Allegato B
Seduta n. 1 del 28/4/2006
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INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA
RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
BENVENUTO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
le Camere hanno definitivamente approvato il 9 febbraio 2006, su impulso bepartizan (ivi inclusa la proposta di legge A.C. 3208 dell'interrogante), la legge recante «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, concernenti il riconoscimento della cittadinanza italiana ai connazionali dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti», che è pertanto in attesa della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
il quotidiano Il Sole-24 Ore del 21 febbraio 2006, sotto il titolo «Cittadinanza: Croazia contro Italia», riferisce di una nota ufficiale del presidente della Croazia il quale si dice «come minimo sospettoso nei confronti dell'iniziativa italiana di concedere a un largo numero di cittadini croati la cittadinanza italiana»;
la notizia, è tale da inquietare seriamente e giustamente tutte quelle associazioni di Italiani dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, che tanto meritoriamente hanno caldeggiato e accompagnato in questi anni l'iter del provvedimento -:
se può confermare l'esistenza e il tenore della nota del presidente della Croazia citata da Il Sole-24 Ore del 21 febbraio 2006;
in caso affermativo, se il Governo italiano ha già risposto e in quali termini.
(4-19981)
Risposta. - Il ministero degli affari esteri conferma l'esistenza di dichiarazioni, rilasciate nel febbraio 2006 dal Presidente della Repubblica di Croazia, Stirpe Mesic, sulla nuova legge italiana in materia di cittadinanza italiana in favore dei connazionali di Istria, Fiume, Dalmazia e loro discendenti (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 marzo 2006).
Esse sono state riportate in un comunicato sulle relazioni con l'Italia, nel quale si esprimono dubbi sulla nuova normativa in materia di cittadinanza italiana per gli abitanti del litorale croato, «che è parte inseparabile della Repubblica di Croazia» (Mesic ammette il ruolo storico dell'Italia in quest'area); tuttavia, secondo la dichiarazione, gli abitanti di quest'area sono cittadini croati e la doppia cittadinanza potrebbe intaccarne la lealtà verso quel Paese. La conclusione della dichiarazione è che essa deve essere intesa quale contributo della Repubblica di Croazia e dello stesso Presidente Mesic per l'eliminazione di ogni ostacolo che possa apparire nelle relazioni tra Zagabria e Roma.
Altre dichiarazioni di politici croati, di tenore più o meno favorevole alla normativa italiana, sono nel frattempo state riportate sulla stampa croata.
Quanto alle dichiarazioni di Mesic, polemiche «sulla doppia lealtà» che deriverebbe dall'acquisto della cittadinanza italiana da parte dei nostri connazionali, va aggiunto che, in occasione della sua recente visita in Istria, egli ha avuto dapprima un
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incontro chiarificatore con i Vertici dell'Unione italiana ad Albona; il Presidente si è poi recato, il 2 marzo scorso all'inaugurazione della scuola italiana di Buie, ove ha colto l'occasione per correggere il tiro rispetto alle sue precedenti prese di posizione e lanciare segnali amichevoli sia alla minoranza italiana che al nostro Paese.
Nel suo intervento a Buie, Mesic ha spostato (e in tal modo sostanzialmente superato) le precedenti critiche alla legge sull'acquisto della cittadinanza dal contenuto alla forma con cui è stata approvata. Egli ha infatti rilevato che da parte italiana si è proceduto senza una preventiva consultazione con Zagabria, con cui sarebbe stato preferibile pervenire ad un accordo. L'impressione, anche per i toni estremamente cordiali del discorso, è stata di voler ridimensionare drasticamente la portata delle precedenti polemiche e, in ultima analisi, di una sostanziale marcia indietro del Presidente.
L'intervento del nostro Ambasciatore a Zagabria, subito prima di quello conclusivo del Presidente, ha inequivocabilmente sgombrato il campo da ogni possibile equivoco sulle reali intenzioni dell'Italia ed è stato seguito con evidente estrema attenzione dal Capo dello Stato che ne ha registrato i contenuti.
Peraltro, significativamente, il Presidente Mesic ha rivolto personalmente all'Ambasciatore d'Italia l'invito a partecipare ad un pranzo il 20 marzo scorso a Zagabria, cui per la prima volta sono stati invitati i Vertici dell'Unione italiana. In tale occasione, il Presidente croato ha nuovamente attenuato i toni polemici sulla nuova legge italiana, da un lato ricordando che la stessa Croazia ha spesso assunto decisioni unilaterali e senza consultazioni su questa materia, dall'altro contestando non tanto la sostanza del provvedimento quanto piuttosto una presunta carenza di informazioni da parte nostra. A ciò ha replicato il nostro Ambasciatore, ricordando di aver illustrato il contenuto del provvedimento il 26 febbraio scorso presso il ministero degli affari esteri di Zagabria, prima ancora che esso fosse promulgato.
La legge in parola prevede, entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore, l'emanazione di apposita circolare applicativa da parte del ministero dell'interno, di intesa con questa amministrazione. Si è manifestata alle autorità croate la nostra disponibilità a fornire ulteriori chiarimenti in merito, una volta che tale normativa attuativa sarà stata messa a punto.
Anche a seguito dell'apparizione nella stampa di ulteriori prese di posizione sulla legge italiana da parte di esponenti politici croati, si è provveduto inoltre il 21 marzo scorso a convocare presso il Ministero degli affari esteri l'Ambasciatore di Croazia a Roma, Tomislav Vidosevic, per chiarire l'assenza di qualsivoglia elemento ostile del provvedimento nei confronti della Croazia (e della Slovenia), nonché di intenti ancorché indiretti di sovversione di equilibri nazionali e demografici dei due vicini Paesi adriatici.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.
BIELLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il Governo italiano intrattiene regolari relazioni diplomatiche con il Sovrano Militare Ordine di Malta;
il predetto Ordine, equiparato a Stato sovrano, ha stipulato con la Repubblica Italiana due recenti trattati relativi al settore sanitario ed a quello postale, con oneri a carico dello Stato italiano;
il predetto Ordine, nonostante il suo status di «Stato sovrano», con tutte le prerogative ed i vantaggi a ciò connessi, non da ultimo di natura fiscale (motivo per il quale i beni ed i redditi dell'Ordine risultano, in Italia, esenti da imposizione), sembra agire, in effetti, come una O.N.G. non utilizzando, quindi, risorse proprie (che non appare chiaro, pertanto, a quale finalità vengano destinate), bensì quelle di Stati terzi ed organizzazioni internazionali di Stati, come la stessa U.E.;
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per tali motivi la stessa O.N.U. pur ammettendolo come osservatore non gli ha mai riconosciuto la condizione giuridica di «Stato»;
il predetto Ordine ha recentemente ridimensionato le proprie strutture ed attività in Italia (vedi articolo su Panorama del 5 gennaio 2006) in favore di uno spostamento verso la Germania Federale - Stato, peraltro, con il quale l'Ordine non intrattiene relazioni diplomatiche a livello di ambasciata - nonostante le risorse dello SMOM continuino ad arrivare soprattutto dal grande patrimonio di cui ancora dispone ima (terreni agricoli per circa 2 mila ettari, 260 tra appartamenti e magazzini per un valore stimato di 400 milioni di euro, 2-3 milioni di euro di donazioni annuali e ricchi proventi dall'affitto per matrimoni e riprese cinematografiche dello storico palazzo di Rodi alla salita del Grillo, ottenuto molti anni fa in comodato dal comune di Roma;
i rapporti internazionali dell'Ordine appaiono, di recente, incrinati da una gestione interna ed esterna che sembrerebbe aver dato luogo a contestazioni come dimostrato, dalla circostanza che alla recente udienza annuale del Corpo Diplomatico, su 93 ambasciatori accreditati, sono intervenuti per la prima volta solo una trentina;
sulla base di tali considerazioni, secondo l'interrogante, non appare vantaggioso il permanere di relazioni diplomatiche in favore di ente assai «chiacchierato» a livello internazionale, il quale non sembra in grado di offrire adeguate garanzie di controllo e trasparenza nella sua attività (i suoi bilanci non vengono pubblicati e l'organo di controllo - la Camera dei conti - non è composta da personale professionale specializzato) -:
quali oneri finanziari annuali a carico della Stato Italiano comporti l'attuazione dei trattati con lo SMOM in materia sanitaria e postale e quali vantaggi ne abbia ricevuto lo Stato italiano;
quali contributi e finanziamenti, comunque denominati e sotto qualsiasi forma configurati, siano stati erogati allo SMOM e se, per essi, sia stata prevista una qualsiasi forma di controllo o rendicontazione;
quali oneri finanziari per lo Stato italiano, in termini di minori entrate fiscali, determini l'esenzione, in favore dello SMOM quale Stato sovrano, dei relativi cespiti potenzialmente imponibili e di qualsiasi natura e se il Governo ritiene che tale situazione sia conforme agli interessi nazionali;
quali vantaggi il Governo italiano ritenga che derivino dall'intrattenere relazioni diplomatiche a livello di ambasciate con un ente che svolge, sostanzialmente, la propria attività con finanziamenti di Stati terzi ed Organizzazioni di Stati, negando, con ciò, per fatti concludenti, la propria stessa natura, sovrana, affidata alla benevolenza dei terzi;
se il Governo ritenga conforme ai principi costituzionali di eguaglianza e democrazia intrattenere relazioni diplomatiche, equiparandolo a livello di Stato Sovrano, con un Ente dichiaratamente classista ed essenzialmente religioso, palesemente legato alla valorizzazione (mediante la sopravvivenza di forme aberranti di ghettizzazione sociale: i ceti) della nobiltà di sangue che impedisce, ai non nobili, l'accesso alle sua massime cariche;
se non ritenga il Governo più conforme a diritto ed opportunità internazionale rivedere le relazioni con lo SMOM analogamente a quanto avviene per altri Stati di tradizione cattolica, come la Francia, i quali non intrattengono con lo SMOM relazioni diplomatiche a livello di ambasciata, negando, quindi, allo stesso, lo status di «Stato sovrano».
(4-19827)
Risposta. - Lo SMOM (Sovrano militare ordine Malta) non e uno «Stato», non avendo l'elemento costitutivo del territorio, ma è comunque dotato di soggettività giuridica internazionale come testimoniato anche
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dall'elevato numero di Stati che con esso intrattengono relazioni diplomatiche.
Si tratta di un soggetto sui generis del diritto internazionale, che per la dottrina prevalente va annoverato tra i cosiddetti soggetti funzionali, ovvero tra quei soggetti, diversi dagli Stati (cosiddetti enti di base), che pur essendo dotati dei requisiti di effettività ed indipendenza, non esercitano potestà a carattere territoriale, ma soltanto funzioni specifiche finalizzate al raggiungimento a livello universale di determinate finalità. In particolare, in considerazione dell'ulteriore ripartizione dei soggetti funzionali in strumentali ed originari, alla luce delle vicende storiche che hanno visto la nascita dell'Ordine e della effettività interna ed indipendenza esterna di cui gode, si può rilevare come lo SMOM rientri nella categoria dei soggetti funzionali originari, che ricomprende quelli che continuano ad esercitare funzioni specifiche prescindendo dalla sovranità territoriale di cui godevano in passato. Vanno invece annoverati tra i soggetti funzionali strumentali quelli che sono istituiti da Stati per il perseguimento di interessi comuni, come le organizzazioni internazionali.
Con riguardo alle caratteristiche dei soggetti funzionali appare inoltre opportuno sottolineare come essi godano di effettività interna in quanto dotati della capacità di imporre il rispetto del proprio ordinamento interno, e di indipendenza esterna, da intendersi come autonomia dagli Stati nella gestione delle proprie relazioni internazionali, che si concretizza con l'esercizio del diritto di legazione attivo e passivo, con la capacità di stipulare accordi internazionali e con la partecipazione ad organizzazioni internazionali.
È di conseguenza pienamente condivisibile la decisione delle Nazioni unite (ma anche delle agenzie specializzate della famiglia ONU, oltre che della Commissione europea) di ammettere lo SMOM come osservatore permanente onde raggiungere le finalità di carattere umanitario proprie dell'Ordine, a somiglianza di quanto avviene da decenni per la Santa Sede. Del resto lo SMOM ha una rilevante proiezione esterna: intrattiene infatti relazioni diplomatiche con ben 94 Stati ed è presente in oltre 100 paesi con la sua attività di cooperazione allo sviluppo e di assistenza.
Nel porre in essere le sue attività, l'Ordine di Malta si serve sia di mezzi propri, che derivano dal proprio patrimonio e dalle sovvenzioni di vario genere svolgendo quindi una propria azione diretta, sia avvalendosi delle organizzazioni che operano sotto il tetto dell'Ordine.
Non risulta confermato quanto segnalato circa un presunto spostamento o ridimensionamento di strutture ed attività dall'Italia alla Germania; anzi, il controllo di gestione delle attività internazionali dell'Associazione tedesca dell'Ordine è stato da ultimo trasferito alla sede centrale dello SMOM a Roma. La nuova organizzazione, responsabile di tali attività, è stata denominata «Malteser international» e dipende direttamente dal Gran Magistero di Roma. Il «Malteser international» gode di grande reputazione presso organismi come l'OMS, l'UNHCR, eccetera. Si registra inoltre un incremento delle attività in Italia: investimenti per l'ampliamento dell'ospedale San Giovanni Battista a Roma, nuovi poliambulatori e centri antidiabete, progetti con la nostra Cooperazione e con la Protezione civile per interventi rispettivamente in Guinea Equatoriale ed in Sudan.
L'ultima udienza annuale con il Corpo diplomatico non ha visto defezioni: il numero degli Ambasciatori corrispondeva infatti a quello - circa 50 Capi missione e oltre 100 diplomatici - presente in media per le cerimonie degli anni scorsi. Del resto, su 94 Ambasciatori accreditati solo 47 sono residenti stabilmente a Roma. Le presenze dei Capi missione accreditati presso lo SMOM a cerimonie dell'Ordine sono del tutto in linea con le presenze alle analoghe cerimonie presso il Vaticano.
Gli accordi sottoscritti negli ultimi anni con lo SMOM non presentano oneri specifici. In particolare, con riferimento all'Accordo sanitario sottoscritto nel 2000 e ratificato a larga maggioranza, dagli atti parlamentari risulta chiaramente l'assenza di oneri per l'Erario italiano. L'Accordo prevede, infatti, che a fronte del rimborso dei
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costi (secondo le tariffe fissate dalle Regioni competenti) i cittadini italiani ricevano l'assistenza sanitaria secondo gli standard del Servizio sanitario nazionale.
La Convenzione postale non è invece intesa intergovernativa, ma tra i due Enti postali. Essa prevede peraltro il pagamento dei servizi resi all'Ordine; in pratica per ogni singolo oggetto postale spedito, l'Ordine versa alle poste italiane lo stesso corrispettivo che sarebbe stato versato ove l'oggetto fosse stato presentato e spedito presso uno degli uffici postali in territorio italiano. In definitiva, le due convenzioni non hanno comportato alcun onere finanziario per l'Erario italiano.
Va poi precisato che lo SMOM non gode di esenzioni fiscali, bensì di immunità tributaria per le attività funzionali svolte in Italia al pari degli Stati e degli altri soggetti di diritto internazionale presenti nel territorio italiano. Le immunità di cui sopra sono state più volte riconosciute dalla Corte di Cassazione.
Infine, l'Ordine non ha mai ricevuto contributi o finanziamenti ad hoc dello Stato italiano, ma solo quelli previsti sul piano generale dalla normativa italiana per le finalità di carattere benefico ed assistenziale perseguite dall'Ordine con applicazione, quindi, delle regole di carattere amministrativo previste, a cominciare dai rendiconti.
I finanziamenti dell'Ordine non dipendono, in linea di principio, da sovvenzioni provenienti da Stati o Istituzioni; le attività correnti sono, infatti, finanziate con il proprio patrimonio e con le sovvenzioni degli oltre 12 mila membri dell'Ordine. Le attività delle ONG che operano a vario titolo nel quadro dell'Ordine, come il «Malteser», sono co-finanziate dalle varie associazioni nazionali dell'Ordine, da istituzioni pubbliche o private e da donatori di vario genere. Con riferimento al «Malteser international» sono spesso varie organizzazioni internazionali (OMS, UNHCR, eccetera) che affidano alla predetta istituzione missioni a carattere internazionale, sostenendone anche i costi.
Nei paesi in via di sviluppo, infine, le attività dell'Ordine sono quasi sempre sostenute dall'apparato finanziario dei vari governi.
Quanto «all'asserita natura classista ed essenzialmente religiosa» dello SMOM, va precisato che l'Ordine - per evidenti ragioni di carattere storico - è «tradizionalmente» nobiliare, secondo quanto afferma l'articolo 1 della sua Carta costituzionale, ma solo la carica di Gran Maestro deve necessariamente essere attribuita a persona che vanti un'ascendenza nobiliare. Oggi la maggior parte dei 12 mila membri dello SMOM proviene da ceti non nobili e quindi l'accesso alla maggiori cariche dell'Ordine da parte di questi ultimi non solo è possibile ma anche estremamente frequente. Quanto al carattere «essenzialmente religioso» dell'Ordine, valgono anche in questo caso le origini storico-religiose dell'Ordine dei Cavalieri di Malta. D'altra parte, l'articolo 19 della Costituzione tutela, come noto, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa.
Si ritiene, in definitiva, che il mantenere relazioni diplomatiche con lo SMOM non solo non danneggi lo Stato italiano ma, al contrario, ne accresca il prestigio. Occorre anche tener presente che con la ratifica dell'accordo sanitario il riconoscimento diplomatico dell'Ordine ha acquisito un valore parlamentare e non solo governativo.
In questi ultimi anni registriamo d'altra parte una accresciuta visibilità internazionale e diversificazione dei rapporti dello SMOM, con incontri ad alto livello con Paesi dell'Est europeo (quali Bulgaria e Slovacchia), del Continente africano (quali il Camerun) e dell'America Latina.
Tenuto quindi conto dei forti ed antichi legami con l'Ordine; delle ottime relazioni esistenti, testimoniate fra l'altro dai frequenti scambi di visite ad alto livello, della qualità e dell'efficacia e degli interventi umanitari dell'Ordine, sia in Italia che all'estero, e del tutto inopportuno rimettere in discussione i rapporti diplomatici e le relazioni intense e feconde esistenti fra Italia e l'Ordine di Malta. Tali relazioni dovranno anzi essere sviluppate sempre più
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secondo gli auspici espressi dal Signor Presidente della Repubblica in occasione della sua visita allo SMOM del 4 aprile scorso.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.
BUEMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
negli uffici giudiziari di Ivrea, secondo quanto denunciano le rappresentanze sindacali, vi sarebbe una situazione, in termini di pianta organica e strutture, che sta rendendo sempre più difficile il lavoro svolto, con il rischio che si arrivi ad una paralisi dello stesso;
in particolare viene denunciata una carenza del 40 per cento dell'organico senza che da parte del Ministero della giustizia sia stato fatto nulla per risolvere questo problema che comporta, come si può immaginare, un sovraccarico di lavoro per il personale in servizio;
a questo si aggiunge l'assoluta inadeguatezza delle strutture giudiziarie, che accentuano le condizioni di disagio dei lavoratori, e la mancanza di ogni ipotesi di riqualificazione del personale stesso;
tutto questo in una situazione in cui continuano a circolare strane «voci» su una possibile ed imminente chiusura degli uffici giudiziari di Ivrea -:
se e come si intenda intervenire per riportare una situazione di normalità negli uffici giudiziari di Ivrea, sia in termini di pianta organica sia come luogo di lavoro, tenuto conto, oltretutto, che per amministrare la giustizia in maniera seria nel nostro Paese bisogna partire, anche, da organici, riqualificazione del personale e adeguatezza delle strutture;
se vi sia qualcosa di vero sulla presunta volontà di arrivare alla chiusura degli uffici giudiziari di Ivrea o se, come si augurano gli operatori di giustizia e i cittadini, questa voce sia del tutto infondata e il Ministero intenda impegnarsi in una riqualificazione degli stessi.
(4-03928)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si comunica che le piante organiche del personale di magistratura degli uffici giudiziari di Ivrea sono state modificate con successivi decreti ministeriali che, apportando complessivamente un ampliamento di 7 posti (di cui 4 per effetto della riforma del giudice unico), testimoniano l'attenzione che questo ministero ha sempre rivolto agli uffici del circondario suddetto.
Anche le modifiche alle dotazioni organiche del personale amministrativo degli uffici di cui sopra risultano apprezzabili, se si tiene conto che, complessivamente, dal 2000 le piante organiche in questione sono state ampliate in ragione di 14 posti.
L'organico del personale di magistratura del tribunale di Ivrea (composto dal Presidente e 10 giudici) presenta un solo posto vacante di giudice, al momento non pubblicato; due sono i giudici onorari di tribunale assegnati all'ufficio in parola, laddove le due unità previste quale dotazione organica onoraria destinata alla sezione stralcio (G.O.A.) risultano entrambe vacanti.
In relazione alla dotazione organica del personale amministrativo si fa presente che nel tribunale di Ivrea, su un organico di 37 unità, le presenze effettive di personale sono pari a 31 unità, comprese le 5 unità a tempo determinato (ex lavoratori socialmente utili). Va peraltro evidenziata presso il Tribunale di Ivrea la presenza in sovrannumero di 3 unità (un centralinista telefonico non vedente B1 il cui ruolo non è previsto in organico e 2 ausiliari A1).
Presso l'ufficio NEP, su 19 unità previste in organico, le presenze effettive sono 13, a seguito della copertura dei 4 posti vacanti di ufficiale giudiziario C1 con altrettante unità vincitrici del concorso a 443 unità complessive (delle quali 66 per il distretto di Torino) di ufficiale giudiziario, posizione economica C1, indetto con P.D.G. 8 novembre 2002 che hanno assunto possesso il 20 dicembre 2004.
Per quanto riguarda la situazione del personale di magistratura presso la locale procura della Repubblica, si rappresenta che dei 3 sostituti procuratori previsti dalla
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dotazione organica (oltre al procuratore della Repubblica) 2 unità sono in uscita e le relative vacanze non sono state ancora oggetto di pubblicazione da parte del CSM. Sono previsti inoltre 3 vice procuratori onorari.
Per quanto riguarda il personale amministrativo, presso la procura della Repubblica è stato disposto, con P.D.G. 6 luglio 2004, il trasferimento di un direttore di cancelleria C3 proveniente dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Torino per la copertura dell'unico posto vacante di tale posizione economica.
Inoltre, con P.D.G. 11 giugno 2004 è stato disposto il pasaggio per mobilità di un operatore giudiziario B2 proveniente da un ente locale. Entrambi i posti sono stati coperti e, pertanto, su un organico di 19 unità, le presenze effettive in tale ufficio sono 13.
Il locale ufficio del giudice di pace presenta la vacanza di un posto di giudice delle 4 unità di cui si compone.
Per quanto riguarda il personale amministrativo del suddetto ufficio, a fronte di 5 unità previste in organico, sono effettivamente presenti 6 unità complessive, considerata la vacanza di 1 unità di cancelliere C2 e compresi 2 dipendenti comunali comandati ai sensi dell'articolo 26, comma 4, della legge n. 468 del 1999.
Per quanto concerne specificamente il personale di magistratura, si ricorda che con legge 13 febbraio 2001, n. 48 è stato disposto l'alimento del ruolo organico del suddetto personale per complessive 1.000 unità.
Occorre preliminarmente ricordare che l'ufficio giudiziario in questione non è stato interessato dalla ripartizione del primo contingente dei 546 posti recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001, realizzata con il decreto ministeriale 23 gennaio 2003 in corrispondenza delle prove scritte del primo dei concorsi per uditore giudiziario banditi ai sensi dell'articolo 18 della medesima legge.
Al riguardo si evidenzia che tale intervento, con il quale sono stati distribuiti 234 dei predetti 546 posti, era rivolto principalmente a soddisfare le esigenze operative nei superiori gradi di giudizio (Corte di cassazione e Corti di appello), interessati da significativi incrementi del rispettivo carico di lavoro, nonché a realizzare l'istituzione delle piante organiche dei magistrati distrettuali.
Per gli uffici di primo grado, si è ritenuto in linea generale di poter procrastinare ai successivi interventi di ripartizione l'attribuzione di nuovi posti in organico, con poche limitate eccezioni, relative in prevalenza agli uffici cui erano state provvisoriamente sottratte unità in organico con il decreto ministeriale 9 aprile 2001 nonché ai tribunali interessati dalla riforma legislativa di cui al decreto legislativo n. 491 del 1999 (cosiddetti tribunali metropolitani).
Successivamente, con decreto ministeriale 7 aprile 2005, si è provveduto a ripartire ulteriori 196 unità dei predetti 546 posti di magistrato recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001.
Per il tribunale di Ivrea, l'analisi statistica condotta non ha tuttavia evidenziato una situazione di criticità tale da rendere necessario procedere nell'immediato ad un ampliamento dell'organico. L'opportunità di un potenziamento della dotazione organica dell'ufficio potrà quindi più opportunamente essere valutata in occasione della predisposizione del III ed i ultimo intervento di ripartizione delle residue 116 unità di magistriato.
Per quanto riguarda, infine, la situazione relativa all'edilizia degli uffici giudiziari, si comunica che gli uffici del tribunale e della procura della Repubblica di Ivrea sono allocati in «Palazzo Giuliana» di proprietà comunale, in Via Patrioti n. 12-26.
L'ufficio del giudice di pace ha invece sede in Corso Massimo d'Azeglio n. 69.
Nel Palazzo di Giustizia di Ivrea sono stati eseguiti alcuni interventi di ristrutturazione.
In data 3 ottobre 1986 questo ministero ha espresso parere favorevole sul progetto di ristrutturazione del suddetto edificio per una spesa (prevista di lire 2.892.452.000 = (euro 1.493.826,79); in data 28 ottobre 1986 è stato concesso il relativo mutuo dalla Cassa depositi e prestiti.
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In data 26 gennaio 1990, questo ministero ha espresso parere favorevole sulla perizia di variante e suppletiva al progetto di ristrutturazione del suddetto edificio, con importo invariato rispetto a quello previsto nel progetto originario.
In data 17 dicembre 1991, il ministero ha approvato una seconda perizia di variante e suppletiva di lire 220.288.000 = (euro 113.769,26) concernente la revisione prezzi e l'aggiornamento I.V.A. e, in data 24 luglio 1992, è stato concesso il relativo mutuo dalla Cassa depositi e prestiti.
Successivamente è pervenuta una richiesta di utilizzo della quota residua del mutuo già concesso, per l'istallazione di un nuovo impianto telefonico negli uffici in Corso Massimo D'Azeglio n. 69 «ex Elea» e, in data 30 gennaio 2002, è stato concesso il nulla osta alla novazione.
Inoltre, l'amministrazione comunale in data 8 maggio 2002 ha trasmesso una relazione per la realizzazione di una nuova sede degli Uffici giudiziari, proponendo il finanziamento dell'opera a carico di soggetti privati, mediante apposita concessione, con diretto rapporto locativo nei confronti di questa amministrazione.
Con nota del 25 luglio 2002 il competente Ufficio ha evidenziato che ai sensi dell'articolo 2 legge n. 392 del 1941 la normativa consente di erogare un contributo ministeriale al Comune per le sole spese sostenute per opere di manutenzione ordinaria e per il canone di locazione.
Pertanto, resta esclusa l'ipotesi che possano essere autorizzati finanziamenti di opere per la nuova sede degli uffici giudiziari a carico di soggetti privati, mediante apposita concessione con diretto rapporto locativo nei confronti di questo ministero.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
BUEMI. - Al Ministro per la funzione pubblica, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel novembre 2002 fu bandito un concorso distrettuale per 443 posti di ufficiale giudiziario, per tale concorso furono presentate oltre 30.000 domande;
nel settembre 2003 furono espletate le due prove scritte e, successivamente, fra febbraio e giugno 2004 vennero ultimate le prove orali;
dalle prove risultarono i 443 vincitori e circa 750 idonei;
fra il mese di luglio e quello di ottobre 2004, il Ministero della giustizia decise per l'assunzione di 248 nuovi ufficiali giudiziari tra i vincitori del bando;
tra i nuovi assunti, 238 furono destinati ai quattro distretti del Nord Italia e gli altri 10 (al posto di altrettanti rinunciatari) per i distretti della Toscana;
a tutto oggi si attende ancora, per tutti gli altri, l'autorizzazione alle assunzioni da parte del Ministero della funzione pubblica ed i successivi decreti di nomina del Ministero della giustizia, nonostante quanto previsto al comma 97 della Legge Finanziaria 2005;
in un incontro avvenuto in data 15 maggio 2005, con il comitato idonei concorso ufficiali giudiziari, il Ministro per la funzione pubblica, ha manifestato l'intenzione da parte del Governo di assumere tutti i restanti vincitori delle regioni del Centro-Sud ed una parte degli idonei entro l'anno, mentre i rimanenti idonei sarebbero assunti entro il biennio successivo;
tale rallentamento nelle assunzioni, nell'incontro di cui sopra, era addebitato alla mancanza di sufficienti finanziamenti;
sul trattamento economico degli ufficiali giudiziari è utile ricordare che:
a) lo stipendio degli stessi è interamente finanziato dai diritti che sono percepiti sugli atti e sulle commissioni inerenti al loro Ufficio e, soltanto nel caso in cui non si raggiunga il minimo garantito dalla legge, lo Stato integra la differenza;
b) nel caso in cui, invece, la quota dei diritti percepiti è superiore all'importo previsto per lo stipendio tabellare e la
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tredicesima mensilità, il 95 per cento dell'eccedenza è versata a favore dell'Erario;
c) da un'indagine effettuata presso numerosi uffici giudiziari risulta che lo stipendio dell'ufficiale giudiziario grava a carico dello Stato nella misura orientativa del 50 per cento circa del totale importo, inoltre tale quota va considerata in misura ancor più ridotta se si tiene conto che in molti uffici non solo lo stipendio non viene integrato, ma vi è il versamento del 95 per cento sopra accennato;
non va dimenticato, inoltre, che molti uffici giudiziari sono talmente carenti di dotazione organica che i Magistrati capi si vedono costretti a rivolgersi a carabinieri e polizia per la notifica degli atti, con ovvia distrazione da altri compiti istituzionali;
infine, a fronte di una continua diminuzione del personale mai reintegrato e all'aumento costante dell'attività giudiziaria, va considerato che, da anni, non vengono più banditi i concorsi per ufficiale giudiziario B3 e operatori B2 che sono un indispensabile supporto all'attività degli ufficiali giudiziari C1 -:
se non si ritenga, alla luce di quanto sopra esposto e viste le necessità di rafforzare e rendere efficiente l'organico degli ufficiali giudiziari, di prevedere entro l'anno 2005, individuando tutti i fondi necessari - che non rappresentano una cifra insostenibile per le casse dello Stato - l'assunzione di tutti i vincitori e gli idonei del concorso in oggetto;
se non si possa, nel caso in cui vi fossero difficoltà ad individuare entro l'anno 2005 i fondi necessari, ipotizzare, nell'attesa, un'assunzione immediata anche per i rimanenti idonei, tramite l'utilizzo del rapporto di lavoro a tempo parziale verticale, coprendo interamente la graduatoria e sempre nel rispetto dei limiti del fondo di spesa previsto dalla legge finanziaria 2005.
(4-15644)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
L'assunzione di parte dei vincitori del concorso distrettuale a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 è stata disposta utilizzando l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 per 154 unità, per altre 94 dall'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003, per un totale di 248 unità.
La scelta dei distretti, per l'assunzione delle 248 unità autorizzate dal Dipartimento della funzione pubblica, è stata effettuata prendendo in considerazione la situazione delle vacanze nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1.
Nei distretti individuati di Torino, Milano-Brescia, Trento-Trieste-Venezia e Genova, la scopertura nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1, era ben superiore al 50 per cento, situazione che si era ulteriormente aggravata all'esito dell'interpello straordinario del 20 gennaio 2004 per i posti vacanti nella citata figura professionale, pubblicato ai sensi dell'articolo 19 dell'accordo sulla mobilità interna del 28 luglio 1998, propedeutico all'assunzione dei vincitori.
Poiché 10 unità, delle 248 neoassunte non hanno preso servizio, per non lasciare inutilizzate le unità autorizzate, si è proceduto con l'assunzione dei primi 10 vincitori del concorso del distretto di Firenze, distretto che presentava la maggiore percentuale di scopertura immediatamente dopo quelli suddetti.
Considerato che la legge 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanziaria 2005) prevede una deroga al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio, nel caso di questa amministrazione, è stata individuata dalla stessa legge finanziaria la priorità dell'immissione in servizio dei vincitori e degli idonei al concorso di cui sopra, sempre nell'ambito delle procedure e nei limiti di autorizzazione all'assunzione.
Si precisa altresì che, a seguito delle disposizioni dettate dal dipartimento della funzione pubblica con circolare dell'11 aprile 2005, è stata predisposta la richiesta di autorizzazione alle assunzioni per l'anno 2005 secondo le modalità di cui all'articolo
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39 comma 3-ter della legge 27 dicembre 1997 n. 449, dando priorità a quanto stabilito dall'articolo 1 comma 97 lettera C) della legge n. 311 del 2004.
Con i P.P.D.G. del 23 settembre e 17 ottobre 2005, a seguito della intervenuta autorizzazione dal dipartimento della funzione pubblica all'assunzione di 350 unità di personale, è stata disposta l'assunzione rispettivamente dei rimanenti 186 vincitori del citato concorso e dei 164 idonei.
Si fa presente, infine, che i vincitori sono stati invitati presso questa amministrazione per la scelta della sede e la firma del contratto il 3 novembre 2005, mentre gli idonei sono stati invitati per gli stessi adempimenti il 4 novembre 2005.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
BUEMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con PD.G. 17 settembre 2002 fu indetto il concorso interno per 500 posti di vice ispettore di polizia penitenziaria;
le relative procedure concorsuali si sono concluse nel mese di giugno 2005 e i posti da assegnare sono saliti a 600, in virtù del decreto del direttore generale del personale e della formazione del 30 maggio 2005;
dalla data di conclusione delle relative prove orali, nonostante notizie informali su un presumibile avvio del relativo corso di formazione entro il prossimo mese di ottobre, nulla è stato ufficialmente comunicato agli interessati sia in merito alla data di inizio dei corsi medesimi, sia per quanto riguarda i criteri di assegnazione alle singole strutture formative;
tale ritardo di comunicazione, non solo sta suscitando le reazioni preoccupate e indignate degli interessati che aspettano dal 2002 che sia loro riconosciuta la nuova figura professionale, ma rischia di creare, se non accuratamente programmato, dei seri problemi alle strutture d'appartenenza del personale in oggetto -:
per quale motivo, dopo oltre tre anni d'attesa, per portare a termine un concorso interno, non viene fornita nessuna informazione ai diretti interessati in merito ai tempi di avvio del relativo corso di formazione;
se non si ritenga opportuno sollecitare i competenti Uffici della Direzione generale del personale e della formazione, affinché si attivino immediatamente per fornire tutte le informazioni necessarie, sui tempi e sui modi, al personale interessato.
(4-16753)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
Il corso di formazione destinato ai vincitori del concorso interno, citato nell'atto di sindacato ispettivo, è attualmente in fase di espletamento presso le Scuole di formazione di Aversa, Cairo Montenotte, Parma, Portici, Roma, Sulmona e Verbania, ove i candidati risultati vincitori sono stati avviati a far data dal 7 novembre 2005.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
BUEMI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con lettera indirizzata a tutte le autorità competenti e ai membri della Commissione giustizia dei due rami del Parlamento, in data 18 novembre 2005, l'organizzazione sindacale OSAPP della polizia penitenziaria denuncia la grave situazione che si sarebbe determinata all'interno dell'Istituto penale per minori di Torino;
in particolare si riferisce che:
a) nell'istituto vi è una grave carenza di personale, con il risultato che nelle sezioni, in cui vi dovrebbero essere da 2 a 4 unità per turno, molto spesso ve ne è una sola, o peggio ancora una sola per due sezioni;
b) per le funzioni di sorveglianza generale, non sarebbe mai impiegata
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un'unità con qualifica di Ufficiale di P.G. (Sovrintendente o Ispettore) e già dopo le ore 15.00 l'intera struttura sarebbe affidata ad un Assistente Capo o, in alcuni casi, ad un Assistente o ad un agente;
c) l'organico dell'istituto, oltre al Comandante, comprende 4 Ispettori e 4 Sovrintendenti che, però, svolgerebbero il loro servizio solo durante il turno di mattina;
d) non vi sarebbe un'equa distribuzione nei turni e nei posti di servizio, così come nella distribuzione dei riposi e dei servizi notturni e a tutto ciò, per chi nelle conferenze di servizio pone il problema, si aggiunge il continuo «richiamo» alla possibilità di procedimenti disciplinari;
e) durante i servizi notturni, per quanto risulta all'interrogante, oltre all'assenza di idonea qualifica di Polizia Penitenziaria, si aggiungerebbe la totale assenza di qualsiasi servizio medico ed infermieristico con le immaginabili conseguenze sulla sicurezza dei minori detenuti;
f) non vi sarebbe personale dell'Area educativa né la mattina, al momento della sveglia dei detenuti, né durante la ricreazione;
g) la distribuzione delle prestazioni straordinarie avverrebbe in maniera del tutto arbitrale e non riferibile ad incombenze operative o alla mancanza di personale in determinati turni o compiti;
risulta inoltre all'interrogante, la mancanza di corrette relazioni sindacali, con il risultato che:
a) è ancora disatteso l'accordo sindacale, sottoscritto dalle parti in data 3 maggio 2005, in cui vi era l'impegno dell'Amministrazione di provvedere all'erogazione dei buoni pasto in favore del personale dipendente sin dal giorno successivo alla stipula dello stesso;
b) malgrado la sottoscrizione, da tempo, del protocollo d'intesa regionale, non si è mai tenuto in tale sede alcun incontro tra le parti;
c) i prospetti dei turni mensili, delle indennità e degli straordinari non vengono consegnati alle Organizzazioni sindacali di categoria;
d) non esiste alcuna programmazione dei turni, né la predisposizione degli stessi entro tempo debito e con cadenza opportuna (neanche ogni quindici giorni), per consentire al personale di organizzare la propria vita al di fuori dell'ambito lavorativo, al contrario i servizi sono continuamente stravolti anche senza preavviso agli interessati -:
1) se non si ritenga opportuno, con atto immediato, predisporre una qualificata ed articolata ispezione all'interno dell'Istituto penale minorile di Torino, per accertare, ed eventualmente sanzionare, le mancanze evidenziate in premessa che paventerebbero una situazione inaccettabile e pericolosa in un Istituto di pena, oltretutto, minorile.
2) se non si ritenga che tale situazione, rispetto alla quale non sono rinviabili i necessari accertamenti, sia gravissima ed intollerabile sia per quanto riguarda le condizioni di lavoro degli Agenti di polizia penitenziaria che per le gravi mancanze esistenti nell'opera di recupero dei detenuti minorenni, che dovrebbe essere la funzione primaria di tali istituti.
(4-19351)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
Le risultanze dell'ispezione ministeriale effettuata lo scorso mese di ottobre hanno posto in evidenza che la situazione dell'istituto per i minorenni «F. Aporti» di Torino non risulta essere cosi critica, come segnalato dall'interrogante.
Difatti, dagli atti ispettivi si evince che il servizio di polizia penitenziaria, organizzato con la suddivisione in tre unità operative, ciascuna coordinata da un ispettore, è gestito con adeguata autonomia operativa.
Va, altresì, considerato che, in linea generale, il completamento dell'organico di polizia penitenziaria da assegnare a tutte le
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strutture minorili non è stato ancora ultimato e, comunque, il citato istituto è stato dotato di ulteriori dieci unità a tempo determinato.
Anche per quel che riguarda il personale educativo, al di là di qualche imprecisione negli ordini di servizio relativi alle attività nelle giornate festive, l'impegno degli operatori sembra in grado di superare le fisiologiche difficoltà di integrazione tra le aree (educativa, di sicurezza e sanitaria).
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
BULGARELLI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il cittadino di nazionalità marocchina Said Zigoui è morto il 12 gennaio 2005, dopo essersi gettato, il 9 gennaio, dal secondo piano dell'ospedale di Lamezia Terme, dove era ricoverato per forti dolori addominali; Said era trattenuto presso il Centro di permanenza temporanea «Malgrado tutto», situato a pochi chilometri da Lamezia, in cui era stato trasferito dal carcere di Frosinone, dove aveva scontato una pena di 5 anni per reati connessi allo spaccio di stupefacenti;
il Cpt «Malgrado tutto» è stato al centro di numerose polemiche e proteste per le dure condizioni in cui i migranti vengono tenuti, tanto che contro di esso è stato presentato un esposto alla Procura, sottoscritto da parlamentari e associazioni, per la mancanza delle garanzie minime ad assicurare il rispetto dei diritti umani; nelle denunce si fa spesso riferimento alla somministrazione coatta di psicofarmaci e al verificarsi di ripetuti atti di autolesionismo; le carenze e le violazioni che sarebbero state perpetrate al Cpt «Malgrado tutto» sono state oggetto anche di una denuncia dell'Arci e di molte altre associazioni che lavorano coi migranti, che ne hanno ripetutamente chiesto la chiusura -:
per quale motivo il signor Said Zigoui è stato trasferito nel Cpt «Malgrado tutto»;
per quale motivo il signor Said Zigoui è stato trasferito nell'ospedale di Lamezia Terme;
se il ministro interrogato disponga di informazioni in merito all'esatta dinamica dei fatti che hanno portato al suicidio del signor Said Zigoui.
(4-12471)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, il ministero dell'interno ha comunicato che il 7 gennaio 2005 il cittadino marocchino Zigoui Said, nato il 30 marzo 1960, ospite del C.P.T. «Malgrado tutto» di Lamezia Terme in esecuzione di un provvedimento del questore di Frosinone del 15 dicembre 2004, accusava forti dolori al fianco destro tali da renderne necessario, a giudizio del medico di turno presso il predetto Centro, l'immediato accompagnamento al locale nosocomio, per più approfonditi accertamenti. Qui i sanitari ne disponevano il ricovero presso il reparto di chirurgia generale per sospetta appendicite.
Come di prassi, le forze dell'ordine predisponevano un servizio di vigilanza generico del reparto interessato.
Il successivo 9 gennaio, il commissariato di Lamezia Terme veniva informato dal personale sanitario dell'ospedale che lo Zigoui era precipitato dal secondo piano della struttura ospedaliera. Data la gravità delle lesioni riportate, l'extracomunitario veniva trasferito, con l'elisoccorso, presso il Policlinico universitario di Messina, reparto di terapia intensiva dove, alle ore 13.45 del 12 gennaio 2005, decedeva.
Relativamente alla somministrazione coatta di psicofarmaci, il citato ministero ha rappresentato che:
nei casi in cui l'extracomunitario dichiari di essere tossicodipendente, previo un accertamento preliminare effettuato all'interno del centro, viene inviato al Servizio per le tossicodipendenze (SERT), dove viene assoggettato a più accurate indagini e, se necessario, sottoposto a terapia da effettuarsi sempre e comunque in quella struttura;
nell'ipotesi che il paziente manifesti problemi di natura psichica, previo un
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accertamento preliminare, viene inviato a visita specialistica presso il reparto di psichiatria presso l'ospedale civile e, se prescritta, viene effettuata terapia, che viene annotata sull'apposita cartella clinica redatta nei confronti di ogni cittadino sottomesso al regime di trattenimento al suo ingresso al centro;
altri farmaci somministrati, per la cura di malattie organiche, sono sempre e comunque registrati.
Il suddetto ministero ha inoltre rappresentato che in passato si sono verificati episodi di autolesionismo posti in essere per poter approfittare della degenza ospedaliera e sottrarsi al regime di trattenimento, ma al 1o novembre 2004 non si sono più registrati nuovi casi.
In relazione al decesso del Said Zigoui, la procura della Repubblica di Lamezia Terme ha iscritto un procedimento penale, per l'ipotesi di reato di cui all'articolo 589 codice penale, nell'ambito del quale è stata disposta autopsia delegando l'atto alla procura di Messina (essendosi verificato il decesso nell'ospedale di quella città).
Dagli esiti della consulenza autoptica è emerso che Said Zigoui non presentava segni clinici o chimico-tossicologici da cui desumere che avesse assunto, in epoca precedente la morte, sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche.
Sebbene l'esito negativo dell'indagine chimico-tossicologica non consenta in assoluto di escludere che Zigoui Saìd non si potesse trovare al momento della caduta sotto effetto di alcool o di sostanze stupefacenti e/o psicotropo, gli specialisti che hanno effettuato l'autopsia hanno osservato che «in mancanza di qualsiasi indizio o di specifici elementi storici, circostanziali o clinici a supporto di tale ipotesi, l'ipotesi stessa è da considerare francamente improbabile». Inoltre, «nel caso in specie l'assenza di sostanze stupefacenti "non modificate" indica che Zigoui Said non può, avere assunto tali sostanze nelle 24 ore precedenti la morte ed il mancato riscontro dei più comuni prodotti di biotrasformazione - se non già completamente eliminati prima del decesso - avvalora l'ipotesi che lo stesso non si trovasse sotto l'effetto di sostanze stupefacenti neanche al momento della precipitazione».
La causa della morte è stata individuata nella precipitazione cefalica avvenuta in data 9 gennaio 2005 intorno alle ore 6.30. Non sono stati rinvenuti segni di azioni lesive antecedenti alla precipitazione e il traumatismo cranico insieme al rilievo di aree infiltrative emorragiche in sede perilare confermano la genesi da caduta.
Tale genesi è del tutto compatibile con la ricostruzione degli eventi effettuata dalla polizia giudiziaria che depone per una caduta accidentale dal balcone, nel probabile tentativo di fuggire dall'ospedale.
È stato segnalato, infatti, che già il mattino precedente lo Zigoui è stato sorpreso vicino all'uscita dell'ospedale con la flebo al braccio e riaccompagnato in camera.
Inoltre dall'escussione di un parente di un ricoverato nella medesima stanza del Zigoui emerge che questi si è allontanato spontaneamente uscendo sul balcone della propria camera e non facendovi più ritorno. Il sopralluogo effettuato nell'immediatezza confermava che la caduta è avvenuta in corrispondenza del balcone della stanza in cui era ricoverato.
La citata procura ha pertanto ritenuto che il decesso dello Zigoui Said non sia ascrivibile a condotta umana, né commissiva nè omissiva, ma sia stato causato da un evento accidentale (caduta involontaria dal balcone durante una manovra di allontanamento) ovvero suicidario.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
BULGARELLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
Adriano Ascoli è stato arrestato all'inizio di giugno 2005 come presunto fiancheggiatore delle «nuove» Brigate Rosse; attualmente è in carcerazione «preventiva» in attesa che le indagini preliminari si concludano;
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fin dal momento del suo arresto, Adriano Ascoli ha espresso pubblicamente e con chiarezza la sua posizione politica, lontanissima da quella delle Brigate Rosse, e ha effettuato uno sciopero della fame chiedendo di non essere trasferito in un carcere di massima sicurezza né allontanato dalla sua città e dalla sua famiglia; durante lo sciopero ha avuto molte manifestazioni di stima e sostegno e circa 700 persone hanno firmato appelli in suo favore; lo sciopero è terminato al decimo giorno, quando è arrivato il nullaosta dei PM e del GIP della Procura di Roma alla permanenza di Adriano Ascoli nel carcere Don Bosco di Pisa, dove è rimasto fino al 6 luglio;
qui l'Ascoli era sottoposto al regime di isolamento, essendo classificato con indice EIV (Elevato Indice di Sorveglianza), ma, sebbene non potesse avere occasioni di incontro con altri detenuti o frequentare la biblioteca o essere coinvolto nelle attività degli educatori, aveva comunque il diritto di incontrare l'avvocato quando ne aveva necessità e poteva inviare telegrammi o fax; inoltre i rapporti col personale del carcere erano improntati a correttezza e rispetto verso il detenuto;
l'indice di pericolosità è assegnato dal DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero), sulle base delle ipotesi di reato formulate nell'ordinanza di custodia cautelare; tuttavia c'è un largo margine di arbitrarietà o quantomeno di variabilità nel trattamento corrispondente allo stesso indice, che diventa evidente passando da un carcere all'altro;
il 6 luglio Adriano Ascoli è stato trasferito al carcere Poggioreale di Napoli, la notte prima, cioè, che avesse luogo il ricorso al Tribunale del Riesame (che per altro ha avuto esito negativo); Poggioreale non è un carcere speciale e anche lì l'indice EIV comporta isolamento;
a Poggioreale l'Ascoli è ristretto nel padiglione Venezia, dove il trattamento subito corrisponde ad un indice di pericolosità più alto del suo EIV; ciò comporta, ad esempio, stare isolati in cella tutto il giorno tranne un breve periodo di permanenza all'aria, trascorso in un angusto cortile - all'incirca 10x11 metri - coperto da una grata che impedisce di vedere il cielo e munito di alte mura; dopo qualche giorno di permanenza a Poggioreale, Adriano Ascoli ha iniziato lo «sciopero dell'aria»;
secondo numerosissime testimonianze dirette, alcune delle quali raccolte dallo stesso interrogante in occasione di altre interrogazioni presentate, i diritti dei detenuti nel carcere di Poggioreale sono spesso non tutelati: particolarmente difficoltoso è il compito dell'avvocato difensore, che ha a disposizione soltanto 20 minuti per il colloquio con il suo assistito, e la corrispondenza (telegrammi e fax) tra avvocato e detenuto non gode di nessuna forma di riservatezza, quando non viene, di fatto impedita; un telegramma indirizzato dall'Ascoli al suo avvocato non è stato, ad esempio, spedito per «superamento della spesa ammessa», nonostante sul conto corrente del detenuto fossero stati depositati soldi (considerati però non «attivi», attribuiti, cioè, alla settimana successiva);
secondo l'interrogante la sorveglianza, inoltre, e contemporaneamente vessatoria e irresponsabile per quanto, infatti risulta all'interrogante, lo spioncino viene chiuso ermeticamente dalle 11 di sera fino alla mattina, e se il detenuto ha un malore non c'è modo di poter chiamare i soccorsi; la notte, inoltre, il personale del carcere non effettua alcun controllo;
una serie di regole sembrano studiate, secondo l'interrogante, per stremare le famiglie: per esempio si possono lasciare fino a 100 euro una volta la settimana, somma che ovviamente non basta per i bisogni di un mese, così che i familiari devono sobbarcarsi viaggi spesso lunghi e costosi anche in assenza di colloqui; si possono effettuare bonifici, ma diventano attivi solo dopo 20 giorni;
questa situazione è particolarmente onerosa per i genitori di Adriano Ascoli, entrambi prossimi ai 70 anni; il padre,
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inoltre, è cardiopatico e portatore di tre by-pass; a essere pregiudicato è inoltre il rapporto dell'Ascoli con la figlia di soli 3 anni e mezzo, che a causa della lontananza non può incontrare con la frequenza che vorrebbe -:
perché Adriano Ascoli, per il quale il Pubblico Ministero e il Gip avevano dato il nulla osta per la permanenza nel carcere di Pisa, sia stato improvvisamente trasferito per via amministrativa, nella notte del 6 giugno, nel carcere di Poggioreale, poche ore prima del pronunciamento del Tribunale del Riesame.
