COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di marted́ 5 giugno 2007


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTA PINOTTI

La seduta comincia alle 14,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle servitù militari, l'audizione del capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola.
Come sapete, avevamo deciso di tenere, nel corso dell'indagine conoscitiva, un approccio inizialmente più tecnico, finalizzato alla conoscenza della situazione. Successivamente abbiamo audito i capi di stato maggiore, i rappresentanti di enti locali e le associazioni ambientaliste. Come Commissione abbiamo svolto inoltre una missione molto interessante in Sardegna (regione scelta per ovvi motivi), di cui vi renderemo successivamente conto.
L'audizione dell'ammiraglio Di Paola rappresenta uno dei momenti finali della nostra indagine conoscitiva, che ovviamente chiuderemo con l'audizione del Ministro. Avremmo potuto decidere di tenere l'audizione del capo di stato maggiore all'inizio dei nostri lavori, ma abbiamo deciso di svolgerla in prossimità della conclusione della nostra indagine proprio per poter avere a disposizione maggiori elementi conoscitivi e servirci quindi della valutazione che il capo di stato maggiore ci fornirà, in modo tale che il nostro lavoro possa essere il più completo e approfondito possibile.
Ringraziandolo per la sua presenza, do ora la parola al capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Capo di stato maggiore della Difesa. Ringrazio il presidente e gli onorevoli membri di questa Commissione.
Come il presidente ha già detto, la mia audizione avviene «a valle» di una serie di numerose altre audizioni: quella introduttiva del Ministro della difesa, quella del Ministro dell'ambiente, quella dei capi di stato maggiore e quella del presidente della regione Sardegna. Gli auditi sono stati dunque molti. Ho avuto modo di visionare gli atti delle audizioni già tenute e cercherò di non ripercorrere tematiche già trattate da chi mi ha preceduto. Cercherò invece di mantenere la mia relazione su aspetti più specifici e su valutazioni più proprie del capo di stato maggiore della Difesa. Rimango poi naturalmente disponibile a rispondere ad eventuali domande e ad approfondire ulteriori temi che si ritenesse di dover analizzare meglio o che, da parte mia, nel corso della presentazione, non fossero stati trattati in maniera adeguata.
Innanzitutto vorrei fare una premessa importantissima, di carattere generale: bisogna


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comprendere che le decisioni e le misure riguardanti le servitù militari (intese nel senso più ampio, cioè come presenze sul territorio di infrastrutture e siti della Difesa), le attività che su di esse si svolgono e gli impatti che esse possono avere sulle realtà locali vanno viste in correlazione all'esistenza stessa dello strumento militare, rispetto al quale sono funzionali. Per il semplice fatto di esistere, lo strumento militare ha infatti delle esigenze e comporta presenze fisiche non comprimibili.
Vorrei anche aggiungere - e so che in questo senso c'è già stata un'indicazione analoga da parte del Ministro della difesa - che personalmente non amo l'espressione «servitù militare», peraltro utilizzata dalla legge n. 898 del 24 dicembre 1976, che ormai da trent'anni esplica i suoi effetti. Non amo questo termine perché non mi sembra particolarmente felice, a voler essere garbato. Esso sembra convogliare il senso di un rapporto di tipo feudale, medioevale, tra il vassallo, il valvassore e la servitù, il che non corrisponde al vero, perché in realtà questa espressione non fa altro che tradurre una presenza militare sul territorio, funzionale all'esistenza stessa delle Forze armate e al loro ruolo di servizio all'Italia e agli italiani. Se dobbiamo servire l'Italia e gli italiani, essere presenti e agire, mi sembra impropria l'espressione «servitù militare», usata peraltro dalla legge, la quale vuole forse esprimere le limitazioni che la presenza di certe attività comporta per le realtà locali. In questo senso il termine «servitù» può avere un suo significato ma, proprio per il messaggio che sottende, ripeto che non trovo questa espressione particolarmente felice.
Ciò premesso, per quanto riguarda in particolare il problema delle servitù militari, so che durante le audizioni è stato particolarmente esaltato - o comunque messo in rilievo - il ruolo dei comitati misti paritetici, istituto previsto dalla legge n. 898 del 1976 che, a livello locale, dovrebbe consentire un modus operandi per l'interazione tra la presenza militare e le realtà locali, cercando di contemperare al meglio, per quanto possibile, le esigenze dell'una e delle altre. Attraverso i comitati misti paritetici il contemperamento delle esigenze è quindi fattibile e possibile in quanto esiste il riconoscimento reciproco delle ragioni di una certa presenza e dello svolgimento di talune attività. Ove questo riconoscimento reciproco non ci fosse, ove cioè si rigettasse alla base il principio della presenza militare, ci sarebbe chiaramente poco da discutere e non si potrebbero trovare punti di incontro tra le realtà e le esigenze dello strumento militare - che, ripeto, è uno strumento degli italiani - e le realtà locali. Se questo accade, come spero, se c'è quindi - come ha peraltro autorevolmente ricordato il signor Ministro - un riconoscimento reciproco delle motivazioni di certi siti, realtà e infrastrutture, allora si può ragionare per cercare di trovare la massima convergenza possibile, nell'altrui rispetto delle nostre esigenze e nel nostro rispetto - che cerchiamo di avere - delle realtà locali.
In particolare so che il tema dei poligoni militari - come ricordava il presidente, avete fatto anche una visita in Sardegna - e quindi delle aree in cui si svolgono attività di tipo militare, è stato il centro su cui è gravitata l'attenzione di questi lavori, in particolare di ciò che si associa al concetto di servitù militare.
Non voglio ripetermi ma, come ha detto chiaramente il Ministro della difesa nella sua audizione del 5 ottobre, bisogna partire dal fatto che i poligoni militari e, in generale, le aree in cui si svolgono attività militari, sono una componente indispensabile dello strumento militare. Naturalmente il Ministro - lo ha detto chiaramente - è interessato a cercare di accorpare certi tipi di attività, laddove sia possibile, riesaminandone l'entità e la qualità. Il punto di partenza è però - come hanno confermato anche tutti i Capi di stato maggiore auditi - che lo strumento militare ha esigenze ineludibili e incomprimibili, che trovano risposta soltanto attraverso un'attività di tipo addestrativo, la quale presuppone spazi, aree e zone in cui svolgersi.


