COMMISSIONE IV
DIFESA

Resoconto stenografico

INDAGINE CONOSCITIVA


Seduta di mercoledì 29 novembre 2006


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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTA PINOTTI

La seduta comincia alle 15,10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, generale di squadra aerea Vincenzo Camporini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle servitù militari, l'audizione del capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, generale di squadra aerea Vincenzo Camporini, che ringraziamo di aver accolto il nostro invito.
Nell'ambito dell'indagine conoscitiva che abbiamo deliberato sulle servitù militari, ricordo che abbiamo già ascoltato il capo di Stato maggiore dell'Esercito.
Do quindi la parola al generale Vincenzo Camporini, capo di Stato maggiore dell'Aeronautica.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica. Signor presidente, onorevoli deputati, sono il generale Vincenzo Camporini, capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare da poco più di due mesi. Nell'ambito dell'indagine conoscitiva che la IV Commissione difesa della Camera sta conducendo sulle servitù militari, mi accingo in questa sede ad illustrare la tematica dei gravami derivanti dalle attività di istituto espletate dalla mia forza armata sul territorio nazionale, con particolare riferimento alle limitazioni connesse con la presenza delle installazioni aeronautiche, dello spazio aereo militare e dell'impiego dei poligoni e delle aree addestrative.
Considerati i tempi della Commissione, ritengo che non sia opportuno soffermarmi sugli aspetti già ampiamente trattati da chi mi ha preceduto, relativamente alla disamina tecnica, giuridica ed economica dell'istituto delle servitù militari, del ruolo svolto in merito dai comitati misti paritetici - basato sulla reciproca consultazione per l'esame delle problematiche connesse all'armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico sociale ed i programmi delle Forze armate - e della distinzione tra poligoni ed aree addestrative ad essi associate.
La presenza dell'Aeronautica militare sul territorio va inquadrata nell'ambito delle norme del decreto legislativo n. 235 del 2005, concernente la riforma strutturale delle Forze armate, nonché nel quadro del processo di riduzione organica dello strumento militare, per arrivare al cosiddetto «Modello 190 mila».
Sulla base di tali premesse, nonché sulla scorta dei ridotti volumi finanziari a disposizione, le scelte organizzative dell'Aeronautica militare sono improntate verso: riduzione/accorpamento degli enti su un minor numero di sedimi aeronautici, con la massima valorizzazione delle infrastrutture esistenti; concentrazione delle attività della forza armata sulle principali


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basi aeree, pur mantenendo una presenza significativa su determinate località di rilievo del territorio nazionale.
Il processo di affidamento strutturale richiede, per la sua completa attuazione, una serie di attività complesse e sarà quindi graduale e modulare. I provvedimenti conseguenti, alcuni dei quali già avviati, sono pianificati in un arco temporale di 7-8 anni e consentiranno di centrare l'obiettivo finale di una forza armata snella, dinamica, interoperabile e proiettabile.
Tra i provvedimenti anzidetti, ritengo doveroso citare quelli attinenti al cambio di status, da militare a civile, di 15 aeroporti - e qui entriamo nel vivo della tematica dell'impiego militare degli spazi e delle strutture paese per paese -, previsto dal protocollo d'intesa sottoscritto il 14 ottobre 2004 fra i ministri della difesa, dei trasporti e dell'economia pro tempore. La complessità delle attività di coordinamento fra i citati ministeri, in particolare fra gli ultimi due, non ha ancora permesso, a tutt'oggi, l'avvio della concretizzazione dell'accordo.
L'attuazione di tali provvedimenti comporterà un ridimensionamento della presenza dell'Aeronautica militare sul territorio nazionale.
Iniziando ad analizzare l'aspetto relativo alle limitazioni derivanti dalla presenza di installazioni aeronautiche, ritengo opportuno esplicitare il principio al quale si ispira la forza armata per l'imposizione delle servitù militari.
Nel merito, l'Aeronautica militare, nelle sue articolazioni competenti, sia territoriali che di vertice, pone la massima attenzione nel valutare, nella fase propedeutica di studio e progettazione del vincolo, l'effettiva utilità e necessità dello stesso, in ragione delle manifestate esigenze operative e della salvaguardia dell'incolumità pubblica.
Nella successiva fase progettuale, l'imponendo vincolo, ai fini della sua ottimale configurazione, viene infatti misurato e raffrontato con le condizioni di contorno, intese queste come qualità ed esigenze, espresse in termini reali, del contesto territoriale destinato all'asservimento. L'obiettivo primario che ci si pone è pertanto quello di limitare, per quanto possibile, l'impatto delle servitù sul territorio e sulla comunità locale, contemperando al tempo stesso, in ossequio a quanto previsto dalla normativa di settore, le esigenze civili con quelle militari. Ciò anche in considerazione dei costi associati all'imposizione ed al mantenimento del regime vincolistico.
Le servitù riguardano alcuni aeroporti, i depositi carburanti e munizioni, gli impianti per le telecomunicazioni, l'assistenza al volo e la difesa aerea. La situazione di dettaglio dei siti interessati è stata già fornita allo Stato maggiore della difesa, che sta procedendo alla raccolta complessiva dei dati necessari per il censimento di tutte le infrastrutture in uso alla difesa, in linea con quanto disposto dal signor ministro al riguardo.
Per completezza d'informazione, ritengo utile precisare che, limitatamente agli aeroporti, oltre alle eventuali servitù militari, sussistono anche dei vincoli alla proprietà privata imposti ai fini della tutela della sicurezza del volo e a salvaguardia dell'incolumità pubblica dei terzi sorvolati. Detti vincoli, peraltro previsti anche per la navigazione aerea civile, sono disciplinati dal codice della navigazione. Si tratta, in estrema sintesi, di limitazioni e/o divieti imposti lungo le direzioni di decollo ed atterraggio e nelle altre direzioni, per opere e attività che possono costituire ostacolo e/o pericolo per l'esercizio della navigazione aerea, sia civile che militare.
Prima di volgere l'attenzione verso altre tipologie di servitù militari, non posso tralasciare un aspetto peculiare della mia forza armata, e lo farò riprendendo il concetto già espresso dal signor ministro nel corso della sua audizione relativamente all'utilizzo degli «spazi aerei militari». Ritengo opportuno rappresentare che l'organizzazione dello spazio aereo in Italia, in armonia con il concetto di «uso flessibile» dello stesso, così come l'assegnazione e la sua gestione avvengono in funzione delle effettive esigenze degli utenti, siano essi civili e/o militari.