(4-16184)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che il signor Adriano Ascoli si trova attualmente ristretto presso la case circondonale di Napoli Poggioreale in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso il tribunale di Roma per il reato di associazione eversiva e banda armata, trattandosi di presunto appartenente al gruppo denominato «brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente». In considerazione della particolarità dei reati ascritti e della pericolosità sociale, il soggetto è stato inserito nel circuito penitenziario denominato ad elevato indice di vigilanza (EIV).
In data 6 luglio 2005, il detenuto veniva trasferito dalla case circondonale di Pisa alla attuale sede partenopea, in quanto nella regione Toscana non vi erano posti disponibili presso l'unico Istituto dotato di sezione idonea al contenimento di detenuti aventi analoga classificazione. Posto quanto precede, la case circondonale di Poggioreale è risultata essere la sede penitenziaria, dotata di sezione EIV (Elevato Indice Vigilanza), più vicina alla residenza dei familiari del ristretto, nonché la migliore allocazione in ordine alle esigenze processuali.
Da ultimo si precisa che l'inserimento di un detenuto nel circuito penitenziario in questione non comporta alcun deficit sul piano trattamentale o in relazione a qualsivoglia ulteriore opportunità, ma solo una maggiore attenzione custodiale connessa alla pericolosità dei soggetti così come denotata in ragione della tipologia dei reati ascritti.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
CHIAROMONTE. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 3 agosto 2005, il Consiglio dei Ministri ha approvato con Decreto del Presidente della Repubblica, l'assunzione dei rimanenti 188 vincitori del Concorso per ufficiale giudiziario per i distretti della Corte d'appello del Sud Italia;
la procura di Napoli versa in uno stato di carenza di organico per cui tutte le competenze in materia di notifica degli atti d'indagine e del dibattimento penale sono di competenza degli ufficiali giudiziari;
gli ufficiali giudiziari che prestano il loro servizio presso la Procura di Napoli, sono appena 109, nonostante la mole di lavoro che la Procura di Napoli, in un territorio che notoriamente soffre la presenza di criminalità organizzata e microcriminalità diffusa, fronteggia -:
se corrisponda al vero che si vogliono destinare le assunzioni di ufficiali giudiziari approvate in sede di Consiglio dei ministri del 3 agosto 2005, ai soli distretti di Corte d'appello del Nord e come conseguentemente il Ministro intenda garantire il regolare svolgimento dei processi nella sede della Procura di Napoli, che ha necessità di ampliare il proprio organico di ufficiali giudiziari per far fronte all'elevata mole di lavoro.
(4-17195)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
Per quanto riguarda l'assunzione di parte dei vincitori del concorso distrettuale a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 si comunica che sono stati assunti tutti i vincitori e 164 idonei.
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Infatti, per quanto concerne la prima parte di assunzioni si è utilizzata l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004, per 154 unità mentre, per altre 94 unità si è utilizzata l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003, per un totale di 248 unità.
La scelta dei distretti, per l'assunzione delle 248 unità autorizzate dal dipartimento della funzione pubblica, è stata effettuata prendendo in considerazione la situazione delle vacanze nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1.
Nei distretti individuati di Torino, Milano-Brescia, Trento-Trieste-Venezia e Genova, la scopertura nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1, era ben superiore al 50 per cento detta situazione si era ulteriormente aggravata all'esito dell'interpello straordinario del 20 gennaio 2004, per i posti vacanti nella citata figura professionale, pubblicato ai sensi dell'articolo 19 dell'accordo sulla mobilità interna del 28 luglio 1998, propedeutico all'assunzione dei vincitori.
Poiché 10 unità delle 248 neoassunte non hanno preso servizio, per non lasciare inutilizzate le unità autorizzate si è proceduto con l'assunzione dei primi 10 vincitori del concorso del distretto di Firenze, che presentava la maggiore percentuale di scopertura dopo i distretti in precedenza indicati.
Considerato che la legge 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanziaria 2005) prevede una deroga al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio, nel caso di questa amministrazione, è stata individuata dalla stessa legge finanziaria la priorità dell'immissione in servizio dei vincitori e degli idonei al concorso di cui sopra, sempre nell'ambito delle procedure e nei limiti di autorizzazione all'assunzione.
Si precisa altresì che, a seguito delle disposizioni dettate dal dipartimento della funzione pubblica con circolare dell'11 aprile 2005, è stata predisposta la richiesta di autorizzazione alle assunzioni per l'anno 2005 secondo le modalità di cui all'articolo 39 comma 3-ter della legge 27 dicembre 1997 n. 449, dando priorità a quanto stabilito dall'articolo 1 comma 97 lettera C) della legge n. 311 del 2004.
Per quanto concerne l'assunzione dei rimanenti 186 vincitori e dei 164 idonei si è appena concluso l'iter di assegnazione delle sedi.
Infatti, la competente direzione generale con provvedimenti del 23 settembre e del 17 ottobre 2005, a seguito della intervenuta autorizzazione dal dipattimento della funzione pubblica all'assunzione di 350 unità di personale, ha disposto l'assunzione rispettivamente dei rimanenti 186 vincitori del citato concorso e di 164 idonei.
Pertanto le suddette unità sono state invitate a sottoscrivere il contratto individuale ed a scegliere la sede e l'ufficio, rispettivamente in data 3 e 4 novembre 2005 e, così come stabilito nel contratto, hanno assunto servizio in data 14 e 15 novembre 2005.
Poichè 23 unità, tra vincitori ed idonei, non si sono presentate per sottoscrivere il contratto e, ad oggi, risulta il mancato possesso di 9 unità nelle date sopra indicate, questa amministrazione procederà entro il corrente anno ad assumere altrettante unità, inserite nelle rispettive graduatorie distrettuali.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
CIRIELLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da tempo, presso il tribunale di Salerno, così come si evince dagli articoli dei quotidiani in allegato, si registrano preoccupanti disfunzioni di ordine logistico che hanno determinato un notevole rallentamento dell'attività della giustizia e dell'avvocatura in tutto il circondario;
il Ministero della giustizia ha disposto l'aumento dell'organico di una sola unità, peraltro destinata al tribunale dei minori di Salerno, decisione determinata dal decremento delle sopravvenienze civili e penali. Tale decremento sarebbe ascrivibile, secondo quanto espressamente indicato nell'estratto dal registro dei verbali
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delle deliberazioni del consiglio dell'ordine degli avvocati di Salerno, allegato alla presente, al pessimo funzionamento dell'organizzazione giudiziaria;
il consiglio dell'ordine degli avvocati di Salerno, così come si evince dal verbale allegato, giudica non più accettabile il progressivo trasferimento di personale, nell'ambito del tribunale di Salerno, dal settore civile a quello penale senza prevedere alcuna sostituzione;
la situazione logistica degli uffici giudiziari del tribunale di Salerno, sarebbe quanto mai approssimativa e indecorosa: sono molti gli avvocati che sarebbero stati costretti a svolgere la loro attività nel cortile del tribunale;
secondo quanto indicato nell'allegato verbale del consiglio dell'ordine degli avvocati di Salerno e secondo quanto si evince dagli articoli allegati, il personale di cancelleria del tribunale di Salerno, attualmente, svolgerebbe il proprio incarico di lavoro seguendo orari ridotti e causando notevoli disservizi, proprio in conseguenza della mancata disponibilità di spazi adeguati per lavorare;
i cittadini salernitani sono le vittime di questa grave situazione e subiscono ingenti danni in quanto chiaramente impossibilitati ad usufruire del servizio giustizia;
così come si evince dall'estratto dal registro dei verbali delle deliberazioni del consiglio dell'ordine degli avvocati di Salerno, è stata indetta, dallo stesso consiglio dell'ordine, una prima giornata di astensione completa dalle attività in tutti gli uffici giudiziari del circondario con lo scopo di dare a tutti un forte segnale di protesta -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative di propria competenza intende adottare.
(4-13827)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in argomento si comunica quanto segue.
La consistenza del personale amministrativo presente nel tribunale di Salerno è di 216 unità a fronte delle 224 previste in organico, di cui due dipendenti a tempo determinato (ex lavoratori socialmente utili), 12 unità comandate da altre amministrazioni e 11 impiegati in soprannumero - 9 operatori giudiziari B1, un ausiliario B1 e un ausiliario A1.
Prestano, inoltre, servizio 5 dipendenti distaccati da altri uffici che compensano le 3 unità, attualmente distaccate in altri uffici.
Il circondario di Salerno comprende 5 sezioni distaccate e ciascuna di esse è dotata di una propria consistenza organica.
La sezione di Amalfi prevede 7 unità ove sono presenti 6 impiegati, considerato un ausiliario A1 in soprannumero; nel locale ufficio notifiche esecuzioni protesti su 4 unità previste ne sono presenti 3.
La sezione di Cava dei Tirreni a fronte di 6 unità di personale amministrativo, conta 6 dipendenti presenti, considerato un ausiliario A1 in soprannumero; l'organico del locale ufficio notifiche esecuzioni protesti ha una prevede 7 unità, di cui ne sono presenti 6.
Nella sezione di Eboli su 19 dipendenti previsti ne sono presenti 22, tenuto conto di 2 unità comandate da un'altra amministrazione e 5 dipendenti in soprannumero - 3 cancellieri B3 e 2 ausiliari A1 -; il locale Ufficio notifiche esecuzioni protesti ha una dotazione di 19 unità e sono presenti 15 dipendenti, considerato un ufficiale giudiziario B3 in soprannumero. Uno dei 2 posti vacanti di ufficiale giudiziario C1, potrà essere coperto da un dipendente che ne ha fatto domanda, a seguito dell'interpello del 20 gennaio 2004.
La sezione di Mercato San Severino prevede 5 unità, di cui sono presenti 3; l'organico dell'ufficio notifiche esecuzioni protesti è di 6 unità, di cui ne sono presenti 5.
Nella sezione di Montecorvino Rovella sono in servizio 6 dipendenti su altrettanti previsti in organico, considerato un ausiliario A1 in soprannumero; anche nel locale ufficio notifiche esecuzioni protesti su 5 dipendenti previsti sono in servizio 5 impiegati;
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considerato un ufficiale giudiziario B3 in soprannumero.
Va precisato che, per quanto riguarda gli uffici notifiche esecuzioni protesti, risultano scoperti gli organici di ufficiale giudiziario C2, posizione economica introdotta in funzione delle procedure di riqualificazione.
La sospensione della riqualificazione da oltre quattro anni, a seguito delle numerose decisioni dei giudici ordinari e del lavoro, non ha ancora consentito la copertura dei posti istituiti o aumentati in funzione di esse.
Per quanto riguarda la situazione dell'edilizia giudiziaria di Salerno si rappresenta che gli uffici giudiziari sono distribuiti in 12 diverse sedi e tale situazione di frammentazione di per sè negativa viene aggravata dallo stato di manutenzione oltremodo carente.
Va comunque precisato che, ai sensi della legge n. 392 del 1941, rientra nelle competenze del comune reperire locali idonei e rispondenti alla normativa vigente per l'esercizio dell'attività giudiziaria.
Questa amministrazione ha più volte sollecitato il comune a predispone un piano unitario di tutte le esigenze strutturali degli uffici giudiziari per fissare le priorità ed evitare il dispendio di risorse economiche.
La competente direzione generale ha, peraltro, destinato molte risorse economiche - solo per la costruzione della nuova cittadella della giustizia (in corso di realizzazione) sono state stanziate 140.700.000.000 di lire (euro 72.665.485,70) e per l'edificio sito in via Rafasia 14.280.000.000 di lire (euro 7.375.004,51) - per la costruzione, ristrutturazione e manutenzione delle varie sedi e per l'adeguamento, delle stesse alla legge n. 626 del 1994, con finanziamenti previsti dalla legge n. 119 del 1981, le successive modifiche.
In merito alla situazione dell'edificio denominato «Vicinanza» ubicato in corso Garibaldi, si precisa che il suddetto immobile è di proprietà comunale ed è adiacente al Palazzo di Giustizia, in esso sono ubicati gli uffici del tribunale civile e una scuola elementare.
Di fronte alla necessità di reperire ulteriori locali da destinare all'attività giudiziaria e, quindi, di occupare ulteriori 3000 metri quadrati del palazzo vi è stata una seria opposizione dell'opinione pubblica locale. Pertanto, tali spazi hanno conservato la destinazione a scuola elementare.
Il comune ha deliberato per l'immobile «Vicinanza» diversi interventi di ristrutturazione straordinaria.
A seguito delle prove di carico strutturale effettuate dagli uffici tecnici del comune di Salerno nell'edificio «Vicinanza» è stata riscontrata una situazione «preoccupante» che ha reso necessarie ulteriori indagini per decidere gli interventi necessari, al fine di rendere sicuri i due piani di calpestio.
Sono state eseguite due relazioni sullo stato dei materiali a seguito delle quali la Commissione di manutenzione ha deliberato l'istituzione di una apposita Commissione di valutazione tecnica, composta da due tecnici dell'università di Salerno, da un tecnico rappresentante del comune e da un tecnico del ministero della giustizia, per la verifica dei solai.
La Commissione di valutazione il 12 febbraio 2005, ha depositato una relazione con la quale ha concluso «di poter rimuovere ogni riserva in ordine all'agibilità ed utilizzabilità dei locali dell'edificio Vicinanza, per la parte ispezionata e verificata attinente le zone occupate dagli uffici giudiziari».
La Corte di appello di Salerno, con nota del 22 aprile 2005, ha riferito che i lavori di ristrutturazione straordinaria dell'istituto Vicinanza nella parte occupata dal tribunale sarebbero iniziati nel luglio 2005.
I lavori di manutenzione straordinaria dell'edificio Vicinanza sono regolarmente iniziati ma sono state segnalate delle difficoltà per la sistemazione dei fascicoli e lo smistamento dei documenti.
Tali inconvenienti hanno determinato la sospensione delle udienze dal 26 settembre 2005, al 15 ottobre 2005, in quanto le operazioni di supporto affidate dal comune di Salerno alla società «Salerno pulita» hanno avuto tempi rallentati, a causa del venir meno dei numero di personale operaio
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necessario per le operazioni di sistemazione dei suddetti atti.
Il presidente del tribunale, con nota del 16 novembre 2005, ha comunicato che nel periodo di sospensione delle udienze è stato istituito un presidio di cancelleria per il deposito degli atti urgenti e che il giorno 7 novembre, completati i lavori di manutenzione straordinaria, sono riprese integralmente le attività giudiziarie nell'edificio Vicinanza.
L'esito dei lavori ha permesso una razionale utilizzazione degli spazi, tanto da consentire di ricavare lo spazio per la sezione stralcio e di disporre per ogni giudice, diversamente da quanto avveniva in passato, di una stanza da adibire a studio e alla celebrazione delle udienze.
Gli uffici di immediato contatto con il pubblico, quali quello del ruolo generale, sono stati ubicati al piano terra dell'edificio Vicinanza con accesso dell'utenza che viene regolato da appositi numeratori.
Per quanto riguarda la distribuzione dei locali tra i diversi uffici giudiziari, si precisa che questa amministrazione centrale non può disporre in merito alla assegnazione dei locali esistenti a livello periferico, in quanto la gestione degli spazi e la razionale utilizzazione delle risorse strumentali è delegata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 187 del 4 maggio 1998, alla competente Commissione di manutenzione, composta da personale di magistratura, di cancelleria e dal rappresentante dei Foro.
La ripartizione del personale amministrativo, invece, rientra nelle competenze del Capo dell'ufficio, il quale dispone, con ordine di servizio, l'assegnazione del personale nelle varie sezioni dell'ufficio giudiziario.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
CIRIELLI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel novembre dell'anno 2002 è stato bandito un concorso distrettuale per 443 posti di ufficiale giudiziario; nel settembre dell'anno 2003 sono state espletate le due prove scritte mentre tra febbraio e giugno dell'anno 2004 si sono ultimate le prove orali;
successivamente all'espletamento integrale del concorso sono risultati 443 vincitori e 750 idonei;
nell'anno 2004 sono stati assunti 248 vincitori di concorso;
pare che ad ottobre il ministero della giustizia abbia deciso di assumere i 248 vincitori di concorso solo in quattro distretti del Nord Italia e precisamente in Lombardia, in Liguria, in Piemonte ed in Veneto;
il Ministro della funzione pubblica, nel corso di un incontro tenutosi con l'Associazione C.I.C.U.G. (Comitato idonei concorso ufficiali giudiziari), in data 19 maggio 2005, pare che abbia manifestato l'intenzione del Governo di assumere tutti i restanti vincitori delle regioni del centro-sud ed una parte degli idonei entro l'anno 2005 mentre i restanti idonei sarebbero stati assunti nel biennio successivo;
il Sottosegretario di Stato al ministero della giustizia, onorevole Vitali, nel corso di un successivo incontro, tenutosi in data 27 giugno 2005, avrebbe assicurato l'assunzione dei vincitori ed una parte degli idonei entro il 2005 ed i restanti idonei entro il 2006;
in data 27 luglio 2005, la Camera dei deputati, nel corso della seduta pubblica n. 663, ha sottoposto al Governo un ordine del giorno (n. 9/6016/11) con cui impegnava il Governo a reperire le risorse necessarie all'assunzione integrale dei vincitori e degli idonei al concorso a 443 posti di ufficiali giudiziari C1;
in data 3 agosto 2005, il Consiglio dei ministri ha autorizzato l'assunzione di 350 ufficiali giudiziari C1, coprendo in questo modo il numero di 185 vincitori e 165 idonei -:
quali iniziative di propria competenza intenda adottare affinché siano eliminate le eventuali discrepanze rappresentate
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in premessa e affinché siano assunti tutti i restanti 588 idonei al concorso, così come da impegni assunti ufficialmente dal Governo.
(4-17136)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
L'assunzione di parte dei vincitori del concorso distrettuale a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 è stata disposta utilizzando l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004, per 154 unità, per altre 94 dall'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003, per un totale di 248 unità.
La scelta dei distretti, per l'assunzione delle 248 unità autorizzate dal dipartimento della funzione pubblica, è stata effettuata prendendo in considerazione la situazione delle vacanze nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1.
Nei distretti individuati di Torino, Milano-Brescia, Trento-Trieste-Venezia e Genova, la scopertura nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1, era ben superiore al 50 per cento, situazione che si era ulteriormente aggravata all'esito dell'interpello straordinario del 20 gennaio 2004, per i posti vacanti nella citata figura professionale, pubblicato ai sensi dell'articolo 19 dell'accordo sulla mobilità interna del 28 luglio 1998, propedeutico all'assunzione dei vincitori.
Poiché 10 unità delle 248 neoassunte non hanno preso servizio, per non lasciare inutilizzate le unità autorizzate, si è proceduto con l'assunzione dei primi 10 vincitori del concorso del distretto di Firenze, distretto che presentava la maggiore percentuale di scopertura immediatamente dopo quelli suddetti.
Considerato che la legge 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanziaria 2005) prevede una deroga al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio, nel caso di questa amministrazione, è stata individuata dalla stessa legge finanziaria la priorità dell'immissione in servizio dei vincitori e degli idonei al concorso di cui sopra, sempre nell'ambito delle procedure e nei limiti di autorizzazione all'assunzione.
Si precisa altresì che, a seguito delle disposizioni dettate dal dipartimento della funzione pubblica con circolare dell'11 aprile 2005, è stata predisposta la richiesta di autorizzazione alle assunzioni per l'anno 2005 secondo le modalità di cui all'articolo 39 comma 3-ter della legge 27 dicembre 1997 n. 449, dando priorità a quanto stabilito dall'articolo 1 comma 97 lettera C) della legge n. 311 del 2004.
Con i PPDG del 23 settembre e 17 ottobre 2005, a seguito della intervenuta autorizzazione dal dipartimento della funzione pubblica all'assunzione di 350 unità di personale, è stata disposta l'assunzione rispettivamente dei rimanenti 186 vincitori del citato concorso e dei 164 idonei.
Si fa presente, infine, che i vincitori sono stati invitati presso questa amministrazione per la scelta della sede e la firma del contratto il 3 novembre 2005, mentre gli idonei sono stati invitati per gli stessi adempimenti il 4 novembre 2005.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
COLASIO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo) è una nuova istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, un nuovo museo nazionale che fa riferimento alla DARC (Direzione Generale per l'architettura e l'arte contemporanea). A poche centinaia di metri dall'Auditorium di Roma dovrebbe prendere forma questo cantiere di sperimentazione e innovazione;
il MAXXI (ex Centro nazionale per la documentazione delle arti contemporanee) è stato istituito dalla legge n. 237 del 1999 chiamata anche legge Veltroni che stanziava una cifra pari a circa 80 miliardi di euro (all'epoca 110.000 miliardi di lire) per la realizzazione di questo Museo ricavato dalle ex Caserme Montello a Roma;
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nel 2002 c'è stata l'aggiudicazione dei lavori, tramite gara d'appalto vinta da una ATI (Associazione Temporanea di Imprese);
nello stesso anno un provvedimento dell'allora Ministro Tremonti ha tagliato in maniera cospicua i finanziamenti già appaltati;
il cantiere e i lavori del MAXXI sono iniziati nel 2003, esattamente il 20 marzo e per dicembre 2007 è prevista per la fine lavori con apertura al pubblico nel 2008;
costo complesso dell'opera circa 80 milioni di euro, i lavori eseguiti in cantiere per oltre il 30 per cento del costo dell'opera;
attualmente i lavori eseguiti corrispondono a quasi il 50 per cento dell'intera struttura e il costo per tali lavori corrisponde al 30 per cento del costo dell'intera opera che è in carico, come tutte le opere pubbliche, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
la legge finanziaria per il 2006 non prevede stanziamenti per questo cantiere -:
quali iniziative si intendano adottare in merito a quanto descritto in premessa dato che tale opera rischia di diventare una delle tante opere pubbliche lasciate incompiute, con la possibilità di non riuscire neanche a coprire finanziariamente i costi sino ad ora sostenuti, con la differenza che essendo un cantiere altamente tecnologico e molto pubblicizzato sulle principali riviste del mondo, non solo di architettura, l'eco di questo fallimento verrebbe amplificato a livello internazionale.
(4-19350)
Risposta. - Il cantiere del MAXXI (Centro nazionale per la documentazione delle arti contemporanee), iniziato nel 2003, sta procedendo nella esecuzione dell'opera che, allo stato, è al 35 per cento di realizzazione effettiva.
La necessità di un flusso costante di fondi, ai fini della buono, riuscita della sua realizzazione, è stata più volte evidenziata da questo ministero e dal ministero delle infrastrutture - quest'ultimo, destinatario delle risorse attribuite dalla legge istitutiva e di finanziamento n. 237 del 1999 - i quali hanno, tra l'altro, reperito risorse anche sui propri capitoli di spesa, per non interrompere l'attività del cantiere.
Questo ministero è comunque fortemente impegnato a sostenere l'ultimazione degli interventi previsti; è il caso di rammentare, da ultimo, la previsione normativa inserita nel decreto-legge n. 68 del 6 marzo 2006, convertito in legge il 14 marzo 2006, che ha previsto l'assegnazione, per l'anno 2006, di dieci milioni di euro per la prosecuzione dei lavori dell'edificio.
Per quanto concerne lo sviluppo del cantiere e la possibilità di garantire i tempi del completamento del museo, nel sottolineare che i finanziamenti fanno capo al ministero delle infrastrutture e dei trasporti, questo ministero, consapevole della rilevante importanza che il museo riveste per la città, auspica che possano essere assicurati in modo continuativo gli opportuni finanziamenti necessari al completamento dell'opera.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Nicola Bono.
COSSA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 23 dicembre 1985, a Cagliari, nel corso di un tentativo di rapina, venne ucciso il signor Giovanni Battista Pinna, titolare di un super market;
dopo pochi giorni, venne arrestato con l'accusa di omicidio a scopo di rapina, il signor Aldo Scardella, cagliaritano, di 24 anni;
dopo l'arresto, l'imputato venne condotto nel carcere di Oristano senza che, a quanto risulta all'interrogante, gli fosse data la possibilità di comunicare ai congiunti l'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti, né del luogo della sua detenzione, in violazione a quanto previsto dalla legge, e fu posto in isolamento;
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dopo quattro mesi, ed esattamente il 24 aprile 1986 il signor Scardella fu trasferito nel carcere cagliaritano di Buoncammino, e fu mantenuto in regime di isolamento;
per lungo tempo non ebbe la possibilità di incontrare i propri parenti (dei quattro incontri avuti con loro il primo risale al 10 aprile 1986, ben tre mesi dopo l'arresto);
non ebbe mai la possibilità di incontrare il proprio difensore;
dopo ulteriori due mesi, ed esattamente il 2 luglio 1986, Aldo Scardella, senza aver mai avuto la possibilità di incontrare il proprio difensore, fu trovato impiccato nella sua cella nel carcere di Buoncammino;
le indagini condotte sul caso condussero a ritenere la morte del signor Scardella dovuta a suicidio;
dopo dieci anni, nel 1996, in seguito alle indagini sul tentativo di rapina sfociato in omicidio sono state processate e condannate con sentenza passata in giudicato nel 2002 due persone (Walter Camba e Adriano Peddio) ed emerse, nel corso del processo ed in maniera inequivocabile, la totale estraneità di Aldo Scardella alla rapina, all'omicidio ed a qualunque altro reato ascrittogli;
la famiglia di Aldo Scardella sostiene che - dopo che con varie iniziative, si è rivolta all'autorità giudiziaria senza però riuscire ad ottenere informazioni soddisfacenti - vi sarebbero, in realtà, aspetti poco chiari nell'ambito della vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto il loro familiare;
un elemento di particolare rilievo evidenziato dalla famiglia è il fatto che l'autopsia disposta dalla magistratura avrebbe evidenziato una palese incongruenza: sarebbero state infatti rilevate tracce di metadone nel corpo dello Scardella, nonostante le stesse cartelle cliniche del carcere non prevedessero nei suoi confronti alcuna terapia a base di stupefacenti in generale e metadone in particolare;
risulta inoltre che, alcuni anni dopo il suicidio, un'altra persona, detenuta negli stessi giorni in una cella vicina a quella nella quale si suicidò il signor Aldo Scardella - avrebbe riferito alla Magistratura di essersi accordato con lui per simulare un suicidio, al preciso fine di indurre l'autorità di vigilanza all'assegnazione di un piantone che, in qualche modo, alleviasse l'alienante condizione di isolamento;
proprio in considerazione delle tante situazioni poco chiare che sono presenti nella vicenda giudiziaria, la famiglia Scardella, oltre a nutrire forti dubbi rispetto alla volontarietà del suicidio del loro familiare, ritiene che vi siano state una serie di circostanze che avrebbero minato la resistenza psicologica di Aldo Scardella, inducendolo quindi all'atto autolesionistico che ne ha determinato la morte;
le pretese di chiarezza della famiglia sono ancor più giustificate dal fatto che le vicende hanno riguardato un innocente ed è quindi da escludere che il suicidio possa essere causato da sensi di colpevolezza in ordine ai capi di imputazione -:
quali siano le informazioni a disposizione del Ministro sulla vicenda del signor Aldo Scardella esposta in premessa;
quali siano i motivi per i quali ai familiari di Aldo Scardella non è stata per lungo tempo data la possibilità, dopo l'arresto, non solo di avere colloqui con il loro congiunto, ma anche di conoscere il luogo ove fosse detenuto;
quali siano i motivi per i quali al difensore di Aldo Scardella non è stata data la possibilità, dopo l'arresto, di avere colloqui con il proprio assistito;
se non ritenga necessario e urgente assumere idonee iniziative per fare la dovuta chiarezza sulla grave vicenda giudiziaria di Aldo Scardella promuovendo una inchiesta amministrativa presso il carcere in cui è avvenuto il suicidio di cui in
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premessa per accertare i fatti e le circostanze che hanno indotto il giovane al suicidio.
(4-18352)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al decesso del detenuto Aldo Scardella, si comunica che dalla relazione ispettiva, a suo tempo predisposta, risulta, fra l'altro, che lo Scardella durante la detenzione non ha mai manifestato gravi stati depressivi, se non in una circostanza mentre era ristretto nella casa circondariale di Oristano, dove gli fu riscontrata una lieve forma di nevrosi d'ansia.
Il suicidio è avvenuto per impiccagione verso le ore 15.00 del 2 luglio 1986, poco dopo il rientro dei detenuti dal passeggio pomeridiano.
Lo Scardella fu tra i primi detenuti a rientrare dal passeggio e si avvalse di una striscia di lenzuolo legata a forma di cappio alle inferriate della finestra della cella.
Nella relazione ispettiva si dà atto che nell'evento del suicidio sono escluse in maniera inequivocabile responsabilità di ordine amministrativo o disciplinare.
Nella cella fu rinvenuto un foglio autografo dove lo Scardella diceva ai suoi familiari «vi chiedo perdono, se mi trovo in questa situazione lo devo solo a me stesso. Ho deciso di farla finita perdonatemi per i guai che ho causato. Muoio innocente. Ai miei familiari. Aldo».
Per far completa chiarezza sulla vicenda, si ricorda che nei confronti dello Scardella, indagato, tra l'altro, per l'omicidio di Giovanni Battista Pinna, la procura di Cagliari ebbe ad emettere ordine di cattura, in data 29 dicembre 1985, in seguito confermato dal tribunale del riesame. Nel corso dell'istruttoria sommaria il pubblico ministero esaminò circa 140 testimoni e sentì l'indagato i giorni 7, 13, 22 e 28 gennaio nonché i giorni 3 e 7 febbraio del 1986. Proseguita l'istruzione del procedimento con rito formale, il giudice incaricato (diverso dal precedente) emise altro mandato di cattura, del pari confermato dal tribunale del riesame.
Successivamente al decesso dello Scardella i familiari del medesimo presentarono denuncia nei confronti dei magistrati inquirenti ed il relativo procedimento, aperto dalla procura della Repubblica di Roma ed all'esito del quale non è stato ravvisato alcun elemento significativo che potesse deporre per una qualche responsabilità dei magistrati predetti, fu archiviato. Su tali basi questo ministero non ha ritenuto di dover avviare alcuna iniziativa sul versante disciplinare.
Relativamente all'uso di droga da parte del detenuto, agli atti e, in particolare, nella cartella clinica risulta che lo Scardella era un ex tossicodipendente e che in stato di libertà era in terapia con il metadone.
Dagli atti del fascicolo non si hanno notizie circa un finto suicidio che sarebbe stato posto in essere durante la carcerazione dal suddetto detenuto prima della data del decesso.
Al detenuto Scardella non fu mai revocato dall'Autorità giudiziaria lo stato di isolamento per motivi di giustizia. Dai rapporti di servizio allegati alla relazione ispettiva risulta che tramite il competente comando dei carabinieri i familiari furono informati del decesso del detenuto.
Sulla base degli atti in possesso risulta palese che si è trattato di suicidio e che non vi sono state responsabilità di alcun tipo da parte degli organi penitenziari.
In merito al caso Scardella, la procura di Cagliari ha riferito che presso detto ufficio sono stati depositati nel corso degli ultimi anni vari esposti a firma di Scardella Cristiano, fratello di Aldo.
Tali denunce hanno dato vita ai seguenti procedimenti: n. 20196/03/44 - archiviato; n. 9790/04/44 - archiviato; n. 12764/05/44 attualmente pendente.
La suddetta procura ha precisato che l'ultimo procedimento è costituito da un esposto che contiene le stesse accuse riportate nel testo dell'interrogazione.
Da una prima disamina, la procura ha osservato che le ipotesi penali ravvisabili dal racconto dello Scardella sono il reato di cui all'articolo 479 codice penale (falsità ideologica della cartella clinica relativa ad Aldo Scardella) ovvero all'articolo 580 codice penale (induzione al suicidio, attraverso la cessione di metadone da parte di qualche detenuto allo Scardella medesimo).
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Entrambe le ipotesi si sarebbero verificate nel luglio 1986 e cioè diciannove anni fa: un tempo tale da determinare la prescrizione dei reati ipotizzati.
Quest'ultimo dato, secondo l'anzidetto ufficio inquirente, condiziona obiettivamente la possibilità stessa di procedere a verifiche, ad indagini e a contestazioni di fatti di reato ad eventuali autori individuati.
Per quanto riguarda gli altri due detenuti tuttora ristretti in carcere, condannati per il reato per il quale fu arrestato il detenuto Scardella, trattasi di Peddio Adriano, nato a Cagliari il 31 agosto 1964, detenuto nella casa di reclusione Alghero, e di Gamba Valter, nato a Cagliari il 15 settembre 1961, detenuto nella casa di reclusione di Alghero, condannati entrambi dalla Corte di assise di appello di Cagliari per il reato di concorso in omicidio.
Il Peddio ha il fine pena previsto per la data dell'8 novembre 2016, mentre il Gamba per la data del 29 gennaio 2018.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
MAURA COSSUTTA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla, da sempre, tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale, non superando mai questa soglia;
le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all'interno di carceri maschili;
circa 70 bambini al di sotto dei tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all'interno di prigioni maschili;
le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezza molto inferiore a quelle degli uomini, la maggior parte non superando i cinque anni;
l'Ordinamento Penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido là dove l'istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini;
l'associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale cui l'associazione stessa ha preso parte sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti:
a) nonostante l'esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, sovraffollamento determinato in massima parte dalle presenze maschili e tuttavia subìto anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;
b) le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;
c) la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all'interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane; tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all'interno degli istituti maschili e contenendo l'intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal
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luogo di residenza del proprio nucleo familiare -:
se non ritenga necessario istituire un apposito Ufficio del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
(4-16163)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame indicata si premette che la composizione per sesso della popolazione ristretta negli istituti penitenziari italiani da molto tempo si mantiene sostanzialmente stabile.
Da un'analisi storica delle presenze medie annue, limitate all'ultimo decennio, si riscontra una percentuale di donne detenute che si mantiene intorno al 5 per cento negli anni dal 1990 al 1993; dal 1994 in poi tale percentuale si attesta su valori eguali o di poco superiori al 4 per cento (con punte massime riscontrabili - costantemente - nelle regioni della Lombardia, del Lazio, del Veneto e dell' Emilia Romagna).
Attualmente il numero di donne complessivamente ristrette in carcere è di 2.885 unità (dato rilevato alla prima decade di dicembre 2005); trattasi di una percentuale minima dell'intera popolazione detenuta, specie se raffrontato con la popolazione maschile che, alla medesima data, si attesta su 57.032 unità.
Non avendo il numero delle donne recluse mai superato la soglia della normale capienza di tollerabilità, non si riscontrano i problemi di affollamento che affliggono le sezioni maschili.
Una percentuale significativa di presenze detentive è rappresentata da n. 1.349 detenute straniere, con prevalenza di detenute iugoslave, nigeriane e rumene.
Le strutture carcerarie che ospitano donne detenute con prole (attualmente 56) sono complessivamente 20, di cui due sono istituti solamente femminili (Roma e Venezia), mentre le altre sono sezioni femminili di istituto maschile.
Generalmente la permanenza dei bimbi nelle strutture penitenziarie è piuttosto fluttuante in quanto legata ai tempi tecnici necessari per la concessione delle misure alternative alle madri detenute, ai sensi della legge 8 marzo 2001, n. 40.
Da un confronto dei dati relativi allo scorso anno con quelli degli anni precedenti e, in particolare, a partire dal 2001, anno di entrata in vigore della citata legge n. 40, emerge che la presenza media delle detenute con prole e dei bambini in istituto è in calo (alla data dei 31 dicembre 2003, le donne detenute con figli in istituto erano 61 e i bambini minori di tre anni 63, mentre alla data del 31 dicembre 2003, le donne detenute madri con figli in istituto erano 53 e i bambini minori di tre anni 56).
Tale dato è ancora più evidente se lo si pone a confronto con quello relativo al numero complessivo delle donne detenute che, negli ultimi anni, al contrario, è andato progressivamente crescendo.
Le categorie di reato prevalenti nell'ambito della popolazione detentiva femminile sono quelle connesse all'uso di sostanze stupefacenti, alla prostituzione e ai reati contro il patrimonio (rari i casi di condanne per reati di tipo associativo).
La commissione di questo tipo di reati, pur comportando condanne a pene edittali contenute, condiziona, però, spesso negativamente, le possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione: è richiesta, infatti, a tal fine, ai sensi dell'articolo 47- quinquies ordinamento penitenziario, la non sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, condizioni queste che mal si adattano ad una tipologia di reati, quali quelli sopra citati.
In prevalenza la popolazione detenuta femminile è di origine extracomunitaria, ovvero di etnia Rom. Anche tale caratteristica rende più difficile l'accesso alle misure alternative alla detenzione, in mancanza di uno stabile punto di riferimento, ovvero per la condizione di clandestinità in cui talora si trovano. Va, infine, precisato che l'accesso ai suddetti benefici di legge è precluso alle condannate in via definitiva.
L'amministrazione penitenziaria, consapevole che la condizione delle detenute in generale e, segnatamente, quella delle detenute madri, richiede particolare attenzione, è impegnata nella individuazione e predisposizione
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di tutti quegli strumenti attraverso i quali contemperare le esigenze «dell'universo femminile» con quelle prioritarie di ordine e sicurezza, che caratterizzano la vita in un'istituzione chiusa quale è il carcere.
Numerose iniziative vengono poste in essere per migliorare le condizioni di vita delle donne detenute. Fondamentale si rivela l'opera di educazione, informazione e sostegno di operatori, soprattutto educatori, che supportano ed aiutano le donne detenute. Difatti, dall'inizio del periodo di reclusione, sono previsti tutta una serie di programmi trattamentali per evitare che l'esclusione dal contesto sociale venga percepita e vissuta come un abbandono della collettività.
Esse, inoltre, usufruiscono del personale medico ed infermieristico disponibile o presente in istituto. A titolo esemplificativo, l'amministrazione penitenziaria, quando vi è un'esigenza continuativa di assistenza alle gestanti, alle puerpere e ai bambini, assicura la presenza in istituto di un ginecologo e, se possibile, di uno psicologo specializzato in psicologia dell'età evolutiva; organizza asili nido ovvero si adopera per garantire l'accoglienza dei minori presso gli asili nido del territorio anche oltre il limite di età. Ad esempio, nell'Istituto di Venezia Giudecca e di Roma Rebibbia i bambini, grazie alla collaborazione tra l'amministrazione penitenziaria, il comune e l'assessorato alle politiche sociali, vengono accompagnati ogni giorno presso l'asilo nido comunale e riportati nell'istituto penitenziario la sera.
La medesima amministrazione ha, inoltre, autorizzato, con i fondi del capitolo di bilancio n. 1830, l'istituzione di nuovi asili nido al fine di dare compiuta attuazione al disposto dell'articolo 42 ordinamento penitenziario, previa apposita ricognizione delle strutture già esistenti onde procedere ad una organizzazione più funzionale dei servizi destinati a tale tipologia detentiva.
Recentemente sono stati attivati i servizi di puericultura, di ludoteca e colonie estive per i bambini (presso la CFR di Venezia Giudecca già da due anni è attiva la colonia estiva).
Per la prima volta, infine, nell'ambito delle direttive generali sull'attività amministrativa e sulla gestione per l'anno 2005, per quanto di competenza del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stato messo a punto un progetto - il programma esecutivo d'azione cosiddetto PEA n. 25 - a favore della popolazione detenuta femminile che vede coinvolte una serie di strutture interne all'amministrazione ed esterne, al fine di verificare le condizioni di vita delle donne detenute e delle attività trattamentali che vengono loro offerte, per realizzare un'analisi del contesto detentivo ed eventualmente formulare proposte adeguate e soluzioni operative che «rispondano ai bisogni dello specifico donna».
Per questi motivi, ed in considerazione della massima attenzione posta in essere dall'amministrazione penitenziaria nei confronti delle donne detenute, non si ritiene necessario istituire un apposito ufficio che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
D'AGRÒ. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in base ad uno studio statistico, elaborato dall'Ordine degli avvocati di Vicenza, il Veneto è all'ultimo posto tra le regioni italiane nel rapporto tra magistrati e abitanti: esiste infatti un giudice ogni 11.500 cittadini a fronte di una media nazionale di 1 a 6.731;
sono poco più di trecento i magistrati in servizio in una regione che conta circa 4.500.000 abitanti, con una forte dinamica economica che si traduce ogni anno in un elevato numero di cause e provvedimenti giudiziari, soprattutto in materia civilistica e di lavoro;
in particolare, i distretti di Treviso e Vicenza sono gli ultimi con un magistrato ogni 18.000 abitanti, pur essendo le due province venete con la più alta percentuale di attività imprenditoriali;
si apprende che il ministero della giustizia sarebbe nelle condizioni di destinare
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al Veneto un numero irrisorio di unità rispetto ai 546 neo magistrati che si apprestano ad entrare in servizio;
i tempi lunghi del giudizio procurano un aggravio di competitività del sistema impresa che, in molti casi, si avvale di onerosi arbitrati all'estero per aggirare tale distorsione -:
se non sia opportuno assegnare alla regione Veneto un numero superiore di magistrati tra quelli che si apprestano ad entrare in servizio, al fine di smaltire il pesante carico di arretrato;
se ciò non fosse possibile nell'immediato presente, quali altre iniziative possano essere messe in cantiere.
(4-06263)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
La ripartizione del primo contingente dei 546 posti di magistrato, recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001, disposta con il decreto ministeriale 23 gennaio 2003 in corrispondenza delle prove scritte del primo dei concorsi per uditore giudiziario, banditi ai sensi dell'articolo 8 della medesima legge, è stata realizzata con un provvedimento di ripartizione di 234 dei predetti 546 posti. Tale intervento, rivolto principalmente a soddisfare le esigenze operative rilevate nei superiori gradi di giudizio (Corte di cassazione e Corti di appello), interessati da significativi incrementi del rispettivo carico di lavoro, nonché a realizzare l'istituzione delle piante organiche dei magistrati distrettuali ha, infatti, previsto l'aumento di 3 posti di magistrati distrettuali giudicanti presso la Corte di appello di Venezia ed 1 posto di magistrato distrettuale requirente presso la Procura generale di Venezia.
Per gli uffici di primo grado, si è ritenuto in linea generale di poter procrastinare ai successivi interventi di ripartizione l'attribuzione di nuovi posti in organico, con poche limitate eccezioni, relative in prevalenza agli uffici cui erano state provvisoriamente sottratte unità in organico con il citato decreto ministeriale 9 aprile 2001 nonché ai tribunali interessati dalla riforma legislativa di cui al decreto legislativo n. 491 del 1999 (cosiddetti Tribunali metropolitani).
Con il decreto ministeriale 7 aprile 2005, all'esito della acquisizione e valutazione del parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura nella seduta del 16 marzo 2005, si è provveduto a ripartire ulteriori 196 unità dei predetti 546 posti di magistrato recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001.
In tale occasione gli uffici giudiziari del Veneto hanno beneficiato di aumento dei relativi organici come indicato nell'elenco seguente:
Ufficio | Magistrato | Aumento | Pianta organica |
Procura Repubblica Padova | Sostituto procuratore
| + 1 | Da 12 a 13 |
Procura Repubblica Rovigo | Sostituto procuratore
| + 1 | Da 4 a 5 |
Procura Repubblica Treviso | Sostituto procuratore
| + 1 | Da 9 a 10 |
Procura Repubblica Verona | Sostituto procuratore
| + 2 | Da 12 a 14 |
Procura Repubblica Vicenza | Sostituto procuratore
| + 1 | Da 7 a 8 |
Procura Rep. Min. Venezia | Sostituto procuratore
| + 1 | Da 2 a 3 |
Tribunale Padova | Giudici
| + 1 | Da 38 a 39 |
Tribunale Rovigo | Giudici
| + 1 | Da 12 a 13 |
Tribunale Treviso | Giudici
| + 2 | Da 28 a 30 |
Tribunale Verona | Giudici
| + 2 | Da 39 a 41 |
Tribunale Vicenza | Giudici
| + 1 | Da 23 a 24 |
Tribunale Min. Venezia | Giudici
| + 1 | Da 5 a 6 |
Uff. sorv. Verona | Giudici
| + 1 | Da 1 a 2
|
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
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TITTI DE SIMONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nello scorso febbraio 2005, come momento di una attività didattica di svolgimento di un progetto sull'impegno alla pace, nell'Istituto Superiore B. Russel di Garbagnate un gruppo di studenti e il loro professore hanno esposto negli spazi pubblici della scuola alcuni cartelloni relativi alla vicenda del rapimento della giornalista Giuliana Sgrena e alla situazione in Iraq;
i cartelloni rappresentavano il prologo all'allestimento di una mostra in materia;
la dirigente scolastica dell'istituto ha fatto rimuovere i cartelloni dalla classe e dai luoghi di esposizione pubblici della scuola trattenendoli in presidenza;
gli studenti hanno reagito al fatto con stupore, nonché con indignazione, non comprendendo le ragioni di tale azione e non ravvisando nel loro operato alcunché di offensivo;
il docente - professor Giovanni Tristano - interessato al progetto ha sollevato obiezioni presso la direzione scolastica chiedendo di esplicitare le motivazioni sulla base delle quali erano state assunte le decisioni censorie del lavoro degli studenti, ravvisando nel comportamento della dirigente scolastica una possibile violazione della libertà di insegnamento ed un eccessivo arbitrio;
alle obiezioni del docente, la dirigente scolastica ha risposto con atti di chiusura e successivamente, sollecitata a dare una risposta pubblica alla lettera aperta con cui il docente chiedeva chiarimenti sul comportamento censorio della sua attività, ha coinvolto il consiglio di istituto;
in data 11 maggio 2005 il docente è stato sottoposto ad una sorta di «ispezione didattica» da parte della dirigente scolastica durante le lezioni di italiano e latino senza che fosse messo a conoscenza delle motivazioni in base alle quali l'ispezione era stata richiesta;
successivamente, in data 24 maggio, il docente è stato sottoposto ad una visita ispettiva inviata dal CSA durante la quale il docente è stato sostituito da un collega, nonostante la delicatezza del momento didattico visto che si è in procinto di conclusione dell'anno scolastico, e sottoposto a circa 5 ore di colloquio inerente alla sua storia lavorativa nella scuola nonché ad aspetti più strettamente legati alle scelte e alle modalità della didattica;
non è stato in alcun modo esplicitato al docente quali siano stati i motivi e chi avrebbe richiesto tale ispezione e di conseguenza un tale atto, che avvenendo successivamente ad un contrasto di opinioni, rischia di essere letto come un atto, di fatto, intimidatorio nei confronti del docente, avendo questi messo pubblicamente in discussione le scelte e l'operato del dirigente scolastico;
secondo l'interrogante, un dirigente scolastico dovrebbe rappresentare nella scuola le istituzioni, garantire il rispetto delle norme e dei diritti, nonché rispondere a criteri democratici di gestione -:
se il ministro sia a conoscenza dei fatti e delle motivazioni che hanno determinato l'ispezione didattica del 24 maggio 2005;
quali provvedimenti intenda assumere affinché sia garantita in tutte le scuole del paese il rispetto dei diritti democratici degli insegnanti e la libertà di insegnamento.
(4-15178)
Risposta. - In merito all'interrogazione parlamentare in esame relativa ai fatti avvenuti presso l'Istituto Superiore «B. Russel» di Garbagnate (Milano) in occasione dell'affissione, negli spazi pubblici dell'Istituto medesimo, di alcuni cartelloni relativi al rapimento della giornalista Giuliana Sgrena si comunica quanto segue.
Nel contesto di tale vicenda, la dirigente scolastica, avendo ravvisato da parte del professor Tristano espressioni ed azioni
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diffamatorie nei propri confronti ed in quelli della scuola, in data 11 marzo 2005, chiedeva al direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per la Lombardia, l'attivazione di un procedimento disciplinare per il suddetto professore, allegando anche copia di una «Lettera aperta» la cui stesura era stata curata dal medesimo.
Il direttore generale, dopo aver attentamente valutato tale richiesta, ha ritenuto opportuno un approfondimento dei fatti ed ha incaricato un dirigente tecnico di compiere una visita ispettiva al fine di accertare l'esatta dinamica degli avvenimenti e le eventuali responsabilità.
A conclusione dell'indagine, esaminata la relazione ispettiva ed ascoltate le giustificazioni del docente, si è provveduto alla formale contestazione di addebiti a carico dello stesso; successivamente, in, considerazione della gravità dei comportamenti contestati, il Centro servizi amministrativi di Milano, con nota del 29 settembre 2005, ha trasmesso gli atti al Consiglio nazionale della pubblica istruzione - Consiglio di disciplina per il personale docente dell'istruzione secondaria di II grado, ai fini dell'irrogazione di una sanzione disciplinare superiore alla censura.
Il 23 Febbraio 2006, il suddetto Consiglio nazionale, dopo aver sentito l'interessato ed il suo difensore, ha deliberato di chiedere all'amministrazione un supplemento di istruttoria al fine della decisione da assumere: al momento non è stata fissata alcuna data per la prossima seduta nel corso della quale sarà affrontata la questione in parola.
Il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, per l'università e per la ricerca: Valentina Aprea.
DEIANA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale, non superando mai questa soglia;
le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all'interno di carceri maschili;
circa 70 bambini al di sotto dei tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all'interno di prigioni maschili;
le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezza molto inferiore a quelle degli uomini, la maggior parte non superando i cinque anni;
l'ordinamento penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido là dove l'istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini;
l'associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale cui l'associazione stessa ha preso parte sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti:
nonostante l'esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, sovraffollamento determinato in massima parte dalle presenze maschili e tuttavia subìto anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;
le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;
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la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all'interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all'interno degli istituti maschili e contenendo l'intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo famigliare -:
se il Governo non ritenga necessario istituire un apposito ufficio del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
(4-15967)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in argomento si premette che la composizione per sesso della popolazione ristretta negli istituti penitenziari italiani da molto tempo si mantiene sostanzialmente stabile.
Da un'analisi storica delle presenze medie annue, limitate all'ultimo decennio, si riscontra una percentuale di donne detenute che si mantiene intorno al 5 per cento negli anni dal 1990 al 1993; dal 1994 in poi tale percentuale si attesta su valori eguali o di poco superiori al 4 per cento (con punte massime riscontrabili - costantemente - nelle regioni della Lombardia, del Lazio, del Veneto e dell'Emilia Romagna).
Attualmente il numero di donne complessivamente ristrette in carcere è di 2.885 unità (dato rilevato alla prima decade di dicembre 2005); trattasi di una percentuale minima dell'intera popolazione detenuta, specie se raffrontato con la popolazione maschile che, alla medesima data, si attesta su 57.032 unità.
Non avendo il numero delle donne recluse mai superato la soglia della normale capienza di tollerabilità, non si riscontrano i problemi di affollamento che affliggono le sezioni maschili.
Una percentuale significativa di presenze detentive è rappresentata da n. 1349 detenute straniere, con prevalenza di detenute iugoslave, nigeriane e rumene.
Le strutture carcerarie che ospitano donne detenute con prole (attualmente 56) sono complessivamente 20. Di questi due sono istituti solamente femminili (Roma e Venezia), mentre le altre sono sezioni femminili di istituto maschile.
Generalmente la permanenza dei bimbi nelle strutture penitenziarie è piuttosto fluttuante in quanto legata ai tempi tecnici necessari per la concessione delle misure alternative alle madri detenute, ai sensi della legge 8 marzo 2001, n. 40.