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Venendo ad un aspetto connesso solo in senso lato al problema delle servitù militari, ma non specificamente riferito ai poligoni, la legge finanziaria 2007, per ciò che riguarda il demanio militare e quindi la presenza di strutture e infrastrutture militari sul territorio della Repubblica, ha disposto che da parte dell'Amministrazione della difesa ci sia una dismissione, per quanto possibile ampia, di parte del patrimonio demaniale, a beneficio dell'Agenzia del demanio, la quale lo riutilizzerà poi nella maniera che riterrà opportuna. Si tratta in realtà del recupero di risorse ingenti, corrispondenti a 4 miliardi di euro di beni demaniali in due anni, che assicuro essere un capitale importantissimo, dal punto di vista non solo finanziario, ma anche demaniale.
Nell'ambito del primo decreto in ottemperanza alla legge finanziaria 2007, la Difesa ha già preparato, d'intesa con l'Agenzia del demanio, il primo pacchetto di dismissioni, del valore di un miliardo di euro, che doveva maturare entro marzo del 2007; adesso sta lavorando al secondo pacchetto, che credo dovrà essere definito entro la metà del 2007; si procederà successivamente, nel 2008, con due ulteriori pacchetti da un miliardo ciascuno.
Proprio perché si tratta di un'attività prevista dalla legge - che si basa anche sulle indicazioni del Ministro - noi siamo impegnati attivamente e stiamo lavorando con grande lena e intensità, sulla base di un grosso lavoro di coordinamento svolto dallo Stato maggiore della Difesa. Gli input e le rilevazioni provengono dagli Stati maggiori, quindi dalle componenti che utilizzano queste presenze sul territorio, affiancati dall'azione incisiva della direzione del demanio, conosciuta anche come Geniodife.
Su questo ci sono però luci ed ombre. Per quanto riguarda le luci, fino ad ora siamo riusciti a mettere a punto i pacchetti di dismissioni prescritti dalla legge finanziaria, rispettando le tempistiche da essa previste. Per quanto concerne le ombre, invece, occorre dire che, esaurendosi via via il parco dei beni più facilmente - o più prontamente - dismissibile, si comincia a lavorare su infrastrutture solo potenzialmente dismissibili, ma che attualmente hanno ancora una loro operatività, poiché al loro interno ci sono dei reparti. Il quadro della situazione diventa allora chiaramente più difficile. Entro un quadro generale di razionalizzazione, tali siti possono sicuramente essere spostati, ma oggi questi beni sono fisicamente occupati, magari anche solo parzialmente come alloggi di servizio. In questo caso entra dunque in gioco la tematica degli alloggi di servizio, che a loro volta certamente non possono essere liberati dall'Amministrazione della difesa, la quale non ha facoltà di sgomberarli. Voi conoscete il problema meglio di me: in alcune infrastrutture coesistono alloggi occupati che non possono ancora essere liberati e che pertanto divengono beni di fatto indisponibili, benché l'Agenzia del demanio li vorrebbe sgombri da ogni servitù e da ogni presenza o utilizzo militare. Tale bene, che potenzialmente avrebbe un certo valore e potrebbe essere inserito nel pacchetto delle dismissioni, non è quindi prontamente disponibile.
A questo mi riferivo nel parlare di ombre, che emergono quando, avendo già dismesso i pacchetti importanti di tutto ciò che era più prontamente o più agevolmente dismissibile, ci si avvicina alla seconda fase.
In questo senso l'Amministrazione della difesa è certamente molto interessata a realizzare, insieme col demanio, accordi di programma - chiamiamoli così - con le realtà territoriali, che consentano in qualche modo, da un lato, di rendere disponibili questi beni e, dall'altro, di recuperare risorse che consentano spostamenti tali da liberare ulteriori beni. Non è un gioco di parole: disponendo di due realtà, magari vicine ed entrambe parzialmente occupate, si può pensare di concentrare tutto da un'altra parte, ma per far questo occorre poter disporre di una terza realtà dove andare e le risorse per sostenere gli oneri connessi a uno spostamento da due realtà a una terza. Noi oggi non abbiamo risorse cui attingere per poter fare questo tipo di investimenti - quando si cambia casa, ci vogliono degli investimenti iniziali


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- mentre invece, nel quadro della messa a disposizione dei beni, della loro valorizzazione entro un accordo di programma, può rientrare una parte delle risorse che consentano lo spostamento. Si innescherebbe così un circolo virtuoso che consentirebbe, per un verso, di rispondere alle esigenze della legge finanziaria rendendo disponibili alcune risorse e, per altro verso, di rendere concreta la disponibilità degli altri beni, consentendo i suddetti spostamenti.
Ci stiamo avvicinando al momento nel quale non ci saranno più beni prontamente dismissibili, cedibili così come sono. I beni restanti possono diventare dismissibili grazie a un accordo di programma. Per questo noi abbiamo quindi bisogno che l'Agenzia del demanio e gli enti locali comprendano la realtà delle cose, aiutandoci a realizzare quel tipo di accordo; diventa altrimenti molto problematico rendere disponibili quei beni e quelle risorse che la finanziaria chiede di rendere tali.
Dico questo perché mi sembra importante che si comprenda come, a volte, dietro una semplice operazione di dismissione di beni per uno o due miliardi, esiste una complessa realtà che non rende la dismissione così facilmente attuabile e non per via delle resistenze dell'Amministrazione a rendere disponibili i beni: ci sono oggettivi, fisici, reali problemi che vanno risolti e che, per essere risolti, richiedono disponibilità e comprensione anche da parte di enti e amministrazioni esterni alla Difesa stessa.
Ritornando al problema delle servitù militari, e in particolare dei poligoni militari, vorrei dire che questi ultimi sono realtà di cui la Difesa ha assolutamente bisogno. So che i capi di Stato maggiore intervenuti hanno illustrato le realtà militari e i poligoni in cui opera prevalentemente una specifica forza armata. Più in generale, possiamo dire che i poligoni più significativi, dai quali è maggiormente attratta l'attenzione del mondo politico, sono invece quelli dell'area a connotazione interforze, nei quali si svolgono cioè attività di tutte le Forze armate.
Bisogna certamente prendere atto della realtà: la Sardegna è la regione d'Italia dove questa presenza è più consistente. A parte il fatto che i poligoni sono lì già dall'epoca della seconda guerra mondiale, quindi da tempi ben lontani rispetto a oggi, la loro maggiore presenza in Sardegna è dovuta al fatto - e lo dico con assoluta convinzione - che questa regione, in un certo periodo, possedeva caratteristiche di urbanizzazione e di dislocazione orografica e geografica che hanno consentito l'installazione di poligoni che non sarebbe stato possibile prevedere altrove in quel periodo.
Oggi è difficile pensare di poter trasferire i poligoni, in particolare quelli più complessi (penso a Capo Teulada, a Salto di Quirra, a Capo Frasca) in altre realtà locali, dislocate in altre parti nel territorio nazionale, dove nel frattempo l'urbanizzazione è magari diventata predominante. Questo non significa mettere le mani avanti, ma vuole essere una semplice constatazione di fatti, della cui reale concretezza bisogna avere conoscenza. Di fronte a queste realtà, insostituibili per le esigenze delle Forze armate, ci si sta dunque muovendo - come ha detto il Ministro Parisi - per individuare misure che possano ridurne l'impatto.
Ad esempio Capo Teulada, trovandosi - com'è noto - sulla costa, è l'unico poligono di una certa ampiezza dove possano essere eseguite manovre sul terreno fino al livello di gruppo tattico, dove sia possibile fare operazioni di tipo anfibio e, quindi, operazioni congiunte mare-terra. Si tratta di operazioni che hanno consentito ai nostri reparti, addestrati nel tempo, di poter effettuare l'operazione «Leonte». Uno sbarco come quello avvenuto in Libano, con l'immissione di forze aereo-terrestro-navali, non potrebbe avvenire senza una forma di preparazione e addestramento. So che i militari - e tutti gli italiani - hanno apprezzato l'esito di quell'operazione, ma essa è stata possibile in quanto ci si è potuto preparare ed addestrare; in Italia questo si può fare soltanto a Capo Teulada.


