituzione che è stata introdotta esistono troppe competenze concorrenti, competenze assegnate, cioè, sia allo Stato sia alle regioni. Questo modello delle competenze concorrenti ha generato confusione, ha condotto, spesso, alla paralisi dell'attività legislativa, con tanti conflitti dinanzi alla Corte costituzionale, ed ha causato, infine, un aumento delle spese. Sorridevo, quando cercavano di dimostrare che il federalismo avrebbe aumentato i costi. Al contrario, in tutti gli Stati federali i costi si sono ridotti. Sorridevo, perché si riferivano dati relativi proprio alla riforma del Titolo V della Costituzione, che ha comportato un aumento dell'apparato delle regioni, le quali si sono predisposte a realizzare una struttura evidentemente necessaria in relazione alle vere competenze che, invece, non sono ancora state attribuite loro. Lo Stato centrale, invece, non si è ancora affatto asciugato. La dimostrazione del fatto che lo Stato centrale non si è affatto asciugato l'abbiamo avuta proprio da parte di questo Governo, il quale ha raggiunto un record storico quanto alla nomina di ministri e sottosegretari. I componenti dell'esecutivo, infatti, sono centodue, alla faccia del federalismo, alla faccia delle riforme, alla faccia di uno Stato che deve essere più snello!
Allora, dobbiamo partire da questo. Altrimenti, non soltanto rischiamo ma, anzi, avremo la certezza di trovarci, la prossima volta, indipendentemente da chi governerà, con millecinquecento persone tra parlamentari, ministri e sottosegretari. Allora, la deriva sarà veramente ingestibile.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bocchino. Ne ha facoltà.

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, innanzitutto desidero ringraziare il Governo per averci dato l'opportunità, con questo decreto-legge, di iniziare la presente legislatura nel modo in cui piace alla maggioranza di centrosinistra, dimostrando, cioè, all'opinione pubblica e agli elettori che ci troviamo dinanzi ad un Governo e ad una maggioranza che tra i primi obiettivi hanno quello di aumentare la pressione fiscale. Lo affermo perché, grazie al centrodestra, abbiamo attraversato un lungo periodo di stabilità di Governo e, per la prima volta nel corso di una intera legislatura, con cinque leggi finanziarie approvate dai due rami del Parlamento, non è mai stata aumentata la pressione fiscale. Anzi, siamo intervenuti per ridurla, convinti come siamo che una riduzione della pressione fiscale, sia per le imprese sia per le famiglie, sia indispensabile per aumentare la capacità produttiva e la competitività del nostro sistema economico.
Quindi, ringraziamo il Governo per averci offerto l'occasione di discutere di politica fiscale. Si tratta di un'occasione che, per l'appunto, dimostra come, sin dal suo esordio, vi siano idee molto chiare in tale ambito.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 11,30)

ITALO BOCCHINO. L'idea, infatti, è sempre la stessa: la sinistra ha intenti punitivi nei confronti di chi, in questo paese, produce!
Si tratta di un intento punitivo dimostrato anche da come sia stata montata giornalisticamente ad arte, dal Governo e dalla maggioranza, la favola del «buco» nel bilancio statale. Avete cercato di spaventare il paese, raccontandogli che i conti pubblici sono disastrati, per successivamente intervenire come volete, aumentando la pressione fiscale. Noi abbiamo un giudizio...

ROBERTO MENIA. Sono dei ladri!

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, il mio collega, dicendo...

PRESIDENTE. Onorevole Bocchino...

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, il collega Menia mi disturba...! Potrebbe espellerlo...?


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PRESIDENTE. Espelliamo l'onorevole Menia...?

ITALO BOCCHINO. Potrebbe espellere l'onorevole Menia?

PRESIDENTE. Prosegua, prosegua, onorevole Bocchino (Commenti)...!

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, le chiedo l'espulsione dell'onorevole Menia, come è stato fatto ieri con Malan al Senato, perché non può dare fastidio in aula!
Come stavo dicendo, la nostra contrarietà al provvedimento in esame esprime la nostra avversità anche ad imposte che riteniamo assurde ed ingiuste, come l'IRAP. Ricordo che tale imposta (che, a nostro avviso, dovrebbe essere abolita) è già al centro di un contenzioso addirittura internazionale, come tutti sappiamo (Commenti del deputato Menia)...
Può espellere l'onorevole Menia, signor Presidente? Non è possibile!

PRESIDENTE. Onorevole Bocchino...

ITALO BOCCHINO. Non è possibile!

PRESIDENTE. Onorevole Bocchino, per piacere! Prosegua altrimenti darò la parola al prossimo collega che ha chiesto di intervenire...

ITALO BOCCHINO. No, Presidente!

PRESIDENTE. Insomma, non possiamo continuare così!

ITALO BOCCHINO. Mi scusi, signor Presidente; se c'è un collega che dà fastidio, lei deve espellerlo, ma non può interrompere il mio intervento (Commenti)!

PRESIDENTE. Per piacere, onorevole Bocchino! Riprenda a svolgere il suo intervento, altrimenti sarò costretto a toglierle la parola!

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, faccia attenzione a chi dà fastidio in Assemblea: le ricordo che questo è il suo compito!
Come stavo dicendo, l'IRAP e l'ICI sono imposte che, a nostro giudizio, devono essere abolite, così come abbiamo sostenuto nel corso della campagna elettorale e come avremmo fatto in caso di vittoria.
Con il provvedimento in esame si sta arrecando un danno alle imprese e all'intero sistema-paese. Ricordo, a tal fine, che, alcune settimane fa, su Il Corriere-Economia il premio Nobel per l'economia suggeriva alcuni consigli al nuovo premier Romano Prodi, tra cui quello di non aumentare le tasse. In un'economia come la nostra, infatti, i problemi di bilancio si risolvono non inasprendo la pressione fiscale, bensì incrementando la capacità produttiva del paese; per realizzare ciò, tutto bisogna fare, tranne aumentare le imposte.
Se questi sono i consigli che provengono dagli economisti e se il giudizio sull'imposta in questione è pesantemente negativo - in sede comunitaria si ipotizza addirittura la sua illegittimità -, ci chiediamo per quale motivo il Governo, la maggioranza e la sinistra continuino ad essere innamorati dell'IRAP. Ne comprendiamo le ragioni: da una lato, infatti, dovete necessariamente aumentare la pressione fiscale, mentre dall'altro dovete garantire alle regioni da voi governate uno strumento idoneo a prelevare dai settori produttivi quante più risorse possibili.
Si tratta, peraltro, di risorse che vengono gestite malissimo. Credo che quanto emerge dall'esame delle relazioni delle sedi regionali della Corte dei conti sia allarmante. Come vengono spesi i soldi dalle regioni? Vorrei segnalare che le regioni sono tra i principali centri di spreco economico nel paese; spreco che passa attraverso il clientelismo, le consulenze e false società miste, che servono a generare clientela e, spesso, anche fenomeni di voto di scambio!
Ricordo che vengo dalla Campania, una delle regioni più disastrate finanziariamente. Il suo sistema sanitario è tra i


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peggiori in Italia ed è il più indebitato del paese: ebbene, oggi si chiede di inasprire l'IRAP in tale regione per sanare il «buco» di una sanità disastrata!
La sanità è disastrata, non perché si offrano servizi straordinari che costano più di quanto rendano, ma perché si creano reparti con primari, senza che vi siano posti letto e si genera un clientelismo che serve a fare voti.
Vorrei raccontare all'Assemblea un aneddoto sulla sanità campana che vi farà comprendere la situazione in cui viviamo.
Nelle scorse settimane, a Napoli, si sono tenute le elezioni comunali. Il candidato più votato tra i candidati di tutti i partiti a Napoli, dopo l'ex premier, Silvio Berlusconi, è stato un ragazzo che non vive a Napoli, che non è di Napoli e non conosce la città di Napoli. Ha ottenuto 7.500 preferenze senza fare campagna elettorale, senza entrare in città, senza sapere cosa sia la campagna elettorale per le comunali. È figlio dell'assessore alla sanità, Angelo Montemarano; 7.500 preferenze senza far politica e senza essere di Napoli, espresse attraverso un sistema clientelare della sanità dove si generano disastri economici.
Allora, se l'aumento dell'IRAP serve a colmare i «buchi» della sanità campana, che, a loro volta, servono a far dare 7.500 voti ad un partito, siamo di fronte ad un reato ed è il reato di voto di scambio! Non siamo di fronte alla gestione della sanità! Non siamo di fronte alla gestione di un'imposta per sanare i conti pubblici!
Allora, voi dovete fare chiarezza. Dovete dirci a che cosa servono questi soldi che chiedete agli italiani! Ad aumentare l'efficienza dei servizi e la competitività delle imprese del paese o a generare clientelismo, voto di scambio e capacità di spesa per altre ragioni a carico delle vostre regioni?
Esiste, inoltre, un altro problema, non di merito, e riguarda i rapporti tra Governo e Parlamento, tra maggioranza ed opposizione. Oggi, siamo qui, ad intervenire e ad allungare i tempi di questo provvedimento, perché ieri è successo qualcosa di molto grave al Senato. Qualcuno si è convinto che per far valere la forza dei numeri, che tali non sono, occorra calpestare il regolamento e la prassi parlamentare, negando all'opposizione quegli spazi che a tutte le opposizioni devono essere garantiti, tanto più in un sistema bipolare e di alternanza, qual è oggi il sistema italiano.
Siamo molto preoccupati, perché quando un Governo è debole, come questo Governo per l'eterogeneità della maggioranza che lo sostiene, quando una maggioranza è fragile, perché risicata numericamente, come è risicata, se non risicatissima, la maggioranza, in particolare, al Senato, dovrebbero aprirsi e dialogare con l'opposizione...

PRESIDENTE. Onorevole Bocchino...

ITALO BOCCHINO. Presidente, mi deve avvisare un minuto prima...

PRESIDENTE. Lei ha trenta secondi...

ITALO BOCCHINO. Presidente, lei ha scampanellato e adesso ho ancora un minuto. Si poteva ricordare prima di scampanellare! Mi faccia finire il ragionamento.
Il Governo, con i numeri così risicati, dovrebbe invitare la sua maggioranza a dialogare con l'opposizione, per trovare formule quanto più garantiste possibili, affinché l'opposizione eserciti il proprio ruolo di controllo e, quindi, permetta alla maggioranza di proseguire con l'approvazione dei provvedimenti, cosa che non avete fatto e che non state facendo!
Volete strozzare il dibattito, volete procedere a colpi di fiducia e noi saremo qui a dimostrarvi che c'è un'opposizione forte e coesa in condizione di smantellare nel metodo e nel merito la vostra azione di Governo.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Dozzo, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: si intende che vi abbia rinunziato.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dussin. Ne ha facoltà.