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In tale contesto, lo spazio aereo non è puramente civile o militare, ma è una risorsa comune, che viene utilizzata dalla comunità militare per il tempo strettamente necessario ad effettuare il previsto addestramento operativo, volto al soddisfacimento dei compiti istituzionali.
La permeabilità e la flessibilità sono amplificate dall'eccellente modello di cooperazione civile/militare, riconosciuto a livello internazionale e preso ad esempio dalla Comunità europea per lo sviluppo delle strategie del «Cielo unico europeo».
La capacità di cooperare è consolidata a tutti i livelli di gestione dello spazio aereo attraverso comitati misti centrali e periferici tra loro interdipendenti, che costituiscono la vera forza del modello italiano nell'ottimizzare l'utilizzo della «risorsa» spazio aereo.
Infine, mi preme rimarcare che anche gli spazi aerei militari sono disegnati e gestiti in maniera da avere il minimo impatto possibile sull'utenza civile e sono «rilasciati» con apposite procedure collaudate a livello nazionale.
A parte gli spazi e le relative servitù direttamente necessari all'assolvimento dei compiti operativi, primo fra tutti la difesa aerea, è inderogabile la necessità di disporre di adeguati spazi per l'addestramento in tutte le funzioni che lo strumento aereo assolve nell'ambito di una forza di difesa armonica e bilanciata.
Attualmente, l'Aeronautica militare addestra i propri piloti per l'attività di tiro aria/superficie presso i poligoni della Sardegna (Capo Frasca, Salto di Quirra e Capo Teulada) ed in minima parte presso il poligono di Punta della Contessa (località Cefalo Nuovo-Brindisi), mentre per l'addestramento al tiro aria/aria si utilizzano il poligono a mare di Capo S. Lorenzo e le aree addestrative poste sul mare ad ovest di Decimomannu.
Per l'addestramento al tiro individuale con armi leggere del proprio personale, la forza armata non dispone di idonee strutture, eccezion fatta per il poligono posto all'interno di Furbara, sede del reparto incursori dell'Aeronautica militare, in quanto utilizza principalmente quelle delle altre forze armate.
Scendendo più nel dettaglio dell'attività dei poligoni di tiro aereo citati, si può affermare che: il poligono di Capo Frasca è impiegato per l'addestramento allo sgancio di munizionamento inerte e bombe da esercitazione (con carica fumogena o con involucro di ferro riempite con cemento) e al mitragliamento aria/suolo di proiettili inerti (senza testa esplosiva); Capo Teulada (una piccola parte di esso), ancorché dell'Esercito, è impiegato per l'addestramento allo sgancio di munizionamento di caduta; Punta della Contessa è impiegato per lo sgancio di munizionamento inerte, limitatamente alle bombe da esercitazione con carica fumogena, e per il mitragliamento aria/suolo di proiettili inerti (senza testa esplosiva). Quest'ultimo tipo di attività è stato sospeso nel 2001, ma è allo studio la possibilità di riprenderlo a vantaggio dell'addestramento basico al tiro degli allievi piloti del 61o Stormo di Lecce-Galatina, nonché per la continuità di addestramento dei gruppi di volo delle basi pugliesi (incluso il gruppo aerei imbarcati della Marina militare); il poligono a mare di Capo S. Lorenzo e le aree ad ovest di Decimomannu sono impiegati per l'addestramento al tiro aria/aria, ovvero al lancio di missili contro un bersaglio trainato da un velivolo teleguidato da terra, nonché al combattimento aereo e al lancio simulato di missili, monitorato tramite un sistema elettronico che rileva tutti i parametri cinematici di volo e simula l'impiego delle armi (ACMI: Air Combat Maneuvering Instrumentation), riproducendo i dati e le immagini in tempo reale su display alle stazioni di controllo di terra; il poligono del Salto di Quirra (poligono di terra) è impiegato per l'addestramento allo sgancio di munizionamento inerte di precisione (bombe a guida laser).
Vorrei soffermarmi, in particolare, sul poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra (PISQ), una unità interforze, ma gestita dall'Aeronautica, che soddisfa le esigenze di sperimentazione a terra ed in volo di sistemi


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d'arma complessi ed opera nel settore dell'addestramento all'impiego di ogni tipologia di armamento per l'uso aereo, navale e terrestre a carattere interforze.
Le aree principali sono quelle del poligono a terra presso il comune di Perdasdefogu (NU) e del poligono a mare di Capo San Lorenzo (NU). Le attività del poligono si svolgono in conformità alle programmazioni approvate dallo Stato maggiore della difesa in favore di utenti militari e civili, nazionali ed esteri, sia per l'addestramento dei reparti delle Forze armate che per lo sviluppo di tecnologie e materiali in campo militare ed industriale.
Il territorio del poligono è ripartito su due aree principali. Il poligono a terra occupa una superficie di circa 120 chilometri quadrati nella Sardegna sud orientale; si estende su un'area di forma pseudo-rettangolare alta 12 chilometri e larga 10 chilometri a sud del comune di Perdasdefogu, con cui confina, e dove sono presenti le strutture logistiche, operative e il comando. Il poligono a mare, denominato Distaccamento Capo San Lorenzo, si estende su un tratto di costa della Sardegna sud-orientale lungo circa 7 chilometri e largo 1-2 chilometri appartenente ai comuni di Villaputzu e, in misura minore, Arzana, Villagrande e San Vito.
Le attività del poligono si svolgono su un tratto di mare prospiciente il distaccamento e che si può estendere, a seconda delle esigenze operative, fino a 100 miglia nautiche nord-sud e 90 miglia verso est.
Tutte le aree descritte sono aperte al traffico aereo e marittimo civile, tranne per i periodi in cui le esigenze operative ne richiedono un utilizzo esclusivo da parte degli utenti del poligono. Durante questi periodi vengono emesse delle ordinanze di sgombero per garantire la sicurezza degli abituali utilizzatori delle aree.
Nel PISQ è impiegato sia personale militare proveniente dall'Aeronautica, dalla Marina e dall'Esercito, sia personale civile, in parte dipendenti della Difesa, in parte di società, in virtù dei contratti di manutenzione e conduzione operativa stipulati da queste ultime con la Difesa. In totale, risultano impiegate circa 900 unità, di cui una larga aliquota residente nei comuni circostanti con famiglie al seguito.
Le attività svolte nel PISQ sono riferibili a programmi di sperimentazione a terra e in volo di sistemi d'arma complessi e di addestramento all'impiego di ogni tipologia di armamento per l'uso aereo, navale e terrestre. Il PISQ è l'unico poligono sperimentale italiano interforze per attività di prova e addestramento con sistemi d'arma di media e lunga gittata, nonché unica area nazionale per addestramento in attività di «guida laser», da velivolo e da terra. È altresì sede del poligono di guerra elettronica, che offre la possibilità di simulare scenari tattici.
Il programma annuale delle attività viene redatto in bozza dal PISQ e viene esaminato dal Comitato interforze per il poligono. L'approvazione finale del programma delle attività è a cura del capo di Stato maggiore della Difesa.
Il comitato misto paritetico per le servitù militari in Sardegna (CoMiPa) riceve ogni sei mesi il programma delle «attività a fuoco», programmate per il previsto parere consultivo, come stabilito dalla legge n. 104 del 2 maggio 1990.
Nell'ambito della programmazione delle attività del PISQ è rilevante la presenza di attori industriali (44 per cento) rispetto all'utilizzo da parte di enti governativi (56 per cento), comunque maggioritario.
Tra le attività industriali si annoverano innanzitutto quelle orientate ai programmi di sviluppo a beneficio della Difesa: Alenia (EF 2000, Tornado), MBDA (Teseo MK2/A). Nondimeno, una percentuale importante è assegnata ad attività di sperimentazione industriale ad elevato contenuto tecnologico: Avio (Firos 30, motore Zefiro) e CIRA.
Limitatamente all'Aeronautica militare, le attività presso il PISQ riguardano le seguenti aree: sgancio di bombe a testata inerte ed utilizzo di armi portatili sul sedime di terra; lancio di missili AIM-9L, Nike (abbiamo lanciato gli ultimi tre venerdì scorso e non ne verranno più lanciati) e Aspide, lanci flares limitatamente al poligono a mare.