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Anche negli altri poligoni si svolgono attività egualmente indispensabili, che consentono poi alle Forze armate di andare ad operare là dove il Parlamento ha deciso di inviarle: attività di addestramento, di movimento di compagnia a livello tattico minore oppure attività di fuoco e di addestramento aereo. Si tratta di missioni che non potrebbero avvenire senza un'attività di addestramento. Vorrei che questo concetto fosse chiaro: o si dice che le Forze armate non servono - ma non mi sembra che questo sia il caso del nostro Paese - oppure esse hanno determinate esigenze. Dico questo perché è giusto avere un approccio corretto alle problematiche. Ciò detto, con le realtà locali si cercherà naturalmente - come si sta facendo - di ridurre le aree attualmente occupate dai poligoni, nella misura in cui questo è però compatibile con le esigenze prioritarie. Infatti, si può ridurre il numero di giorni in cui si opera, si possono aprire i siti nei giorni o nel periodo estivo in cui non si opera, come sta avvenendo, si può pensare all'utilizzo congiunto di certe aree. Tutto questo lo si sta facendo e si cercherà di farlo, però chiediamo comprensione anche all'altra parte perché, altrimenti, non vi è possibilità di intendersi.
Si è prospettata l'ipotesi di andare all'estero. Premesso che lo stesso discorso potrebbe essere fatto da tutti gli altri Paesi, e allora ognuno andrebbe all'estero a casa degli altri, noi andiamo già all'estero, ci siamo andati e cercheremo di continuare ad andare. Si tratta però di realtà e di misure complementari, non sostitutive in toto. Non è cioè realisticamente pensabile, per vari motivi, che tutta l'attività addestrativa italiana si svolga all'estero. Intanto, anche se non avrei voluto cominciare da tale considerazione, essa sarebbe molto più costosa. Operare presso il lago Balaton (dove siamo stati), in un poligono in Polonia o, come faceva Napoleone, all'ombra delle piramidi, non è come andare a piazza Navona! Ciò ha un costo e ci vogliono risorse per farlo. Ci vuole poi l'accordo con i Paesi in questione, che a volte si trova ed a volte no, ed anche quando c'è disponibilità, talvolta l'accordo può non essere raggiunto; ci sono quindi problematiche complesse.
Siamo stati noi - ancor prima che emergesse con maggiore evidenza la sensibilità sul problema dei poligoni - ad aver cercato all'estero, per primi, spazi alternativi, anche in teatri diversi, da quelli africani a quelli centro-europei o, se necessario, anche mediorientali. Benché ci rendiamo conto che si tratta di opportunità che consentono, in primo luogo, di ridurre il carico sui poligoni del nostro Paese e, in secondo luogo, di avere a disposizione spazi - e quindi libertà di azione - non riscontrabili in Italia (certamente ci sono in Africa poligoni molto più ampi di quello di Capo Teulada, che possono quindi consentire addestramenti di tipo più complesso), con altrettanto realismo ci rendiamo però anche conto che non siamo di fronte ad una scelta tra il tutto e il niente. Si tratta di ipotesi complementari, che noi già sfruttiamo ed abbiamo sfruttato soprattutto in passato, quando - non lo dico per lamentarmi - c'era maggiore disponibilità.
Nel momento in cui c'è stata una grossa stretta, soprattutto nel settore del funzionamento, inevitabilmente le esperienze all'estero si sono ridotte. Benché quello degli oneri non sia l'unico problema, svolgere un'esercitazione anfibia da un'altra parte costa probabilmente tre volte di più che non farla a Capo Teulada. Questo è indubbio e ce ne dobbiamo rendere conto: nulla è scontato o gratis.
Detto questo, noi stiamo lavorando - o meglio vorremmo lavorare - d'intesa con la regione Sardegna per cercare di comprendere le realtà e le esigenze reciproche. Stiamo considerando la possibilità di ridurre una certa area a mare, sempre per quanto riguarda Capo Teulada, ed abbiamo iniziato, su indicazione del Ministro della difesa, una survey, rivolgendoci ai laboratori del Naval Underwater Research Centre (NURC) della Spezia, centro di ricerca subacquea che dipende dall'Alleanza atlantica e in particolare dal comando di trasformazione di Norfolk, ma che si trova alla Spezia da sempre e che


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una volta era conosciuto come SACLANT Centre. Hanno la nave Alliance, specializzata in questo settore, che ha fatto una campagna - una survey - nella zona a mare a est del poligono e che oggi è oggetto, quella sì, di servitù propriamente detta, cioè di restrizioni d'uso da parte delle marinerie locali. Si sta cercando di capire se può essere rilasciata e cosa si debba fare per rilasciarla, perché, siccome su quei fondali si sono accumulati residui delle attività militari sin dai tempi della seconda guerra mondiale, bisogna essere sicuri che non ne siano rimasti. I pescatori vogliono infatti andare a pescare in quell'area, com'è giusto, ma se lo fanno con la rete a strascico potrebbero estrarre qualche oggetto, magari un ordigno inesploso, e allora: «apriti cielo!». Chiaramente non basta quindi volerla liberare: se lo si fa, è necessario farlo con ragionevole sicurezza. Queste attività sono state dunque avviate e stiamo aspettando i risultati di questa survey, per vedere che cosa significherebbe in termini di bonifica, perché anche la bonifica di un tratto di mare di questa ampiezza non è un'operazione no cost.
Allo stesso modo siamo assolutamente favorevoli - nei limiti in cui, ripeto, vengano rispettate anche le nostre esigenze - ad ampliare gli spazi ed i tempi di utilizzo congiunto di certe aree dove sono presenti i poligoni. In certe aree della Sardegna la popolazione locale ha infatti chiesto, ad esempio, che sia reso libero l'accesso al mare durante i mesi estivi, poiché in quel periodo, come è notorio, le attività dei poligoni sono ferme.
In tutto questo siamo quindi i primi a renderci conto che la presenza militare deve convivere - anzi convive - con la realtà locale, della quale noi cerchiamo di essere rispettosi al massimo; tuttavia, chiediamo che ci sia altrettanta comprensione e rispetto nei nostri confronti. Alla fine, questo è il problema di fondo.
Si stanno poi cercando, come ho già detto, soluzioni complementari come quella di andare all'estero (e in alcuni casi lo facciamo) o come quella, già indicata, di intensificare la sola attività di simulazione sui poligoni, quindi limitando l'attività a caldo. Anche su questo stiamo studiando seriamente; esiste un progetto per sostituire certe attività, oggi fatte a caldo, con altre di simulazione, cioè con sistemi di simulazione applicati ai sistemi d'arma, per cui non si spara ma si simula soltanto l'azione di fuoco. Anche in tal caso, pur trattandosi di simulazione, che quindi non implica attività a caldo (a fuoco), è comunque necessaria la presenza sul territorio, perché il mezzo, pur non svolgendo attività a caldo, si muove. A questi sistemi di simulazione se ne aggiungono peraltro altri a monte, che non richiedono neanche la presenza fisica sul terreno.
Si sta quindi mettendo a punto un programma complesso e certamente esiste la volontà di procedere in questa direzione; tuttavia, è chiaro che anche questo programma richiede lo stanziamento di un certa quantità di risorse. Il problema non sta tanto nell'ottenere le risorse per condurre in porto questo programma; nell'ambito della pianificazione complessiva bisogna però sapere se devono essere previste risorse da destinare a questo settore. Questo è un po' il quadro.
Detto questo, vorrei ricordare - sempre con riguardo al problema delle servitù militari e, in senso lato, al discorso della presenza militare e dei suoi effetti sull'ambiente, altro tema molto caldo - che lo Stato maggiore della Difesa, per quanto riguarda l'Amministrazione della difesa, ha la responsabilità di emanare direttive. Lo abbiamo fatto, tant'è che esiste una direttiva dello Stato maggiore della difesa che riguarda la riduzione dell'impatto ambientale delle attività militari sull'ambiente. Tale direttiva dà indirizzi e contiene prescrizioni per ridurre l'impatto ambientale dovuto alle attività militari, in particolare nelle zone di maggiore sensibilità, dove magari vi sono aree protette in vicinanza del poligono.
Tutto questo viene fatto nell'ambito di direttive europee di natura più generale, non soltanto italiane; noi applichiamo infatti al contesto italiano indicazioni di più ampio respiro. Non lo dico per farcene un merito, ma prestiamo attenzione anche a questo problema. Ironicamente vorrei dire


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che certe aree e certi habitat sensibili dal punto di vista ambientale, se si vuole guardare serenamente alla realtà, per via della presenza militare risultano a volte più protetti che non altre aree dove la pressione ambientale, in assenza di vincoli di natura militare, è stata invece devastante. Non sempre la presenza militare è quindi dannosa o esercita una pressione fortemente negativa sull'ambiente; non è detto che sia vero in tutti i casi ma, certamente, i vincoli cui sono sottoposte le aree caratterizzate da presenza militare escludono una pressione di altro tipo ed in esse l'ambiente viene speso salvaguardato meglio che non in altre zone.
Un ultimo punto, correlato al più generale problema della presenza militare sul territorio nazionale, è quello della presenza di strutture e siti dati in concessione ed in utilizzo a realtà non italiane, un tema che non riguarda solo la presenza americana in Italia. In proposito ricordo gli accordi che hanno dato vita all'Alleanza Atlantica e in particolare al NATO-Status of Force Agreement (SOFA) del 1951, ossia dell'accordo che regola la presenza in Italia delle forze dei Paesi alleati, così come degli italiani nei Paesi alleati, visto che le nostre forze militari sono presenti negli Stati Uniti, in Belgio, in Germania, in Grecia, in Turchia e nel Regno Unito. In base ai suddetti accordi, che ovviamente a suo tempo sono stati regolarmente ratificati dal nostro Parlamento, esiste una certa presenza alleata in Italia: ci sono dei comandi NATO a Napoli (il Joint Force Command Neaples); a Poggio Renatico, dove c'è il Centro operazioni aeree combinate (CAOC) che, anche come struttura nazionale, è responsabile del controllo dello spazio aereo non solo sul territorio nazionale ma anche su tutta l'ampia regione dei Balcani centro-orientali (Slovenia e Ungheria); alla Spezia, dove c'è il NURC, che ho citato prima e che si trova, in particolare, nell'area del Muggiano; a Roma, dove c'è il NATO Defense College, che si trova alla Cecchignola; e infine a Latina, dove si trova la Scuola delle trasmissioni.
Sempre nell'ambito di riferimento giuridico dell'accordo-quadro del 1951, in seno all'Alleanza Atlantica, il Governo italiano ha fatto alcune concessioni alla presenza, in particolare, dell'alleato statunitense Mi riferisco a quelle che, in gergo, vengono definite «basi americane». Dico in gergo perché non si tratta di basi americane, bensì di basi, presenze e strutture italiane date in concessione, in base all'accordo-quadro del Nato SOFA, agli alleati statunitensi. Da esso sono discesi ulteriori accordi, validi struttura per struttura e sito per sito. Fra questi, giusto per ricapitolare brevemente, ci sono quelli che riguardano Aviano, Ghedi, La Maddalena, Gaeta, San Vito dei Normanni (peraltro in chiusura), Sigonella, Camp Darby in Toscana, oltre alla caserma Ederle di Vicenza, che stavo per dimenticare.