Da un confronto dei dati relativi allo scorso anno, con quelli relativi agli anni precedenti e, in particolare, a partire dal 2001, anno di entrata in vigore della citata legge n. 40, emerge che la presenza media delle detenute con prole e dei bambini in istituto è in calo (alla data del 31 dicembre 2001 le donne detenute con figli in istituto erano 61 e i bambini minori di tre anni 63, mentre alla data del 31 dicembre 2003 le donne detenute madri con figli in istituto erano 53 e i bambini minori di tre anni 56).
Tale dato è ancora più evidente se lo si pone a confronto con quello relativo al numero complessivo delle donne detenute che, negli ultimi anni, al contrario, è andato progressivamente crescendo.
Le categorie di reato prevalenti nell'ambito della popolazione detentiva femminile sono quelle connesse all'uso di sostanze stupefacenti, alla prostituzione e ai reati contro il patrimonio (rari i casi di condanne per reati di tipo associativo).
La commissione di questo tipo di reati, pur comportando condanne a pene edittali contenute, in quanto minore è il tasso di pericolosità sociale che li connota, condiziona, però, spesso negativamente, le possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione: è richiesta, infatti, a tal fine, ai sensi dell'articolo 47-quinquies ordinamento penitenziario, la non sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, condizioni
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queste che mal si adattano ad una tipologia di reati, quali quelli sopra citati.
In prevalenza la popolazione detenuta femminile è di origine extracomunitaria, ovvero di etnia Rom. Anche tale caratteristica rende più difficile l'accesso alle misure alternative alla detenzione, in mancanza di uno stabile punto di riferimento, ovvero per la condizione di clandestinità in cui talora si trovano. Infine, l'accesso ai benefici di legge è precluso alle condannate in via definitiva.
L'amministrazione penitenziaria, consapevole che la condizione delle detenute in generale e, segnatamente, quella delle detenute madri, richiede particolare attenzione, è impegnata nella individuazione e predisposizione di tutti quegli strumenti attraverso i quali contemperare le esigenze «dell'universo femminile» con quelle prioritarie di ordine e sicurezza, che caratterizzano la vita in un'istituzione chiusa per definizione quale è il carcere.
Numerose iniziative vengono poste in essere per migliorare le condizioni di vita delle donne detenute. Fondamentale si rivela l'opera di educazione, informazione e sostegno di operatori, soprattutto educatori, che supportano e sollecitano le donne detenute ed il coinvolgimento della comunità esterna.
Dal momento in cui inizia il periodo di reclusione, infatti, sono previsti tutta una serie di programmi strutturati per evitare che l'esclusione dal contesto sociale venga percepita e vissuta come un abbandono della collettività. Esse, inoltre, usufruiscono di tutte le risorse di personale medico ed infermieristico disponibili o presenti in istituto. A titolo esemplificativo, l'amministrazione penitenziaria, quando sussista un'esigenza continuativa di assistenza alle gestanti, alle puerpere e ai bambini, assicura la presenza in istituto di un ginecologo e, se possibile, di uno psicologo specializzato in psicologia dell'età evolutiva; organizza asili nido ovvero si adopera per garantire l'accoglienza dei minori presso gli asili nido del territorio anche oltre il limite di età. Ad esempio, nell'Istituto di Venezia Giudecca e di Roma Rebibbia i bambini, grazie alla collaborazione tra questa amministrazione, il comune e l'assessorato alle politiche sociali vengono accompagnati ogni giorno presso l'asilo nido comunale e riportati nell'istituto penitenziario la sera.
La medesima amministrazione ha, inoltre, autorizzato, con i fondi del capitolo di bilancio n. 1830, l'istituzione di nuovi asili nido al fine di dare compiuta attuazione al disposto dell'articolo 42 ordinamento penitenziario, previa apposita ricognizione delle strutture già esistenti onde procedere ad una organizzazione più funzionale dei servizi destinati a tale tipologia detentiva.
Recentemente sono stati attivati servizi di puericultura, di ludoteca e colonie estive per i bambini (presso la C.F.R. di Venezia Giudecca già da due anni è attiva la colonia estiva).
Per la prima volta, infine, nell'ambito delle direttive generali sull'attività amministrativa e sulla gestione per l'anno 2005, per quanto di competenza del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stato messo a punto un progetto - il programma esecutivo d'azione cosiddetto PEA n. 25 - a favore della popolazione detenuta femminile che vede coinvolte una serie di strutture interne all'amministrazione ed esterne, al fine di verificare le condizioni di vita delle donne detenute e delle attività trattamentali che vengono loro offerte, per realizzare un'analisi del contesto detentivo ed eventualmente formulare proposte adeguate e soluzioni operative che «rispondano ai bisogni dello specifico donna».
Per questi motivi, ed in considerazione della massima attenzione posta in essere dall'amministrazione penitenziaria nei confronti delle donne detenute, non si ritiene necessario istituire un apposito ufficio che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DELMASTRO DELLE VEDOVE e GHIGLIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp) del Piemonte
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ha vanamente, e da tempo, segnalato gravi problemi presenti nelle strutture penitenziarie del Piemonte;
dopo avere responsabilmente provveduto a segnalare le inefficienze, l'Osapp in persona del suo segretario generale Leo Benedici, ha inviato al capo del Dap dottor Giovanni Tinebra, una formale comunicazione in data 10 novembre 2003 (Prot. n. 4392/3K2/S.G.), contenente la proclamazione di uno stato di agitazione che culminerà con un corteo lungo le vie di Torino in data 27 novembre 2003, con sit-in finale nelle vicinanze del palazzo della prefettura;
il disagio, sempre più palpabile, sta ormai superando i limiti di guardia e deve essere preso in seria ed urgente considerazione dal ministero -:
se non ritenga di dover personalmente intervenire per scongiurare le clamorose e pubbliche proteste programmate dall'Osapp in relazione alle situazioni degli istituti penitenziari del Piemonte, avviando, con gradualità, ragionevolezza ma serietà i problemi della polizia penitenziaria operante in tutte province piemontesi.
(4-08095)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si comunica quanto segue.
Le anomalie segnalate dall'interrogante sono state discusse nel corso di un incontro tenutosi il 23 dicembre 2003 presso il Provveditorato regionale di Torino, in presenza del Provveditore, del Direttore generale del personale e di una delegazione sindacale. Detta delegazione, soddisfatta dei chiarimenti e degli impegni assunti, ha ritenuto di sospendere le agitazioni poste in essere.
Per quanto concerne, in particolare, il personale di polizia penitenziaria, già nel corso del 2003 il competente dipartimento ha provveduto ad inviare nelle sedi del Piemonte e della Valle d'Aosta n. 70 agenti ausiliari, n. 51 neo vice ispettori, n. 4 vice commissari ed ulteriori n. 19 unità di Polizia penitenziaria.
Inoltre, nell'ambito delle iniziative finalizzate al rafforzamento degli organici nelle sedi del Nord Italia, in data 10 febbraio 2004, è stato avviato un piano di mobilità provvisoria, in regime di missione su base volontaria che interessa le sedi ubicate nell'ambito territoriale del provveditorato di Torino per un'aliquota pari a n. 40 unità.
Si ritiene opportuno sottolineare che l'organico del Corpo di polizia penitenziaria è stato integrato - rispetto a quello previsto nel 1996 - di n. 715 unità con il decreto legislativo 21 maggio 2000, n. 146, che ha previsto, fra l'altro, il ruolo direttivo e dirigenziale della polizia penitenziaria, a completamento del processo di riforma iniziato dalla legge n. 395 del 1990.
Va, altresì, segnalato che dal 2001 sono state immesse in servizio le seguenti unità:
ANNO 2001
A fronte di n. 598 unità cessate dal servizio a qualsiasi titolo si è provveduto ad assumere:
agenti ausiliari di leva assunti a tempo determinato con il 3o e 4o contingente dell'anno 2001, n. 329 unità (articolo 6 della legge n. 356 del 2000);
agenti di polizia penitenziaria maschile, ex ausiliari delle forze di polizia - decreto-legge n. 479 del 1996 convertito con legge n. 579 del 1996, n. 1607 unità (articolo 7 della legge n. 356 del 2000);
vice ispettori n. 315 unità (224 uomini e 91 donne).
ANNO 2002
A fronte di n. 528 unità cessate dal servizio a qualsiasi titolo si è provveduto ad assumere:
agenti ausiliari di leva assunti a tempo determinato con il 1o, 2o, 3o e 4o contingente dell'anno 2002 n. 570 unità (articolo 50, comma 12 della legge n. 388 del 2000);
ANNO 2003
A fronte di n. 568 unità cessate dal servizio a qualsiasi titolo si è provveduto ad assumere:
agenti ausiliari di leva assunti a tempo determinato con il 1o, 2o, 3o e 4o contingente
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dell'anno 2003 n. 506 unità (articolo 50, comma 12 della legge n. 388 del 2000);
agenti di polizia penitenziaria femminile, n. 284 unità (decreti del Presidente della Repubblica 8 agosto 2002 e 31 luglio 2003);
agenti di polizia penitenziaria femminile del Gruppo Sportivo «Fiamme Azzurre», n. 23 unità (decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003);
agenti di polizia penitenziaria maschile 1o bando dell'anno 1999 - volontari in ferma breve delle Forze armate» n. 4 unità (decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003).
ANNO 2004
A fronte di n. 563 unità cessate dal servizio a qualsiasi titolo si è provveduto ad assumere:
agenti ausiliari di leva assunti a tempo determinato con il 1o, 2o, 3o e 4o contingente dell'anno 2004 n. 464 unità (articolo 50, comma 12 della legge n. 388 del 2000);
agenti di polizia penitenziaria maschile «2o bando dell'anno 2000 - Volontari in ferma breve delle Forze armate», n. 36 unità (decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 - articolo 3, comma 158 della legge n. 350 del 2003);
agenti di polizia penitenziaria maschile, ex ausiliari delle forze di polizia - decreto-legge n. 479 del 1996 convertito con legge n. 579 del 1996, n. 212 unità (decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 - articolo 3, comma 158 della legge n. 350 del 2003);
agenti di polizia penitenziaria maschile, ex ausiliari di leva del Corpo di polizia penitenziaria, n. 1251 unità (decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 - articolo 3, comma 158 della legge n. 350 del 2003);
ANNO 2005
Vice commissari in prova del ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria, n. 162 unità.
Con decreto del Presidente della Repubblica del 7 settembre 2005, l'Amministrazione penitenziaria è stata autorizzata a nominare, entro il 31 dicembre 2005, n. 180 unità così ripartite:
n. 46 unità di agenti di polizia penitenziaria maschile 3o bando dell'anno 2001 - Volontari in ferma breve delle Forze armate»;
n. 12 unità di agenti di polizia penitenziaria femminile (vecchie graduatorie);
n. 3 unità di agenti di polizia penitenziaria maschile (in esecuzione di provvedimenti emessi dai T.A.R.);
n. 11 unità di agenti di polizia penitenziaria femminile del Gruppo Sportivo «Fiamme Azzurre» (Concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4a Serie Speciale «Concorsi ed Esami», n. 81 dell'11 ottobre 2005).
n. 108 unità di agenti di polizia penitenziaria femminile - Volontarie in ferma breve delle Forze armate, (Concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4a Serie Speciale «Concorsi ed Esami», n. 81 dell'11 ottobre 2005).
Peraltro, in data 3 agosto 2005, il Consiglio dei ministri ha approvato, in deroga al divieto di assunzioni previsto dalla legge finanziaria 2005, uno schema di decreto del Presidente della Repubblica relativo all'autorizzazione di personale a tempo indeterminato nelle pubbliche amministrazioni che prevede per l'amministrazione penitenziaria l'assunzione di n. 180 unità di polizia penitenziaria da effettuarsi entro il 31 dicembre 2005 ed è attualmente in corso la procedura concorsuale relativa all'assunzione di n. 271 unità (260 uomini e 11 donne).
Per quanto concerne la mancata corresponsione dei buoni pasto al personale della casa circondariale di Torino si comunica che il competente Provveditorato ha provveduto già nel corso dei primi mesi dell'anno 2003 e attualmente le richieste vengono evase ad ogni bimestre.
Il medesimo Provveditorato ha, inoltre, provveduto ad ordinare alla ditta fornitrice
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«Buonchef» i buoni pasto, a sanatoria dei periodi pregressi, spettanti anche al personale della casa circondariale di Alba e della casa di reclusione di Alessandria San Michele, e gli stessi sono stati già consegnati alle suddette direzioni per la distribuzione al personale.
Per quanto riguarda la questione delle missioni si comunica che le risorse finanziarie disponibili sul cap. 1605, relativamente all'esercizio 2003, sono state interamente assegnate. L'assegnazione effettuata in favore del provveditorato di Torino per il pagamento delle indennità di missione ammonta complessivamente a 1.150.000,00 euro (1.000.000,00 euro c/competenze; 150.000,00 c/residui 2003).
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto pubblicato da recenti fonti di stampa, le condizioni di salute dell'ex-deputato Giancarlo Cito, ora detenuto a Taranto, sarebbero assai precarie;
Giancarlo Cito avrebbe perso addirittura 45 chilogrammi di peso mentre sta scontando una pena della reclusione per quattro anni;
la perdita di 45 chilogrammi di peso denuncia una situazione certamente preoccupante -:
se le condizioni di salute dell'ex-deputato Giancarlo Cito, detenuto a Taranto e dimagrito di ben 45 chilogrammi siano state valutate dalla direzione del carcere nel parere espresso dal magistrato di sorveglianza sotto il profilo della compatibilità con il regime detentivo.
(4-13028)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
La direzione della casa circondariale di Taranto ha riferito che il detenuto Giancarlo Cito è stato costantemente sottoposto ad accurati controlli medici.
Lo stesso, attualmente, sta fruendo del beneficio del lavoro all'esterno, ai sensi dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, cui è stato ammesso con provvedimento del direttore dell'istituto datato 25 maggio 2005 e approvato dal magistrato di sorveglianza in data 30 maggio 2005.
In merito alla richiesta di permesso premio, la citata direzione formulava parere contrario per mancanza dei requisiti previsti dalla legge (espiazione di almeno metà della pena); la medesima motivazione veniva riportata dal magistrato di sorveglianza nel decreto di rigetto.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Trattato di Maastricht che istituisce l'Unione Europea, al titolo VI, articolo K.1, definisce la cooperazione giudiziaria in materia civile argomento di comune interesse degli Stati membri;
con il Trattato di Amsterdam la politica di cooperazione, fino a quel momento appannaggio dei singoli Stati membri, si è trasformata in speciale competenza legislativa della Comunità Europea;
l'articolo 61 (c) del Trattato CE riconosce la competenza legislativa della Comunità ad adottare misure in questo campo, in cui, secondo l'articolo 65 del medesimo trattato, sono inclusi il miglioramento e la semplificazione: a) del sistema per la notificazione transnazionale degli atti giudiziari ed extra-giudiziari; b) della cooperazione nell'assunzione dei mezzi di prova; c) del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, comprese le decisioni extra-giudiziali;
in realtà pare potersi affermare che non sono stati fatti particolari progressi nel senso che appare ancora eccessivamente
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complesso il meccanismo giudiziario fra uno Stato e l'altro, in un settore in cui, invece, grazie alla internazionalizzazione dell'economia e delle stesse imprese, le liti fra soggetti di diversa nazionalità europee sono già cospicuamente aumentate ed ancor più sono destinate ad aumentare, con l'accrescimento della esigenza di una omogeneizzazione degli aspetti processuali e sostanziali -:
quali siano i progressi concreti, realizzati negli ultimi tre anni, relativamente agli aspetti presi in considerazione dall'articolo 65 del Trattato CE ed elencati in premessa, e quali siano gli obiettivi prossimi vicini alla realizzazione.
(4-13212)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si comunica che, in attuazione del trattato di Maastricht, negli ultimi anni si è proceduto all'approvazione di numerosi strumenti comunitari finalizzati alla semplificazione ed al miglioramento, per tutti i cittadini ed operatori europei, degli strumenti in tema di cooperazione giudiziaria civile.
In materia di notifica e comunicazione atti, la semplificazione e il miglioramento sono stati attuati attraverso il Regolamento n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo appunto alla notifica e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale.
Per migliorare ed agevolare la trasmissione degli atti giudiziari o extragiudiziali sono istituiti rapporti più diretti fra le persone o le autorità responsabili della loro trasmissione e quelle incaricate di procedere o di far procedere alla loro notificazione o comunicazione. A tal fine, ogni Stato membro designa, tra le autorità competenti, un «organo mittente» ed un «organo ricevente», incaricati rispettivamente di trasmettere e di ricevere gli atti giuridici in questione. Tale designazione è valida per un periodo di cinque anni ed è rinnovabile. Inoltre, ciascuno Stato membro nomina un'unità centrale di coordinamento incaricata, fra l'altro, di fornire informazioni in materia e di risolvere i problemi attinenti alla trasmissione degli atti. Al fine di agevolare gli scambi, l'atto è accompagnato da un formulario secondo il modello allegato alla direttiva.
Autorità centrale per l'Italia è l'Ufficio unico degli Ufficiali giudiziari presso la Corte d'appello di Roma (viale Giulio Cesare, n. 52 - 00192 Roma). Gli atti da notificare in Italia devono pervenire a mezzo posta e saranno restituiti agli organi mittenti con lo stesso mezzo.
Con la Decisione 2001/781/CE del 25 settembre 2001 la Commissione ha adottato un manuale degli organi richiesti e un repertorio degli atti che possono essere notificati o trasmessi, in applicazione del regolamento n. 1348/2000. Il manuale ed il repertorio sono pubblicati sul sito Europa.
La Commissione garantisce un aggiornamento continuo del manuale sulla base delle modifiche comunicate dagli Stati membri.
Per quanto concerne l'assunzione delle prove dal 1o gennaio 2004 è applicabile il Regolamento n. 1206/2001 del Consiglio del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile e commerciale.
Il Regolamento è teso a migliorare, velocizzare e semplificare la cooperazione e stabilisce due sistemi di ottenimento delle prove tra gli Stati membri:
1. trasmissione diretta delle richieste tra le autorità giudiziarie;
2. ottenimento diretto delle prove dall'autorità giudiziaria richiedente.
La novità essenziale di questo regolamento è che si prevede che, di norma, le richieste siano trasmesse direttamente dal giudice richiedente al giudice richiesto. Per facilitare tale comunicazione diretta tra i giudici, ciascuno Stato membro ha elaborato un elenco dei giudici competenti per il compimento di atti giudiziari.
Ciascuno Stato membro ha designato un'autorità centrale o, in alcuni casi più autorità centrali, incaricata:
di fornire informazioni ai giudici;
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di ricercare soluzioni per le difficoltà che possono sorgere in occasione di una richiesta;
di trasmettere, in casi eccezionali, una richiesta al giudice competente.
Organo centrale per l'Italia è il ministero della giustizia - dipartimento affari di giustizia - direzione generale della giustizia civile.
Il regolamento definisce precisi criteri relativi alla forma e al contenuto della richiesta. La richiesta deve essere presentata in conformità al formulario che è allegato al regolamento. Essa deve obbligatoriamente contenere alcune indicazioni quali: il nome e l'indirizzo delle parti, la natura e l'oggetto dell'istanza, l'atto di istruzione richiesto, eccetera. Esso stabilisce inoltre che la richiesta deve essere formulata nella lingua o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro del giudice richiesto, ovvero in un'altra lingua che lo Stato membro richiesto abbia dichiarato di accettare. La richiesta e qualsiasi altra comunicazione devono essere trasmesse con il mezzo più rapido.
L'esecuzione di una domanda può essere rifiutata soltanto nei seguenti casi:
la richiesta non rientra nell'ambito di applicazione del regolamento;
l'esecuzione della richiesta non rientra nelle attribuzioni del potere giudiziario;
la richiesta non è completa;
la persona che è oggetto di una richiesta di audizione invoca validamente un diritto o un obbligo di astenersi dal deporre.
Se l'esecuzione della richiesta viene rifiutata, il giudice richiesto ne informa il giudice richiedente entro 60 giorni dalla ricezione della stessa. I rappresentanti del giudice richiedente possono assistere al compimento dell'atto giudiziario richiesto. Anche le parti e, all'occorrenza, i loro rappresentanti vi possono assistere. Se tecnicamente e praticamente possibile, devono essere utilizzate le moderne tecnologie di comunicazione (in particolare le videoconferenze) per facilitare la partecipazione del giudice richiedente e delle parti in causa.
Gli Stati membri hanno comunicato alla Commissione ogni informazione utile al fine di assicurare l'attuazione del regolamento (elenco dei giudici competenti o degli organi riceventi, il nome e l'indirizzo dell'autorità centrale, i mezzi tecnici per la ricezione delle richieste, le lingue che possono essere utilizzate per la formulazione della richiesta).
La Commissione pubblica e aggiorna un manuale (disponibile anche in versione elettronica) contenente tutte le suddette informazioni.
Entro il 1o gennaio 2007, e in seguito ogni cinque anni, la Commissione presenta una relazione concernente l'applicazione del citato regolamento al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale.
In tema di attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia civile, si segnala che attraverso numerosi strumenti comunitari si è addivenuti ad una progressiva soppressione del principio dell'exequatur e, quindi, in molti casi all'automatico riconoscimento delle decisioni emesse negli Stati membri senza dover ricorrere ad alcuna articolata procedura ad hoc.
Si segnalano al riguardo i seguenti strumenti:
il regolamento comunitario n. 805/2004 istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, che si applicherà a decorrere dal 21 ottobre 2005. L'obiettivo del regolamento è quello di eliminare qualunque controllo sulle decisioni di un altro Stato membro in presenza di particolari presupposti. L'applicazione è limitata alle sentenze, agli atti pubblici ed ai verbali di conciliazione giudiziali relativi a crediti non contestati, a condizione che il procedimento si sia conformato a determinati standard minimi. In presenza di tali presupposti il provvedimento potrà essere certificato come titolo esecutivo europeo nello stesso Stato membro di origine in cui è stato emesso ed eseguito, ove necessario, nel territorio degli altri Stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di
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esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento. Tale procedura comporta evidenti vantaggi in termini di rapidità e di economicità di esecuzione;
il regolamento comunitario n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I). L'obiettivo di questo strumento comunitario è quello di determinare le regole per stabilire la competenza dei giudici degli Stati membri e, in tema di esecuzione, quello di agevolare il riconoscimento e la rapida esecuzione delle decisioni, degli atti pubblici e delle transazioni giudiziarie. Il regolamento abbraccia sostanzialmente tutta la materia civile e commerciale.
Il regolamento stabilisce una norma generale sulla competenza: il principio fondamentale è quello secondo cui la competenza spetta al giudice dello Stato in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente dalla cittadinanza di quest'ultimo. Sono poi previsti una serie di fori speciali in relazione alla diversa natura o oggetto della controversia. Grazie all'uniformità tra gli Stati membri delle norme per individuare il giudice competente a decidere in una controversia transfrontaliera, si dà alle parti certezza di diritto e si consente di evitare il cosiddetto forum shopping da parte di chi intenda instaurare un giudizio a carattere transfrontaliero.
In tema di esecuzione il regolamento permette di semplificare le formalità necessarie per un riconoscimento rapido ed una delibazione rapida delle decisioni emesse dai giudici degli Stati membri, istituendo una procedura semplice ed uniforme, assicurando ai cittadini dell'Unione una rapida esecuzione delle decisioni ovunque esse debbano essere attuate nel territorio dell'Unione.
Autorità competenti al riconoscimento sono le Corti di appello; in tema di esecuzione sono competenti le autorità giurisdizionali dell'esecuzione;
il Regolamento comunitario n. 2201/2003 relativo alla competenza al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, (che ha abrogato il regolamento n. 1347/2000 e modificato il regolamento n. 44/2001 relativamente alle obbligazioni alimentari) che si applica dal 1o marzo 2005.
Rientrano nell'ambito d'applicazione di questo regolamento i procedimenti relativi al divorzio, alla separazione personale o all'annullamento del matrimonio, nonché tutte le questioni relative alla responsabilità genitoriale. In tema di riconoscimento ed esecuzione il regolamento garantisce il riconoscimento automatico di ogni decisione senza necessità di una procedura intermedia e limitando i motivi di rifiuto per le decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale ad alcuni casi tassativi;
il Regolamento n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure d'insolvenza - entrato in vigore il 31 maggio 2002 - si applica alle procedure d'insolvenza aperte dopo la sua entrata in vigore e sostituisce le convenzioni bilaterali e multilaterali vigenti tra alcuni Stati membri.
I casi di fallimento aventi effetti transfrontalieri incidono sul buon funzionamento del mercato interno, il regolamento è teso a migliorare e accelerare le procedure d'insolvenza che presentino implicazioni transfrontaliere. Le soluzioni regolamentate si basano sul principio dell'universalità della procedura, per giungere a procedure più uniformi, così da evitare che le parti siano indotte a trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da uno Stato membro a un altro nell'intento di migliorare la propria situazione giuridica (forum shopping).
La legge dello Stato membro nel quale ha inizio la procedura disciplina tutti gli effetti della procedura d'insolvenza: le condizioni di apertura, di svolgimento e di chiusura della procedura stessa e le questioni essenziali. Le decisioni adottate dalla giurisdizione competente per la procedura principale vengono riconosciute immediatamente da tutti gli Stati membri senza controllo supplementare (salvo contrarietà
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all'ordine pubblico e limitazioni della libertà individuale o del segreto postale).
Nell'ambito delle competenze del Commissario per la giustizia e la libertà sono infine in avanzata fase di discussione le direttive sulla risoluzione alternativa delle controversie (ADR) e sul «decreto ingiuntivo europeo», la cui auspicabile approvazione consentirebbe di incrementare ulteriormente gli strumenti armonizzati a livello comunitario nell'ambito del processo civile.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
le regole della cooperazione giudiziaria in materia civile sono la conseguenza del principio fondamentale del pari valore e della pari importanza dei sistemi giuridici vigenti in ciascuno Stato dell'Unione europea e delle decisioni giudiziali assunte, nonchè della cooperazione transfrontaliera fra le diverse corti e autorità giudiziarie;
a nessuno può sfuggire la rilevanza pratica dell'esistenza di regole uniformi nel campo della giustizia civile, posto che, se ciascuno Stato membro dovesse stabilire unilateralmente quale diritto applicare ad ogni singolo rapporto giuridico internazionale o quali decisioni di altri Stati riconoscere, la conseguenza sarebbe, inevitabilmente, l'assenza di ogni certezza legale per i cittadini e per le persone giuridiche, sia in relazione alla competenza giurisdizionale sia in relazione a quale diritto applicare alla singola fattispecie;
appare peraltro di solare evidenza che il mercato unico europeo non potrà avere successo senza l'avverarsi della condizione della certezza legale;
in occasione del Consiglio europeo di Tampere, svoltosi il 15 ed il 16 ottobre 1999, era stata auspicata con forza la creazione di un autentico «spazio di giustizia europeo», nascente dalla considerazione secondo cui l'incompatibilità o la complessità dei sistemi giuridici e amministrativi degli Stati membri non dovevano costituire, per i singoli cittadini e per le imprese, un impedimento o un ostacolo all'esercizio dei loro diritti;
sin da allora, dunque, si riconosceva come indispensabile un forte miglioramento a livello comunitario dell'accesso alla giustizia da parte di tutti i cittadini degli Stati membri;
il Consiglio europeo di Tampere stabilì tre precise priorità di azione: a) reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie; b) migliore accesso alla giustizia in Europa; c) maggiore convergenza nel settore del diritto civile;
è chiaro a tutti che, fra queste tre priorità, il principio del reciproco riconoscimento è la base di partenza di ogni forma di cooperazione giudiziaria in materia civile, tanto che il Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari interni ha definito e fatto proprio, in data 30 novembre 2000, un ampio programma di misure relative all'attuazione del principio del riconoscimento reciproco delle decisioni in materia civile e commerciale, avendo come obiettivo finale il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni giudiziarie in un altro Stato membro senza dover ricorrere ad alcuna procedura intermedia, e dunque con la soppressione dell'istituto dell'exequatur, prodotto di una cultura giuridica basata sulla prevalenza del diritto interno sulle decisioni assunte in altri Stati dell'Unione;
lo sviluppo vertiginoso dei commerci e la eccezionale mobilità dei cittadini europei dopo l'abbattimento delle frontiere nazionali hanno manifestato una tempistica che, in effetti, denuncia un ritmo, nei cambiamenti sostanziali, che esige eguale velocità nei processi di adeguamento istituzionale da parte degli Stati membri dell'Unione europea per consentire alle imprese di stare sul mercato con regole
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certe e valide per tutti, senza incertezze interpretative o bizantinismi giudiziari -:
quali siano stati gli effettivi e concreti progressi realizzati a livello europeo, nell'ambito della giustizia civile, per l'attuazione del principio del reciproco riconoscimento, con speciale riferimento al programma adottato in data 30 novembre 2000 dal Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari interni in adempimento dei principi conclamati dal Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999.
(4-13247)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si comunica che in tema di attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia civile si è addivenuti, attraverso numerosi strumenti comunitari, ad una progressiva soppressione del principio dell'exequatur e, quindi, in molti casi, all'automatico riconoscimento delle decisioni emesse negli Stati membri senza dover ricorrere ad alcuna articolata procedura ad hoc.
Si segnalano al riguardo i seguenti strumenti adottati dal 2000 ad oggi.
Il regolamento comunitario n. 805/2004, istitutivo del titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, che si applica a decorrere dal 21 ottobre 2005. L'obiettivo del regolamento è quello di eliminare qualunque controllo sulle decisioni di un altro Stato membro in presenza di particolari presupposti. L'applicazione è limitata alle sentenze, agli atti pubblici ed ai verbali di conciliazione giudiziali, relativi a crediti non contestati a condizione che il procedimento si sia conformato a determinati standard minimi. In presenza di tali presupposti il provvedimento potrà essere certificato come titolo esecutivo europeo nello stesso Stato membro di origine in cui è stato emesso ed eseguito, ove necessario, nel territorio degli altri Stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento. Tale procedura comporta evidenti vantaggi in termini di rapidità e di economicità di esecuzione.
Il regolamento comunitario n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I). L'obiettivo di questo strumento comunitario è quello di determinare le regole per stabilire la competenza dei giudici degli Stati membri e, in tema di esecuzione, quello di agevolare il riconoscimento e la rapida esecuzione delle decisioni, degli atti pubblici e delle transazioni giudiziarie. Il regolamento abbraccia sostanzialmente tutta la materia civile e commerciale.
Il regolamento stabilisce una norma generale sulla competenza: il principio fondamentale è quello secondo cui la competenza spetta al giudice dello Stato in cui è domiciliato il convenuto, indipendentemente dalla cittadinanza di quest'ultimo. Sono poi previsti una serie di fori speciali in relazione alla diversa natura o oggetto della controversia. Grazie all'uniformità tra gli Stati membri delle norme per individuare il giudice competente a decidere in una controversia transfrontaliera, si dà alle parti certezza di diritto e si consente di evitare il cosiddetto «forum shopping» da parte di chi intenda instaurare un giudizio a carattere transfrontaliero.
In tema di esecuzione il regolamento permette di semplificare le formalità necessarie per un riconoscimento rapido ed una delibazione rapida delle decisioni emesse dai giudici degli Stati membri, istituendo una procedura semplice ed uniforme, assicurando ai cittadini dell'Unione una rapida esecuzione delle decisioni ovunque esse debbano essere attuate nel territorio dell'Unione.
Autorità competenti al riconoscimento sono le Corti di appello; in tema di esecuzione sono competenti le autorità giurisdizionali dell'esecuzione.
Il Regolamento comunitario n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (che ha abrogato il regolamento n. 1347/2000 e modificato il regolamento n. 44/2001 relativamente alle obbligazioni alimentari) che si applica dal 1o marzo 2005.
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Rientrano nell'ambito d'applicazione di questo regolamento i procedimenti relativi al divorzio, alla separazione personale o all'annullamento del matrimonio, nonché tutte le questioni relative alla responsabilità genitoriale.
In tema di riconoscimento ed esecuzione il regolamento garantisce il riconoscimento automatico di ogni decisione senza necessità di una procedura intermedia e limitando i motivi di rifiuto per le decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale ad alcuni casi tassativi.
Regolamento n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure d'insolvenza - entrato in vigore il 31 maggio 2002 - si applica alle procedure d'insolvenza aperte dopo la sua entrata in vigore e sostituisce le convenzioni bilaterali e multilaterali vigenti tra alcuni Stati membri.
I casi di fallimento aventi effetti transfrontalieri incidono sul buon funzionamento del mercato interno; il regolamento è teso a migliorare e accelerare le procedure d'insolvenza che presentino implicazioni transfrontaliere. Le soluzioni regolamentate si basano sul principio dell'universalità della procedura, per giungere a procedure più uniformi, così da evitare che le parti siano indotte a trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da uno Stato membro a un altro nell'intento di migliorare la propria situazione giuridica («forum shopping»).
La legge dello Stato membro nel quale ha inizio la procedura disciplina tutti gli effetti della procedura d'insolvenza: le condizioni di apertura, di svolgimento e di chiusura della procedura stessa e le questioni essenziali. Le decisioni adottate dalla giurisdizione competente per la procedura principale vengono riconosciute immediatamente da tutti gli Stati membri senza controllo supplementare (salvo contrarietà all'ordine pubblico e limitazioni della libertà individuale o del segreto postale).
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la nuova normativa sulle rogatorie internazionali fece temere, secondo una lettura pessimistica della legge, una straordinaria ed inammissibile facilitazione, per la delinquenza, nello sfuggire alla pena detentiva ed alla punizione;
gli echi di tale pensiero trovarono forte conferma nel lungo ed articolato dibattito svoltosi sia alla Camera dei Deputati che nel Senato della Repubblica;
è peraltro finalmente possibile, oggi, verificare a consuntivo la eventuale fondatezza delle critiche feroci che vennero rivolte alla nuova normativa sulle rogatorie internazionali -:
quanti siano coloro che sono riusciti a sfuggire alla pretesa punitiva della giustizia in ragione della nuova normativa sulle rogatorie internazionali e quali siano le valutazioni del ministro sull'applicazione della stessa.
(4-13798)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
La legge 5 ottobre 2001, n. 367 ha introdotto delle modifiche alle norme previste dal vigente codice di procedura penale, in materia di rapporti giurisdizionali con le autorità straniere.
In particolare, per quanto oggetto della interrogazione, è stata modificata la disposizione generale dell'articolo 696, comma 1, codice di procedura penale, nei termini che seguono: «Le estradizioni, le rogatorie internazionali, gli effetti delle sentenze penali straniere, l'esecuzione all'estero delle sentenze penali italiane e gli altri rapporti con le autorità straniere, relativi all'amministrazione della giustizia in materia penale, sono disciplinati dalle norme della Convenzione europea di assistenza giudiziaria firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e dalle altre norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale».
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Inoltre, è stato modificato l'articolo 729 del codice di procedura penale, in materia di inutilizzabilità degli atti assunti per rogatoria attiva:
«1. La violazione delle norme di cui all'articolo 696, comma 1, riguardanti l'acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova a seguito di rogatoria all'estero comporta l'inutilizzabilità dei documenti o dei mezzi di prova acquisiti o trasmessi. Quando lo Stato estero abbia posto condizioni alla utilizzabilità degli atti richiesti, l'autorità giudiziaria è vincolata al rispetto di tali condizioni.
1-bis. Se lo Stato estero dà esecuzione alla rogatoria con modalità diverse da quelle indicate dalla autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 727, comma 5-bis, gli atti compiuti dalla autorità straniera sono inutilizzabili.
1-ter. Non possono in ogni caso essere utilizzate le dichiarazioni, da chiunque rese, aventi ad oggetto il contenuto degli atti inutilizzabili ai sensi dei commi 1 e 1-bis».
In estrema sintesi, si può affermare che la legge n. 367 del 2001, per quanto oggetto dell'interrogazione, ha inciso sulla materia delle rogatorie attive, introducendo delle ipotesi di inutilizzabilità degli atti assunti per effetto della rogatoria all'estero, non previsti nella originaria formulazione del codice di rito.
L'eccezione di inutilizzabilità, in quanto eccezione di natura processuale, è riservata alla delibazione della autorità giudiziaria che procede. La normativa vigente non prevede che l'eventuale accoglimento di una eccezione di inutilizzabilità, fondata sulla legge n. 367 del 2001, debba essere comunicata a questo ministero e non esiste quindi alcuna forma di monitoraggio, relativa alla inutilizzabilità prevista dall'articolo 729 del codice di procedura penale.
Pertanto, presso la competente direzione generale non risulta se e quante volte l'autorità giudiziaria abbia dichiarato l'inutilizzabilità di atti assunti all'estero per mezzo di rogatoria, in conseguenza delle disposizioni introdotte dalla legge n. 367 del 2001.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) procede, fra le altre iniziative, alla rilevazione delle separazioni personali dei coniugi, offrendo in tal modo dati utilissimi per considerazioni e valutazioni di natura sociologica e politica;
la materia è di grande rilevanza e di grande attualità, in quanto da essa si ricavano deduzioni precise in ordine alla solidità dell'istituto matrimoniale;
è interessante conoscere anche i dati relativi all'addebito della separazione personale dei coniugi per tentare di comprendere meglio quel che accade all'interno di una coppia di coniugi -:
quali siano, nel corso dell'ultimo quinquennio, nell'ambito delle separazioni giudiziali definite con sentenza, le percentuali di sentenze con addebito della separazione alla moglie e con addebito della separazione al marito.
(4-14495)
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) procede, fra le altre iniziative, alla rilevazione delle separazioni personali dei coniugi, offrendo in tal modo dati utilissimi per considerazioni e valutazioni di natura sociologica e politica;
la materia è di grande rilevanza e di grande attualità, in quanto da essa si ricavano deduzioni precise in ordine alla solidità dell'istituto matrimoniale -:
quale sia nelcorso dell'ultimo triennio, la percentuale delle separazioni presentate in forma consensuale e quale sia la percentuale delle separazioni presentate in forma giudiziale;
quale sia la percentuale delle separazioni che, iniziate in forma giudiziale, si trasformano, in itinere, in separazioni consensuali
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innanzi al giudice istruttore nominato dal Presidente del Tribunale.
(4-14496)
Risposta. - Con riferimento alle interrogazioni in esame, si trasmettono i dati, forniti dall'Istat, relativi alle separazioni giudiziali definite con sentenza con addebito della separazione alla moglie e al marito e le percentuali delle separazioni iniziate in forma giudiziale e trasformate in consensuali.
Separazioni giudiziali definite con sentenza per tipo di separazione. Anni 1999-2003
Tipo di separazione
|
Anni | Per intollerabilità della convivenza | Con addebito al marito | Con addebito alla moglie | Totale |
Valori assoluti |
1999 | 7.168 | 1.776 | 636 | 9.580
|
2000 | 7.872 | 1.554 | 337 | 9.763
|
2001 | 8.027 | 1.461 | 370 | 9.858
|
2002 | 8.633 | 1.564 | 369 | 10.566
|
2003 | 8.574 | 1.631 | 344 | 10.549
|
Valori percentuali |
1999 | 74,9 | 18,5 | 6,6 | 100,0
|
2000 | 80,6 | 15,9 | 3,5 | 100,0
|
2001 | 81,4 | 14,8 | 3,8 | 100,0
|
2002 | 81,7 | 14,8 | 3,5 | 100,0
|
2003 | 81,3 | 15,4 | 3,3 | 100,0
|
Separazioni definite con sentenza per tipo di procedimento. Anni 2001-2003 (valori percentuali)
| % Separazioni presentate in forma consensuale | % Separazioni presentate in forma giudiziale | % Separazioni iniziate in forma giudiziale e trasformate in consensuali |
2001 | 76,6 | 23,4 | 10,8 |
2002 | 76,9 | 23,1 | 10,1 |
2003 | 77,0 | 23,0 | 10,4
|
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DELMASTRO DELLE VEDOVE. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da tempo sono segnalati seri problemi e gravi disfunzioni presso l'Istituto Penale per i Minorenni Ferrante Aporti di Torino;
la straordinaria gravità della situazione genera inefficacia pericolosa e uno stato di vera e propria prostrazione
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del personale della Polizia Penitenziaria;
benché fosse chiara a tutti la necessità improcrastinabile che sollecita azione di vigilanza e di ripristino di regole e princìpi, rispetto al disastro ed alla completa disorganizzazione in essere presso tale importante struttura, dovesse essere svolta dalla Direzione dei Centri per la Giustizia Minorile di Torino, nulla ad oggi risulta essere stato fatto per risolvere i problemi più importanti;
l'Istituto versa in condizione di penosa carenza di organico, tanto che nelle sezioni in cui dovrebbero essere presenti, per turno, da 2 a 4 unità, vi è un solo uomo e a volte addirittura accade che vi sia una sola unità per 2 sezioni in orari diurni;
per quanto risulta all'interrogante, alcuni fatti che possono accadere proprio in ragione del fatto che non vi sono uomini sufficienti, si risolvono sbrigativamente ed ingiustamente addirittura con procedimenti disciplinari a carico dei malcapitati agenti di Polizia Penitenziaria;
per le funzioni di Sorveglianza Generale, non è mai stata impiegata una unità con la qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria (Sovrintendente o Ispettore) e a partire dalle ore 15 l'intera struttura è affidata ad un Assistente Capo, quando non da un Assistente o da un Agente, e ciò malgrado l'organico dell'Istituto comprenda, oltre al Comandante, 4 Ispettori e 4 Sovrintendenti;
appare altresì criticabile la gestione dell'Ufficio Servizi, che si offre al giudizio di chi ne esamina il funzionamento, come caotica, priva di regole e del tutto estranea ai princìpi di equa rotazione nei turni e nei posti di servizio oltre che di equa distribuzione di riposi e servizi notturni, tanto che alcune unità hanno dovuto attendere addirittura mesi per poter godere di un riposo;
si lamentano altresì forti pressioni nei confronti di coloro che presentano certificati medici;
risulta inoltre all'interrogante che, durante i servizi notturni è assente qualsiasi servizio medico ed infermieristico ed è il personale della Polizia Penitenziaria che deve provvedere a qualsiasi necessità di carattere sanitario;
le traduzioni sono organizzate al di sotto della prevista soglia di sicurezza per numero di unità impiegate e sempre dallo stesso personale, tanto da far ritenere, ormai, tale incombenza un vero e proprio servizio punitivo;
anche la distribuzione delle prestazioni straordinarie avviene in maniera assolutamente diseguale e quindi senza regole che ne favoriscano la più assoluta trasparenza;
serie carenze si riscontrano altresì in relazione alla presenza di personale nell'Area Educativa, atteso che si riscontra l'assenza del personale alla sveglia mattutina dei ragazzi o alla ricreazione;
è evidente che gli istituti di pena minorili, per la delicatezza delle funzioni che debbono espletare e per la necessità assoluta di recuperare soggetti in età immatura alla dignità di buoni cittadini, ancor più degli altri istituti di pena debbono funzionare con organico adeguato e con personale motivato;
le organizzazioni sindacali dei lavoratori della Polizia Penitenziaria da tempo segnalano questa situazione di grave crisi di funzionalità e dunque senza indugio si deve provvedere ad una verifica ispettiva presso l'Istituto Ferrante Aporti per recuperare efficienza dei servizi educativi e di sorveglianza -:
se le doglianze descritte in premessa, più volte evidenziate dalle associazioni sindacali dei lavoratori della Polizia Penitenziaria, siano ritenute fondate e, in caso affermativo se non si ritenga di dover verificare, attraverso i servizi ispettivi ministeriali, quali siano le eventuali responsabilità e quali siano le carenze addebitabili a deficienze governative.
(4-19197)
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Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
Le risultanze dell'ispezione ministeriale effettuata lo scorso mese di ottobre hanno posto in evidenza che la situazione dell'istituto per i minorenni «F. Aporti» di Torino non risulta essere così critica, come segnalato dall'interrogante.
Difatti, dagli atti ispettivi si evince che il servizio di polizia penitenziaria, organizzato con la suddivisione in tre unità operative, ciascuna coordinata da un ispettore, è gestito con adeguata autonomia operativa.
Va, altresì, considerato che, in linea generale, il completamento dell'organico di polizia penitenziaria da assegnare a tutte le strutture minorili non è stato ancora ultimato e, comunque, il citato istituto è stato dotato di ulteriori dieci unità a tempo determinato.
Anche per quel che riguarda il personale educativo, al di là di qualche imprecisione negli ordini di servizio relativi alle attività nelle giornate festive, l'impegno degli operatori sembra in grado di superare le fisiologiche difficoltà di integrazione tra le aree (educativa, di sicurezza e sanitaria).
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
DI GIOIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la situazione del Tribunale di Foggia, alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva, è esplosa in tutta la sua gravità con giudici costretti a interrompere le udienze civili per correre a «coprire» i buchi nelle sezioni penali;
sul fronte della Procura a causa di trasferimenti e sospensioni, mentre è in corso la nomina del nuovo Procuratore capo, a causa della tragica morte di Alessandro Galli in un incidente stradale, vi sono solamente nove pubblici ministeri in carica a fronte dei sedici che, precedentemente, operavano comunque in un regime di emergenza;
ciò significa che nove pubblici ministeri dovranno smaltire migliaia di procedimenti, coordinare indagini sulla criminalità che attendono risposte giudiziarie, rappresentare l'accusa nelle 32 udienze che mediamente si svolgono ogni settimana tra Foggia e le quattro sezioni distaccate dello stesso Tribunale davanti a giudici monocratici spesso sostituiti da magistrati onorari;
tale situazione rischia di aggravare e ritardare l'attività della giustizia in un territorio in cui la criminalità organizzata sta rafforzando, in maniera sempre più preoccupante, il proprio controllo;
per non parlare dei quindici giorni di sciopero indetti dagli avvocati penalisti per protestare contro la mancanza di fondi per il servizio di stenotipia;
quanto sta accadendo a Foggia, ma che purtroppo riguarda molti altri tribunali nel nostro Paese, a parere dell'interrogante, è il sintomo evidente del fallimento della politica di questo Governo in materia di giustizia -:
quali iniziative intenda adottare con la dovuta rapidità, per evitare il collasso completo delle attività del tribunale di Foggia e ripristinare condizioni minime di sopravvivenza in materia di organici;
se e quando saranno destinati i fondi per riattivare il servizio di stenotipia nel tribunale di Foggia così come chiedono, attraverso un'azione di lotta giustamente gli avvocati penalisti.
(4-10983)
DI GIOIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la situazione del tribunale di Foggia, alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva, è esplosa in tutta la sua gravità con giudici costretti a interrompere le udienze civili per correre a «coprire» i buchi nelle sezioni penali;
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sul fronte della procura a causa di trasferimenti e sospensioni, mentre è in corso la nomina del nuovo procuratore capo, a causa della tragica morte di Alessandro Galli in un incidente stradale, vi sono solamente nove pubblici ministeri in carica a fronte dei sedici che, precedentemente, operavano comunque in un regime di emergenza;
ciò significa che nove pubblici ministeri dovranno smaltire migliaia di procedimenti, coordinare indagini sulla criminalità che attendono risposte giudiziarie, rappresentare l'accusa nelle 32 udienze che mediamente si svolgono ogni settimana tra Foggia e le quattro sezioni distaccate dello stesso tribunale davanti a giudici monocratici spesso sostituiti da magistrati onorari;
tale situazione rischia di aggravare e ritardare l'attività della giustizia in un territorio in cui la criminalità organizzata sta rafforzando, in maniera sempre più preoccupante, il proprio controllo;
per non parlare dei quindici giorni di sciopero indetti dagli avvocati penalisti per protestare contro la mancanza di fondi per il servizio di stenotipia;
ad opinione dell'interrogante, quanto sta accadendo a Foggia, ma che purtroppo riguarda molti altri tribunali nel nostro Paese, è il sintomo evidente del fallimento della politica di questo Governo in materia di giustizia -:
quali iniziative intenda adottare, con la dovuta rapidità, per evitare il collasso completo delle attività del tribunale di Foggia e ripristinare condizioni minime di sopravvivenza in materia di organici;
se e quando saranno destinati i fondi per riattivare il servizio di stenotipia nel tribunale di Foggia così come chiedono, attraverso un'azione di lotta, giustamente gli avvocati penalisti.
(4-11699)
Risposta. - Con riferimento alle interrogazioni in esame, di analogo contenuto, e alle quali si risponde congiuntamente, si rappresenta quanto segue.
Gli organici magistratuali degli uffici giudiziari del tribunale e della Procura della Repubblica di Foggia non sono stati interessati dalla ripartizione del primo contingente dei 546 posti recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001, realizzata con il decreto ministeriale 23 gennaio 2003 in corrispondenza delle prove scritte del primo dei concorsi per uditore giudiziario banditi ai sensi delle articolo 18 della medesima legge.
Al riguardo si evidenzia che tale intervento, con il quale sono stati distribuiti 234 dei predetti 546 posti, era rivolto principalmente a soddisfare le esigenze operative nei superiori gradi di giudizio (Corte di cassazione e Corti di appello), interessati da significativi incrementi del rispettivo carico di lavoro, nonché a realizzare l'istituzione delle piante organiche dei magistrati distrettuali.
Per gli uffici di primo grado, si è ritenuto in linea generale di poter procrastinare ai successivi interventi di ripartizione l'attribuzione di nuovi posti in organico, con poche limitate eccezioni, relative in prevalenza agli uffici cui erano state provvisoriamente sottratte unità in organico con il decreto ministeriale 9 aprile 2001 nonché ai tribunali interessati dalla riforma legislativa di cui al decreto legislativo n. 491 del 1999 (cosiddetti tribunali metropolitani).
Successivamente, con decreto ministeriale 7 aprile 2005, si è provveduto a ripartire ulteriori 196 unità dei predetti 546 posti di magistrato recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001.
Con il citato decreto ministeriale, pubblicato sul Bollettino ufficiale del ministero della giustizia n. 14 del 31 luglio 2005, il Ministro della giustizia ha disposto l'aumento di due posti di giudice presso il tribunale di Foggia e di due posti di sostituto procuratore presso la procura della Repubblica.
Per effetto di tale determinazione la pianta organica degli uffici in questione risulta composta come di seguito specificato:
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TRIBUNALE
Qualifica | Organico
Presidente
| 1
Presidente di Sezione | 4
Giudici | 40
Totale | 45 | | | | |
PROCURA DELLA REPUBBLICA
Qualifica | Organico
Procuratore | 1
Procuratore Aggiunto | 1
Sostituto Procuratore | 16
Totale | 18 | | | | |
Per quanto concerne la situazione relativa al servizio trascrizione atti, si riferisce che, a favore del Presidente della Corte d'appello di Bari, nella sua qualità di funzionario delegato per il distretto di competenza, nell'anno 2004 è stato assegnato, mediante due ordini di accreditamento, l'importo complessivo di euro 913.463,39.
Inoltre, a seguito di richiesta della Corte di appello, in data 10 febbraio 2005, è stato emesso un ordine di accreditamento sul capitolo di pertinenza per l'importo di euro 242.486,75, per soddisfare il pagamento di fatture relative alle prestazioni degli ultimi mesi del 2004, rimaste insolute.