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GUIDO DUSSIN. Signor Presidente, con il presente provvedimento si elimina la possibilità per le imprese di ravvedersi in determinate situazioni ben note alle realtà produttive del nostro territorio.
Esistono determinate situazioni sul nostro territorio, lo stesso che pochi giorni fa ha espresso il «sì» all'ammodernamento del paese. Si tratta di un territorio che produce, costituito da piccole e medie imprese.
I cittadini di questo territorio hanno tante volte sottolineato le difficoltà a produrre per l'intero paese. È un territorio ricco di piccole e medie imprese che vede i suoi protagonisti lavorare dalla mattina alla sera, non trentasei ore a settimana, ma dodici o tredici ore ogni giorno, anche il sabato e la domenica. Sono persone che tante volte vanno in banca per pagare le tasse. Ora, si vuole togliere la possibilità di sopperire alle difficoltà di avere un'azienda e intraprendere la libera iniziativa.
Il provvedimento in esame va a sfoltire le possibilità di reinvestire, di operare sulla propria azienda, da parte di questi operatori che hanno fatto la fortuna del nostro paese. Attualmente, vi sono coloro che vanno in banca a pagare le tasse e coloro che sperperano dalla mattina alla sera a man bassa. Lo vediamo noi, da Roma, e lo possiamo testimoniare osservando un Governo che prevede l'aumento di sottosegretari, viceministri e quant'altro. Ma anche negli altri settori della pubblica amministrazione vi sono enormi sperperi. È necessario riflettere da parte di tutti noi, da parte di tutta l'amministrazione, per dirigerci verso un ammodernamento che preveda maggiori responsabilità.
Il territorio a cui facciamo riferimento, in particolare i territori del nord, ha chiesto questo ammodernamento nell'ultima consultazione referendaria, ha chiesto di responsabilizzare la pubblica amministrazione.
Dopo questo provvedimento, arriverà all'esame dell'Assemblea la questione dei rifiuti. Ebbene, i territori che producono ed hanno forti quantitativi di rifiuti, riescono a ben gestire le masse ingenti di residui, mentre quelle regioni che hanno votato con forza «no» al referendum, Campania e Basilicata in particolare, hanno grossissimi problemi, a volte connessi con la stessa mafia. Ma, senza andare fuori tema, dovremmo pensare, al di là del provvedimento in esame, a qualcosa che vada oltre, diretto a dare un sostegno alle nostre aziende, ad esempio attraverso la previsione di flessibilità nell'operare. Ovviamente, chiediamo una minore pressione fiscale.
Ieri, il Governo ha annunciato che colpirà, attraverso il sistema dell'accertamento, le nostre aziende, ma non si fa riferimento ai grandi sprechi della pubblica amministrazione, che dovrebbero essere interessati in prima battuta. La grande amministrazione risiede qui, nella capitale, nei grandi centri di potere. È lì che dovremmo incidere e non dove vi sono i produttori che fanno immensi sforzi per far competere il nostro paese in Europa e nel mondo.
Vi sono settori in grossissima difficoltà e per questi sarebbe giusto offrire opportunità sia interne sia esterne. Le prime potrebbero passare attraverso un aiuto fiscale, mentre quelle esterne potrebbero derivare da provvedimenti da prendere a livello europeo, per far sì che i nostri settori importanti, dal tessile al manifatturiero, siano sostenuti anche attraverso la difesa della produzione e non con l'immissione da parte dei paesi emergenti di prodotti contraffatti. Sono «vecchi» argomenti che tutti conosciamo e nella discussione in corso sono stati sviscerati da tutti.
Già il 1o luglio si intende provvedere all'aumento del 5-6 per cento, in alcuni casi del 7 per cento, del costo dell'energia elettrica. Si tratta di un costo alla produzione, ciò vuol dire un'altra tassa a carico delle aziende produttrici, in particolare di quelle collocate in una particolare zona del nostro paese. Chiaramente, tali costi si tradurranno in crisi occupazionali, in aumenti dei costi della produzione e di quelli sopportati dall'utente finale.
Ritengo che, attraverso gli accertamenti IVA proposti nella giornata di ieri, si intenda incidere su un sistema produttivo


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che, ad oggi, opera nella massima correttezza, in particolare nel nord dove la fatturazione ha raggiunto livelli molto elevati.
Piuttosto che penalizzare alcune realtà, sarebbe opportuno incidere sull'evasione, che si inserisce nella stessa amministrazione attraverso forme nascoste. I suddetti accertamenti colpiranno ancora una volta il nostro sistema produttivo.
Ricordo all'Assemblea che vi sono ancora 850 chilometri di autostrade prive di pedaggio. Inoltre, perché si sostiene che manchino le risorse per il completamento di diverse opere, se invece i responsabili dell'ANAS confermano la presenza dei finanziamenti? A nostro avviso tutte le opere in via di realizzazione devono godere di pari dignità. Quando si parla di gabbie salariali si fa riferimento ad un'unica Italia, mentre quando si parla di pedaggio le Italie sono due!
Invece di preoccuparsi di come finanziare tali opere, si pensa a commissariare gli enti, creando una situazione di paura. Invece di essere in un Parlamento sembra di trovarsi in alcune aule giudiziarie! Ritengo che la politica abbia il compito di programmare, di realizzare e non quello di giudicare. La politica tutt'al più può stimolare altri apparati allo svolgimento di attività di controllo. Mi sembra che, in questo periodo, anziché procedere ad un controllo, si intenda realizzare lo spoil system di un sistema che non risponde alla propria parte politica.

PRESIDENTE. Onorevole Dussin, la invito a concludere.

GUIDO DUSSIN. Ho concluso, Presidente.
Spero solo che questo Parlamento abbia la volontà di operare per il bene delle nostre realtà, evitando di penalizzare in particolare alcuni territori (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

MATTEO BRIGANDÌ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo? Lei è già intervenuto...

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, chiedo di parlare sull'ordine dei lavori per un motivo semplicissimo: nel mio precedente intervento, siccome non intendevo far perdere tempo all'Assemblea, oltre ad esporre problemi di merito, ho espresso anche alcune perplessità riguardanti l'ordine lavori. Avrei voluto semplicemente ottenere una risposta, che non mi è stata fornita: è questa la ragione per la quale ho chiesto di intervenire, affinché mi sia fornita una risposta.

PRESIDENTE. Onorevole Brigandì, le questioni che lei ha posto nel corso dello svolgimento della sua dichiarazione di voto non possono essere proposte. Lei ha sviluppato legittimamente delle osservazioni politiche. Il decreto-legge sul quale si stanno svolgendo le dichiarazioni di voto (siamo già nella fase finale dell'esame) è stato regolarmente emanato dal Presidente della Repubblica e formalmente presentato alle Camere entro i termini prescritti dall'articolo 77 della Costituzione, oltre che pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Alla luce di tali elementi, la Presidenza non può prendere in alcuna considerazione le osservazioni che lei ha svolto in ordine alla legittimità del decreto-legge. Ovviamente, ciascun deputato è libero di svolgere osservazioni di natura politica nel corso delle proprie dichiarazioni di voto, come lei ha potuto fare. Lei, dottor Brigandì - lo ripeto -, ha già svolto la sua dichiarazione di voto e, pertanto, non posso concederle ulteriormente la parola.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fava. Ne ha facoltà.

GIOVANNI FAVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei articolare il mio intervento su due questioni che ritengo fondamentali: una di ordine tecnico, la seconda di ordine squisitamente politico.
La questione di ordine tecnico attiene all'applicazione di questa normativa che, mascherandosi dietro un alone di equità e, quindi, stabilendo principi sostanzialmente


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fermi e rigidi per quanto attiene la parte che riguarda l'IRAP, nasconde al proprio interno una forte contraddizione. Quest'ultima nasce nel momento in cui questo Governo si trova a far applicare tale norma a distanza di qualche settimana (o di qualche mese, nella peggiore delle ipotesi) dall'entrata in vigore della normativa comunitaria che, sostanzialmente, ci imporrà la cessazione dell'applicazione dell'IRAP.
Detto ciò, si pone un interrogativo (che è emerso più volte negli interventi dei colleghi) che attiene all'approccio di questo Governo nei confronti del cittadino e della fiscalità in genere. Tale approccio è decisamente di tipo burocratico e, contestualmente, tende ad impostare tutta l'azione del futuro Governo sulla scorta di quella che sarà una filosofia di vessazione e di pressione tributaria, che va al di là della semplice e pedissequa applicazione delle norme.
È chiaro che questo Governo - nato con promesse e premesse di armonizzazione del sistema fiscale, piuttosto che di attenuazione dell'applicazione della normativa fiscale stessa - tradisce già con il primissimo documento proposto all'Assemblea la propria vocazione esattamente opposta.
Del resto, non ci aspettavamo molto di più, stante il valore ed il peso del già ministro ed attuale viceministro Visco nell'ambito della stessa compagine governativa. In questi giorni, a più riprese, abbiamo sentito criticare aspramente il sistema di deleghe che, all'interno di un Governo che ha superato le cento unità, fanno del viceministro Visco un ministro di fatto, un soggetto che in realtà aveva bisogno di una foglia di fico (che si chiama Padoa Schioppa) con la quale ripararsi e darsi un'immagine diversa, un'immagine tecnica, che nella realtà sta dimostrando di essere sostanzialmente superata dagli eventi.
La seconda valutazione è di ordine squisitamente politico e attiene a quella che ritengo sia una mortificazione dell'attività parlamentare in questi giorni. La situazione di degrado totale della politica e delle istituzioni di queste ultime settimane, ci vede, purtroppo, protagonisti di una discussione su un testo documentale decisamente limitato. Non possiamo pensare che i lavori delle aule parlamentari, così come quelli delle Commissioni, debbano concentrarsi su un testo di questo genere.
Qui, sostanzialmente, ci si occupa di porre mano a due interventi tampone. Il primo, in modo particolare, riguarda l'applicazione dell'IRAP e, nello specifico, l'impossibilità di beneficiare di uno strumento normativo precedentemente varato dal Governo di centrodestra per attenuare gli effetti di una tassa decisamente iniqua, introdotta, peraltro, nel 1997, con una forzatura, sempre da parte del «sempreverde» ministro Visco.
Noi ci troviamo - lo ripeto - a discutere di questo problema, che, apparentemente, è quasi banale, stante la complessità delle tematiche che il nostro paese deve affrontare in questo momento, e, in subordine, in sordina, nell'ambito della stessa norma, introduciamo un meccanismo che posticipa l'applicazione dell'aumento dei canoni demaniali, che, dal nostro punto di vista, aveva una sua logica e una sua valenza nel momento in cui è stato istituito e che riguardava la possibilità, finalmente, di dare un valore vero, quasi vero, o, perlomeno, il più possibile vicino alla realtà, all'utilizzo dei beni del patrimonio dello Stato.
Credevamo fermamente nel fatto che si dovesse provvedere in tal senso. Per troppi anni, infatti, i beni dello Stato sono stati sostanzialmente regalati ai privati interessati, creando situazioni di squilibrio nelle concessioni demaniali. Esse sono la punta dell'iceberg dell'inefficienza di un paese che, quando si trova a dover investire o intervenire utilizzando i beni di terzi (penso agli affitti che paga la pubblica amministrazione ai privati), utilizza valori decisamente di mercato, ma quando, al contrario, si trova a dover prestare al privato, seppur in forma concessoria, beni che fanno capo alla pubblica amministrazione, i canoni diventano irrisori.