PRESIDENTE. Un lapsus freudiano!

GIAMPAOLO DI PAOLA, Capo di stato maggiore della Difesa. No, sono solo andato a braccio. Sono tutti siti che ricadono sotto la giurisdizione italiana, dati in concessione agli Stati Uniti sulla base di accordi specifici, sito per sito.
Con questo ho terminato di tracciare il quadro complessivo della presenza militare sul nostro territorio, del significato di questa presenza e della disponibilità del Ministro della difesa e delle Forze armate ad affrontare il futuro delle realtà locali sulle quali tale presenza incide, con realismo e in rapporto positivo con queste stesse realtà.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

MAURO BETTA. Molto brevemente, vorrei innanzitutto ringraziare l'Ammiraglio per la sua disponibilità.
Condivido la sua riflessione iniziale sul concetto di servitù militare e penso che dobbiamo mantenere questo strumento soprattutto per le aree a mare, come lei ricordava, e per il controllo degli spazi aerei. Per quanto riguarda la dimensione


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terrestre - modalità che peraltro ho già visto praticata nella stragrande maggioranza dei siti che abbiamo avuto l'opportunità di visitare - penso sia invece più corretto intervenire facendo acquisire tali aree direttamente al demanio, ovunque sia possibile. Occorre forse anche sfruttare le dismissioni per razionalizzare la presenza militare sul territorio nazionale, anche da questo punto di vista. Penso infatti che avere la proprietà dei terreni dia maggiori garanzie e assicuri anche un rapporto meno conflittuale con la comunità locale.
Allo stesso modo, condivido il suo giudizio sulla preoccupazione di tipo ambientale - che abbiamo avuto l'opportunità di riscontrare anche da parte dei comandi operativi impegnati sul territorio - e le valutazioni secondo cui, almeno dal punto di vista paesaggistico, il vincolo e la destinazione ad uso militare ha con tutta certezza salvaguardato il territorio, in particolare dagli insediamenti.
Diversa, invece, è la mia valutazione per quanto riguarda l'utilizzo dei proiettili e le forme di inquinamento, a volte anche gravi, che la presenza militare può aver provocato in determinate zone.
Lei ha toccato anche il tema dei poligoni. Di questo le sono grato perché è stato il cuore di molti ragionamenti che abbiamo ascoltato in Commissione. Inoltre, è stato anche l'aspetto più interessante tra quelli emersi durante la nostra recente visita in Sardegna. Su questo voglio essere molto franco e chiedere anche a lei delle risposte legate alla realtà odierna. Rispetto alle informazioni avute dai capi di Stato maggiore, noi abbiamo trovato un'ulteriore riduzione dell'utilizzo di questi poligoni (in particolare di Salto di Quirra, Capo Frasca e Teulada), dovuta anche ai vincoli operati con le varie leggi finanziarie degli ultimi anni. Ogni volta che abbiamo ragionato con i comandi o con i loro rappresentanti abbiamo però avuto la sensazione che, da parte degli addetti ai lavori, si facesse un forte richiamo alla necessità di mantenere l'addestramento sul campo per la preparazione dei reparti, come lei ricordava, pur affiancandolo a tutta una serie di attività virtuali. Combinando il sottoutilizzo di certi poligoni (parlo di quelli utilizzati per non più di 75 giorni all'anno) e la necessità di arrivare ad un'organizzazione che tenga conto anche di forme nuove di addestramento, vorrei chiederle se tutto questo confermi, anche in prospettiva, la necessità - che oggi è sicuramente tale - di questi grandi spazi, oppure se sia immaginabile una forma di razionalizzazione del loro utilizzo.
Le faccio questa domanda perché sono stati fatti ragionamenti anche molto avanzati, per quanto concerne la gestione di questi territori. Lei ricordava l'utilizzo congiunto: per me è stata una sorpresa vedere poligoni senza recinzioni e dotati di controlli di tipo elettronico per regolare l'accesso e verificare cosa succeda al loro interno. Riconosco dunque che ci sono forme anche molto avanzate di rapporto con le comunità e di utilizzo misto del territorio e che vi è quindi stato un certo avvicinamento alle esigenze della comunità. Vorrei però sapere se - vista l'attuale situazione e visto anche il cambio di modello delle nostre Forze armate - sia immaginabile che, in prospettiva, si creino forme diverse di addestramento e, se sì, in quale misura, in particolare rispetto alla situazione della Sardegna, che è oggi la regione più gravata da queste strutture.
Credo che ragionare su questo non voglia dire contrapporsi alle Forze armate, ma anzi significhi trasformare queste aree e queste occasioni in una forma di maggior vicinanza con la comunità che le esprime. Considero la presenza dei poligoni in Sardegna, per come l'ho vissuta e per come l'ho sentita descrivere in questa Commissione, una grande risorsa per quella terra. Del resto, si tratta di tre grandi installazioni costruite nei primi anni della nostra Repubblica e questo, almeno a me, ha fatto pensare ad un grande investimento di un Paese che, appena uscito dalla guerra, si è preoccupato di realizzare in quella regione tali strutture.
Credo quindi che non ci sia contrapposizione o la volontà di cacciare le Forze armate, anzi tutt'altro. C'è però certamente la necessità di razionalizzarne la


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loro presenza e di incentivare ogni forma di collaborazione, anche con le industrie, comprese quelle di tipo sperimentale, pur nell'ambito di forme di controllo avanzate e moderne. Mi è sembrato che tutto questo già si faccia, in larga parte, ma anche che ci siano ampi spazi di ulteriore razionalizzazione e possibilità di creare strumenti di questo tipo.
Questo è forse la prospettiva rispetto alla quale risultano a mio avviso particolarmente interessanti sia la riflessione della Commissione, sia il lavoro svolto durante la visita in Sardegna.