Infine, si aggiunge che, per il citato servizio, finora è stato accreditato l'importo di euro 198.171,02, cioè quanto richiesto dalla stessa Corte di appello di Bari, per soddisfare il pagamento delle fatture relative al periodo del primo trimestre 2005.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
FRAGALÀ. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la procura Militare della Repubblica di Padova in persona del Procuratore Capo Maurizio Block e del Sostituto Dottor Sergio Dini svolgevano lunghe e approfondite indagini sugli eccidi commessi dal famigerato IX Corpus titino nella città di Gorizia prima e dopo la cessazione delle ostilità avvenuta nel maggio del 1945, giungendo alla identificazione di taluni responsabili sulla base di prove inconfutabili, tra i quali il noto aguzzino Franc Pregelj, attualmente residente a Lubiana;
nel gennaio 2003 la sezione militare presso la Corte di Cassazione decideva in modo stupefacente nel senso della competenza della magistratura ordinaria assumendo, pur contro ogni evidenza, che gli eccidi e i massacri compiuti nella città di Gorizia dal famigerato IX Corpus titino non erano da ricondurre a cause di guerra;
risulta all'interrogante che:
a) soltanto nel mese di aprile 2003 la Procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Gorizia avrebbe ritirato presso la procura Militare di Padova la relativa e voluminosissima documentazione acquisita agli atti del processo;
b) detta documentazione sarebbe stata collocata in un locale-deposito del Municipio di Gorizia, anziché consegnata al Procuratore Capo della Repubblica a Gorizia;
c) fino ad ora la Procura della Repubblica di Gorizia non avrebbe presentato né la richiesta di rinvio a giudizio, né quella di archiviazione;
se quanto premesso corrisponde al vero, è naturale chiedersi se vi sia una perdurante volontà dell'Autorità giudiziaria di perpetuare consapevolmente l'oblio su quegli eccidi e quei massacri compiuti a Gorizia e se, ancora una volta non si debba assistere ad una condotta emiplegica della Giustizia italiana che mentre persegue meritatamente i crimini del nazismo, chiude gli occhi dinnanzi ai crimini del comunismo non perseguendo i relativi responsabili che in numerosi casi (per come accaduto a Gorizia in quei tempi)
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per ferocia e barbarie farebbero impallidire i più biechi appartenenti alle famigerate S.S. -:
quali iniziative e quali provvedimenti intende assumere il Ministro della giustizia nei riguardi della scandalosa situazione ora denunciata.
(4-07695)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si comunica che il procedimento penale a carico di Franc Pregelj per gli eccidi commessi nella città di Gorizia dai cosiddetti «Titini», dopo la cessazione delle ostilità nel maggio del 1945, è stato trattato inizialmente dalla procura della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova. Detto ufficio, a seguito di ricorso dell'indagato sul punto della giurisdizione alla Procura generale della Corte di cassazione, ha poi dovuto trasmettere gli atti alla Autorità Giudiziaria ordinaria di Gorizia, avendo così statuito (in data 6 febbraio 2003) in tema di competenza quella Procura generale.
Gli atti del procedimento in questione sono stati trasmessi per competenza alla procura di Gorizia in data 4 aprile 2003 dalla procura Militare della Repubblica di Padova e furono depositati nel locali di detto ufficio, rimanendo così escluso che il ritardo di circa tre mesi nell'acquisizione della documentazione di cui sopra si sia effettivamente verificato.
Successivamente detto procedimento è stato trasmesso per competenza alla procura della Repubblica di Bologna (con nota del 26 febbraio 2004) ai sensi dell'articolo 11 codice di procedura penale, per la presenza tra le persone offese dai reati ascritti al Pregelj del padre di un magistrato del distretto di Trieste.
La procura della Repubblica di Bologna, infine, all'esito dell'istruttoria, formulava in data 3 maggio 2005 richiesta di archiviazione del procedimento n. 3844 del 2004 R.G.N.R., iscritto a carico del Pregelj per i delitti di cui agli articoli 81 cpv., 110, 605, 575, 577 n. 3 e 4, in rif. all'articolo 61 n. 4 del codice penale sulla quale il locale GIP provvedeva in data 16 maggio 2005 ad emettere il relativo decreto di archiviazione del procedimento, in quanto gli elementi di prova acquisiti a carico dell'imputato sono stati valutati inidonei per una valida accusa in giudizio e dunque non idonei sul piano strettamente processuale.
Va peraltro evidenziato che l'Ispettorato generale di questo ministero, investito per le valutazioni di competenza sulla vicenda giudiziaria de quo, ha sottolineato l'impegno profuso dai magistrati inquirenti nella trattazione dell'impegnativo e oneroso procedimento penale a carico del Pregelj, escludendo la ricorrenza di profili di tipo disciplinare a carico dei medesimi.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
FRAGALÀ. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il recente arresto di Rita Algranati ha portato nuovamente all'attenzione dell'opinione pubblica le coperture pluridecennali che hanno tutelato gli ultimi latitanti condannati all'ergastolo (Algranati, Casimirri, Lojacono) per il sequestro e l'uccisione dell'On. Aldo Moro e della sua scorta;
proprio l'arresto dell'Algranati, la cui presenza in Algeria era nota da almeno cinque anni, ha dimostrato in modo inconfutabile che solo la volontà politica abbinata ad un attento lavoro di intelligence ha permesso questo risultato;
tuttavia la Algranati in via Fani ebbe un ruolo dei tutto marginale, mentre eventuali informazioni inedite, tali da aprire uno squarcio di luce fra i misteri del caso Moro, potrebbe averle apprese dall'ex marito Alessio Casimirri;
nel corso degli anni sono stati compiuti vari tentativi dai nostri apparati di sicurezza per far estradare in Italia il Casimirri;
al '93 risale il tentativo più serio e più promettente ad opera del dottor Mario Fabbri, uno dei più qualificati funzionari del Viminale, e da altro agente del Sisde recatisi in Nicaragua;
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in tale circostanza sarebbe stato addirittura raggiunto un accordo con il Casimirri per il suo ritorno in Italia;
certamente si deve alle informazioni fondamentali fornite dal Casimirri l'identificazione del brigatista Germano Maccari quale «quarto uomo» (l'«ingegner Altobelli») nel sequestro Moro, nonché l'individuazione del ruolo avuto dal br Raimondo Etro, entrambi sconosciuti fino a quel momento;
è opinione corrente che Casimirri sia depositario di verità scomode sul «caso Moro»; lo stesso vale per Alvaro Lojacono e la sua fallita estradizione;
il dottor Mario Fabbri successivamente è stato coinvolto in vicende giudiziarie - da cui è uscito completamente assolto - che pur essendo estranee alla sua missione in Nicaragua hanno finito di fatto per intimidirlo e sostanzialmente per neutralizzare uno degli agenti migliori del Sisde;
dagli atti risulta che, se non a far fallire, certamente a compromettere il tentativo di estradizione di Alessio Casimirri e a evitare che fornisse alla magistratura italiana quelle rivelazioni che evidentemente ancora oggi in molti temono, nel '93, mentre era in corso la sua missione, fu una delle solite e improvvide fughe di notizie, questa volta sul quotidiano L'Unità;
secondo l'interrogante quella fuga di notizie potrebbe spiegarsi con il fatto che quanto dichiarato da Casimirri e quanto avrebbe potuto ancora rivelare era sgradito all'ex Pci -:
quali indagini interne - ed eventualmente della magistratura - siano state avviate allora o siano in corso attualmente al fine di:
a)monitorare i vari tentativi compiuti per ottenere l'estradizione di Alessio Casimirri (lo stesso vale per Alvaro Lojacono) e comprendere perché siano falliti;
b)individuare la provenienza in particolare della devastante fuga di notizie del '93 che, ad avviso dell'interrogante, è difficile ritenere non sia stata originata dall'interno di apparati dello Stato.
(4-09087)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
La domanda di estradizione nei confronti di Casimirri Alessio è stata inoltrata da questo ministero in data 16 febbraio 2004, a seguito delle sentenze definitive di condanna emesse dalla Corte d'appello di Napoli il 24 aprile 1987, e dalla Corte d'assise di Roma il 12 ottobre 1988. Dette sentenze hanno condannato il Casimirri rispettivamente, alla pena di anni 5 di reclusione, per i delitti di associazione sovversiva e partecipazione a banda armata e all'ergastolo, per i delitti di associazione sovversiva e partecipazione a banda armata, sequestro di persona, omicidio plurimo aggravato, lesioni personali aggravate, furto aggravato, rapina, lesioni volontarie e violazione della legge sulle armi.
In particolare, l'ultima delle due sentenze è riferita ad una serie di gravissimi reati, connessi alla attiva militanza del Casimirri nell'organizzazione terroristica denominata «Brigate Rosse» tra i quali: il ferimento in danno del giornalista Emilio Rossi e dell'esponente politico Mario Perlini, i tentati omicidi in danno di tre agenti di polizia, gli omicidi di due agenti di polizia, del colonnello dei carabinieri Antonio Varisco, dei magistrati Girolamo Tartaglione e Riccardo Palma, dei cinque agenti di scorta dell'onorevole Aldo Moro, del sequestro e dell'omicidio del medesimo onorevole.
La pena complessiva che Casimirri deve scontare è l'ergastolo, con isolamento diurno per anni 2, determinata con provvedimento di esecuzione di pene concorrenti e ordine di carcerazione emesso il 5 febbraio 1998, dalla procura della Repubblica di Roma.
La competente direzione generale ha provveduto all'inserimento nel SIS e all'aggiornamento delle ricerche in campo internazionale, immediatamente dopo la trasmissione
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dell'ordine di carcerazione da parte della predetta procura, in data 8 ottobre 1998.
Nel frattempo, si apprendeva che il Casimirri aveva ottenuto la cittadinanza nicaraguense, condizione ostativa alla concessione della estradizione secondo la legge di quel paese.
Con decisione del 5 novembre 1993, la direzione generale dell'immigrazione e degli stranieri del ministero dell'interno del Nicaragua, aveva dichiarato nullo il provvedimento del 10 ottobre 1988, con cui era stata conferita a Casimirri la cittadinanza nicaraguense.
Contro tale provvedimento lo stesso presentava «recurso de amparo», cioè ricorso alla Suprema Corte costituzionale di quel Paese.
La Suprema Corte costituzionale del Nicaragua, prima, sospendeva in via cautelare il provvedimento di revoca della cittadinanza, e poi, con sentenza del 14 luglio 1999, dichiarava ammissibile il ricorso di Casimirri al quale, da ultimo, veniva riconfermata la cittadinanza.
Nel marzo del 2004 la richiesta di estradizione italiana veniva rigettata dalla Corte suprema di giustizia nicaraguense sul presupposto della impossibilità di estradare un cittadino, secondo la legge nicaraguense, e della maturata prescrizione dei reati, calcolata sempre secondo la legge interna.
Nel maggio del 2004 il Governo italiano ha presentato ricorso avverso la sentenza della Suprema Corte.
La Corte Suprema de Justicia di Managua con sentenza n. 1957 ha respinto la richiesta del Governo italiano di fare scontare a Casimirri Alessio la pena nello Stato del Nicaragua, atteso che, secondo l'articolo 21 del codice penale nicaraguense, trattasi di reato ormai prescritto.
Il ministero dell'interno, per la parte di competenza, ha comunicato che, in merito all'ipotesi prospettata dall'interrogante, secondo la quale la fuga di notizie sarebbe avvenuta all'interno degli apparati dello Stato, non sono emerse situazioni che avvalorano tale ipotesi.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
FRAGALÀ. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere _ premesso che:
come si è appreso da organi di stampa, il presidente del tribunale di sorveglianza di Campobasso ha scagliato un grave e soprattutto gratuito attacco ai danni dei magistrati di sorveglianza di Palermo, con riferimento alla vicenda relativa al reo confesso pluriomicida Angelo Izzo, per il provvedimento di semilibertà a questi concesso dai giudici del tribunale di sorveglianza palermitano;
non può tuttavia non rilevarsi che attribuire ai magistrati di sorveglianza di Palermo la responsabilità di aver concesso la semilibertà al «mostro del Circeo», così come ha tentato di fare il presidente del tribunale di sorveglianza di Campobasso, appare, a parere dell'interrogante, un grossolano, quanto gravissimo, tentativo di coprire altre diverse, pesanti, responsabilità. Quelle stesse responsabilità della medesima sezione di sorveglianza di Campobasso sui cui giudizi, sulle cui analisi, sulla cui istruttoria, e sul cui esame trattamentale di Angelo Izzo si sono dovuti basare, come impone la legge, i magistrati di sorveglianza di Palermo;
al contrario, agli stessi magistrati palermitani va dato merito di aver ritardato per oltre otto mesi la valutazione di quel materiale predisposto a Campobasso sulla presunta redenzione, poi rivelatasi falsa, di Angelo Izzo e sul suo recupero sociale -:
se il Ministro interrogato nell'ambito delle proprie competenze e poteri, non ritenga disporre una ispezione ministeriale ad avviso dell'interrogante opportuna, quanto necessaria nei confronti del tribunale di sorveglianza di Campobasso per accertare le modalità di trattazione, e, se del caso, le eventuali responsabilità, della vicenda relativa al caso di Angelo Izzo.
(4-14247)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si comunica che, con nota del 27 luglio 2005, è stato richiesto al Procuratore generale della Corte Suprema di Cassazione di promuovere l'azione disciplinare
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nei confronti del dottor Pietro Cavarretta e della dottoressa Gabriella Gagliardi, giudici presso il tribunale di sorveglianza di Palermo, per condotte aventi rilevanza disciplinare poste in essere nella procedura che ha portato alla concessione al detenuto Angelo Izzo del regime della semilibertà.
La richiesta in questione è stata conseguente agli accertamenti svolti dall'ispettorato generale, in sede di inchiesta amministrativa, presso il tribunali di sorveglianza di Palermo e Campobasso e riferiti con relazione del 3 maggio 2005.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
FRATTA PASINI e FERRO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il rilascio e l'impiego di permessi di transito e sosta per disabili nei centri storici di grandi e medie città hanno dato luogo a notevoli e diffusi abusi;
particolarmente eclatante è la situazione nel comune di Verona dove una serie di controlli ha fatto emergere, tra l'altro, che ben 341 permessi di transito e sosta per disabili sono stati assegnati a persone decedute e su questi fatti sta ora indagando la magistratura;
anche in altre città, tra cui Roma, si sono verificati numerosi illeciti ed abusi nel rilascio e nell'impiego di permessi di transito e sosta per disabili;
per risolvere tale situazione i sottoscritti hanno chiesto l'intervento dell'ANCI per quanto attiene le competenze comunali -:
se non si ritenga assolutamente indispensabile ed urgente adottare iniziative normative volte a ridurre drasticamente le possibilità di abusi nell'ambito del rilascio di permessi di circolazione e sosta a disabili, tutto questo sia nell'interesse dei veri disabili, sia per salvaguardare i principi di legalità e certezza del diritto anche su tali materie.
(4-19494)
Risposta. - In merito all'interrogazione in esame, si rappresenta che il codice della strada pone particolare attenzione alle problematiche afferenti la sfera della disabilità in numerose norme che tendono a facilitare lo spostamento di questa categoria di persone nella convinzione che un'utenza debole vada comunque garantita nei suoi diritti alla mobilità.
In particolare l'articolo 188 del codice della strada - circolazione e sosta dei veicoli al servizio di persone disabili - ed il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503 - articolo 11 e 12 - prevedono che le persone con disabilità possano usufruire di importanti agevolazioni per facilitare la loro mobilità a condizione che espongano il contrassegno previsto dall'articolo n. 381 del regolamento di esecuzione del codice della strada.
A tale riguardo, si ricorda che l'esposizione del contrassegno, valido su tutto il territorio nazionale, autorizza la circolazione e la sosta dei veicoli a servizio delle persone con disabilità in deroga ad alcune prescrizioni di legge mettendole al contempo al riparo da improprie contestazioni o verbalizzazioni di infrazioni.
Per quanto attiene il rilascio, le modalità di impiego e controllo e la durata della autorizzazione il citato articolo 188 del codice della strada individua nel sindaco l'autorità preposta al rilascio e prevede specifiche sanzioni per chiunque usufruisca delle strutture senza averne titolo, ne faccia uso improprio o non osservi le condizioni o i limiti indicati nell'autorizzazione. L'articolo 381 del regolamento di esecuzione del codice della strada demanda all'ufficio del medico-legale dell'Unità sanitaria locale di appartenenza il compito di accertare che la persona per la quale viene chiesta l'autorizzazione abbia effettiva capacità di deambulazione sensibilmente ridotta - ivi compresa la categoria dei non vedenti ai sensi del comma 3 dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996.
Sempre l'articolo 381 al comma 3 prevede una durata quinquennale dell'autorizzazione, mentre per il rinnovo è richiesta la presentazione del certificato del medico curante
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che confermi il persistere delle condizioni sanitarie che hanno dato luogo al rilascio. Ciò al fine di ridurre gli abusi perpetrati in materia con chiara incidenza negativa sui veri disabili.
Peraltro, è insito nel potere autorizzativo la possibilità di revocare in qualunque momento l'autorizzazione in caso di accertamento di mancanza o di cessazione delle condizioni personali richieste ai fini dell'adozione della medesima.
Tanto premesso non si ritiene al momento necessario adottare iniziative normative volte a ridurre le possibilità di abusi in quanto questi sono da addebitarsi più ad una carenza di controllo da parte dell'Amministrazione concedente l'autorizzazione che alla mancanza di ulteriori specifiche norme sanzionatorie a carico dei trasgressori.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Mario Tassone.
GIACCO e BATTAGLIA. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 24 marzo 2004, nel carcere di Opera Milano si è tolto la vita un detenuto paraplegico, Andrea Mazzariello e costretto su una sedia a rotelle;
da informazioni assunte dalla stampa, il Mazzariello, pochi giorni prima, aveva manifestato al suo legale la sua disperazione per l'abbandono in una cella e per non essere curato adeguatamente per la malattia di cui soffriva, una stenosi del canale midollare che gli procurava forti dolori;
non gli veniva somministrata la morfina si cercava di sostituirla con altri farmaci contro il dolore che gli provocava ulteriori forti sofferenze;
il Mazzariello, prima di rientrare in carcere per la condanna definitiva, aveva chiesto gli arresti domiciliari per motivi di salute, ma gli erano stati negati;
quando il Mazzariello già si trovava ad Opera aveva presentato, tramite i suoi avvocati, un'istanza di differimento della pena per motivi di salute -:
se i fatti corrispondano al vero e se siano state avviate le indagini amministrative e giudiziarie sul caso;
se le autorità fossero a conoscenza del disagio psicologico con una conseguente depressione acuta e se fossero state avviate tutte le procedure di precauzione per prevenire l'atto suicidale e per quale motivo il detenuto non era stato trasferito in ricovero esterno;
quanti siano i detenuti in condizione di disabilità ed in quali condizioni vengano garantiti i trattamenti necessari per la loro salute.
(4-09632)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si comunica quanto segue.
L'ultimo arresto del detenuto Andrea Mazzariello, nato a Margherita di Savoia (FG) il 26 agosto 1953, risale al 10 febbraio 2004, atteso che nel passato, già a decorrere dall'anno 1982, aveva subito numerose carcerazioni, quale autore di vari delitti contro il patrimonio e di reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
In data 30 marzo 2000, il tribunale di Lodi lo aveva condannato alla pena della reclusione di undici anni per i reati di violenza carnale nei confronti di minore e atti di libidine violenti e, pertanto, la procura della Repubblica di Lodi il 5 gennaio 2004, aveva emesso ordine di esecuzione della pena (il fine pena era previsto per il 9 febbraio 2015).
Il detenuto Mazzariello dal 17 febbraio 2004, si trovava ristretto nella casa di reclusione di Milano Opera, proveniente dalla casa circondariale di Lodi, a seguito di provvedimento di trasferimento emesso dal Provveditorato regionale della Lombardia.
Il 24 marzo 2004, il medesimo detenuto si suicidava nella cella a mezzo impiccagione, con l'ausilio della cinta dell'accappatoio,
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legata a forma di cappio alla inferriata della finestra della cella da lui stesso occupata.
Sulla base dei rapporti di servizio risulta che il detenuto si è suicidato a seguito di uno stato depressivo, determinato dal rifiuto di una donna, in stato di libertà, di rispondere alle sue lettere, infatti, una missiva a lei indirizzata, trovata nella cella, riportava la seguente frase: «ultima lettera, se non ci sarà un riscontro, addio mia amata».
A seguito del decesso, la procura della Repubblica presso il tribunale di Milano ha iscritto il procedimento n. 1943/04 mod. 45, successivamente archiviato dall'Autorità giudiziaria in quanto, come confermato dagli accertamenti autoptici, il decesso è stato ricondotto ad un evento suicidario, senza responsabilità di terzi.
Il medesimo detenuto aveva delle difficoltà nella deambulazione, per patologie che lo costringevano ad avvalersi dell'uso di una carrozzella. Era ubicato in una cella singola onde evitare problemi con gli altri detenuti, considerato il tipo di reati per i quali era stato condannato (violenza carnale nei confronti di minore e atti di libidine violenti).
Il Mazzariello era adeguatamente seguito sotto il profilo medico, anche attraverso le attrezzature e i servizi medici del centro diagnostico terapeutico annesso alla casa di reclusione di Milano Opera.
Essendo stato arrestato il 10 febbraio 2004, e dovendo scontare 11 anni, al detenuto non potevano ancora essere concessi i benefici di legge.
Per quanto concerne i detenuti che si trovano in condizione di disabilità, l'amministrazione penitenziaria provvede ad assegnarli, secondo i criteri previsti dall'articolo 65 dell'ordinamento penitenziario, tenuto conto che si tratta di infermità fisiche compatibili con lo stato di detenzione.
La patologia fisica che, viceversa, richiede necessariamente un trattamento non eseguibile secondo le modalità dell'articolo 11 dell'ordinamento penitenziario, obbliga il Giudice ad astenersi dal disporre la custodia cautelare in carcere articolo 275 comma 4 del codice procedure penale e, se vi è stata già la condanna definitiva, ad ordinare il differimento dell'esecuzione della pena (articolo 147 codice penale o l'espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare (articolo 47-ter ordinamento penitenziario.
Il trattamento riservato ai detenuti infermi è di tipo terapeutico e risocializzante al tempo stesso. L'assegnazione, ex articolo 65 ordinamento penitenziario, permane fino a quando sussiste l'infermità.
Ad ogni buon conto, si elencano di seguito gli istituti penitenziari destinati a ricevere i detenuti affetti da infermità, minorazioni fisiche o psichiche, e le relative presenze nel mese di ottobre 2005:
Istituti destinati a ricevere i detenuti classificati minorati fisici con la relativa sezione:
| Capienza | Presenza
C.R. Parma
| 25 | 21 + 17 disabili
C.R. Ragusa
| 14 | 16
C.R. Turi
| 29 | 13 | | | |
Istituti penitenziari destinati a ricevere i soggetti sottoposti al regime della minorazione psichica (ex articolo 111 n. 5 e segg. del Regolamento di Esecuzione dell'ordine penitenziario - decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000):
| Capienza | Presenza
C.R. Roma Rebibbia | 18 | 12
O.P.G. Napoli | 20 | 26
O.P.G. Barcellona Pozzo di Gotto | 20 | 22
O.P.G. Reggio Emilia | 20 | 17 | | | | |
Istituti penitenziari dotati di Centro Diagnostico Terapeutico
| Capienza | Presenza
C.C. Torino «Lo Russo e Cutugno» | 23 | 23
C.C. Milano San Vittore | 90 | 79
C.R. Milano Opera | 95 | 54
C.R.Parma | 18 | 14
C.C.Genova | 21 | 43
C.C. Pisa | 80 | 70 | | | | | | |
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| Capienza | Presenza
C.C. Roma Regina-Coeli | 80 | 65
C.C. Perugia femminile | 18 | 16
C.C. Perugia maschile | 27 | 27
C.C. Napoli Secondigliano | 84 | 64
C.C. Napoli Poggioreale | 51 | 52
C.C. Messina | 48 | 43
C.C. Cagliari | 36 | 17 | | | | | | | |
I Centri Diagnostici Terapeutici della casa circondariale di Sassari e della di Palermo Ucciardone sono attualmente chiusi.
Si deve far presente che ove taluno dei sopraindicati detenuti necessiti di interventi sanitari specifici non realizzabili nell'istituto di assegnazione, si dispone il trasferimento provvisorio nel centro diagnostico terapeutico, che sia in grado di assicurare le cure e la terapia occorrente. Ove comunque il detenuto non possa essere curato in nessuna delle strutture sopra indicate, il soggetto malato viene ricoverato in luogo esterno di cura, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 11 dell'ordine penitenziario e/o in caso di urgenza in conformità alla procedura, prevista dall'articolo 17 n. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000 n. 230.
Inoltre, allo scopo di dare attuazione alla previsione di cui all'articolo 65 della legge n. 354 del 1975 «Ordinamento Penitenziario» secondo la quale «I soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per un idoneo trattamento», con nota del 24 marzo 2000, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha individuato due livelli di assistenza sanitaria, per garantire dei servizi sanitari adeguati per l'accoglienza e la cura dei detenuti affetti da disabilità motoria e sensoriale di vario grado.
In particolare, sono stati previsti l'istituzione o l'ampliamento, laddove già esistenti di reparti di I livello per l'assistenza sanitaria ai detenuti disabili non autosufficienti da attivarsi presso istituti penitenziari, sede di centro clinico.
Inoltre, sono stati invitati i Provveditori regionali a valutare la individuazione di reparti di livello intermedio per l'assistenza sanitaria dei detenuti disabili auto sufficienti, tra gli istituti penitenziari dotati di infermeria attrezzata e assistenza sanitaria di base, garantita per tutto l'arco delle 24 ore.
La realizzazione di detti reparti comporta la programmazione di lavori edilizi che in molte sedi sono stati già completati, come negli istituti penali di Parma o nella casa circondariale di Bari (ove è stato riaperto il C.D.T. nel mese di luglio 2005, e sono stati attivati il Reparto di medidicina e il Reparto per i diversamenti abili - tetraparaplegici -), mentre in altre località sono tuttora in corso.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
GIACCO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sulla stampa locale è apparsa la notizia che la sede distaccata del Tribunale di Osimo resterà priva di Magistrato togato, ivi assegnato posto in quiescenza, dal 1 agosto 2004;
la detta sede abbraccia un bacino d'utenza territoriale ampio con una popolazione consistente;
l'urgenza al fine di garantire il funzionamento del pubblico servizio impone un intervento immediato attraverso anche l'istituto dell'interpello straordinario volto ad assicurare il servizio;
non è dato sapere se il Consiglio Giudiziario abbia o meno espresso il proprio parere in merito e se del problema sia stato investito ufficialmente il CSM -:
quali urgenti provvedimenti intenda assumere per dare soluzione alla questione.
(4-10281)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, rappresenta quanto segue.
La pianta organica del tribunale di Ancona è stata incrementata di due unità di giudice dal decreto ministeriale 7 aprile 2005 (che ha disposto la ripartizione del secondo contingente dei 546 posti di
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magistrato recati in aumento dalla legge 13 febbraio 2001 n. 48), allo stato, risultano vacanti 3 dei complessivi 25 posti di giudice previsti, tenuto conto del recente trasferimento del dottor Vinicio Cantarini al predetto tribunale, assunto con decreto ministeriale in data 23 novembre 2005. Le anzidette vacanze risultano, peraltro, pubblicate dal Consiglio superiore della magistratura con telefax del 3 ottobre 2005.
Ciò premesso, deve aggiungersi che il progetto organizzativo dell'ufficio in questione, redatto per il biennio 2004-2005 (approvato con rilievo dal predetto Consiglio superiore nella seduta del 15 settembre 2005) come sopra indicato assegnava alla sezione distaccata di Osimo tre figure magistratuali, una delle quali togata.
Con provvedimento di modificazione tabellare assunto in data 6 luglio 2005 (e favorevolmente valutato dal locale Consiglio giudiziario il successivo 26 ottobre 2005) il Presidente del tribunale anconetano assegnava, quindi alla sezione di Osimo una terza figura onoraria (e, segnatamente, il giudice onorario tribunale dottoressa Elisabetta Verducci), allo scopo di smaltire il «consistente arretrato nel settore civile e nel settore penale» accumulatosi presso la Sezione medesima.
Attualmente, pertanto, alla dottoressa Omenetti (trasferita al tribunale di Ancona ed ivi immessa nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, a decorrere dal 19 ottobre 2004) resta ricondotta la trattazione di tutti gli affari, sia di natura civile che penale, afferenti la competenza della sezione distaccata di Osimo.
Quanto alle ulteriori tre figure non togate presenti, deve specificarsi che alla dottoressa Verducci sono attribuite funzioni prevalentemente civili, laddove al dottor Tonnarelli sono attribuite funzioni prevalentemente penali; il magistrato togato, peraltro, «(...) provvederà con la massima urgenza ad assegnare ad ognuno dei predetti giudice onorario tribunale ruoli ed affari compatibili con la funzione onoraria e vigilerà per l'urgente definizione dei provvedimenti assegnati rivedendo, in aumento se del caso, i ruoli della dottoressa Ficosecco, attualmente giudice onorario tribunale di Osimo.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
GIACHETTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in base a quanto riportato da agenzie di stampa del 28 aprile 2005 il garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni avrebbe denunciato le ormai insostenibili condizioni di estrema gravità in cui versa il carcere romano di Rebibbia;
la situazione parrebbe carente sotto numerosi punti di vista, a partire dalla intermittente sostituzione del magistrato di sorveglianza, mancante da dicembre, preposto al controllo dei detenuti i cui cognomi vanno dalla lettera A alla M, dalla frequenza di trasferimenti di detenuti impegnati in progetti di formazione che, di fatto, sarebbero costretti a sospendere, fino ad arrivare alla carenza del servizio sanitario e alla quasi totale assenza di attività culturali;
a tutto ciò si aggiungerebbe l'obsolescenza di un codice normativo datato 1938 e mai aggiornato, la lentezza burocratica nell'attribuzione degli assegni famigliari, la mancata retribuzione dell'attività lavorativa e da ultimo, in base ad una disposizione emanata dalla direzione del carcere, la spedizione di oggetti personali dei detenuti, in eccesso rispetto a limite consentito, rimandati ai famigliari a spese del detenuto;
una simile misura, in un contesto già di per sé preoccupante e drammatico come quello sopra descritto, sembrerebbe incongruente rispetto alle reali esigenze dei detenuti, spesso privati anche di diritti umani fondamentali come quello alla salute o allo studio, basilari nella prospettiva di un futuro di vita diverso -:
se non ritenga opportuno verificare quanto denunciato dal Garante dei detenuti e - nel caso in cui l'allarme lanciato trovasse
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effettivo riscontro nei fatti - quali urgenti ed immediate iniziative intenda adottare per risolvere una situazione tanto critica, garantendo ai detenuti diritti essenziali e condizioni di vita civili.
(4-14361)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
Il tribunale di sorveglianza di Roma è composto (oltre che dal Presidente dell'omonimo tribunale) da 14 magistrati di sorveglianza, 12 dei quali assegnati all'ufficio di sorveglianza di Roma, uno assegnato all'ufficio di sorveglianza di Frosinone ed uno assegnato all'ufficio di sorveglianza di Viterbo.
Detto organico presenta, allo stato, un solo posto vacante dei 12 posti di magistrato previsti presso l'ufficio di sorveglianza di Roma, tenuto conto che l'altro posto vacante, pubblicato dal Consiglio superiore della magistratura con telex in data 24 marzo 2005, è stato coperto da un magistrato che non ha ancora preso possesso.
Tanto premesso, deve altresì aggiungersi che il progetto organizzativo generale del citato tribunale di sorveglianza per il biennio 2004/2005 prevede, in relazione all'ufficio di Roma, una ripartizione degli affari tra i magistrati ad esso addetti, in primo luogo, fondata sullo stato del condannato (distinguendosi, cosi, tra procedimenti relativi a condannati detenuti e procedimenti afferenti condannati non detenuti).
I procedimenti aventi ad oggetto condannati detenuti, in particolare, sono a loro volta suddivisi tra i magistrati secondo un ulteriore criterio, destinato a realizzare un obiettivo collegamento tra i magistrati e gli istituti penitenziari, ubicati nelle circoscrizioni di competenza dell'ufficio.
Più in dettaglio, e con riferimento alle lettere iniziali dei cognomi dei detenuti:
a) i procedimenti afferenti i detenuti nella casa circondariale «Rebibbia Nuovo Complesso» sono stati assegnati alle dottoresse Anna Vari (lettere da A a C), Marcella Trovato (lettere da D a K), Laura Longo (lettere da L a P) e Piera Panzadura (lettere da Q a Z);
b) i procedimenti relativi ai detenuti presso la casa circondariale «Rebibbia femminile-Roma» sono stati interamente assegnati alla dottoressa G. Gaspari;
c) i procedimenti afferenti detenuti presso la casa circondariale «Rebibbia 3a casa» sono stati integralmente assegnati al dottor Giulio Romano.
Quanto ai procedimenti relativi a soggetti ristretti presso la casa di reclusione «Rebibbia-Roma» essi risultano allo stato, assegnati alla dottoressa Paola Cappelli (subentrata alla dottoressa Antonella Mazzei - trasferita ad altro ufficio - a decorrere dal 3 novembre 2004) quelli relativi ai detenuti il cui cognome inizi con una delle lettere comprese tra la «N» e la «Z»; mentre i procedimenti afferenti i detenuti nel medesimo Istituto il cui cognome inizia con una delle lettere comprese tra la «A» e la «M» risulta invece essere stato investito il dottor Luigi Argan, sino alla data della sua immissione in possesso presso il tribunale di Roma (intervenuta in data 28 febbraio 2005).
Per quanto concerne l'asserita mancata corresponsione delle mercedi e dei ritardi nelle procedure relative al riconoscimento degli assegni familiari la direzione della casa di reclusione di Rebibbia, con nota del 16 maggio 2006, ha comunicato che l'accredito delle mercedi sui conti correnti interni dei detenuti lavoranti viene effettuato entro il decimo giorno di ciascun mese - in relazione alle prestazioni lavorative rese nel mese precedente - ai fini dell'esatta determinazione degli importi spettanti a ciascun detenuto (elaborazione del riepilogo del mod. 81 - «giornaliera» dei detenuti lavoranti -, calcolo della mercede, liquidazione dell'importo e accredito).
L'affermazione che «il regolamento interno d'istituto emanato nel 1938 non è stato mai aggiornato» non trova riscontro in quanto a quella data l'istituto romano non era ancora funzionante. Di fatto, la casa di reclusione di Roma Rebibbia deve ancora dotarsi di un proprio regolamento interno, elaborato dalla commissione prevista e disciplinata dall'articolo 16 dell'ordinamento
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penitenziario. Nelle more, la regolamentazione delle modalità e degli orari di svolgimento delle diverse attività che vengono realizzate in carcere, nonché dei generi di cui è consentito l'acquisto o la ricezione, è stabilita con apposito ordine di servizio interno, emanato dalla direzione.
Per quanto riguarda la presunta assenza di attività culturali all'interno dell'istituto penitenziario, si fa presente che sono attivi corsi di scuola elementare e di alfabetizzazione per stranieri; corsi di scuola superiore (è prevista l'attivazione di corsi per il conseguimento della patente informatica europea rivolti a detenuti diplomati); quattro detenuti sono poi impegnati in studi di livello universitario.
Vengono inoltre organizzate attività formative integrate, in collaborazione con il 2o CTP (Centro Territoriale Permanente), relative a pacchetti formativi di lettura e scrittura, di musica e multimedialità.
È presente una compagnia teatrale stabile ed un laboratorio di musica, oltre a corsi sportivi in collaborazione con l'associazione UISP (Unione Italiana Sport Per Tutti).
La biblioteca del carcere continua ad avvalersi della collaborazione di personale delle biblioteche comunali, per sostenere i detenuti incaricati del servizio, ed è in corso di realizzazione un software per la messa in rete dei cataloghi di tutte le biblioteche del comune di Roma.
Per quanto concerne l'assistenza sanitaria si rappresenta, infine, che l'organizzazione dei servizi sanitari presso il citato istituto prevede la presenza di un medico incaricato per tre ore giornaliere, del servizio di guardia medica SIAS di 24 ore e dell'assistenza infermieristica di 30 ore pro die. Sono, inoltre, attive le branche specialistiche di cardiologia, chirurgia, ecografia, odontoiatria, ortopedia, pneumologia e radiologia.
Tale modello è conforme ai criteri di organizzazione dei servizi sanitari negli istituti di pena, stabiliti con numerose direttive del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria tra le quali, in particolare, si evidenziano la circolare del 15 gennaio 1999, che ha diversificato l'organizzazione sanitaria penitenziaria in relazione al numero di detenuti presenti e la circolare del 21 ottobre 2003, che ha integrato detti parametri con la tipologia dei detenuti presenti e le disponibilità del territorio, al fine di individuare le branche specialistiche da attivare.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
GIACHETTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in base a quanto riportato da agenzie di stampa del 10 maggio 2005 una giovane donna di 21 anni, malata di Aids e detenuta nel carcere femminile di Rebibbia, sarebbe morta il mese scorso a seguito di un'infezione provocata da una epidemia di varicella che avrebbe colpito diverse donne tra cui alcune già debilitate perché sieropositive;
in base a quanto si apprende dalla duplice denuncia da parte del garante regionale per i diritti dei detenuti e da parte del presidente dell'associazione Amapi - che comprende più di 300 medici operanti nelle strutture carcerarie - la donna non avrebbe dovuto trovarsi in un carcere, in quanto sieropositiva affetta da Aids conclamato, in una situazione di alto rischio per sé (avendo buone probabilità di contrarre infezioni in molti casi fatali per la stessa vita) e in prospettiva per gli altri, a causa del forte rischio di divenire essa stessa veicolo di trasmissione di malattie nei confronti di altre detenute;
pur essendo vigente nel nostro paese il principio secondo cui un detenuto sieropositivo che passi allo status di malato di Aids conclamato e con una infezione opportunistica in corso ha diritto al beneficio di legge e pertanto deve essere rimesso in liberta, tuttavia appare evidente che tale procedura nel caso della detenuta in questione non sia stata rispettata;
tale drammatico episodio, unitamente alla diffusione del virus della varicella tra le mura del carcere romano di
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Rebibbia, costituirebbe una ulteriore dimostrazione dello stato di emergenza, di abbandono e delle gravissime carenze sul piano dell'assistenza sanitaria che sempre più caratterizzerebbero il suddetto istituto penitenziario -:
se non ritenga opportuno predisporre una immediata ispezione nel reparto di cui alla premessa, per controllare la reale situazione igienico-sanitaria, che, secondo molti operatori, sarebbe ormai insostenibile;
se disponga di informazioni relative ai motivi che hanno impedito la concessione dei benefìci di legge e la rimessa in libertà della donna, a causa dell'alta situazione di rischio di contrazione e diffusione di malattie a cui la stessa poteva incorrere;
quali urgenti iniziative intenda adottare affinché vengano accertate le eventuali responsabilità di chi, mantenendo in stato di reclusione la donna affetta dall'Aids, avrebbe, di fatto, lasciato che la contrazione del virus della varicella la portasse rapidamente ad una sicura morte.
(4-14404)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si comunica quanto segue. L'organizzazione dei servizi sanitari presso la casa circondariale femminile di Roma Rebibbia prevede la presenza giornaliera di quattro medici incaricati del servizio di guardia medica SIAS di 23 ore e dell'assistenza infermieristica di 46 ore nei giorni feriali e 40 nei festivi.
Sono inoltre attive le seguenti branche specialistiche: psichiatria, infettivologia, pediatria, ginecologia, cardiologia, chirurgia, odontoiatria, endocrinologia, medicina del lavoro e radiologia.
Tale modello è conforme ai criteri di organizzazione dei servizi sanitari negli istituti di pena stabiliti con numerose direttive dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria tra le quali, in particolare si evidenziano la circolare del 15 gennaio 1999 che ha diversificato l'organizzazione sanitaria penitenziaria in relazione al numero dei detenuti presenti e la circolare del 21 ottobre 2003 che ha integrato detti parametri prevedendo anche quelli relativi alla tipologia dei detenuti presenti e alle disponibilità del territorio per la definizione delle branche specialistiche da attivare.
Il primo caso di varicella, cui si fa riferimento nell'interrogazione in oggetto, è stato diagnosticato il 13 aprile 2005 e riguardava una detenuta associata in istituto il 15 gennaio 2005, proveniente dalla libertà.
Dalla posizione giuridica risulta che la stessa era stata tratta in arresto perché responsabile di furto aggravato; che l'arresto era stato convalidato con applicazione della misura della custodia cautelare in carcere; che era stata condannata, con sentenza emessa, ex articoli 444-445 codice procedura penale il 24 gennaio 2005 alla pena di mesi 4 di reclusione e euro 200.00 di multa, divenuta irrevocabile il 4 marzo 2005.
Non è stato possibile risalire al momento di trasmissione del virus alla detenuta, che ha ricevuto la visita - in data 18 marzo 2005, 29 marzo 2005 e 5 aprile 2005 - della sola madre.
Dall'esame della cartella clinica si evince che la paziente al momento del suo ingresso in Istituto era in terapia sostitutiva con metadone, e risultava essere affetta oltre che da malattia da HIV - stadio B3 (rispondente ai parametri laboratoristici necessari per la definizione di incompatibilità con il regime di reclusione) anche da epatopatia HCV e HBV correlata.
In carcere la paziente ha poi iniziato un progressivo scalaggio del metadone, terminato il 4 febbraio 2005.
Appena riscontrato il contagio, la detenuta veniva condotta immediatamente presso il pronto soccorso dell'ospedale «Sandro Pertini» di Roma e successivamente trasferita presso l'Istituto di Ricerca e Cure a Carattere Scientifico (IRCCS) «Lazzaro Spallanzani» dove decedeva il 16 aprile 2005.
Motivi disciplinari, legati al comportamento della detenuta, avevano reso necessari continui spostamenti della medesima da una cella ad un'altra della sezione Camerotti, dove poi si sono verificati gli
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altri episodi di varicella, complessivamente ammontanti a cinque casi.
La procedura idonea a porre in atto adeguate misure di prevenzione e del contagio è stata avviata in data 26 aprile 2005, con la notifica dell'esistenza di due casi di varicella all'interno dell'istituto alla ASL RM/B che provvedeva a suggerire le opportune iniziative di carattere sanitario.
Anche il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria interveniva nella vicenda effettuando nell'istituto un'indagine epidemiologica unitamente all'Istituto superiore di sanità.
Le iniziative assunte sono consistite in visite mediche, sorveglianza sanitaria, quarantena dei contatti, disinfezione, impiego di dispositivi individuali di protezione, offerta di gammaglobuline, farmaci e vaccinazione antivaricella. Importante l'adesione da parte della maggioranza della popolazione reclusa alle iniziative di prevenzione tanto che solo 11 detenute su 95, suscettibili, hanno rifiutato di sottoporsi a vaccinazione e/o chemioprofilassi.
Un rilevamento siero-epidemiologico sulle ristrette - compiuto nel rispetto della normativa vigente in materia di trattamento di dati sensibili, studiato dagli esperti dell'Istituto superiore di sanità e accolto favorevolmente dal Provveditore regionale - consentirà, una volta esaminati i dati raccolti, di comprendere i motivi che hanno determinato il verificarsi degli episodi e quindi di utilizzare tali risultati per eventuali misure di profilassi da adottare su scala nazionale.
Per quanto attiene la notizia della presenza di ratti nelle sezioni, si comunica che la direzione dell'istituto di Rebibbia già dal febbraio 2002 ha stipulato regolare contratto con una ditta specializzata per la disinfestazione e la derattizzazione periodica (mensile) di tutti gli ambienti dell'istituto stesso.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
GIACHETTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da un articolo del 28 settembre 2005 del quotidiano Il Corriere della Sera nella cronaca di Roma, si apprende del suicidio di un detenuto polacco di 40 all'interno del carcere di Borgata Aurelia a Civitavecchia;
l'uomo, condannato per omicidio colposo ed omissione di soccorso per avere investito una giovane ciclista il 27 giugno 2005, avrebbe terminato ieri il suo regime di custodia preventiva;
in base alle testimonianze del compagno di cella e del personale penitenziario l'uomo avrebbe palesato un malessere per giustificare la rinuncia all'ora d'aria quotidiana, restando così da solo in cella per mettere in pratica il suo proposito, dopo aver scritto poche righe al cappellano del carcere chiedendo perdono per il suo gesto estremo, perdono alla famiglia della giovane donna uccisa, ed esprimendo come ultimo desiderio di venire sepolto in Italia, sua nuova patria;
risulterebbe all'interrogante che il carcere di Borgata Aurelia sia tra i penitenziari in cui si registra uno dei più alti tassi di suicidi o di tentati suicidi -:
se non ritenga necessario disporre urgentemente un'indagine amministrativa che, oltre a ricostruire lo svolgimento dei fatti succitati, possa fare chiarezza su eventuali carenze e omissioni sul piano dei controlli e dell'assistenza psicologica all'interno della casa circondariale di Civitavecchia, e, qualora si accertassero eventuali responsabilità ad ogni livello in relazione all'episodio in questione, se non ritenga doveroso assumere iniziative volte a punire i responsabili e garantire la massima tutela dei detenuti.
(4-16991)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in oggetto in esame si rappresenta quanto segue.
Il suicidio, segnalato dall'interrogante, riguarda l'ex detenuto Milewski Adam Ryszard, nato in Polonia il 12 settembre 1965, arrestato il 26 giugno 2005 e in pari data condotto nella casa circondariale di Civitavecchia, a seguito di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del tribunale di Civitavecchia in data 29
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giugno 2005, in ordine ai reati di omicidio colposo ed omissione di soccorso.
Il Milewski si è suicidato nella casa circondariale di Civitavecchia verso le ore 13,40 del 25 settembre 2005 mediante impiccagione con l'ausilio della cinta dell'accappatoio.
Dopo il decesso è stato rinvenuto un manoscritto, dal quale è emerso il rimorso del citato detenuto per aver provocato la morte di una ragazza dopo un incidente.
Dalla relazione ispettiva redatta in seguito ad accertamenti condotti sull'evento risulta che «non sono state riscontrate responsabilità di ordine disciplinare a carico di operatori penitenziari, considerata la ferma volontà autosoppressiva del detenuto, che ha usato una tecnica estremamente efficace per il suicidio».
Per quanto riguarda il numero dei suicidi dei detenuti, risulta che nell'anno 2005 nella casa circondariale di Civitavecchia si sono verificati due episodi.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
LA GRUA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Tribunale di Ragusa, malgrado abbia un carico di lavoro assai più consistente di quello degli altri Tribunali viciniori, ha un organico di magistrati pari a quello di detti uffici giudiziari;
il Presidente del Tribunale di Ragusa ha ripetutamente richiesto l'ampliamento dell'organico dei Magistrati, che attualmente è di 14 unità, almeno a 15;
il Ministero della Giustizia ha in corso l'emanazione di un decreto con il quale dovrà distribuire in sede nazionale 150 posti di magistrato;
risulta all'interrogante che l'emanando decreto ignorerebbe del tutto l'ufficio giudiziario di Ragusa, come del resto altri della Sicilia;
il Tribunale di Ragusa ha estrema necessità di ottenere l'ampliamento dell'organico dei giudici al fine di migliorare il servizio giustizia in provincia di Ragusa -:
se non ritenga opportuno venire incontro alle richieste formulate dal Presidente del Tribunale di Ragusa ed alle aspirazioni del Foro e della cittadinanza tutta, assegnando al Tribunale anzidetto almeno un magistrato dei 150 che dovranno essere distribuiti in sede nazionale con l'emanando decreto.
(4-13652)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che in occasione del secondo intervento di ripartizione dei 546 posti recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001, realizzato con il decreto ministeriale 7 aprile 2005, la pianta organica dei giudici del tribunale di Ragusa è stata portata da 12 a 13 unità, realizzando, in tal modo, l'ampliamento organico così come da parere del Consiglio superiore della magistratura e da richiesta del Presidente del tribunale stesso.
Allo stato attuale, la pianta organica dell'ufficio consta di complessivi 15 posti. Sono previsti, infatti, oltre al posto di presidente del tribunale, un posto di presidente di sezione e 13 posti di giudice.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
LEONI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 1988 stabilisce che il processo penale minorile debba rappresentare un momento di recupero di un percorso educativo interrotto e socialmente deviato; in particolare, gli articoli 22 (collocamento in comunità) e 28 (sospensione del processo e messa alla prova) disciplinano l'affidamento dei minori alle strutture comunitarie;
le quindici comunità preposte all'accoglimento dei minori del Lazio, già convenzionate con il Dipartimento di giustizia minorile, versano ormai da tempo in una grave situazione: esse possono infatti accogliere
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un numero di utenti che va dalle 6 alle 8 unità, e solo una parte di questi posti è riservata ai minori dell'area penale;
non tutte queste comunità, inoltre, possono accogliere minori, ma soltanto quelle con cui il Ministero della Giustizia ha ritenuto di stipulare una convenzione, dopo un attento esame teso a valutarne l'idoneità;
per tali strutture il pagamento delle rette da parte del Dipartimento giustizia minorile del Ministero della Giustizia, che consente la loro sopravvivenza, è arrivato sempre con notevole ritardo;
le comunità hanno infatti, a tutt'oggi, ricevuto solo i pagamenti relativi ai primi mesi dell'anno 2004, avendo inoltre un budget da parte del Ministero per l'anno 2005 inferiore al debito dell'anno 2004;
rimanendo, in conseguenza di ciò, ancora da sanare un consistente debito per il 2004, non è stato possibile corrispondere il pagamento delle fatture emesse dal 1 gennaio al 31 marzo 2005, per mancanza di copertura finanziaria;
molte delle comunità in oggetto versano dunque in una situazione di disagio e difficoltà che costringe alcune di esse alla chiusura per l'impossibilità di pagare le utenze (affitto, operatori e spese di gestione);
tale situazione va ad incidere in maniera negativa sul diritto del minore di ricevere un adeguato supporto nel processo educativo sancito dal decreto del Presidente della Repubblica 448/88, che in questo contesto appare inapplicabile e mette a rischio il percorso di reinserimento sociale dei minori -:
quali iniziative intenda adottare per far fronte a tale situazione di sostanziale violazione dei diritti dei minori, al fine di eliminare questo stato di disagio e decadenza in cui le comunità, principale strumento di applicazione del citato decreto, versano a seguito della suddetta inadempienza.
(4-14615)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
La problematica descritta nell'atto parlamentare in questione, relativa al ritardo del pagamento delle rette da parte del dipartimento della giustizia minorile alle strutture comunitarie che accolgono i minori sottoposti ai provvedimenti dell'autorità giudiziaria della regione Lazio, nonché la mancata copertura finanziaria, che non ha permesso la corresponsione delle fatture emesse dal 1o gennaio 2005, può essere riconducibile ad una serie di fattori, primo tra questi un maggior ricorso da parte della magistratura minorile alla misura del collocamento in comunità, con un allungamento dei tempi di permanenza dei minori in tali strutture.
Da un'analisi più approfondita si evidenzia che tale situazione si è, peraltro, verificata anche per altre comunità dislocate sul territorio nazionale, determinando così una crescita di spesa rispetto all'anno 2003.
Al fine di procedere alla copertura finanziaria della spesa per garantire l'esecuzione di tale misura è stato istituito, relativamente all'anno 2004, tra quelli obbligatori, l'apposito capitolo di bilancio 2134.
Al riguardo si precisa che è stato assegnato al Centro per la giustizia minorile di Roma un budget complessivo di 613.973,00 euro al fine di garantire la copertura finanziaria dei debiti 2004 (pari a 470.073,00 euro) e parte della gestione ordinaria per l'anno 2005.