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Esce allo scoperto, così, il meccanismo mentale che ha governato le scelte di politica pubblica di questo paese negli ultimi anni, di natura assistenziale, che noi, da sempre, respingiamo e contestiamo. Tali scelte vedono uno Stato, un Governo, un intero paese, debole nei confronti dei poteri forti e che sta dimostrando, anche con questo provvedimento, la volontà di perseguire questa linea di subalternità rispetto alle consorterie che governano le lobbies elettorali, che hanno dato man forte al Governo in carica, seppur - a onor del vero - in modo risicato, stante il risultato elettorale non proprio brillante. Il responso delle urne è ancora lì, sub iudice, e la differenza di voti è decisamente risicata.
Detto questo, crediamo anche che sia tecnicamente ingiusto inserire due temi così diversi, peraltro affrontati, anche dal punto di vista filosofico, in modo diametralmente opposto, nell'ambito di un decreto, contribuendo solo ed esclusivamente ad aumentare il caos e la confusione, in una situazione di incertezza come quella attuale, soprattutto in campo economico, con la sua incidenza sul vivere quotidiano dei cittadini e sugli imprenditori.
Credo che, alla base di tutto, vi sia un problema di carattere generale e politico, che attiene alle scelte di pianificazione sia in tema di sviluppo industriale, sia in tema di politiche finanziarie e fiscali che ne conseguono. Dico «ne conseguono» perché credo che non esista la possibilità, e che nessuno voglia farlo in questa sede, di distinguere e di disgiungere in modo netto una politica di sviluppo industriale da una politica di tipo fiscale più equa. Stiamo vivendo alla giornata, parlando di cose di scarso interesse. Stiamo iniziando il terzo mese di questa legislatura e continuiamo ad occuparci di questioni di scarso rilievo e di scarsa importanza.
Credo che finora nessuno abbia politicamente dimostrato il coraggio promesso agli elettori in fase preelettorale. Ricordiamo tutti i proclami che attenevano alla grande svolta dei primi 100 giorni di questo Governo e, ahimè, inciampiamo già oggi nella pochezza della proposta politica che viene discussa da quest'Assemblea. Viviamo tutti i giorni la mortificazione delle Commissioni parlamentari che si occupano del nulla o che si occupano delle emergenze: ad esempio, ieri abbiamo scoperto che questa mattina si sarebbe discusso di una parte che atteneva al decreto «mille proroghe». Tutti i giorni c'è una nuova emergenza a cui fare fronte, e questo è il sintomo di una maggioranza che ha scelto di vivere alla giornata, che non ha la capacità di superare le emergenze e che non ha la capacità di programmare qualcosa per questo paese. Non ha tale capacità e sta dimostrando tutta la propria inefficacia e la propria inefficienza. Soprattutto, sta dimostrando il limite di una politica che, uscita dalla fase preelettorale e post elettorale (una fase lunghissima, durata oltre un anno), non è riuscita a dare risposte concrete in termini di applicazione, stante la difficoltà a trovare omogeneità e identità di intenti al proprio interno.
Dico da sempre che...

PRESIDENTE. Onorevole Fava, la pregherei di concludere.

GIOVANNI FAVA. Concludo, dicendo semplicemente che non era nostra intenzione trovarci in quest'aula ad affrontare questa specie di armata Brancaleone così poco organizzata e poco capace di incidere sulle scelte del paese. Avremmo preferito fare opposizione ad un Governo forte. Ci dobbiamo rassegnare invece a fare opposizione a qualcuno che non si è ancora capito bene cosa sia; ci dobbiamo rassegnare a fare opposizione utilizzando tutti gli strumenti che democraticamente ci sono concessi, compresi questi sistemi che portano i cittadini lontani dalla politica e portano voi lontani dal paese (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ciccioli. Ne ha facoltà.

CARLO CICCIOLI. Anche se brevemente, vorrei trattare questo provvedimento


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avendo riguardo di un altro aspetto. Ogni individuo si identifica per una sua particolare caratteristica: per questo lo riconosciamo. Anche ogni forza politica, ogni coalizione, si identifica per una sua caratteristica specifica. Questa coalizione si caratterizza per le tasse: da sempre è una stigmate di appartenenza.
In passato ho esaminato, non come parlamentare, altri provvedimenti provenienti da questa coalizione politica: c'è sempre stato quasi un sottile piacere sadico ad utilizzare questa forma particolare di comunicazione. Anche in questo caso, se analizziamo con puntualità il provvedimento, vi è, sì, un aumento dell'1 per cento; poi, però, non essendovi la possibilità tecnica reale di utilizzare in questa forma il provvedimento, di fatto l'aumento sale all'1,4 per cento. Ciò significa che a questo aspetto sadico-rivendicativo si aggiunge un altro «pezzetto».
Sicuramente siamo in una fase difficile e vi è bisogno di risorse. Però, credo che l'aspetto interpretativo secondo cui chi deve pagare, deve pagare e, oltre a ciò, deve trovarsi in difficoltà, abbia un retropensiero. Non è solo un pensiero politico o l'applicazione di un intervento terapeutico necessario: c'è un retropensiero. In pratica, accanto alla tassa c'è il meccanismo ulteriormente punitivo. Ritengo che tutto ciò meriti un approfondimento di tipo psicologico e non vada liquidato come un aspetto tecnico di un problema. Ritengo che dietro questo modo di agire vi sia un pensiero per il quale, comunque, anche quando non è espresso - rimane ovviamente nascosto -, la proprietà, la rendita, il risparmio, l'utile siano comunque colpevoli e quindi vadano sanzionati: poco o tanto, ma debbono comunque essere sanzionati!
È dal 1997 che questa coalizione ha espresso questo tipo di tassa. Non mi dilungo - perché è già stato detto da altri - sul fatto che si tratta di una tassa non equa, non perché lo dice l'opposizione ma perché si tratta di una tassa che non ha una direzione precisa di scopo ma colpisce tutto: si tassa il costo dei dipendenti, gli interessi, gli oneri finanziari e quant'altro. Quindi, si tratta, sostanzialmente, di una tassa indiscriminata che, giustamente, la Corte europea ha individuato come non compatibile con l'IVA.
Ora, tutti sanno che i tempi della giustizia sono diversi da quelli dello svolgersi degli eventi, però, l'identificazione di una tassa incompatibile è già avvenuta: vi è stata già una pronuncia. Si dovrà quindi eliminare, nei tempi e nelle forme dovuti, per non creare problemi alla stabilità di bilancio; tuttavia, è una tassa che dovrà essere tolta. Quindi, qui si pecca sapendo di peccare, o meglio, così come ricordavo prima nella mia interpretazione, si cerca di mantenerla il più a lungo possibile, utilizzando proprio questa e non altre! Infatti, ci sarebbero tante altre opportunità perché, se di risorse c'è bisogno, vi è una variabile di opzioni: però, si insiste proprio su questa tassa, nelle more di un procedimento di contestazione. Anche questo fatto è oggetto di interesse.
Mi auguro che questa coalizione duri il meno possibile, però, non mi dispiacerebbe arrivare al 2007 quando, con la sentenza, scatterà il diritto ai rimborsi. Allora, voglio vedere come se la caverà questa coalizione quando, invece di prelevare ancora e magari di aumentare dell'1 per cento o dell'1,4 per cento l'ulteriore gettito, dovrà cominciare a dar corpo ad un sistema di rimborsi.
Sento, proprio per giustizia finanziaria, di essere protagonista del movimento degli aventi diritto al rimborso, un movimento che si dovrà pur creare con manifestazioni, sit in, blocco degli uffici finanziari - perché no? - e occupazione dei medesimi.
Si ha diritto al rimborso e, a questo punto, vista la persistente iniquità nel prelievo, i tempi - questa volta sì - dovranno essere rapidi. C'è stata infatti un'appropriazione laddove non si poteva: questo è una specie di denaro espropriato! Dobbiamo ricordare che ci sono aziende in grave difficoltà di liquidità proprio per pagare l'IRAP. Ci sono state aziende, in questi anni, che sono fallite perché questa tassa, dichiarata già incompatibile, anche se nei fatti ancora i tempi della burocrazia giuridica sono lunghi, le ha messe fuori