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I materiali che compongono gli armamenti utilizzati sono pubblicamente conosciuti e l'Aeronautica militare, di concerto con le altre Forze armate, ha già fornito al Comitato misto informazioni molto dettagliate in tal senso nel corso del 2005.
Le attività svolte presso il poligono sono pianificate ed attuate con l'adozione di tutti gli accorgimenti opportuni volti ad eliminare le conseguenze che possono essere prodotte sull'ambiente.
Nell'ambito della tutela ambientale e, più specificamente in relazione alla ventilata presenza di uranio impoverito nelle aree dedicate ad esercitazioni militari, è stata stipulata nel 2002 una convenzione tra Ministero della difesa e dipartimento scienze ambientali dell'Università di Siena per lo studio geochimico-ambientale dell'area della Sardegna sud-orientale su cui insistono i poligoni militari di Perdasdefogu e Capo San Lorenzo.
Il rapporto finale, pubblicato nel giugno 2004, ha attestato che la presenza di elementi tossici pesanti su dette aree è in misura minore rispetto a quella della media nazionale e, comunque, non è da ricondurre all'attività militare.
A tal proposito, si riafferma il concetto che la Difesa italiana ha utilizzato ed utilizzerà esclusivamente munizionamento convenzionale e che le attività svolte da utenti di paesi esteri devono attenersi agli accordi bilaterali stipulati, che prevedono l'impiego di solo munizionamento convenzionale. Inoltre, tutte le attività svolte presso il poligono vengono autorizzate solo dopo un preventivo attento esame dell'impatto ambientale.
Peraltro, al fine di rendere ancora più efficaci le azioni in tal senso - recependo altresì le raccomandazioni espresse dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale -, è in fase di approntamento, in coordinamento con le altre Forze armate, uno strumento di controllo idoneo, atto a monitorare più dettagliatamente le attività svolte presso il poligono, fino alla produzione di rapporti sulla bonifica delle aree utilizzate, al termine di ogni sessione.
In merito ad una eventuale alternativa ai poligoni nazionali, l'Aeronautica ha già effettuato delle valutazioni di dettaglio che hanno portato alla conclusione che utilizzare i poligoni all'estero comporterebbe problemi di «riservatezza» e costi di gran lunga più elevati (fino a 3 volte gli attuali). I costi elevati e le concomitanti restrizioni di bilancio hanno già indotto la forza armata a rinunciare a programmi di addestramento all'estero già avviati in Canada e nel Regno Unito.
A supporto di quanto sopra, cito di seguito un raffronto Decimomannu-Canada. Un anno di addestramento dei gruppi di volo presso i poligoni ACMI e di Capo Frasca in Sardegna, con rischieramento a Decimomannu, ha un costo di circa 1 milione 300 mila euro. L'utilizzo del poligono in Canada aveva un costo annuo di circa 9 milioni di euro così ripartito: 7 milioni costo di adesione al programma; 8 cento mila euro per invio del personale in missione; 5 cento mila euro per i voli di trasporto necessari a movimentare personale e materiale; 7 cento mila euro per il personale del quadro permanente in legge n. 642.
Negli importi di cui sopra non è stato conteggiato il costo del carburante per l'attività di volo presso i poligoni e per i voli di trasferimento, ma gli importi relativi ai rischieramenti in Canada sono indubbiamente superiori a quelli necessari per la Sardegna.
È da considerare inoltre che il personale inviato in missione in Canada rappresenta soltanto un terzo del personale inviato in Sardegna, per cui, ipotizzando di chiudere i poligoni sardi e di trasferire tutto l'addestramento all'estero, i costi di missione e di trasporto triplicherebbero, ovvero si andrebbe rispettivamente da 8 cento mila e 5 cento mila a 2 milioni 400 mila e 1 milione 500 mila euro.


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Inoltre, lieviterebbero anche i costi di adesione al programma, a causa di un maggiore utilizzo di slot di volo e delle infrastrutture.
È pertanto immediato e consequenziale che tali costi, in un momento storico in cui le risorse per l'addestramento sono già di per sé al di sotto del minimo necessario, sono insostenibili.
Sono comunque allo studio, come ipotesi alternative all'utilizzo dei poligoni sardi, le eventuali opportunità offerte da Egitto, Romania e Polonia. In merito, si stanno calcolando le stime dei costi relativi ai poligoni dei paesi citati.
Gli eventi addestrativi maturati sino ad ora con altri paesi, quali la Giordania, l'Egitto, la Tunisia, la Polonia e la Romania, sono stati occasionali ed inquadrati, nella maggior parte dei casi, nell'ambito di esercitazioni bilaterali o multilaterali (Petra, Bright star).
Le attività attualmente programmate presso altri poligoni all'estero con carattere di periodicità regolare riguardano esclusivamente l'addestramento alla guerra elettronica, che consiste nell'effettuazione di manovre che hanno lo scopo di eludere la sorveglianza di altri sistemi di difesa, e non includono alcuna attività di tiro.
Mi preme tuttavia evidenziare che la ricerca di soluzioni estere, ancorché riduca l'impatto sulle strutture nazionali, non si sostituisce ad esse, in quanto la disponibilità in ambito nazionale di poligoni per l'addestramento al tiro aria/suolo e aria/aria è indispensabile, in particolare, per le attività pre-operative del 61o Stormo (Lecce-Galatina) e di tutti gli Operational Conversion Unit (OCU) e Centri Addestramento Equipaggi (CAE), laddove il livello di addestramento e di esperienza degli equipaggi suggerisce di non appesantire un'attività di volo già impegnativa (quella svolta presso il poligono) con ulteriori gravami: la navigazione all'estero, la lingua inglese, le locali procedure di traffico, una host base non certo orientata alla stregua delle strutture (didattiche, operative, logistiche) della base madre o di Decimomannu, l'ambiente operativo (temperature estreme, condizioni meteorologiche che richiedono elevate capacità nel volo cosiddetto strumentale), l'equipaggiamento di volo supplementare (ad esempio, tuta di sopravvivenza in acqua), il Servizio ricerca e soccorso (SAR) meno tempestivo presso taluni paesi stranieri che hanno limitata esperienza e conoscenza delle tecniche di sopravvivenza.
Le elevate potenzialità delle strutture militari della Sardegna per l'addestramento operativo delle forze aeree (Capo Frasca, Capo Teulada, Salto di Quirra, D-40 per ACMI e aria/aria), sono da tempo oggetto d'interesse di vari paesi alleati e amici, in particolare la Francia (disposta ad offrire ed integrare le strutture della Corsica) e la Germania (alla costante ricerca di attività finalizzate ad ottimizzare gli oltre 13 milioni di euro che annualmente versa all'Italia per l'impiego della base di Decimomannu). A tal riguardo, l'abbandono di Decimomannu da parte degli USA e del Regno Unito, unitamente alla riduzione dei reparti di volo di Germania e Italia, ha comportato un decremento d'impiego delle strutture operative e logistiche della base: dal 90 per cento stimabile negli anni Ottanta fino all'attuale 20 per cento circa.
L'eventuale abbandono di Decimomannu da parte della Germania determinerebbe un livello di sottoimpiego della base assolutamente inaccettabile. Inoltre, considerando la già decretata anemizzazione della base di Elmas e la crisi finanziaria del PISQ/base di Perdasdefogu, potrebbe diventare inevitabile considerare dei provvedimenti di riduzione e soppressione di enti e la conseguente movimentazione sul continente del personale.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene di poter considerare i poligoni nazionali come strumenti addestrativi indispensabili.
Ringrazio la Commissione per l'attenzione che mi ha prestato e per l'opportunità che mi è stata concessa di esporre, seppure in maniera sintetica, alcuni degli aspetti salienti dell'attività dell'Aeronautica militare. Sono ovviamente a disposizione per qualsiasi tipo di domanda.