Grazie ad un accordo di programma tra il dipartimento per la giustizia minorile ed il dipartimento nazionale per le politiche antidroga presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato possibile realizzare un progetto (finanziato da quest'ultimo) con lo stanziamento di una somma pari a 900.000,00 euro da destinare sul capitolo di bilancio 2134, con il quale sarà possibile attuare interventi svolti dalle Comunità terapeutiche per soggetti tossicodipendenti e, in special modo, per minori con problemi psichiatrici.
Altresì, per le necessità delle Comunità dipendenti dal Centro per la giustizia minorile di Roma, sarà garantita una integrazione
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fondi sul capitolo in questione pari a 6.110,00 euro.
Le spese insolute dell'esercizio finanziario 2005, relative alle rette per l'inserimento di minori nelle comunità del privato sociale, verranno sanate con la prima assegnazione fondi dell'esercizio finanziario 2006.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
LUCCHESE. - Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
appare necessario, a parere dell'interrogante, rafforzare il ruolo della polizia giudiziaria nello svolgimento delle indagini;
la lotta alla criminalità deve essere portata avanti senza tentennamenti ed indulgenze, ma con una ferma decisione onde scoraggiare il ripetersi di azioni delittuose -:
se i Ministri interrogati non ritengano di adottare iniziative normative volte ad attribuire un ruolo di maggiore rilievo alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini;
se non si ritenga necessario adottare iniziative di carattere normativo volte a prevedere la responsabilità del magistrato che conceda al detenuto la libertà provvisoria o un permesso premio nel caso in cui quest'ultimo compia azioni criminose.
(4-09974)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che, dal sistema attualmente vigente, si ricava un principio di diretta disponibilità della polizia giudiziaria da parte dell'autorità giudiziaria, con riferimento alle sezioni di polizia giudiziaria, ed una disponibilità di natura generale attribuita a qualsiasi magistrato - in quanto titolare delle indagini preliminari o del processo - nei confronti della polizia giudiziaria, riservandosi a quest'ultimo il potere di scegliere tra le varie strutture di polizia giudiziaria in considerazione del caso concreto.
Peraltro, soltanto nell'ipotesi di utilizzo delle sezioni istituite presso la procura di appartenenza del magistrato procedente si può parlare anche di disponibilità immediata della polizia giudiziaria, non dovendo in tali casi essere interpellato né il capo dell'organizzazione della polizia giudiziaria, né il dirigente dell'ufficio della procura interessata, mentre ove l'autorità si intenda avvalere di strutture diverse da quelle istituite presso la propria procura il rapporto di disponibilità è di carattere indiretto.
Frutto di una modifica normativa (decreto-legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992 n. 356), dettata dall'esigenza di evitare una «deresponsabilizzazione» della polizia giudiziaria e di riportare quest'ultima al centro dell'attività di indagine, tuttavia, l'attività di indagine successiva all'intervento dell'autorità inquirente - determinata dalla comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero o, al più, dalla comunicazione delle direttive da parte del pubblico ministero - si caratterizza per il margine di autonomia di cui comunque fruisce la polizia giudiziaria, fermo restando il divieto di compiere atti in contrasto con le direttive impartite dalla stessa autorità e la possibilità di compiere qualsiasi attività investigativa nell'ipotesi in cui, a seguito della comunicazione della notizia di reato, il pubblico ministero non abbia in concreto emanato alcuna direttiva.
Si fa peraltro presente che la materia del ruolo della polizia giudiziaria nelle indagini è stata oggetto di esame da parte della «Commissione di studio per la Riforma del Codice di procedura penale», presieduta dal professor Andrea Antonio Dalia.
In particolare, l'articolo 2.3 della Relazione al progetto di riforma, approvata dalla Commissione in data 24 maggio 2005 prevede l'abolizione delle «Sezioni» di polizia giudiziaria oggi istituite presso le procure della Repubblica e un contestuale rafforzamento dei «Servizi» di polizia giudiziaria, istituiti presso i presidi territoriali delle varie forze di polizia.
Gli articoli 70 seguenti (Libro I, Titolo III: «Polizia Giudiziaria») del Progetto di
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Riforma disciplinano le funzioni di polizia giudiziaria («prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, assicurare le fonti di prova e raccogliere tutto quanto possa servire per l'applicazione della legge penale»), le articolazioni dei «servizi» territoriali di polizia giudiziaria (articolo 71), le qualifiche soggettive («agenti» e «ufficiali» di polizia giudiziaria, articolo 72), i rapporti con l'Autorità giudiziaria (articoli 73 e 74).
Gli articoli 383 seguenti (Libro V, Titolo IV: «Attività della polizia giudiziaria») disciplinano l'attività di polizia giudiziaria, modulando la stessa sulla base delle funzioni dianzi evidenziate: attività «informativa» (384) e «probatoria» (385 seguenti; per i reati di competenza del Giudice di pace l'articolo 386 prevede una disciplina parzialmente difforme), cui va aggiunta una particolare ipotesi di attività «preventiva», il sequestro preventivo in via di urgenza (articolo 312, comma 6), soggetto a convalida da parte del giudice. Da ultimo, sono contenute norme relative alle garanzie difensive (394) e alla documentazione delle attività svolte (395).
Tutto quanto sopra concerne l'attività «diretta», ossia compiuta autonomamente dalla polizia giudiziaria. L'articolo 407 del Progetto disciplina invece le attività «delegate» dal pubblico ministero, nel cui espletamento la polizia giudiziaria deve uniformarsi alle modalità di assunzione del mezzo di ricerca della prova stabilite per il magistrato dagli articoli 398, 401, 402 e 408 (individuazione di persone o cose, assistenza del difensore, documentazione degli atti).
Per quanto attiene a profili di responsabilità del magistrato che conceda al detenuto misure alternative alla detenzione o permessi premio ai condannati che abbiano tenuto regolare condotta durante il periodo di detenzione, si osserva comunque, in via di principio, che si tratta di provvedimenti adottabili dal tribunale o dal magistrato di sorveglianza, soggetti alle impugnazioni di legge (ricorso in cassazione).
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
LUCCHESE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in molte città d'Italia, stanno sorgendo accampamenti abusivi di nomadi e clandestini proprio a ridosso delle civili abitazioni;
ciò provoca notevole disagio e preoccupazione nei cittadini, cui lo Stato non sempre fornisce adeguate garanzie di tutela sul piano della sicurezza -:
quali siano le valutazioni del ministro interrogato in ordine al fenomeno sopra descritto e quali urgenti iniziative ritenga di dover adottare in merito.
(4-15648)
Risposta. - Va premesso, innanzi tutto, che la legislazione italiana in materia di immigrazione è necessariamente informata al principio dell'uguaglianza di tutti gli stranieri e, quindi, i nomadi non di nazionalità italiana sono assoggettati al medesimo regime applicabile ad ogni altro straniero extracomunitario.
Per tali ragioni non possono svolgersi azioni di controllo costante di polizia sulle attività delle comunità in questione e sui loro spostamenti, che contrasterebbero, verosimilmente, con fondamentali diritti riconosciuti anche agli stranieri dalla Costituzione.
Peraltro, il fenomeno della presenza delle comunità nomadi nei pressi dei centri abitati investe, per le connesse esigenze di tutela della sicurezza, le competenze del ministero dell'interno, ma anche delle autonomie territoriali che, come noto, nell'ambito servizi di accoglienza dalle stesse predisposti, istituiscono campi attrezzati destinati alle comunità nomadi.
Come ricordato anche dall'interrogante, vi sono, tuttavia, comunità di nomadi, talora in gruppi molto piccoli, che non sono ospitate nei campi predisposti dalle amministrazioni comunali e che danno vita ad «accampamenti abusivi».
Detto questo, su tutto il territorio nazionale, vengono attuate forme di vigilanza e di controllo calibrate, in ciascuna località, in relazione alle specifiche problematiche emergenti, secondo le valutazioni e le pianificazioni
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degli interventi decise, nelle rispettive sfere, dalle Autorità provinciali di pubblica sicurezza e dalle amministrazioni comunali volta a volta interessate, attraverso i Corpi di polizia municipale.
In particolare, ai citati «accampamenti abusivi» vengono dedicati particolari servizi di natura preventiva e repressiva nel quadro delle modalità di intervento appena illustrate.
A tali attività di vigilanza e controllo, fa naturalmente seguito la ferma azione di contrasto delle forze di polizia nei confronti dei comportamenti illegali di cui si rendano responsabili soggetti appartenenti alla comunità nomade.
Al riguardo, pur mettendo in evidenza che non sono disponibili statistiche in ordine alla «delittuosità» dei nomadi, costituendo, tale eventuale dato, un fattore di tipo «etnico» che, per evidenti motivi, nei sistemi informatici di raccolta dati delle forze di polizia, non è oggetto, a differenza della nazionalità, di sistematica rilevazione, le fenomenologie criminali che vedono più frequentemente coinvolti nomadi sono costituite dai reati contro il patrimonio, in particolare furti, truffe e rapine.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Giampiero D'Alia.
LUCCHESE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
purtroppo ancora oggi malgrado la tensione esistente a seguito dei sanguinosi fatti di Londra, continuano quasi quotidianamente gli sbarchi clandestini sulle coste della Sicilia;
ciò determina per la sicurezza nazionale una situazione di reale pericolo;
la Sicilia ha subito e subisce danni enormi da queste «invasioni» con progressiva diminuzione del numero dei turisti diretti a Lampedusa, Favignana e ad altre note località dell'isola;
è doveroso per il Governo intervenire con maggiore fermezza per arginare l'ingresso di immigrati clandestini, soprattutto alla luce dei recenti attentati terroristici -:
quali siano le valutazioni del ministro interrogato e quali iniziative ritenga di dover adottare in merito.
(4-15987)
Risposta. - Come già rappresentato in altre risposte fornite recentemente all'interrogante, il Governo ha percepito e affrontato il fenomeno dell'immigrazione clandestina tempestivamente e con un diversificato complesso di misure, a partire dall'approvazione della legge n. 189 del 2002, la cosiddetta legge Bossi-Fini.
Si tratta di un sistema di sicurezza che funziona e che viene costantemente verificato rispetto alla possibilità di modificare gli strumenti operativi e le modalità di intervento delle forze dell'ordine in rapporto all'evoluzione del fenomeno.
Il Governo e il ministero dell'interno non intendono, pertanto, discostarsi di un passo dalla linea fin qui seguita: chi vuole immigrare in Italia deve farlo secondo le regole stabilite dalle nostre leggi e dai trattati internazionali; chi, invece, intende violare quelle regole, deve sapere che, prima o poi, dovrà piegarsi alla forza dello Stato di diritto.
Per quel che riguarda, in particolare, gli sbarchi di immigrati sulle coste siciliane, il problema è destinato a riproporsi nel tempo in ragione dei flussi migratori che continuano a provenire specialmente dalle zone africane del Sub-Sahara e del Corno d'Africa.
Al fine di fronteggiare questa crescente ondata migratoria, il Governo ha predisposto e sta realizzando una serie di interventi rivolti a potenziare e migliorare la capacità di accoglienza e di soccorso dell'isola di Lampedusa, ma anche dell'intera Sicilia.
Accanto a tali iniziative, già peraltro illustrate, nel dettaglio, in altre risposte fornite all'interrogante, si sviluppano le attività connesse al contrasto dell'immigrazione clandestina via mare, rese senza alcun dubbio più efficaci grazie alla puntuale applicazione della cosiddetta legge Bossi-Fini.
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Da questo punto di vista, si sottolinea che l'attività di prevenzione e di contrasto via mare è svolta, nelle acque internazionali, tramite il dispositivo aeronavale della Marina militare, della Guardia di finanza, del Corpo delle capitanerie di porto e delle altre unità navali o aeree in servizio di polizia; mentre nelle acque territoriali operano unità e mezzi navali in servizio di polizia, se necessario, delle navi della Marina militare.
Tale attività, soltanto nel corso del 2005, ha consentito di salvare in acque internazionali almeno 5 mila migranti e ne ha accolti più del doppio solo a Lampedusa.
Al fine di prevenire e controllare i flussi migratori illegali provenienti dall'Africa, va, altresì, ricordato il progetto, proposto dall'Italia e denominato «Nettuno», al quale hanno aderito, in diverse fasi, Cipro, Francia, Germania, Malta, Spagna, Regno Unito, Libia ed EUROPOL e che realizza operazioni di pattugliamento congiunto del tratto di mare che separa l'Italia dalla Libia, nonché delle acque che separano l'isola di Creta dalla Libia e dall'Egitto.
Parallelamente ai dispositivi di carattere interno, dunque, si muovono le iniziative rivolte ad intensificare la cooperazione internazionale e, in particolar modo, quella con la Libia che, dopo l'inasprimento dei controlli spagnoli a Ceuta e Melilla, è diventata ancor di più l'imbuto attraverso il quale transita gran parte dell'immigrazione clandestina diretta in Italia e in Europa dall'Africa, dal Vicino Oriente e dal subcontinente indiano.
Eppure, nonostante l'ingigantirsi del fenomeno, sono certamente di grande rilievo i risultati dell'azione di contrasto svolta dalla Libia in stretta collaborazione con le nostre Forze di polizia.
Nell'ultimo anno, infatti, secondo i dati forniti dal governo di Tripoli, 44.000 clandestini sono stati bloccati prima della partenza per l'Italia, 45 organizzazioni criminali sono state sgominate in loco e oltre 5.500 persone arrestate per reati connessi all'immigrazione clandestina.
Nello stesso periodo di tempo, e per gli stessi reati, qui in Italia, grazie anche alla collaborazione delle autorità libiche, sono state arrestate circa 2.800 persone e denunciate altre 7.000.
Va ricordato che la cooperazione italo-libica in materia di lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di droga e all'immigrazione clandestina, trova la sua origine in un accordo firmato a Roma il 13 dicembre 2000 ed entrato in vigore due anni dopo, a seguito della ratifica del Parlamento.
Per quanto riguarda l'immigrazione clandestina, l'accordo prevedeva la reciproca assistenza, lo scambio di informazioni sui flussi migratori e sulle organizzazioni criminali che li gestiscono e li sfruttano spietatamente.
Nell'estate del 2003, sulla base dello stesso accordo, sono state raggiunte ulteriori intese operative per rafforzare la lotta ai trafficanti di esseri umani e avviare un programma articolato di assistenza tecnica.
Peraltro, nella convinzione che il problema delle migrazioni potesse essere efficacemente affrontato solo con una più ampia collaborazione tra l'Europa e i Paesi africani, l'Italia si è impegnata a far sì che anche l'Unione europea, dopo la rimozione dell'embargo nell'ottobre del 2004, avviasse con il Governo libico una mirata collaborazione.
Il Consiglio GAI ne ha definito le linee il 3 giugno 2005; successivamente il Consiglio europeo del dicembre scorso ha affermato il carattere prioritario dei programmi euro-libici, nel contesto di un approccio globale euro-africano al problema migratorio.
Per dare seguito a tali decisioni, il 7 e l'8 febbraio 2006 si è recata a Tripoli una rappresentanza della Commissione europea, che ha constatato la volontà libica di collaborare in modo concreto e si è impegnata, dal canto suo, a reperire le risorse necessarie.
In quella occasione si è convenuto di intraprendere al più presto una serie di azioni per la lotta alle filiere criminali che organizzano i traffici dei clandestini dalla Libia verso l'Europa, nonché per il controllo delle frontiere libiche, il soccorso in mare e nel deserto, la formazione delle locali forze di polizia.
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Una prima riunione del Comitato congiunto euro-libico è prevista nel prossimo mese di aprile, in parallelo con una visita in Libia del Vice Presidente, onorevole Frattini.
Si soggiunge che la Commissione e il Parlamento europeo hanno riconosciuto la collaborazione bilaterale italo-libica come un utile modello su cui basare le iniziative comunitarie.
In conclusione, attività di contrasto e di controllo nei confronti dell'immigrazione clandestina, da un lato, e accoglienza e integrazione appropriata di coloro che hanno titolo a rimanere nel nostro Paese, dall'altro, sono le due facce di una stessa medaglia, due versanti di una medesima politica che il Governo intende mantenere ferma e lungo la quale intende proseguire la sua azione.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Giampiero D'Alia.
MANCINI e PISAPIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
recenti episodi verificatisi all'interno delle carceri italiane hanno posto all'attenzione dell'opinione pubblica la drammatica condizione di vita alla quale sono sottoposti alcuni detenuti;
alle tante mancanze delle strutture edilizie spesso fatiscenti e sovraffollate si aggiungono disposizioni regolamentari che appaiono eccessivamente afflittive nei confronti del detenuto;
è il caso della circolare n. 34770/5920 del 20 febbraio 1998 che prevede che il detenuto in regime di 41-bis possa svolgere colloqui con i propri figli senza i vetri divisori solo fino al compimento del 12 anno di età del minore;
al contrario al minore, maggiore di 12 anni è impedito anche il minimo contatto fisico con il genitore detenuto;
il regime del cosiddetto carcere duro che già prevede invasive privazioni della libertà individuale contro le quali più volte si è pronunziata la Corte Europea dei diritti dell'uomo, con queste previsione aggiunge un divieto che appare crudele e inumano e di difficile comprensione anche dal punto di vista normativo considerato che la legge penale pone come parametro il compimento non degli anni 12, bensì di anni 14 come riferimento all'imputabilità;
pertanto non si comprende per quali ragioni le afflizioni che, per quanto riguarda il detenuto in regime di carcere duro già ben poco si attagliano alla finalità rieducativa della pena di recupero sociale, devono estendersi nei fatti anche ai figli minorenni che vengono da tale disposizione regolamentare impediti ad avere un contatto fisico diretto con il proprio genitore rischiando di subire così traumi che possono provocare danni irreparabili alla crescita psichica del minore -:
se e quali provvedimenti intenda adottare al fine di agevolare i rapporti tra il detenuto sottoposto al regime del 41-bis e i propri familiari, con speciale riguardo ai figli minori essendo questo uno dei compiti previsti dall'ordinamento penitenziario ad integrazione degli interventi trattamentali.
(4-12895)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
Lo speciale regime detentivo previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario non ha carattere afflittivo e non rappresenta una modalità di esecuzione della pena inflitta per il reato commesso, come è dimostrato dall'assenza di qualsiasi possibilità di graduazione delle specifiche misure di cui lo speciale regime si sostanzia.
Al contrario, si tratta di un sistema con spiccate finalità di prevenzione, volto a impedire o comunque a ridurre drasticamente le occasioni di contatto del detenuto con il resto della popolazione carceraria e con l'esterno, al fine di escludere che, sebbene detenuto, il soggetto possa continuare a mantenere il suo ruolo all'interno della consorteria criminale nella quale era inserito.
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La primaria forma di contatto con l'esterno per il detenuto è rappresentata dai periodici colloqui con i familiari che, infatti, nel regime speciale sono ridotti ad uno al mese e con modalità tali da escludere la possibilità di comunicazioni riservate. A tal fine, viene realizzata una fisica separazione tra il detenuto ed i familiari, mediante l'uso di vetri divisori, mentre il colloquio si svolge con l'uso di citofoni o altri strumenti similari. Tali modalità sono stabilite nella circolare del 9 ottobre 2003 emanata dal Capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e sono tratte da dati di esperienza circa le forme attraverso cui usualmente i detenuti comunicano con l'esterno.
Tuttavia, per evitare che una misura di natura preventiva (cui certamente è connesso un carattere anche afflittivo, non voluto ma ineliminabile) assumesse profili vessatori, è stato previsto che il detenuto, cui è applicato il regime di cui all'articolo 41-bis ordinamento penitenziario, possa svolgere senza il vetro separatore il colloquio con il figlio minore degli anni 12. Tale limite di età vuol segnare soltanto un confine convenzionale (ben noto alla legislazione: cfr, ad esempio, l'articolo 7 comma 3, legge 4 maggio 1983, n. 184 in tema di adozione), oltre il quale si ritiene, con valutazione tratta dall'esperienza, che il minore sia perfettamente in grado di fungere da veicolo di comunicazioni anche di carattere criminale tra il detenuto e l'esterno. Anche per siffatta disposizione, quindi, non v'è alcun intento afflittivo, ma essa rappresenta uno specifico momento dell'unitaria finalità preventiva dell'istituto del 41-bis.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
MANCINI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro per la funzione pubblica. - Per sapere - premesso che:
con decreto ministeriale dell'8 novembre 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 13 dicembre 2002 è stato indetto pubblico concorso a 443 posti di ufficiale giudiziario;
a seguito dell'espletamento del suddetto concorso sono risultati 443 vincitori e circa 750 idonei;
nell'ottobre 2004 è sopraggiunta l'autorizzazione all'assunzione solo per 248 vincitori ed il ministero della giustizia ha disposto che fossero assunti solo in quattro distretti del Nord Italia (Lombardia, Liguria, Piemonte e Veneto), determinando in tal modo una grave disparità di trattamento tra tali soggetti e i vincitori del concorso da assumere nei distretti del meridione;
la legge finanziaria 2005 ha previsto all'articolo 1, comma 97, lettera c) una deroga al blocco delle assunzioni per i vincitori del sopraccitato concorso con riferimento alla copertura delle carenze in organico degli Ufficiali giudiziari C1, stanziando il relativo impegno di spesa;
l'11 aprile 2005 il ministero della funzione pubblica ha dettato i criteri alle pubbliche amministrazioni per la richiesta di autorizzazione per le assunzioni di personale da effettuare nel 2005 -:
per quali ragioni il ministero della giustizia non abbia ancora effettuato la richiesta di autorizzazione per l'assunzione dei vincitori del concorso per ufficiali giudiziari, che vantano il diritto ad ottenere il legittimo posto di lavoro dopo anni di sofferta disoccupazione e precariato nelle regioni meridionali.
(4-14773)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
L'assunzione di parte dei vincitori del concorso distrettuale a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 è stata disposta utilizzando l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 per 154 unità, per altre 94 dall'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003, per un totale di 248 unità.
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La scelta dei distretti, per l'assunzione delle 248 unità autorizzate dal dipartimento della funzione pubblica, è stata effettuata prendendo in considerazione la situazione delle vacanze nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1.
Nei distretti individuati di Torino, Milano-Brescia, Trento-Trieste-Venezia e Genova, la scopertura nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1, era ben superiore al 50 per cento situazione che si era ulteriormente aggravata all'esito dell'interpello straordinario del 20 gennaio 2004 per i posti vacanti nella citata figura professionale, pubblicato ai sensi dell'articolo 19 dell'accordo sulla mobilità interna del 28 luglio 1998, propedeutico all'assunzione dei vincitori.
Poiché 10 unità delle 248 neoassunte non hanno preso servizio, per non lasciare inutilizzate le unità autorizzate, si è proceduto con l'assunzione dei primi 10 vincitori del concorso del distretto di Firenze, distretto che presentava la maggiore percentuale di scopertura immediatamente dopo quelli suddetti.
Considerato che la legge 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanziaria 2005) prevede una deroga al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio, nel caso di questa amministrazione, è stata individuata dalla stessa legge finanziaria la priorità dell'immissione in servizio dei vincitori e degli idonei al concorso di cui sopra, sempre nell'ambito delle procedure e nei limiti di autorizzazione all'assunzione.
Si precisa altresì che, a seguito delle disposizioni dettate dal dipartimento della funzione pubblica con circolare dell'11 aprile 2005, e stata predisposta la richiesta di autorizzazione alle assunzioni per l'anno 2005 secondo le modalità di cui all'articolo 39 comma 3-ter della legge 27 dicembre 1997, n. 449, dando priorità a quanto stabilito dall'articolo 1 comma 97 lettera c) della legge n. 311 del 2004.
Con i P.P.D.G. del 23 settembre e 17 ottobre 2005, a seguito della intervenuta autorizzazione dal dipartimento della funzione pubblica all'assunzione di 350 unità di personale, è stata disposta l'assunzione rispettivamente dei rimanenti 186 vincitori del citato concorso e dei 164 idonei.
Si fa presente, infine, che i vincitori sono stati invitati presso questa amministrazione per la scelta della sede e la firma del contratto il 3 novembre 2005, mentre gli idonei sono stati invitati per gli stessi adempimenti il 4 novembre 2005.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
MASCIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Garante Regionale dei Detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ha segnalato la grave situazione in cui versa il carcere romano di Rebibbia (Ansa 28 aprile 2005);
l'Ufficio del Garante Regionale dei Detenuti ha fatto i seguenti rilievi:
a) mancata retribuzione dell'attività lavorativa;
b) lunghe procedure per il riconoscimento degli assegni familiari;
c) assistenza sanitaria carente, nonostante recentemente sia stata firmata la convenzione con la Asl Rm B per riattivare l'assistenza odontoiatrica;
d) azzeramento dell'attività culturale interna;
e) pessimo funzionamento del casellario giudiziario;
da dicembre manca uno dei magistrati di sorveglianza (che dovrebbe occuparsi dei detenuti il cui cognome comincia con le lettere A-M);
a causa dei frequenti trasferimenti, i detenuti impegnati in attività di formazione sono costretti a sospendere i corsi;
il regolamento interno emanato nel 1938 non è mai stato aggiornato; una recente disposizione della Direzione ha stabilito inoltre che, visto che nelle stanze detentive sono stipati generi ed oggetti oltre il limite consentito, i generi in eccesso trovati nelle celle saranno ritirati e
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inviati ai rispettivi familiari con un pacco postale a spese del detenuto -:
se non ritenga che la situazione nel carcere di Rebibbia sia lesiva del diritto alla salute, del diritto a un lavoro retribuito e del diritto allo studio dei detenuti;
se, alla luce dei rilievi fatti dal Garante Regionale dei Detenuti del Lazio, intenda prendere opportune iniziative al fine di garantire ai detenuti di Rebibbia un adeguato reinserimento sociale a fine pena;
se non ritenga che la disposizione che stabilisce l'immediato ritiro dalle celle dei generi in eccesso aggravi le già carenti condizioni di vita dei detenuti di Rebibbia e se non intenda intervenire sulla direzione del carcere affinché sospenda immediatamente tale iniziativa.
(4-14223)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
Il tribunale di sorveglianza di Roma è composto (oltre che dal Presidente dell'omonimo tribunale) da 14 magistrati di sorveglianza, 12 dei quali assegnati all'ufficio di sorveglianza di Roma, uno assegnato all'ufficio di sorveglianza di Frosinone ed uno assegnato all'ufficio di sorveglianza di Viterbo.
Detto organico presenta, allo stato, un solo posto vacante dei 12 posti di magistrato previsti presso l'Ufficio di sorveglianza di Roma, tenuto conto che l'altro posto vacante, pubblicato dal Consiglio superiore della magistratura con telex in data 24 marzo 2005, è stato coperto da un magistrato che non ha ancora preso possesso.
Tanto premesso, deve altresì aggiungersi che il progetto organizzativo generale del citato tribunale di sorveglianza per il biennio 2004/2005 prevede, in relazione all'Ufficio di Roma, una ripartizione degli affari tra i magistrati ad esso addetti, in primo luogo, fondata sullo stato del condannato (distinguendosi, cosi, tra procedimenti relativi a condannati detenuti e procedimenti afferenti condannati non detenuti).
I procedimenti aventi ad oggetto condannati detenuti, in particolare, sono a loro volta suddivisi tra i magistrati secondo un ulteriore criterio, destinato a realizzare un obiettivo collegamento tra i magistrati e gli istituti penitenziari, ubicati nelle circoscrizioni di competenza dell'ufficio.
Più in dettaglio, e con riferimento alle lettere iniziali dei cognomi dei detenuti:
a) i procedimenti afferenti i detenuti nella casa circondariale «Rebibbia Nuovo Complesso» sono stati assegnati alle dottoresse Anna Vari (lettere da A a C), Marcella Trovato (lettere da D a K), Laura Longo (lettere da L a P) e Piera Panzadura (lettere da Q a Z);
b) i procedimenti relativi ai detenuti presso la casa circondariale «Rebibbia femminile Roma» sono stati interamente assegnati alla dottoressa G. Gaspari;
c) i procedimenti afferenti detenuti presso la casa circondariale «Rebibbia 3a casa» sono stati integralmente assegnati al dottor Giulio Romano.
Quanto ai procedimenti relativi a soggetti ristretti presso la casa di reclusione «Rebibbia-Roma», essi risultano, allo stato, assegnati alla dottoressa Paola Cappelli (subentrata alla dottoressa Antonella Mazzei - trasferita ad altro ufficio - a decorrere dal 3 novembre 2004) quelli relativi ai detenuti il cui cognome inizi con una delle lettere comprese tra la «N» e la «Z»; mentre i procedimenti afferenti i detenuti nel medesimo Istituto il cui cognome inizia con una delle lettere comprese tra la «A» e la «M» risulta invece essere stato investito il dottor Luigi Argan, sino alla data della sua immissione in possesso presso il tribunale di Roma (intervenuta in data 28 febbraio 2005).
Per quanto concerne l'asserita mancata corresponsione delle mercedi e dei ritardi nelle procedure relative al riconoscimento degli assegni familiari la direzione della casa di reclusione di Rebibbia, con nota del 16 maggio 2006, ha comunicato che l'accredito delle mercedi sui conti correnti interni dei detenuti lavoranti viene effettuato
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entro il decimo giorno di ciascun mese - in relazione alle prestazioni lavorative rese nel mese precedente - ai fini dell'esatta determinazione degli importi spettanti a ciascun detenuto (elaborazione del riepilogo del mod. 81 - «giornaliera» dei detenuti lavoranti -, calcolo della mercede, liquidazione dell'importo e accredito).
L'affermazione che «il regolamento interno d'istituto emanato nel 1938 non è stato mai aggiornato» non trova riscontro in quanto a quella data l'istituto romano non era ancora funzionante. Di fatto, la casa di reclusione di Roma Rebibbia deve ancora dotarsi di un proprio regolamento interno, elaborato dalla commissione prevista e disciplinata dall'articolo 16 ordinamento penitenziario. Nelle more, la regolamentazione delle modalità e degli orari di svolgimento delle diverse attività che vengono realizzate in carcere, nonchè dei generi di cui è consentito l'acquisto o la ricezione, è stabilita con apposito ordine di servizio interno, emanato dalla direzione.
Per quanto riguarda la presunta assenza di attività culturali all'interno dell'istituto penitenziario, si fa presente che sono attivi corsi di scuola elementare e di alfabetizzazione per stranieri; corsi di scuola superiore (è prevista l'attivazione di corsi per il conseguimento della patente informatica europea rivolti a detenuti diplomati); quattro detenuti sono poi impegnati in studi di livello universitario.
Vengono inoltre organizzate attività formative integrate, in collaborazione con il 2o CTP (Centro Territoriale Permanente), relative a pacchetti formativi di lettura e scrittura, di musica e multimedialità.
È presente una compagnia teatrale stabile ed un laboratorio di musica, oltre a corsi sportivi in collaborazione con l'associazione UISP (Unione Italiana Sport Per Tutti).
La biblioteca del carcere continua ad avvalersi della collaborazione di personale delle biblioteche comunali, per sostenere i detenuti incaricati del servizio, ed è in corso di realizzazione un software per la messa in rete dei cataloghi di tutte le biblioteche del comune di Roma.
Per quanto concerne l'assistenza sanitaria si rappresenta, infine, che l'organizzazione dei servizi sanitari presso il citato istituto prevede la presenza di un medico incaricato per tre ore giornaliere, del servizio di guardia medica SIAS di 24 ore e dell'assistenza infermieristica di 30 ore pro die. Sono, inoltre, attive le branche specialistiche di cardiologia, chirurgia, ecografia, odontoiatria, ortopedia, pneumologia e radiologia.
Tale modello è conforme ai criteri di organizzazione dei servizi sanitari negli istituti di pena, stabiliti con numerose direttive del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria tra le quali, in particolare, si evidenziano la circolare del 15 gennaio 1999, che ha diversificato l'organizzazione sanitaria penitenziaria in relazione al numero di detenuti presenti e la circolare del 21 ottobre 2003, che ha integrato detti parametri con la tipologia dei detenuti presenti e le disponibilità del territorio, al fine di individuare le branche specialistiche da attivare.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
MASCIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale e non supera mai questa soglia;
le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all'interno di carceri maschili;
circa 70 bambini al di sotto dei tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all'interno di carceri maschili;
le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezza molto inferiore a quelle degli uomini e la maggior parte non supera i cinque anni;
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l'Ordinamento penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili come, ad esempio, gli asili nido là dove l'istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini;
l'associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale, cui l'associazione stessa ha preso parte, sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti:
a) nonostante l'esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei. Tale sovraffollamento, determinato in massima parte dalle presenze maschili, è tuttavia subito anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;
b) le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere (prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità) per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;
c) la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all'interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all'interno degli istituti maschili e contenendo l'intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo familiare -:
se non ritenga necessario istituire un apposito Ufficio del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
(4-16074)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si premette che la composizione per sesso della popolazione ristretta negli istituti penitenziari italiani da molto tempo si mantiene sostanzialmente stabile.
Da un'analisi storica delle presenze medie annue, limitate all'ultimo decennio, si riscontra una percentuale di donne detenute che si mantiene intorno al 5 per cento negli anni dal 1990 al 1993; dal 1994 in poi tale percentuale si attesta su valori eguali o di poco superiori al 4 per cento (con punte massime riscontrabili - costantemente - nelle regioni della Lombardia, del Lazio, del Veneto e dell'Emilia Romagna).
Attualmente il numero di donne complessivamente ristrette in carcere è di 2.885 unità (dato rilevato alla prima decade di dicembre 2005); trattasi di una percentuale minima dell'intera popolazione detenuta, specie se raffrontato con la popolazione maschile che, alla medesima data, si attesta su 57.032 unità.
Non avendo il numero delle donne recluse mai superato la soglia della normale capienza di tollerabilità, non si riscontrano i problemi di affollamento che affliggono le sezioni maschili.
Una percentuale significativa di presenze detentive è rappresentata da n. 1.349 detenute straniere, con prevalenza di detenute iugoslave, nigeriane e rumene.
Le strutture carcerarie che ospitano donne detenute con prole (attualmente 56) sono complessivamente 20, di cui due sono istituti solamente femminili (Roma e Venezia), mentre le altre sono sezioni femminili di istituto maschile.
Generalmente la permanenza dei bimbi nelle strutture penitenziarie è piuttosto fluttuante in quanto legata ai tempi tecnici necessari per la concessione delle misure alternative alle madri detenute, ai sensi della legge 8 marzo 2001, n. 40.
Da un confronto dei dati relativi allo scorso anno con quelli degli anni precedenti e, in particolare, a partire dal 2001, anno di
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entrata in vigore della citata legge n. 40, emerge che la presenza media delle detenute con prole e dei bambini in istituto è in calo (alla data del 31 dicembre 2001 le donne detenute con figli in istituto erano 61 e i bambini minori di tre anni 63, mentre alla data del 31 dicembre 2003 le donne detenute madri con figli in istituto erano 53 e i bambini minori di tre anni 56).
Tale dato è ancora più evidente se lo si pone a confronto con quello relativo al numero complessivo delle donne detenute che, negli ultimi anni, al contrario, è andato progressivamente crescendo.
Le categorie di reato prevalenti nell'ambito della popolazione detentiva femminile sono quelle connesse all'uso di sostanze stupefacenti, alla prostituzione e ai reati contro il patrimonio (rari i casi di condanne per reati di tipo associativo).
La commissione di questo tipo di reati, pur comportando condanne a pene edittali contenute, condiziona, però, spesso negativamente, le possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione: è richiesta, infatti, a tal fine, ai sensi dell'articolo 47-quinquies ordinamento penitenziario, la non sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, condizioni queste che mal si adattano ad una tipologia di reati, quali quelli sopra citati.
In prevalenza la popolazione detenuta femminile è di origine extracomunitaria, ovvero di etnia Rom. Anche tale caratteristica rende più difficile l'accesso alle misure alternative alla detenzione, in mancanza di uno stabile punto di riferimento, ovvero per la condizione di clandestinità in cui talora si trovano. Va, infine, precisato che l'accesso ai suddetti benefici di legge è precluso alle condannate in via definitiva.
L'amministrazione penitenziaria, consapevole che la condizione delle detenute in generale e, segnatamente, quella delle detenute madri, richiede particolare attenzione, è impegnata nella individuazione e predisposizione di tutti quegli strumenti attraverso i quali contemperare le esigenze «dell'universo femminile» con quelle prioritarie di ordine e sicurezza, che caratterizzano la vita in un'istituzione chiusa quale è il carcere.
Numerose iniziative vengono poste in essere per migliorare le condizioni di vita delle donne detenute. Fondamentale si rivela l'opera di educazione, informazione e sostegno di operatori, soprattutto educatori, che supportano ed aiutano le donne detenute. Difatti, dall'inizio del periodo di reclusione, sono previste tutta una serie di programmi trattamentali per evitare che l'esclusione dal contesto sociale venga percepita e vissuta come un abbandono della collettività.
Esse, inoltre, usufruiscono del personale medico ed infermieristico disponibile o presente in istituto. A titolo esemplificativo, l'amministrazione penitenziaria, quando vi è un'esigenza continuativa di assistenza alle gestanti, alle puerpere e ai bambini, assicura la presenza in istituto di un ginecologo e, se possibile, di uno psicologo specializzato in psicologia dell'età evolutiva; organizza asili nido ovvero si adopera per garantire l'accoglienza dei minori presso gli asili nido del territorio anche oltre il limite di età. Ad esempio, nell'Istituto di Venezia Giudecca e di Roma Rebibbia i bambini, grazie alla collaborazione tra l'amministrazione penitenziaria, il comune e l'assessorato alle politiche sociali, vengono accompagnati ogni giorno presso l'asilo nido comunale e riportati nell'istituto penitenziario la sera.
La medesima amministrazione ha, inoltre, autorizzato, con i fondi del capitolo di bilancio n. 1830, l'istituzione di nuovi asili nido al fine di dare compiuta attuazione al disposto dell'articolo 42 ordinamento penitenziario, previa apposita ricognizione delle strutture già esistenti onde procedere ad una organizzazione più funzionale dei servizi destinati a tale tipologia detentiva.
Recentemente sono stati attivati i servizi di puericultura, di ludoteca e colonie estive per i bambini (presso la C.F.R. di Venezia Giudecca già da due anni è attiva la colonia estiva).
Per la prima volta, infine, nell'ambito delle direttive generali sull'attività amministrativa e sulla gestione per l'anno 2005, per quanto di competenza del dipartimento dell'amministrazione
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penitenziaria, è stato messo a punto un progetto - il programma esecutivo d'azione cosiddetto PEA n. 25 - a favore della popolazione detenuta femminile che vede coinvolte una serie di strutture interne all'amministrazione ed esterne, al fine di verificare le condizioni di vita delle donne detenute e delle attività trattamentali che vengono loro offerte, per realizzare un'analisi del contesto detentivo ed eventualmente formulare proposte adeguate e soluzioni operative che «rispondano ai bisogni dello specifico donna».
Per questi motivi, ed in considerazione della massima attenzione posta in essere dall'amministrazione penitenziaria nei confronti delle donne detenute, non si ritiene necessario istituire un apposito ufficio che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
MASSIDDA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il Comune di Monserrato è stato autonomo sino al 1928, quando fu accorpato al Comune di Cagliari, e disponeva di un proprio stemma e gonfalone ottocenteschi. Tale stemma, pur non essendo registrato presso la Consulta araldica - istituita nel 1943 - è emblema della storia e della cultura locale. È stato utilizzato sino ad alcuni anni addietro, in forma ufficiale, quale logo della comunità locale e delle sue associazioni sportive e culturali;
con referendum del 21 aprile 1991, la Frazione di Monserrato del Comune di Cagliari si distacca dal comune capoluogo ed il 16 novembre 1991 si costituisce in comune autonomo;
il 19 gennaio 1999 assurge a rango di Città per avere nel proprio territorio strutture di rilevante interesse pubblico: le facoltà scientifiche dell'Università degli studi e il Policlinico. Tuttavia non possiede ancora lo schema ufficiale né il gonfalone;
il 5 ottobre 1999 la pratica è trasmessa alla Consulta araldica per il provvedimento di riconoscimento. La Consulta lo contesta e suggerisce una gamma di aggiustamenti possibili. La Giunta interviene, valuta, accoglie e demanda alla stessa Consulta, il da farsi per non interrompere la pratica in itinere;
il 1 marzo 2000 il Capo dello Stato concede il gonfalone alla città di Monserrato;
il 4 maggio 2000 (due mesi dopo) la Giunta comunale, approva il gonfalone decretato dal Capo dello Stato;
è necessario rilevare, per fare piena luce sulla vicenda che il Consiglio Comunale non è stato convocato per approvare lo stemma e il gonfalone definitivi. Tale omissione, secondo l'interrogante, inficia un atto pubblico obbligatorio e fondamentale, in violazione dell'articolo 8 dello Statuto comunale. Di fatti la Giunta comunale è incompetente sul merito in quanto l'approvazione dello stemma e gonfalone è un atto di rilevante interesse sociale che, per questo, richiede l'approvazione collegiale da parte del Consiglio comunale con maggioranza qualificata. Si rileva per altro che la richiesta da parte di 500 cittadine di Monserrato, riunitisi in Comitato, di motivare la sostituzione dello stemma tradizionale, ritenendone confutabili i motivi, non ha sortito effetti neppure attraverso il coinvolgimento del Prefetto;
in conclusione si può segnalare quanto segue:
la città di Monserrato ha un gonfalone concesso con decreto del Presidente della Repubblica 1 marzo 2000 che non è stato approvato dall'organo istituzionale competente e, secondo l'interrogante, l'atto illegittimo di approvazione del gonfalone inficia l'atto stesso di concessione;
le spese, di circa 30 milioni delle vecchie lire, sostenute per realizzare l'attuale gonfalone derivano, a parere dell'interrogante da un atto illegittimo e per ciò devono essere revocate -:
se nel caso di specie non siano state violate le norme nazionali che riguardano
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gli enti locali sulla concessione del gonfalone e dello stemma comunale; in caso affermativo, se non sia necessario espletare una nuova procedura di concessione dello stemma e del gonfalone.
(4-19081)
Risposta. - Va premesso, anzitutto, che le disposizioni costituzionali introdotte con la legge n. 3 del 2001 e il profondo processo di riforma dello Stato hanno ampliato lo spazio di autonomia delle comunità locali, già elemento fondante della nostra Costituzione.
Tale quadro costituzionale ha caducato ogni forma di controllo sugli atti degli enti locali e, pertanto, escluso ogni intervento autoritativo da parte dell'amministrazione centrale che, al di fuori delle ipotesi espressamente previste dall'ordinamento, si verrebbe a configurare come indebita ingerenza.
Come ricordato anche dall'interrogante, a seguito di una intensa e documentata corrispondenza tra il competente Ufficio Araldico della Presidenza del Consiglio dei ministri e il comune di Monserrato (CA), con decreto del Presidente della Repubblica in data 1o marzo 2000, sono stati concessi alla città di Monserrato lo Stemma ed il Gonfalone.
Rispetto alle perplessità manifestate dall'interrogante in ordine alla legittimità della delibera di giunta n. 112 del 4 maggio 2000, con la quale è stata decisa l'acquisizione dello Stemma e del Gonfalone, il comune di Monserrato, interessato dalla prefettura di Cagliari, ha fatto presente che la volontà del consiglio comunale si era espressa in modo inequivocabile attraverso le delibere n. 49 del 13 novembre 1998 e n. 29 del 5 ottobre 1999.
Lo stesso comune ha precisato che la simbologia adottata riproduce la tradizione economica, la specificità culturale e storica e, infine, l'esaltazione dell'autonomia ritrovata, e che, altresì, è stata definita seguendo quanto indicato dal citato Ufficio Araldico, la cui soluzione accoglieva pienamente e sostanzialmente le citate delibere del consiglio comunale.
Va segnalato, infine, che sulla questione è stato proposto in data 27 novembre 2004 un ricorso straordinario al Capo dello Stato contro la città di Monserrato per l'annullamento della citata deliberazione di giunta comunale nonché del citato decreto del Presidente della Repubblica del 1o marzo 2000.
Detto ricorso, al momento, non risulta ancora definito.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Antonio D'Alì.
MAURANDI e CARBONI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel dicembre del 1985 Aldo Scardella di 24 anni fu arrestato con l'accusa di omicidio a scopo di rapina, e tenuto in isolamento per 7 mesi;
nel luglio del 1986 Scardella, mentre si trovava ancora in isolamento, fu trovato impiccato nella sua cella e le indagini successive stabilirono che si era trattato di suicidio;
successivamente, nel 1996, furono processate e condannate altre due persone per il delitto di cui era stato accusato Scardella e fu proclamata l'innocenza di quest'ultimo;
la famiglia, che si è sempre battuta per il riconoscimento dell'innocenza del congiunto, non ha mai condiviso le conclusioni dell'inchiesta sul suicidio, ritenendo che siano rimasti lati oscuri nella vicenda;
risulta agli interroganti che la famiglia si sia rivolta con varie istanze alla magistratura per far luce sulle circostanze e sui moventi del suicidio senza riuscire ad ottenere informazioni soddisfacenti;
la famiglia e diversi articoli di stampa sostengono che le indagini condotte a suo tempo sull'omicidio di cui era stato accusato Scardella sarebbero state approssimative e avrebbero raccolto fragili indizi;
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in base a documentazione raccolta dalla stessa famiglia risulta, altresì, che:
1) nel 1989 un detenuto, vicino di cella di Scardella al momento del suicidio, abbia raccontato al giudice di essersi accordato con Scardella per un finto suicidio al fine di indurre l'autorità di vigilanza ad assegnargli un piantone, che gli alleviasse la condizione di isolamento;
2) l'autopsia sul corpo di Aldo Scardella abbia rilevato la presenza di metadone, ma non risulta che egli a quell'epoca fosse dedito al consumo di droga, e d'altra parte, dalle cartelle cliniche del carcere, non risultano terapie a base di metadone;
le vicende del lungo periodo di isolamento e la fragilità degli indizi raccolti per l'accusa di omicidio hanno suscitato a suo tempo indignazioni e critiche in vari ambienti, compresi quelli della magistratura e dell'avvocatura del foro di Cagliari, insieme a numerose interrogazioni parlamentari;
la famiglia continua a manifestare perplessità sul suicidio volontario e sospetta circostanze e comportamenti che avrebbero minato la resistenza psicologica di Aldo Scardella e lo avrebbero «indotto» al suicidio;
al di là delle indagini condotte dalla magistratura, la famiglia Scardella, ad avviso degli interroganti, ha moralmente diritto a pretendere verità e trasparenza sulla vicenda di Aldo Scardella, considerato il modo in cui è stato trattato essendo innocente e considerato che, nella vicenda del suicidio, vi sono aspetti obiettivamente oscuri -:
di quali informazioni il Governo disponga in ordine ai fatti di cui alla premessa;
se non intenda promuovere una inchiesta amministrativa presso il carcere in cui è avvenuto il suicidio di cui in premessa per accertare con assoluta certezza fatti e circostanze che hanno indotto il giovane al suicidio.
(4-15771)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al decesso del detenuto Aldo Scardella, si comunica che dalla relazione ispettiva, a suo tempo predisposta, risulta, fra l'altro, che lo Scardella durante la detenzione non ha mai manifestato gravi stati depressivi, se non in una circostanza mentre era ristretto nella casa circondariale di Oristano, dove gli fu riscontrata una lieve forma di nevrosi d'ansia.
Il suicidio è avvenuto per impiccagione verso le ore 15.00 del 2 luglio 1986 poco dopo il rientro dei detenuti dal passeggio pomeridiano.
Lo Scardella fu tra i primi detenuti a rientrare dal passeggio e si avvalse di una striscia di lenzuolo legata a forma di cappio alle inferriate della finestra della cella.
Nella relazione ispettiva si dà atto che nell'evento del suicidio sono escluse in maniera inequivocabile responsabilità di ordine amministrativo o disciplinare.
Nella cella fu rinvenuto un foglio autografo dove lo Scardella diceva ai suoi familiari «vi chiedo perdono, se mi trovo in questa situazione lo devo solo a me stesso. Ho deciso di farla finita perdonatemi per i guai che ho causato. Muoio innocente. Ai miei familiari. Aldo»
Per far completa chiarezza sulla vicenda, si ricorda che nei confronti dello Scardella, indagato, tra l'altro, per l'omicidio di Giovanni Battista Pinna, la procura di Cagliari ebbe ad emettere ordine di cattura, in data 29 dicembre 1985, in seguito confermato dal tribunale del riesame. Nel corso dell'istruttoria sommaria il pubblico ministero esaminò circa 140 testimoni e sentì l'indagato i giorni 7, 13, 22 e 28 gennaio nonché i giorni 3 e 7 febbraio del 1986. Proseguita l'istruzione del procedimento con rito formale, il giudice incaricato (diverso dal precedente) emise altro mandato di cattura, del pari confermato dal tribunale del riesame.
Successivamente al decesso dello Scardella i familiari del medesimo presentarono denuncia nei confronti dei magistrati inquirenti ed il relativo procedimento, aperto dalla procura della Repubblica di Roma ed all'esito del quale non è stato ravvisato alcun elemento significativo che potesse
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deporre per una qualche responsabilità dei magistrati predetti, fu archiviato. Su tali basi questo ministero non ha ritenuto di dover avviare alcuna iniziativa sul versante disciplinare.
Relativamente all'uso di droga da parte del detenuto, agli atti e, in particolare, nella cartella clinica risulta che lo Scardella era un ex tossicodipendente e che in stato di libertà era in terapia con il metadone.
Dagli atti del fascicolo non si hanno notizie circa un finto suicidio che sarebbe stato posto in essere durante la carcerazione dal suddetto detenuto prima della data del decesso.
Al detenuto Scardella non fu mai revocato dall'Autorità giudiziaria lo stato di isolamento per motivi di giustizia. Dai rapporti di servizio allegati alla relazione ispettiva risulta che tramite il competente comando dei carabinieri i familiari furono informati del decesso del detenuto.
Sulla base degli atti in possesso risulta palese che si è trattato di suicidio e che non vi sono state responsabilità di alcun tipo da parte degli organi penitenziari.
In merito al caso Scardella, la procura di Cagliari ha riferito che presso detto ufficio sono stati depositati nel corso degli ultimi anni vari esposti a firma di Scardella Cristiano, fratello di Aldo.
Tali denunce hanno dato vita ai seguenti procedimenti: n. 20196/03/44 - archiviato; n. 9790/04/44 - archiviato; n. 12764/05/44 - attualmente pendente.
La suddetta procura ha precisato che l'ultimo procedimento è costituito da un esposto che contiene le stesse accuse riportate nel testo dell'interrogazione.
Da una prima disamina, la procura ha osservato che le ipotesi penali ravvisabili dal racconto dello Scardella sono il reato di cui all'articolo 479 c.p. (falsità ideologica della cartella clinica relativa ad Aldo Scardella) ovvero all'articolo 580 c.p. (induzione al suicidio, attraverso la cessione di metadone da parte di qualche detenuto allo Scardella medesimo).
Entrambe le ipotesi si sarebbero verificate nel luglio 1986 e cioè diciannove anni fa: un tempo tale da determinare la prescrizione dei reati ipotizzati.
Quest'ultimo dato, secondo l'anzidetto Ufficio inquirente, condiziona obiettivamente la possibilità stessa di procedere a verifiche, ad indagini e a contestazioni di fatti di reato ad eventuali autori individuati.