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mercato. Questa tassa ha ucciso le aziende! Un certo numero di aziende non l'ha sopportata.
Ci sono aziende che subiscono una concorrenza assolutamente drogata dai concorrenti degli altri paesi europei, che questa tassa non hanno: loro non ce l'hanno, e quindi hanno un vantaggio di operatività fiscale e finanziaria.
Questa è una tassa che giustifica, per certi versi, l'attività, talvolta fraudolenta, dell'impresa: tu, Stato, mi prelevi in una forma illegittima da una parte e io ti eludo da un'altra parte. Così, pari e patta!
Uno Stato non può mai trovarsi in questa condizione. La sua attività deve essere sempre giusta, e quindi il prelievo non può essere arbitrario - e dal punto di vista dell'equità fiscale assolutamente non condivisibile - ma deve avere una sua logica corretta, affinché il contribuente vi si possa riconoscere e si possa sentire alla pari degli altri paesi europei e non discriminato rispetto ad altre categorie di contribuenti non colpiti da questa tassazione.
Credo che questo principio di giustizia fiscale debba essere rispettato. Ho detto che c'è da parte di questa maggioranza, direi nel DNA di questa coalizione, la voglia perversa, sadica e punitiva di ritenere comunque che ogni risorsa, qualunque utile o proprietà e qualunque cosa appartenga ad un individuo è qualcosa di colpevole, e quindi va sanzionato. Questa è una vera e propria sanzione - non la chiamo nemmeno una tassa - e, come tutte le sanzioni, crea nel tempo una reazione uguale e contraria, che nell'individualità talvolta è l'elusione o l'evasione e che invece nel sentimento collettivo coincide con la mancata identificazione nello Stato, che pur dovrebbe essere l'elemento unificatore comune.
Per questo mi sento di sottolineare che questa non è una pagina buona dell'inizio di questa legislatura e uscendo da quest'aula i parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione, non potranno dire di aver approvato un provvedimento utile, lecito e giusto per tutti. Questa è nient'altro che la ripetizione di una scelta, a nostro parere estremamente sbagliata, che fin dall'inizio questa maggioranza ha intrapreso.
Spero che sia finita qui. Questa tassa prima o poi sarà liquidata dalla Corte di giustizia europea e arriverà il momento di applicare i rimborsi. Speriamo che non sia una nuova coalizione, di cui noi facciamo parte, a dover gestire i rimborsi, anzi, spero che presto essi ricadano addosso a questa maggioranza: voglio vedere quali misure ci porterete in aula in quel caso!
Non ho altro da aggiungere, se non esprimere una forte delusione. Quando un nuovo parlamentare viene eletto, viene qua sperando di dar vita a provvedimenti nuovi e giusti; invece questa legislatura comincia con una mortificazione che va a colpire i settori produttivi del paese, quelli che sostanzialmente procurano il benessere e che questa mortificazione non si meritano. Per questo, sicuramente a cuore aperto, mi sento di contestarla e di non partecipare a questa iniquità (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Filippi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FILIPPI. Presidente e onorevoli colleghi, l'IRAP, ribattezzata «imposta rapina», probabilmente entro breve non ci sarà più, perché non è compatibile con la direttiva CEE sull'IVA; speriamo quindi che la Corte di giustizia delle Comunità europee intervenga quanto prima per fare giustizia. Certo, meglio sarebbe stato non doverla ereditare dal Governo di sinistra, che nel 1997 ci ha regalato una tra le imposte più odiate e meno accettate dal contribuente. Come si può essere favorevoli a questa «imposta rapina»?
Quel che è più grave è che questa rapina viene effettuata nei confronti della competitività delle nostre imprese, contribuendo ad aumentare le importazioni e a far diminuire le esportazioni, favorendo l'emigrazione aziendale e disincentivando le assunzioni di personale. È quasi facile criticare ciò che è indiscutibilmente ingiusto


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e sbagliato e che tanto è stato criticato in quest'aula in questi giorni. Ma va anche detto che la Lega Nord ha fin da subito sostenuto una graduale diminuzione dell'IRAP, proponendo soluzioni intermedie.
Corre l'obbligo, infatti, di ricordare la cosiddetta proposta Molgora, che ipotizzava quale soluzione intermedia per la diminuzione dell'IRAP l'applicazione di una franchigia di 200 mila euro sul costo del lavoro ai fini della determinazione della base imponibile dell'imposta. Di tale franchigia potrebbero beneficiare tutte le aziende e, in modo particolare, soprattutto quelle più deboli, quelle che hanno le spalle meno larghe, quelle che ne hanno più bisogno, cioè le piccole e medie imprese, il motore trainante dell'economia, specialmente di quella della mia regione, il Veneto.
Attendendo, però, il giudizio della Corte di giustizia europea, non posso non rilevare come questa maggioranza stia creando un pasticcio, parola di cui si è abusato durante la campagna referendaria; anzi meglio sarebbe parlare di un paradosso. Infatti, l'IRAP, l'«imposta rapina», disincentiva a fare imprenditoria, a rischiare di lavorare in proprio. Questa Italia che, non avendo risorse naturali, può contare soltanto sulla trasformazione, vedrà con tale intervento, grazie a questa maggioranza, un ulteriore paradosso, dato dal fatto che le regioni non virtuose, il 20 luglio, potranno pagare il ritardato acconto senza la maggiorazione dello 0,4 per cento per l'intera quota non versata, che potrebbe anche essere del 5,25 per cento. Questo, Presidente, alle regioni virtuose non è consentito.
Diverso, e chiaramente condivisibile, sarebbe stato se, considerata la confusione creata sulla questione, si fosse deciso di agevolare il contribuente che deve pagare il 5,25 per cento abbonando soltanto la maggiorazione dello 0,4 per cento sull'aumento automatico. A me sembra che, per riportare equità in questo pasticcio, si dovrebbe concedere eguale possibilità anche al resto del paese; quindi, quella parte virtuosa dell'Italia che, pur offrendo adeguati servizi sanitari, ne controlla la spesa, dovrebbe essere trattata almeno in modo uguale a chi non ha fatto questo.
In questi giorni, anche in Commissione, ci è stato motivato che la scelta di abbonare totalmente lo 0,4 per cento è dovuta al fatto che non si volevano creare ulteriori complicazioni al contribuente, vista tutta la confusione che già si era creata. Non si voleva far fare al contribuente troppi conteggi, come se oggi per pagare le tasse non si debba ricorrere ad uno o più commercialisti.
In questo caso, però, la questione non riguarda la semplificazione dei conteggi, ma è di natura diversa: si tratta di capire quali sono i principi che guidano questa maggioranza. Mi sembra che sicuramente, all'interno di questi principi, non vi sono quelli della meritocrazia, dell'uguaglianza del trattamento, dell'equità. Così facendo, avremo come conseguenza che in questo paese chi è virtuoso sarà penalizzato rispetto a chi non lo è.
Allora, una prima riflessione che tutto ciò ispira è la seguente: ma perché la parte del paese che è sprecona deve essere trattata con i guanti bianchi e l'altra che, invece, è precisa, corretta, sapiente e, come dice la norma, virtuosa, viene trattata a guanti in faccia? Se devo essere sincero, onorevoli colleghi, un'Italia così a me piace sempre meno!
Si è detto che l'IRAP è, tutto sommato, un'imposta federalista: l'ho sentito dire proprio a ridosso dell'esito referendario, quasi a voler far passare come equa ed accettabile l'IRAP («imposta rapina»). Se si guarda all'aumento automatico dell'1 per cento nelle regioni che hanno superato il tetto di spesa sanitaria, effettivamente - da questo punto di vista -, qualcosa di federalista l'imposta ce l'ha. Tuttavia, fa sorridere il fatto che proprio una maggioranza che tanto ha fatto affinché non fosse approvata la riforma costituzionale, alla prima occasione, proprio quando deve occuparsi di quella che definisce imposta federalista, crei un paradosso e ribalti uno dei principi che stanno alla base del federalismo, quello meritocratico. Quindi, per trenta giorni, avremo regioni virtuose


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nelle quali sarà pagata la maggiorazione dello 0,40 per cento e regioni non virtuose nelle quali la maggiorazione non sarà pagata!
Chi, come l'attuale maggioranza, diceva in passato di essere d'accordo sul federalismo fiscale e su alcune riforme, alla prova dei fatti, si è impegnato per far votare «no». Si capisce, allora, perché, con questa maggioranza, il paese non può cambiare.
L'unica terapia che noi consideriamo efficace per poter risollevare un paese malato, un paese che, se non curato, si aggraverà sempre di più, è stata «frantumata» qualche giorno fa. Oggi vediamo che non sono penalizzate, ma premiate, proprio le regioni che hanno deciso di assumere quaranta infermieri quando ne servivano quindici o di costruire ospedali dove non occorrevano, dove si poteva fare ricorso ad economie di scala e...

PRESIDENTE. Onorevole Filippi...

ALBERTO FILIPPI. ... fare ricorso all'accentramento dei centri sanitari. È questo il principio che va cambiato (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Briguglio. Ne ha facoltà.

CARMELO BRIGUGLIO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'odierna discussione sul decreto-legge in materia di IRAP ha un antefatto che non possiamo assolutamente tacere: la giornata di ieri al Senato, una giornata - direi - nefasta e nera, anche per la storia della Repubblica italiana. Quando, nel corso di una seduta, o subito dopo, viene tirato in ballo il Presidente della Repubblica per riportare a normalità la dinamica nelle istituzioni, è successo sicuramente qualcosa di estremamente grave. Ed oggi la discussione si prolunga, in questo ramo del Parlamento, in ragione di ciò che è accaduto ieri nell'altro!
Nessuno pensi che si possa comprimere il diritto dell'opposizione a manifestare le proprie opinioni e, soprattutto, l'opinione e la rappresentanza politica e sociale di metà del popolo italiano con l'applicazione dei regolamenti in funzione degli interessi della maggioranza. La prevaricazione non può certamente supplire alla politica, e credo che ciò noi lo dobbiamo tenere ben presente e, in qualche misura, a ciò s'ispirerà l'opposizione sui banchi parlamentari in quest'aula.
Vi è anche una cornice in cui questo provvedimento si inscrive e di cui bisogna tenere conto: è esattamente l'approccio - direi un po' infelice, e le correzioni sono in atto - con cui il ministro dell'economia e delle finanze Padoa Schioppa pensava di affrontare la situazione economica e finanziaria del paese, mettendo al centro dell'analisi del nuovo Governo addirittura un raffronto con il 1992. Pare, come dicono le cronache di oggi, che ieri il medesimo è stato riportato a più buoni e più miti consigli, perché se la situazione finanziaria - e non è così - che questo Governo ha ereditato dal Governo Berlusconi fosse quella del 1992 - come vi è stato spiegato -, il Governo si dovrebbe attrezzare ad operazioni di «macelleria sociale», ossia le operazioni che vennero rimproverate al Governo precedente, quando si presentò in Parlamento per riportare l'Italia ad una situazione economica e sociale che oggi è ben lontana da quella del 1992-1993.
Ciò che noi pensiamo, soprattutto, è che questo provvedimento qualifica i primi cento giorni del Governo in carica, e li qualifica in senso negativo. Vi è una povertà di cultura politica, istituzionale ed anche economica e sociale. Non vi è uno sforzo di fantasia. Si ripropone un provvedimento ed un'imposta, appunto l'IRAP, che già sappiamo tra pochi mesi non vi sarà più, per decisione altrui, perché intrinsecamente iniqua e confusionaria, e gli organismi deputati a ciò in sede europea ormai sono decisi a cassarla completamente. Quindi, l'ispirazione di questo provvedimento è sicuramente di conservazione