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PRESIDENTE. Ringraziamo molto il capo di Stato maggiore dell'Aeronautica, anche per lo sforzo, che ho notato nella sua esposizione, di chiarire alcuni aspetti. Il nostro intento è ovviamente quello di capire se si possano individuare ipotesi diverse rispetto alle servitù militari. Mi pare che nella sua relazione il generale abbia già fatto presente una serie di situazioni, condizioni e valutazioni connesse alle aree attualmente utilizzate e alle modalità di lavoro previste per il futuro.
Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

SALVATORE CICU. Ringrazio il generale per l'esposizione molto precisa e attenta rispetto al problema delle servitù militari.
Credo che sia importante porre l'accento anche su altre questioni. Compito di questa Commissione è svolgere un'indagine conoscitiva che realizzi un lavoro volto a consentire un riequilibrio della presenza militare - compito, questo, che le stesse Forze armate da diversi anni stanno svolgendo - e si occupi, in maniera specifica, del tema delle servitù militari.
Ho sentito parlare del tema del riequilibrio della presenza militare solo ed esclusivamente in termini di impossibilità, in maniera particolare per quanto riguarda la terra sarda. Capisco che esiste un problema vero, indipendentemente da chi vuole, a livello politico, utilizzare questa situazione strumentalmente, per cercare di contrapporre le diverse posizioni. Certamente non sono contrario alla presenza militare, né esigo soluzioni generali ed immediate di problemi complessi e delicati, che riguardano la formazione di uomini importanti per la nostra difesa, quindi la nostra nazione. Me ne guardo bene. Non vorrei, però, che continuare a cercare una soluzione solo ed esclusivamente oltre i confini nazionali significhi non trovarla. Finora, perlomeno, non è stata trovata: lo abbiamo sentito dire da lei, ma anche dal capo di Stato maggiore dell'Esercito, e da tutti i nostri interlocutori. Tutti sostengono logicamente che, nel momento in cui si trasferissero queste attività all'estero, non solo i costi si triplicherebbero, ma l'attività di cooperazione ne risentirebbe, in ordine alla programmazione e alla pianificazione, nonché in ordine alla certezza relativa alla capacità e alla qualità dell'addestramento.
Credo, quindi, che lo sforzo debba essere compiuto all'interno dei confini nazionali. Non posso pensare che, al di là della Sardegna, non esistano altri territori adatti a permettere questo riequilibrio. Non dico assolutamente che si debbano chiudere tutti i siti militari in Sardegna: per esempio, con riferimento all'attività dell'Aeronautica, credo che la presenza del poligono di Perdasdefogu sia non solo condivisa dalle comunità locali, ma anche importante rispetto alla programmazione e all'innovazione tecnologica. Esso garantisce, infatti, la presenza di un certo tipo di laboratorio, di programmazione e di percorso che possono fornire occasioni di crescita ad una realtà economica povera. Detto questo, credo però che siti come Capo Teulada, Capo Frasca ed altri possano e debbano cominciare ad essere oggetto di una valutazione diversa, che permetta scelte incentrate su uno sguardo d'insieme.
Peraltro, la grande sofferenza è causata dalla poca sensibilità, non certamente dei capi di Stato maggiore, ma della burocrazia. Essa si ostina a non comprendere che, se si vuole ottenere un atteggiamento paziente, che perduri nel tempo, anche da un punto di vista politico, oltre che dal punto di vista dei localismi, è quanto meno necessario che le già poche compensazioni previste abbiano un adempimento puntuale.
È noto che ai comuni spetta un'indennità, stabilita per legge, ma questa viene corrisposta dopo anni di sofferta attesa. Può sembrare che parli di dettagli, ma sono invece elementi importanti, se inseriti in una valutazione complessiva. Se i sindaci ricevessero la compensazione dovuta e potessero destinarla a progetti alternativi, è evidente - pur non potendo, logicamente, prescindere dai limiti posti dalla presenza militare e dall'esistenza delle


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servitù - che questo potrebbe rappresentare un sostegno, ma ciò non accade.
Mi sembra di capire che gli studi in materia stiano prendendo una direzione univoca nel sostenere che non esista alternativa in ordine ai poligoni di Capo Teulada, Perdasdefogu, Capo San Lorenzo e Capo Frasca. Un'eventuale altra soluzione non appare immediatamente prefigurabile. Come testimonia anche l'interrogazione che presenterò domani - è un problema che continuerò a sollevare anche in aula - la mia insistenza vuole richiamare l'attenzione politica, ma anche militare, sulla necessità a mio giudizio di una valutazione un po' più completa ed attenta, e sull'opportunità di non mettere paletti che risulterebbero insuperabili.
In presenza di tali paletti, occorrerebbe seguire dei percorsi che a mio giudizio, in questo momento, non sono sostenibili. A tale proposito cito il governatore della Sardegna Soru che, giunto a Cagliari una ventina di giorni fa, ha voluto far apparire come una liberazione per la città il venir meno di servitù che in realtà non esistono. I beni immobili militari non possono certamente considerarsi, né in termini giuridici, né sostanzialmente, delle servitù. Si tratta di caserme che sono state definite dismissibili - ma sono ancora in uso - e che possono essere riorganizzate, ma dovrebbero esserlo entro la logica e l'ottica di un accordo di programma. Mi riferisco alla possibilità che la regione Sardegna metta a disposizione settanta alloggi - che possano rimpiazzare quelli che si perdono attraverso la dismissione di quei beni - e non so quante migliaia di metri quadrati di magazzini. Stiamo parlando, però, di documenti senza data e che costituiscono una dichiarazione di intenti.
Potrebbe sembrare che tutta la questione si concentri solo sul territorio sardo, ma invito anche i colleghi a riferire quali altri territori presentano situazioni analoghe. Da quello che abbiamo sentito nel corso delle audizioni tenutesi in questa Commissione, tutto sommato, gli altri territori non soffrono di grossi problemi. Il vero problema delle servitù militari riguarda il riequilibrio che dovrebbe poter essere immediatamente avviato in Sardegna, in termini di riduzione, di bonifica, di compensazioni adeguate e di indennità corrisposte con puntualità: in sintesi, parlo di un'attenzione maggiore di quella che si è prestata fino ad oggi.