Per quanto riguarda gli altri due detenuti tuttora ristretti in carcere, condannati per il reato per il quale fu arrestato il detenuto Scardella, trattasi di Peddio Adriano, nato a Cagliari il 31 agosto 1964, detenuto nella casa di reclusione Alghero, e di Gamba Valter, nato a Cagliari il 15 settembre 1961, detenuto nella casa di reclusione di Alghero, condannati entrambi dalla Corte di assise di Appello di Cagliari per il reato di concorso in omicidio.
Il Peddio ha il fine pena previsto per la data dell'8 novembre 2016, mentre il Gamba per la data del 29 gennaio 2018.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
MISURACA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
è notizia di stampa di alcuni giorni fa che cinque PM della direzione distrettuale Antimafia di Caltanissetta continuano a viaggiare a bordo di mezzi vecchi e inaffidabili, malgrado alcuni di loro siano stati oggetto di gravi intimidazioni;
magistrati e agenti della scorta percorrono le strade della provincia Nissena e della Sicilia a bordo di auto blindate vecchie e ormai non più sicure che spesso per guasti si fermano in aperta campagna o strade isolate in attesa di soccorso, mettendo a repentaglio la vita degli stessi;
questi fedeli servitori dello Stato operano da sempre in prima linea contro la criminalità mafiosa ben organizzata e crudele nelle proprie azioni anche, e principalmente nei confronti dei magistrati e dei loro collaboratori;
per tali motivi lo Stato deve creare condizioni di protezione negli uffici, nella vita privata con mezzi idonei allo loro sicurezza;
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proprio in questi giorni la DDA di Caltanissetta insieme a quella di Palermo hanno coordinato la cattura di 50 fedelissimi del latitante Bernardo Provenzano;
in più occasioni il procuratore generale della Repubblica di Caltanissetta e gli stessi Procuratori interessati hanno sollecitato interventi da parte dello Stato chiedendo nuove auto e il rafforzamento delle misure di sicurezza;
a maggior ragione, ora, a seguito dell'ultima operazione, si rendono ancora più urgenti tali interventi;
la situazione descritta non permette ai magistrati di lavorare con serenità -:
se sia a conoscenza di tale situazione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di provvedere all'invio delle nuove macchine blindate e al rafforzamento delle misure di sicurezza per garantire l'incolumità ai rappresentanti della giustizia.
(4-12646)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la situazione del parco vetture della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, si precisa, preliminarmente, che il parco vetture degli uffici distrettuali antimafia sono coordinati dalla Direzione nazionale antimafia, il cui titolare dell'ufficio, in qualità di funzionario delegato, provvede, oltre che alla gestione dei fondi, alla rimodulazione del parco vetture, ordinarie e blindate, secondo quanto stabilito dalla circolare della ex Direzione generale degli affari civili e delle Libere professioni n. AC4/01335/15 del 2 febbraio 2001 (sul c.d. decentramento).
Pertanto, il competente ufficio ministeriale provvede, sulla base delle richieste e nel limite delle disponibilità economiche e di mezzi, alle esigenze delle Direzioni distrettuali antimafia, direttamente tramite la Direzione nazionale antimafia.
Premesso quanto sopra, la situazione delle vetture e dei magistrati dell'ufficio periferico di Caltanissetta è la seguente: vetture blindate: 13 (1 Lancia K; 11 Fiat Croma e 1 BMW), a fronte di n. 9 magistrati in organico, di cui 6 in protezione.
È vero che molte delle Fiat Croma sono vetuste e in evidente stato di usura, ed è per tale motivo che l'ufficio ne ha a disposizione un numero maggiore di quelle strettamente necessarie, al fine di far fronte all'eventuale sostituzione dovute a ricoveri in officina.
In ogni caso, poiché è in corso l'assegnazione di altre 150 BMW protette, anche il parco auto della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta potrà, presumibilmente entro l'anno, essere ampiamente rinnovato.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
MONDELLO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
per cause diverse avvengono spesso rinvii e si verificano lungaggini burocratiche in campo giudiziario con grande delusione delle aspettative dei cittadini;
da diversi giorni il tribunale di Chiavari è costretto a rinviare ad altra data sia le udienze preliminari, sia le prosecuzioni dei processi per direttissima perché mancano i pubblici ministeri;
l'ultima situazione si e verificata la mattina del 26 settembre 2005 e non si esclude che possa accadere ancora;
la carenza di pubblici ministeri togati, dopo il trasferimento di un pubblico ministero, sta infatti rischiando di bloccare tutto il lavoro pianificato nei mesi scorsi, prima della pausa estiva;
la mattina del 26 settembre 2005 infatti, il giudice per l'udienza preliminare ha dovuto rinviare una dozzina di processi fra udienze preliminari e direttissime poiché non era disponibile un pubblico ministero;
una situazione al limite del paradosso, giudici costretti a rinviare i processi per carenza oggettiva di pubblici ministeri;
presso la procura della Repubblica di Chiavari ci sono, attualmente, tre magistrati: un procuratore e due sostituti;
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il quarto magistrato si è trasferito presso la Procura della Repubblica di Ancona, ma la sua partenza era già nota e ufficiale a metà luglio 2005;
nessuna sostituzione è stata messa in programma e così, per questioni meramente burocratiche e di pianificazione al momento la Procura è sprovvista di un magistrato;
il risultato lo si può immaginare lentezze ulteriori nelle procedure, processi che slittano e reati che vanno in prescrizione -:
se non ritenga di esaminare la situazione dell'organico presso il tribunale di Chiavari e di adottare le iniziative di competenza affinché possa riprendere con regolarità il corso, già di per sé faticoso, delle pratiche giudiziarie.
(4-17052)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
L'organico del personale di magistratura della procura della Repubblica presso il tribunale di Chiavari non è stato interessato dalla ripartizione del primo continente dei 546 posti recati in aumento dalla legge 48/2001, realizzata con il decreto ministeriale 23 gennaio 2003 in corrispondenza delle prove scritte del primo dei concorsi per uditore giudiziario, banditi ai sensi dell'articolo 18 della medesima legge.
Al riguardo, si evidenzia che tale intervento, con il quale sono stati distribuiti 234 dei predetti 546 posti, era rivolto principalmente a soddisfare le esigenze operative nei superiori gradi di giudizio (Corte di cassazione e Corti di appello), interessati da significativi incrementi del rispettivo carico di lavoro, nonché a realizzare l'istituzione delle piante organiche dei magistrati distrettuali.
Per gli uffici di primo grado, si è ritenuto in linea generale di poter procrastinare ai successivi interventi di ripartizione l'attribuzione di nuovi posti in organico, con poche limitate eccezioni, relative in prevalenza agli uffici cui erano state provvisoriamente sottratte unità in organico con il decreto ministeriale 9 aprile 2001 nonché ai tribunali interessati dalla riforma legislativa di cui al decreto legislativo 491/99 (c.d. tribunali metropolitani).
Successivamente, con decreto ministeriale 7/4/2005, si e provveduto a ripartire ulteriori 196 unità dei predetti 546 posti di magistrato recati in aumento dalla legge n. 48 del 2001.
Anche nell'ambito di tale intervento, per l'ufficio in questione non si è ritenuto opportuno procedere ad ampliamenti della relativa pianta organica.
In merito, si evidenzia che, secondo la metodologia seguita, in sede di predisposizione dell'intervento, la procura della Repubblica presso il tribunale di Chiavari non raggiungeva, in relazione al biennio 2002/2003, uno scostamento dai valori medi della sopravvenienza pro-capite per magistrato, tale da rendere necessario procedere nell'immediato ad un ampliamento dell'organico del personale di magistratura.
Le determinazioni assunte sono state, peraltro, condivise dal Consiglio Superiore della magistratura che al riguardo, con proprio parere espresso nella seduta del 16 marzo 2005, non ha sollevato obiezioni al mancato incremento della pianta organica della procura della Repubblica di Chiavari.
La pianta organica dell'ufficio in questione è rimasta, pertanto, invariata e risulta composta come di seguito specificato:
qualifica Procuratore, organico 1;
qualifica procuratore aggiunto, organico 0;
qualifica sostituto procuratore, organico 3;
totale 4.
L'attuale situazione dell'ufficio in esame, il cui organico togato composto dal procuratore della Repubblica e da 3 Sostituti procuratori, presenta la vacanza di uno dei 3 anzidetti posti di Sostituto procuratore; detta vacanza risulta pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura in data 3 ottobre 2005.
L'organico togato del tribunale di Chiavari, invece, si compone del Presidente e di
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11 giudici, uno dei quali con funzioni di giudice del lavoro. Allo stato, presenta la vacanza del solo posto di giudice del lavoro previsto, anch'essa pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura, con telex del 3 ottobre 2005.
In ogni caso, le esigenze operative dell'ufficio in questione potranno essere valutate nell'ambito della predisposizione del III ed ultimo intervento di ripartizione delle residue 116 unità di magistrato.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
NARDINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sulla Gazzetta Ufficiale n. 90 quarta serie speciale del 13 dicembre 2002 veniva pubblicato il bando di concorso pubblico (P.D.G. 8 novembre 2002) per la copertura di 443 posti di Ufficiale Giudiziario (area funzionale C, posizione economica C 1);
la copertura dei 443 posti di Ufficiale Giudiziario si riteneva necessaria da parte dell'Amministrazione Giudiziaria a fronte della mancanza della suddetta figura professionale negli uffici di notificazione ed esecuzione protesti nelle sedi decentrate in ambito distrettuale ed interdistrettuale;
in data 25 e 26 settembre 2003 si svolgeva nei rispettivi distretti la prova scritta dell'anzidetto concorso, nel caso de quo - distretto delle Corti di Appello di Bari, di Lecce di Taranto e di Potenza - la prova scritta si svolgeva a Bari;
in data 29 marzo 2004 la Commissione esaminatrice del Concorso distrettuale per Ufficiale Giudiziario - posizione economica C 1 - indetto con P.D.G. dell'8 novembre 2002 per i distretti di Bari, di Lecce, di Taranto e di Potenza, iniziava l'esame di colloquio dei candidati che avevano superato la prova scritta del concorso così come previsto dall'articolo 7 del bando;
in data 6 ottobre 2004, terminata la prova orale, la Commissione esaminatrice stilava la graduatoria generale di merito che veniva pubblicata in data 30 novembre 2004 sul Bollettino Ufficiale n. 22 del Ministero della Giustizia;
con decreto del Presidente della Repubblica del 31 luglio 2003 (registrato alla Corte dei Conti il 22 agosto 2003) si dava seguito all'assunzione di 94 unità per l'anno 2003;
considerate le esigenze di servizio determinate dalla rilevante mancanza degli organici degli Uffici Giudiziari, in particolar modo dei distretti del Nord Italia, con decreto del Presidente della Repubblica del 25 agosto 2004 (registrato alla Corte dei Conti il 16 settembre 2004), si procedeva all'assunzione di 154 unità per l'anno 2004;
le assunzioni sono state complessivamente di 248 unità, tutte ricadenti nei distretti del Nord Italia;
in data 15 luglio 2004 veniva stipulata una Convenzione tra il Dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria del Ministero della Giustizia, su delega del Ministro, e le Poste Italiane S.p.A.; la Convenzione aveva ed ha ad oggetto la gestione integrata degli esiti delle notificazioni a mezzo del servizio degli atti giudiziaria sia in materia civile e sia in materia penale;
la Convenzione prevede un costo medio al destinatario della raccomandata dell'atto giudiziario di circa euro 10. Tale importo medio risulta sensibilmente maggiore rispetto ai rimborsi attualmente disposti in favore degli ufficiali giudiziari che variano da euro 0,33 a euro 1,20 (in materia penale). Pertanto, lo Stato dovrebbe pagare alle Poste, per ogni destinatario di una notifica a mezzo raccomandata, la somma di circa 10 euro;
oltre ai 443 vincitori del suddetto concorso sono risultati idonei 817 unità su 2.289 unità previsti dalla pianta organica;
da ultimo, la Corte di Cassazione ha più volte espresso in sede di giurisprudenza
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la nullità degli atti giudiziari notificati a mezzo di raccomandata -:
quali siano stati i criteri adottati dall'Amministrazione Giudiziaria per ciò che attiene la ripartizione delle 248 unità in ambito distrettuale, unità quest'ultime tutte assegnate ai distretti del Nord Italia;
se non si ritenga urgente e necessario procedere all'assunzione delle 817 unità considerate idonee, ma non assunte, dall'Amministrazione Giudiziaria;
se il Ministero della Giustizia intenda revocare la convenzione stipulata con le Poste Italiane S.p.A., dato che la convenzione citata in premessa arreca un serio pregiudizio lavorativo a coloro che sono risultati idonei (817 unità) a ricoprire l'incarico di ufficiale giudiziario e, anche a fronte delle diverse sentenze della Corte di Cassazione che ha dichiarato nulli gli atti giudiziari notificati a mezzo di raccomandata.
(4-16151)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
In premessa va detto che l'interrogante è incorso nell'equivoco di operare un collegamento tra la stipula della convenzione con Poste Italiane s.p.a. e l'assunzione dei vincitori del concorso a ufficiale giudiziario C1. Si rende opportuno precisare che non vi è nessun collegamento tra la stipula della convenzione con l'ente Poste Italiane e l'assunzione dei vincitori e degli idonei del concorso a ufficiale giudiziario C1.
La Convenzione, infatti, non ha per oggetto l'attività di notificazione in senso stretto, ma la fornitura di un servizio amministrativo informatizzato per la gestione integrata degli esiti di essa. Da ciò consegue che la stipula della Convenzione non può in alcun modo interferire con le questioni legate alle dotazioni organiche degli Unep, i quali restano comunque titolari della funzione di notificazione. In proposito va chiarito che quest'amministrazione ha ritenuto di aderire alla citata convenzione nel convincimento che il sistema di lavorazione integrata in essa previsto possa avere come effetto quello di ottimizzare il procedimento di notificazione, con particolare riferimento alla certezza degli esiti, avendo però nel contempo piena contezza che con i servizi offerti non si può, né in alcun modo si vuole, surrogare l'attività necessaria dell'organo notificatore.
Per quanto riguarda l'assunzione di parte dei vincitori del concorso distrettuale a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 si comunica che sono stati assunti tutti i vincitori e 164 idonei.
Infatti, per quanto concerne la prima parte di assunzioni si è utilizzata l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 per 154 unità mentre, per altre 94 unità si è utilizzata l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003, per un totale di 248 unità.
La scelta dei distretti, per l'assunzione delle 248 unità autorizzate dal dipartimento della funzione pubblica, è stata effettuata prendendo in considerazione la situazione delle vacanze nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1.
Nei distretti individuati di Torino, Milano-Brescia, Trento-TriesteVenezia e Genova, la scopertura nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1, era ben superiore al 50 per cento; detta situazione si era ulteriormente aggravata all'esito dell'interpello straordinario del 20 gennaio 2004 per i posti vacanti nella citata figura professionale, pubblicato ai sensi dell'articolo 19 dell'accordo sulla mobilità interna del 28 luglio 1998, propedeutico all'assunzione dei vincitori.
Poiché 10 unità delle 248 neoassunte non hanno preso servizio, per non lasciare inutilizzate le unità autorizzate si è proceduto con l'assunzione dei primi 10 vincitori del concorso del distretto di Firenze, che presentava la maggiore percentuale di scopertura dopo i distretti in precedenza indicati.
Considerato che la legge 30 dicembre 2004 n. 311 (legge finanziaria 2005) prevede una deroga al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego per fronteggiare indifferibili esigenze di servizio, nel caso di questa amministrazione, è stata individuata
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dalla stessa legge finanziaria la priorità dell'immissione in servizio dei vincitori e degli idonei al concorso di cui sopra, sempre nell'ambito delle procedure e nei limiti di autorizzazione all'assunzione.
Si precisa altresì che, a seguito delle disposizioni dettate dal dipartimento della funzione pubblica con circolare dell'11 aprile 2005, è stata predisposta la richiesta di autorizzazione alle assunzioni per l'anno 2005 secondo le modalità di cui all'articolo 39 comma 3-ter della legge 27 dicembre 1997 n. 449, dando priorità a quanto stabilito dall'articolo 1 comma 97 lettera c) della legge 311/2004.
Per quanto concerne l'assunzione dei rimanenti 186 vincitori e dei 164 idonei si è appena concluso l'iter di assegnazione delle sedi.
Infatti, la competente direzione generale con provvedimenti del 23 settembre e del 17 ottobre 2005, a seguito della intervenuta autorizzazione dal dipartimento della funzione pubblica all'assunzione di 350 unità di personale, ha disposto l'assunzione rispettivamente dei rimanenti 186 vincitori del citato concorso e di 164 idonei.
Pertanto le suddette unità sono state invitate a sottoscrivere il contratto individuale ed a scegliere la sede e l'ufficio, rispettivamente in data 3 e 4 novembre 2005 e, così come stabilito nel contratto, hanno assunto servizio in data 14 e 15 novembre 2005.
Poiché 23 unità, tra vincitori ed idonei, non si sono presentate per sottoscrivere il contratto e, ad oggi, risulta il mancato possesso di 9 unità nelle date sopra indicate, questa amministrazione procederà entro il corrente anno ad assumere altrettante unità, inserite nelle rispettive graduatorie distrettuali.
Per quanto riguarda la Convenzione con Poste Italiane s.p.a, richiamato quanto detto in premessa, va precisato che nessun obbligo discende dalla convenzione in ordine al ricorso al mezzo postale. Peraltro, stante la sua natura contrattuale, va evidenziato che non si è voluto creare una nuova tipologia di notifiche e non si è nemmeno voluto introdurre per l'organo notificatore un vincolo diverso da quello discendente dalla norma, relativamente all'adozione di una piuttosto che di un'altra modalità di notificazione.
Dunque, non sono contenuti in convenzione né principi innovativi sotto il profilo strettamente procedurale né meccanismi incentivanti, che possano portare a una residualità della notifica a mani.
Infatti, la notificazione a mezzo del servizio postale non è un quid novi nel nostro panorama normativo né in quello operativo. Essa è prevista dai codici di rito agli articoli 149 codice di procedura civile e 170 del codice di procedura penale e compiutamente e organicamente disciplinata dalla legge n. 890 del 1982. Inoltre, è una modalità di notificazione di cui si fa largo uso nella prassi operativa, principalmente per scelta della struttura Unep deputata alla funzione, che gode in materia di ampia discrezionalità.
Giova ribadire, infatti, che l'unico vincolo all'uso del mezzo postale, che riguarda peraltro i soli atti in materia civile e amministrativa da notificare fuori dal comune, discende per l'ufficiale giudiziario direttamente dalla legge e non già dalla convenzione.
Inoltre, dalle rilevazioni statistiche, risulta che un elevato numero di atti giudiziari viene attualmente notificato a mezzo posta ed appare del tutto evidente l'interesse di quest'amministrazione all'adozione di sistemi di lavorazione che, grazie anche all'apporto di strumenti informatici, consentano di migliorare un procedimento di notifica di largo uso, intervenendo, in particolare, su alcune criticità, quali quelle connesse alla certezza dell'esito della notificazione, che possono avere effetti negativi sui tempi del processo.
Pertanto, si tratta di intervenire su una attività che costituisce esercizio della funzione giudiziaria e i cui punti deboli sono ascrivibili alla complessità del procedimento.
Non va dimenticato, infatti, che la notifica a mezzo posta è una fattispecie a formazione progressiva, che si articola in varie fasi e vede l'intervento di organi diversi, segnatamente, l'ufficiale giudiziario
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che certifica la rituale spedizione dell'atto e l'ufficiale postale che ne certifica la rituale consegna.
È del tutto evidente quindi che tale forma di notificazione, proprio per il coinvolgimento di organi e uffici diversi, necessita di un monitoraggio più articolato e di un sistema in grado di creare un raccordo tra le varie fasi del procedimento, nonché tra gli uffici richiedenti e i diversi soggetti che concorrono a formarla, al fine di evitare tutti quegli slittamenti processuali purtroppo abbastanza frequenti, dovuti all'incertezza degli esiti delle notificazioni.
Questa, in sintesi, la sfera d'intervento della convenzione, stipulata non per cedere funzioni a enti esterni ma, al contrario, per migliorare in termini di efficacia una modalità di notifica, rispetto alla quale, vale la pena di sottolineare, l'ufficiale giudiziario non è affatto un soggetto estraneo, ma è anzi dominus del procedimento, poiché da lui partono gli atti di impulso e di prima attuazione delle notificazioni di cui trattasi.
Per quanto attiene al paventato aumento della spesa pubblica determinato dalla Convenzione si precisa che il costo concordato, di euro 8,37 ad atto, non determina rispetto al pregresso variazioni di spesa in aumento; lo stesso è infatti un costo globale, comprensivo anche di eventuali seconde raccomandate per comunicazioni di avvenuto deposito, stimate come necessarie in almeno un terzo dei casi e che, attualmente, hanno un costo autonomo, pari a quello delle altre raccomandate per atti giudiziari.
Si precisa, inoltre, che il costo concordato è fisso a prescindere dal peso del piego, mentre il costo delle raccomandate fuori convenzione varia, in aumento, in ragione di esso.
Si fa presente, altresì, che lo stesso è assorbente del 15 per cento delle spese per tenuta del conto di credito, che finora è stato sopportato come costo autonomo.
Pertanto, può ragionevolmente affermarsi che, lungi dal far lievitare i costi, si è pervenuti semmai, con l'accordo in questione, a una semplificazione e razionalizzazione della spesa pubblica, con conseguenti benefici, in termini di facilità di monitoraggio e controllo dei livelli di impegno economico.
Quanto detto basterebbe a giustificare la convenienza economica della pattuizione e pur tuttavia non può sottacersi, nella valutazione di essa, del risparmio di spesa che deriverebbe dall'evitare i numerosi rinvii processuali, che tristemente caratterizzano il nostro panorama processuale.
In realtà, alla luce di quanto esposto, l'accordo concluso con Poste Italiane risulta vantaggioso in quanto consente di migliorare una funzione indispensabile all'attività giudiziaria, con un impegno di spesa che globalmente considerato risulta quantomeno pari a quello sostenuto in precedenza.
In materia di spesa va ancora evidenziato l'errore di metodo che consiste nel rapportare il costo della notifica a mani con quello a mezzo posta. È del tutto evidente che la notifica a mani, essendo effettuata esclusivamente con una struttura propria ha un costo apparente inferiore, se nella valutazione di esso si tiene conto esclusivamente del costo della trasferta e non di quello del lavoro.
Se poi si considera che il servizio di Poste Italiane copre capillarmente tutto il territorio, finanche nei comuni più piccoli, la notifica a mezzo posta è da considerare, allo stato, una modalità di notifica fondamentale e irrinunciabile, la cui ottimizzazione è esattamente conforme all'etica di una funzione di giustizia che vuole essere rapida, certa ed efficiente.
Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, la richiesta di recedere dal contratto con le Poste Italiane s.p.a. non può essere accolta da questa amministrazione, in quanto si registrano con soddisfazione i primi dati relativi all'attuazione del sistema, che ha avuto positivo riscontro nelle realtà lavorative di base.
A tutt'oggi, infatti, il nuovo sistema di lavorazione risulta attivato nel 97 per cento degli uffici, con un elevato numero di atti notificati pari a circa 1.200.000, con un flusso giornaliero di circa 10.000 atti.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
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ONNIS. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
una recente decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo (pronunciata l'11 gennaio 2005 sul ricorso numero 33695/96, caso Musumeci contro Italia) ha condannato l'Italia per la violazione degli articoli 6, paragrafo 1 e 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e sulle libertà fondamentali (Il Sole-24 Ore, edizione del 7 febbraio 2005, pagina 27);
oggetto di tale decisione era, innanzi tutto, il sistema di controllo giurisdizionale attualmente previsto nei confronti dei provvedimenti con i quali il Ministro della giustizia dispone l'applicazione del regime carcerario speciale, ai sensi dell'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Il detenuto può proporre ricorso contro tali provvedimenti dinanzi al tribunale di sorveglianza, che dovrebbe pronunciarsi entro dieci giorni;
tuttavia, secondo quanto si osserva nella decisione citata, il sistematico ritardo con il quale, almeno nel caso esaminato, il tribunale di sorveglianza ha deciso i ricorsi proposti dal Musumeci, ha vanificato l'effettività e l'utilità di quel controllo giurisdizionale sui provvedimenti ministeriali. Per esempio, in quattro casi il tribunale di sorveglianza aveva annullato le restrizioni alle visite dei familiari, ma, poiché tali decisioni venivano assunte dopo almeno due mesi (o, addirittura, dopo quattro mesi), anziché nel termine di dieci giorni stabilito dalla norma predetta, il ricorrente aveva troppo a lungo sofferto tali ingiustificate limitazioni. In un altro caso, la Corte di Cassazione, dinanzi alla quale era stata impugnata la decisione del tribunale di sorveglianza, doveva rigettare il ricorso perché, essendosi nel frattempo interamente concluso il periodo di applicazione del provvedimento ministeriale, mancava ormai qualunque interesse alla causa;
inoltre, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto che il regime penitenziario E.I.V. (a Elevato Indice di Vigilanza), previsto dalla circolare D.A.P. numero 3479/5929 del 9 luglio 1998 e adottato sulla base di scelte discrezionali dell'autorità penitenziaria, violi il citato articolo 6, paragrafo 1 della Convenzione citata, in quanto tuttora non sono previsti meccanismi di controllo giurisdizionale nei confronti di tali provvedimenti -:
se non si ritenga opportuno intervenire con urgenza, e, nel caso, con quali iniziative, anche di carattere normativo, in conseguenza della citata decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo.
(4-13175)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta che la sentenza della Corte Edu sul caso Musumeci contro Italia non è ancora definitiva in quanto la competente direzione generale di questo ministero ha già inviato alla Rappresentanza d'Italia presso il Consiglio d'Europa le osservazioni per la richiesta di rinvio alla Grande Camera, in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte Europea diritti dell'uomo per il regime Elevato Indice Vigilanza. Si è pertanto in attesa di conoscere l'esito dell'esame di ammissibilità da parte del collegio sulla richiesta presentata, che verrà comunicato dalla Rappresentanza permanente d'Italia.
A tale proposito, peraltro, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha segnalato che il regime penitenziario E.I.V. (Elevato indice di vigilanza) non comporta alcuna modificazione del regime penitenziario, in quanto i detenuti che vi sono, inseriti fruiscono di un trattamento individualizzato, in aderenza all'articolo 14 legge 26 luglio 1975, n. 354, che prevede la separazione di detenuti ed internati: invero, non vengono limitate le possibilità di accesso e di fruizione delle attività trattamentali, nè il tempo dedicato alla c.d. socialità o quello di permanenza all'aria, né il numero di colloqui o di telefonate, né la possibilità di detenere computer, né l'eventuale ammissione ai benefici penitenziari soffrono alcuna limitazione rispetto a quello riservato ai detenuti ordinari. L'inserimento in tale circuito determina soltanto l'allocazione in sezioni di istituti
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destinate esclusivamente a tale categoria di detenuti, ove viene riservata una attenzione custodiale ed una vigilanza maggiore.
In ogni caso un ricorso amministrativo può essere presentato contro il decreto applicativo di questo regime.
Più in generale può essere proposto un ricorso al tribunale di sorveglianza avverso ogni misura riguardante le modalità di esecuzione di una pena.
In relazione, invece, ai constatati ritardi del tribunale di sorveglianza nel decidere i reclami presentati da detenuti sottoposti al regime penitenziario di cui all'articolo 41-bis, si fa presente, innanzi tutto, che la stessa Corte Europea diritti dell'uomo ha già in altre occasioni avuto modo di conoscere e vagliare in senso positivo le esigenze sottese all'articolo 41-bis, (sentenza Rinzivillo, p. 16 e 17) che sono in sintesi collegate a ragioni di sicurezza pubblica, per tutelare cioè la collettività dal pericolo che, soggetti in situazioni particolari, perché al vertice di organizzazioni criminali particolarmente pericolose, siano in grado di organizzare crimini, dando ordini, anche dal carcere presso cui sono ristretti.
In secondo luogo le modifiche introdotte dalla legge 23 dicembre 2002 n. 279 sul regime ex articolo 41-bis, hanno, tra l'altro, disciplinato in modo forse più completo rispetto alla disciplina originaria l'iter procedimentale che prevede oggi l'acquisizione di pareri, la verifica in concreto dell'idoneità del Decreto ministeriale ad impedire i collegamenti con un'associazione criminale e a contrastare le esigenze di ordine e sicurezza, la specificazione delle limitazioni, la possibilità che anche d'ufficio in caso di anticipata cessazione delle condizioni possa disporsi la revoca della misura etc. Si è inteso, in definitiva, ampliare il controllo giurisdizionale per garantire un più efficace controllo sul rispetto dei presupposti e requisiti di legge, anche qualora i provvedimenti dovessero essere reiterati. A tale proposito l'articolo 2-sexies ultima parte prevede che se il reclamo al tribunale di sorveglianza è accolto, anche parzialmente, con la conseguente revoca del Decreto, il Ministro della giustizia ove intenda disporre un nuovo provvedimento deve, tenendo conto della decisone del tribunale, evidenziare elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo.
In terzo luogo si fa presente che la Suprema Corte di cassazione con la sentenza del 26 gennaio 2004 n. 4599, modificando il precedente orientamento, ha ritenuto che il detenuto mantiene interesse alla pronuncia sul reclamo proposto anche se scaduti i termini di efficacia del Decreto, perché «l'esito del controllo di legalità sul provvedimento. ...È destinato a riflettere i suoi effetti vincolanti, in via diretta e immediata, sul "rinnovato" esercizio del potere di applicazione e proroga del trattamento penitenziario...».
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
PERROTTA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il concorso pubblico, distrettuale, per esami per la copertura di 443 posti vacanti nella figura professionale di ufficiale giudiziario, area funzionale C - posizione economica C1 del personale del ministero della giustizia - amministrazione giudiziaria, disponibili negli uffici notificazioni, Esecuzioni e Protesti indetto con P.D.G. l'8 novembre del 2002;
nel mese di giugno 2004 sono uscite le graduatorie dei vincitori del concorso pubblico per la professione di ufficiale giudiziario;
nel corso del 2004 è stata autorizzata solo l'assunzione di 242 posti con preferenza alle sedi del Nord anziché alle sedi con maggiore e più grave carenza di organico;
lo scorso 3 agosto, dopo mesi di dura battaglia dei giovani disoccupati meridionali, è stata approvata l'assunzione dei rimanenti 188 vincitori di concorso per Ufficiale Giudiziario per i Distretti di Corte di Appello del Sud Italia;
la scorsa legge finanziaria ha disposto l'assunzione in servizio di tutti i restanti
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vincitori ed idonei, stanziando anche il relativo impegno di spesa e sempre in data 3 agosto si è stabilito di assumere ulteriori 175 idonei;
si vogliono destinare le assunzioni ai soli distretti del Nord, anziché ripartirli, secondo la necessità, su tutto il territorio nazionale -:
quali siano le ragioni che impediscano di fatto l'assunzione degli idonei presso i distretti di Corte di Appello del Sud;
quali siano i criteri di assegnazione dei posti e le proporzioni sul territorio nazionale;
se non sia il caso di intervenire, in tempi celeri, per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei e dei vincitori di concorso.
(4-17050)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
Per quanto riguarda l'assunzione di parte dei vincitori del concorso distrettuale a 443 posti di ufficiale giudiziario C1 si comunica che sono stati assunti tutti i vincitori e 164 idonei.
Infatti, per quanto concerne la prima parte di assunzioni si è utilizzata l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 25 agosto 2004 per 154 unità mentre, per altre 94 unità si è utilizzata l'autorizzazione concessa con decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 2003, per un totale di 248 unità.
La scelta dei distretti, per l'assunzione delle 248 unità autorizzate dal dipartimento della funzione pubblica, è stata effettuata prendendo in considerazione la situazione delle vacanze nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1.
Nei distretti individuati di Torino, Milano-Brescia, Trento-Trieste-Venezia e Genova, la scopertura nella figura professionale di ufficiale giudiziario C1, era ben superiore al 50 per cento detta situazione si era ulteriormente aggravata all'esito dell'interpello straordinario del 20 gennaio 2004 per i posti vacanti nella citata figura professionale, pubblicato ai sensi dell'articolo 19 dell'accordo sulla mobilità interna del 28 luglio 1998, propedeutico all'assunzione dei vincitori.
Poiché 10 unità delle 248 neoassunte non hanno preso servizio, per non lasciare inutilizzate le unità autorizzate si è proceduto con l'assunzione dei primi 10 vincitori del concorso del distretto di Firenze, che presentava la maggiore percentuale di scopertura dopo i distretti in precedenza indicati.
Inoltre la legge 30 dicembre 2004 n. 311 legge finanziaria 2005), in deroga al blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, nel caso di questa amministrazione, ha individuato la priorità dell'immissione in servizio dei vincitori e degli idonei al concorso di cui sopra, sempre nell'ambito delle procedure e nei limiti di autorizzazione all'assunzione.
Si precisa altresì che, a seguito delle disposizioni dettate dal dipartimento della funzione pubblica con circolare dell'11 aprile 2005, è stata predisposta la richiesta di autorizzazione alle assunzioni per l'anno 2005 secondo le modalità di cui all'articolo 39 comma 3-ter della legge 27 dicembre 1997 n. 449, dando priorità a quanto stabilito dall'articolo 1 comma 97 lettera c) della legge n. 311 del 2004.
Per quanto concerne l'assunzione dei rimanenti 186 vincitori e dei 164 idonei si è appena concluso l'iter di assegnazione delle sedi.
Infatti, la competente direzione generale con provvedimenti del 23 settembre e del 17 ottobre 2005, a seguito della intervenuta autorizzazione dal dipartimento della funzione pubblica all'assunzione di 350 unità di personale, ha disposto l'assunzione rispettivamente dei rimanenti 186 vincitori del citato concorso e di 164 idonei.
Pertanto le suddette unità sono state invitate a sottoscrivere il contratto individuale ed a scegliere la sede e l'ufficio, rispettivamente in data 3 e 4 novembre 2005 e, così come stabilito nel contratto, hanno assunto servizio in data 14 e 15 novembre 2005.
Poiché 23 unità, tra vincitori ed idonei, non si sono presentate per sottoscrivere il
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contratto e, ad oggi, risulta il mancato possesso di 9 unità nelle date sopra indicate, questa amministrazione procederà ad assumere altrettante unità, inserite nelle rispettive graduatorie distrettuali.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
PERROTTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in Turkmenistan non vi sono le più elementari libertà individuali (vedi Panorama n. 5);
il presidente Niyazov ha un vero e proprio culto della sua personalità;
il Turkmenistan è il quinto paese produttore di gas al mondo;
si stimano in almeno 20.000 i cittadini detenuti per problemi politici -:
se il Ministro interrogato intenda intervenire presso il governo del Turkmenistan affinchè sia manifestata l'esigenza che siano garantire maggiori libertà individuali ai cittadini di codesto Stato.
(4-19719)
Risposta. - Il Turkmenistan è un Paese governato con metodi autocratici dal Presidente Niyazov, autoproclamatosi Serdar Turkmenbashi (il suo appellativo preferito: «grande leader di tutti i turkmeni»), che ha imposto nel Paese un culto della personalità: dappertutto nel Paese figurano immagini, poster e decine di statue di Niyazov. Il Presidente Niyazov ha anche ordinato di rinominare i mesi dell'anno ed i giorni della settimana [gennaio è diventato turkmenbashi, mentre il nome della madre, Gurbansoltan, ha sostituito aprile, settembre è stato cambiato in Ruhnama perché aveva finito di scrivere il suo libro «Ruhnama» (guida spirituale la cui lettura è «obbligatoria» per tutti i turkmeni) proprio il 12 settembre].
In campo economico, il Turkmenistan approfitta dell'autosufficienza energetica dovuta alle risorse di gas naturale, che lo pongono al secondo posto dopo la Federazione Russa, fra gli Stati ex-URSS, per la produzione annua. Nonostante il Turkmenistan si autoproclami il quinto paese produttore di gas al mondo, esistono forti dubbi sull'accuratezza delle statistiche ufficiali; stime esterne lo pongono comunque fra i primi 15 Paesi produttori di gas naturale.
La Costituzione del Turkmenistan garantisce, in teoria, i diritti umani e le libertà fondamentali; nella pratica, il Presidente esercita un ferreo controllo sui poteri giudiziario, legislativo ed esecutivo, e non sono ammessi partiti di opposizione. Il numero di detenuti politici sarebbe comunque relativamente basso, nell'ordine di alcune dozzine.
L'Italia non ha una propria Ambasciata in Turkmenistan. Il nostro Capo Missione a Mosca - competente territorialmente - in occasione di visite ad Ashgabat non ha mancato di sollevare con i suoi interlocutori il problema dell'insufficiente rispetto dei diritti umani nello Stato centro-asiatico.
Nei competenti fori internazionali, in particolare in sede di Nazioni Unite, l'Italia si è inoltre costantemente allineata alle iniziative di condanna per gli abusi commessi in questo settore dal regime del Presidente Niyazov.
Benché il Paese abbia ratificato la maggior parte delle principali convenzioni internazionali in materia di tutela e protezione dei diritti umani ed abbia abolito la pena di morte, secondo quanto riferiscono i Capi Missione dell'Unione europea in Turkmenistan, la situazione reale sarebbe lungi dal potersi considerare soddisfacente. Tale preoccupazione dei Capi missione dell'Unione europea si è tradotta, nel corso della 60ma Assemblea Generale delle nazioni Unite di New York (settembre-dicembre 2005), con la presentazione da parte dell'Unione europea di una risoluzione sulla situazione dei diritti umani in Turkmenistan, approvata il 16 dicembre 2005 con 71 voti a favore, 35 contrari e 60 astenuti. Il testo esprime tutta la preoccupazione della Comunità internazionale sullo stato delle libertà fondamentali in quel Paese ed in particolare l'apprensione per le continue e serie violazioni dei diritti umani, incluse la repressione dell'opposizione
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politica, le detenzioni arbitrarie, le condizioni delle carceri ed il trattamento dei prigionieri.
Altre preoccupazioni espresse nella risoluzione riguardano il controllo dei media esercitato dal Governo, le continue restrizioni alla libertà di espressione e di culto nonché le discriminazioni contro gruppi etnici minoritari. La risoluzione esorta pertanto il Governo turkmeno al rispetto dei diritti umani e le libertà fondamentali e a lavorare a tal fine a stretto contatto con l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani, concedendo l'ingresso nel paese ai relatori speciali della Commissione dei diritti umani delle Nazioni unite di Ginevra e permettendo al contempo ai membri della Croce rossa internazionale e ad altri esponenti della Comunità internazionale il pieno accesso ai luoghi di detenzione.
Anche il Segretario generale delle Nazioni unite Kofi Annan nel suo ultimo rapporto sulla situazione dei diritti umani in Turkmenistan, reso pubblico il 20 settembre 2005, ha espresso serie riserve sullo stato dei diritti e delle libertà fondamentali nel Paese, riferendo di numerose violazioni di tali diritti. Nelle sue conclusioni, pur facendo stato di alcuni miglioramenti circa la volontà delle Autorità turkmene nell'affrontare tale problematica, esorta anch'egli il Governo del Turkmenistan ad una maggiore collaborazione con le Procedure speciali della Commissione dei diritti umani di Ginevra, con particolare riguardo anch'egli all'accesso nel Paese dei relatori speciali.
L'Italia, che sostiene ed incoraggia le varie iniziative intraprese dall'Unione Europea al riguardo, continuerà a monitorare con attenzione l'evoluzione della situazione dei diritti umani in Turkmenistan.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Roberto Antonione.
PISAPIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da notizie stampa si è appreso che, in data 26 marzo 2004, un detenuto paraplegico di cinquanta anni, Andrea Mazzariello, si è tolto la vita nel carcere di Opera;
Andrea Mazzariello era detenuto presso il centro clinico del carcere, in quanto affetto da una grave forma di stenosi alla colonna vertebrale (una restrizione abnorme del canale vertebrale) che, in particolare, dopo avergli paralizzato le gambe, gli aveva ormai bloccato quasi del tutto anche le braccia;
tale malattia fa sì che con l'avanzare dell'età, o in seguito a piccoli traumi (o anche senza apparente causa), compaiano dolori e sofferenze delle radici nervose - contenute, assieme al midollo spinale, nel canale vertebrale - che, non avendo spazio sufficiente, rimangono schiacciate;
proprio per le sue gravi condizioni di salute, che lo costringevano da tempo anche all'uso di una sedia rotelle, gli era stata riconosciuta da alcuni anni l'invalidità civile e, negli ultimi mesi, il diritto all'accompagno;
il Mazzariello - per evitare, o quantomeno attenuare, i fortissimi dolori conseguenti alla malattia - faceva uso di morfina che però, come dichiarato dal suo difensore, nel centro clinico del carcere gli veniva negata;
in sostituzione della morfina, gli venivano invece somministrati solo dei succedanei da ingerire per via orale che, oltre a non alieviargli affatto i dolori, gliene procuravano, in aggiunta, di altrettanto forti allo stomaco;
il difensore di Andrea Mazzariello, sin dall'arresto, aveva presentato richiesta di differimento della pena per incompatibilità delle sue condizioni di salute con la detenzione in carcere;
alle drammatiche condizioni di salute di Andrea Mazzariello, che hanno portato lo stesso togliersi la vita, anche in quanto non era più in grado di sopportare gli atroci dolori che gli derivavano dalla malattia in assenza di cure adeguate, si aggiunge il fatto grave che, sia il difensore,
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che la famiglia del detenuto, hanno saputo del suicidio solo per caso, non avendo avuto alcuna informazione dal carcere di Opera -:
di quali informazioni il Ministro interrogato disponga circa i fatti riferiti in premessa;
quali iniziative intenda intraprendere affinché siano accertate eventuali responsabilità sia per la mancata somministrazione di adeguati antidolorifici, indispensabili per alleviare gli atroci dolori che affliggevano Andrea Mazzariello, sia per la mancanza delle dovute cure, e degli opportuni controlli, che avrebbero potuto impedire il tragico suicidio;
come giudichi il fatto che un detenuto paraplegico in gravissime condizioni di salute arrivi a suicidarsi non potendo usufruire della sospensione dell'esecuzione della pena, o di misure alternative al carcere, per potersi curare, nonché il fatto che, dal carcere di Opera, non sia arrivata alcuna comunicazione ufficiale del suicidio né al legale, né alla famiglia del detenuto;
come valuti l'intera vicenda, anche in considerazione degli ingenti tagli effettuati nell'ultima finanziaria al budget della sanità penitenziaria.
(4-09665)
Risposta. - L'ultimo arresto del detenuto Andrea Mazzariello, nato a Margherita di Savoia (Foggia) il 26 agosto 1953, risale al 10 febbraio 2004, atteso che nel passato, già a decorrere dall'anno 1982, aveva subito numerose carcerazioni [quale autore di vari delitti contro il patrimonio e di reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
In data 30 marzo 2000 il tribunale di Lodi lo aveva condannato alla pena della reclusione di undici anni per i reati di violenza carnale nei confronti di minore e atti di libidine violenti e, pertanto, la procura della Repubblica di Lodi il 5 gennaio 2004 aveva emesso ordine di esecuzione della pena (il fine pena era previsto per il 9 febbraio 2015)].
Il detenuto Mazzariello dal 17 febbraio 2004 si trovava ristretto nella casa di reclusione di Milano Opera, proveniente dalla casa circondariale di Lodi, a seguito di provvedimento di trasferimento emesso dal Provveditorato regionale della Lombardia.
Il 24 marzo 2004 il medesimo detenuto si suicidava nella cella a mezzo impiccagione, con l'ausilio della cinta dell'accappatoio, legata a forma di cappio alla inferriata della finestra della cella da lui stesso occupata.
Sulla base dei rapporti di servizio risulta che il detenuto si è suicidato a seguito di uno stato depressivo, determinato dal rifiuto di una donna, in stato di libertà, di rispondere alle sue lettere, infatti, in una missiva a lei indirizzata, trovata nella cella, vi era la seguente frase: «ultima lettera, se non ci sarà un riscontro, addio mia amata».
A seguito del decesso, la procura della Repubblica presso il tribunale di Milano ha iscritto il procedimento n. 1943/04 mod. 45, successivamente archiviato dall'Autorità giudiziaria in quanto, come confermato dagli accertamenti autoptici, il decesso è stato ricondotto ad un evento suicidario, senza responsabilità di terzi.
Il medesimo detenuto aveva delle difficoltà nella deambulazione per patologie che lo costringevano ad avvalersi dell'uso di una carrozzella. Era ubicato in una cella singola onde evitare problemi con gli altri detenuti, considerato il tipo di reati per i quali era stato condannato (violenza carnale nei confronti di minore e atti di libidine violenti).
Il Mazzariello era adeguatamente seguito sotto il profilo medico, anche attraverso le attrezzature e i servizi medici del centro diagnostico terapeutico annesso alla casa di reclusione di Milano Opera.
Essendo stato arrestato il 10 febbraio 2004 e dovendo scontare 11 anni, al detenuto non potevano ancora essere concessi i benefici di legge.
Per quanto concerne i detenuti che si trovano in condizione di disabilità, l'Amministrazione penitenziaria provvede ad assegnarli, secondo i criteri previsti dall'articolo 65 dell'ordinamento penitenziario, tenuto conto che si tratta di infermità fisiche compatibili con lo stato di detenzione.
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La patologia fisica che, viceversa, richiede necessariamente un trattamento non eseguibile secondo le modalità dell'articolo 11 dell'ordinamento penitenziario obbliga il Giudice ad astenersi dal disporre la custodia cautelare in carcere (articolo 275 comma 4 del codice di procedura penale) e, se vi è stata già la condanna definitiva, ad ordinare il differimento dell'esecuzione della pena (articolo 147 del codice penale) o l'espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare (articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario).
Il trattamento riservato ai detenuti infermi è di tipo terapeutico e risocializzante al tempo stesso. L'assegnazione, ex articolo 65 dell'ordinamento penitenziario, permane fino a quando sussiste l'infermità.
Ad ogni buon conto, si elencano di seguito gli istituti penitenziari destinati a ricevere i detenuti affetti da infermità, minorazioni fisiche o psichiche, e le relative presenze nel mese di ottobre 2005:
Istituti destinati a ricevere i detenuti classificati minorati fisici con la relativa sezione:
C.R. Parma capienza 25, presenza 21 + 17 disabili;
C.R. Ragusa capienza 14, presenza 16;
C.R. Turi capienza 29, presenza 13;
Istituti penitenziari destinati a ricevere i soggetti sottoposti al regime della minorazione psichica (ex articolo 111 n. 5 e seguenti del Regolamento di Esecuzione dell'ordinamento penitenziario - decreto del Presidente della Repubblica 230/2000):
C.R. Roma Rebibbia capienza 18, presenza 12;
O.P.G. Napoli capienza 20, presenza 26;
O.P.G. Barcellona Pozzo di Gotto capienza 20, presenza 22;
O.P.G. Reggio Emilia capienza 20, presenza 17;
Istituti penitenziari dotati di Centro Diagnostico Terapeutico:
C.C. Torino «Lo Russo e Cutugno» capienza 23, presenza 23;
C.C. Milano San Vittore capienza 90, presenza 79;
C.R. Milano Opera capienza 95, presenza 54;
C.R. Parma capienza 18, presenza 14;
C.C. Genova capienza 21, presenza 43;
C.C. Pisa capienza 80, presenza 70;
C.C. Roma Regina Coeli capienza 80, presenza 65;
C.C. Perugia femminile capienza 18, presenza 16;
C.C. Perugia maschile capienza 27, presenza 27;
C.C. Napoli Secondigliano capienza 84, presenza 64;
C.C. Napoli Poggioreale capienza 51, presenza 52;
C.C. Messina capienza 48, presenza 43;
C.C. Cagliari capienza 36, presenza 17.
I Centri diagnostici terapeutici della casa circondariale di Sassari e della casa circondariale di Palermo Ucciardone sono attualmente chiusi.
Si deve far presente che ove taluno dei sopraindicati detenuti necessiti di interventi sanitari specifici non realizzabili nell'istituto di assegnazione, si dispone il trasferimento provvisorio nel centro diagnostico terapeutico, che sia in grado di assicurare le cure e la terapia occorrente. Ove comunque il detenuto non possa essere curato in nessuna delle strutture sopra indicate, il soggetto malato viene ricoverato in luogo esterno di cura, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 11 dell'ordinamento penitenziario e/o in caso di urgenza in conformità alla procedura, prevista dall'articolo 17 n. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000 n. 230.
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Inoltre, allo scopo di dare attuazione alla previsione di cui all'articolo 65 della legge 354/1975 «Ordinamento penitenziario» secondo la quale «I soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per un idoneo trattamento», con nota del 24 marzo 2000 il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha individuato due livelli di assistenza sanitaria, per garantire dei servizi sanitari adeguati per l'accoglienza e la cura dei detenuti affetti da disabilità motoria e sensoriale di vario grado.
In particolare, sono stati previsti l'istituzione o l'ampliamento, laddove già esistenti di reparti di I livello per l'assistenza sanitaria ai detenuti disabili non autosufficienti da attivarsi presso istituti penitenziari, sede di centro clinico.
Inoltre, sono stati invitati i Provveditori regionali a valutare la individuazione di reparti di livello intermedio per l'assistenza sanitaria dei detenuti disabili autosufficienti, tra gli istituti penitenziari dotati di infermeria attrezzata e assistenza sanitaria di base, garantita per tutto l'arco delle 24 ore.
La realizzazione di detti reparti comporta la programmazione di lavori edilizi che in molte sedi sono stati già completati, come negli istituti penali di Parma o nella casa circondariale di Bari (ove è stato riaperto il C.D.T. nel mese di luglio 2005 e sono stati attivati il Reparto di Medicina e il Reparto per i diversamenti abili-tetraparaplegici), mentre in altre località sono tuttora in corso.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
PISAPIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
da notizie stampa, si è appreso che, in data 6 e 7 febbraio 2005, nella Sezione «2A» del carcere di Tolmezzo (alla periferia Nord di Udine), due detenuti sarebbero stati picchiati da alcuni agenti della polizia penitenziaria;
in particolare, il 6 febbraio scorso, Mohammed, un detenuto tunisino che era uscito dalla sua cella per procurarsi alcuni alimenti e utensili da cucina, aveva ricevuto, da parte di un detenuto di un'altra cella, la richiesta di un caffè;
Mohammed, portato il caffè al detenuto che l'aveva chiesto, nel mentre faceva rientro nella sua cella con quanto gli era necessario per cucinare, sarebbe stato invitato da alcuni agenti della polizia penitenziaria ad avvicinarsi al loro gabbiotto dove, dopo qualche attimo, sarebbe stato preso a calci e pugni;
come riportato dalla stampa, nel perpetrare le violenze, gli agenti non si sarebbero neanche fermati dinanzi alle urla di protesta che pure si erano levate nella sezione da parte di alcuni detenuti;
in seguito, Mohammed sarebbe stato successivamente riportato in cella grondante sangue;
la mattina successiva, verso le ore 11,30, un altro detenuto, Mondher (tra quelli che avevano protestato per le violenze del giorno prima), sarebbe stato invitato, da agenti della polizia penitenziaria, ad avvicinarsi allo stesso gabbiotto;
nei confronti di Mondher sarebbe stato quindi operato, da parte di due agenti della polizia penitenziaria, un «trattamento» analogo a quello riservato a Mohammed: pugni e feroci calci alla testa;
Mondher, però, nonostante le fratture riportate alle ossa, il giorno seguente denunciava l'accaduto;
nella denuncia, in parte riportata dalla stampa, il detenuto ha dichiarato: «L'agente di sezione mi ha fatto uscire dalla stanza, dicendomi che dovevo parlare con qualcuno nella guardiola della sezione seconda A ma, appena giunto in quella stanza, ho subito ricevuto un'aggressione da parte di due agenti che mi hanno colpito con calci alla testa...»;
dalle medesime notizie stampa, risulta inoltre che la coraggiosa denuncia
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avrebbe procurato a Mondher non solo un rapporto disciplinare - facendo venir meno il beneficio premiale che gli era stato attribuito nei mesi precedenti per buona condotta (quarantacinque giorni di anticipo della scarcerazione) , ma anche la collocazione in isolamento -:
le valutazioni, nonché le eventuali informazioni del Ministro rispetto agli episodi riferiti in premessa;
quali iniziative intenda adottare per verificare la fondatezza di quanto denunciato da Mondher, uno dei detenuti che sarebbe stato pestato da agenti della polizia penitenziaria;
quali provvedimenti di propria competenza ritenga di adottare - e in quali tempi - per accertare le eventuali responsabilità di quanto sopra riferito;
quali iniziative - sempre più urgenti - intenda intraprendere per evitare che i maltrattamenti e le violenze nei confronti dei detenuti continuino ad essere una delle componenti fisiologiche della vita carceraria.