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di ciò che esiste. La cosiddetta «luna di miele» del Governo Prodi non esiste, nemmeno sotto questo profilo.
Ciò che noi notiamo, anzitutto, in questo provvedimento è una contraddizione di fondo: se è vero che con questo provvedimento si vuole, in qualche modo, penalizzare una certa «allegria» nella gestione pubblica e, in particolare, della sanità da parte di sei regioni, non si capisce sul filo di tale coerenza - che è tutta da dimostrare - perché ciò che viene disfatto sul piano della pubblica amministrazione - si parla di sprechi e di «sforamenti» dei tetti della spesa pubblica nel campo sanitario - debba poi pagarlo l'area della produzione, le imprese private e, in fin dei conti, anche l'area dell'occupazione, ossia i disoccupati. È su tale punto che vorrei svolgere una seconda riflessione importante.
Ciò che è particolarmente iniquo di questa imposta, appunto, per la sua struttura, che si basa anche sul costo dei dipendenti, è che si tratta di un'imposta che va contro il sociale, contro l'occupazione e contro il Mezzogiorno d'Italia. Negli scorsi mesi ci siamo dovuti sorbire da questi banchi non so quanti interventi da parte dei colleghi dell'allora opposizione, oggi maggioranza, sull'assenza di una politica per il Mezzogiorno e per le aree in cui vi è un alto tasso di disoccupazione. Ebbene, il Governo precedente, il Governo Berlusconi, ha conseguito importanti risultati sul piano della lotta alla disoccupazione e dell'incremento dell'occupazione stessa, anche di quei segmenti quali l'occupazione femminile, facendo sì che il nostro paese, nei cinque anni trascorsi, abbia riconquistato spazi rispetto alla media europea. Stavo dicendo che ci siamo dovuti sorbire decine e decine di discorsi e di prediche sotto tale profilo.
Ebbene, la riproposizione dell'iniquità di un'imposta che penalizza l'impresa, mentre, nello stesso tempo, si creano nuove aree di occupazione, nuovi posti di lavoro, ci fa capire che si tratta di un provvedimento di mera conservazione che non riesce ad incidere sul profilo dell'occupazione.
Altri profili sono importanti: è stata sollevata da parte delle categorie che si occupano di fisco, nel ruolo di intermediazione tra lo Stato ed il cittadino contribuente, una critica radicale a tale provvedimento per la totale incertezza sul piano dell'applicazione di una normativa che è confusionaria e che sta gettando molte categorie (non solo le categorie produttive, ma anche i professionisti) in uno stato di angoscia per quanto riguarda la verifica dell'applicazione della normativa.
Vi sono anche una dimensione etica, perché il provvedimento si pone contro lo Statuto del contribuente e, soprattutto, il principio, essenziale, secondo cui, una volta che si cambia normativa e vengono introdotte nell'ordinamento modifiche legislative importanti dall'impatto sociale notevole, il contribuente deve avere il tempo di comprendere la norma e di predisporre tutti gli atti per aderire alla norma stessa. Sotto questo profilo, l'IRAP è quasi un'imposta contro i diritti della persona, nella veste di contribuente.
La riproposizione di un provvedimento illegittimo ed illogico, per effetto del quale vengono penalizzate sei regioni attraverso criteri tutti opinabili, è un cattivo inizio nel contesto di questo percorso economico, sociale e fiscale (anche per quanto riguarda il rapporto tra il Governo e l'area delle imprese dove bisogna produrre posti di lavoro stabili, definitivi, veri e reali, non legati alla pubblica amministrazione), che ci convince ancora di più a dire «no», a bocciare un provvedimento che, da un lato, è iniquo e, dall'altro, si iscrive nella logica della mera conservazione (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bono. Ne ha facoltà.

NICOLA BONO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'IRAP è un'imposta illogica sul piano concettuale.
Ricordo la durissima battaglia che conducemmo a suo tempo in Parlamento, quando, davanti all'allora maggioranza di centrosinistra, opponemmo una serie di


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argomentazioni che investivano globalmente un'impostazione che appariva, da qualunque punto di vista, insostenibile.
Infatti, la base imponibile di questa imposta è al lordo di alcuni costi significativi, tra cui gli interessi passivi ed il costo del lavoro. Pertanto, è un'imposta che fa pagare oneri fiscali su un reddito inesistente.
Cosa c'è di più ingiusto che pagare su un reddito non maturato? Più che un'imposta, l'IRAP è un'odiosa vessazione, resa ancora più ingiusta dalla sua estensione ai professionisti e ai lavoratori autonomi i quali avevano vinto l'ultradecennale battaglia per l'abolizione dell'ILOR e che - prima ancora di poter utilizzare a proprio beneficio l'esito della sentenza della Corte costituzionale che dichiarava quell'imposizione, che colpiva per sua natura il capitale, inapplicabile perché incostituzionale qualora parametrata ai redditi dei lavoratori autonomi e di professionisti che il capitale non lo utilizzano - si ritrovarono così, ancora una volta, penalizzati.
L'IRAP è stata un'invenzione diabolica dell'allora ministro Visco: un'imposta che contestammo vivacemente e che ritengo abbia avuto un'incidenza non indifferente nella sconfitta del centrosinistra alle elezioni del 2001. Da questo punto di vista, essendo tornato Visco, ci aspettiamo ulteriori invenzioni diaboliche; in tal modo, i cittadini italiani si renderanno conto che in questo revival di imposizioni c'è una sorta di linea rossa, e non potrebbe essere di colore diverso considerata la parte da cui proviene, che lega i provvedimenti e la visione dell'imposizione fiscale da parte del centrosinistra nel nostro paese.
L'IRAP non è solo un'imposta ingiusta, ma è anche anomala perché non è un'imposta sui consumi o sul reddito e proprio per questa sua anomalia, per questa sua difficoltà ad essere incasellata all'interno di un istituto ben preciso che è stata fortemente contestata dall'Unione europea e, in particolar modo, dalla Corte di giustizia delle comunità europee che, pur ammettendo per essa una procedura dilazionata nel tempo, ha tuttavia fissato un termine entro il quale questa imposta non potrà più essere considerata applicabile. Ci si avvia, quindi, verso la soppressione da parte della Corte di giustizia delle comunità europee dell'IRAP. Un'imposizione che però con il provvedimento al nostro esame riprende nuova vita e mantiene inalterata tutta la sua entità di imposizione inaccettabile prevedendo un suo aumento nelle sei regioni che hanno sforato la spesa sanitaria.
A proposito dell'atteggiamento tenuto dall'Unione europea in merito all'IRAP, sarebbe interessante capire cosa ne pensi il Presente del Consiglio dei ministri, onorevole Prodi, una sorta di Prodi bifronte che, a seconda dei ruoli che ricopre, diventa difensore o contestatore dell'IRAP: da Presidente del Consiglio dei ministri, la introdusse; da Presidente della Commissione europea, la contestò, ed oggi, nuovamente Presidente del Consiglio, ne propone addirittura l'aumento, anche se limitatamente a sei regioni. Non possiamo accettare una posizione diversa a seconda dei ruoli ricoperti. Sulle questioni di fondo che attengono ai diritti e ai doveri dei cittadini il vero statista assume posizioni coerenti nel tempo.
Il Parlamento, la Camera dei deputati, si trova quindi davanti alla necessità di dare risposta ad almeno tre questioni. La prima: è corretto che un'imposta ingiusta ed illegittima in procinto di essere dichiarata tale da una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee debba ancora rimanere in vigore e addirittura essere aumentata?
Questa domanda non può essere elusa. Il centrosinistra e la maggioranza hanno il dovere di fornire una risposta definitiva al riguardo.
Tuttavia, ammesso che a questo primo quesito si possa dare risposta positiva - non posso neanche immaginare attraverso quali elementi e quali argomentazioni potrebbe essere possibile - la Camera dei deputati non può sfuggire ad un secondo quesito, cioè, pronunciarsi sulla correttezza del procedimento adottato.
Non è forse vero che si è realizzata una situazione kafkiana per l'incertezza nella applicazione delle aliquote? Che bisogno


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c'era - mi chiedo e chiedo al Governo - di approvare un provvedimento assurdo, come questo, soprattutto sul piano della tempistica, delle modalità e della modulazione nella attuazione? Una volta accertati gli «sforamenti», bastava prevedere che l'eventuale aliquota definitiva del 5,5 per cento dell'IRAP fosse pagata entro i termini previsti per l'acconto dell'imposta sui redditi, a novembre. Che bisogno c'era di introdurre questa situazione incredibile? Almeno un diritto bisogna riconoscere ai contribuenti, quello della certezza della norma. Che bisogno c'era di far trovare i contribuenti in questa condizione di assoluta aleatorietà riguardo alla aliquota da applicare? Dovremmo, forse, ringraziare il Governo che ora introduce il principio in base al quale sino al 20 luglio prossimo non si applicheranno sanzioni? Che generosità! Siamo veramente commossi...! Dovremmo distribuire fazzoletti per poterci asciugare le lacrime davanti a questo atteggiamento di buona volontà!
Invece, questa non è neanche una «pezza» capace di occultare una profonda e grave insensibilità da parte dell'Esecutivo il quale, pur di «fare cassa» in ogni modo e in ogni caso, ha consentito questa altalena di notizie tale che i quotidiani finanziari hanno sostituito la Gazzetta Ufficiale nella comunicazione di notizie ai contribuenti. Fatto è che, fino a questa mattina, nessuno sa ancora in quali casi si applichi il 5,5 per cento e in quali casi si applichi il 4,5 per cento. Infatti, quello del 30 giugno è il termine entro cui dovrà censirsi il numero delle regioni che hanno «sforato» la spesa sanitaria e solo da tale momento scatterà l'eventuale aumento dell'imposta.
Del resto, si sa che con la sinistra al Governo l'unico vero organo attivato a pieno regime è l'ufficio per la complicazione delle cose semplici. In questo, siete inimitabili esperti.
Infine, un terzo nodo occorre sciogliere prima di votare un provvedimento del genere. Bisogna stabilire, infatti, se questo aumento sia corretto e legittimo. A questa terza domanda credo si debba rispondere di no...