MASSIMO NARDI. Ringrazio l'Ammiraglio per la sua esposizione e la sua relazione.
Voglio anzitutto confortarla - almeno per quanto riguarda il mio partito, la Democrazia cristiana per le autonomie - sul fatto che siamo fortemente convinti che le servitù militari siano una necessità assoluta, anche alla luce della professionalità sempre più richiesta alle nostre Forze armate. Di conseguenza, vi è la necessità quantomeno di disporre di un certo spazio per svolgere quelle esercitazioni che permettano un innalzamento di tale professionalità, anche alla luce degli impegni all'estero che il nostro Paese è sistematicamente chiamato a svolgere. Ciò premesso, vorrei porle alcune domande.
È evidente che queste servitù creino difficoltà alle popolazioni interessate dalla problematica. Mi pare di capire che da parte sua c'è la disponibilità di venire incontro a queste preoccupazioni, cercando di trovare possibili soluzioni. La mia domanda è la seguente: nella valutazione che lei - che lo Stato maggiore - fa, esiste la possibilità reale di comprimere, seppur limitatamente, alcuni poligoni di tiro? Se questo è possibile, alla luce delle necessità di tipo militare esistenti, sarebbe ovviamente utile saperlo e, di conseguenza, capire se esista una progettualità in questo senso.
Dalla sua relazione - e in particolare dal suo ragionamento circa il livello di urbanizzazione presente sul territorio italiano - mi è sembrato di capire che l'eventuale compressione o spostamento di questi poligoni siano di fatto difficilmente realizzabili. Vorrei però capire con chiarezza se esiste, dal suo punto di vista, la possibilità di una riduzione, sia pur limitata, dell'attività di alcuni poligoni di tiro ed eventualmente di quali e in che modo. Laddove questo non fosse possibile, vorrei sapere qual è il percorso che si sta sviluppando per arrivare ad una piena utilizzazione dei poligoni di tiro, sia in termini temporali, sia in termini di utilizzo congiunto. Vorrei sapere cioè se esiste un progetto in itinere, per quanto riguarda alcuni poligoni, che stabilisca (per fare un ipotesi) che dal prossimo anno, invece di utilizzarli per 50 o 200 giorni all'anno, li si utilizzi solo per 30 giorni, liberandone così l'uso per i giorni restanti, ossia se si preveda di ridurre l'attività di esercitazione al loro interno.
Vorrei inoltre sapere, in prospettiva, se le aree di couso tendano in qualche modo ad essere aumentate di numero e, se sì, con quale metodica e con quale intensità si stia sviluppando questo ragionamento. A tal proposito mi pongo un altro problema, seppur a livello di curiosità. I poligoni interessati dalle iniziative militari, che hanno necessità di bonifiche, nei giorni restanti possono essere ovviamente utilizzati anche per attività civili. Lei ha prima citato l'esempio dei pescherecci. Vorrei capire se, ad oggi, quando si apre un'area, la sua bonifica venga effettuata con certezza e continuità oppure se non avviene affatto. Se non avvenisse alcuna bonifica, sorgerebbe qualche piccola preoccupazione. Vorrei quindi capire se, quando si decide l'apertura di un'area, esista un processo di accertamento del fatto che quell'area sia sicura al «mille per mille».
Venendo ora al programma di dismissioni, mi pare di capire che, in base alla legge finanziaria, in via teorica bisognerebbe recuperare dal patrimonio demaniale circa 4 miliardi di euro nell'arco di due anni. Mi pare anche di capire che lo Stato maggiore si stia attrezzando per venire incontro a questa disposizione della legge finanziaria, proponendo in un primo momento la dismissione di beni per un


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primo miliardo di euro. Mi pare però di capire anche che, man mano che si andrà avanti, sarà sempre più difficile seguire le disposizioni e raggiungere l'eventuale obiettivo, perché - così come lei ha spiegato con chiarezza - le restanti strutture sono interessate, anche se parzialmente, da occupazioni di truppe o di personale, che devono essere collocati da qualche altra parte.
La domanda che le pongo è pertanto la seguente: esiste un programma per arrivare ad una dismissione la più ampia possibile, che faccia conto solo sulle proprie forze e non sul coinvolgimento degli enti locali o di altri organismi? Esiste cioè un progetto con il quale, ad esempio, spostare cinquanta militari in un hangar a disposizione da un'area all'altra così da liberare, nell'arco di sei mesi o un anno, la prima? Le chiedo se esista un processo che, in qualche misura, vada incontro a questo tipo di finalità e che riguardi unicamente le competenze delle Forze armate, attraverso il quale si abbia la certezza di poter eventualmente liberare queste aree demaniali, indipendentemente dagli enti che potrebbero essere coinvolti e ai quali - su questo mi associo con lei - va chiesta la massima disponibilità
Da ultimo, le chiedo quale sia stata l'evoluzione temporale, negli ultimi tre anni, dell'utilizzazione dei poligoni all'estero che, come lei ha detto, è possibile ed anzi viene già oggi fatta, benché i suoi costi siano tre volte maggiori. Vorrei sapere, cioè, se c'è stata una compressione del loro utilizzo e quali possano essere gli sviluppi, in prospettiva, in un senso o nell'altro.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Signor capo di stato maggiore della Difesa, credo che la sua audizione di oggi non abbia fatto altro, pur nella sua utilità, che confermare le convinzioni di tutti i componenti di questa Commissione e di tutte le persone di buonsenso che con onestà intellettuale hanno ricevuto le sue informazioni, precedute da quelle del Ministro della difesa. Purtroppo non sempre le dichiarazioni del Ministro sono state univoche rispetto a quelle rese in altre sedi e certamente, insieme a quelle rese in tempi diversi da altri esponenti di altre forze politiche o istituzioni, hanno alimentato in molte circostanze i cattivi sentimenti che, molte volte, sono alla base di alcune delle situazioni che affrontiamo e di cui discutiamo in questo ambito.
In particolare, è stata certamente molto utile la missione che una delegazione della Commissione difesa ha svolto la scorsa settimana in Sardegna. In quell'occasione, anche dal punto di vista pratico, si sono verificate le impossibilità e, per certi versi, le assurdità di alcune pretese avanzate da più parti. Personalmente, e anche a nome del mio gruppo, mi sento pertanto di esprimere una forte preoccupazione per la diffusione di questi sentimenti - in molti casi assolutamente non corrispondenti al reale sentire di molte comunità locali - che vengono indubitabilmente amplificate ad arte, sulla base di pregiudizi di natura sostanzialmente ostile e fortemente connotati da contenuti ideologici, aprioristicamente contrari allo strumento militare e alle Forze armate in quanto tali. Lei ha fatto quindi molto bene a puntualizzare, nella sua introduzione, quella che dovrebbe essere la prima necessità di qualsiasi istituzione degna di questo nome, ovvero riaffermare che se - come non c'è dubbio - le Forze armate sono necessarie e indispensabili, altrettanto necessarie e indispensabili sono le strutture con le quali le Forze armate si devono addestrare.
Come dicevo, la verifica sul campo ha evidenziato o reso più chiara l'impraticabilità di talune richieste che, in molte situazioni ed anche in perfetta buona fede, molti di noi avevano invece in diversi momenti avanzato. Ciò è accaduto persino nell'intervento del collega che mi ha preceduto, quando si è fatto riferimento all'astratta possibilità di un utilizzo meno intensivo di alcuni poligoni, lasciando intendere che, nel momento in cui questi non fossero necessari all'addestramento delle Forze armate, possano essere usati in maniera alternativa.