(4-14509)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito che la denuncia relativa a un presunto pestaggio, di cui si sarebbero resi autori alcuni agenti di Polizia penitenziaria in servizio presso l'istituto di Tolmezzo a danno di due detenuti, entrambi di nazionalità straniera (l'algerino Hagi Mohamed e il tunisino Quertani Mondher) non corrisponde al vero.
Agli atti del suddetto Dipartimento risulta, infatti, che il detenuto Hagi Mohamed, citato dall'interrogante, al momento della fine dell'ora d'aria ha posto in essere un gesto autolesionistico, procurandosi con una lametta dei tagli multipli, lineari e superficiali sul torace e sull'addome.
Lo stesso, in evidente stato di agitazione, in quanto intento ad incitare i compagni di detenzione ad una protesta consistente nel rifiuto a rientrare in cella, ha posto in essere il suddetto gesto autolesionistico sotto l'effetto dell'alcool. Dall'estratto del «rapporto disciplinare detenuti», si evince che il detenuto presentava «alito vinoso, procedere barcollante e due confezioni di vino nascoste nella tasca del suo giubbotto». Lo stesso, in sede di contestazione degli addebiti, ha ammesso di avere abusato nel bere e che si era procurato vino in eccedenza, rispetto a quanto a lui spettante, chiedendolo ai propri compagni di cella. La visita medica, infine, ha confermato lo stato di ebbrezza e la natura delle lesioni.
Non emerge alcun comportamento penalmente rilevante posto in essere dagli agenti di polizia penitenziaria in servizio presso l'istituto di Tolmezzo.
Quanto al detenuto Quertani Mondher agli atti del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria risulta che lo stesso, in data 6 febbraio 2005, ha ingiuriato e riferito frasi offensive ad un'infermiera in servizio presso la casa circondariale di Tolmezzo che, accompagnata in sezione per la distribuzione della terapia, si rifiutava di assecondare la richiesta del detenuto di somministrazione di gocce di tranquillanti non previste nella terapia prescrittagli dal medico incaricato.
Le minacce e gli insulti del detenuto, ripetuti più volte, spaventavano l'infermiera che si allontanava dal reparto senza riuscire a completare la somministrazione della terapia.
Dal verbale di redazione di sommarie informazioni del 15 febbraio 2005 si evince che, successivamente, nella giornata del 7 febbraio 2005, il detenuto si rifiutava di recarsi presso l'ufficio del comandante per riferire su quanto accaduto e, raggiunto dal comandante stesso, sosteneva di avere subito un'aggressione. Dalla relazione di servizio emerge che il Quertani aveva iniziato a gesticolare «agitando violentemente le braccia» nei confronti dell'agente che lo aveva accompagnato fuori dalla cella e che quest'ultimo, temendo di essere colpito, lo aveva allontanato spintonandolo.
Dal certificato redatto dal medico di guardia risulta che il detenuto ha riportato «una lievissima ecchimosi di circa 2 cm sul dorso della spalla destra», (...) una «escoriazione in regione parietale destra non dolente alla palpazione», (...) mentre non si
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riscontrava alcun ematoma. Lo stesso certificato ha rilevato la «presenza di escoriazione sul dito indice della mano destra, con prognosi di un giorno. Nessuna terapia somministrata».
Si rappresenta, infine, che in relazione ai fatti di cui trattasi, ravvisandosi estremi di reato a carico del detenuto, è stata investita la competente procura della Repubblica di Tolmezzo che ha comunicato quanto segue.
Il detenuto Ouertani Mondher è stato querelato per ingiuria aggravata e minaccia aggravata nei confronti di un'infermiera in relazione all'episodio del 6 febbraio 2005. A sua volta l'Ouertani ha querelato due agenti di polizia penitenziaria (da identificare) per lesioni lievissime ai suoi danni (gg. 1 di prognosi). Il procedimento penale, unico per entrambi gli episodi, pende nella fase delle indagini preliminari.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
PISAPIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il «Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà», approvato dal Consiglio dei Ministri in data 16 giugno 2000, ed entrato in vigore il 20 settembre dello stesso anno, tra le disposizioni, prevedeva anche una serie di adeguamenti strutturali da effettuarsi negli istituti penitenziari entro cinque anni dall'entrata in vigore del Regolamento stesso;
in particolare, negli istituti di pena nei quali i servizi igienici fossero collocati all'interno delle camere di detenzione, si prescrivevano ristrutturazioni per creare appositi vani annessi alle camere, con servizi igienici forniti di acqua corrente, calda e fredda, e dotati di lavabo e doccia (articolo 7):
rispetto agli istituti o sezioni femminili, si prescriveva inoltre di provvedere a dotare i servizi igienici anche di bidet;
attraverso adeguate ristrutturazioni, si prescriveva poi di dotare ogni istituto di un numero di cucine tale che ognuna di esse non potesse servire più di duecento detenuti o internati (articolo 13, comma 1);
si prevedevano anche ristrutturazioni per dotare ogni istituto di pena di locali destinati alla consumazione del vitto, utilizzabili per un numero non elevato di detenuti o internati (articolo 13, comma 3);
rispetto alle modalità del trattamento, lo stesso Regolamento prevede che i colloqui avvengano preferibilmente in «spazi all'aperto a ciò destinati» (articolo 37, comma 5);
la costante crescita della popolazione detenuta in Italia che, di recente, ha superato le 59.000 unità, rende sempre più insostenibile la vita nelle carceri italiane;
l'associazione Antigone, nel corso della sua Assemblea Nazionale tenutasi il 20 maggio 2005 presso la Camera dei Deputati, ha reso noti alcuni dati-campione raccolti dal suo Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia, secondo i quali solo il 10 per cento degli istituti di pena italiani si sarebbe adeguato alle disposizioni del Regolamento;
il Consiglio d'Europa, nella bozza delle nuove Regole Penitenziarie Europee - che sostituiranno presto quelle precedenti del 1987 -, afferma esplicitamente, fin dai Principi Fondamentali, che la mancanza di risorse non può essere addotta quale motivazione per giustificare condizioni di detenzione che violano i diritti umani o che non rispettano le Regole medesime -:
di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in ordine all'effettiva realizzazione degli interventi strutturali prescritti dalle norme riferite in premessa;
in particolare, in quali carceri siano state effettuate le ristrutturazioni, in quali gli interventi abbiano riguardato l'intero istituto e in quali abbiano interessato invece solo alcune sezioni;
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quali interventi siano stati programmati per completare l'adeguamento strutturale;
quali siano gli stanziamenti previsti in bilancio per l'adeguamento delle carceri agli standard strutturali previsti dal Regolamento Penitenziario del 2000.
(4-15604)
Risposta. - Per adeguare le strutture alle prescrizioni normative dettate dal nuovo regolamento penitenziario (decreto del Presidente della Repubblica 230/2000) gli interventi vengono eseguiti utilizzando fondi assegnati al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sui capitoli di spesa destinati alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei penitenziari.
Si è provveduto ad adeguare i relativi progetti con apposite varianti, come nel caso di Milano Opera, Milano S. Vittore (3o raggio), Caltanissetta, ovvero, laddove era stato redatto solo il progetto, sono state apportate le necessarie correzioni ai documenti progettuali.
Si è inoltre provveduto, attraverso lavori realizzati direttamente dal citato dipartimento, ad adeguare l'intero settore detentivo negli istituti di Udine, Noto, Locri, Matera, Imperia, mentre gli interventi di adeguamento hanno riguardato parte del settore detentivo negli istituti di Milano S. Vittore (5o raggio), Busto Arsizio, Genova Pontedecimo, Parma, Arezzo, Pescara, Civitavecchia, Monza, Treviso, Belluno, Cosenza, Brindisi, Mamone, Barcellona, Trapani, l'Aquila, Genova Marassi, Padova, Napoli Secondigliano, Napoli Poggioreale, Caltanissetta, Spoleto, Roma Rebibbia, Bergamo, La Spezia, Is Arenas, Rimini, Milano Opera, Trani, Isili.
Sono stati previsti lavori di adeguamento negli istituti di Favignana, Cosenza, Isili, Napoli Poggioreale, per i quali si è in attesa dello stanziamento dei relativi fondi.
Infine, sono stati programmati per i prossimi anni interventi di adeguamento al nuovo regolamento presso gli istituti di Potenza, Reggio Calabria, Carinola, Napoli OPG, Salerno, Parma, Ravenna, Civitavecchia, Roma Rebibbia, Chiavari, Como, Mantova, Ancona, Ascoli, Alba, Brindisi, Trani, Mamone, Nuoro, Enna, Palermo Ucciardone, Spoleto, Belluno, Venezia.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
PISAPIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 23 dicembre 1985, a Cagliari, nel corso di un tentativo di rapina, venne ucciso il titolare di un super market, Giovanni Battista Pinna;
il successivo 29 dicembre, venne arrestato, e portato nel carcere di Oristano, con l'accusa di aver ucciso il Pinna (e per i reati collegati di tentata rapina aggravata e detenzione abusiva di armi), uno studente di 24 anni, Aldo Scardella;
dopo l'arresto - e malgrado quanto previsto dalla legge - ad Aldo Scardella non fu data la possibilità di informare i familiari dell'ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti, né del luogo ove fosse detenuto;
in data 2 luglio 1986, Aldo Scardella, dopo aver trascorso sei mesi in isolamento, senza aver incontrato i parenti e il difensore, fu trovato impiccato nella sua cella nel carcere «Buon Cammino» di Cagliari, ove - dal carcere di Oristano - era stato trasferito il 24 aprile dello stesso anno;
le indagini sulla morte dello Scardella si conclusero, ritenendo la morte dovuta a suicidio;
nel 1996, a seguito di nuove indagini, per l'omicidio del quale era stato accusato Aldo Scardella sono state processate e condannate con sentenza passata in giudicato nel 2002 due persone (Walter Camba e Adriano Peddio);
da tale processo è emerso in maniera inequivocabile la totale estraneità dello Scardella sia rispetto all'omicidio, sia rispetto agli altri reati per cui era stato tratto in arresto;
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come sostenuto dalla famiglia di Aldo Scardella - che, con varie istanze, si è rivolta alla magistratura senza però riuscire ad ottenere informazioni soddisfacenti - vi sarebbero, in realtà, aspetti poco chiari nell'ambito della grave vicenda che ha visto coinvolto il loro congiunto;
in particolare - al di là della estrema fragilità indiziaria degli elementi che avevano determinato il suo arresto - l'autopsia disposta dalla magistratura avrebbe evidenziato una palese incongruenza: sarebbero state infatti rilevate tracce di metadone nel corpo dello Scardella, pur non avendo questi fatto uso di droghe, e nonostante le stesse cartelle cliniche del carcere non prevedessero nei suoi confronti alcuna terapia a base di metadone;
inoltre, nel 1989, un detenuto - vicino di cella di Aldo Scardella al momento del suicidio - avrebbe riferito all'Autorità Giudiziaria di essersi accordato con lui per un finto suicidio, al fine di indurre l'autorità di vigilanza all'assegnazione di un piantone per alleviarlo dalla condizione di isolamento;
proprio in considerazione delle anomalìe che caratterizzerebbero tale vicenda giudiziaria, la famiglia Scardella, oltre a nutrire forti dubbi rispetto alla circostanza del suicidio «volontario» del loro congiunto, ritiene che vi siano state tutta una serie di circostanze che avrebbero minato la resistenza psicologica di Aldo Scardella, inducendolo quindi all'atto autolesionistico che ne ha determinato la morte -:
quali siano le informazioni e le valutazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa;
quali siano i motivi per i quali ai familiari (nonché al difensore) di Aldo Scardella non è stata data la possibilità, dopo l'arresto, non solo di avere colloqui con il loro congiunto, ma anche di conoscere il luogo ove fosse detenuto;
se non ritenga necessario e urgente assumere idonee iniziative per fare la dovuta chiarezza sulla grave vicenda giudiziaria di Aldo Scardella e, in particolare, per accertare finalmente le circostanze che lo avrebbero indotto al suicidio.
(4-15963)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al decesso del detenuto Aldo Scardella, si comunica che dalla relazione ispettiva, a suo tempo predisposta, risulta, fra l'altro, che lo Scardella durante la detenzione non ha mai manifestato gravi stati depressivi, se non in una circostanza mentre era ristretto nella casa circondariale di Oristano, dove gli fu riscontrata una lieve forma di nevrosi d'ansia.
Il suicidio è avvenuto per impiccagione verso le ore 15.00 del 2 luglio 1986 poco dopo il rientro dei detenuti dal passeggio pomeridiano.
Lo Scardella fu tra i primi detenuti a rientrare dal passeggio e si avvalse di una striscia di lenzuolo legata a forma di cappio alle inferriate della finestra della cella.
Nella relazione ispettiva si dà atto che nell'evento del suicidio sono escluse in maniera inequivocabile responsabilità di ordine amministrativo o disciplinare.
Nella cella fu rinvenuto un foglio autografo dove lo Scardella diceva ai suoi familiari «vi chiedo perdono, se mi trovo in questa situazione lo devo solo a me stesso. Ho deciso di farla finita perdonatemi per i guai che ho causato. Muoio innocente. Ai miei familiari. Aldo».
Per far completa chiarezza sulla vicenda, si ricorda che nei confronti dello Scardella, indagato, tra l'altro, per l'omicidio di Giovanni Battista Pinna, la Procura di Cagliari ebbe ad emettere ordine di cattura, in data 29 dicembre 1985, in seguito confermato dal tribunale del riesame. Nel corso dell'istruttoria sommaria il pubblico ministero esaminò circa 140 testimoni e senti l'indagato i giorni 7, 13, 22 e 28 gennaio nonché i giorni 3 e 7 febbraio del 1986. Proseguita l'istruzione del procedimento con rito formale, il giudice incaricato (diverso dal precedente) emise altro mandato di cattura, del pari confermato dal tribunale del riesame.
Successivamente al decesso dello Scardella i familiari del medesimo presentarono
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denuncia nei confronti dei magistrati inquirenti ed il relativo procedimento, aperto dalla procura della Repubblica di Roma ed all'esito del quale non è stato ravvisato alcun elemento significativo che potesse deporre per una qualche responsabilità dei magistrati predetti, fu archiviato. Su tali basi questo ministero non ha ritenuto di dover avviare alcuna iniziativa sul versante disciplinare.
Relativamente all'uso di droga da parte del detenuto, agli atti e, in particolare, nella cartella clinica risulta che lo Scardella era un ex tossicodipendente e che in stato di libertà era in terapia con il metadone.
Dagli atti del fascicolo non si hanno notizie circa un finto suicidio che sarebbe stato posto in essere durante la carcerazione dal suddetto detenuto prima della data del decesso.
Al detenuto Scardella non fu mai revocato dall'Autorità giudiziaria lo stato di isolamento per motivi di giustizia. Dai rapporti di servizio allegati alla relazione ispettiva risulta che tramite il competente comando dei carabinieri i familiari furono informati del decesso del detenuto.
Sulla base degli atti in possesso risulta palese che si è trattato di suicidio e che non vi sono state responsabilità di alcun tipo da parte degli organi penitenziari.
In merito al caso Scardella, la procura di Cagliari ha riferito che presso detto Ufficio sono stati depositati nel corso degli ultimi anni vari esposti a firma di Scardella Cristiano, fratello di Aldo.
Tali denunce hanno dato vita ai seguenti procedimenti: n. 20196/03/44 - archiviato; n. 9790/04/44 - archiviato; n. 12764/05/44 - attualmente pendente.
La suddetta procura ha precisato che l'ultimo procedimento è costituito da un esposto che contiene le stesse accuse riportate nel testo dell'interrogazione.
Da una prima disamina, la procura ha osservato che le ipotesi penali ravvisabili dal racconto dello Scardella sono il reato di cui all'articolo 479 del codice penale (falsità ideologica della cartella clinica relativa ad Aldo Scardella) ovvero all'articolo 580 del codice penale (induzione al suicidio, attraverso la cessione di metadone da parte di qualche detenuto allo Scardella medesimo).
Entrambe le ipotesi si sarebbero verificate nel luglio 1986 e cioè diciannove anni fa: un tempo tale da determinare la prescrizione dei reati ipotizzati.
Quest'ultimo dato, secondo l'anzidetto Ufficio inquirente, condiziona obiettivamente la possibilità stessa di procedere a verifiche, ad indagini e a contestazioni di fatti di reato ad eventuali autori individuati.
Per quanto riguarda gli altri due detenuti tuttora ristretti in carcere, condannati per il reato per il quale fu arrestato il detenuto Scardella, trattasi di Peddio Adriano, nato a Cagliari il 31 agosto 1964, detenuto nella casa di reclusione di Alghero, e di Gamba Valter, nato a Cagliari il 15 settembre 1961, detenuto nella casa di reclusione di Alghero, condannati entrambi dalla Corte di assise di Appello di Cagliari per il reato di concorso in omicidio.
Il Peddio ha il fine pena previsto per la data dell'8 novembre 2016, mentre il Gamba per la data del 29 gennaio 2018.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
PISAPIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale, non superando mai questa soglia;
le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all'interno di carceri maschili;
circa 70 bambini al di sotto dei tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, sia in prigioni interamente femminili, sia in sezioni ospitate all'interno di prigioni maschili;
le donne detenute, in media, scontano pene di lunghezza molto inferiore a
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quelle degli uomini e che, in particolare, non superano i cinque anni;
l'ordinamento penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido nel caso l'istituto, o la sezione, ospiti gestanti o madri con bambini;
l'associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale - cui l'associazione stessa ha preso parte - sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dai quali emergono le seguenti considerazioni:
nonostante l'esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, determinato in massima parte dalle presenze maschili e subìto anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;
le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;
la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all'interno di carceri maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all'interno degli istituti maschili e contenendo l'intera popolazione detenuta femminile nelle poche carceri interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo famigliare -:
se il Ministro non ritenga necessario istituire un apposito ufficio del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
(4-16117)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si premette che la composizione per sesso della popolazione ristretta negli istituti penitenziari italiani da molto tempo si mantiene sostanzialmente stabile.
Da un'analisi storica delle presenze medie annue, limitate all'ultimo decennio, si riscontra una percentuale di donne detenute che si mantiene intorno al 5 per cento negli anni dal 1990 al 1993; dal 1994 in poi tale percentuale si attesta su valori eguali o di poco superiori al 4 per cento (con punte massime riscontrabili - costantemente - nelle regioni della Lombardia, del Lazio, del Veneto e dell'Emilia Romagna).
Attualmente il numero di donne complessivamente ristrette in carcere è di 2.885 unità (dato rilevato alla prima decade di dicembre 2005); trattasi di una percentuale minima dell'intera popolazione detenuta, specie se raffrontato con la popolazione maschile che, alla medesima data, si attesta su 57.032 unità.
Non avendo il numero delle donne recluse mai superato la soglia della normale capienza di tollerabilità, non si riscontrano i problemi di affollamento che affliggono le sezioni maschili.
Una percentuale significativa di presenze detentive è rappresentata da n. 1.349 detenute straniere, con prevalenza di detenute iugoslave, nigeriane e rumene.
Le strutture carcerarie che ospitano donne detenute con prole (attualmente 56) sono complessivamente 20, di cui due sono istituti solamente femminili Roma e Venezia), mentre le altre sono sezioni femminili di istituto maschile.
Generalmente la permanenza dei bimbi nelle strutture penitenziarie è piuttosto fluttuante in quanto legata ai tempi tecnici necessari per la concessione delle misure
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alternative alle madri detenute, ai sensi della legge 8 marzo 2001, n. 40.
Da un confronto dei dati relativi allo scorso anno con quelli degli anni precedenti e, in particolare, a partire dal 2001, anno di entrata in vigore della citata legge n. 40, emerge che la presenza media delle detenute con prole e dei bambini in istituto è in calo (alla data del 31 dicembre 2001 le donne detenute con figli in istituto erano 61 e i bambini minori di tre anni 63, mentre alla data del 31 dicembre 2003 le donne detenute madri con figli in istituto erano 53 e i bambini minori di tre anni 56).
Tale dato è ancora più evidente se lo si pone a confronto con quello relativo al numero complessivo delle donne detenute che, negli ultimi anni, al contrario, è andato progressivamente crescendo.
Le categorie di reato prevalenti nell'ambito della popolazione detentiva femminile sono quelle connesse all'uso di sostanze stupefacenti, alla prostituzione e ai reati contro il patrimonio (rari i casi di condanne per reati di tipo associativo).
La commissione di questo tipo di reati, pur comportando condanne a pene edittali contenute, condiziona, però, spesso negativamente, le possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione: è richiesta, infatti, a tal fine, ai sensi dell'articolo 47-quinquies ordinamento penitenziario, la non sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, condizioni queste che mal si adattano ad una tipologia di reati, quali quelli sopra citati.
In prevalenza la popolazione detenuta femminile è di origine extracomunitaria, ovvero di etnia Rom. Anche tale caratteristica rende più difficile l'accesso alle misure alternative alla detenzione, in mancanza di uno stabile punto di riferimento, ovvero per la condizione di clandestinità in cui talora si trovano. Va, infine, precisato che l'accesso ai suddetti benefici di legge è precluso alle condannate in via definitiva.
L'amministrazione penitenziaria, consapevole che la condizione delle detenute in generale e, segnatamente, quella delle detenute madri, richiede particolare attenzione, è impegnata nella individuazione e predisposizione di tutti quegli strumenti attraverso i quali contemperare le esigenze «dell'universo femminile» con quelle prioritarie di ordine e sicurezza, che caratterizzano la vita in un'istituzione chiusa quale è il carcere.
Numerose iniziative vengono poste in essere per migliorare le condizioni di vita delle donne detenute. Fondamentale si rivela l'opera di educazione, informazione e sostegno di operatori, soprattutto educatori, che supportano ed aiutano le donne detenute. Difatti, dall'inizio del periodo di reclusione, sono previste tutta una serie di programmi trattamentali per evitare che l'esclusione dal contesto sociale venga percepita e vissuta come un abbandono della collettività.
Esse, inoltre, usufruiscono del personale medico ed infermieristico disponibile o presente in istituto. A titolo esemplificativo, l'amministrazione penitenziaria, quando vi è un'esigenza continuativa di assistenza alle gestanti, alle puerpere e ai bambini, assicura la presenza in istituto di un ginecologo e, se possibile, di uno psicologo specializzato in psicologia dell'età evolutiva; organizza asili nido ovvero si adopera per garantire l'accoglienza dei minori presso gli asili nido del territorio anche oltre il limite di età. Ad esempio, nell'Istituto di Venezia Giudecca e di Roma Rebibbia i bambini, grazie alla collaborazione tra l'amministrazione penitenziaria, il comune e l'assessorato alle politiche sociali, vengono accompagnati ogni giorno presso l'asilo nido comunale e riportati nell'istituto penitenziario la sera.
La medesima amministrazione ha, inoltre, autorizzato, con i fondi del capitolo di bilancio n. 1830, l'istituzione di nuovi asili nido al fine di dare compiuta attuazione al disposto dell'articolo 42 ordinamento penitenziario, previa apposita ricognizione delle strutture già esistenti onde procedere ad una organizzazione più funzionale dei servizi destinati a tale tipologia detentiva.
Recentemente sono stati attivati i servizi di puericultura, di ludoteca e colonie estive per i bambini (presso la C.F.R. di Venezia Giudecca già da due anni è attiva la colonia estiva).
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Per la prima volta, infine, nell'ambito delle direttive generali sull'attività amministrativa e sulla gestione per l'anno 2005, per quanto di competenza del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stato messo a punto un progetto - il programma esecutivo d'azione cosiddetto PEA n. 25 - a favore della popolazione detenuta femminile che vede coinvolte una serie di strutture interne all'amministrazione ed esterne, al fine di verificare le condizioni di vita delle donne detenute e delle attività trattamenti che vengono loro offerte, per realizzare un'analisi del contesto detentivo ed eventualmente formulare proposte adeguate e soluzioni operative che «rispondano ai bisogni dello specifico donna».
Per questi motivi, ed in considerazione della massima attenzione posta in essere dall'amministrazione penitenziaria nei confronti delle donne detenute, non si ritiene necessario istituire un apposito Ufficio che si occupi specificamente del loro trattamento delle donne detenute.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
RAISI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la Scuola Elementare di Minerbio (Bologna), è chiusa dal 15 settembre 2005 per futuri lavori di recupero del sottotetto con rifacimento e sopraelevazione dell'attuale coperto, intervento per il quale è necessario il nulla osta dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici di cui a tutt'oggi l'Amministrazione Comunale ne è sprovvista;
il recupero del nuovo piano diventerebbe il terzo fuori terra, in contrapposizione al decreto ministeriale 18 dicembre 1975;
si fa notare che nel sottotetto si sono svolte fino al 31 marzo 2005 attività scolastiche pur non avendo i requisiti di legge (igienico, statico, di sicurezza, urbanistico...). Solo successivamente il Dirigente Scolastico ha provveduto a chiudere il sottotetto e l'aula computer;
la Scuola Elementare e Materna di Cà de Fabbri (Bologna) dal 19 settembre 2005 in aggiunta ai corsi scolastici in essere, a seguito della chiusura della scuola di Minerbio, ospita tre nuove classi elementari;
tale sovraffollamento crea disagi alla mensa che risulta insufficiente. È stato, inoltre, eliminato lo spazio dell'aula per l'attività motoria e l'aula d'informatica, materie obbligatorie per le scuole elementari;
la Scuola Media di Minerbio dal 19 settembre 2005 in aggiunta ai corsi scolastici in essere, a seguito della chiusura della scuola di Minerbio, ospita due nuove classi elementari;
mette conto sottolineare che il materiale di copertura del tetto era costituito da cemento amianto;
solo dopo una serie di segnalazioni alla ASL competente, nonostante il Piano di Valutazione dei Rischi indicasse il monitoraggio del tetto, l'Amministrazione Comunale ha dovuto sostituirlo con carattere di urgenza perché il verbale del sopralluogo dell'AUSL ha dichiarato il materiale di copertura in «pessime condizioni»;
la Ex Scuola Elementare di Tintoria è stata riaperta dopo almeno un decennio di completo abbandono, e, nell'estate 2005 l'Amministrazione Comunale ha realizzato un intervento di manutenzione straordinaria per ospitare 6 classi della scuola elementare di Minerbio;
il vigente piano regolatore generale prescrive per questo edificio l'uso di civile abitazione e non più edificio scolastico;
a seguito dei sopralluoghi nei locali recuperati si è potuto accertare la carenza dei requisiti igienici e di sicurezza più elementari, e la mancanza totale dell'impianto antincendio obbligatorio per legge;
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l'attuale situazione su descritta è stata denunciata al Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco e all'AUSL;
è opportuno inoltre segnalare che le scuole comunali non rientrano nel gruppo di quelle che hanno richiesto e quindi ottenuto proroga al 31 dicembre 2005 per gli adeguamenti alle norme di sicurezza, come previsto dalla legislazione regionale vigente in materia -:
quali iniziative ritenga di dover adottare, anche alla luce dei casi segnalati, perché siano stanziate le risorse necessarie a che tutti gli edifici scolastici del territorio nazionale siano resi conformi agli standard di sicurezza previsti dalla normativa vigente in materia;
quali iniziative ritenga di adottare per garantire la sicurezza di quanti utilizzano gli edifici scolastici;
se non ritenga di dover procedere ad un monitoraggio relativo alla sicurezza degli edifici scolastici sull'intero territorio nazionale.
(4-19715)
Risposta. - Occorre ricordare preliminarmente che il ministero non partecipa direttamente alla realizzazione di opere di edilizia scolastica sul territorio. Infatti come da ultimo previsto dalla legge n. 23 dell'11 gennaio 1996, la programmazione delle opere di edilizia scolastica è riservata alle regioni, mentre la loro realizzazione o fornitura, e la manutenzione ordinaria e straordinaria, ivi compresi l'adeguamento e la messa a norma, spetta rispettivamente alle amministrazioni comunali e provinciali in relazione ai diversi gradi di scuola.
Pertanto le amministrazioni locali sono le uniche responsabili della scelta degli edifici da adibire ad uso scolastico, ovvero dell'appalto per la relativa costruzione, nonché della rispondenza ai requisiti previsti dalla vigente normativa tecnica in materia.
Alla soluzione di problematiche strutturali, comunque, il ministero ha spesso fattivamente contribuito, ad adiuvandum, attraverso l'attribuzione di appositi finanziamenti, sotto forma di mutui accendibili presso la Cassa depositi e prestiti, con totale ammortamento a carico dello Stato.
Ai sensi dell'articolo 4 della legge 11 gennaio 1996, n. 23 sono stati distribuiti nel pregresso sessennio circa 3.000 miliardi delle vecchie lire, prioritariamente per l'adeguamento e messa a norma delle strutture scolastiche, mentre con decreto del 30 ottobre 2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 11 novembre 2003, n. 262, è stato assegnato l'equivalente di circa 900 miliardi di vecchie lire.
Somma, questa, che, in virtù degli indirizzi previsti nei singoli decreti di riferimento, è stata essenzialmente dedicata all'adeguamento ed alla messa a norma degli edifici scolastici favorendo così la concreta applicazione, da parte dei competenti Enti locali, della normativa di riferimento (ed in particolare dell'articolo 15 della legge n. 265 del 1999, che prevedeva il completamento di tali attività entro il 31 dicembre 2004, da ultimo prorogato dall'articolo 4-bis della legge 1o marzo 2005, n. 26 al 30 giugno 2006) e che, peraltro, si aggiunge a quelle già erogate in precedenza per analoghe finalità ed ammontanti ad altri 5.700 miliardi di lire.
È quindi cura costante del ministero, nell'ambito delle proprie competenze attribuzioni e possibilità, perseguire, anche tramite le proprie articolazioni sul territorio, l'adozione di soluzioni ed iniziative che nel rispetto delle primarie esigenze di salute e sicurezza dell'utenza del servizio scolastico - garantiscano, comunque, la migliore, possibile, fruizione del diritto-dovere all'istruzione da parte dell'utenza medesima tant'é che con la legge 27 dicembre 2002, n. 289, è stato previsto l'inserimento, nell'ambito del programma delle infrastrutture strategiche contemplato dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443, di un apposito piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riferimento a quelli insistenti nelle zone soggette a rischio sismico, da predisporre di concerto con il Ministero delle infrastrutture e da sottoporre, sentita la Conferenza unificata, al CIPE per la necessaria copertura finanziaria.
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Tale piano è stato tempestivamente predisposto e prevede, per i primi interventi al riguardo, un grosso impegno finanziario, pari a 4.000 milioni di euro ed, al fine di favorirne concretamente l'avvio, su iniziativa del ministero, la legge 24 dicembre 2003, n. 350, (legge finanziaria 2004) ha riservato ad esso una somma non inferiore al 10 per cento delle risorse destinate complessivamente all'attivazione del programma delle infrastrutture strategiche nel quale lo stesso piano s'inserisce.
A seguito di ciò è stato definito un primo piano stralcio di circa 194 milioni di euro, per 738 interventi, formulato dalle competenti regioni sulla base delle richieste dei rispettivi Enti locali, già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'11 agosto 2005, mentre sono in corso riunioni per la predisposizione di un secondo piano stralcio, per un importo complessivo di circa 280 milioni di euro, nel quale andranno inseriti, secondo un ordine di priorità decrescente, ulteriori interventi da effettuare.
Pertanto, per favorire la progettazione esecutiva da parte degli enti locali delle opere comprese nel su indicato piano, è stata prevista anche la riserva del 30 per cento del fondo di rotazione costituito presso la Cassa depositi e prestiti.
In ordine, infine, all'ulteriore questione rappresentata dall'interrogante concernente la conoscenza, da parte dell'amministrazione scolastica di eventuali situazioni di degrado delle strutture scolastiche, ribadito come l'eventuale problematica sostanziale rientri comunque nelle attribuzioni istituzionali degli Enti locali, si rammenta come l'articolo 7 della legge n. 23 del 1996 attribuisce a questo Ministero la realizzazione e la cura, nell'ambito del proprio sistema informativo e con la collaborazione degli enti stessi, di un'anagrafe nazionale dell'Edilizia scolastica, articolata per regioni e diretta ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del relativo patrimonio, al fine di attivare uno strumento conoscitivo per i diversi livelli di programmazione.
Tale anagrafe, peraltro, oltre all'essenziale collaborazione delle scuole e degli enti locali, vede il concorso attivo delle regioni, alle quali spetta, in prima istanza, la costituzione della base dati attraverso l'utilizzo di rilevatori, opportunamente formati, che, spostandosi sul territorio di competenza, acquisiscono le informazioni contemplate dalle apposite schede di rilevazione le quali, transitando dai nodi regionali pervengono poi al MIUR.
Attraverso tali informazioni, molteplici e particolarmente articolate, sarà finalmente possibile conoscere, da parte di tutti gli addetti ai lavori, l'effettivo stato degli edifici scolastici pubblici dell'intero territorio nazionale, con particolare riguardo al livello di sicurezza e di agibilità, alle barriere architettoniche, all'affollamento, all'idoneità e salubrità delle strutture e delle zone nelle quali insistono ed ogni altra caratteristica, a fronte della quale poter assumere, secondo le rispettive competenze, le necessarie iniziative.
La rilevazione riguarderà circa 42.000 edifici nei quali operano le quasi 10.800 istituzioni scolastiche statali, con un utenza di più di 9 milioni di persone: tale importante rilevazione si caratterizza per il coinvolgimento di tutte le componenti interessate (uffici centrali e periferici del Ministero, regioni, province, comuni e scuole) in ottica di fattiva collaborazione sinergica, esplicatasi, peraltro, fin dall'avvio dell'iniziativa, con una piena condivisione dei contenuti, delle finalità e di tutti i relativi passi procedurali.
L'iniziativa - si ricorda che è contenuta in una legge del 1996 - è stata concretamente avviata.
Il Ministero ha posto in essere tutte le attività di competenza, quali, a titolo esemplificativo, la definizione delle schede di rilevazione, la predisposizione del relativo manuale, la formazione dei formatori regionali che devono, a loro volta, formare i rilevatori locali (più di mille sull'intero territorio nazionale), la predisposizione dei Nodi regionali, la formazione dei relativi responsabili e l'avvio di procedure pilota: la sua conclusione è prevista per i primi mesi del 2006.
Ciò premesso in merito a quanto rappresentato dall'interrogante l'Ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna ha riferito
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che la scuola primaria di Minerbio è stata chiusa alle attività a partire dal luglio 2005 al fine di procedere a urgenti opere di ristrutturazione e consolidamento dell'edificio.
A tale scopo sin dai primi mesi del 2005 il comune ha individuato tre scuole per ospitare le 11 classi della scuola primaria di Minerbio ed in particolare: la scuola elementare di Tintoria, la scuola secondaria di primo grado di Minerbio e il plesso di Cà dé Fabbri.
L'edificio sede della scuola elementare di Tintoria è stato utilizzato sino all'anno scolastico 1987/88 come plesso elementare con annessa abitazione del custode e dal dicembre 1988 sino al settembre 2002 come sede dell'Ufficio provinciale del lavoro. Dai primi mesi del 2005 è stata oggetto di interventi di manutenzione straordinaria al fine di ottimizzare il piano di allocazione delle aule e consentire alla struttura di ospitare un numero superiore alle 100 unità di allievi nell'ottica del recupero della sede di Minerbio. La destinazione a scuola è conforme alle norme tecniche che regolano il vigente strumento urbanistico. Causa ritardi del cantiere l'edificio è stato consegnato al dirigente scolastico il 18 settembre 2005 quando ancora erano da completare alcuni interventi relativi alla sicurezza.
A seguito di un esposto i vigili del fuoco hanno effettuato un sopralluogo ed è stato elevato un verbale con prescrizioni già poste in essere dall'amministrazione locale che ha già comunque completato l'adeguamento dello stabile. Dai sopralluoghi effettuati dagli ispettori della AUSI, non sono emersi rilievi di sorta. Presso detta struttura sono ora ospitate n. 6 classi della scuola primaria di Minerbio. Quanto alla scuola secondaria di primo grado di Minerbio, che ospita due classi quinte della su indicata scuola primaria di Minerbio, ed al plesso di Cà dé Fabbri, che ospita tre classi della medesima scuola, i rispettivi edifici scolastici risultavano già idonei per accogliere un numero massimo di trecento allievi.
In particolare il plesso di Cà dé Fabbri risulta dotato di mensa per n. 84 posti a sedere, di bagni per disabili, di scivoli, di scala antincendio e di un ampio giardino con giochi a norma.
Con riguardo poi alla mancanza temporanea di un'apposita aula motoria si fa presente che cinque classi, tramite navetta scuolabus usufruiscono della palestra delle scuole di Minerbio, mentre le rimanenti tre classi hanno provveduto, nell'ambito della programmazione prevista dalla legge n.53 del 20031 e dal decreto legislativo n.59 del 2004 ad attivare le ore di attività motoria in modo alternativo e adeguatamente programmate.
In merito, infine, all'edificio che ospita la scuola secondaria di secondo grado di Minerbio la struttura è normata, secondo la legislazione antincendio per un numero massimo di trecento persone ed accoglie attualmente 224 alunni. Lo stabile, di recente edificazione, presenta ampi spazi tanto che l'allocazione delle due classi quinte della scuola primaria di Minerbio permette ugualmente l'utilizzo di un'aula informatica, di un laboratorio scientifico, di un laboratorio di ceramica, di una mensa capace di 136 posti, di uffici di segreteria con le relative pertinenze per dirigenza e sala docenti, di ampia palestra con relativi spogliatoi e servizi, oltre a magazzini per le attrezzature; l'edificio è inoltre a norma per l'abbattimento delle barriere architettoniche.
Secondo le informazioni fornite dal locale ufficio tecnico comunale all'Ufficio scolastico regionale per l'Emilia Romagna tutti i plessi sono stati oggetto di progettazione ai fini dell'ottenimento, ove necessario, del certificato prevenzione incendi e che i relativi lavori di adeguamento sono complessivamente in fase conclusiva, essendo stato ottenuto il preventivo parere favorevole sui progetti dal Comando provinciale dei Vigili del fuoco.
Si ritiene opportuno ribadire, infine, che il termine ultimo per l'adeguamento degli edifici scolastici alle norme di sicurezza, già fissato dalla legge 27 dicembre 2004, n. 306 al 31 dicembre 2005, è stato da ultimo prorogato dalla legge 1 marzo 2006, n. 26 al 30 giugno 2006.
Il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, per l'università e per la ricerca: Valentina Aprea.
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REALACCI e RUSSO SPENA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 22 luglio 2005 è stata pubblicata sul settimanale Diario una lettera a firma della signora Donatella Petracchi con la quale evidenziava i notevoli disagi sostenuti, per una visita a propri familiari, dai parenti dei detenuti nel carcere di Poggioreale;
in particolare la lettera evidenziava la difficoltà per arrivare in orario per le visite e i costi da sostenere per quei parenti che non risiedono a Napoli, costi non indifferenti a maggior ragione per persone anziane e non in salute;
la signora Donatella Petracchi è la madre di un detenuto, Adriano Ascoli, in attesa di giudizio, trasferito il 6 luglio 2005 dal carcere di Don Bosco di Pisa a quello di Poggioreale malgrado il nullaosta del Pubblico Ministero e il GIP della Procura di Roma alla sua permanenza nel carcere di Pisa;
appena arrestato il 6 giugno 2005, Adriano Ascoli aveva intrapreso lo sciopero della fame per evitare di essere allontanato dalla sua città e dalla sua famiglia chiedendo di non essere trasferito in un carcere di massima sicurezza. Lo sciopero era terminato al decimo giorno, quando era arrivato il nullaosta dei PM e del GIP della Procura di Roma alla sua permanenza a Pisa;
Adriano Ascoli è rimasto al carcere Don Bosco fino al 6 luglio in regime di isolamento (Elevato Indice di Sorveglianza, EIV). Il 6 luglio è stato trasferito a Napoli, al carcere di Poggioreale. Poggioreale non è un carcere speciale, anche lì l'indice EIV comporta isolamento;
Adriano Ascoli è ristretto nel padiglione Venezia, dove il trattamento subito corrisponde ad un indice di pericolosità più alto del suo EIV. In concreto significa stare isolati in cella tutto il giorno, a parte l'aria, che è limitata. Il cortile è all'incirca 10x11 metri, con muri alti, ed il compagno di aria è oculatamente scelto dalla amministrazione del carcere;
la situazione di Adriano Ascoli è solo l'ultimo caso di numerose altre situazioni simili dove una decisione, anche se legalmente legittima, può incidere e cambiare la vita di un detenuto, può rendere difficile e stremante anche un colloquio con i genitori, con il coniuge, con i figli;
inoltre una decisone di questo genere può rendere la detenzione una esperienza capace di pregiudicare gravemente il futuro -:
se non intenda predisporre, per il caso di Adriano Ascoli e per tutti quei casi simili a quello sopra descritto, un piano operativo per verificare la possibilità di mantenere il più possibile i detenuti vicino ai propri affetti familiari e garantire condizioni di detenzione effettivamente commisurate alle reali esigenze delle indagini in corso e non inutilmente e incomprensibilmente punitive.
(4-16185)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in oggetto indicata, si rappresenta che il signor Adriano Ascoli si trova attualmente ristretto presso la casa circondariale di Napoli Poggioreale in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso il tribunale di Roma per il reato di associazione eversiva e banda armata, trattandosi di presunto appartenente al gruppo denominato «brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente». In considerazione della particolarità dei reati ascritti e della pericolosità sociale, il soggetto è stato inserito nel circuito penitenziario denominato ad elevato indice di vigilanza (E.I.V.).
In data 6 luglio 2005 il detenuto veniva trasferito dalla di Pisa alla attuale sede partenopea, in quanto nella regione Toscana non vi erano posti disponibili presso l'unico Istituto dotato di sezione idonea al contenimento di detenuti aventi analoga classificazione. Posto quanto precede, la casa circondariale di Poggioreale è risultata essere la sede penitenziaria, dotata di sezione E.I.V, più vicina alla residenza dei
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familiari del ristretto, nonché la migliore allocazione in ordine alle esigenze processuali.
Da ultimo si precisa che l'inserimento di un detenuto nel circuito penitenziario in questione non comporta alcun deficit sul piano trattamentale o in relazione a qualsivoglia ulteriore opportunità, ma solo una maggiore attenzione custodiale connessa alla pericolosità dei soggetti così come denotata in ragione della tipologia dei reati ascritti.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
SERGIO ROSSI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 22 gennaio 2004, è stato presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, da parte di alcuni consiglieri del Comune di Sedrina, in provincia di Bergamo, un esposto su presunte irregolarità relative al traffico telefonico all'interno degli uffici del Municipio;
nel suddetto esposto erano allegate le copie di fatturazioni al traffico telefonico del Municipio, dalle quali poteva dedursi come molti collegamenti a siti Internet, peraltro molto onerosi venissero effettuati principalmente in giorni festivi in cui gli uffici erano chiusi all'accesso al pubblico;
nelle fatturazioni allegate non risultavano per esteso, in attuazione alla legge sulla privacy, gli indirizzi dei siti Internet visitati dalle utenze telefoniche, che peraltro, nel periodo di tempo segnalato, hanno comportato un sostanzioso aumento delle spese sostenute dal Municipio per il traffico telefonico;
alla data odierna, non risultano riscontri in merito alla vicenda segnalata -:
se, ad oggi in merito alla vicenda oggetto di esposto siano state avviate indagini.
(4-14396)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
A seguito di esposto da parte di due consiglieri comunali del comune di Sedrina (Bergamo) presso la procura della Repubblica del tribunale di Bergamo, in data 4 febbraio 2004, è stato iscritto procedimento penale n. 913/04 mod. 44, a carico di ignoti.
Poiché le indagini delegate dal pubblico ministero alla polizia postale non hanno consentito l'identificazione degli autori dei collegamenti telefonici, in data 24 gennaio 2005 la procura della Repubblica presso il tribunale di Bergamo ha formulato richiesta di archiviazione e in data 9 febbraio 2005 detto procedimento è stato archiviato dal GIP.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
RUSSO SPENA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere premesso che:
il 18 marzo 2005 8 ufficiali dei carabinieri hanno fatto irruzione nell'abitazione di Giuseppe Ales a Pantelleria, in provincia di Trapani, e senza alcun mandato di perquisizione hanno messo a soqquadro l'intera abitazione;
in casa c'erano solo i genitori e la nonna di Giuseppe Ales ai quali i carabinieri giustificavano il loro operato con la ricerca di armi, quindi, chiedevano se avessero figli e dove fossero in quel momento, imponendo loro di raggiungerli telefonicamente. La signora Ales ha chiamato Giuseppe che stava lavorando in un terreno a pochi chilometri da casa;
al suo arrivo a casa Giuseppe trovò la madre e la nonna sconvolte. Chiese allora ai carabinieri di fermare la perquisizione dicendo che avrebbe consegnato loro delle piantine di marijuana in suo possesso; piantine appena germogliate, non più alte di 5 cm, che tirò fuori da un incavo nel muro chiuso con una serratura;
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il giorno seguente, sabato 19 marzo 2005 il Giuseppe e il fratello Francesco furono condotti al locale comando dei carabinieri e detenuti fino alle ore 21 dello stesso giorno;
il 19 marzo 2005 il Giornale di Sicilia pubblicava un articolo dove venivano resi noti nomi, cognomi e indirizzi di residenza dei diretti interessati ad una operazione antidroga svolta il giorno prima nella provincia di Trapani, tra questi vi era Giuseppe Ales e altri ragazzi che con lui avevano in comune solo la giovane età. Per questo articolo il Giornale di Sicilia, ha ricevuto tre querele;
nella mattinata di domenica 20 i carabinieri notificavano a Giuseppe il processo per direttissima che avrebbe avuto luogo il giorno seguente, lunedì 21, presso il tribunale di Marsala. Giuseppe non ce l'ha fatta. Si è suicidato nel pomeriggio di quella stessa domenica -:
se era stato stilato un mandato con riferimento alla perquisizione del 18 marzo 2005 e, in caso contrario, come sia possibile che si possa mettere a soqquadro un'abitazione senza mandato di perquisizione;
come sia possibile che il giorno dopo una perquisizione vengano resi noti sul Giornale di Sicilia nomi, cognomi e residenza, favorendo in questo modo la criminalizzazione da parte della collettività ai danni di un indagato;
quali erano gli estremi (e quali le quantità ritrovate) per richiedere un provvedimento come il processo per direttissima eseguito dal venerdì al lunedì successivo, dato che le informazioni in possesso dell'interrogante sono che le piante sequestrate erano da considerarsi germogli e che il germoglio della pianta di marijuana non sviluppa il principio attivo della sostanza THC.
(4-13965)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in oggetto indicata, si comunica che il 18 marzo 2005, alle ore 15.00 circa, in Pantelleria, il comandante della locale stazione carabinieri, unitamente a personale dipendente, avendo avuto fondato motivo di ritenere che presso l'abitazione di Ales Giuseppe si trovassero occultate sostanze stupefacenti, eseguiva, di propria iniziativa, una perquisizione domiciliare - con carattere d'urgenza - ai sensi dell'articolo 103, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 309/1990.
La ricerca veniva effettuata alla presenza dei genitori conviventi del citato Ales Giuseppe, al momento assente per motivi di lavoro.
Nella circostanza i carabinieri operanti avvertivano i predetti genitori della facoltà - cui gli stessi espressamente rinunciavano - di farsi assistere da un legale o da altra persona di fiducia; i coniugi Ales, inoltre, sebbene non richiesto, contrariamente a quanto asserito nella interrogazione, spontaneamente contattavano telefonicamente i figli Giuseppe e Francesco per chiedere loro chiarimenti in merito.
Contestualmente prendevano atto che i carabinieri rinvenivano all'interno della tasca anteriore sinistra di un giubbotto, lasciato nella camera da letto del figlio Francesco, grammi 0,5 di sostanza stupefacente, verosimilmente marijuana in foglie spezzettate e già essiccate, suddivisi in due piccoli ovuli, nonchè ventiquattro fotografie che ritraevano il fratello Giuseppe accanto ad una pianta di marijuana.
Nelle citate fotografie appariva anche un'altra persona, sconosciuta al personale operante, nell'atto di consumare stupefacenti, nonchè marijuana già essiccata e spezzettata e uno spinello di grosse dimensioni.
Poco dopo sopraggiungevano i due fratelli che, pur mostrandosi alquanto infastiditi per la presenza dei carabinieri, prestavano la loro collaborazione, consegnando le chiavi che consentivano l'accesso ai vari locali dell'abitazione.
Sul terrazzino di un'unità abitativa collocata al terzo piano (l'ingresso era costituito da una rete metallica, assicurato da un lucchetto le cui chiavi erano in possesso di Ales Giuseppe) i militari dell'Arma carabinieri rinvenivano dieci vasi di plastica di colore marrone, sette dei quali contenenti,
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complessivamente, sette piantine di marijuana in germoglio, alte circa 3 cm ciascuna, mentre nei rimanenti tre vasi erano comunque presenti i semi di marijuana.
Nella circostanza l'Ales Giuseppe dichiarava di aver personalmente seminato tali piantine, assumendosi quindi la responsabilità di quella coltivazione, scagionando completamente il fratello Francesco.
Ultimata la perquisizione, protrattasi sino alle ore 17.30 - per l'ampiezza dell'abitazione perquisita - i due fratelli venivano accompagnati presso la locale stazione carabinieri per le conseguenti formalità. In particolare:
Ales Francesco veniva segnalato alla Prefettura di Trapani ai sensi dell'articolo 75 del Decreto del Presidente della repubblica n. 309/1990;
Ales Giuseppe, previa comunicazione telefonica al procuratore di turno, veniva tratto in arresto, ai sensi dell'articolo 736 del Decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990, poiché ritenuto responsabile di coltivazione e detenzione illegale di sostanza stupefacente.