PRESIDENTE. Onorevole Bono...

NICOLA BONO. Ho già terminato il tempo a mia disposizione, signor Presidente? Le assicuro che, secondo il mio orologio, non mi pare sia così.

PRESIDENTE. Mi dispiace, ma il mio è molto preciso, onorevole Bono.

NICOLA BONO. Se mi consente, vorrei concludere.

PRESIDENTE. Si affretti, però, perché ha già superato i dieci minuti di tempo a sua disposizione.

NICOLA BONO. Mi affretto, signor Presidente. Cercherò di concentrare la conclusione in un minuto.

PRESIDENTE. Meno di un minuto, onorevole Bono...

NICOLA BONO. Grazie, signor Presidente.
La Sicilia non ha affatto «sforato» la spesa sanitaria. A tale risultato si arriva alla luce della considerazione che la regione siciliana ha destinato al ripiano delle spese sanitarie gli introiti dell'imposta sulle assicurazioni per responsabilità civile, che una sentenza della Corte costituzionale ha sancito essere di competenza della regione, per le automobili dei residenti in Sicilia. Quindi, la Sicilia non ha «sforato». Tuttavia, di ciò non si dà atto nel decreto-legge in esame.

PRESIDENTE. Onorevole Bono, sono costretto a chiederle di concludere.

NICOLA BONO. Sta bene, signor Presidente.
Per tali motivi e visto che, tra l'altro, si penalizza ulteriormente la Sicilia, noi esprimeremo voto contrario su questo disegno di legge (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Invito gli onorevoli colleghi a considerare il fatto che, ormai,


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sono rimasti pochi deputati ad aver chiesto di parlare per dichiarazione di voto; alcuni di essi si sono anche impegnati ad intervenire per una durata inferiore ai dieci minuti regolamentari.
Pertanto, è bene prepararsi alla possibilità che, tra non molto, si proceda alla votazione finale; anzi, invito i colleghi a tenere conto di tale circostanza, e pertanto darò la parola ai sei deputati che avevano chiesto di intervenire, confidando nella possibilità che ciascuno si faccia carico di questa situazione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Castiello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA CASTIELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sono ormai due giorni che stiamo discutendo di ciò che, in realtà, dovrebbe rappresentare il primo vero provvedimento della maggioranza in materia di politica fiscale. Si tratta di un decreto-legge che dimostra le contraddizioni di fondo esistenti nella stessa maggioranza, la quale ha idee confuse e non chiare. L'unico vero atto adottato da questo Governo, infatti, sono due articoli che mirano a vessare i contribuenti, senza offrire alcuna speranza per il futuro.
Riteniamo, come abbiamo più volte affermato in questa Assemblea, che l'IRAP sia un'imposta sbagliata. Vorrei rilevare che non lo sosteniamo solamente noi, ma lo asserisce anche la Corte di giustizia delle Comunità europee, la quale ritiene l'imposta in oggetto incompatibile con la disciplina comunitaria dell'IVA. Si tratta, peraltro, di un'imposta che danneggia fortemente la maggioranza delle imprese che impiegano un numero elevato di dipendenti e che comporta, altresì, un aggravio amministrativo che pesa sulle strutture aziendali.
Dunque, questo Governo non si è ancora insediato che già è alta la tensione tra i professionisti e le categorie produttive. Si tratta di un errore che avete già commesso nel lontano 1997, quando, per l'appunto, avete istituito tale imposta. Vorrei altresì segnalare che voi stessi avete definito il decreto-legge in esame un provvedimento che mira a «fare cassa».
In queste ultime settimane, nonché anche questa mattina, abbiamo letto sui giornali dichiarazioni di illustri esponenti dell'attuale Governo, i quali hanno tentato di chiarire agli italiani la loro politica fiscale, senza comunque riuscirvi; anzi, è stato evidenziato un dato molto chiaro. In materia di politica fiscale, infatti, volete compiere un solo gesto: mettere le mani nelle tasche degli italiani, ed il Governo vuole fare ciò rivedendo l'imposta in oggetto.
D'altronde, ciò era già chiaro in campagna elettorale, poiché avete annunciato la modifica di una serie di tributi: ricordo, ad esempio, l'imposta sui BOT, la tassa di successione ed altre imposte che mai - e dico «mai»! - il precedente Governo si era sognato di introdurre, pur riconoscendo l'esistenza di una situazione economica difficile a livello sia europeo, sia mondiale.
Il provvedimento in esame, così com'è stato definito (il decreto salva-IRAP), prevede, nel suo primo articolo, che non venga applicato l'istituto del ravvedimento operoso, al fine di non consentire ai contribuenti - i quali credono che, nei prossimi mesi, la Corte di giustizia delle Comunità europee dichiarerà illegittima l'imposta in questione - il ricorso all'istituto suddetto per trovarsi in regola, e dunque in una posizione legittima. A tale disposizione si è successivamente aggiunta la maggiorazione dell'1 per cento per i contribuenti di quelle regioni che non hanno conseguito l'obiettivo della stabilità dei conti in materia sanitaria. Ebbene, tali cittadini non sanno ancora cosa e come devono pagare!
Proprio per tali ragioni, qualcuno ha sollevato l'ipotesi di presentare proposte emendative che contemplerebbero la possibilità, per le regioni che hanno sforato i propri conti sanitari, di non pagare lo 0,4 per cento sull'IRAP entro il 20 luglio del corrente anno. Se, da un lato, ciò potrebbe fare chiarezza, dall'altro genererebbe contraddizioni enormi, nonché una disparità di trattamento tra quelle regioni che hanno giustamente rispettato l'equilibrio dei propri conti sanitari e quelle che, invece, non lo hanno fatto per niente.


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Un caso emblematico, in tal senso, è rappresentato dalla Campania, la quale, anche in questa fase, è la regione che ha sforato più di tutte il debito sanitario. Essa è amministrata da una giunta di centrosinistra, sostenuta da questo Governo, che, anche in passato, ha risolto il problema del deficit imponendo nuove tasse. Ricordo, infatti, che, in sede di approvazione del bilancio regionale, furono aumentate sia l'accisa sulla benzina, sia il bollo auto. Tutto ciò, dunque, la dice lunga sul modo con cui intendete condurre la politica fiscale.
È, quindi, un'imposta iniqua che colpisce le piccole e medie imprese, senza offrire la possibilità di dedurre il costo del lavoro. Danneggia quelle aziende che più fanno affidamento sul fattore produttivo lavoro. Tutto questo in un periodo particolare, nel quale le nostre imprese, soprattutto quelle del settore manifatturiero, sono entrate in crisi a causa della concorrenza internazionale.
Dunque, la contraddizione di fondo che caratterizza questo Governo sta nel fatto che, mentre l'Unione europea vuole eliminare questa imposta, la maggioranza chiede alle imprese di pagarla, pur sapendo che scomparirà.
Vi è una contraddizione politica che caratterizza la maggioranza, che vi avvolge tutti. Ci troviamo a discutere su un'imposta odiosa con un Governo che non ha una politica fiscale. Non siete ancora venuti nelle aule del Parlamento a discutere su come intendete risolvere il problema. Non fate altro che riempirvi la bocca di riduzione del cuneo fiscale, ma il vostro primo provvedimento è proprio quello di porre in essere un'imposta. Si adotta un decreto-legge per «fare cassa» e per approvare una proroga sui canoni demaniali marittimi.
Allora, nel concludere il mio intervento, chiedo chiarezza. Fatela! Noi l'abbiamo già fatta! L'abbiamo fatta in campagna elettorale; l'abbiamo fatta in quest'aula proprio oggi. Dite agli italiani qual è la verità! Gettate questa maschera che serve soltanto ad illudere gli italiani e riconoscete che volete risolvere il problema della pressione fiscale istituendo nuove tasse.
Siamo fortemente convinti che con questo Governo il paese si avvia sul viale del tramonto, un tramonto da un punto di vista produttivo, politico e finanziario, perché volete soltanto imporre nuove tasse.
Si dice che il buongiorno si vede dal mattino; siamo fortemente convinti che, purtroppo per gli italiani, non ci saranno belle giornate. Se non ci ha soffocato il caldo e l'afa di questi giorni, lo farà il Governo Prodi, soffocando gli italiani con nuove tasse (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'IRAP, questa imposta duramente contestata dall'attuale schieramento di opposizione, già all'epoca, quando il Governo di centrosinistra istituì questa tassa ribattezzata «imposta rapina», manifestava uno scopo tutt'altro che nobile, quello di «fare cassa». È una brutta locuzione, ma è la verità.
La contraddizione insita in questo provvedimento è sostanziale: l'IRAP viene riproposta dal Governo in un momento in cui sta per essere cancellata dall'Unione europea. C'è da chiedersi, quindi, se una tassa legittimamente dichiarata ingiusta, perché doppione dell'IVA, debba essere pagata.
Stiamo discutendo del cosiddetto decreto salva-IRAP e del suo primo articolo, che non consente di applicare l'istituto del ravvedimento operoso, al fine di non permettere ai contribuenti di mettersi in regola. Inoltre, si prevede la maggiorazione dell'1 per cento per i contribuenti delle regioni che non hanno rispettato la stabilità dei conti sanitari, maggiorazione che inevitabilmente comporterà la riduzione dei servizi.
Inoltre, tra i contribuenti serpeggia una notevole confusione; non sanno se pagare il 4,25 oppure il 5,25 e, per quanto riguarda l'agricoltura, se l'aliquota passi al 2,9 o rimanga all'1,9 o addirittura salga al 5,25 per cento.