PRESIDENTE. L'onorevole Cicu ha sollevato il problema di guardare la materia senza gli occhiali della burocrazia. La sua domanda relativa alla possibilità di individuare altri siti non necessariamente all'estero, ma anche sul territorio nazionale, è chiarissima.

ELETTRA DEIANA. Faccio mie le osservazioni del collega Cicu relativamente al peso che le servitù militari hanno sul territorio sardo.
Ovviamente non compete a lei, generale, cercare soluzioni politiche. Il problema è militare, ma ci sono problemi sociali e politici a cui la politica ed il Parlamento dovranno dare delle risposte che sono necessarie. Mi rendo benissimo conto del fatto che la Sardegna, dal punto di vista dell'efficacia operativa delle esercitazioni, presenta delle caratteristiche di inequivocabile superiorità, come ci hanno detto tutti i suoi colleghi e com'è noto. Tuttavia, il problema rimane. Il riequilibrio della presenza di servitù militari sul territorio nazionale parte dalla Sardegna, oppure non è neanche materia di discussione.
Lei, generale Camporini, ha parlato dell'utilità e del carattere di grande operatività che offrono le servitù militari e le zone militarizzate presenti in Sardegna. Vorrei capire se l'Aeronautica è in possesso di elementi e di dati relativamente agli effetti ed alle conseguenze di tali servitù. Una serie di vicende verificatesi negli ultimi anni hanno messo in evidenza numerose problematiche che toccano le popolazioni. Penso alla vicenda dei pescatori di Capo Teulada, con la questione degli incentivi e dei ritardi, ma anche il problema dell'inquinamento dello specchio di mare antistante; penso a quella vastissima area della Sardegna occidentale, prospiciente il Salto di Quirra, dove avvengono


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esercitazioni continue, la cui zona di mare può risentire dal punto di vista dell'impatto ambientale. Per non parlare, poi, della questione dell'uranio impoverito, che riguarda sempre la stessa zona. Al riguardo, cito le forme di protesta di associazioni ambientaliste e pacifiste, nonché di gruppi di cittadini sardi.
La situazione è dunque complessa e riguarda molti aspetti, che devono essere tenuti presenti nel loro insieme. Vorrei capire se lei sia in grado di fornici dati vostri - come forza armata - relativamente a questo insieme di problematiche, che fanno strettamente parte dell'analisi che dobbiamo svolgere sulle servitù militari. Le chiamiamo in questo modo perché vogliamo mettere in risalto l'aspetto di servitù sul territorio e sulle popolazioni, e non soltanto quello dell'efficacia militare, che ovviamente è uno degli aspetti della problematica.

PIERFRANCESCO EMILIO ROMANO GAMBA. Il generale Camporini ha anticipato risposte ad alcune domande che sicuramente sarebbero state poste. In particolare, è stato esaustivo sulla questione delle possibili alternative estere, sulla quale non credo sia il caso di tornare. Certamente rimane la domanda principe riguardo alla teorica possibile esistenza di alternative, legata naturalmente alla creazione di infrastrutture e alla predisposizione dei relativi investimenti. Ammesso e non concesso che sul territorio nazionale esista un sito assimilabile a quelli già in utilizzo, dovrebbe comunque essere previsto un programma di creazione delle infrastrutture necessarie.
Vorrei chiedere al generale Camporini di precisare un aspetto che non ha toccato, forse dandolo per scontato, che riguarda il livello di soddisfazione dell'Aeronautica militare rispetto all'utilizzo dei siti attualmente in uso. I siti utilizzati sono ritenuti sufficienti per le esigenze dell'Aeronautica o sarebbero da prevedere forme ulteriori e diversificate? In questo quadro è teoricamente ipotizzabile l'accorpamento di alcuni dei poligoni attualmente in uso, atteso che lei ha ricordato la diversità di impiego e le diverse tipologie?
Immagino che se attività attualmente svolte in poligoni diversi potessero essere svolte in un unico o alcuni poligoni - tramite investimenti e quant'altro -, questo potrebbe rappresentare un'ipotesi ulteriore rispetto a quelle già in esame.
Da ultimo, una curiosità. Vorrei conoscere la frequenza di utilizzo, da parte dell'Aeronautica - so che vi sono utilizzi interforze -, del poligono a mare di San Lorenzo, nel corso di un anno.

MAURO BETTA. Nel ringraziare il generale, mi preme dire che il suo mi è sembrato un intervento a più livelli, molto interessante per chi, come me, conosce poco la materia. Vorrei capire perché la riconversione da uso militare ad uso civile dei quindici aeroporti si sia bloccata durante il suo iter; se ho ben capito è stato per problemi inerenti ai rapporti tra ministeri. Desidererei sapere se in questi aeroporti l'Aeronautica mantenga ancora una presenza, oppure se si tratta di aree che possono già essere considerate dismissibili. Comunque, che tipo di utilizzo si intende farne?
Ho seguito molto attentamente la descrizione delle diverse dislocazioni e condivido le osservazioni dei colleghi, in particolare quelle dell'onorevole Cicu, riferite al problema Sardegna (chiamiamolo così). Tuttavia, ho anche sentito il generale parlare di nuovi sistemi di addestramento e di simulazione. Vorrei capire quanto questi sistemi possano sostituire - se in tutto, se in parte - quelli tradizionali, considerando anche la nostra specializzazione e la professionalizzazione della nostra Aeronautica militare. Questi sistemi si integrano o funzionano in maniera separata? Quanto sono utilizzati all'interno dei percorsi addestrativi?
La sua riflessione mi ha infine suggerito un'ulteriore richiesta di approfondimento. Lei ha detto che le nostre basi sono spesso utilizzate, in un rapporto di reciprocità, anche per addestrare forze armate di paesi dell'Unione europea o di altri