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Abbiamo invece constatato - ma era d'altra parte abbastanza intuitivo - che questo, in linea di massima, non può accadere perché, proprio per le preoccupazioni che caratterizzavano le considerazioni successive del collega, è evidente che poligoni di vaste dimensioni, dove si svolgono attività a caldo, non possano essere bonificati temporaneamente alla fine di ogni ciclo di addestramento. Innanzitutto ciò è impossibile; inoltre, prevederebbe costi assolutamente impensabili e, non ultimo, i livelli di sicurezza non sarebbero mai sufficientemente alti da consentire una fruizione civile, se non per ambiti molto limitati. Lo stesso vale quindi anche, come mi è parso di capire, per molti degli spazi a mare utilizzati, comunque di dimensioni limitate.
È quindi chiaro che almeno i poligoni di grandi dimensioni che abbiamo potuto visitare non possono presentare elasticità di utilizzo, come invece qualcuno poteva utilmente immaginare. È altrettanto difficile, se non impossibile, prevedere soluzioni alternative, come lei aveva anticipato nella sua relazione iniziale, come hanno confermato in maniera assolutamente univoca tutti i capi di stato maggiore delle tre Forze armate e come è stato ribadito in tutte le circostanze, anche in risposta a molte delle nostre domande. Non esistono soluzioni o spazi alternativi sul territorio nazionale.
Per quanto riguarda quelli esteri, anche se in teoria il loro utilizzo fosse possibile, esso comporterebbe una forma di dipendenza quasi costante dalle decisioni e dalla sovranità di altri Stati e comunque non potrebbero che essere utilizzati in forma complementare. Credo quindi che, viceversa, si debbano intensificare gli sforzi per la razionalizzazione, laddove essa sia veramente possibile. Sono pervenuto ad una convinzione, per certi versi opposta a quella di altri colleghi, dovuta al fatto che purtroppo i tre poligoni principali sono caratterizzati da sottoutilizzo, in buona parte dipeso dalle restrizioni drastiche e draconiane operate sui bilanci di esercizio. Non bisogna dimenticare che tali restrizioni hanno fatto sì che l'attività di addestramento delle Forze armate italiane venisse molto fortemente ridotta. Spero, a tal proposito, che in futuro si possano recuperare fondi in questo senso e che quindi l'attività addestrativa possa estendersi secondo quelle che sono le necessità di addestramento delle Forze armate italiane. Mi chiedo tuttavia se l'utilizzo dei poligoni non possa essere più utilmente affidato anche ad altri soggetti e non alle sole Forze armate italiane.
Questo potrebbe rendere più profittevole l'uso dei poligoni e significherebbe fare un po' l'opposto di quello che si è fatto nelle occasioni in cui si sono usati quelli stranieri; in tal modo si potrebbero incamerare risorse che, a mio modo di vedere, dovrebbero alimentare i bilanci di esercizio delle Forze armate, per le ragioni esposte in precedenza. Qualora tali risorse risultassero ingenti, si potrebbe anche prevedere una forma di utilizzo traducibile in un aumento degli indennizzi o comunque in una forma di compartecipazione agli utili - se mi è consentita questa espressione - eventualmente anche per le realtà locali.
Le chiedo quindi, ipotizzando che in linea teorica ciò sia possibile, se ritiene prevedibile andare nella direzione di un più profittevole utilizzo dei poligoni anche da parte di altri, con entrate aggiuntive o sostitutive da indirizzare nei bilanci delle Forze armate.
D'altro lato, mi ha molto preoccupato la sua puntualizzazione circa le dismissioni, ossia l'altro aspetto che incide su quanto abbiamo fatto finora. Tutti i comandanti auditi personalmente, sul campo e non, hanno infatti messo in evidenza - e lo abbiamo potuto vedere noi stessi de visu - quante e quali dismissioni di strutture già militari, in diversissimi ambiti, la Difesa stia complessivamente operando. Di ciò, nell'ambito di quei fenomeni di natura pubblica, si fa naturalmente menzione minima, se non addirittura nulla, omettendo questi elementi che non sono certamente particolari. La preoccupazione è che i quattro miliardi di dismissioni preventivati vadano ben al di là dei siti e delle strutture effettivamente dismissibili, non


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soltanto nei termini che lei configurava di possibilità tecnico-pratica, ma anche riguardo alle necessità della Difesa. Detta in maniera banale - ma non tanto - la domanda è la seguente: quanti di questi quattro miliardi sono effettivamente da dismettere, in ordine alle ridotte necessità della Difesa, e quanti invece potrebbero, o dovrebbero, essere ancora utilmente usati in forma diretta?

PRESIDENTE. Aggiungo tre brevissime domande. A proposito dell'ultima parte dell'intervento dell'onorevole Gamba e con riferimento a quanto lei ha detto nella sua introduzione: nell'ultima audizione da noi svolta con l'assessore del comune di Roma, lo stesso tipo di problema posto dal punto di vista del capo di stato maggiore, veniva posto dall'altro punto di vista, cioè da quello dell'ente locale. L'assessore ha posto il problema che lo strumento previsto in finanziaria è troppo rigido rispetto alla possibilità di rendere effettive le operazioni. Egli quindi riteneva che quella parte degli accordi di programma da noi inserita dovesse essere quella sostenuta con maggiore forza.
Se vi ricordate, durante la predisposizione della legge finanziaria c'era stato un braccio di ferro fra due visioni, ossia tra chi pensava che tutto dovesse passare al demanio e chi invece pensava che si potesse agire attraverso permute e accordi di programma fra Ministero della difesa ed enti locali. Credo che la Commissione dovrebbe in proposito svolgere qualche riflessione, dopo un anno di tempo e senza pensare ogni volta a stravolgere tutto, anche perché si rischierebbe di bloccare completamente il meccanismo. La prossima settimana terremo l'audizione del generale Resce, proprio per fare il punto della situazione, ad oggi, rispetto al tema delle dismissioni, che avremo quindi occasione di approfondire.
La seconda domanda riporta alcune questioni poste in Commissione durante il dibattito sulle servitù militari e che sono relative alle basi NATO o date in concessione a Paesi alleati. Vorrei capire se i vincoli e le modalità della loro gestione siano in qualche modo assimilabili a quelli delle altre basi gestite direttamente dalle Forze armate italiane, oppure se ci siano modalità diverse.
Un'altra domanda nasce dalla nostra visita in Sardegna, ma non solo. Noi abbiamo incontrato anche la Brigata Sassari e, come abbiamo sentito più volte, sappiamo che la Sardegna avrebbe il piacere di ospitare un'altra brigata. Analizzando anche le questioni del reclutamento, vediamo che esso avviene prevalentemente nelle regioni del sud. Mi rendo perfettamente conto che, ad oggi, stante la situazione finanziaria e i problemi ad essa connessi, immaginare eventuali spostamenti non sia un progetto immediatamente realizzabile. Tuttavia, vorrei capire se in futuro la previsione di un'eventuale ridislocazione di Forze armate possa essere presa in considerazione.
Do la parola al capo di stato maggiore per la replica.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Capo di stato maggiore della Difesa. Risponderei innanzitutto alle domande poste dall'onorevole Betta. Ovviamente condivido diverse questioni da lei sollevate. Noi abbiamo una necessità assoluta che fa riferimento ad un futuro prevedibile per noi e per tutti i nostri alleati, perché chiaramente non mi metto nella prospettiva nel 2060: pur nell'incremento dell'attività di simulazione e nella sempre maggiore sofisticazione dei sistemi di simulazione virtuale, che tendono a rendere sempre più «reale» l'attività addestrativa, siamo tuttavia ancora lontani anni luce dal poter rinunciare a quella che, alla fine, è l'attività fisica sul campo, ovvero quella svolta dai mezzi, dagli uomini, dalle navi e dagli aerei. Queste realtà non si riescono oggi a simulare in maniera tale da poter dire che la realtà virtuale possa oggi sostituire in toto quella sul terreno.
Noi continuiamo a ritenere imprescindibile - ma questo vale per tutti - poter disporre di spazi e di aree dove poter svolgere l'attività addestrativa. Essa sta diminuendo, ma non cessando, perché alla fin fine anche l'attività a caldo è indispensabile,