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Comunque, il dato di fatto è che si tratta di un'imposta iniqua che colpisce le piccole e medie imprese, poiché, non prevedendosi la possibilità di dedurre il costo del lavoro, esse vengono danneggiate, facendo affidamento proprio sul fattore produttivo lavoro. In modo particolare, le industrie manifatturiere del nord, dove più alta è l'incidenza del fattore produttivo lavoro, sono in crisi a causa della concorrenza internazionale. Per questo, la Lega aveva già proposto l'abolizione dell'IRAP ed una franchigia di 200 mila euro.
Si emana un decreto-legge per «fare cassa» e per approvare una proroga sui canoni demaniali, ma non sarà l'ultima, perché l'attuale maggioranza non ha una politica fiscale. Si continuerà con le «imposte rapina» ed a tassare indirettamente il lavoro. E non si garantisce chiarezza nemmeno sulle modalità di pagamento, in netto contrasto con lo statuto del contribuente, che prevede che tutte le manovre correttive riguardanti le imposte devono essere realizzate nel rispetto dei tempi prestabiliti e con un lasso di tempo sufficiente a recepire le modifiche promulgate.
La Lega Nord dice «no» alle «imposte rapina», all'IRAP, ma anche a tutte le imposte e tasse che penalizzano le imprese del nord, quel nord che ha risposto in modo positivo al quesito referendario sulla devoluzione. Non pensiate che l'esito negativo del resto della penisola ci faccia desistere dalla battaglia, che sarà continua, anche se siamo consapevoli che sarà lunga. Ma non ci stancheremo, continueremo fino al conseguimento del nostro obiettivo, che non si limiterà alla devoluzione ma dovrà pervenire al federalismo fiscale.
Questo è il compito che ci hanno affidato i nostri elettori e non vogliamo tradirli, anzi vogliamo dimostrare ai nostri elettori, ma anche agli altri, che il Governo di centrosinistra è inaffidabile. Come ha già detto una collega, se il buongiorno si vede dal mattino, quella che ci aspetta è una situazione molto grave: ora, l'IRAP, sapendo che a breve sarà bocciata; a luglio, avremo l'aumento del 6 o 7 per cento delle bollette ENEL e del gas, che come sempre graveranno sui cittadini del nord.
Cosa dobbiamo attenderci ancora? Chiaramente, il nostro voto sul provvedimento in esame, che chiamiamo «imposta rapina», sarà contrario (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Onorevole Presidente, vorrei mettere in rilevo la «coerenza» del Presidente del Consiglio Prodi, bugiardo in materia fiscale. Da Presidente del Consiglio, nel 1997, ritiene che l'IRAP sia una buona legge fiscale e che sia compatibile con il sistema europeo. Lo stesso Prodi diventa Presidente della Commissione europea e sostiene esattamente il contrario, cioè che questa tassa non è compatibile con le regole europee anche perché duplica l'IVA e, quindi, determina un regime di incompatibilità. Prodi torna Presidente del Consiglio e presenta il provvedimento in esame, che è positivo per un solo fatto, perché interrompe la «vacanza» del Parlamento.
Va rilevato il fatto che siamo deputati, ben pagati per svolgere le nostre funzioni, e siamo impediti dal Governo di centrosinistra di svolgere il nostro dovere di parlamentari. Questo è il primo provvedimento che l'attuale maggioranza porta all'attenzione della Camera dei deputati. Lo ritengo molto grave! È un problema che porremo dal punto di vista regolamentare nei prossimi giorni: anche se il Governo non ha nulla da portare alla Camera, per la discussione, la modifica e l'approvazione, la Camera non può rimanere senza lavoro. Vi sono decine e decine di proposte di legge dei deputati o di interi gruppi parlamentari che devono essere iscritte nell'ordine del giorno della Camera. Dovremo impedire, onorevoli colleghi, che il Governo imprigioni questa Camera anche se non ha suoi provvedimenti e se ha una maggioranza con una certa... Non intendo usare un termine inappropriato!


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Anche in merito alla Presidenza della Camera, onorevole Presidente di turno, lei ed i suoi colleghi state facendo meravigliosamente il vostro dovere. Tuttavia, l'onorevole Bertinotti è stato eletto Presidente della Camera dei deputati e non è l'ambasciatore della Camera dei deputati!
Quindi, invito il Presidente a essere più presente alle sedute per dirigere i nostri lavori e a non utilizzare l'incarico di Presidente della Camera dei deputati solo per avere un fiore all'occhiello per partecipare a manifestazioni esterne. Ritengo che il Presidente della Camera debba predisporre un calendario considerando anche ciò che occorre presentare nelle Commissioni parlamentari. Infatti, questa sorta di paralisi blocca anche le Commissioni e i loro presidenti.
Indubbiamente, la parte del provvedimento in esame relativa al demanio marittimo costituiva un adempimento necessario, e devo riconoscere che il sottosegretario che ha rappresentato il Governo in aula si è mosso con grande equilibrio e senso di responsabilità.
Invece, non abbiamo trovato ascolto per quanto concerne la questione dell'IRAP. L'Europa ha contestato tale imposta, in quanto la base imponibile della stessa considera il valore della produzione e non consente la deducibilità di alcuni costi significativi nella determinazione della produzione, come ad esempio il costo del lavoro. Quindi, non si tratta di un'imposta sul reddito.
Se una coalizione politica basa gran parte della propria campagna elettorale sull'obiettivo della riduzione di cinque punti del cuneo fiscale, non si comprende perché poi mantenga e rafforzi una tassa che incide direttamente sulla produzione, sulle aziende. Infatti, l'IRAP è una tassa regionale sulle attività produttive, alla quale sono assoggettati tutti coloro che svolgono un'attività commerciale organizzata in forma di impresa. Si parla di riduzione del cuneo fiscale e poi si penalizza chi svolge un'attività commerciale in forma di impresa! Ciò colpisce le società per azioni, le società a responsabilità limitata e le attività di lavoro autonomo sia in forma individuale sia associata. L'IRAP incide quindi sul valore aggiunto prodotto dall'impresa nella misura del 4,25 per cento.
Signor Presidente, occorre che il paese sia informato di questo modo di operare a zig zag, di muoversi secondo gli interessi di cassa. Com'è possibile che la regione Lazio si rifiuti di vendere un ospedale e poi preveda l'abolizione del ticket che, anche se giusta, non deve però incidere sui parametri dell'efficienza ospedaliera e dell'assistenza sanitaria? Dunque, si abolisce il ticket per fare propaganda politica e poi si prevede l'IRAP per coprire il debito derivato da un atteggiamento irresponsabile del presidente della regione Lazio e dei presidenti delle altre regioni.
Evidentemente occorre risanare la sanità ridistribuendo con equità anche le risorse disponibili, ma non è concepibile mantenere l'IRAP e abolire il ticket, oltretutto di entità assai modesta.
Questa è un'altra gravissima contraddizione che notiamo nell'atteggiamento del Governo, il quale, onorevole Presidente, deve definire in maniera molto chiara alcuni aspetti. In materia fiscale, non possiamo determinare incertezza nel cittadino. I cittadini devono conoscere la certezza dei loro diritti e dei loro doveri in un lungo arco di tempo: non possono vivere frastornati dalle dichiarazioni contraddittorie dei vari ministri giorno dopo giorno. Ciò porta insicurezza, incertezza e mancati investimenti e ad essere colpita è proprio quella produzione e quello sviluppo che tutti dicono, a parole, di voler aiutare.
Signor Presidente, concludo il mio intervento nel breve tempo che ho a disposizione. Il grande pericolo che corriamo è che la Corte di giustizia europea, nei prossimi giorni e, comunque, prima del 2007, stabilisca che questa tassa non è dovuta e va rimborsata. Onorevoli colleghi, pensate a cosa potrebbe accadere nel 2007, qualora, a livello europeo, si decidesse che questa tassa non era dovuta! A quel punto, non so se vi rendete conto di quale crisi finanziaria operativa colpirebbe di conseguenza l'attività delle regioni.


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Signor Presidente, concludo senza polemizzare, rivolgendomi agli amici, che stimo moltissimo, della Lega. Pregherei la Presidenza della Camera affinché, quando si interviene, ci si rivolga ai deputati della Repubblica italiana. Non mi risulta che esista la regione Padania e, quindi, invito la Presidenza a richiamare i colleghi deputati al rispetto delle regole, del regolamento e della nostra Costituzione.

PRESIDENTE. Condivido quest'ultima osservazione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Grimoldi. Ne ha facoltà.

PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, colleghi parlamentari, ci avviciniamo ai primi cento giorni di questo Governo e credo che vada sottolineato quel poco che, sino ad oggi, si è visto. La mia prima osservazione è, inevitabilmente, di carattere matematico, nel senso che questo Governo è quello più popolato nella storia della Repubblica dal dopoguerra ad oggi.
Tale Governo ha umiliato il secondo classificato, ossia l'ultimo Governo Andreotti. Questa non è cosa di poco conto per chi, in campagna elettorale, si è riempito la bocca di commenti sull'etica e sulla morale. Nella scorsa legislatura, nel momento in cui nel passato Governo Berlusconi ci fu un piccolo rimpasto, con l'aumento di due sottosegretariati, ricordo bene le parole del segretario dei Comunisti italiani Diliberto, che in aula si stracciò le vesti, dicendo che venivano elargite poltrone, che venivano sperperati soldi pubblici, che si gestiva il potere fine a se stesso. Tutto ciò per due sottosegretari in più! Oggi, vengono piazzate centodue poltrone in un colpo solo e, inspiegabilmente, il gruppo del signor Diliberto rimane in silenzio!
Ebbene se, oltre a questa osservazione, consideriamo il «giochetto» di far dimettere i colleghi parlamentari che hanno assunto incarichi di Governo, aumentando il numero delle persone che percepiscono un'indennità e innalzando il costo della politica di diverse centinaia di euro, non mi pare si vada nella direzione del rigore tanto auspicata o, a questo punto, semplicemente millantata dal Presidente del Consiglio Prodi.
Inoltre, sulla rassegna stampa di ieri, ho avuto modo di leggere un articolo abbastanza interessante dal titolo: «Ai sottosegretari anche la pensione. La legge è pronta. Presto sarà placata l'ansia di chi è entrato nell'esecutivo senza lo status e lo stipendio di parlamentare».
Ebbene, queste tre considerazioni messe insieme (l'aumento dei membri del Governo in modo esponenziale, battendo ogni record nella storia della Repubblica; il giochetto di far dimettere i colleghi parlamentari che sono andati a ricoprire incarichi di Governo; quest'ultima notizia sulle pensioni dei sottosegretari) non vanno sicuramente nella direzione di tagliare i costi della spesa, di contenere i costi della politica e, in una sola parola, di spendere meno e meglio i soldi dello Stato e di chi paga le tasse e lavora e produce tutti i santi giorni per pagarle.
In questi primi quasi cento giorni, oltre a questa pessima immagine che viene data al paese di come vengono utilizzati i soldi pubblici, vi inventate, come primo provvedimento, quello relativo all'aumento dell'IRAP, che, com'è stato detto, è finalizzato esclusivamente a «fare cassa». Ma ciò che è più drammatico è che nella passata legislatura, il Governo, in un momento di vacche magre, in cui l'economia non andava molto bene e non era sicuramente fiorente, ha fatto di tutto per limare i costi della politica e ha cercato di limare il più possibile - e lo si è fatto - la pressione fiscale.
Oggi, dopo sole due ore dall'insediamento dal Governo Prodi, il ministro Bersani ha dichiarato: siamo in ripresa. Come per magia! Dopo due ore che è arrivato Prodi, siamo entrati immediatamente nella fase di ripresa economica.
Sta di fatto che, in un momento in cui vi è oggettivamente una ripresa economica, voi decidete di aumentare la pressione fiscale. Bel modo di auspicare il rilancio dell'economia e di non gravare sulle tasche della gente!
Ciò che più mi preoccupa è che le dichiarazioni degli esponenti del vostro