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paesi stranieri. Mi interesserebbe sapere quali sono le basi utilizzate e in che misura.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica. Purtroppo il mio intervento - e quindi il baricentro delle domande - verte principalmente sulla Sardegna e sui poligoni sardi. Mi riservo di rispondere per ultimo ai quesiti riguardanti questa tematica.
Mi piacerebbe invece rispondere immediatamente ai quesiti posti dall'onorevole Betta per quanto concerne gli aeroporti, la simulazione e l'utilizzo delle nostre infrastrutture anche da parte di altri paesi.
I quindici aeroporti in questione - tra gli altri Cagliari Elmas, Rimini, Villafranca di Verona - fanno parte di una lista di infrastrutture che l'Aeronautica non giudica più utile adoperare. Si tratta di infrastrutture la cui parte aeroportuale è sicuramente molto appetibile da parte dell'aviazione civile - che potrebbe farne un utilizzo piuttosto intenso ed economicamente valido - e che invece per la forza armata rappresentano un onere pesantissimo, visto che dobbiamo comunque mantenere una presenza, quantomeno per garantire la sorveglianza, la vigilanza e l'efficienza di certi sistemi. Nel quadro delle ristrettezze finanziarie in cui ci dibattiamo, noi saremmo lietissimi di dismettere stasera stessa queste strutture.
I problemi legati a queste dismissioni derivano dal fatto che gli attori coinvolti sono molti: il Ministero della difesa, il Ministero dei trasporti, il Ministero delle infrastrutture, il Ministero dell'economia e delle finanze. Il problema più serio è rappresentato dalla titolarità dei diritti di proprietà su queste infrastrutture. L'ENAC (Ente nazionale aviazione civile) vorrebbe poterne disporre immediatamente in toto, al fine di poter stipulare al più presto i contratti di programma con le varie società di esercizio aeroportuale, per consentire lo sviluppo delle attività civili.
Secondo il Ministero dell'economia e delle finanze, invece, questa cessione non può essere fatta in toto, ma solo dopo un'analisi dell'Agenzia del demanio, che dovrebbe stabilire che cosa sia cedibile e che cosa non lo sia. Si è innescata, tra questi attori, una dialettica tale da paralizzare tutto il processo. Per dare un'idea, noi dobbiamo continuamente provvedere al servizio di torre a Villafranca, torre di controllo che, per il rispetto della legge n. 626, dovremmo rifare subito. La Difesa continua a spendere molti quattrini e molte risorse umane. Benché i soldi siano importanti, vi assicuro che le risorse umane, che noi potremmo meglio impiegare altrove, sono ancora più preziose.
Per quel che riguarda la simulazione, essa rappresenta uno strumento straordinario per incrementare l'addestramento, ma non può sostituirsi all'addestramento fatto nella realtà. Usando uno slogan, io dico che a volare si impara volando, dopodiché ciascuno migliora le sue capacità operative e la sua performance professionale utilizzando tutti gli strumenti possibili, tra cui i simulatori, che gli consentono di vivere delle situazioni operative che sarebbe impossibile simulare a bordo. Se devo addestrare un pilota alle procedure da mettere in atto in caso di incendio a bordo, non posso dar fuoco all'aeroplano, ma posso farlo a bordo di un simulatore, chiaramente. Credo che, al di là della banalizzazione dell'esempio, sia importante capire il concetto.
Con la simulazione si fanno tantissime cose, anche nel campo della sperimentazione. Anche quest'ultima può oggi essere integrata da simulazioni che consentono di ridurre al minimo, per fare un esempio, i lanci sperimentali di un missile. Ciononostante arriva sempre il momento in cui provare se effettivamente un certo insieme di pezzi di metallo e di semiconduttori funziona come dovrebbe. C'è sicuramente la possibilità di integrare le due attività, ma non certo di sostituire l'una con l'altra.
Per quanto riguarda la domanda relativa all'utilizzo delle nostre basi, specifico che abbiamo una serie di accordi, inquadrati nella nostra appartenenza sia all'Unione europea, sia all'Alleanza atlantica. Decimomannu è l'esempio più classico in questo senso. Si tratta di una base finanziata inizialmente su base pentanazionale.


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Su di essa insistevano cinque paesi - parliamo degli anni Settanta-Ottanta - che vi svolgevano un'attività estremamente intensa. A metà degli anni Ottanta gli Stati Uniti decisero di ritirarsi da quest'impresa e lo stesso fecero gli inglesi. Gli Stati Uniti hanno altre risorse in giro per il mondo, come sappiamo, mentre gli inglesi iniziarono ad utilizzare un poligono costruito nel Mare del Nord - su base totalmente privatistica - da British Aerospace, affittato alla Royal Air Force.
A finanziare binazionalmente questa impresa, che ha un bilancio proprio, siamo rimasti dunque noi ed i tedeschi. Essa risulta essere effettivamente sottoimpiegata. Se ci fossero altri clienti - all'inizio degli anni Ottanta sono venuti anche gli svizzeri - potremmo farne un utilizzo più economico. Se anche i tedeschi decidessero di abbandonare l'impresa, la possibilità per l'Aeronautica di proseguire da sola in quest'attività sarebbe veramente dubbia; emergerebbe per forza la necessità di andare in Canada, in Polonia, in Romania, un po' ovunque, con una spesa tre volte maggiore.
Veniamo ora al problema della Sardegna. È vero, ho parlato dell'impossibilità di trovare sostituzioni economicamente vantaggiose e sostenibili all'estero e non ho parlato del resto del paese. Credo però che un'analisi del genere sia stata prima di tutto alla radice della scelta di collocare questi poligoni in Sardegna: la regione costituisce effettivamente un territorio dove la densità abitativa è tale da permettere la disponibilità di aree estremamente ampie, senza creare grossi ed insuperabili problemi di gestione del territorio.
Il riequilibrio non può passare attraverso la proibizione dell'impiego. Permettetemi di ricordare un episodio di qualche anno fa, la terribile sciagura del Cermis. Dopo quella tragedia ci fu una sorta di insurrezione da parte delle popolazioni locali e il Trentino-Alto Adige fu sostanzialmente dichiarato zona vietata al sorvolo militare. Se questo va bene per gli abitanti del Trentino, non so quanto ne siano contenti gli abitanti del Friuli-Venezia Giulia e della Lombardia. Non credo si possa farne un discorso su base regionale, si dovrebbe certamente affrontare un discorso più complessivo, che coinvolga tutto il paese. Nel resto del paese, però, non riesco ad identificare aree che possano in qualche modo offrire le stesse opportunità di sperimentazione e di addestramento offerte dalle infrastrutture della Sardegna.
Dico questo perché in passato abbiamo esaminato altre ipotesi ed altre opportunità, anche se non nel campo dei poligoni. Da più di vent'anni si sta cercando di costituire un'unica scuola di volo europea, che soddisfi le esigenze di addestramento al volo per tutti gli equipaggi dei paesi dell'Unione. Ebbene, noi abbiamo scartato questa possibilità, che è stata invece accettata dagli spagnoli e dai turchi, che hanno presentato delle offerte (nel quadro NATO, ovviamente, e non nel quadro dell'Unione europea). Oggi la Francia ha costituito una scuola binazionale aperta a tutti gli altri paesi dell'Unione, perché ritiene di avere gli spazi, le infrastrutture e soprattutto lo spazio aereo necessari per un'impresa del genere.
Noi abbiamo rinunciato a quest'impresa proprio perché abbiamo constatato che sul territorio nazionale non esiste un'area dove un'attività di volo intensa come quella di una scuola di volo così grossa - stiamo parlando di qualche decina di migliaia di ore di volo all'anno - possa svolgersi senza creare turbative assolutamente insopportabili. Neanche la zona di Lecce, dove si trova la nostra scuola di volo, può superare certi livelli di attività.
L'esame svolto su questo specifico argomento mi porta quindi a dire che, probabilmente, un'analisi di dettaglio molto puntuale e molto precisa sull'argomento dei poligoni non potrebbe portare a considerazioni diverse.
Tornando a quello che ha detto l'onorevole Cicu, Perdasdefogu è una realtà condivisa. Sono stato venerdì a fare una mia prima visita al sito, ho avuto la possibilità - insieme al sottosegretario Casula - di incontrare gli amministratori locali ed ho constatato di persona quanto