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seppur per un numero limitato di volte, sia per addestrare all'attività vera l'operatore (soldato, marinaio o aviere, visto che il giorno in cui saranno necessarie operazioni, non potrà aver fatto soltanto il tiro al luna park), sia perché serve a verificare, di tanto in tanto, la funzionalità delle armi.
L'attività a caldo, in certi momenti, è quindi indispensabile, sebbene si stia riducendo rispetto al passato, quando si sparava soltanto a caldo poiché non esistevano i sistemi di simulazione virtuale che si vanno ora diffondendo. Sullo stesso mezzo - facciamo l'esempio di un carro armato, tanto per intenderci - c'è un simulatore di un raggio laser, o comunque di un raggio ottico, che, a tutti gli effetti, simula l'azione di fuoco senza sparare il proiettile. Non c'è quindi l'attività a caldo, mentre è possibile l'attività dinamica del carro armato, che si muove sul terreno e che, avendo a bordo questo sistema, svolge azione di fuoco registrata tramite un sistema di raccolta di dati, che stabilisce se essa sia stata efficace o meno.
Questo è un settore che va via via crescendo in tutti i Paesi e che quindi crescerà anche in Italia, compatibilmente con la disponibilità di risorse e quindi con la priorità assegnata ad un certo programma. Non nascondo - anche perché tale programma arriverebbe comunque alla Commissione - che proprio una settimana fa mi è stato presentato - visto che devo approvare il requisito operativo - un programma di simulazione virtuale per la componente terrestre, che serve ad installare su un certo numero di sistemi delle nostre unità terrestri simulatori che consentono questo. È un programma importante, che costa complessivamente circa cento milioni. Come si dice a Roma, non sono «bruscolini», ma si tratta di qualcosa di importante. Ci stiamo lavorando e gli daremo la dovuta attenzione, ovviamente compatibilmente con il quadro complessivo.
L'onorevole Betta ha parlato di grandi spazi; su questo ci dobbiamo intendere: non mi sembra che vi siano grandissimi spazi. È vero che Capo Teulada, o Monte romano o Capo Frasca non sono il giardino di casa, ma le assicuro che non sono neppure grandi spazi. Quando faccio riferimento ai poligoni esteri, per esempio al poligono sul lago Balaton in Ungheria, dove noi siamo stati, le dimensioni sono superiori di ben dieci o venti volte rispetto a Capo Teulada che, per noi, rappresenta il poligono più grande. Capo Teulada è comunque un poligono in cui non si riescono a fare significativamente attività più grosse di un gruppo tattico di livello battaglione, l'unità tattica - non certo usuale - da noi impiegata normalmente all'estero. Il reggimento-battaglione è l'unità di misura che noi inviamo. Non si tratta di grandissimi spazi e le assicuro che quelli di cui parliamo, quando andiamo a cercarli fuori, sono venti, trenta, quaranta, cinquanta o addirittura cento volte superiori.
È poi chiaro che, quando si parla di chilometri quadrati, le dimensioni aumentano rapidamente: basta raddoppiare i lati che l'area si quadruplica. Non sono quindi grossi spazi e tra questi parliamo sostanzialmente soltanto di Capo Teulada e di Salto di Quirra, perché Capo Frasca, se lo avete visitato, è un altipiano situato su di un promontorio, la cui area utilizzabile è piuttosto limitata.
Non mi sembra quindi che vi siano grossi spazi e che nel contesto attuale dello sviluppo dell'attività addestrativa, anche con i sistemi di simulazione virtuale, sia ipotizzabile l'uso di spazi inferiori a questi, per questo tipo di esercitazioni. Teniamo conto che Capo Teulada è il poligono che utilizziamo per le esercitazioni più complesse e per le attività terminali di un ciclo di esercitazioni.
Ho davanti a me i dati circa l'impiego di Capo Teulada nel 2005, anno in cui è stato utilizzato 180 giorni su 180 giorni, cioè per sei mesi all'anno, tolti i mesi estivi, durante i quali giustamente l'attività si interrompe, tolti i periodi di Pasqua e Capodanno e tolti i giorni in cui le condizioni meteorologiche sono sfavorevoli o quelli in cui tutto viene bloccato - e lo dico con il massimo rispetto - come


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durante la protesta dei pescatori (come sapete è successo anche questo). Mi sembra un utilizzo abbastanza intensivo.
Altrettanto si può dire per Salto di Quirra, cioè il poligono dove noi facciamo attività non solo sperimentali, ma anche di lancio e missilistiche, che possono essere fatte solo in quel sito. Quelle sono, peraltro, attività piuttosto sensibili alle condizioni meteorologiche e al traffico di pescherecci e di navi da diporto, considerato che quel poligono è a mare. Verso la fine di maggio si chiude, perché inizia l'attività turistica. Il poligono interforze di Salto di Quirra (PISQ) è stato disponibile per circa 240 giorni, periodo piuttosto significativo. Ne facciamo dunque un uso relativamente intensivo, compatibilmente con i limiti oggettivi legati soprattutto alla stagione estiva e turistica e alle condizioni meteo.
Per questi poligoni chiave mi sembra di poter dire che non ci sia problema di sottoutilizzo, semmai ci piacerebbe poterli utilizzare maggiormente, ma ci rendiamo conto di realtà oggettive insuperabili. Noi cerchiamo certamente di utilizzarli al massimo. Benché in assoluto Capo Teulada possa sembrare un grande spazio, paragonato al poligono sul lago di Balaton sembrerà il giardino di casa.
Mi sembra che siamo arrivati in fondo, per quanto riguarda l'oggi e quello che è ragionevole prevedere per il futuro. Ci potranno essere, per ricollegarmi alle domande poste dall'onorevole Nardi, ritocchi o restrizioni marginali di spazi, ma siamo sostanzialmente arrivati a quello che in gergo si dice «il minimo incomprimibile», al di là del quale non riusciremmo ad andare.
Le confermo quindi, onorevole Nardi, che di questi poligoni abbiamo bisogno e che quindi cerchiamo di utilizzarli; non riteniamo che ci siano ulteriori spazi per riduzioni significative, né fisiche né relativamente a contrazioni del tempo di utilizzo, nonostante la nostra attenzione. Personalmente cerco sempre di essere modesto: nell'ambito della mia conoscenza, della mia esperienza e di quelle degli operatori sul campo, credo che abbiamo spostato il limite della nostra presenza per venire incontro alle esigenze della popolazione e delle realtà locali, ma che questa riduzione abbia ormai raggiunto il livello massimo. Purtuttavia, se qualcuno, molto serenamente, ci dimostra che forse stiamo sbagliando e che esiste un'ulteriore opportunità, noi la prenderemo in considerazione. L'ammiraglio Di Paola non dice che non c'è più niente da fare; non l'ho detto e non lo dico; dico solo che noi riteniamo di utilizzare oggi questi spazi - che non sono grandi - ad un ritmo ragionevole.
In riferimento, per esempio, allo spazio a mare di Capo Teulada, al di là dell'area fisicamente interessata dalle operazioni, quelle cioè del poligono propriamente detto, ci sono le cosiddette «aree di rispetto», adiacenti al mare, che costituiscono servitù classiche - in senso tecnico - in funzione di sicurezza.
Noi stiamo esaminando, su richiesta della regione Sardegna, la possibilità di liberare l'«area di rispetto» (un'area di cinque chilometri quadrati a est del poligono di tiro), rendendola cioè disponibile all'utilizzo per l'attività normale. Per far questo stiamo verificando le condizioni del fondale. È chiaro quindi che, quando noi rendiamo libera un'area, o riteniamo di restringerne il nostro utilizzo, facciamo di tutto perché sia ragionevolmente bonificata e quindi libera da pericoli, anche se nessuno può assicurare il 100 per cento di sicurezza. Oggi spesso si ritrovano bombe della seconda guerra mondiale in aree comunque accessibili.
È chiaro che le bonifiche assolute non esistono. Tuttavia, si controlla il fondale per capire in quale misura sia bonificabile. Al limite certe aree possono essere utilizzabili solo per la navigazione e la pesca, ma non per la pesca a strascico. Infatti, questi oggetti sono tutti sul fondo e se un pescatore pesca a strascico, è possibile che finisca per estrarre qualcosa. Di questo bisogna rendersi conto. Ancora oggi sul territorio italiano si ritrovano talvolta delle bombe. In questo caso si ferma tutto, si bonifica e poi si riparte. Senza volercene lavare le mani, la certezza al mille per mille non può assicurarla nessuno, perché non è nell'umana natura delle cose in


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questo campo. Si fa la bonifica nel miglior modo possibile e, se non ci si sente tranquilli, si comunica che, in un certo settore, sono libere la navigazione e la pesca a Bolentino, ma non quella a strascico, perché è altrimenti inevitabile che, prima o dopo, qualcosa salti fuori.
Per quanto concerne le giornate di couso, come ho già detto, non credo che si possa andare significativamente al di là della situazione odierna. Couso significa per esempio che nelle stagioni estive certe aree - penso alle spiagge di Salto di Quirra - vengono aperte all'uso dei bagnanti oppure che ci sono spazi - come forse sapete questo accade, per esempio, a Capo Teulada - liberi al passaggio delle greggi propri della pastorizia sarda.

PRESIDENTE. Anche le mucche a Capo Frasca!