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Governo non vanno sicuramente nella direzione di pianificare una strategia di carattere economico e fiscale di lungo respiro, ma sono soltanto palliativi per prendere tempo e «fare cassa».
C'è poi un argomento abbastanza ovvio, al quale non ci è stata data assolutamente risposta: perché, se delle sei regioni che hanno «sforato» sulla spesa sanitaria - ben cinque sono amministrate dal centrosinistra - per mala amministrazione degli esponenti locali della vostra maggioranza, che male hanno gestito ed organizzato la sanità delle regioni, si devono aumentare le tasse ai cittadini? Se si devono aumentare le tasse a qualcuno e penalizzare qualcuno, si devono penalizzare gli amministratori che hanno manifestamente gestito malissimo le regioni in questione. Non si vadano a rompere le tasche ai contribuenti, che sono già fin troppo tartassati!
Sul fatto che l'IRAP sia una tassa assolutamente iniqua, vorrei sottolineare un aspetto. Dall'IRAP non si deduce il costo del lavoro, tra l'altro, penalizzando in questo modo soprattutto le aziende di carattere manifatturiero.
In questo momento storico, non è una considerazione da poco, perché anche un personaggio miope in economia, come Prodi, potrebbe arrivare a capire che in un momento in cui c'è la concorrenza sleale da parte dei paesi emergenti, come Cina e India, su prodotti soprattutto di carattere manifatturiero, i paesi e le aziende più in crisi sono l'Italia e, di conseguenza, le nostre aziende, le piccole e medie imprese, che sono soprattutto a carattere manifatturiero. Aumentare l'IRAP vuol dire oggi togliere loro ulteriore ossigeno, in un momento di particolare difficoltà, vista la liberalizzazione dei mercati e la presenza di prodotti a costi zero, appunto di carattere manifatturiero, provenienti da questi paesi emergenti.
Inoltre, siamo contrari per coerenza. La Lega Nord - e se di Padania non si può parlare, vista la sottolineatura dell'onorevole Buontempo, parlerò ai brianzoli lombardi, visto che sono brianzolo e lombardo - si è sempre dichiarata contraria a questa tassa per infinite ragioni. Non crediamo che aumentarla sia la direzione giusta per chi ne ha sempre chiesto l'abolizione. Soprattutto, si chiede di aumentarla a causa degli amministratori della vostra maggioranza a livello locale che hanno dimostrato, evidentemente, un'incapacità di carattere politico-amministrativo che non deve gravare sulle tasche dei contribuenti e sulle aziende manifatturiere.
Quindi, dopo la spartizione di poltrone - per usare le parole dell'onorevole Diliberto - questo provvedimento non può trovarci d'accordo (Applausi dei deputati del gruppo della Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tolotti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TOLOTTI. Signor Presidente, credo che in sede di dichiarazione di voto finale si possa azzardare una valutazione più sobria riguardo ad una discussione che ha registrato eccessi e forzature ben oltre l'effettivo merito del provvedimento in questione. In una situazione ed in un contesto formale un provvedimento come quello che approviamo oggi - il collega Crosetto lo ha definito un decreto di terzo piano - avrebbe dovuto registrare un'ampia convergenza, se non altro perché si tratta di un atto che il Governo attuale presenta avendolo, di fatto, ereditato dal Governo precedente.
Non è in discussione oggi la struttura dell'IRAP, né la necessità di modificarla. Sappiamo tutti, è stato richiamato più volte, dell'attesa della sentenza della Corte di giustizia. Certamente deve aprirsi e si è già aperto un grande confronto su questo tema a partire dal riconoscimento, che è compito del centrosinistra, che questa imposta deve essere rimodulata per quanto attiene alla definizione della base impositiva. Bisogna avere la consapevolezza - che anche gli interventi nella discussione di oggi e di ieri hanno dimostrato non essere presente in molti colleghi del centrodestra - che la scorciatoia dell'abrogazione o dell'eliminazione è un'illusione demagogica e pericolosa, dal momento che il suo venir meno sarebbe gravemente


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pregiudizievole per la possibilità delle regioni di sostenere la spesa sanitaria.
Vale anche la pena di chiedere ai colleghi che hanno reiterato la richiesta di abrogare l'IRAP, dal momento che per cinque anni sono stati nella maggioranza che ha governato il paese, perché non abbiano lavorato, ad esempio, affinché i 6 miliardi del secondo modulo della riforma fiscale Tremonti-Berlusconi fossero destinati a questo obiettivo invece di essere rivolti ai contribuenti sopra i 70 mila euro? Questi ultimi, di fatto, hanno goduto di una redistribuzione a loro favore, che non ha dato effetti positivi sul rilancio dei consumi del paese.
L'obiettivo del provvedimento di oggi, analogo ad un provvedimento assunto nel 2005 dal Governo Berlusconi, è semplicemente quello di assicurare la continuità del gettito in relazione ai saldi dell'anno precedente e del primo acconto del 2006. Naturalmente, ci siamo trovati a fronteggiare una complicazione legata allo sforamento dei tetti di spesa sanitaria da parte di sei regioni. In questo caso è scattato l'automatismo previsto dalla legge finanziaria 2006 del Governo Berlusconi, che obbliga i contribuenti delle regioni interessate a versare per il 2006 un'aliquota maggiorata di un punto. La situazione si è resa più complicata anche per la vicinanza della scadenza del 31 maggio, oltre la quale scatta automaticamente la maggiorazione dell'aliquota, con il 20 giugno, termine previsto per il versamento del primo acconto IRAP 2006.
L'onorevole Leo ha contestato il fatto che il Governo, concedendo alle regioni di presentare piani di rientro entro il 30 giugno, ha aumentato la confusione in cui versano i contribuenti. Ritengo che il Governo abbia agito bene innanzitutto attivandosi perché le regioni interessate - la Liguria lo ha già fatto - rientrino nei tetti di spesa evitando un aggravio per i contribuenti.
Il Governo ha agito con chiarezza, consentendo che i versamenti entro il 20 luglio non siano gravati dalla maggiorazione dello 0,40 per cento sull'intera somma da versare e chiarendo che, in caso di aliquota ridotta, per esempio, nel settore agricolo dove l'aliquota è dell'1,9 per cento, l'aumento dell'1 per cento, riguardi, appunto, tale aliquota ridotta - e non porti, invece, al 5,25 - facendo altresì salvo il regime di esenzioni previsto.
Si è poi chiarito, anche attraverso l'accoglimento di ordini del giorno presentati dai colleghi dell'opposizione, che i contribuenti delle regioni che al 30 giugno dovessero concordare il rientro nei tetti di spesa e che, nel frattempo, avessero pagato l'aliquota maggiorata di un punto, hanno maturato un credito nei confronti dell'amministrazione e potranno compensarlo o scomputarlo al prossimo acconto. Sul primo articolo del provvedimento si è dunque proceduto nell'ottica di assicurare la continuità del gettito, senza penalizzare i contribuenti con inutili vincoli o gravami.
Qualche breve considerazione va fatta sull'articolo 2, quello concernente i canoni demaniali. È una questione di lunga data, affrontata dal centrodestra con un provvedimento manifesto: l'aumento del 300 per cento dei canoni costruito sulla mera esigenza di assicurare un gettito di 190 milioni di euro, in seguito ridotti a 140 milioni. Io penso che questo punto di partenza sia sbagliato, perché una questione così complessa non dovrebbe essere affrontata solo dal punto di vista del gettito.
La proroga al 31 ottobre del termine previsto, presente nel provvedimento che licenziamo oggi, ha anche questo scopo, cioè, di impegnare il Governo ad affrontare il tema da un punto di vista corretto. La questione è complessa non solo perché è assai eterogeneo il panorama delle concessioni - ciò vale non solo per aree geografiche diverse, ma spesso anche per la medesima area geografica o la medesima località, per operatori che magari lavorano uno affianco all'altro. Oltre alla eterogeneità della situazione, c'è però un ulteriore problema evidenziato nelle audizioni che nel corso della legislatura precedente si sono tenute presso la Commissione finanze. Mi riferisco alla presenza di larghi e diffusi fenomeni di evasione fiscale. Allora, se questa è la situazione, le priorità sono due: da una parte...


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PRESIDENTE. Invito i colleghi a rispettare il collega che sta intervenendo, riducendo il brusìo.

FRANCESCO TOLOTTI. Grazie, Presidente. Dicevo che da una parte bisogna procedere all'allargamento della base imponibile attraverso il contrasto dell'evasione e, dall'altra, all'individuazione di parametri oggettivi misurabili ed equi per la determinazione dei canoni.
Sappiamo che la proroga che oggi deliberiamo non sarà probabilmente sufficiente al Governo per ultimare un lavoro difficile che, in questi anni, non ha prodotto esiti apprezzabili. Sarebbe però un passo avanti se al 31 ottobre il lavoro fosse adeguatamente istruito, avendo peraltro la consapevolezza che questa è una materia che potrebbe vedere in futuro maggiori prerogative in capo alle regioni.
Per queste considerazioni, ribadisco il voto favorevole del gruppo de L'Ulivo sul provvedimento in questione (Applausi dei deputati del gruppo de l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Per ragioni di brevità, mi richiamo alle motivazioni espresse ora dal collega Tolotti e quindi mi limito ad annunciare, a nome del gruppo dei Verdi, il voto favorevole alla conversione in legge di questo decreto-legge.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

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