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questa realtà sia percepita come una proprietà comune del territorio, certo in virtù delle potenzialità economiche che essa offre (che io ritengo enormemente superiori a quelle ad oggi messe a frutto).
Si tratta di un gioiello - sia per attrezzature, sia per spazi - che può veramente diventare il polo di sviluppo scientifico e tecnologico dell'Europa nel settore aerospaziale. Questo può accadere se il paese ci crede ed è disposto ad investire, soprattutto intellettualmente, in questo tipo di struttura. Inoltre, questo può essere fonte di occupazione, e non parlo di occupazione a livello di manovalanza, ma ad alto livello. Sto parlando di una struttura in grado di consentire alle intelligenze dei giovani della Sardegna di trovare nell'isola un luogo dove far crescere le proprie conoscenze e dare il proprio contributo alla massima tecnologia.
Da questo punto di vista c'è dunque una piena condivisione, che noi cerchiamo di assecondare, tant'è che, anche allo scopo di ovviare ai problemi di finanziamento delle attività, stiamo esaminando ogni possibile opportunità di crescita, se vogliamo anche «esotica». Un'ipotesi potrebbe essere la condivisione della gestione con organismi non militari, ma organismi civili, di qualsiasi estrazione, in modo da condividere i costi da un lato, ma soprattutto da estendere l'utilizzo dell'infrastruttura a tutte quelle attività di ricerca e sviluppo essenziali, che non sono tipicamente ed esclusivamente militari. Faccio un esempio: recentemente l'ENI ha collaudato le proprie tecniche di intervento in caso di esplosione di gasdotti proprio sul poligono di Perdasdefogu, perché era l'unico luogo con determinate infrastrutture e strumentazioni che consentisse di fare questi esperimenti che, ovviamente, presentano qualche elemento di rischio. Da questo punto di vista, credo che Perdasdefogu sia davvero da curare come fosse un gioiello della corona.
Quanto agli effetti sul territorio, onorevole Deiana, noi abbiamo il massimo rispetto delle esigenze e della cultura ambientale, non fosse altro perché il problema riguarda anche i nostri uomini e le nostre donne, che vivono e lavorano in quei luoghi per decine e decine di anni, oltre alla popolazione locale. Proprio venerdì mi sono dovuto confrontare con un primo maresciallo - un sottufficiale molto anziano, che andrà in pensione tra poco - il quale era angosciato da timori di questo tipo. Avendo sempre abitato lì con la sua famiglia, e pur sapendo benissimo quello che facciamo e che non esiste alcun rischio, mi ha riferito la sua angoscia nel vedere le campagne ricorrenti sulla stampa che ci colpevolizzano e ci tolgono la tranquillità.
Proprio per fugare qualsiasi dubbio - premesso che noi facciamo impiego solo di munizionamento inerte e non contenente particolari componenti pericolosi -, abbiamo avviato una campagna conoscitiva sul territorio. Abbiamo chiesto ad un ente terzo, l'Università di Siena, che ha un dipartimento di scienze ambientali particolarmente sviluppato, di fare un campionamento sul territorio. Il campionamento ha dato dei risultati per noi confortanti, anche se per altri versi preoccupanti. Alcune ricerche hanno confermato che le attività minerarie pregresse nella zona - mi riferisco ad attività risalenti a tanti anni fa - non venivano svolte con le dovute cautele: si sono riscontrati livelli di presenza di arsenico nel territorio di un ordine di grandezza certamente al di sopra di quello a cui siamo abituati normalmente.

SALVATORE CICU. È stata esclusa la tossicità dell'arsenico.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica. Se è per questo, onorevole, anche dell'uranio impoverito.

SALVATORE CICU. Il problema vero è che le morti continuano a verificarsi e non si fa un'indagine - la cui competenza secondo me non è militare, ma del Ministero della salute - relativa a tutte le problematiche che possono essere rilevate in quei luoghi. Il Ministero della difesa ha svolto le attività di monitoraggio, ora dovrebbe proseguirle il Ministero della salute.


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PRESIDENTE. Quando un'indagine scientifica arriva a determinate conclusioni - prendiamo il caso dell'uranio impoverito - o quell'indagine non è scientifica, non è stata fatta bene, oppure, se ci sono motivi di preoccupazione, bisogna occuparsene a fondo. A mio avviso, se ce n'è motivo, bisogna dare l'allarme e intervenire. Allo stesso modo, bisogna scoraggiare il nascere di storie che non hanno fondamenti reali. Penso, ad esempio, alla storia di un bambino rapito al supermercato da un nomade, che viene raccontata di città in città e diventa un incubo. Anche se, magari, in nessuna città è avvenuto un fatto di quel tipo, in qualche modo si forma una specie di psicosi.

ELETTRA DEIANA. Ma le morti ci sono!