GIAMPAOLO DI PAOLA, Capo di stato maggiore della Difesa. Credo che siamo arrivati più o meno al limite; se poi potranno essere ceduti per un'altra settimana o per altri dieci giorni, la cosa deve essere discussa localmente. Onestamente non posso dire specificamente per ciascun sito se il periodo di uso civile sia ampliabile. In base ai dati a mia disposizione, ritengo che si sia abbastanza vicini al limite, purtuttavia qualche minima flessibilità potrebbe ancora sussistere e se dovesse emergere che l'uso di qualche sito si può concedere per un altro mese, onestamente nessuno è più tranquillo di me in proposito.
Per quanto riguarda la domanda inerente alle dismissioni, esiste un programma autonomo, quello relativo, nei limiti del possibile, ai due primi pacchetti, cioè quelli dei beni oggettivamente già liberi o da noi liberabili senza particolare impegno. Questo lo abbiamo fatto. Il mio warning è legato al fatto che, una volta esaurite le dismissioni di questi pacchetti, restano i beni caratterizzati dalla presenza di militari e la cui dismissione richiede un'opera di razionalizzazione. Tornando quindi al discorso fatto anche dal presidente, essi richiedono accordi di più ampio respiro, che devono coinvolgere l'Amministrazione, il demanio (che, in questo momento, secondo la legge, è parte in causa - non voglio entrare in questo argomento - e che è comunque fondamentale anche per la valorizzazione) e le realtà locali. Non sono stato io, bensì l'architetto Spitz ad aver detto che un certo bene di valore dato, a seguito di un'operazione di valorizzazione, che può essere attuata solo d'intesa con le realtà locali (regioni o, a seconda dei casi, province e comuni), può acquistare un valore teoricamente tre o quattro volte superiore.
Nell'ambito dell'operazione di valorizzazione una parte dei beni può dunque essere utilizzata per consentire lo spostamento e per far sì che l'operazione di valorizzazione avvenga. Questo è il punto.
Noi pensiamo quindi - e su questo abbiamo insistito - che, da parte dell'Agenzia del demanio, ci debba essere un atteggiamento aperto che consenta la valorizzazione, considerato che noi, oltre un certo limite, non abbiamo possibilità di intervento. Se la caserma non è libera e deve essere liberata, occorre trovare sedi alternative e per farlo ci vogliono risorse, senza le quali non si possono spostare interi reparti.
Per rispondere all'onorevole Nardi, noi abbiamo dunque fatto un piano di potenziali razionalizzazioni, che coinvolge anche realtà interforze, ma le assicuro che a volte mettere insieme i vari attori non è così facile (Commenti dell'onorevole Nardi).
Non voglio tracciare alcuna linea, ma in linea di massima dalla fine del secondo pacchetto in poi.
Alcuni affermano che i beni reversibili della Difesa, fatta l'operazione di valorizzazione, varranno fino a venti volte tanto. Non l'ho detto io, ma l'architetto Spitz, che conosco e per il quale nutro massimo rispetto e stima. Questo accadrà però solo valorizzando i beni in questione. È come se qualcuno comprasse un quadro e, dopo aver scoperto che si tratta di un Michelangelo o di un Raffaello, lo valorizzasse ottenendo un valore mille volte superiore al prezzo pagato. Questo può però accadere solo se qualcuno è in grado di dirgli


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che il quadro potrebbe essere - che so - di Leonardo Da Vinci, di ripulirlo, di fare l'expertise e di comprendere quale sia il suo valore, completando così la valorizzazione. È solo una battuta per spiegare il concetto di valorizzazione.
Mi è stato poi chiesto quale sia stata la tendenza nell'utilizzo dei poligoni all'estero. Negli ultimi tre anni la tendenza è andata riducendosi perché il trend delle risorse disponibili per le attività addestrative è diminuito. Vi faccio un esempio: la brigata aeromobile del Friuli si è dislocata, due anni fa, nel poligono di Al Qatranah in Giordania, quindi con un dispiegamento significativo di uomini e mezzi (elicotteri). Quel dispiegamento, volto a testare la maturità di tutta la brigata e la sua capacità di schierarsi prontamente in un territorio esterno, è costato otto milioni di euro. Non si fa ogni anno, è però chiaro che idealmente, se si potesse, lo si farebbe magari ogni due anni. Poiché è molto impegnativo, ciò non avviene. Il trend è stato quindi riduttivo. Prendere una brigata corazzata e inviarla al poligono presso il lago Balaton in Ungheria - il trasferimento per fortuna può avvenire per via ferroviaria - ha comunque un costo nell'ordine di tre o quattro milioni di euro.
Si tratta di spese importanti, ma si tratta anche di esperienze per noi fondamentali, non soltanto perché permettono di utilizzare uno spazio più ampio e far quindi esercitare in manovra un gruppo tattico non a livello di battaglione, ma a livello di brigata, ma anche perché, soltanto pensando alla pianificazione ed alla logistica, si ha un forte valore aggiunto. Non si tratta soltanto di esercitare attività a fuoco sul poligono del lago Balaton: è importante tutta l'attività che comporta il prendere una brigata e spostarla.

PRESIDENTE. Ammiraglio Di Paola, sono costretta a sollecitarla perché si approssima la ripresa delle votazioni in Aula.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Capo di stato maggiore della Difesa. Vorrei quindi dire che tutto questo costa e che negli ultimi anni, poiché i fondi disponibili per l'esercizio sono stati compressi moltissimo, abbiamo dovuto ridurre questa attività.
Per quanto riguarda il discorso dell'onorevole Gamba, credo che possiamo dimostrare di aver svolto un'attività di razionalizzazione abbastanza intensa. Ripeto che, se qualcuno avesse un'idea migliore, potrebbe suggerirla. Infatti, noi siamo aperti ai suggerimenti, ma onestamente credo che siamo i primi a volerla fare, considerato che razionalizzazione significa per noi anche risparmio.
Quanto all'utilizzo dei nostri poligoni da parte di Paesi alleati, questo avviene già in alcuni casi. Presso il poligono PISQ svolgono, per esempio, attività missilistica anche alleati che vengono a operare con noi. Nei limiti del possibile, quindi, e soprattutto presso il poligono PISQ o a Decimomannu, per fare un altro esempio, operano già velivoli alleati.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Non ricordo se lei o il generale Camporini ci diceva però che a Decimomannu c'è stata una forte riduzione dell'utilizzo...

GIAMPAOLO DI PAOLA, Capo di stato maggiore della Difesa. Lo diceva il generale Camporini. C'è stata una riduzione perché anche in quel caso ci sono stati dei problemi connessi ai tedeschi, che hanno percepito - a volte può accadere che da fuori seguano i nostri dibattiti - l'ipotesi di chiudere il poligono o di ridurne l'utilizzo, mettendo quindi in dubbio la possibilità di potervi tornare.
Per quanto riguarda il problema delle dismissioni, ho già risposto anche al presidente.
Per quanto riguarda invece il discorso dei reclutamenti e dello spostamento delle unità, noi siamo sempre attenti. Riteniamo di avere oggi una distribuzione relativamente omogenea sul territorio. Ci potranno essere in futuro ulteriori dislocazioni e certamente, se ce ne saranno, si tenderà a farle nelle regioni del sud, dove però - tenetelo presente - sarebbero necessari grossi investimenti. A parte il


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fatto che bisogna capire se le brigate vadano aumentate o diminuite, prima di creare una nuova presenza o spostarne una esistente devono essere fatti grossi investimenti, il che, a volte, non è compatibile con le risorse che il Paese ha finora deciso di mettere a disposizione delle Forze armate. Se però dovesse accadere, certamente siamo i primi a renderci conto che l'attenzione maggiore dovrebbe andare alle aree caratterizzate dal maggior reclutamento. Vorrei peraltro evidenziare che, ogni volta che proponiamo uno spostamento, ci sono sempre forti resistenze da parte della località da cui si propone di spostarci.

PRESIDENTE. Ringrazio il capo di stato maggiore della Difesa, a nome di tutta la Commissione, come rappresentante delle Forze armate, per l'accoglienza riservataci in Sardegna e per il modo in cui è stata organizzata l'intera missione.

GIAMPAOLO DI PAOLA, Capo di stato maggiore della Difesa. Il minimo del nostro dovere. Noi siamo le Forze armate del popolo italiano e quindi dei suoi rappresentanti.

PRESIDENTE. In ogni caso, grazie.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,35.