Quest'ultimo, dopo essere stato trattenuto nelle camere di sicurezza della stazione carabinieri sino alle ore 18.45, veniva tradotto, alle ore 19.30, presso la sua abitazione, in regime di arresti domiciliari, come disposto dal predetto magistrato, in attesa della fissazione dell'udienza di convalida dell'arresto dinanzi al G.I.P.. Lo stesso, avendo rinunciato alla facoltà di nominare un proprio difensore di fiducia, riceveva la nomina del difensore d'ufficio avvocato Pavia Paolo del foro di Marsala (TP), comunicata, previo consenso dell'arrestato, ai suoi familiari.
La procura della Repubblica di Marsala, con decreto nr. 783/05 del 19 marzo 2005, convalidava la perquisizione ed il sequestro degli stupefacenti ed il giorno successivo, alle ore 10.00, i carabinieri notificavano ad Ales Giuseppe, presso il suo domicilio, la fissazione dell'udienza di convalida dell'arresto presso l'Ufficio del G.I.P. del tribunale di Marsala, per il 21 marzo 2005, alle ore 11.30, (e non, quindi, il giudizio direttissimo).
Nelle fasi della notifica del citato atto, il giovane Ales Giuseppe non aveva manifestato segni di insofferenza o inquietudine, nonostante i rimproveri rivoltigli della madre fin dal momento del fatto, per come riferito dal padre; rimproveri, peraltro, ripetuti anche alla presenza del personale operante.
Alle ore 14.30 dello stesso giorno (20 marzo) il comando carabinieri veniva informato del suicidio di Ales Giuseppe, impiccatosi all'interno della sua abitazione. Nel corso dei successivi accertamenti, persona del luogo dichiarava agli investigatori che il defunto, sovente, aveva apertamente manifestato l'intenzione di suicidarsi, a causa dei dissapori familiari.
Con riferimento al punto dell'interrogazione relativo alla quantità ed alla tipologia degli stupefacenti sequestrati (7 piantine in germoglio, dell'altezza di circa 3 cm ciascuna, in sette distinti vasi e vari semi di marijuana in tre vasi distinti senza alcun germoglio), si evidenzia che l'articolo 73 del decreto del Presidente della Republica n. 309/1990 sulla coltivazione di sostanze stupefacenti non indica un limite minimo o massimo ai fini della sussistenza del reato, né presuppone lo sviluppo del principio attivo della sostanza T.H.C. (tetracanabinolo), incriminando la condotta di chiunque senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17 coltiva sostanze stupefacenti.
Il Giornale di Sicilia, il 20 marzo 2005, a pagina 41 riportava la notizia del servizio eseguito dai carabinieri, indicando le sole iniziali dell'arrestato, i luoghi di residenza e domicilio e la sua età approssimativa. Notizia peraltro già diffusasi sull'isola nell'immediatezza dell'arresto.
L'operazione antidroga, oggetto dell'interrogazione parlamentare, si colloca in un quadro di attività investigative per il contrasto alla criminalità diffusa sull'isola di Pantelleria, tra cui il fenomeno della coltivazione, produzione, traffico e consumo di sostanze stupefacenti, che a seguito di appositi studi effettuati dai Servizi sanitari provinciali, ha evidenziato il coinvolgimento nel «circuito droga» di un'elevata percentuale di giovani e la conseguente
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apertura presso l'ospedale locale - nel periodo estivo - di un Servizio tossicodipendenze.
Ciò ha comportato la necessità di una mirata e sistematica azione di controllo del territorio da parte delle forze di polizia, che ha fatto registrare i seguenti risultati (a partire dal 2004):
12 persone arrestate, ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990;
5 persone deferite in stato di libertà ai sensi dell'articolo 73 n. 309 del 1990;
39 persone segnalate alla Prefettura ai sensi dell'articolo 75 del presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
SAPONARA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il giorno 10 febbraio 2004 il signor Andrea Mazzariello veniva arrestato su ordine di carcerazione, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lodi, in seguito alla sentenza irrevocabile di condanna ad anni undici di reclusione per il reato di atti di libidine e violenza carnale ai danni della propria figlia;
il suddetto versava in gravissime condizioni di salute in quanto affetto, da anni, da una patologia congenita cd. «stenosi del canale midollare L4 Si D6 D8», che lo aveva immobilizzato su una sedia a rotelle fin dal 1998 e, per la quale, l'unica terapia idonea era quella chiamata «terapia del dolore» consistente in un dosaggio sottocutaneo di 10 mg. di morfina cloridrato ogni sei ore come prescritto dal dott. Roberto Dionigi, primario del Servizio di Anestesia e Rianimazione dell'Ospedale Predabissi;
per tali motivi, appena due giorni dopo l'arresto, il detenuto aveva presentato immediata istanza di differimento di esecuzione della pena all'Ufficio Matricola del Carcere di Lodi;
in seguito al trasferimento del Mazzariello dal Carcere di Lodi a quello di Opera, avvenuto in data 18 febbraio 2004, allo stesso veniva bruscamente ed immotivatamente interrotta la terapia a base di morfina cloridrato in quanto indisponibile nella farmacia del carcere ed i sanitari, anziché provvedere all'immediato reperimento del medicinale prescrivevano al detenuto un altro analgesico che questi rifiutava in quanto inefficace e portatore di gravi effetti collaterali;
verosimilmente a causa dell'improvvisa mancata somministrazione della «terapia del dolore» il Mazzariello, fortemente provato nel fisico e nello spirito, si infliggeva la morte per impiccagione legandosi al collo la cintura dell'accappatoio dopo aver legato l'altro capo della stessa alle sbarre della cella e rovesciandosi, quindi, sulla sua sedia a rotelle -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro della giustizia per verificare le ragioni per le quali al detenuto non sia stata somministrata l'unica terapia idonea a fronteggiare il suo stato di salute (la morfina cloridrato, appunto, farmaco presente nel prontuario farmaceutico penitenziario regionale); come sia possibile che, considerata la gravità del caso, lo stato di salute del Mazzariello sia stato ritenuto compatibile con la struttura carceraria.
(4-09679)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si comunica quanto segue.
L'ultimo arresto del detenuto Andrea Mazzariello, nato a Margherita di Savoia (FG) il 26 agosto 1953, risale al 10 febbraio 2004, atteso che nel passato, già a decorrere dall'anno 1982, aveva subito numerose carcerazioni, quale autore di vari delitti contro il patrimonio e di reati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
In data 30 marzo 2000 il tribunale di Lodi lo aveva condannato alla pena della reclusione di undici anni per i reati di violenza carnale nei confronti di minore e atti di libidine violenti e, pertanto, la Procura della Repubblica di Lodi il 5 gennaio 2004 aveva emesso ordine di esecuzione
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della pena (il fine pena era previsto per il 9 febbraio 2015).
Il detenuto Mazzariello dal 17 febbraio 2004 si trovava ristretto nella casa di reclusione di Milano Opera, proveniente dalla casa circondariale di Lodi, a seguito di provvedimento di trasferimento emesso dal Provveditorato regionale della Lombardia.
Il 24 marzo 2004 il medesimo detenuto si suicidava nella cella a mezzo impiccagione, con l'ausilio della cinta dell'accappatoio, legata a forma di cappio alla inferriata della finestra della cella da lui stesso occupata.
Sulla base dei rapporti di servizio risulta che il detenuto si è suicidato a seguito di uno stato depressivo, determinato dal rifiuto di una donna, in stato di libertà, di rispondere alle sue lettere, infatti, una missiva a lei indirizzata, trovata nella cella, riportava la seguente frase: «ultima lettera, se non ci sarà un riscontro, addio mia amata».
A seguito del decesso, la procura della Repubblica presso il tribunale di Milano ha iscritto il procedimento n. 1943/04 mod. 45, successivamente archiviato dall'Autorità giudiziaria in quanto, come confermato dagli accertamenti autoptici, il decesso è stato ricondotto ad un evento suicidario, senza responsabilità di terzi.
Il medesimo detenuto aveva delle difficoltà nella deambulazione per patologie che lo costringevano ad avvalersi dell'uso di una carrozzella. Era ubicato in una cella singola onde evitare problemi con gli altri detenuti, considerato il tipo di reati per i quali era stato condannato (violenza carnale nei confronti di minore e atti di libidine violenti).
Il Mazzariello era adeguatamente seguito sotto il profilo medico, anche attraverso le attrezzature e i servizi medici del centro diagnostico terapeutico annesso alla casa di reclusione di Milano Opera.
Essendo stato arrestato il 10 febbraio 2004 e dovendo scontare 11 anni, al detenuto non potevano ancora essere concessi i benefici di legge.
Per quanto concerne i detenuti che si trovano in condizione di disabilità, l'Amministrazione Penitenziaria provvede ad assegnarli, secondo i criteri previsti dall'articolo 65 dell'ordinamento penitenziario, tenuto conto che si tratta di infermità fisiche compatibili con lo stato di detenzione.
La patologia fisica che, viceversa, richiede necessariamente un trattamento non eseguibile secondo le modalità dell'articolo 11 dell'ordinamento penitenziario, obbliga il Giudice ad astenersi dal disporre la custodia cautelare in carcere (articolo 275 co. 4 c.p.p.) e, se vi è stata già la condanna definitiva, ad ordinare il differimento dell'esecuzione della pena (articolo 147 c.p.) o l'espiazione della pena in regime di detenzione domiciliare (articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario).
Il trattamento riservato ai detenuti infermi è di tipo terapeutico e risocializzante al tempo stesso. L'assegnazione, ex articolo 65 dell'ordinamento penitenziario, permane fino a quando sussiste l'infermità.
Ad ogni buon conto, si elencano di seguito gli istituti penitenziari destinati a ricevere i detenuti affetti da infermità, minorazioni fisiche o psichiche, e le relative presenze nel mese di ottobre 2005:
Istituti destinati a ricevere i detenuti classificati minorati fisici con la relativa sezione:
| Capienza | Presenza
C.R. Parma
| 25 | 21 + 17 disabili
C.R. Ragusa
| 14 | 16
C.R. Turi
| 29 | 13 | | | |
Istituti penitenziari destinati a ricevere i soggetti sottoposti al regime della minorazione psichica (ex articolo 111 n. 5 e segg. del Regolamento di Esecuzione dell'ordine penitenziario - decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000):
| Capienza | Presenza
C.R. Roma Rebibbia | 18 | 12
O.P.G. Napoli | 20 | 26
O.P.G. Barcellona Pozzo di Gotto | 20 | 22
O.P.G. Reggio Emilia | 20 | 17 | | | | |
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Istituti penitenziari dotati di Centro Diagnostico Terapeutico
| Capienza | Presenza
C.C. Torino «Lo Russo e Cutugno» | 23 | 23
C.C. Milano San Vittore | 90 | 79
C.R. Milano Opera | 95 | 54
C.R.Parma | 18 | 14
C.C.Genova | 21 | 43
C.C. Pisa | 80 | 70
C.C. Roma Regina-Coeli | 80 | 65
C.C. Perugia femminile | 18 | 16 | | | | | | | | |
| Capienza | Presenza
C.C. Perugia maschile | 27 | 27
C.C. Napoli Secondigliano | 84 | 64
C.C. Napoli Poggioreale | 51 | 52
C.C. Messina | 48 | 43
C.C. Cagliari | 36 | 17 | | | | | |
I Centri diagnostici terapeutici della casa circondariale di Sassari e della casa circondariale di Palermo Ucciardone sono attualmente chiusi.
Si deve far presente che ove taluno dei sopraindicati detenuti necessiti di interventi sanitari specifici non realizzabili nell'istituto di assegnazione, si dispone il trasferimento provvisorio nel centro diagnostico terapeutico, che sia in grado di assicurare le cure e la terapia occorrente. Ove comunque il detenuto non possa essere curato in nessuna delle strutture sopra indicate, il soggetto malato viene ricoverato in luogo esterno di cura, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 11 dell'ordinamento penitenziario e/o in caso di urgenza in conformità alla procedura, prevista dall'articolo 17 n. 8 del decreto del Presidente del 30 giugno 2000 n. 230.
Inoltre, allo scopo di dare attuazione alla previsione di cui all'articolo 65 della legge n. 354/1975 «Ordinamento Penitenziario» secondo la quale «I soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per un idoneo trattamento», con nota del 24.3.2000 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha individuato due livelli di assistenza sanitaria, per garantire dei servizi sanitari adeguati per l'accoglienza e la cura dei detenuti affetti da disabilità motoria e sensoriale di vario grado.
In particolare, sono stati previsti l'istituzione o l'ampliamento, laddove già esistenti di reparti di I livello per l'assistenza sanitaria ai detenuti disabili non autosufficienti da attivarsi presso istituti penitenziari, sede di centro clinico.
Inoltre, sono stati invitati i provvedimenti regionali a valutare la individuazione di reparti di livello intermedio per l'assistenza sanitaria dei detenuti disabili autosufficienti, tra gli istituti penitenziari dotati di infermeria attrezzata e assistenza sanitaria di base, garantita per tutto l'arco delle 24 ore.
La realizzazione di detti reparti comporta la programmazione di lavori edilizi che in molte sedi sono stati già completati, come negli istituti penali di Parma o nella casa circondariale di Bari (ove è stato riaperto il C.D.T. nel mese di luglio u.s. e sono stati attivati il Reparto di medicina e il reparto per i diversamenti abili - tetraparaplegici - mentre in altre località sono tuttora in corso.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
SERENA. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la Costituzione vigente assicura ad ogni cittadino piena libertà di espressione e di opinione;
all'Istituto «Fleming» di Treviso i genitori di un alunno sono stati convocati in presidenza perché il loro figlio indossava una maglietta con un simbolo richiamatesi ad un partito di destra;
all'Istituto «Veronese» di Montebelluna (Treviso) è stato seguito un procedimento simile (nota sul registro e convocazione dei genitori) nei confronti di un alunno che aveva con sé una bandiera di un partito di destra che è rappresentato nel Parlamento Europeo;
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pur non volendo contestare l'opzione di evitare la presenza di simboli di partito all'interno delle scuole, è però vero che, nei due istituti citati, analoghi provvedimenti non vengono assunti nei confronti di allievi che ostentano simboli di sinistra, anarchici, comunisti o inneggianti al defunto Che Guevara -:
se non si intendano adottare opportuni provvedimenti al fine di assicurare ad ogni studente, indipendentemente dalle diverse appartenenze politiche, il diritto ad esprimere e a manifestare liberamente le proprie opinioni ed evitando il ricorso a sanzioni disciplinari tanto più incomprensibili se attuate in modo discriminatorio.
(4-19509)
Risposta. - Si risponde, su delega della Presidenza del Consiglio, alla interrogazione parlamentare con la quale l'interrogante chiede provvedimenti affinché non si adottino in modo discriminatorio sanzioni disciplinari nei confronti di allievi che manifestano opinioni politiche. Ciò in quanto in un istituto di Treviso sono stati convocati i genitori di un allievo che indossava una maglietta recante simbolo di partito ed in altro istituto della medesima città sono stati convocati i genitori di un altro alunno che aveva con sé una bandiera mentre per altri analoghi casi non sono assunti gli stessi provvedimenti.
Al riguardo si fa presente che l'Ufficio scolastico regionale per il Veneto dopo aver interpellato i dirigenti scolastici degli istituti ai quali fa riferimento l'interrogante ritiene che non sussistono le situazioni di sanzioni disciplinari attuate in modo discriminatorio, come segnalato nell'interrogazione.
Infatti, il dirigente scolastico dell'istituto paritario Fleming di Treviso ha fatto presente che «non ha mai convocato genitori di alunni perché i loro figli indossavano magliette con simboli di partiti»; assicurazioni in tal senso sono state fornite anche dal direttore dell'istituto.
Quanto all'istituto statale «Veronese» di Montebelluna-Treviso il dirigente scolastico, interpellato, ha riferito di essere personalmente intervenuto in una classe, su richiesta di un docente, in quanto un allievo, parzialmente avvolto in un vessillo, si esibiva suscitando l'ilarità della classe, non consentendo così il normale svolgimento dell'attività didattica. Lo studente invitato a riporre il vessillo lo riponeva tranquillamente.
Il fatto è stato sinteticamente riportato sul registro di classe.
Il dirigente ha fatto presente, infine che l'episodio non ha avuto alcun seguito né all'interno della classe, né nell'istituto.
Il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, per l'università e per la ricerca: Valentina Aprea.
SINISCALCHI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
dagli organi di informazione, (in particolare), La Repubblica del 12 maggio 2005, si è appresa una notizia di estrema gravità in relazione alle condizioni di degrado in cui attualmente verserebbe l'istituto penitenziario femminile di Rebibbia;
il carcere di Rebibbia, notoriamente il più grande penitenziario femminile italiano, è afflitto, peraltro, da sovraffollamento delle celle, ulteriore condizione di disagio quest'ultima che penalizza la fruizione della struttura anche sotto il profilo igienico e sanitario;
le denunciate carenze afferenti una efficiente organizzazione sanitaria, avrebbero causato, negli ultimi giorni, la diffusione di una epidemia di varicella, investendo anche il reparto che ospita le detenute madri unitamente ai loro bambini;
sempre da quanto si è appreso dalle testimonianze di alcune detenute riportate dagli organi di informazione, verrebbero somministrati farmaci anche in assenza delle dovute ed approfondite visite mediche per verificare le condizioni fisiche delle pazienti;
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le richiamate rimostranze, si riferiscono anche alle condizioni igieniche delle celle che sembrerebbero registrare intollerabili presenze di topi e sporcizia all'interno degli spazi vitali;
le denunciate situazioni, appaiono certamente incompatibili con la corretta funzione che la pena deve avere in ossequio alla Costituzione, stimolando nel detenuto ogni capacità di reinserimento sociale -:
se il ministro interrogato, accertati i fatti, intenda adottare opportuni provvedimenti per scongiurare il protrarsi di condizioni carcerarie intollerabili e lesive della dignità delle detenute.
(4-14463)
Risposta. - L'organizzazione dei servizi sanitari presso la casa circondariale femminile di Roma Rebibbia prevede la presenza giornaliera di quattro medici incaricati del servizio di guardia medica SIAS di 23 ore e dell'assistenza infermieristica di 46 ore nei giorni feriali e 40 nei festivi.
Sono inoltre attive le seguenti branche specialistiche: psichiatria, infettivologia, pediatria, ginecologia, cardiologia, chirurgia, odontoiatria, endocrinologia, medicina del lavoro e radiologia.
Tale modello è conforme ai criteri di organizzazione dei servizi sanitari negli istituti di pena stabiliti con numerose direttive dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria tra le quali, in particolare si evidenziano la circolare del 15 gennaio 1999 che ha diversificato l'organizzazione sanitaria penitenziaria in relazione al numero dei detenuti presenti e la circolare del 21 ottobre 2003 che ha integrato detti parametri prevedendo anche quelli relativi alla tipologia dei detenuti presenti e alle disponibilità del territorio per la definizione delle branche specialistiche da attivare.
Il primo caso di varicella, cui si fa riferimento nell'interrogazione in oggetto, è stato diagnosticato il 13 aprile 2005 e riguardava una detenuta associata in istituto il 15 gennaio 2005, proveniente dalla libertà.
Dalla posizione giuridica risulta che la stessa era stata tratta in arresto perché responsabile di furto aggravato; che l'arresto era stato convalidato con applicazione della misura della custodia cautelare in carcere; che era stata condannata, con sentenza emessa, ex articoli 445-445 codice procedura penale il 24 gennaio 2005 alla pena di mesi 4 di reclusione e euro 200.00 di multa, divenuta irrevocabile il 4 marzo 2005.
Non è stato possibile risalire al momento di trasmissione del virus alla detenuta, che ha ricevuto la visita - in data 18 marzo 2005, 29 marzo 2005 e 5 aprile 2005 - della sola madre.
Dall'esame della cartella clinica si evince che la paziente al momento del suo ingresso in Istituto era in terapia sostitutiva con metadone e risultava essere affetta oltre che da malattia da HIV - stadio B3, (rispondente ai parametri laboratoristici necessari per la definizione di incompatibilità con il regime di reclusione) anche da epatopatia HCV e HBV correlata.
In carcere la paziente ha poi iniziato un progressivo scalaggio del metadone, terminato il 4 febbraio 2005.
Appena riscontrato il contagio, la detenuta veniva condotta immediatamente presso il Pronto soccorso dell'ospedale «Sandro Pertini» di Roma e successivamente trasferita presso l'Istituto di Ricerca e Cure a Carattere Scientifico (IRCCS) «Lazzaro Spallanzani» dove decedeva il 16 aprile 2005.
Motivi disciplinari, legati al comportamento della detenuta, avevano reso necessari continui spostamenti della medesima da una cella ad un'altra della sezione Camerotti, dove poi si sono verificati gli altri episodi di varicella, complessivamente ammontanti a cinque casi.
La procedura idonea a porre in atto adeguate misure di prevenzione e del contagio è stata avviata in data 26 aprile 2005, con la notifica dell'esistenza di due casi di varicella all'interno dell'istituto alla Asl RM/B che provvedeva a suggerire le opportune iniziative di carattere sanitario.
Anche il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria interveniva nella vicenda effettuando nell'istituto un'indagine
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epidemiologica unitamente all'Istituto superiore di sanità.
Le iniziative assunte sono consistite in visite mediche, sorveglianza sanitaria, quarantena dei contatti, disinfezione, impiego di dispositivi individuali di protezione, offerta di gammaglobuline, farmaci e vaccinazione antivaricella. Importante l'adesione da parte della maggioranza della popolazione reclusa alle iniziative di prevenzione tanto che solo 11 detenute su 95, suscettibili, hanno rifiutato di sottoporsi a vaccinazione e/o chemioprofilassi.
Un rilevamento siero-epidemiologico sulle ristrette - compiuto nel rispetto della normativa vigente in materia di trattamento di dati sensibili, studiato dagli esperti dell'Istituto superiore di sanità e accolto favorevolmente dal Provveditore regionale - consentirà, una volta esaminati i dati raccolti, di comprendere i motivi che hanno determinato il verificarsi degli episodi e quindi di utilizzare tali risultati per eventuali misure di profilassi da adottare su scala nazionale.
Per quanto attiene la notizia della presenza di ratti nelle sezioni, si comunica che la direzione dell'istituto di Rebibbia già dal febbraio 2002 ha stipulato regolare contratto con una ditta specializzata per la disinfestazione e la derattizzazione periodica (mensile) di tutti gli ambienti dell'istituto stesso.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
SINISCALCHI e CENNAMO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi gli organi di stampa hanno pubblicato la notizia di una singolare detenzione patita da un cittadino affetto da gravi patologie e sottoposto a continue cure sanitarie (Ansa regionale, 13 settembre 2005);
il detenuto, gravemente affetto da patologie si troverebbe attualmente ristretto a Napoli presso il carcere di Poggioreale;
il quarantaduenne detenuto risulterebbe trapiantato di fegato, in attesa di trapianto di cuore e da mesi sottoposto a trattamento di dialisi per una gravissima insufficienza renale;
il cittadino, stando a quanto rappresentato attraverso gli organi di informazione, si vide revocare il meno afflittivo regime degli arresti domiciliari, per una negligente o comunque erronea condotta assunta in relazione alla comunicazione dei propri trasferimenti;
il cittadino, all'epoca della revoca del beneficio, sempre da quanto si apprende nelle cronache, si stava sottoponendo a dialisi presso l'ospedale napoletano Cardarelli;
attualmente il detenuto sarebbe costretto a continui spostamenti dal carcere di Poggioreale all'ospedale per i trattamenti di dialisi legati alla sua grave patologia;
innegabilmente, tale precarietà di condizione relativamente alla attuale modalità di trattamento sanitario rischia di determinare un aggravamento per il detenuto della patologia con conseguente degenerazione della stessa;
senza operare straripamenti di competenze e nel rispetto assoluto della autonomia dell'autorità giurisdizionale, la situazione del detenuto, descritta nelle richiamate notizia di stampa, impone una verifica approfondita della vicenda, con particolare riferimento alla compatibilità del regime di detenzione carceraria con le condizioni di salute del cittadino -:
se il Ministro interrogato, accertati i fatti rappresentati in premessa, sia in grado di verificare se l'istituto carcerario di Poggioreale risulti attualmente in condizione di assicurare al detenuto cure adeguate, anche in considerazione dei continui trasferimenti ospedalieri ai quali il paziente sarebbe sottoposto, scongiurando altresì il rischio concreto di una degenerazione delle gravi patologie dalle quali risulterebbe affetto.
(4-16636)
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Risposta. - Il detenuto cui fanno riferimento gli interroganti è Patrizio Grandelli, nato a Napoli il 12 settembre 1963, tratto in arresto in data 31 maggio 2000, a seguito di condanna passata in giudicato per i reati di cui agli artt. 575 codice penale e 73 decreto del Presidente della Repubblica 309/90 ed altro, con fine pena attualmente previsto per il 6 giugno 2034.
Inoltre il medesimo detenuto, in un altro procedimento penale, risulta appellante per i reati di cui agli artt. 416-bis del codice penale e 74 decreto del Presidente della Repubblica 309/90 ed altro.
Il Grandelli ha fatto ingresso presso la casa circondariale di Napoli Poggioreale in data 20 luglio 2005, a seguito di provvedimento di sospensione della misura alternativa della detenzione domiciliare in quanto si era allontanato senza autorizzazione dal proprio domicilio.
Nella casa circondariale di Poggioreale al Grandelli è assicurato ogni possibile trattamento sanitario attraverso le attrezzature ed il personale dell'annesso centro diagnostico terapeutico, nonché mediante le strutture sanitarie pubbliche.
Per quanto riguarda, infine, la compatibilità del regime carcerario con le condizioni di salute del detenuto va precisato che la relativa valutazione è rimessa alla competenza giurisdizionale del tribunale di sorveglianza.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
SPINI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Il World monuments Wacht ha inserito il cimitero acattolico di Roma tra i cento siti storici in pericolo;
in detto cimitero sono sepolti tra gli altri i poeti Keats, Shelley, lo scrittore Carlo Emilio Gadda nonchè Antonio Gramsci -:
quali iniziative intenda prendere il Governo per garantirla conservazione e la tutela di un momento di tale importanza storica ed artistica.
(4-19900)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione parlamentare riguardante il cimitero storico acattolico di Roma, per quanto di competenza di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
Il complesso monumentale, sottoposto a regime di tutela ex legge n. 1089 del 1939, è soggetto ad interventi di restauro conservativo da parte della direzione cimiteriale, la quale sottopone sistematicamente agli uffici ministeriali, per il nulla osta di rito, le relative richieste autorizzative.
In alcuni casi, gli stessi uffici ministeriali provvedono ad eseguire interventi sulle singole opere; allo stato, si segnala che la Soprintendenza competente ha in corso di attuazione il restauro del monumento funebre della famiglia Andersen.
Per quanto concerne più strettamente lo stato di abbandono in cui il cimitero versa tanto da interessare il «World monuments Watch», si segnala che, a seguito di quanto riferito dall'interrogante, il competente ufficio ministeriale si attiverà per effettuare un'analisi approfondita delle tombe che rivestono altissimo valore storico, al fine di una valutazione dell'effettivo stato di conservazione e dell'eventuale necessità di impartire alle proprietà le opportune disposizioni per un'idonea salvaguardia di tali monumenti.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Nicola Bono.
VALPIANA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'interrogante, recatasi in visita nella casa circondariale di Verona-Montorio il giorno 12 gennaio 2005, ha avuto modo di riscontrare la presenza di alcuni detenuti per i quali già vi erano i presupposti per ottenere la liberazione anticipata in misura tale da determinare la scarcerazione e che, pur avendo da tempo presentato domanda per ottenere la liberazione anticipata, non avevano ricevuto risposta alcuna e di altri per i quali la scarcerazione avrebbe dovuto essere imminente
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ma che non avevano ancora ricevuto alcuna notifica in merito -:
se quanto su esposto corrisponda al vero e quale ne sia la causa;
se non ritenga, qualora tale disfunzione fosse verificata, inanimissibile che una persona che abbia maturato il diritto alla scarcerazione anticipata, avendo trascorso il periodo di pena comminata mantenendo la buona condotta, veda non rispettati i propri diritti proprio da quell'apparato giudiziario che, oltre a comminare le pene, dovrebbe avere un compito di educazione alla legalità;
se ritenga di verificare le motivazioni, le carenze e le eventuali responsabilità di una tale situazione e di assumere le misure conseguenti;
se risulti che situazioni analoghe si verifichino anche rispetto a detenuti in altre carceri e come intenda risolvere questa inammissibile violazione di legge e dei diritti di chi ha scontato il proprio debito verso la società.
(4-12621)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, si riferisce di seguito quanto comunicato dall'Ufficio di sorveglianza di Verona in relazione alla prassi operativa delle cancellerie e del Magistrato di sorveglianza in materia di liberazione anticipata. È stato, infatti, osservato che la mancata indicazione dei casi specifici nei quali si sarebbero verificate delle disfunzioni non consente di accertare eventuali problemi concreti verificatisi in singole posizioni.
Va innanzitutto premesso che:
i procedimenti di liberazione anticipata rientrano nella competenza del Magistrato di sorveglianza a partire dalla fine dell'anno 2002 per effetto del passaggio di competenza disposto con la legge 19 dicembre 2002 n. 277 dal Tribunale di sorveglianza al Magistrato di sorveglianza. Con lo stesso testo normativo è stata prevista la applicazione del beneficio anche agli affidati al servizio sociale, fino a quel momento esclusi;
negli ultimi cinque anni, inoltre, si è verificato un costante aumento dei procedimenti di liberazione anticipata per effetto, da un lato, del costante incremento del numero dei detenuti ristretti negli istituti di pena di Verona e di Vicenza (per i quali è prevista la competenza delle Magistrato di sorveglianza di Verona) e, dall'altro, per l'ampliamento della possibilità di accedere al beneficio da parte di condannati che fruiscono di affidamento al servizio sociale ex articolo 47 ordinamento penitenziario e articolo 94 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Da un prospetto delle statistiche relative agli ultimi 5 anni, trasmesso da detto ufficio, risulta che: nell'anno 2000 sono pervenute 383 nuove istanze; nell'anno 2001 sono pervenute 449 nuove istanze; nell'anno 2002 sono pervenute 508 nuove istanze; nell'anno 2003 sono pervenute 1109 nuove istanze; nell'anno 2004 sono pervenute 879 nuove istanze; nel primo semestre dell'anno 2005 sono pervenute 471 nuove istanze.
Atteso, dunque, il notevole numero dei procedimenti attinenti la liberazione anticipata e il loro costante aumento e al fine di contenere un'inutile moltiplicazione delle istanze (fenomeno frequente quando il condannato, pur con un lontano fine pena, presenta una istanza per ogni semestre di pena detentiva maturato), considerata, altresì, l'opportunità di una valutazione del comportamento del condannato in un periodo più lungo del mero semestre al fine di meglio apprezzare se «abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione» come previsto dall'articolo 54 comma 1 O.P. o se «abbia dato prova di un suo concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della sua personalità» come previsto dall'articolo 47 comma 12-bis, tenuto inoltre conto della presenza di un solo magistrato di sorveglianza presso l'ufficio di Sorveglianza di Verona (l'ampliamento della pianta organica è stato infatti disposto solo recentemente e in data 26 settembre 2005 ha preso possesso un secondo magistrato di sorveglianza), il suddetto Ufficio di sorveglianza
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di Verona ha ritenuto opportuno, nei procedimenti di liberazione anticipata, valutare le posizioni soggettive dei condannati in relazione ad un adeguato periodo di tempo, anche superiore talvolta a quello richiesto dal condannato (e cioè anche per più semestri rispetto a quello richiesto) con lo scopo di effettuare quella valutazione globale della condotta tenuta, in detenzione o in misura alternativa, che appare fondamentale ai fini della concessione del beneficio.
È stato, dunque, disposto che l'istruttoria, tenuto conto del fine pena, avvenga possibilmente per più semestri, ferma restando la necessità di una valutazione in tempo utile per il condannato.
Sono esclusi da questo meccanismo, invece, i procedimenti aventi carattere di urgenza, per i quali cioè la concessione anche di un solo semestre comporterebbe l'immediata o comunque ravvicinata scarcerazione del condannato. Per detti procedimenti il magistrato e il personale di cancelleria si adoperano affinché la registrazione delle istanze, le conseguenti richieste istruttorie e la valutazione del magistrato siano sempre tempestive; la cancelleria utilizza la trasmissione degli atti a mezzo fax ai vari uffici interessati e effettua anche i necessari solleciti in caso di ritardo nelle trasmissioni delle informazioni da parte degli altri uffici coinvolti (procura della Repubblica, istituti di pena, forze dell'ordine).
In realtà le modifiche normative sopra citate hanno inciso in modo significativo soprattutto a livello processuale nel senso che, a differenza di quanto avveniva avanti il tribunale di sorveglianza, non è più prevista udienza in camera di consiglio con partecipazione necessaria del pubblico ministero e dell'avvocato e partecipazione eventuale del condannato; attualmente è prevista la valutazione de plano da parte del Magistrato di sorveglianza, senza la partecipazione dell'interessato e del pubblico ministero al quale viene semplicemente richiesto un parere scritto.
Nella nuova procedura, dunque, non è più prevista la citazione diretta dell'interessato all'udienza predeterminata e, di conseguenza, il condannato non ha conoscenza formale della data in cui la sua istanza sarà valutata dal magistrato. È verosimile, dunque, che alcuni detenuti abbiano lamentato proprio questa scarsa conoscenza dello stato del procedimento. In realtà esiste per il condannato, personalmente se libero o a mezzo di difensore se detenuto, la possibilità di acquisire direttamente tale informazione tramite telefonata o accesso diretto all'ufficio di sorveglianza.
Per limitare, inoltre, tale disagio per il condannato detenuto in istituto di pena, eventualmente sprovvisto di difensore di fiducia, è stata anche predisposta una missiva di cancelleria con la quale il condannato detenuto in istituto di pena viene informato della data approssimativa della valutazione da parte del magistrato di sorveglianza.
Si segnala, infine, che malgrado la sollecita predisposizione delle istruttorie dei procedimenti di liberazione anticipata la valutazione da parte del magistrato è dipendente dall'acquisizione di tutte le informazioni necessarie e che tale adempimento risulta talvolta complesso e lungo in quanto coinvolge uffici, anche non giudiziari, e che la trattazione dei procedimenti a possibile effetto liberatorio prevale comunque sui procedimenti di carattere non urgente.
Va messo in evidenza, da ultimo, che il diritto allo sconto di pena per effetto della liberazione anticipata viene maturato dal detenuto solo con il provvedimento di concessione, integrale o parziale, del magistrato, che non sempre tale detrazione comporta la scarcerazione del condannato per avvenuta espiazione pena e che la notifica del provvedimento e la scarcerazione del detenuto avvengono immediatamente dopo il deposito dell'ordinanza del magistrato di sorveglianza e con mezzi urgenti solo nei casi in cui detto provvedimento ha in concreto un effetto liberatorio; nei rimanenti casi la notifica del provvedimento avviene con i tempi ordinari.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
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VALPIANA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il Comitato dei Genitori dell'ITIS «Galileo Ferraris» di Verona ha sollecitato per l'anno scolastico 2005-2006 una convenzione con la ditta VDS Italia per rendere possibile il noleggio dei libri di testo adottati dalla scuola;
53 famiglie di studenti della scuola hanno scelto la formula del noleggio, particolarmente vantaggiosa dal punto di vista economico, ma interessante anche dal punto di vista educativo, poiché responsabilizza lo studente sull'utilizzo del testo e lo coinvolge nei problemi economici familiari;
la legittima scelta dei genitori di risparmio sul costo dei libri di testo, molto oneroso specie nella scuola superiore, ha trovato opposizione da parte dei librai della città, opposizione che ha avuto riscontro anche sulla stampa cittadina;
il noleggio dei libri di testo, a parere dell'interrogante, non incide su alcun legittimo interesse, visto che il libro viene comunque acquistato e il diritto d'autore pagato;
il 20 febbraio 2006 è stata emessa dal MIUR la circolare n. 15 prot. 1609 avente per oggetto l'adozione dei libri di testo (firmata dal direttore generale Silvio Criscuoli) che riporta al termine una riga sul divieto di noleggio per la tutela del diritto d'autore;
alcune regioni hanno legiferato e altre stanno legiferando, a partire dal principio di garantire il diritto allo studio a fasce sempre più vaste della popolazione scolastica anche oltre la scuola dell'obbligo, nel senso di prevedere la concessione in comodato dei libri di testo -:
quale sia la norma richiamata nella circolare visto che, a parere dell'interrogante, la legge 248 del 18 agosto 2000 «Nuove norme di tutela del diritto d'autore», non pare contenuto alcun veto formale al noleggio;
quali siano i motivi che hanno spinto ad aggiungere alla suddetta circolare una frase indicante un divieto che non sembra comparire nella legge;
se non ritenga che il noleggio dei libri di testo, che tanto può giovare ai bilanci familiari, andrebbe incentivato invece che scoraggiato o comunque lasciato libero senza azioni intimidatorie sui Comitati dei genitori e sui consigli di istituto;
se non ritenga, con nuovo atto destinato ai Direttori Generali degli uffici scolastici regionali, chiarire la questione;
se non intenda rispettare le autonomie delle regioni e scolastiche in materia, anche diffondendo una nuova circolare che chiarisca i reali termini di applicazione della legge, in modo da non impedire innovative sperimentazioni a favore del contenimento del costo della vita e dei bilanci familiari.
(4-19993)
Risposta. - In merito alla interrogazione parlamentare in esame si comunica che il direttore generale per gli ordinamenti scolastici, con la Circolare n. 30 del 24 marzo 2006 «Adozione di libri di testo nella scuola primaria, nella scuola secondaria di Io grado e negli istituti di istruzione di IIo grado per l'anno scolastico 2006/2007» ha fornito, a chiarimento delle istruzioni contenute nella precedente circolare n. 15 del 20 febbraio 2006, indicazioni concernenti il noleggio dei testi scolastici.
Nell'ultima circolare si precisa che l'attività di noleggio è consentita a condizione che il titolare dei diritti sul testo oggetto del noleggio rilasci una specifica autorizzazione, conformemente alla normativa in materia di diritti d'autore.
I dirigenti scolastici interessati avranno naturalmente il compito di verificare, prima di consentire il noleggio dei libri di testo all'interno del proprio istituto, l'esistenza della suddetta autorizzazione.
Il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, per l'università e per la ricerca: Valentina Aprea.
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ZANOTTI e GRIGNAFFINI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
giovedì 7 ottobre 2004 alle ore 18 circa l'autorità giudiziaria statunitense ha emesso un ordine federale di sequestro dell'hardware fisicamente in uso agli uffici di Londra del provider statunitense Rackspace;
Rackspace con uffici negli Stati Uniti e a Londra è uno dei providers che ospitano i server che contengono i siti web di Indymedia tra cui la sezione italiana (www.italy.indymedia.org);
questo atto ha colpito più di 20 siti di Indymedia in tutto il mondo. Allo stesso tempo un secondo server che ospita trasmissioni di diverse stazioni radiofoniche è stato disconnesso;
alle 22:38 dell'8 ottobre 2004 una notizia ANSA ha riportato le dichiarazioni di un portavoce dell'Fbi, Joe Parris, il quale ha spiegato che l'intervento dell'Fbi per bloccare i server del sito Indymedia è avvenuto su richiesta dell'Italia e della Svizzera e che quindi quella in corso non è un'operazione dell'Fbi. L'intervento, ha detto Parris alla Afp, è stato fatto «a nome di paesi terzi da parte di responsabili del ministero della giustizia contro un server, Rackspace, che fornisce spazio sul web a Indymedia»;
tra i dati contenuti nei server sequestrati dalle Autorità statunitensi ve ne sono di riservati e certamente totalmente estranei alle motivazioni del provvedimento tra cui la banca dati dei legali contenente gli atti attualmente depositati dal pubblico ministero nel processo genovese sull'irruzione alla scuola Diaz che vede imputati numerosi appartenenti alla Polizia di Stato;
come previsto anche dalla legislazione statunitense (28 USC Sec. 1782) l'assistenza nelle indagini prevede garanzie e limiti derivanti dalla normativa internazionale;
pertanto l'ordine di sequestro proveniente dall'Italia deve avere natura giudiziaria;
il trattato di mutua assistenza citato dalle autorità statunitensi (Money Laundering and Terrorist financing Act 2003, MLAT) prevede ipotesi di reato che nulla hanno a che vedere con l'attività di informazione svolta da Indymedia. L'applicazione del trattato di mutua assistenza infatti è possibile nelle indagini riguardanti il reciclaggio di denaro e l'associazione a delinquere con finalità di terrorismo (section IV - Money Laundering and Terrorist financing Act 2003, MLAT - 18 USC Sec. 981 - 18 USC Sec. 2331) e dunque nuovamente e a maggior ragione in Italia tale sequestro può essere attivato solo su richiesta da parte dell'Autorità Giudiziaria -:
quali siano le basi legali del provvedimento che ha portato ad un intervento di sequestro di spazio web utilizzato per l'attività di informazione indipendente e come tale coperta dalla garanzia costituzionale e che ha portato comunque alla sottrazione di contenuti non riconducibili a nessuna delle ipotesi previste dalla normativa internazionale e riservati.
(4-11228)
Risposta. - Con riferimento alla interrogazione indicata in oggetto, la procura di Bologna, con nota del 27 ottobre 2005, ha comunicato che «in seno al procedimento penale 4459/05 r.g.n.r sono stati depositati a disposizione delle parti gli atti individuati dal GIP per la decisione, atti tra i quali è inclusa la rogatoria verso gli Stati Uniti e quindi la richiesta indirizzata all'autorità giudiziaria straniera di dati ricavabili dal server di Indymedia».
Dall'esame degli atti contenuti nella pratica ministeriale relativa alla rogatoria, si rileva che essa non aveva ad oggetto il sequestro del server statunitense, ma l'acquisizione di log file dai quali potere rilevare gli indirizzi Ip Address.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.
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ZANOTTI, ABBONDANZIERI, ADDUCE, AMICI, BELLINI, BENVENUTO, BIELLI, BOLOGNESI, BONITO, CALZOLAIO, CAPITELLI, CARBONI, CAZZARO, CENNAMO, CHIAROMONTE, CIALENTE, COLUCCINI, CORDONI, DIANA, FUMAGALLI, GAMBINI, GIACCO, GIULIETTI, GRIGNAFFINI, GRILLINI, KESSLER, LABATE, RAFFAELLA MARIANI, MARIOTTI, MAURANDI, MOTTA, OTTONE, PANATTONI, PINOTTI, PISA, PREDA, QUARTIANI, RUZZANTE, SANDI, SASSO, SERENI, SINISCALCHI, TIDEI, TOLOTTI, TRUPIA, VIGNI e ZUNINO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la popolazione detenuta femminile in Italia oscilla da sempre tra il 4 per cento e il 5 per cento del totale, non superando mai questa soglia;
le donne detenute in Italia si trovano allocate in sette istituti femminili (Trani, Pozzuoli, Rebibbia, Perugia, Empoli, Genova, Venezia) e in 62 sezioni all'interno di carceri maschili;
circa 70 bambini al di sotto dei tre anni di età si trovano in carcere con le loro madri, tanto in prigioni interamente femminili quanto in sezioni ospitate all'interno di prigioni maschili;
le donne detenute devono in media scontare pene di lunghezze molto inferiore a quelle degli uomini, la maggior parte non superando i cinque anni;
l'Ordinamento Penitenziario prevede una serie di strutture specifiche per le carceri e per le sezioni femminili, come ad esempio gli asili nido là dove l'istituto o la sezione ospiti gestanti o madri con bambini;
l'associazione Antigone ha reso noti, attraverso una pubblicazione e alcuni seminari, i risultati di una ricerca transnazionale cui l'associazione stessa ha preso parte sul reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute, dalla quale emergono i seguenti punti:
nonostante l'esiguo numero di donne detenute in Italia e negli altri paesi europei, la maggior parte dei problemi che esse si trovano ad affrontare durante la detenzione e al momento del loro reingresso in società è diretta conseguenza del sovraffollamento di cui soffrono i sistemi penitenziari europei, sovraffollamento determinato in massima parte dalle presenze maschili e tuttavia subito anche dalle donne medesime a causa della gestione amministrativa unitaria di prigioni e sezioni maschili e femminili;
le donne detenute ed ex detenute presentano problematiche peculiari legate alla loro condizione di genere - prime fra tutte, ma non unicamente, quelle sanitarie e quelle legate alla maternità - per far fronte alle quali si rivelano inadeguati gli strumenti utilizzati per gli uomini;
la frammentazione della popolazione detenuta femminile, ospitata spesso in piccole sezioni all'interno di prigioni maschili (in molte delle quali si trovano non più di due o tre detenute), determina una tendenza a trascurare tali sezioni, destinando alla detenzione maschile la quasi totalità delle risorse economiche e umane. Tale problema non si risolve eliminando le sezioni femminili all'interno degli istituti maschili e contenendo l'intera popolazione detenuta femminile nelle poche prigioni interamente destinate a essa, in quanto così facendo si costringerebbe la maggior parte delle donne a scontare la pena lontano dal luogo di residenza del proprio nucleo familiare -:
se il Governo non ritenga necessario istituire un apposito Ufficio del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
(4-16037)
Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame si premette che la composizione per sesso della popolazione ristretta negli istituti penitenziari italiani da molto tempo si mantiene sostanzialmente stabile.
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Da un'analisi storica delle presenze medie annue, limitate all'ultimo decennio, si riscontra una percentuale di donne detenute che si mantiene intorno al 5 per cento negli anni dal 1990 al 1993; dal 1994 in poi tale percentuale si attesta su valori eguali o di poco superiori al 4 per cento (con punte massime riscontrabili - costantemente - nelle regioni della Lombardia, del Lazio, del Veneto e dell'Emilia Romagna).
Attualmente il numero di donne complessivamente ristrette in carcere è di 2.885 unità (dato rilevato alla prima decade di dicembre 2005); trattasi di una percentuale minima dell'intera popolazione detenuta, specie se raffrontato con la popolazione maschile che, alla medesima data, si attesta su 57.032 unità.
Non avendo il numero delle donne recluse mai superato la soglia della normale capienza di tollerabilità, non si riscontrano i problemi di affollamento che affliggono le sezioni maschili.
Una percentuale significativa di presenze detentive è rappresentata da n. 1.349 detenute straniere, con prevalenza di detenute iugoslave, nigeriane e rumene.
Le strutture carcerarie che ospitano donne detenute con prole (attualmente 56) sono complessivamente 20, di cui due sono istituti solamente femminili (Roma e Venezia), mentre le altre sono sezioni femminili di istituto maschile.
Generalmente la permanenza dei bimbi nelle strutture penitenziarie è piuttosto fluttuante in quanto legata ai tempi tecnici necessari per la concessione delle misure alternative alle madri detenute, ai sensi della legge dell'8 marzo 2001, n. 40.
Da un confronto dei dati relativi allo scorso anno con quelli degli anni precedenti e, in particolare, a partire dal 2001, anno di entrata in vigore della citata legge n. 40, emerge che la presenza media delle detenute con prole e dei bambini in istituto è in calo (alla data del 31 dicembre 2001 le donne detenute con figli in istituto erano 61 e i bambini minori di tre anni 63, mentre alla data del 31 dicembre 2003 le donne detenute madri con figli in istituto erano 53 e i bambini minori di tre anni 56).
Tale dato è ancora più evidente se lo si pone a confronto con quello relativo al numero complessivo delle donne detenute che, negli ultimi anni, al contrario, è andato progressivamente crescendo.
Le categorie di reato prevalenti nell'ambito della popolazione detentiva femminile sono quelle connesse all'uso di sostanze stupefacenti, alla prostituzione e ai reati contro il patrimonio (rari i casi di condanne per reati di tipo associativo).
La commissione di questo tipo di reati, pur comportando condanne a pene edittali contenute, condiziona, però, spesso negativamente, le possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione: è richiesta, infatti, a tal fine, ai sensi dell'articolo 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario, la non sussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, condizioni queste che mal si adattano ad una tipologia di reati, quali quelli sopra citati.
In prevalenza la popolazione detenuta femminile è di origine extracomunitaria, ovvero di etnia Rom. Anche tale caratteristica rende più difficile l'accesso alle misure alternative alla detenzione, in mancanza di uno stabile punto di riferimento, ovvero per la condizione di clandestinità in cui talora si trovano. Va, infine, precisato che l'accesso ai suddetti benefici di legge è precluso alle condannate in via definitiva.
L'amministrazione penitenziaria, consapevole che la condizione delle detenute in generale e, segnatamente, quella delle detenute madri, richiede particolare attenzione, è impegnata nella individuazione e predisposizione di tutti quegli strumenti attraverso i quali contemperare le esigenze «dell'universo femminile» con quelle prioritarie di ordine e sicurezza, che caratterizzano la vita in un'istituzione chiusa quale è il carcere.
Numerose iniziative vengono poste in essere per migliorare le condizioni di vita delle donne detenute. Fondamentale si rivela l'opera di educazione, informazione e sostegno di operatori, soprattutto educatori, che supportano ed aiutano le donne detenute. Difatti, dall'inizio del periodo di reclusione,
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sono previste tutta una serie di programmi trattamentali per evitare che l'esclusione dal contesto sociale venga percepita e vissuta come un abbandono della collettività.
Esse, inoltre, usufruiscono del personale medico ed infermieristico disponibile o presente in istituto. A titolo esemplificativo, l'amministrazione penitenziaria, quando vi è un'esigenza continuativa di assistenza alle gestanti, alle puerpere e ai bambini, assicura la presenza in istituto di un ginecologo e, se possibile, di uno psicologo specializzato in psicologia dell'età evolutiva; organizza asili nido ovvero si adopera per garantire l'accoglienza dei minori presso gli asili nido del territorio anche oltre il limite di età. Ad esempio, nell'Istituto di Venezia Giudecca e di Roma Rebibbia i bambini, grazie alla collaborazione tra l'amministrazione penitenziaria, il comune e l'assessorato alle politiche sociali, vengono accompagnati ogni giorno presso l'asilo nido comunale e riportati nell'istituto penitenziario la sera.
La medesima amministrazione ha, inoltre, autorizzato, con i fondi del capitolo di bilancio n. 1830, l'istituzione di nuovi asili nido al fine di dare compiuta attuazione al disposto dell'articolo 42 dell'ordinamento penitenziario, previa apposita ricognizione delle strutture già esistenti onde procedere ad una organizzazione più funzionale dei servizi destinati a tale tipologia detentiva.
Recentemente sono stati attivati i servizi di puericultura, di ludoteca e colonie estive per i bambini (presso la C.F.R. di Venezia Giudecca già da due anni è attiva la colonia estiva).
Per la prima volta, infine, nell'ambito delle direttive generali sull'attività amministrativa e sulla gestione per l'anno 2005, per quanto di competenza del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è stato messo a punto un progetto - il programma esecutivo d'azione cosiddetto PEA n. 25 - a favore della popolazione detenuta femminile che vede coinvolte una serie di strutture interne all'amministrazione ed esterne, al fine di verificare le condizioni di vita delle donne detenute e delle attività trattamentali che vengono loro offerte, per realizzare un'analisi del contesto detentivo ed eventualmente formulare proposte adeguate e soluzioni operative che «rispondano ai bisogni dello specifico donna».
Per questi motivi, ed in considerazione della massima attenzione posta in essere dall'amministrazione penitenziaria nei confronti delle donne detenute, non si ritiene necessario istituire un apposito ufficio che si occupi specificamente del trattamento delle donne detenute.
Il Ministro della giustizia: Roberto Castelli.