PRESIDENTE. Infatti. Quello che voglio dire è che, se l'indagine ha rivelato che il problema non erano gli insediamenti militari, ma altri tipi di insediamenti, bisogna lavorare in questa direzione, perché credo sia anche un po' frustrante rievocare una causa che l'analisi ha escluso. Se l'inchiesta che è stata svolta - ovviamente se ha basi scientifiche solide - esclude determinate ipotesi, ma riscontra altri problemi, significa che si deve investigare ed indagare in direzione diversa, non significa che non ci sono le morti.
Vedo, invece, che si ricorre agli stessi metodi e si effettuano le stesse ricerche - penso all'indagine Mandelli -, che non possono che produrre gli stessi risultati. Se, di fronte a un problema che persiste, si sono fatte certe verifiche e l'indagine scientifica ha escluso il ruolo di una data causa, allora il problema è che forse non si è individuata la causa effettiva, la quale va ulteriormente ricercata. Mi sembra, invece, che a volte si ripercorrano percorsi che si sono già esclusi. Questo non porterà mai ad alcun risultato.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica. Vorrei sottolineare come da parte nostra non possa che esserci, d'istituto ma anche dal punto di vista umano, assoluta e totale trasparenza.
Onorevole Cicu, per fugare i dubbi sul fatto che l'indagine svolta dall'Università di Siena e dall'Università di Cagliari possa essere stata pilotata - come qualcuno ha sostenuto -, indicando i luoghi dove fare i carotaggi, in modo da evitare di trovare dati discutibili, noi siamo già pronti per una nuova campagna - sono già in corso le attività - per chiedere alle comunità locali (compresi coloro che hanno criticato i risultati delle indagini) di indicarci dove andare a prelevare i campioni. Siamo così convinti del fatto che, se c'è un problema, il problema non siamo noi, da essere disponibili a qualsiasi tipo di scrutinio; e siamo anzi i primi a volerlo, proprio perché lì abbiamo le nostre famiglie, i nostri uomini e le nostre donne. Mi creda, non li mandiamo allo sbaraglio.
Venendo al problema delle compensazioni, esso esula dalla competenza della forza armata. Ne posso parlare per quelle che sono le mie conoscenze della macchina dello Stato. Le procedure per il passaggio dei fondi dal Governo centrale ai comuni interessati sono particolarmente complesse. Proprio venerdì, durante l'incontro con i rappresentanti degli enti locali, ho sentito qualche tono piuttosto acceso da parte dei comuni nei confronti del rappresentante della regione, presso cui i fondi sarebbero già arrivati - non so se sia vero - senza che siano stati ancora distribuiti ai comuni. Lo dico per sottolineare che le procedure sono piuttosto complesse e che probabilmente si impone una loro revisione per cercare di sveltire i tempi.

MAURO BETTA. Di che anno stiamo parlando?

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica. Credo del 2005. Benché questo tema non mi competa, credo che dal punto di vista amministrativo un'analisi sulla possibilità di accelerare i tempi e le procedure sia più che doverosa.
Posso dire che siamo soddisfatti del nostro livello addestrativo, che ci è consentito


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da tutta una serie di attività, di cui i poligoni (sia quelli sperimentali, sia quelli addestrativi) sono una componente essenziale. Il nostro livello di performance e di operatività - posso dirlo tranquillamente, visto che sono a capo dell'Aeronautica da soli due mesi, e non è quindi merito mio, ma dei miei predecessori - è molto elevato, come ci è costantemente riconosciuto. Credo che, da questo punto di vista, per ora le cose vadano bene. Proprio per questo mi permetto di dire che, poiché le cose vanno bene, dobbiamo cercare di non mettere in campo elementi di turbativa che possano farle andare meno bene.

SALVATORE CICU. Riguardo all'attività di verifica sulle sostanze nocive, vorrei dire che il problema rimane quello che richiamava il presidente Pinotti. Quando continuano ad esserci delle morti, si cerca di addebitarle all'unico elemento che sembra poterne essere la causa. In effetti, l'unica valutazione che è stata fatta è quella sui terreni.
Considerato che delle lamentele da parte di qualche componente del comitato misto paritetico ci sono state, e con riferimento anche alla sua dichiarazione in ordine all'uso delle armi convenzionali, ricorderà che il rappresentante del Ministero dell'economia ha dichiarato che non si è provveduto in alcun modo a trasferire - nei termini in cui lo si chiedeva - l'elenco dei munizionamenti usati. Si parla sempre di armi convenzionali, ma a quando risalgono queste armi? A quale periodo storico? Forse, allora, per fugare ogni dubbio anche riguardo a Perdasdefogu, bisognerebbe effettuare un'analisi approfondita e una verifica scientifica delle sostanze usate.
Escludendo la tossicità dell'arsenico, preso atto che l'uranio impoverito non è presente in percentuale tale da provocare danni, escludendo che si tratti di una sorta di epidemia rispetto alle morti per leucemia, bisognerebbe forse valutare se e come, in qualche modo, negli armamenti e nei munizionamenti utilizzati, si può riscontrare quel nesso di causalità che si sta cercando.

VINCENZO CAMPORINI, Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica. Abbiamo più volte resi noti i dati sul munizionamento usato, e in modo assolutamente dettagliato. Ho qui un elenco dei materiali che compongono gli armamenti usati dall'Aeronautica militare negli ultimi vent'anni.
Le bombe a testata inerte sono fatte al 50 per cento di metallo (ferro) e al 50 per cento di cemento, mentre l'involucro è in acciaio. L'AIM-9L - parliamo di un sistema d'arma complesso, non del pezzo di ferro che sganciamo come bomba - è un missile, un propellente composito, composto di HTPB al 20 per cento, di perclorato di ammonio al 50 per cento, di alluminio al 30 per cento. La catena pirotecnica - dieci grammi per missile - è composta di magnesio, zirconio, potassio e perclorato. La testa di guerra ha due esplosivi: l'RDX e l'HMX, più il polimerizzante che deve tenerli insieme.
Sono tutti dati chimici che abbiamo reso disponibili più volte e che non abbiamo nessuna difficoltà a ribadire, e questo vale per tutti i sistemi impiegati. Questo riguarda l'Aeronautica militare e le forze armate italiane. Ovviamente quando il poligono è utilizzato da altri paesi, noi abbiamo il dovere - lo assolviamo con grande scrupolo - di verificare che cosa gli altri adoperino, in modo da essere certi che le componenti di questi strumenti siano esattamente paragonabili e comparabili con le nostre e che non vengano utilizzati materiali proibiti o dalle dubbie conseguenze.

PRESIDENTE. Ringraziamo molto il generale, sia per l'esposizione, sia per la sua disponibilità a rispondere. Ci sono ovviamente questioni che stiamo solamente cominciando ad individuare e che penso siano importanti per delineare le conclusioni della nostra indagine conoscitiva. Anche questi elementi, forniti da chi conosce più tecnicamente i risultati delle indagini svolte, sono importanti perché


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grazie ad essi la discussione può andare più a fondo nelle questioni.
Continueremo il nostro lavoro la settimana prossima con il tema delle dismissioni. Affrontando tale questione, potremmo considerare anche il tema della riconversione degli aeroporti militari, ferma dal 2003. Secondo una previsione contenuta nella finanziaria successiva, il Ministero del tesoro avrebbe dovuto dare dei soldi al Ministero della difesa in cambio della cessione di certi beni; nell'elenco dei beni contenuto nei DPCM vi erano anche, se non ricordo male, gli aeroporti, i quali precedentemente potevano anche essere dismessi direttamente dal Ministero della difesa. Quando il Ministero del tesoro ha chiesto alla Difesa i beni, questa ha riposto che prima avrebbe voluto accertarsi della disponibilità di risorse. Poiché queste non sono arrivate, i beni sono rimasti in un limbo indistinto, di fatto congelati, ma a carico della Difesa, con tutti i problemi che ne conseguono.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 16,20.